Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. XII, Ed. 1931, 708 p.

 

 

 

Prefazione.

 

                Anche questo volume comprende un anno solo della vita del Beato Don Bosco, il 1876. La narrazione vi è condotta con gli stessi criteri, che servirono di guida nel volume undecimo, cioè a capitoli organici, con abbondanza di particolari d'ogni maniera e riproducendo testualmente la Parola del Servo di Dio, ci sia questa tramandata nei suoi scritti o in scritti altrui.

 

                Se queste pagine verranno sott'occhio a lettori, che direttamente o indirettamente abbiano avuto conoscenza sicura di fatti e detti del Beato o che ne posseggano autografi inediti, a qualunque anno della sua vita tutto questo appartenga, vogliano darne comunicazione in forma precisa e con le debite garanzie. Cose che in se stesse o per noi sembrassero di poco o niun conto, potrebbero acquistar valore messe in rapporto con altre o giovare comunque ai futuri studi, che non mancheranno di farsi sul nostro Beato. Perciò bisogna evitare che il tempo le mandi in dileguo.

 

                Le Memorie biografiche, chiunque col volgere degli anni ne debba proseguire la compilazione, sono certamente destinate a costituire la fonte precipua a cui attingeranno quanti vogliano con serietà occuparsi di Don Bosco; la qual considerazione, obbliga alla fedele osservanza della legge storica, formulata già da Cicerone e citata pure da Leone XIII, che lo storico nihil falsi dicere audeat, nihil veri non audeat. La seconda parte di questo canone costringe a toccar anche certi punti delicati, che si preferirebbe lasciare per lo meno in una discreta penombra, se non anche nell'ombra intera. Purtroppo alcuni atti di Personaggi autorevoli e degni del massimo rispetto si avviticchiano [6] così tenacemente all'attività del nostro Beato, che torna impossibile divellerli. Ogni buon lettore quindi, che svolga queste pagine per edificarsi, guardi con grande serenità il vario succedersi degli avvenimenti, assurgendo dalla loro contingenza immediata a contemplarli nei disegni altissimi della Provvidenza, quali emergono dall'osservazione e dalla valutazione degli sviluppi successivi. Tale è appunto la. fortuna che abbiamo noi venuti dopo; il tempo, che è galantuomo, mette ordinariamente le cose a posto, sicchè alla distanza di mezzo secolo si può senza gran fatica giudicare da qual parte stesse la ragione e da quale il torto in fatti che al loro avverarsi sollevarono contrasti e causarono lunghe e immeritate amarezze.

 

                Sono casi straordinari questi, se li raffrontiamo al tenore della comune vita cristiana, ma ordinari per i Santi. Infatti Benedetto XIV asserisce che per chi si occupa di canonizzazioni, ha grande valore la ricerca, se il canonizzando abbia patito persecuzioni e se le abbia sostenute con carità[1]; il che consuona Perfettamente con la dottrina di sant'Antonino da Siena[2]. A un fatto confermato dalla storia che nei Santi canonizzati si avverò quanto scrive il Rodriguez. Toccarono, dic'egli, ai Santi casi più scabrosi che a noi altri, perchè i più santi sogliono essere da Dio più Provati; ma essi stavano sempre in un medesimo essere, sempre con un medesimo sembiante, sempre con una certa serenità e allegrezza interiore ed esteriore, come se ogni giorno fosse Pasqua per loro[3]. D'altro lato, ciò che cresce nella lotta, si fa saldo e resiste alle vicissitudini incessanti degli uomini e dei tempi. Nessuna meraviglia dunque che così sia stato per il Beato Don Bosco e per la sua Opera. Di somma edificazione sarà per noi il considerare quale fu il Beato Don Bosco in mezzo alle contrarietà della vita, e di non poca istruzione il considerare come acquistino stabilità duratura le grandi Istituzioni religiose. [7] Qualche studioso di professione potrebbe tacciare di superficialità l'introdurre nella narrazione discorsi diretti o a dialogo. Data l'indole del lavoro, non è da cercare qui tanta severità di metodo. Osservato questo in generale, bisogna aggiungere che le parlate dirette sono desunte da una cronaca manoscritta di Don Giulio Barberis, che, pieno di venerazione e di affetto per il padre dell'anima sua, ne raccolse per un tempo studiosamente anche le conversazioni familiari; i dialoghetti invece hanno un'altra ragione di essere. Il Beato Don Bosco, narrando cose occorsegli, soleva ridire botte e risposte, secondochè la memoria glie ne somministrava il ricordo; Don Lemoyne poi e altri, che udivano e ne prendevan nota, le riproducevano tali e quali; e tali e quali non deve parer strano che qui ricompaiano, sebbene fosse possibile valersene in forma diversa e più consentanea alle abitudini mentali dei dotti. Ma chiunque metta mano al proseguimento di questo lavoro deve dire: A dotti e non dotti debitor sum.

 

                Torino, festa dell'Immacolata, 1930.

 

 

CAPO I. La parola del Beato Don Bosco nell'inizio del nuovo anno.

 

                La parola orale o scritta, con cui il Beato Don Bosco durante il mese di gennaio aperse in più occasioni l'animo suo ai Salesiani, all'Oratorio, ai Collegi e ai Missionari, ha un contenuto che ci sembra fatto apposta per dare cominciamento a questo volume. Ascoltando o leggendo le cose che egli diceva, chi mai avrebbe potuto supporre che quella incantevole serenità celasse agli occhi altrui pene cocenti e fastidiose preoccupazioni? Le contrarietà per l'Opera di Maria Ausiliatrice e per la pia Unione dei Cooperatori, acuitesi nel '76, come abbiamo narrato; le cure assidue per far fronte agl'incessanti bisogni quotidiani; i pensieri crescenti per il moltiplicarsi e l'ampliarsi delle fondazioni; acerbe molestie per malintesi, sotto diverse forme, sempre ripullulanti; ecco le spine che senza tregua gli trafiggevano il cuore e che oggi noi conosciamo in qualche modo attraverso i documenti. Eran cose però che non gl'impedivano di farsi tutto a tutti senza visibile sforzo, senza attimi di debolezza: cosicchè nelle sue abitudini di lavoro e di ministero, nella partecipazione [10] alla vita comune, nel tratto e nell'accento i suoi figli non vedevano mai altro in lui che Don Bosco, il solito Don Bosco, il loro amato Don Bosco. Vediamo partitamente queste manifestazioni.

 

AI SALESIANI

 

                Ai suoi cari Salesiani egli parlava per solito nell'intimità, parlava in pubblico, parlava per lettera.

 

                Il 10 gennaio, discorrendo familiarmente con alcuni Confratelli ed esponendo quasi il bilancio della Congregazione sul principio del nuovo anno, come avrebbe fatto un uomo d'affari dinanzi ai cointeressati nell'annuale resoconto sullo stato dell'azienda, Don Bosco diede uno sguardo al passato, al presente e al futuro, per mostrar loro quanto il Signore manifestasse ogni giorno più di volere questa Congregazione. Uno degli astanti, Don Giulio Barberis, prese nota della conversazione nel proseguimento della sua piccola cronaca.

 

                Parecchi Ministri e fra i più cattivi, diss'egli, l'avevano per l'addietro incoraggiato ed aiutato a tirare innanzi nelle sue imprese. Il conte Camillo di Cavour lo desiderava alla sua mensa, sentendolo volentieri parlare di oratorii e di altri suoi disegni. Rattazzi veniva di quando in quando all'Oratorio, professando tanta riverenza per Don Bosco da chiamarlo nelle conversazioni un grand'uomo; anzi furono suggerite da lui stesso certe previdenze per evitare molestie da parte della potestà civile. Allora poi l'onorevole Vigliani, Ministro di Grazia e Giustizia, gli chiedeva per lettera consigli su cose diverse, e a Roma lo riceveva con maniere non ordinarie. Egli poteva dire il medesimo non di alcuni, ma di molti altri, i quali, anche pessimi in sè, intricati nelle Società segrete, pure sostenevano i Salesiani. Non era questa una meraviglia?

 

                E ancor più meraviglia, soggiunse, è il vedere come noi ci tiriamo su, mentre gli altri Istituti cadono. Non vi sono più novizi; quei che vi si ascrivono, non resistono; rarissimi [11] perseverano. Noi invece, cosa inaudita al mondo in questi giorni, ci vediamo circondati da un centinaio di novizi, tutti bene in sanità, tutti molto contenti, che danno tutte le speranze di perseverare.

 

                - Nè qui cessano le meraviglie. Tutti quelli che crescono nella nostra Pia Società acquistano uno spirito straordinariamente buono, ed hanno un amore, anzi un ardore tale per il lavoro, che non so se possa da altri superarsi. Uno solo fa scuola, assiste, studia per sè, conduce al passeggio, fa ripetizione, prepara i giovani alla confessione e alla comunione: e questi non sono ancora preti. Io, quando penso a tale spettacolo, resto proprio sbalordito e non so più far altro che ripetere quelle parole: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris.

 

                - Se poi dal presente si argomenta del futuro, la mente si perde. Se in pochi anni fra mille difficoltà, con soggetti tutti giovani, si condusse avanti tanto bene l'Oratorio che ha oltre ottocento ragazzi; se si apersero dieci case e così fiorenti che in Italia non ve ne sono altre che possano starci di fronte; se poi ora ci siamo estesi con una casa in Francia, e con due nell'America, che cosa sarà di noi nell'avvenire? E sì che solamente dal '69, cioè da sette anni, si va avanti con un po' di sicurezza, essendo stata approvata allora la Congregazione; anzi non sono ancora due anni, che furono approvate definitivamente le Regole. Che sarà dunque di noi fra venti o trent'anni? Credo che avremo tesa una rete ben fitta, non solo per tutta l'Italia, ma per tutta l'Europa, e col tempo quasi per tutto il mondo.

 

                - Il gran punto però si è che non ci rendiamo indegni dei favori e delle grazie del cielo. Finchè si conserverà il vero spirito, la Congregazione andrà avanti a gonfie vele.

 

                Gli sciami di chierici che si vedevano volteggiare dentro e fuori dell'Oratorio facevano dire che là c'era la fabbrica dei chierici. Anche monsignor Zappata, ai genitori che andavano da lui per consiglio sulla vocazione dei loro figli, [12] diceva: - Mandate vostro figlio alcuni mesi da Don Bosco, e se non ha vocazione, gliela fa venire.

                Non si creda con questo che Don Bosco di leggeri passasse sopra alle cautele volute dalla prudenza e dalla Chiesa. Proprio il giorno innanzi erasi presentata a lui una famiglia, padre, madre e figliuolo, che si dicevano mandati da monsignor Zappata. Dissero i genitori: - Questo figlio voleva farsi prete; ha promesso tanto, ed ora non vuol più saperne. Poveri noi! - Martoriavano quindi il povero giovane per fargli dire di sì. Don Bosco li riprese in presenza del figlio, dicendo loro: - Ma la vocazione non è mica cosa che si possa imporre! Se egli sente in sè questa inclinazione, rifletterà, pregherà e sarà capace di decidersi da sè a ciò che voi desiderate. Ma se non sente inclinazione a questo stato, non deve in nessun modo venirvi spinto per forza. - Appresso parlò confidenzialmente col giovane, il quale andò via lasciandogli fondata speranza, che avrebbe proseguito nella carriera ecclesiastica.

 

                In un'altra conversazione simile del 7 gennaio il Servo di Dio intratteneva gli astanti sul suo argomento prediletto delle Missioni. Il già fatto era un nonnulla a petto di quanto egli divisava di fare in seguito. Affrettava col desiderio la redenzione della Patagonia. I Gesuiti e altri Missionari avevano tentato indarno d'inoltrarvisi: chè dagli indigeni erano stati sbranati. - Ma noi, disse, dall'esperienza degli altri prendendo le debite precauzioni, chi sa che non possiamo riuscire? Bisognerà mettere per questo fine un collegio nel paese o città ancora un po' incivilita più prossima ai luoghi abitati dai selvaggi, e mentre si tiene collegio per gli abitanti di quel posto, procurar di studiare l'indole e i costumi delle vicine tribù. Sarebbe gran cosa e non difficile, io credo, avere in collegio qualcuno dei figli dei selvaggi, poiché sento che vengono nelle città a fare i loro commerci. Contentando alcuni di costoro, trattandoli graziosamente, regalandoli, ci apriamo già una buona via. Se poi se ne potesse avere [13] uno per guida, il quale si fosse fermato già vari mesi nel nostro collegio, questo compirebbe l'opera. Ma quello che soprattutto importa si è che non bisogna precipitare, non bisogna aver troppa fretta; bisogna apparecchiarci la strada, quasi direi, fingendo di non pensare a loro, ma mettendo collegi nelle città ad essi vicine, e con musiche, canti, commerci, regali farci conoscere ed amare. Intanto qualche prete potrà incominciare ad internarsi per qualche giorno in queste terre ed a poco a poco si potranno fare passi lenti, ma sicuri. Se il Signore poi nella sua Provvidenza volesse disporre che alcuno di noi subisse il martirio, forsechè per questo ci avremmo da spaventare? - La casa di Patagónes dal 1879 e quella di Viedma dal 1880 svolsero precisamente questo programma con i risultati a tutti noti. Assalti falliti, insidie sventate sulle prime non mancarono; vi furono anche vittime, ma degli elementi e non dei così detti selvaggi. Poichè bisogna dare a questo termine un significato non troppo crudo, non cioè quasi di cannibali, ma di aborigeni rozzi, gelosi della loro indipendenza e viventi sotto capitribù, che non erano privi di umanità.

 

                Il Beato vagheggiava da parecchio le Missioni dell'India e dell'Australia. Le difficoltà della lingua inglese non lo spaventavano; con un metodo pratico molto più che teorico gli pareva che i suoi sarebbero riusciti a cavarsela. Per alcuni mesi imparare le parole più necessarie nell'uso comune; poi mettersi a fare un po' di conversazione, prima rozzamente, quindi più a modo; infine cercare un maestro inglese per la pronunzia. In sostanza era il metodo Berlitz, venuto poi tanto in auge. Di fondare un collegio nell'Inghilterra non aveva per allora intenzione. Inglesi all'Oratorio ne erano capitati, ma nessuno vi si era fermato. Pochi anni dopo ne vennero e si fermarono. Il primo collegio nell'isola dei Santi fu aperto a Battersea, sobborgo di Londra subito dopo la morte del Servo di Dio; ma le trattative duravano già da tempo. [14] Il discorso sull'apprendimento delle lingue per le Missioni condusse il Beato a manifestare un suo disegno, che forse allora non fu giudicato utopistico solamente per la fiducia illimitata che da tutti si poneva nella sua parola, ma che oggi per noi è prova della sua lungimirante chiaroveggenza. Disse così: - Io vedo che fra non molto qui nell'Oratorio avremo scuole di varie lingue per le Missioni. La cosa si potrebbe attuare in questo modo. Coloro che aspirano alle Missioni, siano divisi in tre categorie. Quei della prima ai loro studi letterari e scientifici associno lo studio della lingua spagnuola, imparando pure i costumi di quelle Missioni, dove si parla lo spagnuolo. Quei della seconda, mentre attendono agli studi ordinari, si applichino bene alla lingua francese. Quei della terza studino con tutto il resto anche la lingua inglese, per abilitarsi alle Missioni nei luoghi dove questa lingua prevale. Si potrebbero inoltre stabilire queste lingue come accessori progressivi nei corsi di filosofia e di teologia. Così spererei che con poco incomodo si riuscirebbe nell'intento. - Le speranze di Don Bosco si sono tradotte nella realtà assai più vasta che ora vediamo, proporzionata cioè al campo di apostolato missionario dischiuso dalla Chiesa all'attività della Congregazione Salesiana. Le tre categorie dell'Oratorio eccole diventate una serie numerosa di grandi collegi, dove agli aspiranti Missionari, chierici o coadiutori, si dà una formazione distinta secondo i luoghi a cui sono destinati.

 

                Dalle private conversazioni passiamo ad ascoltare la parola di Don Bosco che tiene conferenza pubblica a tutti i suoi chierici presenti nell'Oratorio; non solo cioè agli ascritti, ma anche ai professi. Parlò ad essi della castità.

 

                Questa conferenza ci è pervenuta in due redazioni, che differiscono soltanto in cose accidentali; diamo la preferenza a quella del chierico Peloso[4], che è più soddisfacente. [15] Pare che il nostro esercito vada ognor più ingrossando. Se tutte le volte che io vengo qui, vi debbo vedere sempre più numerosi, il diavolo non so come se la caverà.

 

                Cominciamo dal ringraziare il Signore d'averci concesso di poter finire nella sua santa grazia l'anno 1875; e ringraziamolo pure d'aver incominciato nella sua santa grazia, come speriamo, l'anno 1876. Speriamo eziandio di passar bene tutto quest'anno, come è naturalmente mio desiderio e vostro.

 

                L'altra volta che io venni qui a fare la conferenza ho detto qualche cosa riguardo alla vocazione, suggerendo alcune regole per conservarla[5]; oggi io dirò qualche cosa riguardo al modo di conservare il frutto di questa vocazione.

 

                Quando uno si consacra al Signore, a Lui fa dono di tutte le sue passioni ed in special modo a lui consacra tutte le sue virtù. Ma queste non si possono tener sempre nei debiti termini, non si possono da noi stessi con facilità custodire, specialmente la virtù della castità, la quale è il centro su cui si fondano, si basano e si rannodano tutte le altre virtù.

 

                Non intendo io già venir qui a dipingervi le bellezze di questa virtù; chè non basterebbero a spiegarle nè conferenze prolungate di anni intieri, nè volumi per quanto grossi e a migliaia per citare tutti gli esempi che di essa si trovano nel Nuovo e nell'Antico Testamento, e per raccontare gl'innumerevoli miracoli che fece il Signore per conservarla ne' suoi divoti.

 

                Non voglio neanche parlarvi del digiuno, dell'astinenza da un cibo piuttosto che da un altro, della mortificazione insomma dei sensi, la quale giova non poco alla conservazione di questa virtù, ed a fortificare lo spirito: oh no! Queste cose voi leggerete nei libri dei Santi e vi saranno esposte nelle varie conferenze che si faranno. Ma voi direte: - Ecco qui D. Bosco! E’ venuto per parlare ai suoi chierici in particolare, egli li ama come la pupilla dell'occhio, e che cosa ci dirà di bello?

                Io vi dirò essere la castità la gemma, la perla più preziosa, in special modo per un sacerdote e quindi per un chierico che ha consacrata la sua vita, la sua verginità tutta al Signore. Ora nella posizione in cui vi trovate, voi avete bisogno di conoscere certe piccole cose, che sommamente concorrono a conservare una virtù così bella, senza la quale un sacerdote, un chierico è nulla,- colla quale posseduta un sacerdote, un chierico è tutto, ed ogni tesoro ha nelle sue mani.

 

                Veniamo dunque a dire di queste piccole cose tanto vantaggiose e facili. E quali sono? Noi le verremo esponendo un poco alla volta e vedrete di quanta utilità esse sieno.

 

                1° Comincio dal dire che non poco gioverà alla conservazione della virtù della castità l'esatta osservanza dei propri doveri. Non [16] voglio già con questo nome intendere lo studio, le assistenze, il catechismo e tutti gli altri uffizi particolari di ciascuno, ma sibbene che si faccia quanto richiedono le prescrizioni delle regole: che cioè vi sia puntualità in tutto. Puntualità nel venire al pranzo, nell'andare in chiesa o al riposo.

 

                2° Trovarvi in ricreazione e in questa impiegare il tempo stabilito. Guardate però che la ricreazione non sia una dissipazione, nè una mormorazione contro quella regola o quell'altra, oppure contro alcun Superiore, ma che sia una vera ricreazione, un sollievo dell'animo e della mente, che furono al mattino occupati nello studio: finita la ricreazione, anche il corpo sarà sollevato e ciascuno andrà a compiere i diversi suoi uffizi: chi allo studio, chi alla meditazione, chi a far scuola, ecc.

 

                Ma mi direte voi: - Cosa ha da fare la ricreazione colla virtù della castità? -Ed io vi dirò esser ella un mezzo efficacissimo onde conservarla. Voi necessariamente assistete i giovani o dovrete assisterli. Certe volte vi verrà dato di vedere un giovane che sta bene di corpo ma è pensieroso. Parla con nessuno e, quando è interrogato, dice parole ingarbugliate, delle quali nessuno capisce il senso. Coloro che sono istruiti ed hanno la grazia di conoscere il cuore umano, di penetrarne le più intime latebre, conoscono che in quella mente si aggirano pensieri non verecondi; conoscono che se quel giovane non è ben tenuto d'occhio è capace di andarsi a ficcare in qualche bugigattolo per ivi leggere libri osceni; conoscono che la castità in lui corre sommo pericolo.

 

                Da che cosa procede questo? Tutto dall'ozio della ricreazione. Col fermarsi lì solo, la sua mente cominciò a fabbricare certi castelli cui prima poco o nulla pensava; pensandovi sopra, ne venne il compiacimento, quindi il diletto, e dal diletto all'opera è breve il passo. San Filippo Neri che conosceva a fondo questa virtù, diceva ai giovani: - Gridate, schiamazzate pure quanto volete, ma non fate peccati. Perciò i giovani mettevano e molto bene in pratica questo avviso.

 

                Ma certe volte il frate domestico usciva dalla sua cella e sentendo tutto quel rumore e vedendo tutto quel chiasso per i corridoi e i giovani che mettevano sossopra tutto e rompevano tutto, li sgridava. - Eh, canaglia! E’ questa la maniera di fare? Rompere, guastare ogni cosa? - Ma i giovani non lo ascoltavano nè punto nè poco; lo lasciavano gridare a suo piacimento e continuavano un fracasso da finimondo. Ne avevano avuta la licenza dal Direttore e questo loro bastava. Il fraticello, vedendo che quella turba non voleva obbedirlo, andò da San Filippo Neri e sdegnato gli disse: - Bisogna assolutamente che venga a sgridare questi ragazzacci. Non vede che fanno sprofondar la casa?

 

                San Filippo Neri usciva dalla sua stanza e chiamando a sè tutti i giovani: -Neh!, figliuoli, ascoltatemi. State fermi, se potete! Schiamazzate piano! - E i giovani si precipitavano a più clamorosi divertimenti [17] e il fraticello si ritirava tutto mortificato e brontolando. Avrebbe voluto menare le mani per impedire tanto vandalismo.

 

                Ma san Filippo non cessava di avvisare sul serio i suoi confratelli, dicendo: -Non permettete mai che i giovani stiano oziosi in tempo di ricreazione. - Lo stesso dico anche a voi. Camminate, ridete, schiamazzate, che sono contento. Non vi dico di andar ora a giocare a barrarotta, chè invece di sabbia trovereste un strato di neve.

 

                Ma, finita la ricreazione, anche in ogni altra regola si continui ad essere puntuali.

 

                Vi sarà studio; e voi non lasciatelo mai: è vostro dovere occupare ogni ritaglio di tempo per acquistarvi nuove cognizioni: E' tempo di merenda? ed io esorto a farla tutti quelli che ne sentono bisogno. Poi vi sarà l'ora della Chiesa e si vada con divozione per dar buon esempio; quindi allo studio. Insomma, tutto a suo tempo e bene.

 

                Sovrattutto, osservanza nelle regole dell'Oratorio!

 

                3° Ma basta tutto questo? Sì che potrebbe bastare, se tutto l'orario fosse eseguito fedelmente.

 

                Una regola che ho sempre raccomandata, raccomando e raccomanderò sempre, è questa: che alla sera, dette le orazioni, facciate il possibile per non trattenervi a parlare con qualche compagno. Dopo le orazioni si vada subito a letto.

 

                Chi ha l'obbligo di fare qualche passo di più nel dormitorio per assistere, lo faccia, ma con riservatezza.

 

                Caso mai in quella camerata si avesse un compagno assistente, non fermarsi mai a far chiacchiere.

 

                Peggio ancora è l'andare a dar la buona notte ad un giovane o a un altro chierico; perchè una parola tira l'altra e la cosa va in lungo: e poi il chiacchierare in tempo di camera dopo le orazioni, oltre all'essere vietato dalle regole dell'Oratorio, è giudicato da tutti cosa pericolosa.

 

                Adunque uniformità in tutto e specialmente nel riposo.

 

                Mi ricordo che Virgilio, nel suo quarto libro delle Georgiche, dice che le api, giunto un dato tempo, si mettono tutte a lavorare ed a un altro momento fisso, tutte incominciano a riposarsi. Così si esprime: 0mnibus una quies, labor omnibus unus.

 

                E' necessario che questa regola si osservi fedelmente. Qui non si potrebbe dire tutto quello che si dovrebbe; ma quello che posso dirvi, e che debbo dire, si è che una gran parte dei recenti disordini sono avvenuti per alcuni, i quali, non curando questa regola, andavano a chiacchierare alla sera con altri, dando scandalo ai giovani stessi. Altri invitavano il compagno a bere nella propria cella. E ciò è cosa assolutamente proibita.

 

                Ciascheduno deve stare nella propria cella, nè si deve muovere d'un passo per andare nella cella di un altro, se non in caso di somma necessità.

 

                Vi fu chi scrisse lettere e fece progetti in queste occasioni, i quali, [18] se non erano opposti totalmente alla virtù della castità, pure le erano di non lieve inciampo. Furono gravi dispiaceri che non solo Don Bosco provò, ma li provarono anche quelli che ne furono cagione, essendo stati costretti a sfrattare dalla Congregazione. E perchè? Perchè alla sera invece di andare a letto si fermarono a chiacchierare fuor di tempo. Di taluni si ebbero solamente sospetti, ma di altri non mancarono prove certe. Rovinati anche nell'onore, dovettero andarsene dall'Oratorio, perchè non seppero custodire questa virtù.

 

                4° Inoltre alcuni che sono tardi nell'andare a letto la sera, sono eziandio tardi nel levarsi al mattino. - A che ora suona la levata?

 

                - Alle 5 e ½.

 

                - Oh bene! Vuol dire che io posso dormire un quarto d'ora di più. In un altro quarto d'ora io faccio tutto; mi vesto, mi lavo, fo il letto....

 

                Ma il quarto d'ora è passato!

 

                - Adesso levarmi? Ma.... là.... stiamo ancora cinque minuti. Cinque minuti più, cinque minuti meno fa poi lo stesso. - così dorme o meglio poltrisce ancora per cinque minuti.

 

                Ma questi minuti sono passati e forse ne sono passati più di dieci e quindici.

 

                - Come fare? Eh là.... Ho letto in Cicerone che agli studiosi è permesso dir bugie...[6] e poi le bugie non sono dannose. Dirò che non mi sento bene. - Eh, miei cari, -quando si fa così, si dà al corpo più di quello che conviene.

 

                Quelli che dànno da mangiare ad un poledro, ad un cavallino, cosa dànno loro per cibo e quanto? Domandatelo un poco e vedrete che cosa vi risponderanno. Essi vi diranno: - Noi loro diamo un poco di fieno, un poco di avena, ossia il necessario, ma non di più; perchè altrimenti fanno i matti, rompono il freno e non obbediscono più ad alcuno.

 

                Lo stesso dobbiamo noi dire del corpo. Sicut equus et mulus, come il cavallo o l'asino e il mulo. Se noi gli diamo soverchio nutrimento, intestardisce e ricalcitra. Incrassatus impinguatus recalcitravit.

 

                Il demonio circuit quaerens quem devoret; va attorno a noi per trovare qualche boccone, nel quale ficcare i denti e divorarselo. E non vi è solamente il demonio meridiano che assalta coloro i quali vogliono riposare dopo pranzo, ma vi è anche il demonio mattutino del quale parla il libro di Tobia.

 

                Questo demonio distoglie eziandio l'animo dalle preghiere. Quando vi sono due che pregano, il Signore sta in mezzo a loro e l'Agnello immacolato raccoglie le loro divote preghiere e le presenta all'eterno Padre, ottenendo grazie, consolazioni e premi grandissimi. Al contrario [19] quelli che dànno albergo a questo demonio, se ne stanno a poltrire sul letto, quindi non partecipano alle pratiche di pietà che si fanno dagli altri e da ciò una perdita gravissima per grazie non ricevute da Dio.

 

                Di più dànno al corpo un nutrimento dannoso, il qual nutrimento li rende più pigri, e lamentandosi quasi sempre di essere privi del riposo necessario, porgono occasione al demonio di tentarli; sebbene egli non abbia bisogno che essi gli porgano occasioni, poichè queste sanno purtroppo cercarsele anche senza suggestioni. Ed a queste tentazioni un poltrone saprà resistere, potrà tenersi su nella castità ? Eh! vi assicuro che è assai difficile; o per lo meno, se resiste, io vi dico che ci vuole un miracolo della grazia del Signore, che impedisca la caduta nel peccato.

 

                Ma questi miracoli il Signore li fa sempre ? Oh credetelo pure che non li fa sempre! Egli li fa quando ne vede la necessità, quando uno non si è messo da sè nell'occasione; li fa quando vede che senza un miracolo non si potrà salvare quell'anima dalle unghie del demonio.

 

                Alcuni mi diranno: - Ma questa vita io l'ho fatta sempre e non sono mai caduto.

 

                Ma io gli rispondo: - Non sei mai caduto in pensieri, opere, desideri cattivi?- Se egli mi risponderà negativamente, io gli dirò chiaro: - Se tu mi narri il vero, il Signore ha operato un gran miracolo di grazia per tenerti su.

 

                Io non ho tempo di contarvi esempi dei quali ne avrei una quantità enorme; ma ve ne racconterò uno che ieri sera mi fu riferito per lettera da uno già chierico, e per tale difetto andato via dall'Oratorio.

 

                Io voleva portarla giù e leggervela; ma l'ho dimenticata di sopra. Tuttavia ve ne dirò qui il tenore. Egli scrive così: " Una sera finite le orazioni, Ella dalla cattedra caldamente raccomandava ai giovani di guardarsi dal demonio del mattino, di non trattenersi cioè tra le coltri per alcuni minuti di più dopo la campana, per godere di quella beata pigrizia.

 

                - Io non volli credere alle sue parole, non volli seguire il suo consiglio e diceva fra me: - Oh! Don Bosco ricorre a quest'arte solamente per farci alzare per tempo.- Ed io perciò continuava sempre nella mia solita vita pigra. Ma intanto in quei pochi minuti il demonio incominciò ad alzarsi lui in vece mia e standomi attorno, mi presentava innanzi una fantasia non mala, ma sconveniente; poi mi metteva nella mente un leggero pensiero disonesto, quindi sempre più questo pensiero si faceva gigante e impetuoso: ne veniva quindi la compiacenza, poi il consenso e finalmente l'opera. Andato via dall'Oratorio girai per un seminario, poi per un altro, sempre tormentato dagli stessi pensieri, dallo stesso demonio del mattino finchè mi risolsi a mettere in pratica quel suo avviso. Allora incominciai ad essere un po' più tranquillo. Quando incominciai ad alzarmi, combattei [20] non poco, ma finalmente vinsi la seconda mattina, e il demonio fu sconfitto.

 

                " Ora però io ho perduto la mia vocazione e sa Iddio come me la caverò in questo mondo.

 

                "Prenda pure, o Don Bosco, da me un esempio per istruzione dei suoi chierici; dica, se vuole, anche il mio nome, chè io credo esservi ancora alcuni di mia conoscenza; e dica pure che tutte queste sventure che mi affliggono, mi vennero sopra perchè non fui pronto al mattino a saltar giù dal letto al suono della levata, onde incominciare e poi passare santamente la giornata "

 

                Oh quanti altri esempi dolorosi come questo io potrei raccontarvi! Ma continuiamo a parlare di questo demonio mattutino, perchè si possono trarre molte altre conseguenze dal nostro ragionamento e notare tutto ciò che succede, anche di poco onorevole, a colui che si lascia predominare da questa misera pigrizia.

 

                Il nostro poltrone, dopo di aver detta la bugia ciceroniana, finalmente si alza.

 

                E ce ne vogliono delle stiracchiature prima che sia sceso di letto.

 

                E' vestito.

 

                Ma la prima mancanza non basta. Dice: - Ora è tempo di andare a Messa; ma, se vado a Messa, non posso più studiare la lezione. Dunque? Andremo in istudio e dopo, se ci sarà tempo, andremo a Messa.

 

                E va allo studio, ove continua il suo ragionamento: - Andare a Messa, mentre gli altri vanno a far colazione? Ed io mi sento un appetito, una fame!... Dunque oggi lasceremo d'andare in chiesa e pregheremo meglio domani.

 

                E va a far colazione. Quand'ecco s'incontra in uno che gli dice: - Come stai?

 

                - Oh va bene!

 

                - Dove vai?

 

                - A far colazione.

 

                - E la Messa non l'ascolti?

 

                - Che cosa vuoi? è già tardi.

 

                - Quest'oggi è giovedì, e la regola non dice di far la comunione?

 

                - Ah! già che è vero: ma adesso non c'è tempo (o meglio non c'è la voglia), la farò domani!

 

                Ebbene, domandate un po' a costui alla sera come ha passata la giornata, ed egli, se è sincero, vi risponderà certamente che l'ha passata male, perchè l'ha incominciata colla pigrizia del mattino.

 

                5° Hoc genus daemoniorum non eicitur nisi in ieiunio et oratione. Attenti: non crediate già che io voglia dirvi che questi difetti non si vincono altrimenti che col digiuno prolungato, tutt'altro! Io .non vi dico che digiuniate: però una cosa che vi raccomando si è la temperanza.

 

                Guardatevi specialmente dal vino. Quello che si dà a pranzo e [21] a cena, è appena il necessario nè può far male, anzi è bene che si beva: e poi non è già barbera d'Asti da far male. Scrivete tuttavia ben bene nel vostro cuore, che vino e castità non vanno mai d'accordo insieme.

 

                Ci vuole temperanza. Ma pure in alcuni manca non poco.

 

                E fa dispiacere assai l'essersi trovate nelle celle o nei bauli di alcuno bottiglie di liquori e di vini, botticini di acquavite, pollastri, pasticci dolci ed altri manicaretti di simil genere. Ma cari miei! Alla mattina avete latte e pane a piacimento da potervi abbondantemente sostentare. A pranzo avete quello che è necessario e che è di sanità e di giovamento al corpo; lo stesso si può dire a cena. Non so che cosa vi possa mancare! Mangiare ad ore indebite è da ghiottoni, è un aggravarsi di troppo lo stomaco. E poi vengono ammalati e vanno in infermeria. Loro si dimanda: - Che cosa hai? - Essi stan lì non sapendo che cosa dire e ti rispondono: - Mi sento.... ho lo stomaco...

 

                - Oh, lo so che hai lo stomaco: ma che cosa ci hai fatto?

 

                - Mi sento male qui al fondo.

 

                - Eh, gli risponderei io: se tu non avessi mangiato troppo fuori di tempo, nè ti sentiresti male, nè saresti costretto ad andare in infermeria.

 

                E qui noto un disordine avvenuto in questi giorni stessi, e credo che quel tale che lo commise non sia più qui in mezzo a voi. Il fatto sta che quel bonomo, mentre tutti gli altri giovani erano in riposo, si ritira nella sua cella ed invita un suo compagno a far merenda.

 

                Mangiano un bel pollastro, poi bevono; poi di nuovo mangiano e bevono; e dopo aver ciarlato a piacimento, se ne vanno al riposo con quella piccola bagatella sullo stomaco e con sommo pericolo di guadagnarsi un colpo apoplettico, o qualche altro terribile malore.

 

                Non so come sia andata per la castità in quei momenti; dico solo che se la conservarono intatta, ciò fu per una speciale grazia del Signore.

 

                E poi è assolutamente proibito condurre persone nella propria cella. E quando si introducono, e l'obbedienza? e le regole? dove vanno esse?

 

                6° Un'altra cosa che non è punto di vantaggio alla castità si è l'amicizia; non l'amicizia vera, fraterna, ma quell'amicizia particolare che il cuore nostro nutre più per uno che per un altro. Certuni, e non sono i pochi, attratti da qualche dote sia corporale che spirituale di un altro compagno, o subalterno, tendono ad amicarselo, offrendogli ora un bicchier di vino, ora un confetto, ora un libro, ora un'immagine, ora altre cose.

 

                Si comincia in tal modo a coltivare le amicizie che escludono gli altri e preoccupano mente e fantasia. Quindi occhiate appassionate, strette di mano, baci; poi più avanti qualche letterina, qualche altro regalo: “fammi questo piacere, fammi quest'altro, vieni, andiamo in [22] quel luogo, in quell'altro ". Intanto i due amici si trovano impigliati nel laccio senza che se ne accorgano.

 

                Giovani che per gli anni addietro davano moltissime speranze di buona riuscita, ora o non sono più all'Oratorio, o se ci sono ancora, menano una vita ben differente dalla primiera. Avvisati di troncare, di rompere certe amicizie particolari, non sapevano darsi ragione di simile avviso; essi credevano in ciò esservi nulla di male; ma intanto venivano sempre più freddi verso gli altri compagni, verso i Superiori e verso Dio stesso.

 

                E questi non sono fatti da andarsi a leggere nelle storie del Medio Evo, ma sono fatti moderni che accaddero e tuttora accadono. Io potrei raccontarvi di molti e molti che si rovinano per queste amicizie, predilezioni e relazioni particolari fra i compagni. Onde io vi esorto ad essere o amici di tutti o di nessuno.

 

                Usciti di refettorio, è tempo di ricreazione.

 

                V'imbattete in un vostro amico o scolaro e vi mettete a passeggiare con lui: sta bene.

 

                Ma se ne viene un altro, poi un secondo, poi altri ancora, costoro siano sempre trattati al pari del primo.

 

                Non già, se siete in compagnia di uno il quale prediligete, anche perchè più studioso, più buono, trattare gli altri diversamente da lui; ma si deve essere padre comune, maestro comune in tutto e per tutti.

 

                Io stesso posso dirlo schiettamente di non aver nessuno in casa che io prediliga più di un altro, tanto il più alto di voi io amo, come il più umile artigiano. Tutti sono miei figli e per salvarli volentieri darei la mia vita stessa, perchè essi sono e devono essere tutti, giusto il detto di san Paolo, gaudium  meum et corona mea.

 

                7° Un altro mezzo poi per combattere questo nemico della castità, questo demonio... mi rincresce il dirlo, ma essendo noi tutti qui raccolti da noi soli, voglio darvi un avviso che vi sarà di non poco giovamento.

 

                Quando si va agli agiamenti, bisogna procurare di allontanarsi subito finito l'uffizio, imperciocchè là è il sito in cui il demonio incomincia ad assalire, là nel luogo più schifoso.

 

                Se uno si ritira subito, guadagna molto, perchè si leva dall'occasione di mancare a tanta virtù: altrimenti il demonio lavora, lavora terribilmente contro chi si trova così solo; la fantasia incomincia pur essa a lavorare e da ciò si possono certe volte avere funestissime conseguenze.

 

                Se prima si vinse l'interperanza per conservare la bella virtù o meglio opponemmo il ieiunium alla tentazione, in questo caso si deve esercitare l'oratio.

 

                8° Alla sera prendete questa bella abitudine. Quando siete per ficcarvi sotto le coltri., pronunciate piano piano qualche preghiera e vedrete che il demonio non vi tenterà più.

 

                - Ma, dirà alcuno, io mi addormento subito non appena sono [23] in letto. - Ed io gli risponderei. - Fortunato te! E’ questo che io voglio.

                Mi dirà allora un altro: - Ma io certe volte sto delle ore senza addormentarmi.

                Io gli risponderei:

 

                - Pregate, pregate sempre.

 

                - Ma io non ne ho voglia.

 

                - Pregate; fatevi forza, pregate, perocchè il Signore, vedendo in voi tanta confidenza ed umiltà, vi darà la forza per poter resistere a quelle gravi tentazioni e vi farà riuscir vincitori.

                Tempo fa venne a visitarmi il professore Garelli, ora Provveditore agli studi, il quale in mia presenza e su questo proposito diceva:

 

                - Sa lei in che modo io faccio, affinchè quella brutta bestia del demonio notturno non mi venga ad assalire?

 

                - No, gli risposi: e quale sarebbe mai?

 

                - Semplicissimo. Appena sono in letto, mi metto subito a numerare contando dall'uno e andando sino al mille. Così facendo debbo confessare che la cifra massima alla quale arrivo è il cinquanta; anzi non mi ricordo di esservi mai giunto. Prendo subito sonno e all'indomani mi desto colla fantasia e colla mente tranquilla.

                Altri hanno la bella abitudine prima di addormentarsi di ripassare mentalmente qualche canto di Dante, qualche tratto di Virgilio, oppure la lezione scorsa, ovvero quella del domani studiata la stessa sera. E questo uso io approvo, anzi io dico bravissimo a chi fa ciò, perchè, così facendo, la fantasia si stanca, e la mente stanca ed aggravata dal sonno prende riposo.

 

                Io avrei su questo riguardo a dirvi tante altre cose, ma basta per ora. Sono avvisi che vi dà famigliarmente un padre affezionato, ma non come dall'alto di un pergamo e neppure come per conferenza.

 

                Desidererei che ciò che io dico a voi non si spargesse poi fra i giovani, ma che fossero massime proprie vostre e che le portaste scolpite nel cuore. Nemanco vorrei che si raccontasse per tutto che Don Bosco disse questa e quest'altra cosa. Però poco m'importerebbe che si sapesse ciò.

 

                Come vedete, non sono cose di molta entità; ma benchè piccole hanno una grande importanza, e praticate sono molto vantaggiose.

 

                Soprattutto non dimenticate mai le pratiche di pietà proprie della Congregazione, essendo il fondamento dell'edifizio della santificazione vostra.

 

                Nella Messa io pregherò per voi, onde possiate conservare la Virtù della castità, per consecrarla un giorno a Maria con voto.

 

                Questa grazia domandatela nella santa comunione per voi, per i compagni, per i Superiori, per me, affinchè non abbia da predicarla agli altri invano, se per disgrazia non l'avessi io.

 

                Insomma domandiamola a vicenda di cuore ed il buon Dio ce la concederà. [24] Due giorni dopo questa conferenza il Beato fece giungere una parola paterna a tutti i Soci in tutte le Case, augurandosi che la sua lettera fosse considerata “come scritta ad ognuno in particolare”.

 

                Prima di riferirla diamo un'occhiata al Catalogo del 1876. Vi troviamo registrati 112 professi perpetui, 79 professi triennali, 84 ascritti e 55 aspiranti; dei professi 66 sono sacerdoti. Vi compaiono poi quattro nuove case, quelle cioè di Nizza mare, di Bordighera-Vallecrosia, di S. Nicolás de los Arroyos e di Buenos Aires. Non finirà l'anno che di parecchie altre si verrà ad accrescere il numero. Si direbbe che le contraddizioni, non che tarpare le ali al suo zelo, gliele irrobustissero a voli più spiegati. Infatti nel 1880 egli farà a questo proposito una confessione assai eloquente. Da Roma il Cardinale Segretario di Stato gli aveva comunicato “un reclamo” dell'Ordinario torinese. Il Beato, informandone. per esigenze d'ufficio il suo Procuratore a Roma, gli scrisse: “Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi, io rispondo sempre coll'apertura di una Casa”[7]. Così allora, in mezzo a dispiaceri dello stesso genere, creava nell'Oratorio la scuola di fuoco, preludio alla sezione dei Figli di Maria nell'Ospizio di Sampierdarena, e vivaio fecondo di vocazioni ecclesiastiche e religiose[8].

 

                Anche questo vale a dimostrare. quanto fosse netta a' suoi occhi la visione della missione propria, missione che si affermava ogni anno più largamente, senza che giammai i contrasti valessero ad arrestarne lo sviluppo. Quindi è che gli amici provarono allora viva soddisfazione leggendo la prima volta nell'Annuario La Gerarchia Cattolica e la Famiglia Pontificia “il carissimo nome” del Beato “come Superiore Generale”[9]: la qual cosa, come di prassi, non potevasi [25] fare senza il consenso della Segreteria dei Vescovi e Regolari[10].

 

                Veniamo ora alla circolare del capo d'anno, che recò a tutti e singoli i Soci la parola incoraggiante e ammonitrice del santo Fondatore.

 

                Figliuoli miei in G. C. Carissimi,

 

                Compiuta la visita delle nostre Case, sento in me il bisogno di trattenermi alquanto con voi, Figliuoli Carissimi, intorno alle cose che possono tornare alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio della nostra Congregazione.

 

                Prima di ogni altra cosa sono lieto di potervi assicurare che sono stato assai soddisfatto del procedimento materiale e morale, sia in ciò che si riferisce all'amministrazione interna, sia nelle relazioni sociali esterne. Si lavora, si osservano le Costituzioni della Società, si mantiene la disciplina, si frequentano i Santi Sacramenti, si promuove lo spirito di pietà e si coltivano le vocazioni in coloro che per buona ventura dessero segni di essere chiamati allo stato Ecclesiastico.

 

                Di tutto siano rese grazie al Signore, alla cui Bontà e Misericordia è dovuto quel poco di bene che si va facendo tra noi.

 

                Ho pure la consolazione di parteciparvi come la Nostra Società prenda ogni giorno maggior incremento. L'anno testè spirato si aprirono parecchie nuove case; altre saranno aperte in questo 1876. Il personale cresce in numero ed attitudine, ma appena taluno è fatto idoneo a cuoprire qualche uffizio, la Divina Provvidenza presenta l'opportunità di porsi all'opera.

 

                Ma che diremo delle dimande che si fanno di aprire case in tutte parti? In molte città d'Italia, di Francia, d'Inghilterra: nell'America del Nord, del Centro, del Sud, e segnatamente nell'Impero del Brasile e nella Repubblica Argentina, in Algeria, nella Nigrizia, in Egitto, in Palestina, nelle Indie, nel Giappone, nella China, nell'Australia vi sono milioni e milioni di creature, ragionevoli, che tutte sepolte nelle tenebre dell'errore, dall'orlo della perdizione levano loro voci al Cielo, dicendo: Signore, mandateci operai evangelici che ci vengano a portare il lume della verità, e ci additino quella strada che sola può condurci a salvamento.

 

                Parecchi nostri confratelli, come ben sapete, diedero già ascolto a queste commoventi voci e partirono per la Repubblica Argentina, donde recarsi tra le tribù selvaggie della Patagonia; ma in tutte le loro lettere scritte nel loro viaggio, e dai luoghi di loro missione fanno continuo risuonare la stessa voce: Mandate, mandate operai. [26]

                Fra le altre cose notano come l'Archidiocesi del Brasile, Rio Janeiro, ha due milioni di abitanti con pochissimi Sacerdoti e con appena cinque Chierici in Seminario.

 

                O miei cari, io mi sento profondamente addolorato al riflettere la copiosissima messe che ad ogni momento e da tutte parti si presenta, e che si è costretti di lasciare incolta per difetto di operai.

 

                Noi però non perdiamoci d'animo, e per ora ci applicheremo seriamente col lavoro, colla preghiera e colla virtù a preparare novella milizia a G. C.; e ciò studieremo di conseguire specialmente colla coltura delle vocazioni religiose; se farà d'uopo, a suo tempo offriremo anche noi stessi a quei sacrifizi che Dio si degnasse chiedere per nostra ed altrui salvezza.

 

                Intanto nel desiderio di venire a cose valevoli a coltivare le vocazioni religiose, ed efficaci per conservare lo spirito di pietà tra i Salesiani e tra i giovanetti affidati a noi, io mi fo a raccomandarvi alcune cose che l'esperienza mi ha fatto ravvisare sommamente necessarie.

 

                1° In ogni casa e specialmente in quella di S. Filippo Neri in Lanzo, diasi la massima sollecitudine di promuovere le Piccole Associazioni, come sarebbe il Piccolo Clero, la Compagnia del SS. Sacramento, di S. Luigi, di Maria Ausiliatrice e dell'Immacolata Concezione.

 

                Niuno abbia timore di parlarne, di raccomandarle, favorirle e di esporne lo scopo, l'origine, le Indulgenze ed altri vantaggi che da queste si possono conseguire.

 

                Io credo che tali Associazioni si possono chiamare Chiave della pietà, Conservatorio della morale, sostegno delle vocazioni Ecclesiastiche e Religiose.

 

                2° Guardatevi bene dalle relazioni, amicizie o conversazioni geniali o particolari sia per iscritto, per colloquii, sia per mezzo di libri o di regali di qualunque genere.

 

                Quindi le strette di mano, le carezze sulla faccia, i baci, il camminare a braccetto, o passeggiare colle braccia l'uno in collo dell'altro, sono cose rigorosamente proibite non solo dico tra voi, e tra di voi e gli allievi, ma eziandio tra gli allievi stessi.

 

                Teniamo altamente fisse in mente nostra le parole di San Girolamo, che dice: Affezione per nessuno o affezione egualmente per tutti.

 

                3° Fuga del secolo e delle sue massime.

 

                Radice di dispiaceri e di disordini sono le relazioni con quel mondo che noi abbiamo abbandonato e che vorrebbe di nuovo trarci a lui. Molti, finchè vissero in casa religiosa, apparivano modelli di virtù; recatisi presso ai parenti o presso gli amici, perdettero in breve tempo il buon volere, e ritornati in religione non poterono più riaversi, e taluni giunsero a perdere la medesima vocazione.

 

                Pertanto non recatevi mai in famiglia, se non per gravi motivi, e in questi gravi motivi non ci andate mai senza il dovuto permesso, e per quanto è possibile accompagnati da qualche confratello scelto dal Superiore. [27] L'assumervi commissioni, raccomandazioni, trattare affari, comperare o vendere per altrui conto sono cose da fuggirsi costantemente, perchè trovate rovinose per le vocazioni e per la moralità.

 

                4° La sera dopo le orazioni ciascuno vada subito a riposo. Il fermarsi a passeggiare, chiacchierare, o ultimare qualche lavoro, sono cose dannose alla sanità spirituale ed anche corporale.

 

                So che in certi siti, grazie a Dio non nelle nostre case, si dovettero deplorare dolorosi disordini, e cercatane l'origine, si trovò nelle conversazioni iniziate e continuate nelle ore cui noi accenniamo.

 

                La puntualità nel recarvi al riposo è collegata colla esattezza nella levata del mattino, che con pari insistenza intendo di inculcare. Credetelo, miei cari, l'esperienza ha fatto fatalmente conoscere, che il protrarre l'ora del riposo al mattino senza necessità, fu sempre trovata cosa assai pericolosa. Al contrario l'esattezza nella levata, oltre di essere il principio di una buona giornata, si può eziandio chiamare un buon esempio permanente per tutti. A questo proposito non posso omettere una calda raccomandazione ai Superiori di fare in modo che tutti, nominatamente i Coadiutori e le persone di servizio, abbiano tempo di assistere ogni mattina alla Santa Messa, comodità di ricevere la Santa Comunione e accostarsi regolarmente al Sacramento della Penitenza secondo le nostre Costituzioni.

 

                Questa lettera, che io indirizzo a tutti in generale vorrei che fosse considerata come scritta, ad ognuno in particolare; che ogni parola di essa venisse detta, ripetuta le mille volte all'orecchio di ciascuno, affinchè non fosse mai dimenticata.

 

                Ma io spero che per l'affezione che mi portate, per l'impegno che ognor mostrate nei vostri doveri, sopratutto nel mettere in pratica i consigli del vostro Padre spirituale ed amico nel Signore, mi darete la grande consolazione di essere non solamente fedeli a queste raccomandazioni, ma di più le interpreterete nel senso che viemeglio potranno contribuire alla maggior gloria di Dio e della nostra Congregazione.

 

                Con questa persuasione e nella speranza di potermi fra non molto ritrovare fra voi, prego Dio che tutti vi benedica e vi conceda sanità stabile e il prezioso dono della perseveranza nel bene.

 

                Pregate in fine anche per me che vi sarò sempre, in G. C. N. S.

 

                Torino, 12 gennaio 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

ALL'ORATORIO.

 

                Per i giovani dell'Oratorio due sole parlate serali noi possediamo, notevoli entrambe sia nel loro contenuto che nella loro intonazione. Nella prima, che è del 7, l'intensità  [28] del freddo obbliga il buon Padre a raccomandare i mezzi più acconci, perchè tutti si premuniscano contro gli effetti della rigida stagione; poi dà notizie dei Missionari; infine con la massima naturalezza prorompe in un bel fervorino su Gesù Sacramentato e sullo spirito missionario.

 

                State attenti, miei cari figliuoli, che io vi darò alcuni salutari consigli, i quali, se saranno da voi messi in pratica, vi saranno di grande giovamento. Quando vi trovate in studio, in refettorio, od in parlatorio, voglio dire in quei luoghi in cui l'ambiente è più caldo, non tenetevi molto coperti; e quando ne uscite, procurate di mettervi un fazzoletto al collo, oppure alla bocca e al naso per alcuni minuti secondi, onde impedire che alla respirazione d'aria calda ne succeda una d'aria fredda, perchè, ciò potrebbe produrvi un gran male.

 

                Così pure quando andate od uscite di camera. Al mattino, quando vi alzate da letto, procurate di astenervi per alcuni minuti dall'uscire dalla camera, onde non impedire la traspirazione ai pori dilatatisi sotto le coltri; e se caso volesse che doveste uscire, almeno copritevi ben bene. Quando siete in letto guardate che le coperte vi coprano il collo; poichè se il collo e le spalle restassero esposte all'aria, poco o nulla vi gioverebbe l'avere indosso anche un materasso. Andando a letto procurate eziandio di mettervi sopra la roba vostra, perché possiate avere più caldo. Non dico questo per coloro che hanno un mucchio di coperte, ma bensì per quelli altri che ne soffrono penuria. Questi tali però, a cui i parenti non hanno provvisto, potrebbero dire se hanno freddo o no, poichè si provvederebbe subito, come si è già fatto con molti: ma non stare lì intirizziti, dir niente ed esporsi in tal modo a molti malanni.

 

                Io stesso ho veduti alcuni che erano vestiti da estate, ed avendo loro domandato perchè non mettessero la roba d'inverno, mi risposero con una sola ragione; cioè che non avevano nè maglie, nè corpetti, nè altro. Se vi fossero altri giovani in questo stato, domandino, e come di vestiario si provvidero altri loro compagni, così, essi saranno provvisti. Vedete, tutte queste sono piccole cose, ma si trascurano facilmente e si possono guadagnare certi raffreddori, certe costipazioni che poi, non si curano nè punto nè poco. Vi prego di mettere in pratica i miei avvisi, perchè, vedete, io voglio che stiate bene nell'anima; dico nell'anima perchè così potrete stare anche bene di corpo. Dio provvede ai suoi figli.

 

                Noi, come già sapete, abbiamo ricevute lettere dai nostri missionari da Rio Janeiro, la prima terra che videro dopo san Vincenzo, ultima isola del Capo verde. Essi ci dicono tante belle cose; che stettero ben undici giorni null'altro vedendo che cielo ed acqua; che ebbero il mare agitato e soffrirono tutti chi più chi meno il così detto  [29] mal di mare, che proviene dallo stomaco. Raccontano altri molti particolari che io qui non dico, ma che vi saranno letti da questo luogo domani a sera. Questa lettera porta la data degli 8 dicembre e noi la ricevemmo mercoledì, cioè ai 5 di gennaio, sicchè stette in viaggio circa un mese. Essi dicono che quando arriveranno a Buenos Aires ci scriveranno di nuovo e tale lettera deve essere già in viaggio. Calcolando che l'abbiano scritta ai 13 od ai 14 di dicembre, noi, se così Dio vuole, l'avremo ai 14 od ai 15 di questo mese, cioè da qui ad otto giorni,

 

                Come già vi dissi, queste lettere si faranno stampare; così chi volesse potrà mandarle a casa, e poi col tempo se ne formerebbe un piccolo libretto, che stampato unitamente ad altri documenti di questa missione, non riuscirà discaro il leggerlo.

 

                Don Cagliero vi ringrazia molto delle preghiere e delle comunioni che avete fatte per lui, perchè tutte le felicità incontrate ed il prospero viaggio, tutto attribuisce alle orazioni de' cari giovanetti dell'Oratorio. Dice eziandio che il giorno dell'Immacolata Concezione ha celebrata la Messa, applicandola precisamente per voi e per tutti quelli della Congregazione. Si raccomanda poi che continuiate. Fate adunque tutti qualche altra comunione per lui e per i Missionari suoi compagni, non dico già domani o dopo domani, ma con vostro comodo. Quelli poi che non potessero fare la comunione, facciano una visita al Santissimo Sacramento ed implorino dal Signore le grazie necessarie ai Missionari e che li rimuneri per i grandi sacrifizi che hanno fatti. Sono grandi questi sacrifizi! Esporsi ai pericoli di un lungo viaggio e pericoloso per guadagnare anime a Dio! Abbandonare tutti i loro compagni, i parenti, tutto, per seguire le orme di Gesù Cristo e portarne la religione in quei lontani paesi! Per questo si fecero grandi sacrifizi di spese e di roba.

 

                Vi raccomando adunque ancor io, e tanto, una comunione o una visita in chiesa e anche entrambe queste due cose insieme.

 

                Oh che felicità poter ricevere nel nostro cuore il Divin Redentore! quel Dio che ci deve dare la fortezza e la costanza necessaria in ogni momento di nostra vita. Il sacro tabernacolo poi, cioè Gesù Sacramentato che si conserva nelle nostre chiese, è fonte di ogni benedizione e di ogni grazia. Egli sta apposta in mezzo a noi per confortarci nei nostri bisogni. Credetelo pure, miei cari figliuoli, colui che è divoto del Santissimo Sacramento, cioè va con frequenza a fare buone comunioni, e colui che va a far visite a Gesù Cristo nel tabernacolo, costui ha un pegno sicuro della sua eterna salvezza.

 

                Un'altra cosa ancora ci racconta Don Cagliero ed io non voglio tacervela. 1 Missionari andarono a trovare il Vescovo di Rio Janeiro, capitale dell'impero del Brasile, il quale li trattò tanto bene e tra le altre cose lagrimando loro disse che in tutto il suo Seminario ha soli cinque chierici e che ha già più di quaranta parrocchie non solo senza parroco, ma con nessuno che possa, benchè da lontano paese, recarsi [30] ad amministrare i Sacramenti a coloro che ne abbisognano. Nella sola sua vastissima diocesi avrebbe necessità non meno di cinquecento Salesiani che lavorassero alacremente. Vedete quanta scarsezza di preti in quei luoghi!

 

                Fatevi coraggio! Usate di quei due mezzi che vi ho accennati e io spero che a molti di voi il Signore darà tanta grazia e tanta forza di andare poi col tempo a lavorare nel Ministero Ecclesiastico in quei luoghi, dove così grande è il bisogno.

 

                Ricordatevi i consigli che vi ho dato, perchè vi possiate conservare in sanità. Buona notte.

 

                Nella seconda parlata il Servo di Dio prende occasione dalla novena di san Francesco di Sales, per dare ai giovani norme salutari circa la frequenza dei Sacramenti e sul pensare per tempo alla vocazione, esortandoli in ultimo a praticare la carità verso i compagni e a sopportare con pazienza gl'incomodi dell'inverno.

 

                Domani incominciamo la novena di san Francesco di Sales. E’ vero che avrebbe dovuto incominciare oggi per fare la festa nel giorno in cui cade; ma per maggiore comodità invece di sabato la faremo domenica ed è perciò che cominciamola novena solamente domani. La festa di San Francesco di Sales è la nostra festa titolare, cioè quella che dà il titolo all'Oratorio, che perciò si chiama: Oratorio di san Francesco di Sales. Bisogna che la facciamo colla maggior solennità e divozione possibile; quindi ciascuno in questa novena si prepari meglio che può per farla riuscire a vero profitto dell'anima sua.

 

                La gran cosa che io raccomanderei in questa, come generalmente in tutte le altre novene, è sempre quella che ora vi propongo. Ciascuno tenga la sua coscienza così aggiustata da poter fare la comunione tutte le mattine. Riguardo alla frequenza della comunione ognuno di voi ne parli, vada inteso col suo confessore, e si accosti alla sacra mensa quel numero di volte che gli sarà indicato. Ma il gran punto da non dimenticarsi mai, è di tenere costantemente la coscienza in tale stato da poter fare la comunione tutti i giorni.

 

                Qui è bene che io dica di un inconveniente, di cui si è già fatto parola nel passato. La sagrestia è spesso così piena di giovani, che non si può quasi neppure traversare. Vi sono alcuni che vengono non col proposito di confessarsi, ma di stare al caldo. Fin qui non ci sarebbe male, perchè essi cercherebbero di fuggire il freddo, poichè colui che è freddo, gelato, non è più capace di far nulla. Ma non è questa la ragione. Se in chiesa veramente facesse freddo o si gelasse, costoro avrebbero ragione di far ciò; ma siccome in chiesa c'è abbastanza caldo, non sono certamente da lodarsi se a questo modo trascurano [31] le preghiere comuni. Che se poi qualcuno si sentisse veramente freddo, ne parli a me o a Don Chiala o a Don Sala, che procureremo loro uno scaldino da portarsi in chiesa.

 

                Ma lasciando da parte gli scherzi, vi dirò che questo è un inconveniente non piccolo. Accade da molto tempo che non pochi giovani, e per lo più grandicelli, si vorrebbero confessare da me, e venendo in segrestia e trovandola già piena, dicono: - In questa mattina non posso confessarmi; verrò un'altra mattina. - Oppure sono costretti a mutar confessore, vedendo il gran numero che sempre mi circonda.

 

                Stabiliamo adunque alcune norme, perchè eziandio costoro possano essere contentati ed anche perchè dalla confessione ne venga maggior frutto alle anime vostre.

 

                E come prima norma si tenga questa. Nessuno si confessi prima degli otto giorni. Vi sono alcuni specialmente fra i piccolini, i quali verrebbero tutti i giorni. Per tutti in generale si tenga questa norma e allora vi sarà comodità per tutti. Nessuno però lasci mai passare il mese senza confessarsi: regola ordinaria sia ogni dieci, dodici ed anche quindici giorni. Molti dicono: - Noi desideriamo andarvi ogni otto giorni! - E costoro vadano ogni otto giorni e fanno bene.

 

                Ma dice qualcuno: - Io desidererei di andare con frequenza alla santa comunione, ma dopo un paio di giorni che mi sono confessato, sono già di nuovo come prima e se non mi confesso, non oso più andare alla comunione.

 

                Io direi a costui: - Se tu non sei capace di perseverare in tale stato di coscienza che ti permetta di andare per otto giorni alla comunione, io non ti consiglio la comunione così frequente.

 

                - Ma io ho voglia di emendarmi; andando a confessarmi così con frequenza, mi emenderei più facilmente.

 

                - Nossignore, rispondo io; il tempo che impiegheresti ad andarti a confessare la seconda e la terza volta in una stessa settimana, impiegalo a fare un proponimento un po' più fermo e vedrai che questo sarà più efficace, che l'andarti a confessare più con frequenza, come vuoi fare, ma sempre con poco dolore e con poco proponimento. Appunto il confessore ti ha imposto di andar più di rado, acciochè ti prepari meglio ed abbi le debite disposizioni. - Vi è un solo caso in cui io credo che uno debba andare con più frequenza a confessarsi ed è quando il confessore stesso, dopo di avere considerata bene la coscienza del suo penitente, gli dica: - Vienti pure a confessare ogni qualvolta ricadrai in questo o in quell'altro peccato; ciò è necessario per vincere quell'abito, per sradicare quella cattiva passione. Quando vi sia questo espresso consiglio del confessore, dato così per un fine speciale, è certo che il penitente ne ritrarrà del bene. Fuori di questo caso prendete l'abitudine di andare ogni otto giorni, ogni dieci, od anche ogni dodici e con questo potrete, secondo il consiglio del confessore, fare anche con molta frequenza la vostra santa comunione. [32] La seconda norma che voleva suggerirvi perchè si abbia maggiore comodità di confessarsi, si è questa. Io sono contento che veniate anche tutti a confessarvi da me; ma vedo che per lo più i piccolini sono i primi a circondarmi e poi venendo i più grandicelli trovano tutto ingombro e non potendo aspettare tanto, se ne vanno. È vero che anche i pesciolini sono cosa buona e, massimamente se riuniti molti insieme, se ne può fare una buona frittura; ma vi dico schietto che, quando si possono avere pesci più grossi, io sono più contento. Specialmente che costoro adesso sono negli anni in cui devono decidere seriamente della vocazione, e hanno più bisogno consigliarsi e di trattenersi con Don Bosco: costoro desidero che abbiano sempre la preferenza. E' vero che essi hanno ancora tutto l'anno di tempo per decidersi; ma io sarei tanto contento che nessuno aspettasse, per così importante decisione, gli ultimi giorni dell'anno. Allora la deliberazione sarebbe precipitata, con pericolo di non scegliere bene e che qualche fine umano entri a date il tracollo alla bilancia, mentre ungendo il decidere non è più calma la riflessione e non si può esaminare la cosa tanto pel sottile. Anzi io sono contento che anche quei di terza e di quarta ginnasiale incomincino a pensare alla loro vocazione. Non è mai troppo presto il meditare sul nostro avvenire e i giovani di terza e quarta sono già in un'età e ad un punto di studi da poterne parlare con vero profitto.

 

                Ed ora che cosa vi proporrò per onorare il nostro santo? San Francesco di Sales, voi lo sapete, è il Santo della mansuetudine e della pazienza. E. vorrei adunque che nella novena procuraste tutti di imitarlo in questa virtù. Vorrei che vi faceste un fondo di questa mansuetudine, la quale informasse sempre il vostro cuore e vi portasse ad amare i compagni, a non mai adirarvi con loro, a non trattarli con parole d'insulto o disprezzo, far loro sempre del bene quando si può, ma del male non farne loro mai e in nessun modo. E giacchè sono in questo, vorrei che specialmente proponeste che questo amore verso i compagni vi portasse a darvi dei buoni consigli gli uni agli altri e non mai, come pur troppo si fa tra gli uomini, spingersi l'un l'altro al male con cattivi consigli. Guardate! Non vi è altra cosa che possa fare più danno, specialmente quando sì è ancora in giovanile età, dei cattivi consigli. Vi è chi sarebbe risoluto a far bene, ed ecco un compagno che gli suggerisce una cosa cattiva, come sarebbe non perdonare, non obbedire, non consegnare un libro, non frequentare compagni buoni, star lontano dai superiori, non ascoltare i loro avvisi: e colui che prima aveva buona volontà, ora quasi senz'accorgersi cade nel male pel cattivo consiglio di quel compagno. Al contrario, credetemi pure, quando uno sa a tempo e luogo dare amorevolmente un buon consiglio ad un compagno, costui fa un gran bene. Il compagno per lo più non è ostinatamente deliberato di fare una cosa cattiva; la farà quasi senza riflessione, e se una voce amica lo avverte, se ne ritira ed è un male di meno e un bene di più. Oh se in questa novena [33] cominciaste a praticare il consiglio che vi do, e così continuaste durante tutto il corso dell'anno e nel restante di vostra vita, quanto bene potreste fare a voi stessi e quanto bene ai vostri compagni!

 

                Rimane ancora che io vi dia il fioretto. La stagione è piuttosto cruda ed io per fioretto vorrei che tutto il freddo, l'umidità e gli altri incomodi che soffrirete lungo la novena, li soffriste senza lamentarvi e ciò per dare gusto a san Francesco. Ogni volta che vi accade di patire qualche cosa, come malattie, insulti, offese, dite: Sia per amor di Dio. Il Signore sarà molto contento di questo e per intercessione di san Francesco vi benedirà.

 

                Chi poi volesse fare qualche altra pratica di pietà, la può fare e farà bene, specialmente, imitando questo Santo nel silenzio e nella castigatezza, nel parlare sempre modestamente senza offendere i vostri compagni.

 

                Io sono solito suggerire che in queste novene solenni si facciano comunioni lungo la settimana, con maggior frequenza di quelle che si farebbero negli altri tempi. Chi non può farla sacramentalmente, la faccia spirituale. Altri poi vada a far visita con frequenza al Santissimo Sacramento. Ciascuno proponga eziandio una grande puntualità nei suoi doveri. Buona notte!

 

AI COLLEGI.

 

                Prima che la moltiplicità delle opere consigliasse l'uniformità della strenna, la parola del Beato Don Bosco o direttamente o per il tramite dei rispettivi Direttori giungeva desiderata nel capo d'anno anche ai singoli collegi. Del '76 due soltanto di queste lettere augurali ci rimangono, una per Lanzo e l'altra per Varazze. Ai suoi figli di Lanzo scrisse così:

 

                Ai miei cari amici Direttore, Maestri, Professori, allievi, e a tutti gli abitatori del Collegio di Lanzo.

 

                Lasciate che ve lo dica, e niuno si offenda, voi siete tutti ladri; lo dico e lo ripeto, voi mi avete preso tutto.

 

                Quando io fui a Lanzo, mi avete incantato colla vostra benevolenza ed amorevolezza; mi avete legate le facoltà della mente colla vostra pietà; mi rimaneva ancora questo povero cuore, di cui già mi avevate rubati gli affetti per intiero. Ora la vostra lettera segnata da 200 mani amiche e carissime hanno preso possesso di tutto questo cuore; ivi nulla più è rimasto, se non un vivo desiderio di amarvi nel Signore, di farvi del bene, salvare l'anima di tutti. [34] Questo generoso tratto di affezione m'invita a recarmi il più presto possibile a farvi una visita, che spero non sarà tanto ritardata. In quella occasione voglio proprio che stiamo allegri di anima e di corpo, e che facciamo vedere al mondo quanto si possa stare allegri di anima e di corpo, senza offendere il Signore.

 

                Vi ringrazio adunque cordialissimamente di tutto quello che avete fatto per me; io non mancherò di ricordarvi ogni giorno nella santa Messa, pregando la Divina Bontà che vi conceda la sanità per istudiare, la fortezza per combattere le tentazioni e la grazia segnalatissima di -vivere e morire nella pace del Signore. Al giorno 15 di questo mese, consacrato a S. Maurizio, celebrerò la Messa secondo la vostra intenzione; e voi mi farete la carità di fare in quel giorno la santa comunione, perchè anch'io possa andare con voi al Paradiso.

 

                Dio vi benedica tutti e credetemi sempre in G. C.

 

                Torino, 3 gennaio 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Per i giovani di Varazze espresse i suoi sentimenti, scrivendo al loro Direttore Don Francesia e affidando a lui l'incarico di fare da interprete.

 

                Carissimo D. Francesia,

 

                Avrei tanto bisogno di vederti ed anche bisogno di parlarti. Forse ciò non sarà sino alla festa di san Francesco di Sales. Intanto mi faresti piacere di danni notizie sul personale insegnante, assistente e lavorante, sia in moralità sia in laboriosità secondo il bisogno. E’ vero che qui ci troviamo scarsi, ma se ti fosse assolutamente bisogno di qualcheduno farei in modo di trovarlo.

 

                Il Ch. Barberis mi esprime il suo desiderio di suonare (attivamente) il piano e mi dice di raccomandartelo. Certamente se tu lo vieti hai buon motivo. Ciò nulla di meno vedi se puoi con questa concessione ottenere qualche cosa che egli lasci a desiderare. In ogni caso però fa come credi meglio per la gloria di Dio.

 

                Io voleva scrivere una lettera ai tuoi e miei cari allievi per augurare loro e a te buone feste e buon capo d'anno. Ciò non potei fare allora e m'intendo farlo adesso. Siimi dunque interprete di tante belle cose presso a tutta la cara nostra famiglia di Varazze; di' a tutti che io li amo di tutto cuore nel Signore, che ogni giorno li raccomando nella santa Messa, chiedendo per loro sanità stabile, progresso negli studi e la vera ricchezza, il santo timor di Dio.

 

                Se poi vorranno farmi cosa veramente grata si è di fare una santa comunione secondo la mia intenzione, o meglio per un speciale bisogno, il terzo giovedì di questo mese. [35] Ho dei fastidi e giudicai di scriverti per sollevarmi un poco. Dio benedica te e tutti i tuoi e credimi in G. C.

 

                Torino, 10-1876.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                PS. - Oggi abbiamo avuto notizie da Marsiglia che i nostri Missionari giunsero il 13 passato dicembre a Buenos Aires.

 

                Per Borgo S. Martino c'è una paterna lettera, che veramente appartiene alla metà di febbraio, ma che sta bene anche in questo punto.

 

                Car.mo D. Bonetti

 

                Ho scritto al Cav. Rho[11] nel senso che mi hai indicato, ricordandogli le antiche promesse fattemi ripetutamente. Se - mi fa qualche risposta te la renderò visibile. Spero ogni cosa in bene.

 

                In vista del numero grande e forse ancora crescente del Collegio di S. Carlo, osserva un po' se non sia il caso di scegliere una decina circa dei più gracilini e poi, previo avviso ai parenti, inviarli a Lanzo, dove abbondano di spazio. Si sceglierebbero di preferenza quelli che sono di codeste nostre parti.

 

                Esamina questo punto e poi a suo tempo dimmi qualche cosa.

 

                Dirai a Giolitto che, non essendo abbastanza cattivo, nol posso esaudire. Saluta D. Gallo, Ferrero e Adamo con tutti i nostri confratelli e pregate per questo poverello che vi sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 14-2-1876

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                I “fastidi” accennati nella lettera a Don Francesia erano i soliti, morali e materiali. Proprio in quel giorno aveva ricevuto da Roma notizia di lettere calunniose “contro il novello Istituto” che si seguivano le une dopo le altre[12]. Comunicazione ben sconfortante nel momento in cui Don Bosco aspettava che fosse accolta con favore la sua seconda istanza riguardo ai privilegi[13]. Era inoltre a sua [36] conoscenza essersi brigato perchè un'inchiesta fosse fatta sul metodo di studi teologici praticato nell'Oratorio. Le indagini vennero condotte in via confidenziale; ma ciò non diminuiva le preoccupazioni. Incaricato ne fu il teol. Negri residente in Torino. Egli si rivolse per informazioni al teol. Pechenino, che, amicissimo di Don Bosco, gli confidò la cosa. Questo suscitare diffidenze a Roma sul conto dei Salesiani affliggeva profondamente il Beato.

 

                Altri fastidi non lievi cagionava a Don Bosco la penuria grande di denaro. Solamente per le provviste all'ingrosso il magazzino dell'Oratorio aveva settantamila lire di debiti, cifra allora esorbitante, ed era proprio quello il tempo di pensare ai rifornimenti. Le angustie del povero Don Bosco trapelano abbastanza da questa sua lettera all'avvocato Galvagno di Marene, generoso benefattore dell'Oratorio[14]:

 

                Carissimo Sig. Avvocato,

 

                Nel ricevere questa lettera la S. V. dirà tosto: D. Bosco è alle strette e cerca carità. E’ proprio così. Mi trovo nel più crudo dell'invernale stagione con oltre la metà de' miei 900 ragazzi vestiti da estate. Se mai il Signore l'avesse posto in grado di potermi venire in aiuto, sarebbe proprio un vestire i nudi, che il Salvatore reputa fatto a se stesso, e che ci preparerà certamente buona accoglienza, quando ci presenteremo al suo divin tribunale.

 

                Sebbene io Le esponga il grave mio bisogno, La prego di fare solamente quello che può; perciocchè dal canto mio non mancherò di pregare egualmente ogni giorno, affinché Dio conceda a Lei, alla Signora sua moglie lunghi anni di vita felice e faccia che la sua figliuolanza cresca nella sanità e nel santo timor di Dio, mentre con profonda gratitudine ho l'onore ed il piacere di potermi professare

 

                D. V. S. Car.ma

 

                Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, 12-1876.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dopo questo po' di commento ai “fastidi”, per i quali il Beato sentiva il bisogno di cercare sollievo scrivendo al [37] suo caro Don Francesia, noi ci rendiamo pienamente conto di ciò che Don Barberis nota nella sua cronachetta: “Don Bosco in questi giorni è molto abbattuto, e non sta bene”. Ma il medesimo cronista rileva subito dopo: “Pure pensa a tutto, su tutto s'informa e di tutto informa gli altri; dà disposizioni, pareri, consigli”. Non gli mancava tuttavia il conforto di solide consolazioni. - Consola molto, confessò a Don Barberis, il vedere come da tutti si va acquistando spirito religioso. Sì' le cose vanno proprio bene e finchè c'è molto da lavorare, le cose andranno bene sempre.

 

AI MISSIONARI.

 

                La parola che fu la prima di molte e molte altre indirizzate da Don Bosco ai suoi figli Missionari sul campo dei loro apostolato, è contenuta in una letterina la cui brevità, senza una frase oziosa, mentre dice mancanza di tempo e insieme gran desiderio di scrivere, esprime pure, se la si analizza con posatezza, un mondo di cose e di sentimenti. Dalla maniera d'annunciare la morte della madre Galeffi, Presidente di Tor de' Specchi, sembra che il Beato abbia scritto non già appena ebbe per la via di Marsiglia la notizia dell'arrivo dei Missionari, ma dopochè ricevette la prima lettera di Don Cagliero da Buenos Aires, che fu addì 17 gennaio.

 

                Carissimo D. Cagliero,

 

                Un cordialissimo saluto a te e a tutti i miei cari Salesiani, che teco dividono le loro fatiche.

 

                La Madre Galeffi è morta al 13 di questo mese. La Contessa Callori, Mamma Corsi, Mons. Fratejacci, Avv. Menghini vi fanno preghiere ed augurii.

 

                Ricordati che per ottobre noi faremo di spedire trenta figlie di M. A. con una decina di Salesiani; alcuni anche prima, se vi è urgenza.

 

                Attesa la grave penuria di clero che vi è nel Brasile, non sarà caso di spiare la possibilità di una casa a Rio Janeiro?

 

                Il nostro Comm. Gazzolo non scrive e non manda notizie. Salutalo da parte mia. [38] Dirai al Sig. Benitez che io lo ringrazio della bontà che vi usa: desidero tanto di vederlo; se mai non avrò questo piacere in terra, gli do fin d'ora l'appuntamento in Cielo. Amen.

 

                Dio vi benedica tutti. Allegri tutti in Domino,

                Torino, gennaio 1876.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Gran fatto questo della spedizione di Missionari nell'America! Nessun'altra partenza di simil genere aveva destato tanto rumore. Dopo la loro andata Don Bosco sparse a centinaia di copie la fotografia, che si vede in capo all'undecimo volume, unendola ai suoi biglietti di augurio per Natale e capo d'anno. Dopo il loro arrivo l'Unità Cattolica aperse una  rubrica intitolata “Da Torino a Buenos Aires”, sotto la quale dal 20 gennaio cominciò a pubblicare una serie di corrispondenze, aspettate con impazienza e lette con avidità; i numeri che le portavano, si facevano correre di famiglia in famiglia a Torino, sicchè ne veniva aumentato assai lo spaccio del giornale. Laggiù poi la Missione Salesiana rialzò il buon nome del clero italiano, non dappertutto ivi ben rappresentato; in Italia e fuori quella spedizione risvegliò un fervore straordinario per le Missioni estere; nella Congregazione molti invidiavano i loro confratelli partiti e stancavano il Beato con domande di partire.

 

                Termineremo questo capo nel modo stesso come l'abbiamo cominciato, cioè ascoltando ancora una volta la parola detta dal Servo di Dio nell'intimità. È un colloquio tenuto con Don Barberis il 21 gennaio. Di Don Barberis, uomo semplice retto e piissimo, il Beato disse un giorno: - Don Barberis ha capito Don Bosco. - Con Don Barberis, egli che, finchè fosse fattibile, amava nel governo uomini di soda virtù piuttostochè gente intellettuale, s'intratteneva volentieri a discorrere anche di cose intime. La sera di quel giorno dopo cena gli parlò, così: - Ve n'è del da fare, mio caro Don Barberis, oh! quanto vi è da fare. Oggi, come quasi tutti i giorni, alle due e un quarto dopo pranzo, ero già al tavolino a lavorare [39]; non mi sono mosso fino alle otto: eppure non ho potuto sbrigarmi di tutto. Ho ancora il tavolo coperto di lettere, che aspettano risposta. E non si può dire che io vada adagio nello scrivere. Ne fo passare del lavoro sotto le mie dita! M accorgo che a forza di pratica e dell'incalzarsi di una cosa sull'altra ho acquistata una celerità, che non so se possa darsi maggiore. Ma là... facciamo quel che si può ad maiorem Dei gloriam, e ciò che, non si potrà fare, bisognerà aver pazienza e lasciarlo non fatto.

                Qui Don Barberis lo interruppe, augurandogli lunghi anni e buona sanità, perchè potesse riuscire a sbrigare molti di questi grandi affari. Al che Don Bosco riprese: - Anch'io penso di tanto in tanto che, se il Signore mi concedesse di toccare gli ottanta ovvero gli ottantacinque anni e se mi continuasse a dare la sanità e la prontezza di mente che ora ho, delle cose se ne vedrebbero e non solo l'Italia, ma l'Europa e il mondo se ne dovrebbero accorgere. Ma il Signore disponga come crede. Io, fin che mi lascia in vita, vi sto volentieri. Lavoro quanto posso in fretta, perchè vedo che il tempo stringe e per molti anni che si viva, non si può mai fare la metà di quel che si vorrebbe. Fo i progetti, cerco di eseguirli, perfezionando molte cose finchè posso, e sto aspettando che suoni l'ora della partenza. Quando la campana col suo dan dan dan mi darà il segnale di partire, partiremo. Chi resterà a questo mondo, compirà ciò che io avrò lasciato da compiere. Finchè non oda il dan dan dan, io non mi arresto.

 

                La realtà è che Don Bosco, morendo, fece assai più che non fosse il lasciare ad altri di compiere l'incompiuto; egli ai suoi successori aveva preparato in tal guisa il terreno, che anche germi nuovi, animati dal suo spirito, hanno continuato e continuano ad attecchirvi senza che finora si prevegga o si abbia ragione di temere alcun arresto nella fecondità delle opere.

 

 

CAPO II. Due sogni: le mormorazioni; tre morti.

 

                Nella seconda metà di gennaio il Servo di Dio ebbe un sogno simbolico, del quale fece parola con alcuni Salesiani. Don Barberis lo pregò di raccontarlo in pubblico, perchè i suoi sogni piacevano molto ai giovani, facevano loro gran bene e li affezionavano all'Oratorio.

 

                - Sì, questo è vero, rispose il Beato, fanno del bene e sono ascoltati con avidità; il solo che ne riceva nocumento sono io, perchè bisognerebbe che avessi polmoni di ferro. Si può ben dire, che nell'Oratorio non ci sia un solo, il quale non si senta scosso da tali narrazioni; poichè per lo più questi sogni toccano tutti, e ciascheduno vuol sapere in quale stato io l'abbia veduto, che cosa debba fare, quale significato abbia questo o quello; ed io sono tormentato giorno e notte. Se poi voglio svegliare il desiderio delle confessioni generali, non ho da far altro che raccontare un sogno... Senti, fa' una cosa. Domenica andrò a parlare ai giovani, e tu interrogami in pubblico. Io allora conterò il sogno.

                Il 23 gennaio, dopo le orazioni della sera, egli montò in cattedra. Il suo volto raggiante di gioia manifestava, come sempre, la propria contentezza nel trovarsi tra i suoi figli. Fattosi un po' di silenzio, Don Barberis chiese di parlare e interrogò: - Scusi, signor Don Bosco, mi permette che io le faccia una domanda? [41]

                - Di' pure.

 

                - Ho sentito a dire che in queste notti scorse ha fatto un sogno di semenza, di seminatore, di galline, e che l'ha già raccontato al chierico Calvi. Vorrebbe favorire di raccontarlo anche a noi? Questo ci farebbe assai piacere.

 

                - Curioso!! - fece Don Bosco in tono di rimprovero. E qui scoppiò una risata generale.

 

                - Non importa, sa, che mi dia del curioso; purchè ci racconti il sogno. E con questa mia domanda credo d'interpretare la volontà di tutti i giovani, i quali certamente lo ascolteranno tanto volentieri.

 

                - Se è così ve lo racconto. Non voleva dir nulla, perchè ci sono cose che riguardano diversi di voi in particolare, e alcune anche per te, che fanno bruciare un po' le orecchie; ma poichè me ne richiedi, io racconterò.

 

                -Ma eh! signor Don Bosco, se c'è qualche bastonata per me, me la risparmi qui in pubblico.

 

                - Io racconterò le cose come le sognai; ciascuno prenda la parte sua. Ma prima di tutto bisogna che ciascuno tenga bene a mente, che i sogni si fanno dormendo, e dormendo non si ragiona; perciò se vi è qualche cosa di buono, qualche ammonimento da prendere, si prende. Del resto nessuno si metta in apprensione. Ho detto che io sognando di notte dormiva, perchè taluni sognano anche di giorno e alcune volte perfino essendo svegliati e con non leggiero disturbo dei professori, per i quali riescono scolari fastidiosi.

 

                Mi pareva di essere lontano di qui e di trovarmi a Castelnuovo d'Asti, mia patria. Aveva avanti a me una grande estensione di terreno, situata in una vasta e bella pianura; ma quel terreno non era nostro e non sapeva di chi fosse.

 

                In quel campo vidi molti che lavoravano colle zappe, colle vanghe, coi rastrelli ed altri strumenti. Chi arava, chi seminava il grano, chi spianava la terra, chi faceva altro. Vi erano qua e là i capi preposti a dirigere i lavori e fra costoro mi sembrava di esser anch'io. Cori di contadini stavano in altra parte cantando. Io osservava stupito e non sapeva darmi ragione di quel luogo. Meco stesso andava dicendo: - Ma a che fine costoro lavorano tanto? - E rispondeva a me [42] stesso: - Per provvedere le pagnotte ai miei giovani. - Ed era veramente una meraviglia il vedere come quei buoni agricoltori non desistessero un istante dal lavoro e incessantemente continuassero nel loro uffizio con uno slancio costante e colla stessa solerzia. Solo alcuni stavano ridendo e scherzando fra di loro.

 

                Mentre io contemplava così bel quadro, mi guardo attorno e vedo che mi circondavano alcuni preti e molti dei miei chierici, parte vicini, parte ad una certa distanza. Diceva tra me: - Ma io sogno; i miei chierici sono a Torino, qui invece siamo a Castelnuovo. E poi come ciò può essere? Io sono vestito da inverno da capo a piedi, solamente ieri io aveva tanto freddo, ed ora qui si semina il grano. - E mi toccava le mani e camminava e diceva: - Ma pure non sogno, questo è proprio un campo; questo chierico che è qui è il chierico A... in persona; quest'altro è il chierico B... E poi come potrei nel sogno vedere questa cosa e quest'altra?

 

                Intanto vidi lì presso, ma a parte, un vecchio che all'aspetto sembrava molto benevolo ed assennato, intento ad osservare me e gli altri. Mi accostai a lui e gli domandai: - Dite, bravo uomo, ascoltate! Che cosa è ciò che io vedo e non ne capisco nulla? Qui dove siamo? Chi sono questi lavoratori? Di chi è questo campo?

 

                - Oh! mi risponde quell'uomo; belle interrogazioni da farsi! Ella è prete e non sa queste cose?

 

                - Ma dunque ditemi! Credete voi che io sogni o che sia desto? Poichè a me par di sognare e non mi sembrano possibili le cose che vedo.

 

                - Possibilissime, anzi reali e a me pare che Lei sia desto affatto. Non se ne avvede? Parla, ride, scherza.

 

                - Eppure vi son taluni, io soggiunsi, cui sembra nel sogno di parlare, ascoltare, operare, come se fossero desti.

 

                - Ma no; lasci da parte tutto questo. Lei è qui in corpo ed anima.

 

                - Ebbene, sia pure; e se son desto, ditemi allora di chi sia questo campo.

 

                - Ella ha studiato il latino: qual è il primo nome della seconda declinazione che ha studiato nel Donato? lo sa ancora?

 

                - Eh! sì che lo so; ma che cosa ha da far questo con ciò che vi domando?

 

                - Ha da far moltissimo. Dica adunque quale è il primo nome che si studia nella seconda declinazione.

 

                E’ Dominus.

 

                E come fa al genitivo? Domini!

 

                Bravo, bene, Domini; questo campo adunque è Domini, del Signore.

 

                - Ah! ora comincio a capire qualche cosa! - esclamai.

 

                Era meravigliato della conseguenza tratta da quel buon vecchio. Intanto vidi varie persone che venivano con sacchi di grano per seminare [43], e un gruppo di contadini cantava: Exit, qui seminat, seminare semen suum.

 

                A me pareva un peccato gettar via quella semente e farla marcire sotterra. Era così bello quel grano! - Non sarebbe meglio, diceva fra me. macinarlo e fame del pane o delle paste? - Ma poi pensava: - Chi non semina, non raccoglie. Se non si getta via la semente e questa non marcisce, che cosa si raccoglierà poi?-

 

                In quel mentre vedo da tutte le parti uscire una moltitudine di galline e andar pel seminato a beccarsi tutto il grano che altri spargeva per seme.

 

                E quel gruppo di cantori proseguiva nel suo canto: Venerunt aves caeli, sustulerunt frumentum et reliquerunt zizaniam.

 

                Io do uno sguardo attorno e osservo quei chierici che erano con me. Uno colle mani conserte stava guardando con fredda indifferenza; un altro chiacchierava coi compagni; alcuni si stringevano nelle spalle, altri guardavano il cielo, altri ridevano di quello spettacolo, altri tranquillamente proseguivano la loro ricreazione e i loro giuochi, altri sbrigavano alcuna loro occupazione; ma nessuno spaventava le galline per farle andar via. Io mi rivolgo loro tutto risentito e, chiamando ciascuno per nome, diceva: - Ma che cosa fate? Non vedete quelle galline che si mangiano tutto il grano? Non vedete che distruggono tutto il buon seme, fanno svanire le speranze di questi buoni contadini? Che cosa raccoglieremo poi? Perchè state così muti? perchè non gridate, perchè non le fate andar via?

                Ma i chierici si stringevano nelle spalle, mi guardavano e non dicevano niente. Alcuni non si volsero neppure: non badavano prima a quel campo, nè ci badarono dopo che io ebbi gridato.

 

                - Stolti che siete! io continuava. Le galline hanno già tutte il gozzo pieno. Non potreste battere le mani e fare così? - E intanto io batteva le mani, trovandomi in un vero imbroglio, poichè a nulla valevano le mie parole. Allora alcuni si misero a fugar le galline, ma io ripeteva tra me: - Eh sì! Ora che tutto il grano fu mangiato, si scacciano le galline

 

                In quel mentre mi colpì l'orecchio il canto di quel gruppo di contadini, i quali così cantavano: Canes muti nescientes latrare.

 

                Allora io mi rivolsi a quel buon vecchio e tra stupefatto e sdegnato gli dissi: - Orsù, datemi una spiegazione di quanto vedo; io ne capisco nulla. Che cosa è quel seme che si getta per terra?

 

                - Oh bella! Semen est verbum Dei.

 

                - Ma che cosa vuol dir questo, mentre vedo che là le galline se lo mangiano?-

 

                Il vecchio, cambiando tono di voce, proseguì:

 

                - Oh! se vuole una più compiuta spiegazione, io gliela do. Il campo è la vigna del Signore, di cui si parla nel Vangelo, e si può anche intendere del cuore dell'uomo. I coltivatori sono gli operai evangelici, che specialmente colla predicazione seminano la parola di [44] Dio. Questa parola produrrebbe molto frutto in quel cuore, terreno ben preparato. Ma che? Vengono gli uccelli del cielo e la portano via.

 

                - Che cosa indicano questi uccelli?

 

                - Vuole che le dica che cosa indicano? Indicano le mormorazioni. Sentita quella predica che porterebbe effetto, si va coi compagni. Uno fa la chiosa ad un gesto, alla voce, ad una parola del predicatore, ed ecco portato via tutto il frutto della predica. Un altro accusa il predicatore stesso di qualche difetto o fisico o intellettuale; un terzo ride sul suo italiano, e tutto il frutto della predica è portato via. Lo stesso deve dirsi di una buona lettura, della quale il bene resta tutto impedito da una mormorazione. Le mormorazioni sono tanto più cattive, in quanto che esse generalmente sono segrete, nascoste, e colà vivono e crescono, ove punto noi non ce lo aspettiamo. Il grano sebbene sia in un campo non molto coltivato, tuttavia nasce, cresce, viene su abbastanza alto e produce frutto. Quando in un campo di fresco seminato viene un temporale, allora il campo resta pestato e non porta più tanto frutto, ma pure ne porta. Se anche la semenza non sarà tanto bella, pure crescerà: porterà poco frutto, ma pure ne porterà. Invece quando le galline o gli uccelli si beccano la semente, non c'è più verso: il campo non rende nè punto nè poco; non porta più frutto di sorta. Così se alle prediche, alle esortazioni, ai buoni propositi terrà dietro qualche altra cosa come distrazione, tentazione, ecc. farà meno frutto; ma quando c'è la mormorazione, il parlar male o simili, qui non c'è poco che tenga, ma c'è subito il tutto che vien portato via. E a chi tocca battere le mani, insistere, gridare, sorvegliare, perchè queste mormorazioni, questi discorsi cattivi non si facciano? Lei lo sa!

 

                - Ma che cosa facevano mai questi chierici? io gli chiesi. Non potevano essi impedire tanto male?

 

                - Non impedirono nulla, egli proseguì. Taluni stavano ad osservare come statue mute, altri non ci badavano, non ci pensavano, non vedevano e se ne stavano colle braccia conserte, altri non avevano il coraggio d'impedire questo male; alcuni, pochi però, si univano anch'essi ai mormoratori, prendevano parte alle loro maldicenze, facevano il mestiere di distruggitori della parola di Dio. Tu che sei prete insisti su questo; predica, esorta, parla, non aver paura di dir mai troppo; e tutti sappiano che il fare le chiose a chi predica, a chi esorta, a chi dà buoni consigli è ciò che reca più del male. E lo star muti quando si vede qualche disordine e non impedirlo, specialmente chi potrebbe o dovrebbe, questo è al tutto rendersi complice del male degli altri.

 

                Io tutto compreso da queste parole, voleva ancora guardare, osservare questa e quella cosa, rimproverare i chierici, infiammarli a compiere il proprio dovere. Ed essi già si movevano e cercavano di mettere in fuga le galline. Ma io, avendo fatti alcuni passi, inciampai in un rastrello, destinato a spianar la terra, lasciato in quel campo, [45] e mi svegliai. Ora lasciamo da parte ogni cosa e veniamo alla morale. D. Barberis! Che cosa ne dici di questo sogno?

 

                - Dico, rispose D. Barberis, che è una buona bastonata, e bazza a chi tocca.

 

                - Eh certo, riprese D. Bosco, è una lezione la quale bisogna che ci faccia del bene; e tenetelo a mente, o miei cari giovani, di evitare fra voi in ogni modo la mormorazione, come un male straordinario, fuggendola come si fugge dalla peste, e non solo evitarla voi, ma a tutto potere cercare di farla evitare agli altri. Alcune volte santi consigli, opere ottime non fanno il bene, che reca l'impedire una mormorazione e qualunque parola che possa nuocere ad altri. Armiamoci di coraggio e combattiamola francamente. Non v'è peggior disgrazia di quella di far perdere la parola di Dio. E basta un motto, basta uno scherzo.

 

                Vi ho contato un sogno avvenutomi già sono varie notti, ma in questa notte scorsa ne ho avuto un altro, che eziandio desidero narrarvi. L'ora non è ancora troppo tarda; sono appena le nove e posso esporvelo. Procurerò tuttavia di non andare per le lunghe.

 

                Mi parve adunque di trovarmi in un luogo che ora non ricordo più quale fosse: non era io più a Castelnuovo, ma mi pare che neppure fossi all'Oratorio. Venne qualcuno con tutta premura a chiamarmi: - D. Bosco, venga! D. Bosco, venga!

 

                - Ma e che cosa c'è di tanta premura? io risposi.

 

                - E' in corrente delle cose avvenute?

 

                - Io non intendo quello che tu vuoi dire; spiegati chiaramente, risposi ansioso.

 

                - Non sa, D. Bosco, che il tal giovane così buono, così pieno di brio, è gravemente infermo, anzi moribondo?

 

                - lo dubito che tu voglia prenderti gioco di me, gli dissi: perchè appunto stamane parlai e passeggiai con lo stesso giovane, che ora mi annunzi moribondo.

 

                - Ah, D. Bosco, io non cerco d'ingannarla e mi credo in debito di narrarle la pura verità. Quel giovane ha sommamente bisogno di lei e desidera di vederla e di parlarle per l'ultima volta. Ma venga presto, perchè altrimenti non è più in tempo.-

 

                Io senza sapere il dove, andai in tutta fretta dietro a quel tale. Arrivo in un luogo e vedo gente mesta e piangente che mi dice: Faccia pure presto, che è agli estremi.

 

                - Ma che cosa è accaduto? - rispondo. Vengo introdotto in una camera, dove vedo un giovane coricato, tutto smorto nel viso, d'un colore quasi cadaverico, con una tosse e un rantolo che lo soffocava e appena a stento gli permetteva di parlare: - Ma non sei tu il tale dei tali? io gli dissi.

 

                - Sì, sono il tale!

 

                - Come stai?

 

                - Sto male [46]

                - E come va che ora ti vedo in questo stato? Solamente ieri e stamattina non passeggiavi tranquillo sotto i portici?

 

                - Sì, rispose il giovane, ieri e stamattina passeggiavo sotto i portici; ma ora faccia presto, che io ho bisogno di confessarmi; vedo che mi resta più poco tempo.

 

                - Non affannarti, non affannarti; tu ti sei confessato da pochi giorni.

 

                - E’ vero e mi pare di non avere nessuna grossa pena sul mio cuore; ma tuttavia desidero ricevere la santa assoluzione prima di presentarmi al Divin Giudice.

                Io ascoltai la sua confessione. Ma intanto osservai che visibilmente peggiorava e un catarro era per soffocarlo. - Ma qui bisogna fare in fretta, dico fra me, se voglio che riceva ancora il santo viatico e l'olio santo. Anzi il viatico non potrà più riceverlo, sia perchè ci vuole più tempo per i preparativi, sia perchè la tosse potrebbe impedirgli d'inghiottire. Presto l'olio santo!

                Così dicendo, esco dalla camera e mando subito un uomo a prendere la borsa degli olii santi. I giovani che erano in sala mi domandavano: - Ma è veramente in pericolo? è proprio moribondo, come si va dicendo?

 

                - Purtroppo! io rispondeva. Non vedete che il respiro gli si fa ognor più grave e il catarro lo soffoca?

 

                - Ma sarà meglio portargli anche il viatico e così fortificato mandarlo nelle braccia di Maria!-

 

                Ma mentre io mi affaccendava nel preparar l'occorrente, sento una voce: - è spirato!-

 

                Rientro in camera e trovo l'infermo cogli occhi sbarrati; più non. respira; è morto.

 

                - E’ morto? io domando a quei due che lo assistevano. morto, mi rispondono: è morto!

 

                - Ma come va, tanto in fretta? Ditemi: non è desso il tale?

 

                - Sì, è il tale.

 

                - Non posso credere agli occhi miei! Solo ieri passeggiava con me sotto i portici.

 

                - Ieri passeggiava ed ora è morto, mi replicarono.

 

                - Per fortuna che era un giovane buono! esclamai. E diceva ai giovani che aveva attorno: - Vedete, vedete? Costui non ha nemanco più potuto ricevere il viatico e l'estrema unzione. Ringraziamo però il Signore, che gli diede tempo di confessarsi. Questo giovane era buono, frequentava abbastanza i Sacramenti e speriamo che sia andato ad una vita felice, o almeno in purgatorio. Ma se fosse un po' capitata ad altri la stessa sorte, che cosa ne sarebbe ora di certuni?

                Ciò detto, ci mettemmo tutti in ginocchio e recitammo un De profundis per l'anima del povero defunto.

 

                Intanto io andava in camera, quando mi vedo giungere Ferraris[15] [47] dalla libreria, il quale tutto affannato mi dice: - Sa, D. Bosco, che cosa è avvenuto?

 

                - Eh! purtroppo lo so! E' morto il tale! rispondo.

 

                - Non è questo che voglio dire; vi sono due altri morti.

 

                - Come? chi?

 

                - Il tale ed il tale altro.

 

                - Ma quando? Non capisco.

 

                - Sì, due altri, i quali morirono prima che ella giungesse.

 

                - E perchè allora non mi avete chiamato?

 

                - Mancò il tempo. Ma ella sa dirmi quando è morto questo qui?

 

                - A morto adesso! io risposi.

 

                - Sa ella in che giorno siamo e di qual mese? proseguì Ferraris.

 

                - Sì che lo so; siamo ai 22 di gennaio, secondo giorno della novena di S. Francesco di Sales.

 

                - No, disse Ferraris. Ella si sbaglia, signor Don Bosco; guardi bene. - Io alzo gli occhi al calendario e vedo: 26 di Maggio.

 

                - Ma questa è maiuscola! esclamai. Siamo di gennaio, e ben me ne accorgo dal come sono vestito, non si va vestiti così di maggio; di maggio non vi sarebbe il calorifero acceso.

 

                - Io non so che dirle, o che ragione darle, ma ora siamo ai 26 di maggio.

 

                - Ma se ieri solamente è morto quel nostro compagno ed eravamo in gennaio.

 

                - Si sbaglia, insistè Ferraris; eravamo in tempo pasquale.

 

                - Un'altra ne aggiungi ancor più grossa!

 

                - Tempo pasquale, sicuro: eravamo in tempo pasquale, e fu ben più fortunato di morire nella Pasqua, che gli altri due, i quali morirono nel mese di Maria.

 

                - Tu mi burli, io gli dissi. Spiegati meglio, altrimenti io non t'intendo.

 

                - Io non burlo niente affatto. La cosa è così. Se poi vuole saperne di più, e che io mi spieghi meglio, ecco! Stia attento! Aperse le braccia, poi battè le due mani una contro l'altra forte forte: ciac   Ed io mi sono svegliato. Allora esclamai: - Oh per fortuna! Non è una realtà, ma è un sogno. Quanto timore ho avuto! -

 

                Ecco il sogno che ho fatto la notte scorsa. Voi dategli quell'importanza che volete. Io stesso non voglio dargli interamente fede. Oggi però ho voluto vedere se coloro che mi parvero morti in sogno, fossero ancora vivi e li vidi sani e vigorosi. Certamente che non conviene ch'io dica, e non dirò, chi siano costoro. Tuttavia terrò d'occhio quei due: se sarà necessario qualche consiglio per vivere bene, lo darò loro, e li preparerò, facendo le volte larghe senza che se ne accorgano; perchè così, se accadesse loro di dover morire, la morte non li [48] trovi impreparati. Ma nessuno vada dicendo: Sarà questi, sarà quegli. Ciascuno pensi a sè.

 

                E non datevi nessuna apprensione di questo. L'effetto che deve fare in voi è semplicemente quello che ci suggerì il Divin Salvatore nel Vangelo: Estote parati, quia, qua hora non putatis, filius hominis veniet. E' questo un grande avvertimento, miei cari giovani, che ci dà il Signore. Stiamo apparecchiati sempre, perchè nell'ora in cui meno ce lo aspettiamo, può venire la morte e colui che non è preparato a morir bene, corre grave rischio di morir male. Io mi terrò preparato il meglio che posso e voi fate lo stesso, affinchè in qualunque ora piaccia al Signore di chiamarci, possiamo essere pronti a passare nella felice eternità. Buona notte.-

 

                Le parole di Don Bosco si ascoltavano sempre con religioso silenzio; ma quando egli `raccontava di queste cose straordinarie, fra le centinaia di ragazzi che gremivano il luogo, non si sentiva un colpo di tosse nè il più lieve fruscio di piedi. L'impressione viva durava settimane e mesi;. e con l'impressione avvenivano mutazioni radicali nella condotta di certi discoli. Si faceva poi ressa intorno al confessionale di Don Bosco. Di supporre che egli inventasse quei racconti per ispaventare e migliorare la vita dei giovani, non veniva in capo a nessuno, perchè gli annunzi di morti prossime si avveravano sempre e certi stati di coscienza veduti nei sogni rispondevano a realtà.

 

                Ma il timore prodotto da sì lugubri predizioni non era un incubo opprimente? Non pare. Troppe si presentavano le possibilità e le supposizioni in una moltitudine di più che ottocento giovani, perchè i singoli ne potessero essere preoccupati. Inoltre la persuasione realmente diffusa, che chi moriva nell'Oratorio, andava di certo in paradiso, e che Don Bosco preparava i designati. senza spaventarli, contribuiva a scacciare dagli animi ogni timore. D'altra parte si sa bene quanto sia grande la volubilità giovanile: sul momento la fantasia dei giovani rimane colpita e scossa; ma poi quel ricordo si libera ben presto da qualsiasi paurosa apprensione. Tanto ci attestavano unanimi i superstiti di quei tempi.

 

                Andati che furono i giovani a dormire, alcuni confratelli [49] che attorniavano il Beato, lo tempestavano di domande, per sapere se alcuno di loro fosse fra quei che dovevano morire. Il Servo di Dio, sorridendo secondo il suo solito e scotendo il capo, ripeteva: - Già, già! Verrò a dirvi chi è, con pericolo di far morire qualcuno prima del tempo!

 

                Visto che lì non si spillava nulla, lo interrogarono se nel primo sogno vi fossero anche dei chierici a far la parte delle galline, che, si abbandonassero cioè alla mormorazione. Don Bosco, che passeggiava, si fermò, girò gli occhi su gl'interlocutori e fece un risolino come per dire: - Eh! qualcuno sì; tuttavia pochi, e non aggiungo altro. - Allora gli chiesero che dicesse almeno se essi erano fra i cani muti; il Beato si tenne sulle generali, osservando che bisognava stare attenti a evitare e a far evitare le mormorazioni e in genere tutti i disordini, massime i cattivi discorsi. - Guai al prete e al chierico, disse, il quale, incaricato della vigilanza, vede i disordini e non li impedisce! Desidero si sappia e si ritenga che con la parola “mormorazioni” io non intendo solamente il tagliarci i panni addosso, ma ogni discorso, ogni motto, ogni parola, che possa in un compagno sminuire il frutto della parola di Dio udita. In generale poi intendo di dire che è un gran male starsene quieti, allorchè si conosce qualche disordine, non impedendolo o non cercando che lo impedisca chi di ragione.

 

                Uno più arditello mosse al Servo di Dio un'interrogazione alquanto azzardata. - E Don Barberis per che cosa entra nel sogno? Lei ha detto che ce n'era anche per lui, e Don Barberis stesso sembrava che si aspettasse una buona bastonata per sè. - Don Barberis era presente. Sulle prime Don Bosco accennava a non voler rispondere. Ma poi, essendo rimasti ai suoi fianchi solo alcuni preti e mostrandosi Don Barberis contento che egli palesasse il segreto, il Beato disse: - Eh! Don Barberis non predica abbastanza su questo punto; su quest'argomento non insiste quanto bisogna. Don Barberis confermò che nè l'anno innanzi nè durante [50] l'anno in corso si era mai fermato di proposito: su quelle materie nelle sue conferenze agli ascritti; ebbe perciò molto piacere dell'osservazione e se la legò all'orecchio per l'avvenire.

 

                Ciò detto, salirono le scale e tutti, baciata la mano a Don Bosco, si allontanarono e andarono a riposo. Tutti, meno Don Barberis, che secondo il consueto lo accompagnò fino all'uscio della sua stanza. Don Bosco, vedendo che era ancora presto e accorgendosi che non avrebbe potuto prender sonno, perchè fortemente impressionato dalle cose esposte, contro la sua costante abitudine fece entrare Don Barberis nella camera, dicendo: - Giacchè abbiamo ancora tempo, possiamo fare due passi su e giù per la stanza.

                Così continuò a discorrere per una mezz'ora. Disse fra l'altro: - Io nel sogno ho veduto tutti ed ho veduto lo stato nel quale ognuno si trovava: se gallina, se cane muto, se nel numero di coloro che avvisati si misero all'opera o non si mossero. Di queste cognizioni io mi servo confessando, esortando in pubblico ed in privato, finchè vedo che producono del bene. Da principio non faceva gran caso di questi sogni; ma mi accorsi che per lo più valgono a produrre l'effetto  di più prediche, anzi per alcuni sono più efficaci che un corso di esercizi spirituali; perciò me ne servo. E perchè no? Si legge nella Sacra Scrittura: Probate spiritus; quod bonum est tenete. Vedo che giovano, vedo che piacciono, e perchè tenerli segreti? Anzi osservo che contribuiscono ad affezionare molti alla Congregazione.

 

                - Ho provato io stesso, interruppe Don Barberis, di quanta utilità fossero questi sogni e quanto salutari. Anche narrati altrove, fanno del bene. Dove Don Bosco è conosciuto, si può dire che sono sogni fatti da lui; dove non è conosciuto, si possono presentare come similitudini. Oh, se sì potesse fame una raccolta, esponendoli in forma di similitudini! Sarebbero ricercati e letti da piccoli e da grandi, da giovani e da vecchi, con vantaggio delle anime loro. [51] - Già, già! Farebbero del bene, ne sono intimamente convinto.

 

                - Ma forse, lamentò Don Barberis, nessuno li ha raccolti per iscritto.

 

                - Io, riprese Don Bosco, non ho tempo, e di molti non mi ricordo più.

 

                - Quelli dei quali io mi ricordo, replicò Don Barberis, sono i sogni che si riferivano ai progressi della Congregazione, all'estendersi del manto della Madonna...

 

                - Ah, sì! - esclamò il Beato. E accennò a parecchie visioni di questo genere. Presa quindi un'aria più grave e quasi conturbato proseguì: - Quando penso alla mia responsabilità nella posizione in cui io mi trovo, tremo tutto... Che conto tremendo avrò da rendere a Dio di tutte le grazie che ci fa per il buon andamento della nostra Congregazione!

 

 

CAPO III. Le conferenze di san Francesco.

 

                La festa di san Francesco, che cadeva in sabato, fu trasportata alla domenica. Nella settimana seguente l'Oratorio rivide, secondo il solito, i Direttori delle case radunarsi a convegno intorno a Don Bosco e tenere una serie di conferenze dal martedì al venerdì. Arrivarono il lunedì e partirono il sabato, sicchè la domenica poterono trovarsi nei propri collegi per predicare ai loro giovani e confessare.

 

                Le memorie del tempo ci dicono che la loro presenza fu apportatrice di consolazione e di edificazione. Nessun sussiego in essi, ma grande familiarità con quei della casa, gran deferenza reciproca, grande arrendevolezza di tutti verso i Superiori, perfetto spirito di concordia e di mortificazione; spiccava però più d'ogni altra cosa l'affetto a Don Bosco e la riverenza alla sua persona, sicchè era generale la loro premura di conoscerne i desideri per secondarli.

 

                Abbiamo detto del loro spirito di mortificazione. Nessuna eccezione per essi a tavola, fuorchè nel giorno dell'arrivo per festeggiarli e per onorare gli ospiti, che Don Bosco volle invitare a pranzo. Ma quello che oggi quasi stentiamo a credere è che per camere avevano l'e piccole soffitte tuttora esistenti, e parecchie financo albergavano due inquilini. Di [53] meglio non c'era. E poi non persone di servizio a loro disposizione, ma assettarsi ognuno il proprio sgabuzzino. Le conferenze che duravano ore e ore, mattino e sera, toglievano loro quasi il tempo di uscire in città e di far visita ai parenti; ma l'allegria che regnava sovrana, temperava la noia e addolciva la fatica. Frizzi, lepidezze, omeriche risate rompevano la monotonia delle interminabili sedute, come tra buoni fratelli che si vogliono bene e godono di ritrovarsi insieme dopo più mesi di lontananza. Il Beato in quella vita di famiglia si sentiva nel suo elemento e ci godeva tanto! Il cronista, lodando il loro buono spirito, nota: “Nella celebrazione della Messa, nella preparazione e nel ringraziamento si scorge un raccoglimento ed una posatezza tale, che indicano chiaramente la carità che nel cuore sta accesa”.

 

                Ma avevano poi davvero cose di alta importanza da trattare? Ricorderemo due parole dette dal Servo di Dio nel '75.La prima è questa: “Sapienza e scienza, prevedere e provvedere”. Quei primi Direttori adunati per conferire sulle cose interne e intime della Congregazione ci dànno l'esempio di quel provvido antivedere, che. è il segreto di ogni buon governo. L'altra sentenza di Don Bosco ha tutta l'aria di un paradosso: “Nelle nostre case non abbiamo da occuparci che delle piccole cose; il resto viene da sè”. Quanti invece sarebbero tentati di credere che torni meglio fare il rovescio! Eppure la vita ordinaria non è che un gran tessuto di cose piccole, le quali si tirano dietro tutto. Comunque sia, noi, come nel volume undecimo, così in questo daremo un sufficiente ragguaglio di ogni seduta, riferendo un po' di ogni cosa detta o discussa o deliberata. I lettori provino a leggere, e poi chi ci s'annoia salti al capo seguente, chè non perderà il filo della storia.

 

                Non sembra alquanto singolare che nella prima adunanza presieduta da Don Rua, i Direttori si occupassero di personale, ossia di sue destinazioni, come farebbe oggi il Capitolo [54] Superiore o un Consiglio Ispettoriale? Tant'è: il Beato Don Bosco amava procedere non autoritativamente, ma paternamente. Come perciò a guisa di chi consulta interpellava spesso individualmente qualche confratello su cose già da lui studiate per ogni verso e deliberate, così gli piaceva mettere in consultazione provvedimenti, nei quali certo non gli bisognavano tanti lumi. Trattava insomma con i suoi come un padre tratta con i figli, che abbiano raggiunta e sorpassata l'età maggiore.

 

                Per l'Oratorio dunque si vedeva, la necessità di sostituire Don Chiala nell'ufficio di catechista degli artigiani. L'ottimo salesiano stava male, tanto male che entro l'anno morì. Fu proposto di mettere in suo luogo Don Branda, prefetto a Valsalice; ma nominalmente prefetto, giacchè il Direttore Don Dalmazzo riuniva in sè tutti i poteri. Questa circostanza fece sì che la discussione si allargasse, estendendosi ad una questione d'ordine generale. L'assemblea, gelosa delle consuetudini legittime, animatamente richiamò un principio, che è buono anche oggi. - Non s'introducano abusi, fu detto. Un Direttore non deve avere la facoltà d'interpretare le Regole come a lui pare, dando al prefetto le attribuzioni che egli vuole. Quando il Capitolo Superiore stabilisce con lui, che il tale gli faccia da prefetto, costui abbia in realtà la carica e le attribuzioni di prefetto. Poichè è bensì vero che per ora, finchè vive Don Bosco, tutti gli siamo sottomessi ed egli non ha che da esprimere un desiderio, perchè noi andiamo subito a gara per eseguirlo; egli quindi può porre, togliere, dare, crescere, diminuire, trasferire attribuzioni a chi gli pare e piace; ma è anche vero che ora bisogna dare alle cose un avviamento tale, che, anche mancando Don Bosco, non abbiano a nascere inconvenienti.

                Questa osservazione ne tirò un'altra non meno grave: non essere bene che il Direttore si assumesse anche la parte di prefetto per due motivi. Primo, perchè in tal caso egli doveva prendersi l'odiosità di mantenere la disciplina, scapitandone [55] in vario modo, massime per le confessioni[16]; secondo, perchè, se il Direttore faceva tutto da sè, nessuno vedeva che cosa facesse: non già che per allora si avessero a temere inconvenienti, ma questi erano possibili nel futuro, qualora non si stesse fermi nel principio di dare al prefetto il suo posto, secondochè glielo assegnavano le Regole.

 

                Ridiscesi al caso concreto, discussero un bel po' sulla persona più adatta all'ufficio di prefetto in quel collegio di nobili; finalmente la scelta cadde su Don Marenco, il futuro Vescovo e delegato Apostolico, uomo dalla presenza e dalle maniere distintissime.

 

                Gli adunati passarono poscia a discorrere degli esercizi spirituali soliti a farsi nei collegi verso la fine dell'anno scolastico, il qual tempo l'esperienza dimostrava ben poco propizio allo scopo; essere consigliabile invece di portarli piuttosto nella seconda metà di marzo o in aprile. Ragionavano così: - Questi esercizi sono il gran mezzo per rompere certe relazioni o amicizie malsane. Allora è che il giovane si determina a far bene, prendendo forti risoluzioni, che gli serviran di guida almeno per il corso dell'anno. Se invece gli esercizi sono al termine dell'anno, ecco che non c'è più tempo di eseguire i proponimenti fatti; e poi col fare così a lungo quel che si vuole, i mali incancreniscono. Inoltre, sopraggiungono le vacanze, che portano via anche quel tantino di frutto che la parola di Dio ha fatto nascere. - Accordatisi facilmente sulla data, si divisero senz'altro fra loro le predicazioni. Con ciò si chiuse la seduta mattutina del martedì 1° febbraio.

 

                Nell'adunanza pomeridiana Don Rua, che presiedeva, [56] comunicò il desiderio di Don Bosco, che si esaminasse quali chierici potessero proporsi alle ordinazioni. Ogni Direttore presentò quelli della propria casa, che avevano i necessari requisiti. Per gli ordini minori Don Cerruti sostenne che conveniva allargare la mano, concedendoli ai chierici del primo o secondo corso di teologia, cosa quanto mai atta a renderli contenti e a far loro del bene, non che conforme allo spirito della Chiesa, la quale suol frapporre lunghi interstizi fra un ordine e l'altro. Come agli ordini,- così si fecero ammissioni alla professione religiosa. Naturalmente qui le attribuzioni dei convenuti non erano uguali: i Direttori avevano voto consultivo e i Membri del Capitolo Superiore deliberativo.

 

                Esaurita questa parte, Don Rua fece una raccomandazione. Ai Direttori in quei primordi era concessa maggior libertà di azione che non ora; la Congregazione, come abbiamo visto nel volume undecimo, non si poteva assestare di colpo. Così avveniva che, anche senza previa intelligenza con Don Bosco, essi mandassero via aspiranti, ascritti o soci. Non si contendeva loro la facoltà di provvedimenti sommari, qualora le circostanze li esigessero; ma almeno se ne rendesse avvertito il Capitolo Superiore, e ciò prontamente, e non con la pura notificazione dell'uscita, ma anche con le indicazioni del tempo, della causa e del modo. Talora, volendosi allontanare un aspirante coadiutore, si trovava comodo inviarlo all'Oratorio; non si facesse mai senza darne previo avviso ai Superiori o almeno senza munire l'individuo di una lettera, che desse i ragguagli necessari ed opportuni.

 

                Come il secondo col primo, così il terzo oggetto non aveva niente che fare con tutt'e due. ]La Congregazione, ora che aveva preso il proprio posto nel mondo, sentiva d'aver fatto, per così dire, il suo ingresso nella storia e che la storia non basta farla, ma bisogna anche scriverla. Il Beato Don Bosco poi, che aveva conservato financo i suoi  [57] scarabocchi puerili e che non distruggeva neppure i più umili documenti, possedeva in sommo grado il senso storico. Non ci sorprende perciò il vedere come nell'ordine del giorno entrasse pure la proposta di nominare uno storiografo della Congregazione, il cui ufficio fosse di raccogliere le memorie e preparare la materia, che a suo tempo lo storico avrebbe messa in atto. Ma intanto urgeva compilare le cronache locali. Quindi ogni Direttore notasse le cose principali del suo collegio, non tralasciando nulla di quanto Don Bosco facesse o dicesse nelle sue frequenti visite. Qualora eglino ne fossero impediti, dessero l'incarico a qualche confratello, procurandogli il modo di essere bene informato. Si scrivesse dunque anzitutto in compendio la storia del collegio, indicando con esattezza il quando e il come dell'apertura e ogni avvenimento di rilievo, comprese le circostanze che avevano causato aumento o diminuzione di allievi dal principio fino al momento d'allora. In seguito registrassero i fatti più salienti di mano in mano che accadrebbero. Finito un quaderno, lo facessero ricopiare per bene sopra un gran libro, che non uscisse mai dal collegio; il quaderno, invece si mandasse alla casa madre. Che fortuna sarebbe oggi se da tutti si fosse messa mano all'opera; se i più diligenti avessero perseverato; se col volgere degli anni non fosse sceso l'oblio; se l'incuria non avesse lasciato perire quasi tutto il poco che erasi fatto! Il molto lavoro è certo una buona circostanza attenuante; ma questa non toglie, nè tempera il rammarico, e non impedisce nemmeno di esprimere l'augurio che si pensi un po' più alla storia, la quale non è vano trastullo di gente oziosa, ma veicolo della tradizione, scuola dell'esperienza e stimolo a ben meritare.

 

                Annessi o connessi del Regolamento riempirono il resto della seduta. Intorno al Regolamento nelle due conferenze annuali e in altre straordinarie erasi venuta agglomerando [58] tutta una congerie di deliberazioni, aventi per iscopo di dichiararne certe parti; se non che, mancando facilità di richiami, tante di queste deliberazioni, messe nel dimenticatoio, non si osservavano più da nessuno. Don Rua, fatto lo spoglio dei verbali, le raccolse, le riunì come in un corpo di note esplicative di esso Regolamento, dividendole in capitoli, e così classificate per materia le presentò all'esame dell'assemblea. Tolto, aggiunto, mutato quanto si credette conveniente, se ne decise la stampa e l'invio a tutte le case. Dal verbale di questa prima discussione tre cose soltanto emergono: una modalità, un'aggiunta e una digressione.

 

                Di dette norme una serie riguardava espressamente i Direttori; queste non parve opportuno che si rendessero di pubblico dominio; ma si vollero stralciate dal rimanente e mandate in copia manoscritta a chi di ragione. Nessunissima tendenza in ciò a un quissimile dei favolosi Monita secreta; si pensi piuttosto a quei “Ricordi confidenziali” per i Direttori, oggi tanto poco confidenziali, che son noti lippis et tonsoribus: sono direttive individuali, di quelle che non entrano affatto in un corpus iuris, non riguardano cioè i doveri e i diritti del Direttore, ma ne orientano e ne governano la coscienza nell'osservare gli uni ed esigere gli altri. Cose insomma da foro interno, dove i sudditi non han nulla a vedere. Per le stesse norme spiegative fu proposta fra le altre un'aggiunta sulla corrispondenza dei confratelli. Un confratello, recandosi in qualche collegio o partendone, non accettasse di portar lettere o checchessía senz'averne incarico dal Direttore locale; portandone poi con la debita licenza, non consegnasse direttamente al destinatario, ma al prefetto o al Direttore di quel tal collegio, affinchè, se credesse bene, vedesse. Chiunque inoltre faceva ritorno al proprio collegio, non recapitasse nulla che non fosse passato per le mani del Superiore; conseguentemente nessun confratello desse lettere a chi fosse sul punto di recarsi altrove, ma le consegnasse al prefetto, rimettendosi a lui per l'invio, [59] L'argomento della corrispondenza diede motivo a un notevole rilievo: essere troppo raro lo scambio di lettere fra i nostri confratelli, e doversi ciò considerare come un difetto; negli altri Ordini religiosi inculcarsi la frequenza dello scrivere, giudicandosi le lettere un gran mezzo per ottenere unità di spirito, per conoscersi bene, per alimentare la vera fratellanza, per prevenire disordini e per rimediarvi subito, se avvenuti. Come suol accadere nelle discussioni di simili assemblee, finchè si naviga in alto mare, è facile andar d'accordo ed anche entusiasmarsi per un'idea; ma appena dalla teoria si scende alla pratica, allora si dubita, si esita, si delineano divergenze d'opinioni. - Come fare? Ogni quanto tempo scriverci? A chi scrivere? In che modo scrivere? Vi fu unanimità nel riconoscere opportuno che ogni socio scrivesse a Don Bosco o al Capitolo Superiore almeno tre volte all'anno, preferibilmente in tre occasioni solenni, come nelle feste di san Francesco e di Maria Ausiliatrice e negli esercizi di Lanzo; inoltre si stimò cosa utile tener nota di chi avesse scritto, perchè il sapersi questo spingesse tutti a scrivere. Per altro si affacciò tosto un guaio. Siffatte lettere richiedevano risposta; ora i Membri del Capitolo Superiore a troppe faccende dovevano già attendere, perchè rimanesse loro il tempo di addossarsi per soprammercato anche questa. Si troncarono le dispute con riservarsi di farne parola a Don Bosco; e nel nome di Don Bosco a tarda ora si sciolsero.

 

                L'intera conferenza mattutina del secondo giorno fu spesa nel vagliare note dichiarative del Regolamento. Potrà sempre tornare di qualche vantaggio il conoscere come la pensassero intorno a certi particolari della vita pratica salesiana gli antichi Direttori, con a capo il Servo di Dio Don Rua, che si fece sempre un dovere di essere portavoce e interprete del Beato Fondatore. Sei sono i punti che ci sembrano degni di considerazione.

 

                1° Modificazione d'orario. Un tempo la scuola di canto [60] si faceva dopo la cena; indi uno alla volta tutti i collegi finirono con portarla prima della cena. Sapendosi per altro quanto ci tenesse il Beato Padre all'integrità e uniformità dell'orario stabilito, si voleva autorevolmente sanzionato questo mutamento. L'esperienza fatta incoraggiava a continuare così. I giovani profittavano di più a quell'ora; i maestri in tal tempo facevano assai più volentieri la scuola; con questa disposizione c'era più ordine e si perdeva meno tempo, perchè dallo studio le classi andavano difilato alla scuola di canto o alla ripetizione, mentre dopo cena era cosa più difficile e più lunga radunare gli allievi[17]. Tuttavia la direzione dell'Oratorio non volle adottare il cambiamento d'orario, senza avere la preventiva approvazione di Don Bosco.

 

                2° Rendiconti mensili. Conveniva o non conveniva entrare in cose di coscienza? Oggi il Codice di Diritto Canonico ha tagliato corto: Omnes religiosi Superiores districte vetantur personas sibi subditas quoquo modo inducere ad conscientiae manifestationem sibi peragendam[18]. La questione era già stata risolta negativamente altra volta, anche dai nostri. Si convenne però esser bene indagare sulle inclinazioni e sulle abitudini, in quanto queste non costituivano materia di confessione, anche perchè la loro conoscenza tornava a vantaggio dei sudditi, divenendo per tal modo possibile assegnare ai singoli occupazioni più confacenti e sapere come dirigerli in materia d'obbedienza, se con maniere dolci o con forme più risolute. Come in precedenti riunioni, così pure in questa si fece caldo appello ai Direttori, affinchè ricevessero con regolarità i rendiconti, i quali sono da ritenersi mezzo efficacissimo per guidare bene i collegi. [61]

                3° Conferenze quindicinali. Agli uni sembravano troppo frequenti; dove trovar materia da svolgere o da trattare a così brevi intervalli? Per altri la questione era di trovare il tempo; come fare di giorno a riunire tutti i confratelli? come fare a radunarli dopo le orazioni della sera, essendo essi allora stanchi e non potendosi andare tanto per le spicce? Vi fu chi propose l'esempio di qualche collegio, dove le conferenze si facevano alle cinque pomeridiane, affidandosi in quella mezz'ora l'assistenza dello studio a qualcuno che non fosse della Congregazione; essere l'ora scelta nell'Oratorio per la conferenza degli ascritti; perchè non introdurre la stessa usanza dappertutto? Don Rua disse: - Certamente la conferenza alle cinque pomeridiane arrecherà qualche inconveniente e bisognerà affidare ad alcuno l'assistenza dello studio in quel tempo. Tuttavia ciò non mi sembra cosa grave; si badi solamente di non affidare questo ufficio sempre allo stesso confratello, ma si alternino i soci, e chi non fu presente alla conferenza, si faccia ripetere le cose dette, pregandone qualcuno di coloro che vi si trovarono. Don Bosco dà grande importanza a queste conferenze.

                4° Sacri riti. Una nota ordinava ai preti di studiar bene le cerimonie; taluno biasimò la fretta, con cui vari sacerdoti andavano e venivano dall'altare. Don Rua disse: - Fra i sacerdoti secolari è uso disgraziatamente molto generale questo di andare troppo in fretta; forse i soli Filippini qui in Torino osservano quella gravità che è richiesta dalla - santità dell'azione. Non già che i nostri preti si possano nella maggior parte accusare di questa fretta; anzi pare che, eccettuati i Filippini, in nessun luogo si proceda più gravemente che da noi. Tuttavia in vari membri della Congregazione comincia a vedersi tale premura; perciò ogni Direttore raccomandi ai propri preti il contegno decoroso nei sacri riti. Parrà cosa da poco; eppure reca grandissima edificazione ai fedeli, e poi la santità della cosa richiede così. Veramente sarebbe ufficio dei catechisti invogliare su ciò;  [62] ma per ora da noi i catechisti sono troppo giovani e di poca autorità su gli altri preti; alcuni sono ancora chierici. Perciò il Direttore si prenda per ora questa incombenza e procuri che sia in incessu, sia in recessu, sia nelle cerimonie della Messa si proceda con molta gravità. - Un altro biasimo con invito a correggersi e a correggere toccò a coloro che, nel dire le preci andando e venendo dall'altare, nel far la preparazione. o il ringraziamento, nel recitar il breviario borbottavano.

 

                Che brutto modo di pregare! e che disturbo per i vicini!

 

                5° Il dare alle stampe. Un articolo del Regolamento diceva: “Non si faccia stampare nulla senza il consenso del Capitolo Superiore”. Per l'osservanza si vide la necessità di designare un membro di esso Capitolo, che avesse l'incarico di dare questo consenso. Non agisse però di suo arbitrio, ma ne riferisse ai Capitolari e rivedesse egli medesimo il lavoro o lo facesse rivedere da persona competente. L'ultima parola in proposito si volle riserbata a Don Bosco.

 

                6° Copie di nostre edizioni alle case. Vigeva la consuetudine che dei libri stampati a conto nostro si mandassero due copie in ogni collegio, non però dei libri stampati a conto di autori estranei. Delle Letture Cattoliche si continuasse a mandare una copia a ogni Confratello; della Biblioteca dei classici un numero di copie bastante ai professori.

 

                L'annunzio che alle ore cinque pomeridiane vi sarebbe stata la conferenza generale presieduta da Don Bosco pose termine alla riunione.

 

                Fu questa una solennissima tornata, a cui parteciparono tutti i confratelli dell'Oratorio, compresi gli ascritti e gli aspiranti, in numero di centocinquantasei. Si adunarono nella chiesa di san Francesco. I Capitolari e i Direttori sedevano in circolo entro il presbitero, rivolti al resto dell'assemblea; Don Bosco stava -nel mezzo, ai piedi dell'altare. Aperse egli la seduta dicendo: - Miei cari fratelli, eccoci radunati secondo l'usanza degli anni scorsi in occasione di questa festa di san Francesco di Sales, per conoscere l'andamento  [63] sanitario, materiale, scientifico ed anche morale di ciascuna casa della nostra Pia Società; il che ci verrà esposto dai singoli Direttori delle case, che qui si trovano presenti. Sarà primo a parlare il Direttore della casa più antica, quindi gli altri secondo l'ordine di anzianità delle case: poi si darà relazione dell'Oratorio. Io in ultimo parlerò non di qualche casa in particolare, ma dell'andamento della Congregazione e delle cose principali avvenute in quest'anno, che furono tante. Abbia la parola il Direttore di Borgo S. Martino. -

 

                Don Giovanni Bonetti disse che il suo collegio era troppo ristretto, per il gran numero di domande che si ricevevano. Nessun infermo fino allora in casa. I confratelli aver bisogno di freno nel lavoro, poichè i medesimi professori regolari volevano alla sera occuparsi anche delle ripetizioni; tante fatiche venir coronate da più vocazioni allo stato religioso ed ecclesiastico, che erano il frutto di fiorenti Compagnie. Le scuole comunali, affidate ai Salesiani, essersi per i buoni risultati guadagnata la fiducia delle famiglie e delle autorità locali; gli scolari- sommare a 130. Essendo caduta inferma la maestra comunale, le nostre Suore (così si diceva allora) dalla casa che avevano aperta l'anno antecedente nel collegio, andavano a far scuola alle ragazze con immenso piacere della popolazione, la quale bramava che l'istruzione femminile passasse definitivamente nelle loro mani. In collegio poi le Suore, con la diligenza nel custodire le biancherie, rendevano contentissimi i genitori e con le preghiere contribuivano al buon andamento del collegio; infatti la frequenza dei Sacramenti, la moralità e lo studio vi fiorivano a segno che bisognava ringraziarne il Signore. Finì raccomandando la propria casa alle orazioni dei confratelli.

 

                Don Giovanni Battista Lemoyne, levatosi dopo di lui, rese buona testimonianza ai suoi confratelli del collegio di Lanzo, sia perchè formavano un cuor solo e un'anima sola, sia perchè la loro operosità permetteva a lui pure di asserire, che anche a Lanzo si lavorava, e si lavorava molto. [64] Da due anni i giovani vi godevano perfettissima salute, il che sembrava da attribuirsi a due precauzioni: alla sera dopo cena s'impediva ai giovani di bere acqua e si obbligavano a far ricreazione sotto i portici. Gli alunni interni erano 220 e gli esterni 130, i quali ultimi frequentavano le nostre scuole comunali e perciò anche la congregazione festiva. Mancava per l'oratorio un luogo di ricreazione; ma ci pensava il vicario Albert, preparando una cappella. Tre sacerdoti andavano a dire la Messa nelle chiese del paese. Dell'ottimo andamento morale e religioso del collegio, il Direttore ringraziava i Superiori per l'eccellente personale, di cui lo avevano fornito.

 

                Don Giovanni Battista Francesia riferì sul suo collegio di Varazze. Sanità dei suoi giovanetti invidiabile, sufficiente lo studio, vivo lo spirito di pietà, animatissima la ricreazione. La casa conteneva quanti giovani vi potevano capire, cioè 130; molte domande essersi dovute respingere. Fiorenti le scuole comunali tenute dai nostri e le scuole serali per gli adulti. Nell'oratorio di san Bartolomeo mattino e sera si teneva congregazione per i ragazzi non studenti, gli studenti esterni avevano per oratorio festivo la cappella dell'Assunta. Don Francesia fece grandi elogi del suo personale, che raccomandò alle preghiere dei confratelli.

 

                Don Francesco Cerruti parlò del collegio e liceo di Alassio. Quelle scuole civiche erano frequentate da 500 giovani, dei quali 160 convittori, quanti i locali ne potevano contenere. Dell'andamento materiale e morale egli non aveva che da lodarsi; ma deplorò il guasto che facevano nei giovani le vacanze. Era cosa da rimanerne atterriti: modelli di pietà e moralità essere ritornati in collegio aborrenti da ogni cosa di chiesa. Vista l'insufficienza dei mezzi umani, egli era ricorso alla preghiera, e ne aveva toccata con mano l'efficacia: nelle novene dell'Immacolata e del Natale essergli riuscito di svegliare il fervore e avviare tutte le Compagnie, sicchè finalmente la pietà rifioriva con la frequenza dei Sacramenti. [65] Concluse essere buono lo spirito dei confratelli, i giovanetti esterni frequentare l'oratorio festivo, amarsi grandemente dagl'interni lo studio, e nutrirsi speranza che, come già nell'anno antecedente, così anche in quello alcuni avrebbero abbracciato la carriera ecclesiastica; sperar egli ancora che grazie alle preghiere dei confratelli si sarebbe mantenuto vivo nella casa di Alassio il fuoco della carità e dello zelo per la salute delle anime.

 

                Don Francesco Dalmazzo era lieto di annunziare che nella sua casa di Valsalice i giovani erano cresciuti da 30 a 60 ma non potersi pareggiare le uscite con le entrate, a motivo degli stipendi che si dovevano pagare a professori esterni. Studio, pietà, frequenza dei Sacramenti, Compagnie, lavoro dei Salesiani non lasciar nulla a desiderare; quanto alla sanità, fino allora nessuno infermo. - Sia ringraziato il Signore, esclamò, che probabilmente quest'anno ci prepara qualche vocazione.

                Don Paolo Albera narrò che a Sampierdarena l'edificio era ultimato e che era tanto vasto da potervisi duplicare i 120 giovani d'allora. Si lavorava e si studiava molto; della sanità non c'era da essere malcontenti, nonostante la posizione della casa, esposta a vento continuo. Il contegno dei confratelli e dei giovani aver tratto già all'ovile qualche pecorella smarrita, ossia qualche settario della città; la popolazione veder bene i Salesiani. Alcuni confratelli andar a fare catechismo domenicale in varie chiese; molti giovani esterni frequentare la casa, ai quali s'insegnava la dottrina cristiana nelle scuole, donde poi si conducevano in chiesa per la benedizione. I Figli di Maria Ausiliatrice erano 30.

                - Pregate, disse, perchè la nostra casa possa produrre frutti abbondanti di cristiana carità.

 

                Don Giacomo Costamagna, che dirigeva le Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese, intrattenne gli uditori sui rapidi progressi di questa istituzione: vero grano di senapa che cresceva in grande albero. Le Suore superavano già il centinaio [66]; le domande di accettazione erano continue, per sostenersi però avevano bisogno di aiuto dall'Oratorio. Per umiltà e spirito di abnegazione quelle buone figlie potevano servire di modello; si prevedeva che sarebbero state ausiliari preziose anche nelle Missioni. Purtroppo la sanità lasciar molto a desiderare; due di esse versare in fin di vita. La comunione ogni mattina si poteva dir generale. Oltre a 35 le educande; aversi inoltre le scuole femminili del comune. Anche le maschili erano affidate a un Salesiano. Monsignor Sciandra aveva in quei giorni approvate le regole dell'Istituto. In ultimo raccomandò specialmente se stesso alle preghiere di tutti.

 

                Don Giuseppe Ronchail, Direttore dell'ospizio di Nizza mare, lamentò l'angustia delle sue condizioni. In tutto, nove persone, cioè cinque giovani, due chierici, il cuoco e il Direttore.1 giovani essere tanto pochi per causa delle leggi francesi. Chiunque volesse insegnare un'arte a un giovane, doveva procurare ch'egli imparasse a leggere e a scrivere. Al sacerdote straniero prima di poter insegnare il latino occorreva un biennio di dimora in Francia. Ogni prete non poteva avere più di quattro scolari. Come dunque far scuola e aver giovani? Per poter raccogliere alla domenica i giovani e insegnar loro il catechismo e per esser autorizzati a tenere in casa alcuni ragazzi e far loro scuola, i Salesiani ricorsero al Prefetto protestante, che solamente dopo reiterate istanze accordò loro quanto domandavano. Si temeva che i nostri covassero intendimenti politici, favorissero cioè sotto sotto le mene di coloro che caldeggiavano la riunione di Nizza all'Italia. Furono perciò esaminati ben bene su quel punto. Un commissario, andato a fare un po' di perquisizione e trovati i giovani in cortile, e il Direttore obbligato al letto, riferì che non vi si faceva scuola. Ed ecco di lì a pochi giorni arrivare dal Prefetto la licenza per iscritto, nella quale si diceva che, visto il bene arrecato alla città e data l'assenza di scopo politico, si concedeva di fare scuola e catechismo. [67] In Francia, disse Don Ronchail, si lavora molto alla domenica; ma la legge in questo giorno vieta di far lavorare i fanciulli sotto i sedici anni. Il Prefetto è disposto a far osservare meglio questo articolo di legge, e la popolazione ed anche le autorità sono contente di noi. Della nostra casa alcuni parlano male, altri dicono bene, altri sono indifferenti. Molti ci hanno promesso di aiutarci; ma noi non dobbiamo sperare negli uomini, sibbene nel Signore. Ci raccomandiamo alla preghiere di tutti, perchè Nizza ha molto bisogno di chi le faccia del bene.

                Come Don Ronchail ebbe finito, prese la parola il Beato.

 

                Poichè già l'ora è avanzata assai e fra alcuni minuti suonerà il campanello per andare in chiesa, mi limiterò questa sera a dire una cosa di grande importanza, mentre della Casa di Torino, dell'Oratorio, si parlerà domani a sera, radunandoci alla stessa ora di oggi. Ciò che io desidero raccomandare in questa sera a tutti i Direttori si è, che, ritornando alle loro Case, insegnino ai confratelli ed ai giovani il modo di fare le lettere. Purtroppo non si sanno scrivere bene e chi le legge ed esamina, non rende il meritato biasimo al solo individuo, ma lo versa tutto sull'intiera Congregazione. Non dico questo perchè in generale si sia osservato tale difetto nelle lettere ricevute, ma perché si devono prevedere gl'inconvenienti.

 

                Lo scriver lettere è cosa di maggior importanza che non appaia a prima vista; poichè molti si fanno buona o cattiva opinione della casa solo da questo, cioè esaminando le lettere che partono da questa casa o dagli individui della nostra Congregazione; e la lode o il biasimo che si merita un individuo, per lo più si riversa su tutta la casa e la Congregazione, quasi che da noi non si sappia insegnare a far una mezza letterina.

 

                Si badi adunque sempre che nelle lettere non solo. sia buona la materia, ma anche la forma; che cioè le cose che si vogliono dire siano bene espresse. Ciascuno si faccia premura di scansare non solo gli errori di grammatica, ma anche quelli di ortografia. La scrittura poi dev'essere. sempre bene intelligibile; poichè avviene alle volte che non si riesce a farsi capire da colui a cui si scrive, e questa è una vera sgarbatezza.

 

                Nel fare una lettera si ponga primieramente in alto il luogo di dove si manda, il giorno, il mese, l'anno, e non si metta tra il titolo e lo scritto.

 

                Non si incominci subito la lettera dicendo per esempio: Carissimo amico, ti faccio sapere ecc., tutto di seguito, sulla stessa linea; ma si  [68] metta il titolo in una linea di sopra, e quindi più a basso s'incominci la lettera.

 

                Un'altra cosa che mi pare anche di moltissima importanza, è il conoscere bene i titoli che si debbono dare alle diverse classi di persone; che in principio della lettera il titolo si metta intiero e non abbreviato e si metta in alto del foglio, piuttosto verso sinistra. La data più alta del titolo, ma dalla parte destra; e se si mette in fondo alla lettera, allora dalla parte sinistra del foglio. Se si scrive a persone altolocate, non bisogna incominciare la lettera in cima al foglio, ma lasciare metà del foglio bianco. Così pure la sottoscrizione va fatta in basso, in fondo al foglio, lasciando in bianco la parte del foglio che resta tra il corpo della lettera e la sottoscrizione, la quale va sempre posta verso destra. Invece le parole di V. S. Illustriss. vanno sempre verso sinistra, appena finita la lettera. La conclusione mi dico ecc. sempre andando a capo.

 

                Queste ed altre piccole cose di simil genere io le credo di grande importanza, specialmente per i chierici e i soci della nostra Congregazione.

 

                Perciò raccomando nuovamente ai Direttori che, ritornati nelle loro Case, insistano su questo punto, anche coi giovani alle loro cure affidati. Osservato accuratamente, finisce con fare molto bene.

 

                I Direttori delle case e i sacerdoti dell'Oratorio, appena potevano, attorniavano in quei giorni il Servo di Dio. Egli dal canto suo profittava di ogni momento per sentire a parte uno a uno i Direttori e dare così norme individuali secondo i casi. Tutto ciò lo consolava intimamente, compensandolo dei tanti disgusti che i lettori non ignorano.

 

                La sera 2 febbraio, secondo giorno delle conferenze, parecchi sacerdoti, dopo la cena, conversando familiarmente con lui, toccarono il tema dello storiografo, di cui si era trattato nella seduta pomeridiana del giorno innanzi. L'importanza di stabilirlo non isfuggiva a nessuno Il Beato allora espose ampiamente il suo pensiero, dicendo cose notevoli, che Don Barberis introdusse nella sua piccola cronaca e che ci sembra utile trasportare qui di peso. Don Bosco avrebbe parlato così:

 

                Quel che è più pressante, e che sarà bene fare al più presto, si è che ogni Direttore scriva sommariamente la storia del proprio collegio, dalla sua fondazione fino al presente, e andando avanti registrare in [69] forma di cronaca o di annali tutte le cose più importanti, che nel suo collegio avvengono. Nello stendere la prima parte che riguarda il passato, è da notarsi specialmente la data della fondazione, lo sviluppo ed ingrandimento successivo di fabbricato, il numero dei giovani progressivamente crescente anno per anno, qualità dei giovani, bontà, frequenza ai Sacramenti, moralità. Anno per anno chi si vestì da chierico, chi entrò a far parte della Congregazione. Quali relazioni vi furono colle autorità municipali del paese e colla popolazione. Poi delle scuole esterne, serali ed oratorio festivo ecc., notando, per quanto si può, le cause che produssero gli effetti, quale mezzo siasi adoperato per ottenere questo e quello, quali difficoltà vi fossero da superare e come si siano superate.

 

                E poi di mano in mano, anno per anno, registrare tutte le cose nel modo che ho detto, col numero dei giovani, con l'epoca dell'apertura e della chiusura delle scuole, fermandosi specialmente a notare la quantità e la qualità del personale che s'impiega per ogni collegio, ecc. ecc.

 

                Anno per anno poi ciascun Direttore faccia riportare questa cronaca in un altro gran libro, ben ricopiata, e questa copia starà sempre negli archivi di quel collegio, e l'originale o un'altra copia, mano a mano che un quaderno è finito, si manderà a Torino, affinchè i Superiori conoscano bene l'andamento di tutti i collegi e possano avere una norma ed una storia di tutta la Congregazione.

 

                Io ho già scritto sommariamente varie cose che riguardano l'Oratorio, dal suo principio fino ad ora, ed anzi fino al 1854 molte cose le ho scritte in disteso. Nel 1854 entriamo a parlare della Congregazione. e le cose si allargano immensamente e prendono un altro aspetto. Ho pensato che questo lavoro servirà molto per quelli che verranno dopo di noi, e a dare maggior gloria a Dio, e perciò procurerò di continuare a scrivere. A questo punto non si deve più aver riguardi nè a Don Bosco nè ad altro.

 

                Vedo che la vita di Don Bosco è al tutto confusa nella vita della Congregazione; e perciò parliamone. C'è bisogno per la maggior gloria di Dio, per la salvezza delle anime e pel maggiore incremento della Congregazione, che molte cose siano conosciute. Perchè, diciamolo ora qui tra di noi, le altre Congregazioni ed Ordini religiosi ebbero nei loro inizii qualche ispirazione, qualche visione., qualche fatto soprannaturale, che diede la spinta alla fondazione e ne assicurò lo stabilimento; ma per lo più la cosa si fermò ad uno o a pochi di questi fatti. Invece qui tra noi la cosa procede ben diversamente. Si può dire che non vi sia cosa che non sia stata conosciuta prima. Non diede passo la Congregazione, senza che qualche fatto soprannaturale non lo consigliasse; non mutamento o perfezionamento, o ingrandimento che non sia stato preceduto da un ordine del Signore. E qui perciò giudico bene che si lasci l'uomo. Ed a me che importa che di questo parlino in bene od in male? Che m'importa che gli uomini mi giudichino [70] più in un modo che in un altro? Che dicano, che parlino, poco monta per me; non sarò mai nè più nè meno di quello che sono al cospetto di Dio. Ma è necessario che le opere di Dio si manifestino. Noi, per esempio, avremmo potuto scrivere tutte le cose che avvennero a noi prima che avvenissero e scriverle minutamente e con precisione. E varie cose le aveva già scritte per mia norma e conforto.

 

                Terzo giorno: seduta mattutina, sotto la presidenza di Don Rua. Si riaperse la discussione sulle note spiegative del Regolamento. Spigoliamo anche qui sei cose più degne di nota.

 

                1° Merenda dei chierici. Conveniva lasciare ai chierici libertà di far merenda o era meglio che se ne astenessero? Si ritenne che Don Bosco propendesse per il no, sebbene non si fosse mai pronunziato esplicitamente. In una conferenza agli ascritti, raccomandando loro di non mangiare nè bere fuori pasto, aveva detto: - Se l'appetito lo richiede, fate pure liberamente la vostra merenda; ma... - Il Capitolo per altro lasciò la cosa in ponte, pur osservando non esservene bisogno, perchè il vitto che si dava a pranzo era sufficiente, tanto più che non costumavasi in nessun Ordine religioso o Congregazione far merenda. Tuttavia alcuni dispareri non si appianarono.

 

                2° Ufficio del catechista. Qui la discussione straboccò. L'argomento era delicato. Il catechista non doveva essere il direttore dei chierici? non era la seconda autorità. del collegio? non aveva nelle cose spirituali potere analogo a quello del prefetto nelle cose materiali? D'altra parte nei collegi i catechisti solevano essere troppo giovani, e d'ordinario compagni di alcuni chierici; quindi mancava loro l'autorità necessaria. Parve miglior consiglio stabilire che per i confratelli esercitasse il Direttore l'ufficio di catechista. E' vero che per quest'ufficio vi era sempre pericolo di malumori fra il Direttore e un confratello; ma allo stato delle cose non si vedeva altra via di uscita. Col tempo, avendosi soggetti maturi in maggior numero, si sarebbe provveduto a tale inconveniente. [71]

                3° Ingresso nelle camere altrui. Il Regolamento lo proibiva. Per la pulizia delle celle dunque ognuno provvedesse alla sua da sè, fatta eccezione del Direttore e del prefetto, che non ne avevano il tempo e dovevano ricevere visite nelle proprie camere. Ma Direttore e prefetto si facessero servire da un coadiutore, non da un giovane. Riguardo a Valsalice, dove i letti degli alunni venivano rifatti dai servi, costoro rassettassero pure le celle dei chierici, perchè altrimenti il chierico sarebbe stato in condizione di umiliante inferiorità a petto dei giovani.

 

                4° Testo di religione. Per il liceo e per il ginnasio superiore occorreva adottare un manuale di soda istruzione religiosa. Allora non se ne trovò altro che rispondesse allo scopo come il libro del canonico Giovannini; infatti quest'opera combatteva con forti argomenti gli errori del giorno e spiegava a dovere i dogmi novellamente definiti.

 

                5° Abiti e calzature. Un articolo diceva: “Nessuno abbia più di due vestimenta o paia di scarpe”. Alcuni lo trovarono un po' restrittivo; altri invece lo dicevano convenientissimo anche per chiudere la porta a certi abusi. Lo lasciarono come stava.

 

                6° Registretto personale del Direttore. Un altro articolo voleva che il Direttore tenesse un piccolo registro separato, dove notare per conto suo tutte le spese. Non sembrava un duplicato superfluo? In prefettura c'era il registro generale delle entrate e delle uscite, e poteva bastare. Ma Don Rua dimostrò la necessità di questo libretto, anche per isgravio di responsabilità nei conti particolari. Con questo si finì la seduta.

 

                Il giorno innanzi, essendo festa della Purificazione, le funzioni di chiesa avevano obbligato a troncare la conferenza generale; questa dunque si riprese nel pomeriggio del 3 febbraio con l'intervento di tutti i professi, novizi e aspiranti dell'Oratorio, che di bel nuovo si unirono nella chiesa piccola di san Francesco, [72] Primo a parlare sorse Don Luigi Guanella, Direttore dell'Oratorio esterno di san Luigi a Porta Nuova. Vi accorrevano 250 giovanetti, poveri, di buon cuore, assidui alle funzioni domenicali. La Compagnia di san Luigi, qualche regaluccio una volta al mese, qualche passeggiata avevano una grande attrattiva per loro, giovando assai per animarli al bene. Il Direttore avrebbe desiderato che i buoni catechisti, studenti e artigiani, mandatigli dall'Oratorio di san Francesco, si esercitassero a spiegare in modo piano alcune delle principali difficoltà, affinchè fossero pronti a render ragione, quando i ragazzi la domandavano.

 

                Don Domenico Milanesio, Direttore dell'oratorio esterno di san Francesco, sciorinò una mezza conferenza. Il suo oratorio comprendeva tre classi di giovani: studenti, artigiani e quei che lo frequentavano soltanto alla domenica. Gli studenti avevano le scuole diurne e gli artigiani le serali. In chiesa si continuavano le stesse funzioni che una volta vi faceva Don Bosco. Ogni domenica le comunioni oscillavano fra 150 e 200, per merito dello zelo e della pazienza di alcuni sacerdoti della casa. Coltivavansi specialmente la Compagnia del piccolo clero e quella di san Luigi. Ogni settimana in apposita conferenza si leggevano e si spiegavano ai catechisti alcune regole dettate dall'esperienza sul modo di conoscere i giovani e di prenderli per il loro verso. Egli ne rilevò specialmente tre:

 

                1° Dividere il catechismo nelle sue parti e insegnare ai piccolini le cose strettamente necessarie; per i più grandicelli accrescere le cognizioni di mano in mano che progredivano in loro l'età e l'intelligenza, sicchè un giovane a un dato termine potesse conoscere e sapere tutto il catechismo.

 

                2° Per ottenere il silenzio in chiesa, il catechista si movesse poco dal proprio posto, parlasse piano, correggesse piano e invece di mandare fuori della chiesa o di porre in ginocchio il disturbatore, lo lasciasse dov'era, e poi lo consegnasse [73] al Superiore, che avrebbe saputo dargli le convenienti ammonizioni.

 

                3° Erasi anche sperimentato quanto giovasse radunare i giovani vicino alla porta della chiesa prima di farli entrare. Ma i catechisti si trovassero già ai loro posti per riceverli. Entrando in chiesa si cantasse una lode sacra, per coprire così i rumori affatto inevitabili.

 

                Alle scuole diurne erano inscritti 120 alunni, che non tutti vi si recavano con assiduità per incuria dei parenti. Da quando però, messi in ordine i registri, si facevano conoscere ai parenti le assenze dei figli, essi ne vigilavano un po' più la condotta. Una sessantina si confessava ogni sabato, cinque o sei si accostavano alla sacra Mensa tutte le domeniche.

 

                Gli artigiani delle scuole serali erano molto buoni; avevano cominciato il loro anno scolastico con una cinquantina di comunioni. S'insegnavano loro catechismo, lettura, scrittura, aritmetica e canto. Ogni settimana s'insisteva, perchè venissero a confessarsi. - Sembra cosa noiosa, disse Don Milanesio; ma si è provato, che ciò arreca loro grandissimo bene.

                Nelle principali solennità le comunioni dei giovanetti arrivarono a trecento.

 

                Don Milanesio chiuse il suo discorso con un ringraziamento e una preghiera. Rese grazie cordiali ai Superiori per gli aiuti materiali, con cui sovvenivano l'oratorio festivo, e caldamente li pregò di volerlo tenere sempre sotto il loro patrocinio diretto, confortandolo anche con le loro orazioni.

 

                Finalmente venne la volta dell'Oratorio interno. Sarebbe spettato a Don Giuseppe Lazzero di riferire, perchè quell'anno egli, e non più Don Rua, vi faceva da vicedirettore. Se non che per mozione di lui medesimo il Capitolo Superiore nella tornata del 27 gennaio aveva consentito che continuasse Don Rua a fare il resoconto della casa madre.

 

                Ecco in breve la sua relazione, divisa in quattro parti,  [74] quante erano le categorie di persone che componevano l'Oratorio.

 

                1° Membri della Congregazione. Progredivano nel vero spirito religioso e nella carità; il che dovevasi attribuire alla maggior regolarità nell'esercizio mensile della buona morte, nella meditazione quotidiana alle ore 5 per gli uni e alle ore 9 per gli altri, nella lettura spirituale del pomeriggio e nella lettura costante a pranzo e a cena.

 

                2° Ascritti. Quell'anno vivevano separati dal resto della casa: cortile, refettorio, chiesa, camera, studio, tutto avevano a parte. Erano sui sessanta, numero non mai raggiunto per l'addietro. Se ne speravano buoni frutti. Ardeva in essi lo zelo per il bene proprio e del prossimo.

 

                3° Studenti. Numerosissimi e buoni. Esito degli esami non poco soddisfacente sia nell'Oratorio che fuori. Il loro spirito di pietà si manifestava nelle opere. In molti erasi raggiunto lo scopo, che si prefigge la nostra Congregazione: di 45 alunni dell'ultima classe ben 40 avevano indossato la veste chiericale, somministrando ai Salesiani un largo contingente per poter estendere le lor fatiche anche fuori dei nostri paesi. Contributo efficace l'avevano dato le Compagnie; quella dell'Immacolata però lasciava alquanto a desiderare per la regolarità delle conferenze. Essa consideravasi come l'ultimo gradino, dopo il quale si entrava in Congregazione.

 

                4° Artigiani. Cose assai assai consolanti. Regolarità maggiore che non negli anni antecedenti; scuole bene ordinate; catechisti zelantissimi nell'insegnar loro le verità della religione; assistenti unanimi nel promuovere fra essi la pietà e la carità.

 

                - Io spero, disse Don Rua, che ottimi e non pochi saranno i frutti ottenuti; ma per questo bisogna risolversi a vincere e a rinnegare la propria volontà. Ciò non dico, perchè tra noi faccia difetto questo spirito di sacrificio; ma perchè senza di questo poca efficacia possono avere le nostre fatiche, e poco merito e bene arrecare a colui che le fa. [75] Dietro l'esempio di tutti gli altri, raccomandò la propria casa alle preghiere comuni.

 

                Terminate così le relazioni dei singoli Direttori, il Beato prese a parlare e pronunziò questo, per più capi, importantissimo discorso.

 

                Dai rendiconti dei singoli collegi, case, oratori esposti ieri e quest'oggi noi dobbiamo trarre argomento di rallegrarci e di ringraziare molto e molto il Signore, perchè volle che tutte le cose nostre andassero bene e che fossero soddisfatti i nostri desideri. Le case nostre sono tutte piene di giovani, anzi di buoni giovani, ed i confratelli sono grandemente animati a far loro del bene: bene letterario, bene morale. In tutto vi è un sempre progressivo miglioramento.

 

                In ciò che si disse però, si lasciò di accennare a parecchie case qui in Torino dirette dalla Società nostra. Non si è ancora parlato dell'oratorio di san Giuseppe, ove alcuni nostri confratelli si recano tutte le domeniche e nella quaresima pel catechismo, non badando alla lunghezza del cammino ed alle intemperie delle stagioni. Ivi le cose vanno molto bene, sia per la cura che essi si prendono dei poveri giovani, sia pel benemerito sig. Uccelletti, fondatore, proprietario, mantenitore, catechista di quell'oratorio e vigilante assistente dei giovanetti più indisciplinati e più discoli. Vi è eziandio la famiglia di san Pietro in Borgo san Donato e il laboratorio san Giuseppe qui vicino a noi, alle quali opere prendono parte i nostri soci.

 

                Per esprimere ora il mio pensiero intorno alla Congregazione in generale, devo far notare che essa è in aumento sia nel fondare continuamente nuove case, sia nell'accrescimento dello spirito religioso. Questo ci deve animare a raddoppiare i nostri sforzi e le nostre fatiche, vedendole così benedette dal Signore. In quanto al numero degli aggregati alla Congregazione, ringraziando sempre il cielo, la cosa è molto soddisfacente. Sono già 330 gli individui che la compongono, secondo che si ricava con precisione dal catalogo che in questi giorni si va stampando. Di essi 112 si sono legati coi voti perpetui, 83 coi triennali. Gli ascritti sono in numero ben grande ed anche vi sono vari aspiranti.

 

                Vi è pure un altro Istituto religioso che molto ci aiuta, istituto per aver cura delle ragazze, come noi ci impieghiamo a far scuola ai ragazzi. E' l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, unito alla nostra Congregazione, che conta oltre a 100 religiose. Queste sommate coi nostri confratelli dànno il totale di 450 persone che militano per la maggior gloria di Dio e per la salute delle anime, animate dallo stesso spirito, sotto la stessa direzione e la stessa bandiera. Queste Suore oltre alla casa madre che è a Mornese nella diocesi d'Acqui, ne hanno un'altra a Borgo S. Martino ed in quest'anno si preparano ad estendere [76] il volo in vari altri luoghi. Verranno tra poco qui a Torino ad aprir scuola in faccia alla chiesa di Maria Ausiliatrice ed a prendersi cura delle tante ragazze abbandonate di questi dintorni: ragazze bisognose e pel corpo, perchè molte volte stanno tutto il giorno fuori di casa e quasi senza vitto, non potendo i genitori provvederlo, e per la moralità, essendo esposte ad ogni sorta di pericoli, senza avere nè guida, nè istruzione che le salvi. Un'altra casa per le Suore si sta preparando ad Alassio, attigua al collegio, la quale non si può ancora aprire di questi giorni, mancando qualche lavoro accessorio da ultimarsi presto. Questa casa si potrà aprire certamente nel mese di marzo.

 

                Ai 10 di questo stesso mese ne apriremo un'altra a Bordighera, Torrione Valle Crosia, paese costrutto improvvisamente come per incanto ed ora molto esteso. In antico non vi era alcuna casa in questo luogo, tutto coltivato ad olivi. Solo da poco tempo si incominciò per ragioni di commercio, di agricoltura e di villeggiatura, a costrurre. alcune case e poi altre ed altre, sicchè ora è un borgo popolatissimo. I protestanti, scorgendo quel luogo molto atto alle loro mire, non essendovi nè chiese, nè preti, nè scuole, vi fissarono la loro sede principale. Quindi incominciarono ad aprire scuole per i ragazzi e le ragazze, asili, collegio misto; a dar libri e premi di ogni fatta e cercar modo di pervertire quella popolazione, la quale, non avendo scuole cattoliche da mandarvi i fanciulli, li mandò a quelle dei protestanti attirata specialmente dal danaro, dai premi e dalle sollecite cure che pel corpo e per l'istruzione quelli si prendono. Quindi grande è il guasto nel popolo e specialmente nella gioventù, cagionato dalle false dottrine. Grande era la difficoltà da superarsi per opporre un argine a tanto male. Già dall'anno scorso si combinò col Vescovo di aprir noi una scuola cattolica ed una chiesa in quella località. Ed ora la casa è già pronta e fra pochi giorni partirà D. Cibrario destinato direttore con qualche Salesiano per incaricarlo delle scuole maschili e alcune figlie di Maria Ausiliatrice per fare scuola alle ragazze. Insegneranno il catechismo ai giovani ed alle ragazze e intanto il Direttore potrà fare qualche sermone al popolo, spargere per tutto quel paese la parola di Dio ed impedire che la gente si avveleni, bevendo l'acqua putrida dell'errore protestante. E l'oratorio festivo è lo scopo principale che ci conduce al Torrione.

 

                Un altro progresso fece la nostra Congregazione in quest'anno ed è il volo preso per l'America. Là eravamo molto cercati e desiderati e le ultime notizie inviateci dai nostri Missionari ci annunziano di essere giunti a Buenos Aires e di essere stati accolti con onore e rispettati ed amati molto. Il lavoro che c'è da fare in quei luoghi è immenso, il campo è molto ampio,- ma non importa: si lavora con molto frutto. Predicano, confessano e si adoperano continuamente pel bene delle anime. Amministrano la chiesa della Misericordia degli Italiani e hanno inoltre attiguo ad esso un ospizio, in cui potranno ricevere i  [77] Salesiani che colà si recassero dall'Europa o che avessero da ritornare nei nostri paesi. In questa chiesa è il convegno principale degli Italiani e quivi per lo meno una volta ogni domenica si predica in italiano. Qui presero stanza Don Baccino e Belmonte e per ora anche Don Cagliero, che incominciò subito un corso d'esercizi spirituali al popolo. Se il fine corrisponde al principio, come già ci scrisse, produrrà un bene straordinario. Gli altri Salesiani diretti dal sac. Fagnano si portarono più in su verso il nord a San Nicolàs, di dove abbiamo già avute notizie ieri ed oggi. Il loro viaggio fu ottimo. Furono accolti molto bene, sono trattati magnificamente. Ora vanno visitando la città, preparano la riattazione del collegio molto spazioso secondo il nostro scopo, si vanno perfezionando nello studio della lingua spagnuola, necessaria per poter fare scuola e predicare. Colà un altro campo immenso si apre innanzi al nostro sguardo e vediamo una messe molto copiosa di anime.

 

                Inoltre in quanto alle domande di aprir case, ne abbiamo molte dalla stessa Repubblica Argentina, dall'Australia, dall'Uruguai, dal Paraguai, dalla China, dall'India, dalle Isole dell'Oceania e da moltissimi altri luoghi. Ne abbiamo dalla Francia, nella quale in quest'anno ora scorso abbiamo posto piede, aprendo la casa di Nizza. Anche in Italia ed in Piemonte è una cosa favolosa il vedere come siamo ricercati. In Torino stessa ci si aprono nuovi campi per lavorare alla maggior gloria di Dio. Ma per tutto ci vogliono dei veri Salesiani, animati dallo spirito del Signore e pronti al sacrifizio.

 

                Eziandio in quest'anno incominciò l'Opera di Maria Ausiliatrice, opera che, arenata un tantino in questi primordi per varie cause, va aumentando assai, e prendendo, come spero, proporzioni colossali farà un gran bene alla Chiesa. Finora non si è ancora potuto radunar questi giovani in un luogo separato; ma un poco per volta si farà anche questo.

 

                Abbiamo parlato del numero che in quest'anno già contiamo di confratelli e delle diverse opere esteriori che dalla nostra Pia Società si vanno compiendo. Ora converrà che io venga a dire con che spirito in generale le cose si fanno e che cosa dobbiamo da qui innanzi cercare di far noi, cioè quale è il campo del nostro lavoro. Si tratta di provvedere individui in numero straordinario e che lavorino molto, proprio molto.

 

                Se io ho da dire come vedo presentemente le cose nostre, vi posso assicurare, e lo dico persino con un po' di superbia, che sono contento. Il numero è in tale aumento progressivo, che, se non avessi gran fiducia in Dio, il quale disporrà che le cose vadano bene, io ne resterei atterrito, come in parte lo sono, nel vedere che la Congregazione quasi cresce troppo in fretta. Ciò che mi consola è il modo con cui i soci vanno acquistando il vero spirito della Congregazione; vedo realizzato quell'ideale che io mi prefiggeva, quando si trattava di radunare individui che mi aiutassero a lavorare per la maggior gloria  [78] di Dio. Vedo in generale uno spirito di disinteresse proprio eroico, uno spirito di abnegazione della propria volontà, un'obbedienza che mi commuove. E questo in quanto tempo, con quali mezzi si conseguì? Quando il mio pensiero confronta i tempi presenti coi tempi passati, la mia immaginazione ne resta schiacciata. Trentacinque o trentasei anni fa, che cosa c'era in questo sito, ove noi ora siamo radunati? Che cosa c'era? Nulla, proprio nulla! Io correva qua e là dietro ai giovani più discoli, più dissipati; ma essi non volevano saperne di ordine e di disciplina, si ridevano delle cose di religione, delle quali erano ignorantissimi, bestemmiando il nome santo di Dio, ed io non ne poteva far nulla. Quei giovani erano proprio di trivio e di piazza ed accadevano battagliuole a sassi, e risse continue. Le cose allora erano più pensieri che fatti. In questo luogo stesso e nei dintorni vi erano campi seminati a meliga, a cavoli, qualche orto, e null'altro. Una casupola, o meglio un tugurio, od una taverna sorgeva nel mezzo, miserabile al vederla di fuori, più miserabile dentro. E per soprappiù era casa d'immoralità! Un povero prete, solo, abbandonato da tutti, anzi peggio che solo, perchè dispregiato e perseguitato, aveva un vago pensiero di fare del bene, qui, proprio in questo luogo e far del bene ai poveri ragazzi. Questo pensiero mi dominava e non sapeva come mandarlo ad effetto; tuttavia non si partiva mai da me, anzi era quello che dirigeva ogni mio passo, ogni mia azione. lo voleva far del bene, fare molto del bene ma farlo qui. Sembrava allora un sogno il pensiero del povero prete, e pure Iddio realizzò, compiè i desideri di quel poveretto. E in che modo egli dispose che questo disegno s'incarnasse? Come si siano fatte le cose, io appena saprei dirvelo. Non me ne so dare ragione io stesso. Questo io so, che Dio lo voleva. Io vedo chiese edificate, erette molte fabbriche, tanti giovani raccolti, tanti preti e chierici che mi circondano, tanti Direttori di case che mi fanno corona. Come ciò? Io vedo che grandi sacrifizi si dovettero compiere, intrepidi dovettero essere coloro che mi seguivano, se non cedettero: ma dopo tutti questi sforzi, ecco che ne vediamo il frutto. Migliaia di giovani hanno il pane della parola di Dio, le Regole sono approvate, la Congregazione è stabilita, i soci sono in gran numero, lo spirito si mantiene ed aumenta. Siane gloria a Dio!

 

                Ma qui io mi sento fermare con una grande obbiezione. - Ma Don Bosco! Tutto andrà benissimo; ma intanto la parte finanziaria è in pessimo stato. Dappertutto si fabbrica, dappertutto spese enormi. Come si farà ad andare ancora avanti senza risorse? Dove prendere il danaro? Corriamo pericolo di far fallimento.

                Eh! Io debbo rispondere che se dovessi guardare solamente le cose umanamente, a ciò che sta nella palma della mia mano, sarei spinto a mettermi in testa un fazzoletto bianco, a travestirmi, andarmi a seppellire nella solitudine della Tebaide e non lasciarmi mai più vedere nella società; poichè non vedo modo di aggiustare i nostri affari con mezzi umani. Ma noi siamo soliti ad alzare gli occhi  [79] in su e confidare nella Provvidenza e la Provvidenza non ci manca. E come arguire il suo soccorso? Dalle cose che furono noi possiamo benissimo arguite le cose che saranno. Per il passato fummo assistiti dalla Provvidenza e speriamo che ci assisterà per l'avvenire. Nelle condizioni in cui ci troviamo oggi, noi ci siamo già trovati molte altre volte; anzi, possiamo dire che questa è la nostra condizione permanente. Aggiungerò: ci trovammo in casi peggiori. Ci mancò mai la Provvidenza? Mai! Noi abbiamo sempre fatto onore ai nostri affari. Se noi guardiamo indietro, non possiamo a meno che vedere un'arra certa per l'avvenire. Come si fece fin qui a progredire? Confidammo illimitatamente nella Divina Provvidenza! E questa non ci mancò mai!

 

                Neppur ora ci mancherà. Quando è che ci mancherebbe la Divina Provvidenza? In un caso! Quando noi ce ne rendessimo indegni, quando si sprecasse il danaro, quando si affievolisse lo spirito di povertà; qualora cioè le cose incominciassero a procedere male, non seguendo noi gli obblighi impostici dalla nostra vocazione. Ma finchè io vedrò ciò che ora vedo, che si fanno sacrifizi da ogni parte, e sforzi per economizzare in ogni maniera, che il lavoro è grande e disinteressato, no, statene certi, la Provvidenza non ci mancherà mai. Non abbiate alcun timore. Le nostre sorti le abbiamo lasciate in mano di Dio e tutte furono condotte al termine sospirato.

 

                Tuttavia, mentre noi ci appoggiamo ciecamente sulla Divina Provvidenza, raccomando a tutto potere l'economia. Risparmiamo quanto si può, risparmiamo in ogni modo: nei viaggi, nelle vetture, nella carta, nei commestibili, negli abiti. Non si sprechi nè un soldo, nè un centesimo, nè un francobollo, nè un foglio di carta. Io ciò raccomando caldamente a ciascuno di voi e specialmente agli assistenti, ai professori e a tutti gli altri; che procurino di fare e di far fare ai loro sudditi ogni risparmio conveniente, ed impedire qualunque guasto, del quale si avvedano.

 

                Nello stesso tempo si cerchi ogni modo per eccitare la carità degli altri verso di noi, con pie industrie e con esortazioni. Il Signore dice: Aiùtati che io ti aiuto. Bisogna che noi facciamo ogni sforzo possibile; non si deve aspettare l'aiuto della Divina Provvidenza stando noi neghittosi. Essa si moverà, quando avrà visti i nostri sforzi generosi per amor suo.

 

                Ma bisogna che facciamo buon uso della carità che gli altri ci faranno. Non dobbiamo cercare di rendere la nostra vita più agiata, ma seguir il detto di san Gerolamo: Habens victum et vestitum his contentus ero. E niente di più.

 

                Se noi facciamo così, il Signore non ci mancherà mai. Guardate: se noi avessimo voluto fare tutti calcoli preventivi ed esatti per le spese della spedizione in America e per fare ciò che si chiama l'impianto della Congregazione in quei paesi, avremmo dovuto, anche procedendo con grande economia, mettere in bilancio un centomila  [80] lire, ed anche un trecentomila, se si fosse voluto pensare a tutte le minutezze ed alle eventualità. Noi questi calcoli non li abbiamo fatti, e si disse solamente: - E' maggior gloria di Dio quello che facciamo! E' Dio che richiede da noi che si parta, è Dio che vuole che si vada.

                Ebbene? Si pregò, si chiese la benedizione del Santo Padre, e i mezzi ci furono somministrati, e nulla mancò a coloro che partirono e nulla a noi. Perciò stupiti dobbiamo esclamare: - Tutti questi sono fatti straordinari della Divina Provvidenza, anzi fatti miracolosi, che ci dimostrano volere il Signore servirsi di noi per i fini delle sue misericordie.

                Ed ora che cosa potremo fare noi per corrispondere a tanta bontà della Divina Provvidenza? Ecco! La Società è costituita, le nostre Regole sono approvate. La gran cosa che dobbiamo fare si è di adoperarci a praticare in ogni modo le Regole ed eseguirle bene. Ma per praticarle ed eseguirle è necessario conoscerle e perciò studiarle. Ciascheduno si faccia un dovere di studiar le Regole. Ora non ci troviamo più come nel tempo passato, quando non le Regole, ma la sola Congregazione era approvata, e quindi si andava avanti con un governo tradizionale e quasi patriarcale Non sono più quei tempi. Bisogna tenerci fissi al nostro codice, studiarlo in tutte le sue particolarità, capirlo, spiegarlo, praticarlo. Tutte le nostre operazioni dirigerle secondo le Regole.

 

                I Direttori, giunti alle loro case, facciano conoscere meglio ai loro dipendenti, e colla massima sollecitudine, le nostre Costituzioni. A queste si dia tutta l'autorità e quella autorità suprema che realmente hanno. E’ la maestà delle leggi! Queste facciano imparare e capire, interpretandole colla carità e colla bontà dei modi.

 

                In ogni circostanza, invece di appellarsi ad altre autorità, si porti quella delle Regole: - Le Regole dicono così: le Regole sciolgono la questione in questo modo; tu vorresti far questo, ma le Regole lo vietano; tu vorresti astenerti da quello, ma le Regole lo comandano.- E nelle conferenze, nelle esortazioni, in pubblico, in privato, si promuova molto l'osservanza e l'autorità della Regola. In questo modo il governo del Direttore può mantenersi paterno, quale da noi si desidera. Facendo sempre vedere che non è esso Direttore che vuole questa o quell'altra cosa, che proibisce, o consiglia, ma è la Regola, il subalterno non potrà avere appiglio alcuno per mormorare o disobbedirlo. In una parola: l'unico mezzo per propagare lo spirito nostro è l'osservanza delle nostre Regole.

 

                Neppur le cose buone si facciano contro di esse o senza di lesse; perchè, se si vuol lavorare anche con buono spirito, ma non dentro alla cerchia delineata dalle nostre Regole, che cosa ne verrà? Che ciascuno lavorerà, e poniamo anche molto, ma il lavoro resterà individuale e non collettivo. Ora il bene che deve aspettarsi dagli Ordini religiosi avviene appunto da ciò, che lavorano collettivamente: se così non fosse, sarebbe impossibile gettarsi in qualche grande impresa. [81] Se ci allontaniamo da ciò che strettamente richiedono le Regole e si continua a lavorare, uno incomincierà a ritirarsi di qui, l'altro di là per fine buono, ma individuale; di qui il principio del rilassamento; e queste opere non saranno più benedette dal Signore, come le prime. Quindi ne viene necessariamente il bisogno di una riforma e ciò indebolisce grandemente una Congregazione, come abbiamo visto accadere in molti Ordini religiosi, e sempre con grandissimo scapito della salvezza delle anime. E poi? Il decadimento e la rovina totale. L'osservanza della Regola è l'unico mezzo, perchè possa durare una Congregazione.

 

                Tra di noi il Superiore sia tutto. Tutti diano mano al Rettor Maggiore, lo sostengano, lo aiutino in ogni modo, si faccia da tutti un centro unico intorno a lui. Il Rettor Maggiore poi ha le Regole; da esse non si diparta mai, altrimenti il centro non resta più unico, ma duplice, cioè il centro delle Regole e quello della sua volontà. Bisogna invece che nel Rettor Maggiore quasi s'incarnino le Regole: che le Regole ed il Rettor Maggiore siano come la stessa cosa.

 

                Ciò che avviene pel Rettor Maggiore riguardo a tutta la Società bisogna che avvenga pel Direttore in ciascuna casa. Esso deve fare una cosa sola col Rettor Maggiore e tutti i membri della sua casa devono fare una cosa sola con lui. In lui ancora devono essere come incarnate le Regole. Non sia lui che figuri, ma la Regola. Tutti sanno che la Regola è la volontà di Dio e chi si oppone alle Regole, si oppone al Superiore e a Dio stesso.

 

                Si parli sempre in questo modo ai confratelli: - Bisogna che si faccia questo o quello, è strettamente necessario che ciascuno s'impegni a fare quel lavoro, perchè la Regola al capo tale lo comanda; ora bisogna che ci mettiamo tutti d'accordo ad eseguire questo o quell'altro, poichè la Regola insiste su ciò. - Un Direttore adunque tutte le volte che vuole operare, deve prendere qualche misura o deliberazione, si metta sempre sotto lo scudo della Regola, e mai operi di sua propria volontà o autorità. Dica: - Si deve fare così, perchè la Regola così dice di fare e così vuole. - Questo modo di regolarsi nei Direttori arrecherà grandissimo bene alla Congregazione.

 

                Si procuri inoltre di conservare la dipendenza tra il Superiore e l'inferiore, e ciò spontaneamente e non coacte. I subalterni si impegnino molto a circondare, aiutare, sostenere, difendere il loro Direttore, e stargli fitti d'attorno, a fare quasi una sola cosa con lui. Nulla facciano senza dipendere da lui, perchè così facendo dipendono non da lui, ma dalla Regola.

 

                Non voglio dire qui che non si faccia nessuna azione volta per volta, senza il consenso del Direttore: che cioè, ad esempio, chi scopa, camera per camera che ha scopata. vada a domandare al Direttore quale altro pavimento debba andare a far pulito; che ognuno che fa scuola, volta per volta che finisce un autore od un capo, vada a domandare al Direttore quale altro libro debba spiegare; così, per esempio [82], il cuciniere vada a chiedere tutti i giorni al Direttore quali pietanze debba preparare pel pranzo o per la cena: ma intendo che tutti si regolino secondo gli avvisi e le norme che il Direttore ha dati e nelle cose in genere o improvvise da farsi, non si proceda a capriccio, ma si abbia sempre lo sguardo rivolto al centro di unità.

 

                Del resto nelle cose ordinarie e giornaliere ciascheduno sa bene quali cose convengano al suo uffizio senza andare dal Superiore, tanto più avendo ciascuna casa regole fisse pel disimpegno di ogni attribuzione. Hanno tutti in mano le Regole e ciascheduno procuri di compiere il proprio dovere, l'uffizio che gli è assegnato, da buon cristiano e da buon religioso.

 

                Finirò! Ecco che siamo nuovamente per dividerci. E quale pensiero vi darà Don Bosco, che ci serva a ben regolarci pel presente, e per sempre nell'avvenire? Io ho un gran pensiero da esternarvi, molto vantaggioso a tutte le case, che deve servir di guida specialmente in quest'anno e sempre: un pensiero che, secondato, farà fiorire la nostra Società. Questo pensiero si esprime con una sola parola: OBBEDIENZA.

 

                Sì, ciascuno nella sua sfera procuri di essere obbediente, sia alla Regola, sia ai singoli comandi dei Superiori. Questo lo faccia ciascuno per conto suo, questo si promuova fra gli altri confratelli. Questa virtù si inculchi negli inferiori, negli allievi, in tutti. Quando in una casa o Congregazione regna questa virtù, tutto va bene.

 

                Tutta la religione, diceva un gran Santo, consiste nell'obbedienza, la quale genera tutte le virtù e le conserva. Siamo obbedienti ed avremo la pazienza, la carità e la purità, la quale specialmente è il premio dell'umiltà.

 

                Perciò l'obbedienza sia il tema delle letture, delle prediche e di molte conferenze. Ciascheduno legga e rilegga attentamente il capo delle nostre Regole, dove si parla del voto di obbedienza; anzi questo capo si studi a memoria.

 

                E il punto più principale, attorno a cui deve versare la nostra obbedienza, si è intorno alle pratiche di pietà, le quali sono come il cibo, il sostegno, il balsamo alla stessa virtù. Il Direttore faccia rileggere bene anche questo capitolo, procuri di osservarlo e di farlo osservare. L'obbedienza, e specialmente per le pratiche di pietà, è la chiave maestra dell'edifizio della nostra Congregazione, è quella che lo sosterrà.

 

                Io non voglio intrattenervi di più. Non occorre che dica più altro; solo voglio prima di finire esporvi ancora un grande riflesso, perchè tutti ci animiamo a percorrere generosamente la nostra strada. Se un povero prete con niente e con meno di niente, perchè bersagliato da tutti e da ogni parte, potè portare le cose fino al punto in cui ora si trovano; se, dico nuovamente, un solo fece tutto ciò che voi vedete e con niente, qual bene il Signore non aspetterà da trecentotrenta Individui, sani, robusti, di buona volontà, forniti di scienza, e coi  [83] mezzi potenti che ora abbiamo in mano? Qual cosa non potrete fare appoggiati alla Provvidenza?

 

                Il Signore aspetta da voi cose grandi; io le vedo chiaramente e distinte in ogni parte e potrei già esporvele una per una, o per lo meno accennarvele; ma per ora non giudico bene parlarvene. Se qualcheduno mi ricorderà queste mie parole nell'anno venturo, io vi potrò far vedere grandi cose che il Signore quest'anno si è degnato di iniziare e specialmente una che vi riempirà di stupore. Dio ha incominciato e continuerà le sue opere, alle quali tutti voi avrete parte. Queste riguardano il florido stato della Congregazione, le quali, mentre io già mi troverò alla mia eternità, porteranno rilevanti conseguenze per la salute delle anime, a gloria di Dio; gioveranno al bene universale della Chiesa, saranno cagione di gloria (sì, lasciatemi dire questa parola) alla nostra Congregazione. Ed in verità, le meraviglie, a compiere le quali il Signore vuol servirsi di noi miserabili Salesiani, sono grandi. Voi stessi vi meraviglierete e sarete stupiti nel vedere come voi abbiate potuto fare tutto questo innanzi agli occhi dell'universo e pel bene dell'umana società.

 

                Il Signore fu Colui che incominciò le cose, Egli stesso diede loro l'avviamento e l'incremento che hanno, Egli col volgere degli anni le sosterrà, Egli le condurrà a compimento. Iddio è pronto a fare tutte queste grandi cose che contribuiranno all'aumento meraviglioso dei soci. Una sola cosa Egli richiede da noi: che noi non ci rendiamo indegni di tanta sua bontà e misericordia. Finchè noi corrisponderemo alle sue grazie col lavoro, colla moralità, col buon esempio, il Signore si servirà di noi, e voi vi stupirete che si sia potuto far tanto, e che possiate fare tanto; poichè, se si procede collo spirito dolce e coll'operosità di san Francesco di Sales, il mondo deve cedere e ne verrà la gloria di Dio ed il bene della Società.E noi dobbiamo esclamare Omnia possum in eo, qui me confortat.

 

                Verso la fine del suo discorso il Servo di Dio appariva estremamente commosso, e tutto il suo dire erasi fatto di una energia straordinaria. L'annunzio di “grandi cose” per il venturo anno colpì l'uditorio; ne abbiamo qualche indizio in un minuscolo diario dì Don Lazzero, il quale sotto questa data non si contentò di porre nuda e cruda una delle solite noterelle da taccuino, ma, dopo aver scritto: “2, 3 febbraio. Conferenza in chiesa piccola colla relazione dei Direttori delle case”, sentì il bisogno di soggiungere: “Chiuse Don Bosco predicendo che di quest'anno si inizierà dalla Congregazione tal cosa che un giorno ridonderà a gloria della Congregazione  [84] e di vantaggio alla Chiesa universale”. Il Beato volle alludere principalmente, come dirà nelle conferenze del '77, alla sua grandiosa concezione dei Cooperatori Salesiani, maturata a poco a poco, attuata nella sua forma definitiva durante quest'anno e destinata a un avvenire, di cui i suoi stessi collaboratori chi più chi meno stentarono sulle prime a farsi una giusta idea[19].

 

                Che lì realmente egli mirasse, ce lo conferma una confidenza. da lui fatta a Don Barberis il 19 febbraio. Dopo un accenno all'Opera di Maria Ausiliatrice e alle famose scuole di fuoco omai avviate, continuò: - Ora poi sto lavorando intorno ad un altro affare molto importante, cioè l'Associazione Salesiana. E’ da molto tempo che mi occupo ed è ben difficile stabilire cose positive. Da circa due anni ci lavoro attorno. Ora la formulerò e prima del fine dell'anno si renderà. pubblica. Ci vorranno due anni a consolidarla. Affare molto importante, lunghi studi preparatorii, pubblicazione in fin d'anno: sono questi tanti elementi che ci dànno la chiave per penetrare il senso delle parole dette nella conferenza.

 

                Ma queste parole ci somministrano anche una prova per mostrare quanto sia infondata l'opinione che l'origine dei Cooperatori Salesiani fosse dovuta a un'idea di Don Guanella, quand'egli era salesiano. Don Bosco dice qui nel febbraio del 1876 che vi pensava “da molto tempo”e che “da circa due anni” vi lavorava attorno; infatti il primo “Programma” per i Cooperatori fu steso nel 1874: ma un abbozzo iniziale data dal 1841, come si è detto nel volume precedente. Orbene Don Guanella venne all'Oratorio nel 1875.Che lo stesso Don Guanella potesse aver creduto questo, non ci farebbe meraviglia. Il Beato Don Bosco, quando ruminava, importanti disegni, soleva indagare su di essi il pensiero altrui, senza lasciar trapelare i propri intendimenti; [85] anzi faceva le viste di prendere in considerazione le cose che udiva, sicchè lasciava i suoi interlocutori nella credenza d'avergli apportato chi sa quali lumi. Era naturale che con un uomo come Don Guanella il Servo di Dio si aprisse intorno al suo disegno e fors'anche lo pregasse di presentargli un abbozzo conforme al suo modo di vedere, sicchè quegli dopo s'immaginasse d'avergli suggerita l'idea. Così il ministro Urbano Rattazzi dopo un celebre colloquio[20] non sarebbe potuto rimanere con l'impressione d'essere stato proprio lui a suggerirgli l'idea della Pia Società Salesiana?

 

                L'ultima conferenza, che fu nelle ore antimeridiane del 4 febbraio e a cui presero parte i soli Direttori e i membri del Capitolo Superiore, si tenne alla presenza del Servo di Dio. Lo scopo non era più di discutere, ma di ascoltare la parola del caro Padre. Tuttavia gli si espose come, nelle adunanze presiedute da Don Rua, si fossero lette ed esaminate le deliberazioni già prese nelle conferenze generali degli altri anni, per radunarle in un corpo solo e farle stampare. Il Beato approvò; soltanto chiese che prima di consegnarle al tipografo, venissero a lui presentate, perchè desiderava di eliminarne qualche espressione caustica già notata. Finchè si può, diss'egli, si evitino sempre gli urti e si vada avanti un poco alla volta. - Quindi prese a parlare così:

 

                Oh! adesso io dirò due cose che mi era proposto di dirvi, prima che ciascuno parta per i propri collegi; e poi mi direte ciò che fu deliberato nelle conferenze dei giorni scorsi e mi suggerirete ciò che a voi sembra da farsi, per la maggior gloria di Dio ed a bene della Congregazione.

 

                La prima cosa che io desidero di avvertire si è questa. I Direttori dispongano che, quando vado a far visita nelle case, io possa parlare con tutti gl'individui di esse, cioè con tutti i confratelli della nostra Congregazione. Non ve ne sia uno solo, col quale io non possa parlare. Si renda loro facile l'abboccarsi con Don Bosco, si annunzi preventivamente il mio arrivo e il desiderio che ho di parlare con tutti. Perciò si faccia sapere ai confratelli, in quali ore per ciascuno sarà fissata l'udienza, e si esorti in generale che, chi avesse qualche cosa [86] di speciale da dirmi, si, prepari a manifestare liberamente tutto il suo cuore. Mio scopo principale in queste visite si è di togliere la ruggine, che in alcuni potrebbe esservi col Direttore. Con me ed in queste circostanze parlano volentieri, palesano schiettamente il loro cuore ed io posso comporre ogni cosa in pace. Il Direttore poi toglierà le cause che possono aver prodotto questi malcontenti e così l'ordine della carità sarà aggiustato.

 

                Avviene con frequenza che qualcuno si crede di essere visto di mal occhio dal suo Direttore e suppone che il Superiore abbia chi sa che cosa contro di lui, mentre il Direttore ha nulla affatto in contrario e non sospetta neppure che il confratello abbia questo pregiudizio. Simile avversione, benchè sovente non palesata, dura per mesi e mesi Ora andando io in visita, se questi tali non hanno comodità di parlarmi, credono che il Direttore abbia così disposto, e si rattristano maggiormente. In alcuni collegi mi accadde che più volte di seguito non potei per varie cause parlare con qualcuno, il quale mi scrisse poi lettere proprio compassionevoli, che talora; quasi trascendevano in filippiche, mentre affatto impensatamente era accaduto di non potergli parlare.

 

                Nella posizione in cui sono i nostri collegi, la vita dei soci è tutta personificata nel Superiore. Un suo sguardo, direi, può consolarli, un suo sguardo rattristarli; bisogna perciò che ciascuno di voi guardi di essere molto e molto affabile con tutti e dimostri ad uno per uno affezione speciale.

 

                Perchè le mie visite riescano maggiormente profittevoli, sarà bene che mi si dia una nota dei confratelli che sono in casa affinchè io sappia: - Questo l'ho già veduto, questo non ancora.- Anzi crescerà il frutto se in questa nota ad ogni nome si porrà una postilla. Cioè: Sarebbe bene che al tale parlasse di questo o di quello; costui ha bisogno di un incoraggiamento per questa parte, e colui è necessario trattenerlo per quest'altra, ovvero ammonirlo pel tale difetto.Io procurerò di procedere con prudenza, ed eseguire i desideri del Direttore in modo che il confratello non se ne accorga, e servendomi di quell'avviso solamente nel caso che io giudicherò essere di maggior gloria di Dio. Così le visite riusciranno veramente vantaggiose.

 

                Un'altra cosa vi dirò, mentre me ne ricordo. Ritornando ai vostri collegi, si avvisino i confratelli che si tratta d'una nuova spedizione per le Missioni d'America. Chi desiderasse prendervi parte, faccia la domanda; chi l'avesse già fatta, se persevera nel desiderio di andare, la rinnovi. Basterà che mi scrivano un biglietto in questo senso: Occorrendo, io sono pronto a partire per le Missioni. In questo modo si possono provvedere le Missioni con quelli individui, che la Congregazione crede bene di mandare, e nello stesso tempo si mandano solo quelli che assolutamente lo desiderano, senza che nessuno venga sforzato a questo passo. Chi ha già fatto la domanda, è bene che la ripeta, scrivendo, per esempio, la seguente frase: Io sono sempre dello [87] stesso parere. Molti vengono nell'Oratorio espressamente per aver. campo d'andare nelle Missioni ed è conveniente che costoro siano contentati. Per esempio, Allavena, venendo nella Congregazione, mi aveva detto espressamente: - Se Ella crede di potersi servir di me nelle Missioni, io entrerò nella Pia Società; ma questo è proprio il mio desiderio. - E andò benissimo che fosse così pronto ad ogni evento; poichè, qualcuno essendosi ritirato al momento della partenza, Allavena senza dir parola si trovò pronto.

 

                Anche i chierici ponno fare questa domanda, ma qualora siano veramente risoluti. Noi tuttavia andremo sempre adagio nell'interrompere i loro studi.

 

                Non occorre che io ripeta nuovi avvisi, perchè si coltivino molto le vocazioni allo stato ecclesiastico. Questo è lo scopo principale, a cui tende ora la nostra Congregazione. La straordinaria scarsità del clero, che ogni anno più si deplora, è il maggior male che presentemente ci minaccia. Ciò che io desidero dirvi sono alcune regole, o sante astuzie per coltivare con profitto queste vocazioni. Si indaghi adunque chi sono coloro che hanno propensione per la Congregazione. ma non si spinga mai nessuno ad entrarvi; anzi, chi desidera andare in seminario, si lasci in libertà, e speriamo, purchè siano atti, che faranno del bene. Ma quando alcuno ci domanderà consiglio sulla vocazione, come rispondere? E specialmente quando siamo interrogati da chi è indeciso e propende più per farsi prete secolare che per entrare in Congregazione? Ecco questo, che io credo un gran consiglio. Quando si vede che un giovane assai buono in collegio, è solito nelle vacanze a far qualche mancanza grave contro la moralità, e, rientrato nel collegio, aggiusta le partite dell'anima, e per vari mesi e per tutto l'anno non ha più nulla da rimproverarsi su questo punto, se costui desidera farsi prete, il consiglio che assolutamente gli darei sarebbe questo: - Se tu vuoi farti prete e vivere nel mondo, tu la sbagli; non farti prete; oppure entra in una Congregazione od in un Ordine religioso. - Questo è chiaro: poichè, se costui si fa chierico, va in seminario, e come resisterà nelle vacanze tanto lunghe e tanto disastrose?

 

                Invece, se sta ritirato, allora, e per i minori pericoli e per i grandi aiuti di letture, di meditazioni, di sacramenti, si può benissimo conservare in grazia. Ma se costui si fa chierico per la diocesi, avverrà di lui come di molti ci tocca vedere, che vestono l'abito ecclesiastico e dopo poco tempo lo depongono, ovvero i Superiori ecclesiastici sono costretti a farlo loro deporre.

 

                In questo caso si dica pure schietto in confessione a quel giovane: -Se ti piace la vita ritirata, va nei Cappuccini, nei Domenicani. nei Certosini; vieni fra noi, fa' tutto come credi meglio, e così ritirato potrai fare gran bene a te e salvar anime: ma io non ti consiglio il seminario; piuttosto sta' secolare; un buon secolare può benissimo operare la sua eterna salute. [88] Per la vocazione io credo assolutamente che si richiedano tre cose. Propensione, studio, morum probitas. Quando non si ha propensione, è inutile ogni ulterior fatica, ad eccezione che, come molte volte avviene, questo provenga solo da timidità; nel qual caso si può benissimo incoraggiare ad andar avanti. Per ciò che riguarda lo studio, si lasci decidere dagli esami. Vi è poi la morum probitas. Questo è assolutamente necessario, a meno che uno voglia proprio vivere, ritirato, e nel solo caso che le occasioni siano quelle che lo trascinano sulla mala via, fuori di queste essendo buona la sua condotta.

 

                Ora dirò qualcuna delle industrie che possono grandemente giovare a coltivare le vocazioni, sebbene alcune per sè possano parere assai piccole.

 

                1° Frequenza grande ai sacramenti; su questo punto poco mi fermo, perchè da tutti si sa quanto giovi. Nelle nostre case questa frequenza vi è regolarmente.

 

                2° Bisogna usare grande amorevolezza coi giovani; trattarli bene. Questa bontà di tratto e questa amorevolezza sia il carattere di tutti i Superiori, nessuno eccettuato. Fra tutti riusciranno ad attirar uno e basta uno per allontanar tutti. Oh, quanto si affeziona un giovane, quando si vede ben trattato! Egli pone il suo cuore in mano ai Superiori.

 

                3° Non solo trattarli bene, ma ai più grandicelli che danno qualche speranza, si conceda molta confidenza dal Superiore. Per esempio prenderlo separatamente e dirgli: - Vedi, mio caro: ho bisogno che tu mi faccia un piccolo lavoro, che mi copii questo foglio (e sarà una cosa da nulla, della quale non avremmo alcuna necessità), ma ho bisogno che nessuno lo sappia. Se ti pare di poterlo fare nello studio, mentre non ci sono altri, o che altri non ti veda, bene; del resto, va' nel tal posto, parla col tal Superiore che ti assegni un luogo, e poi, finito questo lavoro, me lo porterai - Pare una bazzecola da niente; ma questo chiamarlo a parte, dargli importanza, quella specie di segreto, fa sì che il giovane resti tutto portato pel Superiore e farebbe qualunque sacrifizio per lui, ed attacca il cuore a chi se lo seppe in quel modo guadagnare. Gioverà anche, per esempio, prendere un giovane e dirgli: - In questi giorni io ho bisogno di una grazia grande da te; saresti capace di fare un paio di comunioni, ma di quelle proprio fervorose, per me?

                Risponderà di sì.

 

                - E quali giorni vorresti scegliere? Fa' pure la scelta a tuo piacimento: solamente, che ancor io lo sappia, perchè possiamo unire insieme le nostre preghiere.

 

                - Sceglierei i tali giorni.

 

                - Bene, e dopo che le avrai fatte, vieni a dirmelo ed allora, se lo potrò, te ne dirò il motivo.

                Quel giovane, con questo tratto di confidente affezione, resta già per metà ingaggiato. Quando ritornerà dopo fatte, le comunioni, gli  [89] si potrà dire per esempio: - Sai poi qual è la grazia che mi stava tanto a cuore?

 

                - No.

 

                - Vuoi saperla? Ecco: io ho fatte preghiere speciali ed ho voluto che anche le tue fossero unite alle mie, perchè voleva supplicare il Signore per la mia e tua santità; che ci faccia tutti e due santi; che uniti di corpo sempre su questa terra, possiamo poi essere un giorno uniti in cielo. Sei contento così? Vuoi metterti in molto impegno, perchè così sia? Coraggio! Io continuerò a pregare, perchè questa nostra impresa che abbiamo incominciato, vada avanti prosperamente: e anche tu pregherai per questo fine, non è vero?

                Queste sono tutte piccole industrie, ma formano il macchinismo che lavora potentemente nelle nostre case, e si può dire essere le fonti che alimentano la nostra Congregazione. Molti giovani si decidono dopo questi atti di confidenza speciale che si dà loro.

 

                A questo punto un sorriso generale spuntò sulle labbra dei congregati e ciascuno ripeteva: -E’ vero: in questo modo ha preso me... Si può dire che in questo modo ingannò fortunatamente tutti noi... Così potessimo noi prendere molti altri nella nostra rete! - Don Bosco dopo quella breve pausa proseguì:

 

                4° Giova anche tanto il far bene le cerimonie, le quali dimostrano con quale posatezza e santità si debba procedere nello stato ecclesiastico, al quale per avventura si sentono chiamati.

 

                5° Giova poi immensamente il promuovere il piccolo clero. Io sono di parere che sia desso il semenzaio delle vocazioni ecclesiastiche. Chi si veste da chierico, o vede il suo compagno vestirsi in questo modo, lo vede grazioso, far bene le cerimonie. farle posatamente, avere un posto distinto all'altare, eh! non può a meno di sentirsi inclinato alquanto a quello stato. Per lo meno questo spettacolo servirà a rompere il ghiaccio di chi non può vedere i preti. Anche tra i giovani delle nostre case ve ne sono vari che, sentendo sempre a casa loro parlare male dei preti, li tengono come in dispregio, come gente interessata, e purtroppo di ciò possono aver avuti esempi sotto gli occhi. In alcuni vi sarà anche vero astio contro i sacerdoti, perchè non li praticarono mai da vicino. Ma qui, se vedono i preti impegnati pel loro bene e poi vedono i compagni migliori aver la prerogativa di andar vestiti da chierico, prendono in grande concetto questo stato. Non è molto tempo che avvenne il fatto seguente. Un buon giovane, ma veramente buono, aveva manifestato il desiderio di farsi prete nel primi mesi di Oratorio. Dopo qualche tempo, interrogato da me della sua vocazione, mi disse chiaro: - Non voglio più farmi prete. [90] - Oh! che cosa è questo? io gli chiesi; la vocazione l'avevi.

 

                - No; non voglio più farmi prete - Mi replicò risolutamente.

 

                Io era stordito, tanto più che il giovane continuava ad essere un vero modello di buona condotta. Allora io gli chiesi per gran piacere che mi significasse, qual causa gli avesse fatto mutar deliberazione. Dopo molta esitanza: - Ecco, mi disse; il tale mi ha fatto vedere come tutti i preti sono cattivi. E’ ipocrisia ciò che pare all'esterno. Esso ha un parente canonico ed ha sentito raccontare da lui stesso che molti parroci conducono una vita! ... che prendono in casa persone!… che vivono male... Piuttosto che farmi prete briccone, non mi farò mai e poi mai prete. Io l'anima mia la voglio salvare.

 

                Io gli feci animo a non rinunciare così facilmente alla propria vocazione, gli feci vedere l'assoluta falsità della cosa e senza più insistere gli soggiunsi: - Fa' il possibile per dimenticare ciò che quel perverso ti narrò: non pensarci più oltre. Dal tuo canto, fa' così: poniti per un momento avanti ad un Crocifisso od al Santissimo Sacramento, e di' fra te stesso: Se io mi trovassi in punto di morte, qual è la cosa che desidererei d'aver fatta? Quale stato desidererei d'aver abbracciato per potere con maggior facilità salvarmi l'anima e fare del bene? Pensa a questo e poi rispondimi.

                Quel giovane si pose avanti ad un Crocifisso, vi stette alquanto e poi ritornato da me, disse: - Prete sì, ma non nel mondo. Star ritirato affatto!-

                Questo era ciò che io voleva.

 

                6° Gioverà anche grandemente il dare ad un giovane molta famigliarità. Farlo passeggiare qualche volta da solo con noi, raccontare, ridere, ascoltarlo; farsi narrare della sua vita a casa, dei campi, dei prati, delle vigne, della cascina, ecc. Se essi, trattati così famigliarmente, domandano della propria vocazione, suggerir loro di parlarne in confessione, quando si conoscono bene le cose.

 

                Consigliarli anche di parlarne a Don Bosco, quando verrà, in visita. - Pensaci bene, gli si potrà dire; matura il tuo consiglio e finirai di decidere allora: vedrai che, seguendo il consiglio di Don Bosco, sarai poi contento per tutta la tua vita.

                Quando io passo nelle case a far queste visite, specialmente verso il termine dell'anno, è allora il tempo di conchiudere molti affari. Io domando sempre: - Il tuo Direttore che cosa ti ha detto?

 

                - Mi ha consigliato di domandare anche a lei per accertarmi meglio; ma diceva non vedere esso difficoltà ed essere di parere che avrei potuto abbracciare lo stato ecclesiastico.

 

                - Bene! Ed io farò il resto, come mi sembrerà meglio per te.-

                Invece un altro mi risponderà: - Il Direttore mi disse di no pel tale motivo.

                In questo caso, se io dovessi cambiare il giudizio del Direttore, per lo più ho mezzo di farlo, senza che l'allievo si accorga di nulla. Gli dico: - E tu togli quel motivo che il Direttore ti disse essere [91] d'impedimento. Non sei buono di. farla vedere al demonio? Guarda, fa così e così, e poi vedrai. Oh, se tu segui questo o quell'altro consiglio, tu puoi ancora rimediarvi facilmente! - Per questo lato il Direttore non tema: se vi fosse da cambiar consiglio, si va molto prudentemente.

 

                Ora veniamo ad un altro punto che io credo della massima importanza per far camminare bene i giovani nella via della salute. Pur troppo una lunga esperienza mi ha persuaso esservi bisogno di far fare la confessione generale ai giovani, che vengono nei nostri collegi; o almeno almeno questa confessione essere loro vantaggiosissima.

 

                Il giovane si può disporre in questo modo:

 

                - Hai già fatta la confessione generale?

 

                - No!

 

                - Non saresti contento di fissarti un tempo per farla? Pensa un po' un momento, dimmi con tutta schiettezza: se tu avessi a morire questa notte, ti pare che non avresti nulla da aggiustare col Signore? Ti pare che saresti tutto tranquillo?

 

                - No!

 

                - Ebbene, quando la vorresti fare?

 

                - Quand'ella mi dice.

 

                - Oh guarda! Io ti dico che tu la faccia in quel tempo in cui abbia intenzione di dirmi tutto, tutto....

                Poi, anche venendo quel giovane, a confessarsi per ripassare l'intera sua vita, dirgli: - Sei venuto proprio col cuore aperto? Con intenzione di dirmi tutto, piccolo e grosso? Oppure tu hai qualche cosa che non osi guari dirmi? -E dalle. risposte che darà, si prendano le norme per continuare.

 

                Credetemi, parrò esagerato; ma io sono di parere che, forse cinquanta su cento, i giovani, quando vengono nei nostri collegi, hanno bisogno di fare la confessione generale. E per ottenere che si facciano le cose bene, bisogna avere carità, e carità, e tanta carità. Bisogna saper quasi estrarre per forza quel che non vorrebbero dire.

 

                Ancora una cosa. Ciascun Direttore nella propria casa dia moto, per quanto può, alle nostre associazioni della Biblioteca e specialmente delle Letture Cattoliche. E’ vero che ciò andava specialmente fatto in principio dell'anno, mentre i giovani avevano danaro; ma l'avviso serva per altri anni, ed anche ora si propaghino e si raccomandino quanto più si può.

 

                Giunta al termine questa bella conferenza, s'intavolò una conversazione molto familiare, in cui tornarono a galla parecchie cose discusse nelle ordinarie sedute; i presenti profittarono dell'occasione per interpellare il Beato sopra diversi argomenti. [92] Così, per esempio, si riparlò del distribuire ai confratelli una copia di ogni numero tanto delle Letture Cattoliche quanto della Biblioteca della gioventù italiana. Nei collegi non si agiva dappertutto a un modo; ma dove quei libri si davano a tutti i professi, dove ai soli professori, dove ai professori i fascicoli della Biblioteca e ai maestri i fascicoli delle Letture. Spiaceva sentire confratelli che, cambiando casa, uscissero in confronti odiosi, dicendo: - Qui si fa così; dov'ero prima, si faceva cosà. - Se ne ingenerava facilmente il sospetto che i Direttori procedessero in maniera arbitraria.

 

                Come regolarsi dunque? Togliere di mezzo senz'altro l'uso della distribuzione generale, parve misura draconiana; concedere i volumetti a tutti i Salesiani era cosa che col crescere continuo dei collegi avrebbe importato una spesa troppo grave per la. Congregazione; dare ai professori la Biblioteca e ai maestri le Letture urtava contro l'inconveniente, che essendo in certi collegi gli associati alla Biblioteca più numerosi nelle classi elementari che nelle ginnasiali, i maestri non avrebbero avuto conoscenza di quelle pubblicazioni e quindi non le avrebbero potute raccomandare. Si chiese a Don Bosco quale fosse il suo pensiero.

 

                A Don Bosco veramente arrideva l'idea della massima diffusione; tuttavia con il suo spirito pratico propose una soluzione per gradi: 1° Dov'era invalso l'uso di dare i libri agl'insegnanti, si continuasse pure; ma si badasse a segnare ciascun libro con il bollo del collegio o della biblioteca, indicando così essere i libri dati ad usum e non in proprietà, e quindi non poteva l'insegnante farne regalo ai giovani o ad altri, nè, cambiando collegio, recarli seco. 2° Dove l'usanza fosse di distribuire i libri a tutti i Salesiani, e così costumavasi ancora nella maggior parte delle case, si concedessero a richiesta, non movendo alcuna difficoltà a chi li domandasse dicendo d'averne bisogno. 3° Negli anni successivi s'introducesse dappertutto la consuetudine di dare quei libri solamente, ma senza veruna difficoltà, a chi li chiedesse per  [93] motivo di studio. In questo modo si sarebbero eliminate le cause di lagnanze e contentati tutti senza tanto dispendio. Di regola, si desse la Biblioteca solo ai professori di latino o d'italiano..

 

                Per transenna, fu rilevato come il numero degli associati alle Letture Cattoliche, sebbene già grandissimo, andasse continuamente aumentando; la Biblioteca invece averne solo duemila, quanti appena bastavano per condurre avanti l'impresa: i volumi tuttavia avere grande spaccio separatamente. Erasi di fresco stampato un fascicolo con lettere inedite del Pellico in tremila esemplari, smaltiti nello spazio di un mese. Don Bosco disse: - La Biblioteca, finchè avrà mille associati, conviene continuarla; avremo sempre il vantaggio della vendita dei volumi separati.

                Il Beato chiuse la seduta a mezzogiorno con le solite preghiere, augurando il buon viaggio ai Direttori e incaricandoli di dire tante cose ai giovani dei loro collegi da parte sua, da parte dei Superiori e da parte anche dei giovani dell'Oratorio di Torino.

 

                Nei nostri archivi troviamo elencati undici buoni effetti di queste conferenze direttoriali. Trattandosi di osservazioni dettate se non per ispirazione, certo sotto l'influsso di Don Bosco e nei giorni delle surriferite conferenze, chiuderemo il capo, citando tal quale il documento “Queste conferenze coi Direttori dànno origine ai seguenti beni:1° Autorizzano questi viaggi, sicchè in certe circostanze non mettono sospetto ai confratelli della propria casa, qualora vi fosse qualche questione da sciogliere. - 2°La risoluzione di vari quesiti si rimanda a quest'epoca, e perciò risparmio nei viaggi. - 3° Mettono d'accordo i Direttori su vari punti. - 4° 1 Direttori colla loro presenza dimostrano i progressi della Congregazione. - 5° Animano grandemente a farsi ascrivere nella Congregazione ed a perseverare in essa. - 6° Stabiliscono una straordinaria fraternità fra i Direttori, che altrimenti avrebbero poca comodità di conoscersi. - 7° Per  [94] le parole di Don Bosco si va sempre innanzi con grande unità di spirito. - 8° Si spiega e s'intende sempre meglio il Regolamento. -9° Si rimedia insieme a qualche disordine, che tentasse introdursi. - 10° E’ il tempo nel quale i Direttori, se hanno qualche cosa d'importanza da proporre lo fanno... - 11° Le relazioni dei collegi sono ascoltate con piacere straordinario e si parla di esse dai confratelli per tutto l'anno”.

 

 

CAPO IV. Installazione dei Salesiani nell'Argentina.

 

                Missionari approdarono a Buenos Aires il 14 dicembre. Dalla nave alla casa di loro provvisoria residenza raccolsero prove continue, che essi giungevano nella Capitale argentina ansiosamente aspettati.

 

                Il piroscafo faceva il suo ingresso nel porto, quando udirono un fragoroso scoppio simile a sparo di artiglieria, che li mise in apprensione, perchè immaginarono chi sa quale oscura minaccia; ma il loro momentaneo sgomento si convertì in gioia, appena conobbero la vera causa del colpo. Non temano, andò a dir loro il capitano, è un saluto che si fa ai Missionari Salesiani.

                Gettate che furono le ancore, ecco appressarsi al bastimento un vaporino, dal quale scese un prete, che, lanciatosi su per la scaletta, montò rapido a bordo. Era Don Ceccarelli, venuto a prendere i Salesiani per condurli seco in città. La reciproca brama di conoscersi personalmente fece sì che nullo bel salutar tra lor si tacque. Con lui filarono al molo.

 

                Colà li aspettavano duecento Italiani, fra i quali parecchi ex-allievi dell'Oratorio di Torino. Gli applausi e le grida echeggiarono lontano e a lungo. Mentre percorrevano in carrozza le vie, molte persone si fermavano e salutavano rispettosamente. [96] Giunti alla loro dimora temporanea, vi trovarono con grandissima sorpresa l'arcivescovo monsignor Federico Aneyros, che li attendeva impaziente di dar loro il benvenuto. Il degno prelato li accolse con la massima amorevolezza, li abbracciò tutti, si sedette in mezzo ad essi, interrogandoli di Don Bosco e di mille cose e manifestando il vivo desiderio di rivederli.

 

                In ora conveniente si recarono poscia all'Arcivescovado per restituire la visita. Là stavano radunati con Monsignore i Vicari Generali, e tutta la Curia. Sua Eccellenza mosse loro incontro, li presentò a quegli ecclesiastici, li condusse a visitare ogni cosa con affabilità e premura incantevoli; quindi, menatili in sala, li volle sentir sonare e cantare. Più volte chiamò fortunate le diocesi, dove esistevano case salesiane e, quanto a sè, ringraziava di cuore Iddio, che gli avesse concessa tanta benedizione.

 

                Anche tutti i Superiori di comunità religiose si affrettarono a visitare i nuovi arrivati, dimostrando loro molta deferenza e simpatia. I parroci non vollero essere da meno degli altri, ma offrirono amichevolmente ai Salesiani ogni appoggio.

 

                Fra le persone private che fecero cordiali accoglienze ai Figli di Don Bosco, merita particolare menzione Don Francesco Benitez, il venerando vegliardo già noto ai lettori, che, nonostante i suoi ottant'anni, erasi partito espressamente da S. Nicolás de los Arroyos, per venirli a incontrare[21]. Umile, caritatevole, cordialissimo, si professava loro amico, mentr'essi presero subito con lui tanta confidenza, che lo chiamavano col nome di padre.

 

                L'eco di accoglienze sì oneste e liete arrivò attraverso gli Oceani fino al Beato Don Bosco in quattro lettere di là speditegli pochi giorni dopo l'arrivo, senza dire di quelle che gli furono inviate da Don Cagliero e dagli altri. Il dottor [97] Ceccarelli, rilevata la bella coincidenza che il mese del viaggio, dal 14 novembre al 14 dicembre, corrispondeva esattamente al mese mariano di laggiù, sicchè poteva dirsi essere stato quel viaggio “prodigiosamente diretto da Maria Santissima”, compiacevasi con lui dell'onore fatto ai suoi figli nell'Argentina. Il dottor Espinosa, Vicario Generale, gli manifestava le grandi speranze concepite dai buoni per lo zelo che già ammiravasi nei Salesiani. L'Arcivescovo, soddisfatto, ammirato, consolatissimo, gli annunziava di aver date ai Missionari tutte le licenze per l'esercizio del sacro ministero e gli prometteva che essi avrebbero trovato in lui “un padre amorevolissimo e zelante del loro bene sì spirituale che materiale”. Infine Don Benitez, non sapendo l'italiano, ma conoscendo assai bene il latino, gli scrisse in questa lingua una lettera riboccante di affetto, di gratitudine e di venerazione. Testimonianze così calorose non è a dire quanta consolazione arrecassero al cuore del buon Padre.

 

                I Missionari si pensavano che li aspettasse soltanto un pied-à-terre a Buenos Aires, per ripartire tosto alla volta di S. Nicolás; ma l'Arcivescovo aveva disposto che stabilissero anche una residenza nella città, assumendovi il servizio della chiesa di Mater Misericordiae, detta la Iglesia de los Italianos. Gli Italiani nella sola capitale non erano meno di trentamila. L'offerta potevasi considerare provvidenziale, giacchè porgeva subito ai nostri i mezzi per occuparsi dei propri connazionali, che dovevano formare oggetto precipuo della Missione. Accolta di buon grado la proposta, si divisero in due gruppi, aggiustandosi alla meglio, finchè arrivassero validi rinforzi da Torino.

 

                Quella chiesa era stata costruita da una Commissione di buoni Italiani mercè il contributo di oblazioni popolari. Comprato il terreno, vi si edificò la Capilla Italiana con la formale autorizzazione della Curia arcivescovile, che vi trasferì pure la Confraternita Mater Misericordiae, sorta già [98] nella chiesa di san Domenico e di là fatta passare a Calle Moreno. Questo trasferimento diede alla Capilla il nome, che tuttora conserva. Ma eretta la chiesa, vi mancava il cappellano. Gli stranieri cattolici di Francia, di Germania e d'Inghilterra n'erano provvisti; soltanto gl'Italiani, più numerosi di tutti gli altri insieme, non riuscivano ad avere un prete che seriamente si occupasse dei loro bisogni spirituali. Grandemente perciò si rallegrarono, quando videro appagati i loro voti. E ben lo dimostrarono al momento dell'arrivo; poichè la Confraternita aveva divisato di andare con parecchie centinaia de' suoi membri a pregare i Padri, che non prendessero altri impegni e avrebbero voluto condurli processionalmente alla chiesa. Ma, seguendo il prudente consiglio di Don Ceccarelli, si limitarono ad inviare una semplice commissione.

 

                L'Arcivescovo, bramoso di provvedere finalmente a tante anime, nella lettera già citata scrisse della cosa al Servo di Dio in questi termini: “[I suoi figli] faranno certo gran bene non solo a S. Nicolás, ma anche in questa dominante, dove è convenientissimo che abbiano una casa, non solo per facilitare la comunicazione con V. R., ma ancora perchè il bene che potranno fare qua è immensamente maggiore di quello che potranno fare a S. Nicolás. Solo gl'Italiani sono un trentamila a Buenos Aires e la maggioranza dei preti italiani vengono, mi stringe il cuore al dirlo, per far quattrini e niente altro. Credo dunque convenientissimo che prendano i suoi figli la direzione della chiesa italiana, che quei buoni confratelli loro offrono. Così presteranno un servizio immenso non solo agli Italiani, ma ancora ai nostri”.

 

                Don Cagliero non istette con le mani in mano. Egli cominciò senz'altro la predicazione nella chiesa della Misericordia, facendovi la Novena del Natale con istraordinario concorso di fedeli; la qual predicazione nel triduo prese l'aspetto di una vera missione, come quelle che si fanno nei nostri paesi. Lo aiutava Don Baccino, rimasto a Buenos  [99] Aires insieme col coadiutore Belmonte. Stragrande era il numero di coloro che volevano confessarsi, cosicchè per soddisfare a tutti, essendo due soli i confessori, fu protratta quelle specie di missione durante l'intera ottava natalizia. Ormai Don Cagliero s'era fatto con le sue prediche un gran nome[22]; anche il titolo di dottore in teologia e di maestro e compositore di musica attiravano più largamente la stima e l'attenzione al Superiore de los Saleses.

 

                Monsignor Alberti, Vescovo di La Plata, ama, parlando coi nostri, ricordare un episodio della sua fanciullezza, il quale si riferisce appunto all'ingresso dei Salesiani in Buenos Aires. Ragazzetti in buon numero, che si affollavano alla chiesa di Madre della Misericordia per servire la Messa e per aiutare nelle sacre funzioni, mettevano a rumore e a soqquadro la sacrestia; onde gl'Italiani della Confraternita, disturbati dal loro chiasso, li minacciavano spesso dicendo: - Ora vengono i Padri Salesiani, e vedrete come vi faranno star cheti! Essi vi aggiusteranno per le feste! La finirete una buona volta con tanti schiamazzi! - A forza di sentirli ripetere quell'antifona, i ragazzi s'erano formata l'idea che i Salesiani fossero preti terribili e che avrebbero messo mano a chi sa quali castigamatti. Posti tali precedenti, si comprende come quei poverini il 14 dicembre non dovessero partecipare alla gioia comune. Mentre numerosi Italiani andavano incontro ai Missionari, le due campane della chiesa sonavano a distesa per avvertire i fedeli; - ma a noi, suol ripetere monsignor Alberti allora fanciullo di nove o dieci anni, sembrava che sonassero la nostra agonia. [100] Ora che avvenne? Un gruppo dei più birichini combriccolarono e decisero di slegare le corde alle campane. Arrampicatisi sul campanile e colto il momento di una breve sosta dei campanari, sciolsero quelle corde, che caddero al suolo senza che se ne indovinasse la causa. Intanto arrivavano i Missionari, stupiti di non incontrare ragazzi nè per via nè presso la chiesa. I ragazzi vi erano, ma si tenevano nascosti dietro la gente o accoccolati negli angoli. Finalmente Don Cagliero, avendone scoperti alcuni, li chiamò dolcemente a sè, li prese per mano, li regalò di medaglie, li trattò insomma con tanta amorevolezza, che quelli, e fra gli altri il piccolo Alberti, dissero rinfrancati ai soci della Confraternita: - Questi sì che sono buoni e ci vogliono bene! L'oratorio festivo fu così bell'e inaugurato. Un oratorio, dove l'eroico Don Baccino farà miracoli di carità e di zelo non solo coi ragazzi, ma anche coi giovanotti operai, e preparerà le prime vocazioni di coadiutori e di chierici, fra i quali oltre lo stesso monsignor Francesco Alberti, l'ottimo parroco Angelo Brasesco, l'attuale Direttore dei Cooperatori Salesiani monsignor Carranza e il vescovo di S. Juan de Cuyo monsignor Giuseppe A. Orzali.

 

                Anche una Figlia di Maria Ausiliatrice, suor Emilia Mathis, argentina, serba freschi ricordi di quei giorni. Quando vide giungere i primi Missionari, aveva dieci anni e frequentava la scuola laica. Ora, dopo aver assistito a un altro corteo ben più imponente in onore di Don Bosco beatificato, sentì il bisogno imperioso di dare sfogo ai sentimenti del suo cuore e, riandando quelle lontane memorie, scrive così al Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi: “Noi alunne delle scuole pubbliche ascoltavamo le belle prediche di Don Cagliero e di Don Baccino, ci confessavamo da loro, andavamo al catechismo con grande gusto e profitto. Essi ci davano tanti utili consigli, eccitandoci a farci buone e insegnandoci a scansare i pericoli, da cui eravamo circondate. Furono essi che ci prepararono e ci ammisero alla prima comunione  [101] essi che gettarono in parecchie di noi e coltivarono il germe della vocazione, fino a farci riuscire umili Figlie di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco. - Come sono buoni questi Padri! ci dicevamo fra noi. Come si curano delle nostre anime! Quanto bene ci fanno! Prima nessuno si dava pensiero di noi. - Venute poi le Suore ed aperto il loro collegio di Almagro nel 1878, noi volammo fra le postulanti e le novizie e fummo le prime Argentine a professare. Amatissimo Padre, questi dolci ricordi ci si affollavano alla mente e ci facevano piangere di consolazione e di gratitudine, mentre accompagnavamo le falangi delle nostre fanciulle dietro l'effigie del Beato Don Bosco”.

 

                Non si creda però che tutti gli Italiani ivi residenti la pensassero a un modo. Elementi massonici, che cercavano di dominare la colonia, si erano infiltrati anche nella Confraternita e in combutta con i loro colleghi della penisola lontana lavoravano astuti e tenaci a laicizzare la religiosa istituzione. Ma ebbero da fare i conti con chi aveva petto più saldo di loro e possedeva risorse a dovizia. Don Cagliero, accortosi del lavorio settario e appoggiato dalla Curia metropolitana, rimaneggiò il regolamento, riformò gli statuti[23], gettò al fuoco i registri. Tutto egli fece alla luce del sole. Con un discorso di infiammata eloquenza veramente italiana purificò il nome della patria dalle infamie, di cui nell'aprile precedente l'avevano macchiato orde selvagge della Boca con la sassaiola contro l'Arcivescovo e la chiesa di san Francesco e con l'incendio del collegio del Salvador, e per rinnovare l'elemento della Confraternita proclamò alto dal pulpito che chiunque volesse farne parte, presentasse in persona il biglietto pasquale: quella essere l'unica entrata, quella la vera porta dell'ovile di Gesù Cristo. Poi diresse eroicamente le elezioni del nuovo Consiglio. Si videro bene quel giorno cartellini alle pareti con la scritta Morte a Cagliero [102]; il designato presidente ricevette anche un pugno ferrato nel fianco: ma questi riuscì eletto e fu il signor Romolo Finocchio, cattolico tutto d'un pezzo, che non aveva nessunissima paura dei massoni. Il 15 gennaio del'76 l'Arcivescovo di Buenos Aires poteva ormai scrivere al Beato: “La benedizione del Santo Padre produce già i suoi frutti, poichè [i suoi figli] stanno facendo un bene grandissimo alla popolazione italiana di questa Capitale, popolazione così numerosa e così sprovvista di buoni sacerdoti della loro patria”.

 

                I sette destinati a S. Nicolás de los Arroyos si divisero dai fratelli il 21 dicembre. Li accompagnavano il parroco Ceccarelli e il venerando Benitez. La popolazione li ricevette con entusiasmo. Cinque di essi furono ospitati dal dottor Ceccarelli nella casa parrocchiale e gli altri due da Don Benitez. Troppi lavori si richiedevano ancora prima che il collegio fosse all'ordine. E qui bisogna premettere un po' di preistoria.

 

                La fondazione di S. Nicolás fu offerta al Beato Don Bosco da Don Ceccarelli, parroco di quella città; ma non aveva basi solide. Il Servo di Dio nelle trattative non guardò per il sottile. Suo intendimento hic et nunc era di piantare una prima stazione in luogo, dove poter attuare il suo duplice ideale, d'intraprendere le Missioni indigene e di portare aiuto agli emigrati italiani, privi di assistenza, privi di maestri, privi di sacerdoti. San Nicolás offriva queste due possibilità per la relativa vicinanza degli Indi e per il gran numero di coloni venuti dalla Liguria. Da sessanta a settanta famiglie di quinteros ossia ortolani vi conducevano vita patriarcale, coltivando terreni che s'eran acquistati col frutto del proprio lavoro. Esse non traevano a sè elementi del paese; i maritaggi si stringevano fra connazionali, facendosi venire le spose anche dalla Liguria, massime dalla valle della Polcevera. Fra quelle famiglie primeggiavano i Montaldo, con i quali erano strettamente imparentati i Campora, i Lanza, i Ponte, i Vigo, nomi noti e cari ai nostri confratelli, per i benefizi  [103] avutine e per le vocazioni ecclesiastiche e religiose sbocciate in quelle case.

 

                Allorchè dunque i Salesiani misero piede in S. Nicolás de los Arroyos, ebbero l'ingrata sorpresa di trovare che il collegio, promesso e concesso da una Commissione argentina senza limiti di tempo, non aveva mobili e si riduceva a tre o quattro cameroni sul pianterreno. Don Fagnano, vedendo che le cose andavano per le lunghe, si diede attorno con l'aiuto dei coloni e dello stesso Don Ceccarelli per provvedere lo stretto necessario alla comunità; intanto vi si faceva anche un po' di scuola.

 

                Meno male che la chiesina era discreta; ma l'aveva edificata un privato a sue spese, il munifico Francesco Benitez, che fu il più grande e il più caritatevole dei Cooperatori Salesiani da quelle parti. Egli vi aveva fatto costrurre un bellissimo altare di legno intagliato; si era procurato da Barcellona una graziosa statua lignea di Maria Immacolata. La chiesetta si vedeva ogni giorno gremita d'Italiani, dietro i quali cominciarono presto a far capolino i ragazzi del paese. Le funzioni vi si eseguivano come a Torino con solenni Messe cantate, in cui formavano coro i figli dei coloni. E poi predicazione continua- e confessori a disposizione di tutti e a tutte le ore del giorno.

 

                I coloni, venendo a presentare i loro figli per la scuola, ne avrebbero voluti lasciare là come convittori; ma dove ricoverarli? Per tirar su un nuovo edificio eglino medesimi si dissero pronti a prestar il denaro, quanto ne occorresse e senza interesse. Don Fagnano, uomo di affari e impratichitosi di costruzioni a Lanzo e altrove, cominciò senz'altro a condurre una fila di portici e sopra a questi e sull'edifizio già esistente alzò un gran dormitorio lungo sessanta metri e largo quattordici. Disgraziatamente per la poca solidità delle fondamenta e per le piogge autunnali (la primavera nostra laggiù è autunno) alcune colonne si spostarono e parte dell'edifizio crollò. Ma Don Fagnano non si perdette  [104] d'animo: per il 1877 il collegio era aperto. La popolazione vi mandò subito ragazzi in parte di famiglie agiate e in parte di condizione umile, come convittori e semiconvittori. Vi si riprodusse il metodo di Alassio e di Lanzo nell'ordinamento scolastico, nell'orario, nelle passeggiate. Un'ottima banda rallegrava le feste, le ricreazioni e le gite. Un programma stampato sopra una sola facciata di un largo foglio in quattro colonne diffuse la notizia per tutta la regione[24]. Ai 10 di giugno monsignor Ceccarelli scrisse a Don Bosco: “Il Collegio di San Nicolás va perfettamente. I Padri Salesiani si portano benissimo e sono stimatissimi in città, ed il loro nome suona già in tutta l'America del Sud”[25]. L'ex-allievo dottor Guido Lavalle, Ministro della Suprema Corte di Giustizia, in un suo discorso del 2 giugno 1929, giorno della Beatificazione di Don Bosco, rievocò la vita di quei tempi nel collegio di S. Nicolás, ritraendo con brio i superiori, i compagni e le abitudini d'allora.

 

                Perchè intera sia la storia delle origini bisogna aggiungere, che non vi fu nessunissima donazione nè di terreno nè di edifizio, nè venne stipulato contratto di sorta con la mentovata Commissione, nella quale i nostri avevano riposto ogni fiducia. Detta Commissione, che in un primo momento aveva offerto una cabana de ovejas ed altre cose per il mantenimento, non diede mai niente. L'area di circa tre ettari apparteneva al Governo, che ne concesse appena l'uso. Chi aiutò continuamente i Salesiani e sarebbe stato disposto a fare di più, se non ne fosse stato impedito, fu il cooperatore Francesco Benitez. Scioltasi più tardi la Commissione, i suoi pretesi diritti sul collegio passarono al Municipio, ostile e massonico. Haec olim meminisse iuvabit. [105]

                Ora facciamo luogo alla corrispondenza del Servo di Dio, potutasi salvare in troppo scarsa misura dall'ingiuria del tempo. Nella prima metà di febbraio arrivarono a Don Bosco cinque plichi contenenti parecchi fogli di confratelli e di amici. Le lettere dei confratelli, prima annunziate e poi lette in pubblico, invogliavano molti ad abbracciare la vita missionaria. “Fra i Salesiani, dice a questo proposito la cronaca, ottanta su cento sono pronti a partire alla prima voce di Don Bosco”. Con ritocchi di Don Chiala le lettere comparivano poi nell'Unità Cattolica. Il 12 febbraio il Beato scrisse a Don Cagliero:

 

                Mio caro D. Cagliero,

 

                Abbiamo ricevuto la tua lettera e quelle che furono scritte dagli altri nostri Salesiani. Furono lette col massimo piacere e si pubblicano con gran premura nei giornali. Io ringrazio Dio che ci aiuti a condurle avanti a maggior sua gloria.

 

                Ho già ricevuto lettera da D. Fagnano da S. Nicolás, in cui mi dà notizie del loro arrivo, e delle loro attuali occupazioni. Secondo esso il locale del collegio è assai ristretto, ma soggiunge che il Municipio pare disposto a farlo ingrandire ed aggiustar ogni cosa per bene. Mi avete già in più lettere detto di procurare dei Salesiani e delle Ausiliatrici, dei giardinieri, ecc., ma io attendo positive disposizioni che vengano da te, ed allora ci metteremo all'opera. Avvi Sammorì che riesce a meraviglia nella predicazione. Se ne parla come di una specialità, ed avendolo invitato a fare una predica nella Chiesa di M. A., tutti confermarono le voci, o meglio la fama divulgata. Andrebbe forse bene per la Chiesa della Misericordia. Non esiterebbe un momento di andarvi. In questo momento, se dessi libertà, tutti i Salesiani volerebbero presso Buenos Aires.

 

                D. Tomatis ha scritto una lettera a Varazze, in cui esprime come egli non sia tanto d'accordo con qualcheduno. Questa lettera, scritta a D. Francesia, ha fatto cattiva impressione in quel collegio e a Torino. Digli due cose:1° Che un missionario deve ubbidire, soffrire per la gloria di Dio, e darsi massima sollecitudine per osservare quel voti, con cui si è consacrato al Signore.

 

                2° Che quando si avesse motivo di malcontento, il dica col suo Superiore, o lo scriva immediatamente a me, e così avrà norma di operare.

 

                Ieri l'altro (10 febb.) furono aperte le due piccole case di Ventimiglia: D. Cibrario, Direttore; Cerruti Maestro; Martino Maggiordomo. A suo posto in Sacrestia vi sottentrò D. Bodratto. [106] In numero i figli di M. A. crescono maravigliosamente, e promettono assai. Questa è l'opera da coltivarsi con tutto l'impegno possibile.

 

                Mi si danno pochissime notizie del Comm. Gazzolo. C'è qualche nube?

 

                Le Ausiliatrici verranno in Valdocco ai primi di marzo. Dobbiamo prepararne per l'America?

 

                Fa rispettosi ossequii a Mons. Arcivescovo, Dott. Spinosa, Dott. Ceccarelli e al papà Benitez. A costui dirai che la sua lettera in latino fu letta da tutte parti, da Lanfranchi, Vallauri, e nelle nostre case pubblicamente. Tutti fecero meraviglia della sua bellezza, ordine e purezza. Gli risponderò quanto prima. Quanti saluti! Casa Radicati, Appiani, Passati, Calori, Corsi, Marengo, Margotti ed un milione di altri, compreso D. Picco, Prof. Bonzanino, Cont. Roasenda, ti salutano.

 

                Caro D. Cagliero, abbi cura della sanità tua e di quella degli altri. Noi raccomandiamo te e tutti i tuoi compagni al Signore, e tu prega anche per me che ti sarò sempre nel Signore.

 

                12 febbraio, 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Dammi poi anche notizia del vostro stato finanziario.

 

                La casa di Nizza prende ottimo avviamento.

 

                D. Ronchail Direttore, Rebagliati pianista, Peret Maestro, Capellano cuoco, Guelfi Enrico guardia stabile.

 

                Mons. Fratejacci, Avv. ed ora Can. Menghini il caro Alessandro Sigismondi, Cav. Bersani, Card. Antonelli e Card. Berardi ossequiano ecc.

 

                Omnia in Nomine D. N. I. C. Amen.

 

                Il zelante Missionario Don Tomatis, al quale ancor giovincello Don Bosco aveva predetto che avrebbe per lunghi anni diviso con lui il pane, mal soffriva le scontrosità del coadiutore Molinari, maestro di banda. Costui realmente col suo carattere si rendeva talvolta insopportabile, tant'è che l'anno dopo se ne uscì dall'Istituto. Don Bosco, che con la sua carità longanime e sapiente si guadagnava individui anche mezzo strambi fino a renderseli docili e non poco utili, desiderava che i suoi figli lo imitassero in questo spirito di tolleranza. Perciò, non pago della raccomandazione indiretta, scrisse al medesimo Don Tomatis una lettera bellissima sullo stesso argomento. [107]

 

                Mio caro D. Tomatis,

 

                Ho avuto tue notizie e provai gran piacere che tu abbi fatto buon viaggio e che abbi buona volontà di lavorare. Continua. Una tua lettera scritta a Varazze ha dato a conoscere che tu non sei in armonia con qualche tuo confratello. Questo ha fatto cattiva impressione, specialmente che si lesse pubblicamente.

 

                Ascoltami, caro D. Tomatis: un Missionario deve esser pronto a dare la vita per la maggior gloria di Dio; e non deve poi essere capace di sopportare un po' di antipatia per un compagno, avesse anche notabili difetti? Dunque ascolta quello che ci dice S. Paolo: Alter alterius onera portate, et sic adimplebitis legem Christi. Caritas benigna est, patiens est, omnia sustinet. Et si quis suorum et maxime domesticorum curam non habet, est infideli deterior.

 

                Dunque, mio caro, dammi questa gran consolazione, anzi fammi questo gran piacere, è D. Bosco che te lo chiede: per l'avvenire Molinari sia tuo grande amico, e se non lo puoi amare perchè difettoso, amalo per amor di Dio, amalo per amor mio. Lo farai, non è vero? Del resto io sono contento di te, ed ogni mattina nella S. Messa raccomando al Signore l'anima tua, le tue fatiche.

 

                Non dimenticare la traduzione dell'aritmetica, aggiungendo le misure e pesi della R. Argentina.

 

                Dirai al benemerito Dott. Ceccarelli che non ho potuto ricevere il catechismo di cotesta Archidiocesi, e desidero averlo, il piccolo, per inserire gli atti di Fede nel Giovane provveduto conformi ai diocesani.

 

                Dio ti benedica, caro D. Tomatis; non dimenticare di pregare per me, che ti sarò sempre in G. C.

 

                Alassio, 7-3-76.

A ff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                Il Giovane Provveduto, stampato allora allora in francese[26], stava per uscire tradotto anche in spagnuolo; si aspettava solo quel catechismo, che non tardò a venire.

 

                Dobbiamo ancora dire una parola sopra un altro punto della lettera a Don Cagliero, la quale contiene una di quelle espressioni che il Beato non buttava là a caso. “C'è qualche nube?” chiede egli sul conto del Gazzolo.

 

                Siccome di questo personaggio ci dovremo occupare altre volte, è necessario che richiamiamo fin d'ora i nostri lettori [108] a una realtà non infrequente nelle vicende umane. La divina Provvidenza nel compiere opere anche di somma importanza si è valsa più volte di uomini che non cercavano punto la gloria di Dio e il bene delle anime, ma l'onore proprio e l'interesse della loro causa, qualunque essa fosse, ovvero anche della loro persona. In così agire non s'avvedevano essi che altri, movendo da polo opposto, s'incontravano con loro, ne mettevano a profitto l'attività e ne facevano convergere le mire a finalità ben più alte. Anche nel corso di queste Memorie la verità storica potrebbe obbligarci a riscontrare ombre, dove tutto sembrava adorno di pura luce; ma era la luce del nostro Beato che, investendo certe nebulose, le rendeva splendenti. Giova credere tuttavia che a tale categoria di suoi collaboratori la preghiera del Servo di Dio abbia avuto efficacia di ottenere lumi celesti in tempo opportuno.

 

                Il Gazzolo non era contento. Gli spiaceva che in tanto parlare di Missionari si fosse parlato così poco dell'opera sua. La sua corrispondenza permette di leggergli nell'animo[27].

 

                Un'affermazione particolarmente è d'uopo qui rettificare, e non nel solo interesse della storia. In una lettera egli asserisce rotundis verbis, che la chiesa della Misericordia fu da lui “fondata ed eretta”. La verità è che egli fu incaricato dalla Confraternita di comperare il terreno per costruirvi la chiesa. Nell'occasione fece pure un buon affare; poichè, senza defraudare la Confraternita, acquistò tanto terreno che ve ne fosse per la chiesa e per conto suo. Solo che, confinata la chiesa nel fondo, ritenne per sè i due appezzamenti laterali, che fiancheggiavano le vie, con la mira alle due case ivi in appresso da lui fabbricate, una delle quali i Salesiani comprarono da' suoi eredi, pagandola profumatamente.

 

                Per buona sorte il Beato riceveva da altre fonti comunicazioni assai più confortanti. Così il Vicario monsignor Espinosa [109] con il medesimo corriere gli scriveva[28]: “I suoi figli fanno un bene immenso in città. Predicano, catechizzano che è una consolazione. I poveri Italiani non avevano qua nessuno che li coltivasse e così adesso si riempie la chiesa... Quel che bisognerebbe si è che il signor Gazzolo desse quel terreno che ha accanto alla chiesa per i Padri. La casa che hanno attualmente è piccola assai, e non c'è terreno per ingrandirla”. Anche Don Ceccarelli aveva già tessuto le lodi dei Salesiani di S. Nicolás[29]: “La salute di tutti è eccellente, la buona volontà di lavorare nella vigna del Signore è indicibile, il desiderio di far onore all'Istituto è ammirabile, il loro comportamento è degno di Missionari che vanno ad incontrare il Martirio”. La quale ultima espressione non va attribuita ad enfasi oratoria. Don Fagnano, per esempio, eseguiva lunghe escursioni apostoliche, nelle quali faceva gran bene, grandemente soffrendo.

 

                Rimangono due lettere da riprodurre qui, scritte dal Beato Don Bosco a Don Cagliero, testimonianti l'affezione paterna di lui per i suoi cari figli lontani.

 

                Carissimo D. Cagliero,

 

                Il Sig. Can. Vogliotti ha un nipote che va a Buenos Aires e desidera che io ve lo raccomandi. Io ti mando la stessa sua lettera, affinchè ne possa aver maggior conoscenza. Aiutalo in quello che puoi, soprattutto per ciò che riguarda la religione.

 

                Ieri (13) si fece teatrino e si rappresentò la famosa Disputa tra un avvocato ed un ministro protestante, e riuscì brillante. Mino[30] cantò Il figlio dell'Esule con ottimo successo, ma il pensiero che l'autore [110] della musica era cotanto lontano, mi ha profondamente commosso; quindi in tutto il tempo del canto e della stessa rappresentazione, non ho fatto altro che pensare ai miei cari Salesiani d'America.

 

                D. Cibrario e D. Ronchail mi scrivono che le loro case sono ben cominciate e ben avviate con prospettiva di vero incremento.

 

                I soliti saluti ai soliti amici e figli, ed altri: sempre in G. C. 16-2-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Car.mo D. Cagliero,

 

                Aggiungo qualche parola a quanto hanno scritto gli altri.

 

                Oggi si è benedetta la Cappella per le Suore in Casa Cattellino e sono per ora in numero di sette. Suor Elisa, Madre Sup.a; vi è anche qui la Madre Giusep. Tutte insieme ti mandano tanti saluti. Il T. Molinari, Marengo, Barone Bianco, Conte Sigismondi, Marc. Fassati, Mons. Fratejacci, Avv. Menghini, Mamma Corsi e molti altri ti mandano mille saluti. Oggi fu stabilita una nuova Casa da aprirsi ai Santi alla Trinità. Dillo a D. Tomatis[31]. E' un ricovero colla scuola.

 

                Lunedì parto per Roma, donde tratterò più cose, tra cui la compra di una casa. Di là scriverò al Dott. Ceccarelli, e al Papà Benitez.

 

                Saluta tutti i nostri cari Salesiani, e di' a tutti: Alter alterius onera portate et sic implebitis legem Christi.

 

                Amatemi e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.

                Torino, 30 marzo 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Di mano in mano che la fama dei Salesiani si propagava nella Repubblica Argentina e, varcando le frontiere, si diffondeva pure. nelle repubbliche limitrofe, domande si succedevano a domande per fondazioni che avessero per iscopo l'educazione della gioventù, come si vedrà nel processo di questa storia. Il Beato, che tutto questo sapeva, chiamava già a raccolta i suoi pensieri per allestire presto una seconda spedizione. Infatti il 30 marzo diede a Don Chiala questo biglietto, che gli servisse di traccia per scrivere a Don Cagliero: “Nelle vostre lettere ci fate vedere il pressante bisogno di personale; noi siamo pieni di buona volontà di mandarvene [111]; ma bisogna che D. Cagliero domandi specificatamente quanti individui e per quali impieghi. Nelle varie lettere si domandano ora due, ora quattro, altra volta trenta Missionari... Avuta questa nota, si penserà subito alla spedizione e la faremo partire”.

 

                Di una cosa si sono fatti apprezzamenti erronei, del disegno cioè balenato alla mente di Don Bosco e da lui palesato poco dopo la prima spedizione di Missionari. Egli carezzò l'idea d'indurre il Governo italiano a fondare nel sud dell'Argentina una colonia, che dipendesse in tutto e per tutto. dalla madre patria: sogno inattuabile, ma scevro di moventi politici.

 

                Che il disegno fosse chimerico, egli non lo sospettava, perchè riteneva che laggiù esistessero plaghe sconfinate non appartenenti a nessuno Stato civile. Ci risulta infatti che egli due volte ne parlò in questo senso. La prima volta, il 5 febbraio del '76, accennò a “quelle terre della Patagonia, non ancora soggette alla Repubblica Argentina”; la seconda, il 19 dello stesso mese, disse essere tanti colà “i terreni primi occupantis”. La stessa persuasione è formulata in un promemoria al Ministro degli Esteri Melegari[32], dove segnala una plaga stendentesi “dal Rio Negro fino allo stretto Magellanico”, in cui “non vi è abitazione, nè porto, nè governo che abbia alcun diritto”. In tale errore l'avevano indotto autori italiani male informati, enciclopedie superficiali e carte geografiche con fantastiche indicazioni. Gli studi geografici dovevano aspettare ancora una quarantina d'anni in Italia per elevarsi a maggior dignità scientifica. Ma allorquando seppe che non s'incontrava più da quelle parti un palmo di suolo, su cui non si stendesse il dominio dell'Argentina o del Chile, naturalmente non fece più motto dell'impresa[33]. [112] Impresa, per altro, da lui concepita come il mezzo più efficace a conseguire il suo duplice intento di evangelizzare e incivilire gli Indi e di incanalare saggiamente la nostra emigrazione. Egli vedeva che questa sarebbe cresciuta di anno in anno; vedeva come i nostri poveri emigrati fossero esposti alla mercè degli elementi fisici e d'ingordi sfruttatori; prevenendo i tempi, egli sentiva che il Governo faceva male a disinteressarsene: ma soprattutto gli piangeva il cuore al leggere con quanta facilità i nostri connazionali perdessero in quell'abbandono la fede avita. Avvezzo a trar partito da ogni qualità di enti e di persone per fare del bene, volle per ideali così puri strappare aiuti anche al Governo del suo paese. Non che biasimo dunque, glie ne va data alta lode, almeno per le sante intenzioni. In magnis et voluisse sat est[34].

 

 

CAPO V. Per i collegi e nell'Oratorio.

 

                Quando vediamo il Beato Don Bosco uscire dall'Oratorio per recarsi nei collegi, corre spontaneo alla mente l'evangelico exiit, qui seminat, seminare semen suum. Quanto ci sarebbe caro e vantaggioso aver copia di notizie intorno a quelle provvide seminagioni!, Ciò ben mostrarono d'intuire i primi Direttori, allorchè unanimi si pronunziarono in favore delle cronache locali, dove registrare quanto Don Bosco andasse facendo e dicendo per le case durante le sue visite. Che ricca messe d'esempi e d'insegnamenti noi avremmo ora, se quelle cronache locali non fossero rimaste un pio desiderio! Tesoreggiando dunque il poco che abbiam potuto razzolare qua e là per i due mesi di febbraio e marzo, ci riserbiamo di rifarci un tantino della carestia esterna con lo sfruttare cronachine e cronachette dell'Oratorio.

 

                Dal 20 febbraio all'11 marzo il Servo di Dio, chiamato telegraficamente a Nizza, profittò del viaggio per visitare i collegi della Liguria. Seguiamolo direttamente alla meta, sebbene abbia fatto a Sampierdarena una sosta, della quale non sappiamo nulla.

 

                Il Patronage S'. Pierre era alla vigilia di una bella trasformazione. L'opera non poteva vivere, non che svilupparsi, così rannicchiata nel. pianterreno e nel sotterra della vecchia filanda. E poi sotto gli occhi indiscreti, che dalle finestre dei palazzi circostanti spiavano tutto quello che si faceva [114] in casa, vi si pativa una soggezione che sapeva di schiavitù. Il Direttore, venuto a Torino per la festa di san Francesco, parlò a Don Bosco di una villa Gautier presso la Piazza d'Armi, che era in vendita e che gli sembrava rispondere pienamente allo scopo. Edifizio capace; giardino da mutarsi in bel cortile; sito fuori dai tumulti cittadini, ma abbastanza vicino alla città per gli esterni; posizione saluberrima e incantevole. Solo il prezzo non si confaceva guari con le finanze di Don Bosco; ci volevano centomila franchi! Ma egli, visto il bisogno, non esitò. Il 3 febbraio diede a Don Ronchail l'incarico di scrivere ad alcuni benemeriti Nizzardi, che si procedesse alla compera: la Provvidenza non sarebbe venuta meno.

 

                Allora fu che l'abate Roetti di Nizza ebbe una geniale idea. I giornali annunziavano che monsignor Mermillod, Vicario Apostolico di Ginevra, proveniente da Marsiglia e diretto a Roma, sarebbe passato per Nizza. Questo eloquente Prelato di fama mondiale anche perchè da tre anni soffriva l'esilio, vittima di tirannie ereticali e settarie, andava alla Città eterna sia per ritemprare l'animo sulla tomba di San Pietro e ai piedi del grande Pio IX, sia per promuovere la causa della dichiarazione del Salesio a Dottore della Chiesa. L'abate dunque propose ai soci della Conferenza Vincenzina di supplicar Monsignore, che. volesse fermarsi a Nizza per tenervi un sermon de charité o, diremmo noi, una conferenza in favore dell'opera di Don Bosco. Il presidente avvocato Michel, il barone Héraud ed alcuni altri soci, accolta la proposta, invitarono Monsignore; questi dopo uno scambio di lettere e di telegrammi finalmente consentì per il pomeriggio del 23 febbraio, nel tempo che sarebbe corso fra l'arrivo di un treno e la partenza dell'altro.

 

                Un'eletta di ferventi cattolici si trovò a ricevere il degno Pastore, che giunse all'una. Il discorso, che doveva farsi alle tre, fu fatto alle due nella chiesetta di san Francesco da Paola, talmente gremita di uditori, che molte persone  [115] dovettero rassegnarsi a tornare indietro. Nella sacrestia l'oratore domandò su quale argomento dovesse predicare. Inteso che trattavasi di un'opera a vantaggio di orfanelli e diretta dai Salesiani, se ne mostrò contentissimo, perchè, come disse poi, era bene che il successore di san Francesco di Sales predicasse in pro di un'opera affidata a una Congregazione avente per Patrono il santo Vescovo di Ginevra. Pochi minuti dopo montò in pulpito. Il nobile e imponente uditorio, presieduto da monsignor Sola, Vescovo di Nizza, aspettava ansioso la parola de1 grande perseguitato.

 

                Monsignor Mermillod prese per tema il testo di Davide: Tibi derelictus est pauper, orphano tu eris adiutor[35]. Dimostrò quindi la relazione che passa fra la maternità della donna e la maternità della Chiesa; fece vedere come questa venga in aiuto di quella, quand'essa non abbia la possibilità di allevare la prole; terminò mettendo in rilievo il comune obbligo di unirsi con la Madre Chiesa per mantenere e crescere buoni i poveri orfani, i quali, aiutati dalla religione, divengono il sostegno della società, mentre abbandonati a se stessi, privi dei soccorsi di questa Madre, non si rassegnano punto allo stato in cui la divina Provvidenza li ha posti e invece di ravvisare nel ricco il fratello e il benefattore, lo considerano quale un tiranno e così vengono trascinati al comunismo. La commozione prodotta dal suo dire fu tale, che la limosina raccolta ammontò alla somma di franchi quattromila e cinquecento. Giornali francesi e italiani se ne occuparono, intrecciando gli elogi del conferenziere con le lodi all'“ammirabile prete torinese, il-cui nome era già immortale”[36].

 

                Effetto di tanta pubblicità fu una pioggia di formali domande da più parti della Francia, come da Lione, da Parigi, da Annecy; più particolarmente sorse e prese corpo l'idea di una casa Salesiana a Marsiglia. Il Vescovo di Aix mandò espressamente [116] una persona di sua fiducia a parlare con Don Bosco per ottenere una fondazione nella sua diocesi. Don Bosco rispondeva a tutti che le proposte erano conformi alle sue intenzioni; che ben volentieri accettava; che però non aveva personale sufficiente e quindi per il momento gli conveniva soprassedere; che intanto egli avrebbe veduto il da farsi.

 

                Il Beato assistette alla conferenza? Certamente. Ma si narra che, mentre gli uditori ammiravano i prodigi della sua carità, egli tranquillamente dormiva, tanto si sentiva sicuro della divina Provvidenza. La qual fiducia venne da lui espressa a chiare note in due particolari circostanze, che ci fanno conoscere sempre meglio l'uomo di Dio.

 

                Il notaio Sajetto, che prestava gratuitamente l'opera sua, gli fece rilevare che la registrazione dell'atto importava per il Governo un diritto di oltre seimila franchi; al che Don Bosco rispose che, avendo appena i quattromila franchi della questua, si rassegnava a comprare sulla parola. Allora il presidente della Società di san Vincenzo, scorgendo in questo puramente un atto di sconsigliata temerità, non si trattenne dal dirgli che quella era una pazzia. - Uomo di poca fede! gli rispose Don Bosco. Vedrete che in-tre mesi avremo trovato più di diciottomila franchi qui nel paese e si potrà firmare il contratto. Scrivete prima di tutto a Pio IX: il suo nome farà effetto in capo alla sottoscrizione. - Il consiglio fu accettato, ed ecco che Sua Santità per mezzo del cardinal Antonelli mandò subito duemila franchi[37]. Poi il Consiglio generale della Società di san Vincenzo ne spedì mille; altri mille donò monsignor Sola; parecchi soci regalarono mille franchi ciascuno; un socio, il meno agiato ma il più affezionato forse al Patronage, vendute certe sue azioni, ne ritrasse franchi ottomila, che rimise nelle mani di Don Bosco. Allo spirare dei tre mesi i diciottomila franchi erano trovati e il contratto firmato. [117]

                In un'altra occasione ancora il Beato dimostrò quanta fiducia egli riponesse nella divina Provvidenza. Avendogli il medesimo presidente domandato se non gli paresse che quella casa, avuto riguardo al fine cui la si voleva destinare, fosse troppo costosa, il Servo di Dio animatamente lo interruppe dicendo: - Dio fa le sue opere con magnificenza. Osservate nel cielo la quantità delle stelle, nel mare la profondità degli abissi e la moltitudine dei pesci, sulla terra quante varietà, ricchezze e bellezze d'ogni specie. Ora, anche questa è opera sua. Non andiamo tanto per il sottile. Se i mezzi per comprare questa bella casa ci mancano, Dio ce li provvederà.

                Facciamo di qui un balzo innanzi, portiamoci nell'Oratorio alla sera stessa del suo ritorno, per gustarvi una di quelle conversazioni familiari che Don Barberis ebbe, diciamo così, l'ispirazione di consegnare alla sua umile cronaca, che talora ha tramandato fino a noi quasi l'accento vivo della parola di Don Bosco.

 

                Con parecchi suoi preti egli dopo cena discorreva, secondo il solito, di millanta cose, rispondendo per lo più a domande e osservazioni fattegli dagli interlocutori. Quella volta uno gli chiese: - Assistette lei alla predica di monsignor Mermillod?

 

                - Se vi assistetti! Il Vescovo di Nizza mi tirò vicino a sè. Era stato posto per lui un seggiolone in presbitero e là volle che anch'io mi sedessi al suo fianco, circondato da tutti i canonici, in presenza del popolo.

 

                - Conosceva già monsignor Mermillod?

 

                - Sì, lo conoscevo già da tanto tempo e ci mantenemmo sempre in relazione per lettera. E’ assai benevolo verso l'Oratorio. Passò già qui per venirmi a trovare, vide l'Oratorio, e gli piacque.

 

                - Era piccola, eh, la chiesa di san Francesco? Altrimenti la elemosina sarebbe stata maggiore.

 

                - Piccola, e così stipata, che i collettori non potevano  [118] passare. A molti il taschetto non arrivò. Si disse, e credo con ragione, che se la chiesa fosse stata grande, non quattromila, ma quindicimila franchi si sarebbero raccolti. Tanti signori fecero dopo ciò che non poterono fare allora, di modo che a ogni momento io mi vedeva giungere visitatori e lettere con quaranta, cinquanta, cento franchi di elemosina per concorrere ad assicurare stabilmente l'esistenza dell'oratorio. A Nizza siamo proprio ben veduti. Anche le autorità civili ci proteggono. Persino il Prefetto, che è protestante, ci sostiene sul serio. Erasi presentato a lui un protestante per protestare contro Don Bosco. Due ragazzi, fuggiti dall'ospizio protestante, erano passati al nostro Patronage, dove quel tale diceva che si violentavano le coscienze e si costringevano i giovani a farsi cattolici. Pretendeva quindi che il Prefetto cavasse fuori di là i due giovani. Ma il Prefetto gli rispose: " Da voi sono fuggiti, perchè non volevano più rimanere; come dunque farveli ritornare? Sarebbe un violentarli. Non permettere a Don Bosco di ricevere i due fanciulli, che gli si presentarono accompagnati dai loro genitori e nelle debite forme, io non posso. Andate, andate; staranno bene là come da voi " Così i due fuggitivi sono rimasti.

                Indi il Beato descrisse in questi termini la nuova dimora e lo stato delle cose: - Quando si possa aprire la casa nuova or ora comperata, si avrà un locale magnifico. E' posta sul confine della Piazza d'Armi. Ha novemila metri quadrati e cortili così spaziosi da bastare per un migliaio di giovani esterni. Di alunni interni, occupando bene i posti come siam soliti fare noi, ne può contenere centocinquanta. E poi c'è mezzo d'ingrandire l'edifizio. La fabbrica è persino troppo bella; ha scaloni di marmo bianco e pavimenti pure di marmo. Si è comperata per novantamila franchi, e subito dopo mi si offerse altrettanto, perchè vendessi il terreno del giardino senza il fabbricato. La spesa totale ascenderà a centomila franchi, contando lo strumento, la carta bollata, la tassa, cose che in Francia importano maggiore spesa che da noi. [119] Ma tra le elemosine portatemi e altre che sono andato io a sollecitare e alcune altre promessemi per il tempo dei pagamenti, l'intera somma della compera è raggiunta. Anche il procuratore si dà la massima cura per togliere le ipoteche varie che vi gravano sopra, facendo tutto di sua spontanea volontà senza interesse. Egli e l'avvocato mi hanno già detto che non vogliono un soldo di ricompensa, perchè desiderano di concorrere anch'essi in qualche modo a quella fondazione. Sia lodato il Signore! Passi ne feci, non istetti inoperoso; ma ho potuto portare le cose a un punto che oramai possono andare avanti da sè. Dirò ancora che a Nizza ci siamo inoltre intesi per l'apertura di un secondo oratorio festivo, presso la chiesa dove va il nostro Don Guelfi a dire la Messa.

 

                In conclusione disse bene Don Durando: -Là in Francia capiscono quello che veramente può far del bene e, quando vedono che un'istituzione è buona, sono larghi di elemosine. Le cose potevano, sì, andare avanti da sè, ha detto Don Bosco, ma con questo egli non escludeva la valida cooperazione. Perciò di qui a due mesi scriverà a quel Direttore, indicandogli molto in concreto la maniera di trovare i mezzi necessari. E’ una lettera, che ci svela i principii, secondo cui si regolava il Beato Fondatore nell'avviare le sue opere. “Giacchè ci siamo messi in ballo, bisogna che procuriamo di condurre la danza al fine”: ecco l'uomo della costanza, che, una volta decisa un'impresa, non conosce più i se e i ma. “Dio vuole quest'opera e non possiamo rifiutarci senza ledere i suoi santi voleri; e se noi coopereremo, siamo certi del buon esito”: ecco l'uomo della santità che, una volta conosciuto il volere divino, affronta in pieno il suo dovere, che è di fare tutto l'umanamente possibile per attuare i disegni della Provvidenza.

 

                Carissimo D. Ronchail,

 

                Giacchè ci siamo messi in ballo bisogna che procuriamo di condurre la danza al fine; quindi sciogliere le difficoltà che si presentano pel nostro patronato di S. Pietro. Se pertanto il benemerito sig. Notaio [120] Sajetto può trovare la somma di fr. 60 mila in mutuo, tra tutti ci adopreremo di trovare gli altri 30 mila che occorrono al pagamento a pronta cassa per la casa Gautier. Dunque:

 

                1° Dirai al Sig. Avv. Michel e al signor Barone Heraud che cerchino ubique terrarum per aggiungere cosa a cosa, cioè quattrini a quattrini; coltivando specialmente la Marchesa Villeneuve, l'inglese che sta sotto l'alloggio del sig. Barone, il Conte Aspromonte e tutti quelli che potessero giovarci nel riparto della beneficenza del Carnevale. Siccome il Sindaco disse ripetutamente che prendeva parte al nostro caso e come cittadino e come capo del Municipio, il quale avrebbe pure concorso, così è bene di sollecitare una memoria all'oggetto di supplicare per un concorso alle 30 mila lire che dovrebbonsi pagare in contanti subito per effettuare un'opera che riguarda certamente alla parte più degna di attenzione, quali sono appunto i fanciulli abbandonati di Nizza. Chi sa che il Signor Dellepiane non venga anche in aiuto?

 

                2° Tu lavora presso il Sig. Pirone, al Canonico Daidero ed anche presso il Sig. Canonico Bres, affinchè facciano qualche sforzo in questo caso eccezionale.

 

                Di' al Sig. Audoli che metta in opera tutta la sua pazienza, la sua carità ed anche la sua borsa.

 

                Forse il padre Giordano[38] potrà anche giovarci.

 

                Il Vescovo aggiungerà ancora qualche cosa, ma gli scriverò a suo tempo.

 

                3° Intanto si depurino bene le cose, si faccia il compromesso fissando circa due mesi a fare l'istrumento. Sul finire di questo mese vado a Roma e di là farò quel che posso.

 

                Quindici giorni prima del giorno fissato per l'atto notarile mi scriverai quanto vi manca ancora e farò modo di mandarvelo a costo di fare un mutuo a Torino.

 

                Dio vuole quest'opera e non possiamo rifiutarci senza ledere i suoi santi voleri e se noi coopereremo siamo certi del buon esito. Ma bisogna dire che il demonio ci metterà la coda e noi ci adopereremo di comune accordo per tagliargliela. Sarà anche bene di comunicare la cosa al Vescovo senza però fare alcuna dimanda.

 

                Saluta i mentovati signori, preghiamo con fede e l'aiuto Divino non mancherà.

 

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

                 (senza data).

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Beato si affrettò pure a informar il Direttore delle grazie spirituali concesse già dal Papa ai benefattori delle [121] opere salesiane, riservandosi di comunicargli più tardi, forse da Roma, le concessioni di altri favori individuali per le persone più benemerite.

 

                Car.mo D. Ronchail,

 

                Ti mando una parte de' favori ottenuti dal S. Padre ai nostri benefattori, affinchè se ne possano cominciare a servire. Rabagliati saprà dire le parole che devono scriversi in ciascun foglio. Le altre grazie spirituali te le manderò presto; ma comincia a distribuire questi e dì a tutti che abbiamo bisogno della loro carità. Il Can.co Dondero, il Sig. Pirone, il sig. Dellepiane ecc. non fecero niente?

 

                Nei giorni passati non fu possibile occuparmi del nuovo acquisto. Lunedì comincierò di proposito. Ma tu cercane dove ce n'è e fattelo dare per forza. Il Barone, il sig. Audoli che ne dicono?

 

                 (Originale di D. Bosco senza firma).

 

                Non andò guari che Don Ronchail ebbe bisogno di consiglio in un affare delicato, che turbava la pace della diocesi. In luogo remoto e isolato sorgeva un santuario, che si denominava del Laghetto, meta di frequenti pellegrinaggi divoti. Il Vescovo, come già vedemmo[39], avrebbe voluto affidarlo ai Salesiani., ma a Don Bosco non pareva cosa opportuna accettare. Tuttavia le insistenze continuavano.

 

                Bisogna conoscere un po' la storia del sacro luogo. Prima della rivoluzione francese esso apparteneva ai Carmelitani scalzi. Cacciati durante il turbine rivoluzionario al par degli altri religiosi, i Carmelitani tornarono al tempo della restaurazione; ma chiesa e convento divennero appresso proprietà dello Stato per la legge d'incameramento del '55. Annessa la Contea di Nizza alla Francia, il Governo pose in vendita l'insieme di tutti quegl'immobili. I Carmelitani vollero farne acquisto per ristabilirvisi; se non che il Capitolo di Nizza vi si oppose, fece un'offerta maggiore, ne rimase proprietario e vi pose un prete secolare che, presa stanza nel convento, attendeva alla amministrazione del santuario, nulla curando le proteste dei Carmelitani. [122]

                Le cose stavano a questo punto, quando si tentò di trattare con Don Bosco. Vi erano gravi rotture nel clero, fra clero e laici, fra i laici medesimi. “Io sono neutro, scriveva Don Ronchail[40], e debbo tenermi tale per le circostanze in cui mi trovo; sono ben impicciato e non oso andare a far visite di giorno, perchè c'è sempre chi osserva dove si va, per arguire a che partito uno si tiene, epperciò vado di notte. Sembrano cose da ridere, -ma sono serie. Se ne parla alla Camera dei Deputati e non so come andrà a finire... Anche i membri delle Conferenze sono divisi per questo, ed io debbo stare sul quinci e quindi (sic) per non cadere in disgrazia di nessuno. Mi gioverebbe tanto una sua lettera con qualche consiglio a proposito”. Il Beato, che non gli potè rispondere subito, gli rispose da Roma.

 

                Car.mo D. Ronchail,

 

                Ho ricevuto a suo tempo le notizie che mi hai comunicato e ti rispondo da Roma, dove mi trovo da pochi giorni.

 

                Ho poi molto piacere che il sig. Audoli comincia a mettere i suoi pensieri e la sua stessa persona nel nostro piccolo patronage. Usagli tutti i riguardi possibili; pregalo a dirti quanto gli occorre e provvedi. Lo saluterai tanto da parte mia ed io lo raccomanderò in modo particolare nella S. Messa, come amico, come fratello e gli domanderò una speciale benedizione, quando mi presenterò al S. Padre.

 

                In quanto al nostro affare Gautier, approvo tutto. Continua a preparare ed appostare danaro per l'epoca dell'atto notarile. Noi faremo un catalogo su cui saranno scritti i benefattori, che in qualunque misura hanno fatto offerte a quest'uopo; in capo sarà il sig. Barone. Hèraud e l'avv. Michel; e finchè durerà questa nostra istituzione si faranno mattino e sera particolari preghiere per loro.

 

                In quanto all'affare del Laghetto mi pare che si vada ogni giorno più imbrogliando. Tu tieni queste regole:

 

                1° Non mai tirar fuori discorsi ad hoc.

 

                2° Quando se ne discorre mostrati poco informato, con poca volontà di parlarne

 

                3° Dovendo poi assolutamente dire qualche cosa, limitarti: Io non leggo giornali di nessun genere. Io amo tutti, voglio bene a tutti, ho bisogno di tutti e sono incapace di giudicare. Ma quando la Santa Chiesa dirà qualche cosa, io sono subito d'accordo in ogni sua decisione, etc. etc. [123]

                Dirai al parroco di S. Giovanni di Villafranca che lo ringrazio della parte che prende ai nostri bisogni. Spero però che sarà molto contento dei favori che gli comunicherò appena sia compiuta la pratica. Dirai lo stesso al Sig. Dellepiane, mio antico e caro collega.

 

                Il Sig. Canonico Daidero avrà la medaglia, come desidera, e colla medaglia avrà anche molti favori spirituali; ma io mi raccomando che mi procuri anche qualche mattone per villa Gautier.

 

                Riguardo a Perrèt sarà bene dire le cose per suo nome e nel rendiconto mensile interrogarlo direttamente sopra i dubbi che hai. Se egli nega tu mostrati soddisfatto, dissimula e noi vedremo il da farsi.

 

                Dopo l'udienza del S. Padre ti scriverò di nuovo.

 

                Amami in G. C. Saluta i nostri cari giovani e tua madre; prega per me che ti sono nel Signore

 

                Roma,12-4-76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Rabagliati suona? Peracchio e il falegname Ronchail si fanno Salesiani?

 

                Il nostro venerando Don Cartier, che tanta parte della sua vita spese a Nizza, è di parere che il rifiuto di Don Bosco, ispirato a quel senso di giustizia, di carità e di pace che gli fu sempre familiare, abbia reso possibile il ritorno dei Carmelitani al Laghetto[41]. Questi religiosi infatti non solo ricuperarono i loro diritti, ma seppero anche ravviare gli amichevoli rapporti con il Capitolo della Cattedrale, facendovi gran bene, finchè la legge del 1901 contro le Congregazioni non li venne nuovamente a cacciar di nido.

 

                Il Beato mantenne la promessa fatta a Don Ronchail di scrivergli un'altra volta da Roma dopo l'udienza del Santo Padre.

 

                Mio caro D. Ronchail,

 

                Va bene quanto mi hai comunicato. Perciò:

 

                1° Data occasione, comunica una speciale benedizione del S. Padre a tutti quelli che in qualunque modo hanno beneficato il nostro patronato.

 

                Furono eziandio concessi molti favori speciali che sono in corso presso alle Sacre Congregazioni e che comunicherò appena la pratica sia ultimata. [124]

                2° Scrivi a Barale[42] che ti mandi una 50 di copie di Giovani Provveduti in francese di legatura pulita da poter regalare. Tu poi fa stampare un bigliettino, come nel modello involto, da mettersi nella prima pagina di ciascuna copia. Sono per le collettrici, pei benefattori.

 

                3° Accetta il Patronato di S. Luigi e dimanda a Torino chi ti è necessario.

 

                4° E speciali saluti al sig. Barone Heraud, Audoli e a tutta la famiglia del Patronage.

 

                Il S. Padre vi benedice tutti. Pregate per me che vi sarò sempre in G. C.

 

                Roma, 22-4-76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Il tempo per l'istrumento si avvicina; perciò prepara quattrini. Ma abbi molto cura della tua sanità.

 

                Basti per ora di Nizza. Solo metteremo qui cinque raccomandazioni che troviamo in un biglietto autografo privo di qualsiasi indicazione e che non sapremmo dove collocar meglio. Sono cinque norme pratiche per il buon governo della casa[43]. “Assolutamente necessario: 1° Rendiconto mensile. 2° Ogni settimana leggere una parte delle regole od una parte delle deliberazioni capitolari. 3° Distribuire gli uffizi. Ma che il Prefetto abbia cura della disciplina e degli [apprestamenti] di tavola. 4° Uno per la Sacrestia cerimoniere al piccolo e grande clero. 5° Qualcuno diriga le scuole il meglio che può”.

 

                Dopo la visita di Nizza, la più importante fu quella di Vallecrosia. Veramente, più che visita, la si dovrebbe dire passata; ma l'importanza deriva dalle constatazioni fatte e dalle decisioni prese.

 

                Per guadagnar tempo, diede un primo convegno a quel Direttore alla stazione di Ventimiglia, per dove sarebbe stato di passaggio nell'andare da Genova a Nizza. [125]

 

                Car.mo D. Cibrario,

 

                Con vero piacere ho ricevuto le due tue lettere. Le cose sono cominciate e Dio ci aiuterà a continuarle. Certamente l'impresa che abbiamo tra mano è ardua assai, specialmente nel suo principio, ed appunto per questo motivo ho dovuto sloggiare il Direttore della Chiesa di Maria A. e porlo a capo della piccola carovana, che colla benedizione del Signore dovrà diventare un esercito ordinato. Capisco facilmente che la località divenne e sarà sempre più stretta; ma noi supplichiamo Dio che ce la ingrandisca. In questo momento ricevo un dispaccio da Nizza che colà mi chiama prontamente. Lunedì (20) alle 12 meridiane sarò alla stazione di Ventimiglia. Se ci sei potremo parlarci. Altrimenti al mio ritorno mi fermerò quello che sarà necessario.

 

                Fa i miei saluti al Prof. Cerruti, a Martino suo supplente, alle nostre monache e a tutta casa Lavagnino; a cui tutti auguro di buon grado la benedizione del Signore. Prega per me che ti sono in G. C.

 

                Torino, 19-2-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                L'incontro avvenne, come si rileva facilmente da una frase contenuta in quest'altra letterina, con cui lo invitava a sè una seconda volta durante il ritorno.

 

                Car.mo D. Cibrario,

 

                Pel convoglio che giunge a Ventimiglia circa le 11 mattino dei 2 marzo giungerò, a Dio piacendo, e vado tosto dal Vescovo per prendere gli ordini e vedere il da farsi. Se puoi, vieni anche tu ed esporrai meglio le cose da prendersi in considerazione.

 

                Ti acchiudo una lettera che ho dimenticato di consegnarti. Dio conceda ogni bene a te e a tutte le nostre famiglie di Vallecrosia.

 

                Prega pel tuo in G. C.

 

                Nizza, 29-2-76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Anche a Don Rua notificò un ritorno a Ventimiglia nel partire da Nizza. L'autografo non è datato; ma, poichè vi si accenna alle condizioni disperate del giovane Seghesio, morto, come risulta dai registri dell'Oratorio, il 17 marzo, la lettera appartiene certamente a quest'anno e fu scritta da Nizza ai 2 di marzo. [126]

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Parto alla volta di Ventimiglia e spero per la sera degli 11 essere a Torino. Ma scriverò da Alassio o da S. Pierdarena.

 

                Abbiamo fatto il contratto. La bagatella di 100.000. Ma è un bell'edifizio, prepara quattrini.

 

                Andando a Torino parleremo della chiesa di S. Secondo[44]. Manda a D. Lemoyne il biglietto unito.

 

                Se Seghesio è ancora inter vivos salutalo e digli che prego per lui.

 

                Dio ci benedica tutti. Amen.

 

Aff.mo G. Bosco.

 

                Il “biglietto” per Don Lemoyne è anch'esso senza data. Risponde piacevolmente alla sua domanda di andare in America. Questa risposta ce ne fa ricordare un'altra dello stesso genere. Anche Don Francesia aveva chiesto per iscritto a Don Bosco di essere mandato alle Missioni. Don Bosco, lasciato passare del tempo, un giorno incontrandolo gli disse: - Sai? Ho poi letto la tua poesia....

 

                Carissimo D. Lemoyne,

 

                Appena ricevuto la tua lettera ho immediatamente mandata una speciale benedizione con particolare preghiera al giovane Martino, che forse a quest'ora riposerà già nel Signore. Fiat voluntas tua.

 

                Appena dalla Repubblica Argentina mi sarà richiesto un poeta valente, la tua veneranda persona sarà messa in moto.

 

                Farai cordialissimi saluti ai nostri cari giovani e di' loro che anche dagli stati Francesi non li dimentico e che ogni giorno fo un particolare memento nella S. Messa. Essi poi non dimentichino di pregare pel povero D. Bosco, che sarà sempre in G. C. di te e di loro

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Abbiamo comperato una stupenda casa in Nizza che costa la bagatella di fr. 100.000; perciò prepara quattrini.

 

                Lontano e assillato da tante cure, il Beato serbava una calma e serenità così perfetta, che non perdeva di vista i bisogni individuali de' suoi figli, dovunque si trovassero. Eccone un bel documento in questa lettera datata da Ventimiglia. [127]

 

                Carissimo D. Bonetti,

 

                Dirai a Villanis che si prepari e che se il Vescovo di Casale non tiene ordinazioni a sitientes, si preghi a che ne faccia semplice dichiarazione e allora si andrà a Vigevano o ad Alessandria colla remissoria opportuna.

 

                Per Rocca scriverò a Roma e ti comunicherò la risposta per norma.

 

                Riguardo al trasloco degli allievi fa' come ti pare meglio.

 

                Fa' tutto quello che ti pare meglio per Giolitto e se gli potesse giovare l'aria di Riviera o di Lanzo, fiat. Ma spero che non sarà ancora l'ora sua.

 

                Vale a te e a tuoi. Amen.

 

                Ventimiglia, 3 marzo 1876.

 

Aff. Sac. Bosco.

 

                Da Ventimiglia Don Bosco scese a Vallecrosia, dove constatò con i suoi occhi non solo la necessità, ma l'urgenza di metter mano a fabbricare casa e chiesa. La popolazione scolastica aumentava di giorno in giorno. Le povere Suore per contentar tutti si obbligavano a fare verso sera separatamente la scuola alle ragazze più adulte, che volevano istruirsi meglio nello scrivere e nei lavori femminili. Dalle scuole dei protestanti le alunne si squagliavano. Anche i Salesiani si vedevano crescere continuamente la scolaresca, perchè i ragazzi da loro andavano volentieri; quindi s'invocavano rinforzi di personale.

 

                La più rispettosa stima circondava la persona del Direttore Don Cibrario. Anche il Vescovo lo teneva in alto concetto, additandolo alla gente con dire addirittura: Ecco là il prete santo. - Tre persone avevano da lavorare per otto. Il Beato faceva sempre così: non avendo soggetti in gran numero, mandava nelle nuove fondazioni quel tanto di personale che bastasse a cominciare. Dio benediva le forze dei pochi, finchè Don Bosco adagio adagio inviava tutti gl'individui che occorrevano. Ma intanto i pionieri dovevano giostrare un bel po', sempre sperando aiuti che stentavano a venire; così imparavano a proprie spese e si facevano uomini. [128] Si ardeva colà di conoscere Don Bosco: i protestanti stessi n'erano curiosi. Don Bosco invece non ebbe alcuna fretta di mostrarsi. La casa dava sulla pubblica strada e il viavai della gente vi durava da mane a sera. Ma egli vi andò in vettura chiusa e in vettura chiusa ne partì; cosicchè degli estranei ben pochi lo videro. Col suo riserbo Don Bosco volle certamente evitare tutto ciò che potesse aver sembianza di provocazione. Se ne venne via con la ferma speranza che i nostri avrebbero col tempo salvato il paese dalle branche del protestantesimo; a così sperare lo confortava l'aver veduto come le famiglie del luogo guardassero con simpatia le nuove scuole e come da ogni parte affluissero offerte ai nostri.

 

                Animato da questi sentimenti, appena fu di ritorno, diede ordine a Don Ghivarello di preparare un disegno per le erigende fabbriche. Sopra un'area di metri trenta per quaranta bisognava far sorgere una chiesa di discrete dimensioni e da una parte di questa l'abitazione dei confratelli con le scuole per i ragazzi, dall'altra l'abitazione delle Suore con le scuole per le ragazze. Entrambe le abitazioni fossero a due piani, ma in modo da non impedire i finestroni della chiesa, i cui muri laterali servirebbero così a doppio scopo. Nel piano superiore l'alloggio comprendesse di qua e di là sei camere; il pianterreno venisse riserbato alle scuole, al refettorio e alla cucina. L'entrata non fosse sullo stradone, ma di fianco, proprio vicino al tempio protestantico.

 

                - Oh Don Bosco! esclamò a questo punto Don Barberis, che era presente e ascoltava queste istruzioni. Lei vuole proprio bene ai protestanti. Qui a Torino briga già da tanti anni per istabilirsi vicino a loro[45]; a Bordighera non sa discostarsene. Bisognerebbe che anche a Pinerolo si andasse a mettere ai loro fianchi.

 

                - Oh, già, precisamente ai loro fianchi! rispose Don [129] Bosco. Anzi, ora a Roma va in vendita il tempio dei protestanti e io vi ho già incaricato qualcuno di aprire trattative per la compera.

                In realtà i protestanti avevano costruito a Roma il loro tempio, dandone i lavori in appalto; ma alla fine scoppiarono certi dissidi, per cui lo rifiutarono. Di quell'affare, per quel che concerne Don Bosco, non abbiamo altre notizie.

 

                Una lettera del Beato a Don Cagliero, scrittagli da Varazze, è un prezioso ricordo della sua visita a Vallecrosia.

 

                Car.mo D. Cagliero,

 

                Nello spedire costà un pacco di lettere scrivo un biglietto per te. Sono in visita per la riviera e le nostre case procedono colla massima soddisfazione. La casa presso Bordighera è avviata eccellentemente Si tolsero già cento ragazze ed altrettanti fanciulli dalle fauci dei protestanti. Da due domeniche il loro tempio ha quattro uditori. Tutta la popolazione va da D. Cibrario. La furia degli eretici è tutta contro D. Bosco, che va dappertutto a disturbar le coscienze.

 

                Hanno ragione.

 

                Forse prima che ricevi questa, avrai già risposto alla mia precedente. Ad ogni modo dammi notizie positive dello stato materiale, morale e sanitario delle case nostre e delle persone. Vado a passare Aprile a Roma, dove spero fare qualche cosa per D. Ceccarelli. - Di là ti scriverò. Amami nel Signore e prega per me che ti sono in G. C.

                Varazze, 12-3 (sic) 76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. - Un caro saluto ai nostri confratelli.

 

                Del suo passaggio per Alassio rende testimonianza una lettera a Don Barberis. Questi era alla fine della sua Storia Orientale e Greca, lavoro assegnatogli dal Beato, che ne sollecitava il compimento. Ma la sera del 20 gennaio, nei soliti abboccamenti dopo la cena, gli aveva detto: - Desidero di rivedere quaderno per quaderno tutto il tuo lavoro e pel periodare lo darai al professor Lanfranchi.

 

                Car.mo D. Barberis,

 

                Va bene che alcuni quademi siano terminati. Comincia a dame uno al Cav. Lanfranchi con cui siamo intesi; terminato questo o questi [130], ne consegnerai altri. Intanto si potrà cominciar la stampa. Mi piace che tu vada a dettar gli esercizi, ma...

 

                In quanto a Chiara, di' a D. Rua che cerchi di occuparlo in quello che sembra più necessario. Riguardo a Veronesi e a Soldi va bene; ma è bene di parlarci anche di questo.

 

                Saluta Pioton, Giovanetti ed altri che mi hanno scritto, e le cui lettere ho lette con vero piacere.

 

                Messis nostra de die in diem crescit et cntuplicatur. Perfice operarios sanctos atque strenuos.

 

                Dio benedica te, i tuoi candidati e miei cari figli. Saluta D. Guanella e Antonio Bruno cuoco. Pregate per me che sarò sempre in G. C.

 

                Alassio, 5-3-1876-

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                A costo di ripetere cose già accennate nel volume precedente, trascriveremo qui una nota di cronaca, riferentesi all'assenza di Don Bosco dall'Oratorio durante il suo giro per la Liguria e oltre: “Quando Don Bosco deve star lontano da Torino per un po' di tempo, pensa a tutte le cose, si ricorda di tutto e fa progredire egualmente ogni affare o progetto. Scrisse varie lettere a Don Rua per molte disposizioni da prendersi, a Don Barberis per i novizi e a Don Durando per la scuola dei Figli di Maria Ausiliatrice, lasciando sempre di salutar qualcuno, come se a costoro e a tutti gli altri pensasse continuamente in modo particolare. Scrisse, come fa sempre, a molti benefattori dell'Oratorio, informandosi di tutto e a molti mandando i suoi ossequi”.

 

                Quanto ci rincresce di essere al buio su ciò che fece e disse nel visitare le altre case di Liguria! Vi supplisca almeno in piccola parte la " buona notte ", che rivolse ai giovani dell'Oratorio la terza sera dopo che vi fu ritornato. Al vederlo entrare quei buoni figliuoli gli fecero un'ovazione delle più entusiastiche.

 

                - Buona sera! buona sera! - esclamò egli sorridendo.

 

                - Grazie! Grazie! - gridarono tutti a una voce con una nuova tempesta di battimani.

 

                Anche quando parlava Don Bosco, chi avesse rinvenuto qualche oggetto, glielo porgeva prima del sermoncino, perchè [131] invitasse a ritirarlo chi l'aveva smarrito. Quella volta un giovane gli presentò una matita rossa, trovata nel cortile. Don Bosco disse: - Una matita rossa! Ne voglio almeno tre lire. Chi la compra? - Dopo una risata generale, il Servo di Dio cominciò:

 

                Miei cari figliuoli, sono stato in questi giorni a visitare i nostri collegi della Liguria. Oh quanto vi è da lavorare in ogni luogo! Vi è molto e molto bene da fare! E non si sa più dove dar del capo: dappertutto chiedono aiuto e rinforzi.

 

                Io, vedendo questo, andava tra me stesso dicendo: - Se tutti i nostri cari giovani dell'Oratorio fossero già preti e capaci di fare grandi lavori, e veri operai evangelici, ci sarebbero posti e imprese per tutti. - Ve l'assicuro, miei cari, che non mi troverei imbrogliato ad impiegarvi. Guardate come il Signore benedice le nostre fatiche. Voi avete visto che poco più di un mese fa partiva dall'Oratorio Don Cibrario, il chierico Cerruti ed un certo Martino coadiutore, per recarsi a Bordighera, paese tutto pieno di protestanti. Tre soli individui, anzi due, un prete ed un chierico, che cosa potranno fare? Solo da due settimane avevano aperte le scuole, quando io mi vi recai. Circa cento ragazze già frequentano le scuole delle monache e quasi altrettanti fanciulli la scuola del chierico Cerruti: tutta gente che prima andava a scuola dai protestanti; e gli altri erano obbligati a stare alle case loro senza imparar nulla, perchè scuole cattoliche non ve n'erano. Alla domenica poi concorrevano al tempio protestante. Ma ora che si aperse quella nostra piccola chiesuola, sono due domeniche che il ministro protestante si sbraccia a parlare a quattro sole persone, gridando la croce addosso a Don Bosco ed ai suoi preti, perchè rendono deserti i loro istituti: e certo, continuando così le cose, come spero, i protestanti saranno costretti a far bancarotta e ad andarsene. Vedete che cosa voglia dire avere due o tre operai evangelici! E pensare che senza quelle nostre scuole, senza quella piccola chiesa, non solo poco per volta molte famiglie si sarebbero fatte protestanti, ma di più i protestanti avrebbero potuto porre in questo paese un centro stabile, dal quale chi sa quando si sarebbero potuti snidare e chi sa dopo quanti sforzi e fatiche. Ora si tratta di mandare là qualcun altro in aiuto, poichè Cerruti si lamenta che esso solo non può fare scuola a tutti, che c'è bisogno di dividere la scuola, e che crescendo il da farsi, bisogna accrescere il numero degl'individui in quella casa. Adesso vedrò un poco chi si potrebbe scegliere e mandare.

 

                Queste cose vi dico, miei cari figliuoli, per incoraggiarvi, perchè io vi vorrei vedere tutti preti e presto, a lavorare nella vigna del Signore; ma di quei preti zelanti che non pensano ad altro se non a salvare anime, di quei preti zelanti che vogliono prepararsi una bella [132] corona di gloria in paradiso. Vi dirò ancora che ritornando dal mio viaggio una cosa io vidi che mi pare di molta importanza il raccontarvi. Questa fu che il mare era molto agitato. E lo fu per cinque giorni.

 

                lo non aveva mai visto una cosa simile. Dal lido spingendo lo sguardo sul mare, si vedevano ondate alte, dite pure come la nostra casa, le quali si precipitavano giù al basso formando in mezzo a loro come un vallone di una grande profondità. Un'onda poi incalzava l'altra rapidamente e avveniva che due di questi flutti si scagliavano l'uno contro l'altro, facendo un rimbombo come lo produrrebbe lo sparo di due o tre cannoni sparati contemporaneamente. Risultava da questo cozzo una schiuma candida che veniva slanciata altissima verso il cielo. Io credo che se fra quelle due onde che si precipitavano una contro dell'altra si fosse trovato un bastimento, sarebbe stato gettato tanto alto che i marinai avrebbero avuto tempo a morire per l'aria (risa). Però nessun bastimento si vedeva allora sul mare. Alla sponda era un continuo e successivo rompersi di onde gigantesche con un fracasso reboante e sii tutto il mare altro non si vedeva fino a grande distanza, che migliaia di creste di flutti e striscie di spuma bianchissima. Io mi trovava circa a trecento metri lungi dal mare e spesso ho dovuto ritirarmi per non essere bagnato.

 

                Osservando questo spettacolo, io ammirava l'Onnipotenza di Dio, che quando vuole, con una parola sola, fa che il mare sia pacato e tranquillo e che si possa correre su di esso. Ma colla stessa sua parola poi lo mette tutto in moto e in tumulto per una grandissima estensione, talchè fa orrore il vederlo. Se allora fossero andati i senatori e i deputati a gridare al mare che stesse fermo, si sarebbe visto fin dove sarebbe giunta la loro potenza.

 

                Ma, guardando il mare, mi si affacciò subito alla mente un altro pensiero: essere quell'agitazione li flutti simile allo stato di coscienza di un giovane che abbia il peccato nell'anima. Mai non ha pace nè tranquillità. Datemi un giovane buono: esso è tranquillo e contento, poichè la sua coscienza non lo rimorde di nulla. Osservatene un altro che abbia dei peccati gravi sulla coscienza: costui non è mai fermo o tranquillo; è agitato come il mare. Un po' va in superbia come l'onda che s'innalza, un po' si avvilisce come l'onda che s'avvalla; un po' dà in disperazione come l'onda che incontra un'altra onda e manda schiuma con tanta violenza che chi lo avvicina, dice: - Costui non ha la coscienza in pace. -Non è vero che un giovane il quale abbia il peccato sulla coscienza, se qualcuno gli fa qualche piccolo dispiacere, subito s'arrabbia? monta in furia? Se gli si domanda qualche favore, ti risponde senza garbo? Se è ripreso di qualche suo difetto, risponde arrogantemente?

 

                Datemi un giovane che abbia avuto la disgrazia di non confessarsi bene, d'aver taciuta qualche cosa in confessione, di aver anche fatto qualche comunione sacrilega, e voi vedrete come la sua coscienza sia veramente in burrasca. [133] Ora fa un po' di ricreazione, ma il suo riso è stentato, la sua allegrezza non è sincera; ora si ritira melanconico e passeggia da solo. I compagni lo invitano a giocare, ma egli crolla le spalle e risponde: - Non ne ho voglia! - Va in studio, ma non può studiare, perchè sente la coscienza che gli dice:   Tu sei nemico di Dio! - Va in chiesa, ma esso non prega, è svogliato, perchè non ha fiducia di essere esaudito, perchè nel cuore sente sempre risuonare una voce funesta: - Tu non sei amico di Dio! - Ed è per soffocare questa voce che talora disturba i compagni, parla, ride ma di un riso sforzato. Va a pranzo e a cena, cerca di soddisfar la gola, cerca distare allegro, vuole cacciar via ogni pensiero che lo rimorde; ma intanto il cuore gli dice: - E ora, se, mentre prendi il tuo cibo, morissi, tu saresti escluso dal paradiso, l'inferno è preparato per te.

                Se egli va allo scuro, trema, non osa procedere più oltre, e s'arresta; vien l'ora di andare a letto e dice: - Voglio mettermi a dormire; almeno dormendo sarò libero da questi tormentosi pensieri. - Ma intanto in camerata gli si presenta l'idea: - Se non mi svegliassi più? Se morissi stanotte? Entrare nell'eternità in disgrazia di Dio! - E mentre si corica pensa che suo letto nell'inferno sarebbero i carboni accesi. Se non si addormenta, lo turbano i ricordi passati; se sonnecchia, gli parrà nel sonno che i demonii lo vogliano strascinare all'inferno. Se si sveglia di notte, gli sembrerà di sentire il Signore che gli dica: Hac nocte morieris et non vives. Vedete come il suo cuore sia un vero mare in burrasca. Tutto questo che vi dico non è altro che farvi conoscere ciò che vi è nella Santa Scrittura, la quale ci insegna: Non est pax impiis: per gli empi non vi è pace.

 

                Queste cose andava io meditando in questi giorni scorsi e mentre osservava il mare in burrasca, dissi fra me: - Racconterò queste impressioni ai miei giovani, poichè possono loro fare del bene.

                Tenete dunque sempre a mente che, se volete che la vostra vita sia allegra e tranquilla, dovete procurare di starvene in grazia di Dio; poichè il cuore del giovane che è in peccato, è come il mare in continua agitazione. Ed anche, se vi piace condurre lunga vita, bisogna che vi mettiate tosto in grazia di Dio, e vi manteniate costantemente in essa, perchè il peccato è uno stimolo che ci fa venire più presto la morte addosso: stimulus mortis peccatum est. E come ci avvisa in altro luogo lo Spirito Santo, gli empi non arrivano a metà dei loro giorni: impii non dimidiabunt dies suos.

 

                Ho voluto dirvi queste cose per accrescere in voi lo zelo nel fare il bene col purificare la vostra coscienza, acciocchè presto voi siate preti, ma con vera vocazione. Il campo è vasto e sta preparato.

 

                Facciamoci coraggio; raccomandiamoci tutti in questa novella a S. Giuseppe e vedrete che esso ci otterrà, dopo di aver vissuti in pace i giorni di nostra vita, che noi possiamo poi anche andare colassù in cielo a godere il Signore per tutta l'eternità. [134] Col 29 febbraio si chiudeva il carnevale e col 1° marzo principiava la quaresima; nel carnevale teatrini e nella quaresima catechismi.

 

                Fra tutte le rappresentazioni del '76 la cronaca fa più distinta menzione di una datasi il giovedì 17 febbraio alle due pomeridiane in onore dei benefattori della casa. Intervennero numerose le persone di riguardo; vi era anche il tanto celebre giornalista teologo Margotti, Direttore dell'Unità Cattolica. Vi assistettero pure in corpo gli alunni di Valsalice. Fu recitata la Perla nascosta del cardinale Wiseman con intermezzi di canto. Il trattenimento piacque assai; l'esecuzione fu molto lodata.

 

                Per le recite si trasformava allora la sala grande dello studio; le rappresentazioni però non si facevano sempre a quell'ora. Quando non vi fossero larghi inviti, i giovani alle cinque e mezza si radunavano nelle scuole, donde in fila andavano al trattenimento, che cominciava alle sei. Per le nove tutto era finito; indi cena, un po' di ricreazione, orazioni e riposo. Quell'anno sembrò che la sala di studio fosse pericolante; il Beato la fece puntellare ben bene, ma per nessun conto permise che si lasciasse di fare il teatro.

 

                Non sapendo se ci si presenterà occasione migliore, diremo qui ancora qualche cosa su quest'argomento. Don Bosco voleva che gli attori nel tempo delle prove fossero bene assistiti, e non acconsentì mai che si desse loro una cena separatamente dagli altri dopo l'esecuzione. In quanto alle composizioni, desiderava che fossero buone, semplici e brevi; gli piaceva che talora la serata andasse tutta in declamazioni o in dispute, intramezzate da canti. Certo non è cosa tanto facile trovare roba a modo e adatta ai nostri ambienti; ma egli riteneva che, scelta una dozzina di drammi o poco più, si avesse un repertorio da bastare per un triennio; poichè i lavori più gustati si potevano benissimo ripetere durante una medesima stagione. Quand'è che le cose semplici nei collegi dispiacciono? In due casi generalmente: quando sono  [135] male eseguite o quando si è corrotto il gusto dei giovani con rappresentazioni sgargianti. Le dispute non presentano varietà; ma egli diceva che si possono rendere attraenti con gli amminicoli della scena e col vestiario degli attori.

 

                Sul principio di febbraio Don Paglia domandò al Beato se fosse contento che i chierici recitassero il Caio Gracco dal palco, ma in veste talare, per puro esercizio di memoria e di declamazione. Essi avevano già studiata quella tragedia. Don Bosco non volle, e addusse diversi perchè: perchè gli sembrava una sconvenienza che chierici così vestiti facessero parti da donna; perchè era una stonatura bell'e buona, che, mentre i giovani avevano dato il Sant'Alessio, dramma tutto sacro, i chierici andassero là col Caio Gracco, lavoro tutto profano; perchè la tragedia finiva col suicidio e sulla scena, perchè insomma non gli garbava che i chierici si esponessero sul palco. - L'Arcivescovo, soggiunse, scriverebbe a Roma la sera medesima della recita. - Quanto al non amare che i chierici fossero attori, la sua avversione riguardava naturalmente l'Oratorio, non le case di soli chierici, dove permise sempre le recite.

 

                L'esile cronachina di Don Lazzero segnala una novità del '76: per la prima volta gli artigiani si produssero da sè, rappresentando la Casa della fortuna e la farsa dell'Oca. Se la cavarono tanto bene, che in seguito anche la loro compagnia continuò a fare le sue comparse.

 

                Non ispiaccia ai nostri lettori conoscere come la pensassero intorno al teatrino coloro che per lunga e familiare consuetudine con il Servo di Dio erano più d'ogni altro in grado di rispecchiarne fedelmente le idee. Nella cronachetta di Don Barberis sotto il 17 febbraio troviamo una divagazione, che, sfrondata delle ridondanze inutili, dice così: “Il teatro, se le commedie sono ben scelte: 1° E' scuola di moralità, di buon vivere sociale e talora di santità. 2° Sviluppa assai la mente di chi recita e gli dà disinvoltura. 3° Reca allegria ai giovani, che ci pensano molti giorni prima e molti  [136] giorni dopo. L'allegria svegliata da questi teatrini decise alcuni a fermarsi in Congregazione. 4° E’, uno dei mezzi potentissimi per preoccupare le menti. Quanti cattivi pensieri e cattivi discorsi allontana, richiamando ivi tutta l'attenzione e tutte le conversazioni! 5° Attira molti giovani ai. nostri collegi; poichè nelle vacanze i nostri allievi raccontano ai parenti, ai compagni, agli amici l'allegria delle vostre case”.

 

                Lo studio di offrire alle menti e alle fantasie dei giovani un pascolo svariato che li stornasse dal pensare a cose men buone, era costante nel santo Educatore. Come le rappresentazioni drammatiche, così indirizzava al medesimo scopo le feste in chiesa e fuori di chiesa, le quali ebbe cura di far celebrare non solo con pompa e allegria, ma anche a intervalli tali, che, quando l'impressione di una svaniva, tosto sorgesse l'aspettazione dell'altra. Al medesimo intento sapeva introdurre opportunamente discorsi di fatti e di fenomeni impressionanti, narrava sogni pieni di mistero, svegliava il pensiero degli esami. A volte distraeva con le sue " buone notti ", pigliando occasione dalle circostanze interne o esterne. Ma dopo la partenza dei Missionari egli aveva per questo effetto nelle cose d'America una ricca miniera di notizie, d'aneddoti, d'informazioni, che colpivano e davano materia a fantasticare e a parlare.

 

                Con i grandi si valeva pure di amminicoli letterari per impedire la formazione di quelle morte gore, dove malamente fermentano le passioni giovanili. Così, entrato in buoni rapporti con monsignor Ciccolini, Custode generale dell'Arcadia, con lui s'intese fino dal '75 per istituire nell'Oratorio una Colonia Arcadica, la quale fosse in corrispondenza col Serbatoio di Roma. Agli atti concernenti la fondazione d'una nuova Colonia era indispensabile che se ne facesse la proposta in un'adunanza generale del Comune d'Arcadia. Tali adunanze si tenevano di rado, nè sembra che siasi mai venuto a una decisione per la “Colonia Arcadica di Torino  [137] presso i Salesiani”. Tuttavia per un periodo di tempo le tornate accademiche con letture di prose e di versi sotto la direzione di Don Bertello costituirono un ameno e utile diversivo.

 

                Altro bel diversivo per quanti vi mostrassero attitudine era la musica corale, che occupava un numero considerevole di giovani. I compositori che fiorivano in casa, con alla testa Don Cagliero e Dogliani, a tacere di altri minori, comunicarono a tutti il loro entusiasmo, riempiendo l'Oratorio di canti e di suoni. Fra gli artigiani la banda faceva furore. Quei benedetti musici avevano dato dispiaceri a Don Bosco, che, come dicevamo nel volume precedente, sciolse la scuola, eliminò gli elementi perturbatori e la rimise a nuovo con generale soddisfazione di tutti. Al maestro Dogliani concesse nel '76 d'insegnare il pianoforte ad un nucleo di allievi, che possedessero i necessari requisiti. Don Bosco insomma, da sapiente Educatore, voleva assolutamente sbandire dall'Oratorio quel monotono succedersi di giornate grigie, che. con tanto danno aduggiano gli animi giovanili, favorendo in loro l'infingardaggine e lo sviluppo di malsane tendenze.

 

                Diremo ancora che circondava di speciali premure gli alunni dell'ultima classe. Dove lo scontento s'impadronisce dei giovani più grandi, si ha un bel fare e un bel dire, ma non s'impedirà mai che il malumore serpeggi per tutta la casa. Il 13 marzo, avuto a sè il loro bravo professore Don Pietro Guidazio, si fece fare una minuta relazione della scuola in genere e di ciascun allievo in particolare, chiedendogli che cosa pensasse circa la probabile riuscita dei singoli e dandogli caso per caso norme pratiche per guidare ognuno secondo la sua indole e in modo che i migliori si sentissero attratti verso la Congregazione. Inoltre dal '69 gli alunni della quinta che più si segnalassero per studio e condotta, sedevano ogni domenica alla mensa dei Superiori; una noterella di cronaca ci presenta sotto una domenica di marzo cinque nomi, che a molti dei nostri richiamano ancora persone ben conosciute:  [138] Bima, Botto, Dompè, Gresino, Nespoli. Godeva molto Don Bosco di vedere tali giovani; perciò tenne fermo all'usanza di questo premio, anche quando sorsero contrarietà. Il loro posto non era però vicino a Don Bosco. Soltanto la sera del giovedì santo i giovani eletti per la lavanda dei piedi si disponevano a' suoi fianchi durante la cena. Finito il pranzo i premiati passavano a salutarlo e a udire da lui una paroletta, che soleva riuscire molto efficace, massime riguardo alla scelta dello stato. Si comprende come alcuni giorni prima i giovani parlassero di questa fortuna, la desiderassero, vi facessero sopra i loro disegni e la ricordassero non solo parecchi giorni dopo, ma a lungo, tanto dentro che fuori dell'Oratorio.

 

                Abbiamo detto dei catechismi quaresimali. Gli studenti avevano già la scuola di catechismo due volte per settimana e ogni domenica; ma verso la fine della quaresima ne davano un primo esame. Nel'76 si aggiunse a tale esame anche una certa solennità esterna mediante l'invito di esaminatori scelti fra gli ecclesiastici della città, compreso il parroco del luogo.

 

                Un corso speciale di catechismo si faceva nella quaresima alla gioventù operaia. Vi attendevano con ardore i chierici dell'Oratorio. Nel '76 dall'una pomeridiana questo catechismo fu portato alle otto, il qual mutamento d'orario accrebbe la frequenza dei ragazzi. Era bello vedere un duecento artigiani, con la faccia annerita e con la blusetta unta e bisunta, aggrupparsi ogni sera intorno ai loro catechisti, che dopo un po' di ricreazione li accompagnavano in chiesa e li intrattenevano per tre quarti d'ora sui punti più essenziali della dottrina cristiana. Il Servo di Dio, senza badare a spese ed a fatiche, procurava poi loro tre giorni di esercizi spirituali in preparazione alla Pasqua, nel qual tempo si facevano pesche abbondanti. Sessanta furono preparati alla Cresima, che andarono a ricevere nell'arcivescovado. Erano quasi tutti artigiani delle officine di Valdocco dai dodici ai quattordici anni. Non pochi si confessarono allora la prima  [139] volta; ma promisero di frequentare l'Oratorio. Fu molto notato il loro raccoglimento nell'andare all'Episcopio, nello stare in chiesa e nel ricevere la Confermazione.

 

                La festa più solenne in questo periodo dell'anno scolastico era quella di san Giuseppe. La precedeva un mese dedicato al padre putativo di Gesù, la qual pratica da quattro anni nell'Oratorio si faceva con molta divozione. La pia usanza non era diffusa allora; Don Bosco la introdusse specialmente per gli artigiani che a poco a poco vi sì affezionarono. Vi partecipavano però anche gli studenti. Ogni mattina il numero delle Comunioni andava aumentando; alla sera, prima della benedizione, invece dell'Ave Maris Stella si cantava il Te Joseph celebrent; le solite letture pubbliche in chiesa riguardavano San Giuseppe. Moltissimi studenti durante la ricreazione della merenda visitavano l'altare del Santo; gli artigiani facevano questa visita dopo cena. Nessuno ve li obbligava; pure ben pochi se ne dispensavano.

 

                Tale preparazione disponeva gli animi alla novena, che veniva chiusa da un triduo solenne con predica e musica. L'ultimo giorno il Beato Don Bosco ad alcuni preti dopo pranzo disse così: - Si vede proprio che San Giuseppe ci vuol bene. Lungo questa novena molte benedizioni son venute sulla casa. Ebbero grazie straordinarie alcuni, che ricorsero a Maria Santissima Ausiliatrice con l'intercessione di san Giuseppe. Varie di queste grazie avvennero in mia camera sotto i miei occhi. Lo stato delle nostre finanze era deplorabilissimo, e in questa settimana ho ricevuto ingenti soccorsi. Poche settimane furono così feconde di grazie e di elemosine, come questa. Se ve ne fossero due o tre altre simili, non ci vorrebbe molto a saldare tutti i nostri debiti. Quasi tutti i giorni ho ricevuto un migliaio, un migliaio e mezzo di lire e anche più.

                La festa mise in moto gli artigiani. Già alla vigilia tennero una riunione, a cui si diede il nome di conferenza e il cui scopo era l'accettazione di nuovi soci nella Compagnia  [140] denominata dal Santo. Oltre al sermoncino d'occasione accompagnarono la cerimonia canti, suoni e componimenti. Nel giorno della solennità si eseguì una messa composta per la circostanza da un ex-allievo dell'Oratorio, Giovanni Pelazza, che la dedicò a Don Bosco: esecuzione ottima, composizione da principiante. Per la benedizione il giovane maestro Giuseppe Dogliani fece udire un suo primo Tantum ergo molto lodato dagl'intendenti. Si capisce come queste produzioni, diciamo così, domestiche, dovessero interessare tutti, maestri, cantanti e uditori.

 

                Sul tardi la consueta accademia riuniva dinanzi a un bell'altare ben illuminato e reggente la statua di San Giuseppe gli artigiani, gli alunni delle scuole serali e i Superiori. Quell'anno vi si festeggiò anche l'onomastico di Don Lazzero, già Direttore degli artigiani, come allora si chiamava il loro catechista, e poi diventato Vicedirettore dell'Oratorio al posto di Don Rua. Per segnare il passaggio dalla parte sacra all'altra si calò un sipario che nascose altare e immagine e sul quale compariva la scritta: Viva D. Giuseppe Lazzero, D. Bologna, D. Bertello, Buzzetti, Dogliani, Viva a tutti i Giuseppe. Nell'emiciclo si succedettero i rappresentanti delle scuole serali e dei laboratori sia per inneggiare al Santo che per far omaggio al Superiore. Certo il preparare tutto questo costò fatica; ma i frutti la compensarono a usura. Sentiamo il buon cronista a fare i suoi commenti: “Mi persuasi di due cose: che queste specie di accademie religiose ben preparate possono essere bellissime, istruttive e produrre un gran bene morale nei giovani, e che quest'accademia ha rivelato un sensibilissimo progresso negli artigiani dell'Oratorio. Una volta non avrebbero neppur osato andar in mezzo a leggere una preghiera pubblica a san Giuseppe, tanto meno inginocchiarsi, come alcuni fecero a un dato punto, per implorare aiuto e perdono da Dio mercè l'intercessione del suo Santo”. Per ben intendere l'ultima osservazione, bisogna rammentare che Don Bosco accettava come artigiani tanti poveri [141] ragazzi di strada, abbandonati da tutti o consegnatigli dalla Questura.

 

                Dì più non occorreva per rendere memoranda la giornata; ma Don Bosco mise davvero il fiocco alla festa. Soleva Don Rua in tal giorno fare una conferenza ai soci professi dell'Oratorio; ma egli allora girava i collegi per ricevere gli esami semestrali di teologia dai chierici. Don Bosco dunque accettò di tenere esso la conferenza, dopo cena, nella chiesa di san Francesco, con l'intervento pure degli ascritti, degli aspiranti, e di quei che volessero tanto dei Figli di Maria e della " scuola di fuoco " quanto della quarta e quinta ginnasiale. Ne fu dato solennemente l'avviso nei quattro centri, dove dicevano le preghiere gli studenti, gli artigiani i famigli e gli ascritti. Questa notizia elettrizzò la maggioranza dei giovani. L'andar ad ascoltare Don Bosco era sempre causa di viva gioia. Gl'intervenuti furono duecentocinque. Egli prese per argomento il testo evangelico: Messis quidem multa, operarii autem pauci. Scrive Don Barberis: “Il signor Don Bosco, sebbene con gran semplicità e di pensieri e di modi, aveva parlato molto infuocatamente e nei giorni susseguenti vi furono varii che fecero domanda di farsi ascrivere, e chi sa quanti la faranno ancora. E' cosa mirabile il vedere come Don Bosco tutti gli anni e più volte all'anno sappia trovare mezzi sempre nuovi per far conoscere ai giovani la Congregazione e invogliarli di essa”. Il medesimo Don Barberis subito il giorno dopo scrisse la conferenza, valendosi dei rapidi appunti presi mentre Don Bosco parlava. Sebbene egli dica di rendere il filo delle idee più che non le parole, tuttavia ci ha reso un caro servigio, del quale vogliamo sapergli grado, riproducendo il suo scritto in fondo al volume[46].

 

                Ancora una cosetta ci rimane da ricordare. Contro le sue abitudini di passare le feste in mezzo a' suoi, quella volta [142] il Servo di Dio andò a pranzo dagli Artigianelli, per i quali la festa di san Giuseppe era la più solenne. Fra l'Oratorio e quel collegio correvano relazioni cordialissime. Il Direttore Don Murialdo si considerava come discepolo di Don Bosco; due Salesiani vi andavano ogni sabato a confessare i ragazzi. Don Bosco, essendosi già scusato parecchi anni di seguito, allora credette bene di accettare l'invito. “Il teologo Murialdo che santa persona! esclama Don Barberis. Anche lui lavora per formare una piccola Congregazione ecclesiastica con lo scopo speciale di promuovere l'educazione civile e religiosa dei poveri artigianelli e d'istruire gl'ignoranti nel catechismo cristiano, dirigendo oratori festivi”. Egli preparava la fiorente Congregazione dei Giuseppini.

 

                Tre volte negli ultimi di marzo il Beato diede la buona notte: sono tre sermoncini salvati dal naufragio, che si leggono tuttora con utilità e diletto, tanta è la freschezza della forma e la sapienza del contenuto.

 

                Il 26, affacciatosi dove dicevano le orazioni gli studenti e la massima parte dei confratelli, fu accolto con grida di gioia. Un giovane, appressatosi al pulpitino, gli porse due soldi, che aveva trovati nel cortile. Quando tutti ebbero fatto silenzio, annunziò con umoristica gravità: - Dieci centesimi! Serviranno a pagare i debiti dell'Oratorio. - Fu uno scroscio di risa. Indi proseguì:

 

                Ed ora bisogna che pensiamo un po' alle cose nostre. Prima di tutto domani dopo mezzo giorno faremo una lunga e bella passeggiata (grida universali di gioia). E’ giusto: sabato mattina erano finiti gli esami semestrali e piovendo nel dopopranzo non si potè andare a passeggio.

 

                E se non fate le meraviglie, vi dirò ancora di più. Ho formato il progetto di una passeggiata ben più importante.

 

                Desidero che partiamo tutti insieme dall'Oratorio, nessuno escluso: dal più alto al più basso, incominciando da Don Bosco fino al portinaio, ed a quello che fa cuocere i maccheroni, (risa) insieme colla musica e con ogni cosa che ci possa tenere allegri; prenderemo un convoglio speciale, partiremo al mattino appena spunta l'alba e andremo a Lanzo (nuovi applausi e nuove grida prolungate). Ma se non mi lasciate [143] finire! Non vi ho ancora detto il più importante. Andremo a far visita al collegio di Lanzo e là passeremo tutta la giornata. Il Direttore Don Lemoyne mi promette di fare il possibile, perchè la passiamo bene e che il cozzare delle scodelle e dei bicchieri formi una bella armonia. Alla sera sul tardi ritorneremo a Torino et unusquisque redibit ad locum suum. Questa passeggiata si farà appena sia terminata la ferrovia (mormorio), intorno alla quale si lavora alacremente colla speranza che ogni cosa sia all'ordine per la metà di giugno. Tale ricreazione, o giovani carissimi, si darà per sollevare e rinfrancare il corpo dalle fatiche dell'anno, ma non bisogna che questo sia il solo scopo della passeggiata; oh, no! Quelle cose che rallegrano e sollevano il corpo, debbono avere tutte per fine di renderlo più facilmente sottomesso allo spirito, perchè possa servire meglio alla gloria del Signore, e perchè non avvenga mai che il corpo prenda sopravvento sull'anima.

 

                Non permettete mai, o miei cari figliuoli, che il corpo comandi e in questa metà della quaresima che ancora ci rimane a passare, mortificatelo e fatelo stare soggetto. San Paolo dice quello che esso faceva per rendere il corpo schiavo dello spirito: Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ut spiritui inserviat. Io non intendo già con questo che facciate rigorose penitenze, o lunghi digiuni, e maceriate la vostra carne coi flagelli, come fecero molti Santi. Oh, no! Il vostro corpo è ancor tenero e ne potrebbe soffrire. Volete però che io vi suggerisca un modo di fare anche voi un po' di penitenza, adattata alla vostra età ed alla vostra condizione? Io ve lo suggerisco. Consiste in un digiuno che tutti potete fare, cioè custodire il vostro cuore e i vostri sensi. Fate digiunare il demonio, non commettendo alcun peccato. Attenti ai sensi esterni. Fate digiunare i vostri occhi. Gli occhi sono chiamati le finestre per le quali entra il demonio nell'anima. E noi come faremo per impedire che entri? Chiudete queste finestre, quando vanno chiuse. Non permettete mai che gli occhi si fermino in nessun modo a guardare cose o dipinti o fotografie, che siano contrarie alla virtù della modestia. Ritirate subito gli sguardi, quando s'incontrano con oggetti pericolosi. Un'altra mortificazione degli occhi è di frenare la curiosità: mai e poi mai leggere libri che parlino contro la religione, o che siano immorali, o anche solo pericolosi per la vostra età. Come vi ho già detto e ripetuto molte volte, dateli alle fiamme questi libri, quando vi capitano nelle mani, consegnateli ai vostri Superiori, liberatevi presto da simile peste. Mi starebbe tanto a cuore che si eseguisse con ogni severità ciò che vado inculcandovi.

 

                Vi è poi da mortificare, da far digiunare l'udito con non mai fermarsi ad ascoltare discorsi che possano offendere la bella virtù, o discorsi di mormorazione contro il terzo o il quarto, i Superiori o i compagni.

                Far digiunare la lingua, con proibirle ogni parola che possa dare scandalo, astenendovi sempre dal dire motti pungenti contro qualche [144] compagno, rifuggendo dal parlare male di chicchessia: insomma non tener mai un discorso, che non osereste fare al cospetto di un superiore.

 

                Mortificate la gola, col non andare tanto in cerca di quello che più piace al palato, ma prendere quello che danno; non essere nel numero di coloro che desiderano sempre e studiano il modo di avere qualche cibo speciale, qualche bicchiere di vino.

 

                Potrete anche fare qualche mortificazione sopportando con pazienza certe contrarietà, un po' di caldo o un po' di freddo, senza lamentarvi. Non dite subito come fanno alcuni: - Scriverò che mi si mandi da casa questo e quello. -Se non è vera necessità, pazientate alquanto, aspettate, fate con pacatezza, fate adagio. Non stizze, non musi, non irrequietezza. Mortificatevi sopportando con carità e pace qualche piccolo difetto dei vostri compagni, qualche incomodo o della camerata o della scuola. In conclusione, mortificatevi, non ascoltando, non dicendo e non facendo cosa contraria in qualsivoglia modo al buon esempio. Così facendo, benchè siano cose di poco peso, vi serviranno di penitenza adattata a ciascuno di voi, non vi nuoceranno, vi faranno raggiungere lo scopo pel quale venne istituito il digiuno della quaresima, vi aiuteranno potentemente a vincere le cattive inclinazioni, vi faranno acquistare grandi meriti per l'anima.

 

                Una cosa ancora io vi voglio raccomandare. Fate con molta frequenza delle fervorose comunioni. Andando a ricevere Gesù nel vostro cuore e sovente, l'anima vostra resterà tanto rinforzata dalla grazia, che il corpo sarà costretto ad essere obbediente allo spirito. Buona notte!

 

                Il 30 marzo vi lamentò qualche disordine accaduto durante una passeggiata. Esposto il fatto e mostratone con paterna energia la sconvenevolezza, esortò all'osservanza del Regolamento e ad seguire i consigli dei Superiori. La questione principale era del non tener denaro; su di che è bene conoscere un savio provvedimento da lui adottato in altri tempi, ma ribadito ai primi di gennaio, perchè non si facevano le cose in modo da conseguire il fine da lui inteso. Egli voleva che uno “della casa”tutti i giorni e ad ora fissa vendesse ai giovani qualche soldo di companatico; restava però sempre inteso, che per moneta si sarebbero ricevute solamente “marche”[47]. Nella sua intenzione una simile agevolezza doveva indurre studenti e artigiani a consegnare [145] il denaro nelle mani del prefetto, sicchè venissero impediti i contratti fra loro e si smorzasse in certuni la bramosia di comprare fuori o d'importunare i parenti con richieste di ghiottonerie.

 

                Oggi giovedì, passeggiata ed allegria: credo che le cose siano andate bene e ne sono contento. Anche lunedì ci fu la passeggiata e la maggior parte delle cose andò bene in riguardo al ricreamento dello spirito e del corpo, sebbene siate stati colti dall'acquazzone. Ma la passeggiata, o miei giovani, fu di danno all'anima. Adesso non dico mica di tutti, chè molti anzi non fecero nulla da meritarsi rimprovero. Tuttavia, con mio grande rincrescimento, ho sentito che varii non osservarono le regole e non seppero diportarsi bene. Alcuni uscirono dalle file, si fermarono e comperarono frutta; altri andarono a bere e, se ho da credere a quanto mi si dice, venendo a casa misuravano la via; altri comperarono sigari e fumarono. Io non voglio investigare chi siano questi tali, ma dirò: non sapete che il tener danaro è proibito dalle regole? Che pazzia è mai questa di voler fare una cosa proibita? Mi pare che coll'acutezza d'ingegno che avete, tutti voi dovreste capire che le regole si stabiliscono per vostro vantaggio.

 

                - Ma il danaro, dirà alcuno, non lo tengo io, ma lo consegno ad altri.

                E credete con questo di osservar la regola? Voi consegnate i vostri danari ad altri che ve li custodiscano, e gli altri consegnano i loro a voi, perchè li teniate, e così credete di poter dire, quando siete ininterrogati, di non tenere danaro, intendendo danaro proprio, presso di voi. E con ciò vi pare di essere sinceri?

 

                - Io non lo do a nessuno il mio danaro, dirà qualchedun altro. Lo nascondo in fondo al baule e dirò che danari non ne ho. E’ vero che è proibito tenerne; e mi frughino pure in saccoccia, che non ne troveranno. Io lo prendo solamente quando voglio fare qualche spesa.

 

                Vedete a che punto di scioccaggine si viene da qualcuno. Ma questo tale può esprimersi così, che è meglio: - Senta; io non voglio consegnare il danaro, ma lo voglio ritenere presso di me. Vedendo pertanto che qui nell'Oratorio ciò non si può fare, perciò me ne parto e ritorno al mio paese.

 

                Ed io gli rispondo: - Va' pure e siamo sempre amici lo stesso. Io poi non so come costoro possano accostarsi tutti i giorni alla Santissima Eucaristia, e pregare con fiducia di conseguire ciò che domandano.

 

                - Oh! questo non è mica peccato!

                Ed io ripeto che non so come costoro si accostino ai sacramenti con una disubbidienza così grave sulla coscienza. Io sono solito a dire che costoro è meglio che non ci vadano. Che frutto può ricavare dalla [146] santa Comunione chi va a ricevere Gesù, quasi dicendogli: - Io voglio continuare ad offendervi? - Infatti questo tener danari è la radice dei disordini ordinari, che avvengono nelle passeggiate.

 

                Sia inteso eziandio per sempre ciò che io ho già avvertito altre volte e che sono come regole fisse per l'uscita. La passeggiata sia passeggiata e non fermata. Si parte dall'Oratorio, si va fin dove si sarà stabilito di andare, e poi si ritorna. Non è il caso di fermarsi in nessun posto. Si eseguisca questo ordine e si toglierà un altro motivo di disordine. Se si va a passeggio, non si va per fermarsi. Altrimenti si potrebbe stare a casa.

 

                L'altra cosa, che è assolutamente. da osservarsi, si è che andando al passeggio nessuno per nessun motivo si allontani dalle file. Questa è la regola precipua della passeggiata; se si fosse fedeli a questa, tutti i disordini sarebbero eliminati. E qui mi cade bene avvertire che gli assistenti non hanno nessuna autorità di lasciar allontanare qualcuno dalle file, per nessun motivo. Questa autorità non fu mai data, nessuno l'ha, e non si darà mai, poichè sarebbe fonte di grandissimi mali. L'autorità dell'assistente sta in ciò: esso accompagni i giovani, li guidi al luogo stabilito, veda che nessuno faccia insulto ai nostri, e che i giovani non insultino nessuno, che vi sia ordine in tutto; ma mai e poi mai si prendano l'arbitrio di permettere a qualche giovane di allontanarsi dalle file. E voi, miei cari giovani, non provatevi neppure a domandar questo permesso all'assistente; perchè, altrimenti, che martello, che tormento terribile per il povero assistente, che non potrebbe togliersi d'addosso chi domanda, chi prega, chi piagnucola! Esso non avrebbe più un momento di respiro in tutta la passeggiata.

 

                Riduciamo adunque le cose a principio: - La passeggiata non sia fermata. -Nessuno si allontani dalle file. - Gli assistenti non diano mai questo permesso. -E più di tutto non si tenga mai danaro. che è cagione di tutti i disordini.

 

                Io vi ho detto che chi ha danari e non vuole consegnarli, non andasse ai sacramenti. Vi è però sempre qualcuno che obbietta: - Ma vi è forse prescritto nei comandamenti di Dio o della Chiesa di non tener danari? Noi non l'abbiamo mai letto questo obbligo.

                Non v'è? Ma io dico: Non è forse lo Spirito Santo che dice: Obedite praepositis vestris el subiacete eis? Obbedite ai vostri Superiori e state loro soggetti? Non è forse Gesù Cristo che parlando dei Superiori, disse: Qui vos audit, me audit? Chi ascolta voi, ascolta me? E quanti altri tratti della Sacra Scrittura potrei ancora recarvi, ma che per brevità non voglio ora ricordare! Ora dunque se i Superiori credettero molto opportuno di stabilire questa regola, hanno il diritto di essere obbediti, e voi lo stretto dovere di obbedire.

 

                Credete forse che si facciano le cose per capriccio? Un Superiore prima di deliberare si mette alla presenza di Dio, esamina la sua coscienza, prega perchè il Signore voglia illuminarlo e fargli vedere se quella disposizione che intende dare è pel bene de' suoi soggetti, [147] esamina ponderatamente la cosa e poi parla secondo che il Signore l'inspira.

 

                Io non so come alcuni non capiscano, e tra voi delle Marmotte non ve ne sono e dovreste tutti capir bene, come sia il Signore che stabilisce i Superiori e dà loro le grazie necessarie pel buon governo dei loro sudditi. Omnis potestas a Deo. Non so come non intendano alcuni, essere l'obbedienza tanto accetta a Dio; e che colui che obbedisce non isbaglia mai, mentre sempre sbaglia chi non obbedisce. Tenetela profondamente scolpita nella vostra mente questa grande verità. Molte volte i Superiori dicono una cosa, danno un consiglio, e pare anche fuor di proposito e persino irragionevole; pure essi vedono l'andamento generale delle cose e coloro che li ascoltano vanno a finire bene e invece vanno a finir male coloro che non li ascoltano. Avviene talora che il consiglio non abbia riguardo o nesso colle cose dette prima, o colle cose da farsi dopo. Si dirà dagli inesperti: - Ma questo non ha da far nulla con quanto domandava io! - Date confidenza ai vostri Superiori, seguite fiduciosi il loro consiglio, senza ragionarvi sopra e finirete per esserne contenti. Essi hanno un po' più età, pratica, esperienza, scienza di voi. E poi vi amano.

 

                Vi racconterò a questo proposito un fatto avvenuto alcuni anni fa, ad uno studente di quarta ginnasiale. Posso parlare liberamente, perchè nessuno di voi conosce la persona, cui il fatto si riferisce.

 

                Un giorno si presenta un giovane in mia camera e mi dice: -Mi dia un consiglio sulla mia vocazione: io sono pronto a sottomettermi ciecamente ai suoi suggerimenti, e farò qualunque cosa ella sarà per dirmi.

                Io lo guardo, sorridendo e mostrando di non credere guari alle sue parole; ed egli mi assicurò.

 

                - Sì, mi rimetto in tutto nelle sue mani. Mi dica qualunque cosa ed io la farò.

 

                - Ebbene, se è così, io gli dissi, finisci la tua quarta e poi senz'altro, queste vacanze, preso l'esame della veste, ai Santi indossa l'abito chiericale.

 

                - E dove andrò a fare gli studi di filosofia e di teologia?

 

                - Qui nell'Oratorio!

 

                - Ma... ma... i miei genitori, il mio parroco vorrebbero che io andassi in seminario.

 

                - In seminario, no; in questo caso non farti prete: fa' pure la tua quinta, e se non ti pare di farla qui, va' altrove, ma non farti prete. Prendi altra carriera.

                Il giovane chinò il capo e disse: - Bene, farò così: seguirò il suo consiglio. Ho detto di obbedire e obbedirò.

                Ma questo poveretto fu così fagiuolo che scrisse tutto il dialogo nostro ai suoi genitori ed al parroco. Giunte le vacanze partì dall'Oratorio, ma il parroco non lo lasciò più ritornare. Diceva: - Che diversità [148] c'è tra là e qui? Forse che, se la quarta ginnasiale ti basta per mettere la veste nell'Oratorio, non ti basterà questo esame anche pel seminario? Se hai la vocazione di farti prete, puoi farti prete tanto qui come là.

                E il nostro giovane mise l'abito chiericale in quelle vacanze ed entrò in seminario. Ma la sua condotta in quell'anno fu pessima, e tornato a casa sua nelle vacanze depose l'abito chiericale. Qui divenne la disperazione dei parenti. Il suo parroco era quegli che avealo collocato nell'Oratorio, pagando di propria borsa quella pensione, alla quale si era obbligato. Ma il cuore del giovane era sì acceso di astio contro di lui, che, incontrandolo, gli diceva: - Io son rovinato ed è lei che mi ha rovinato, non lasciandomi seguire il consiglio che Don Bosco mi aveva dato. Ah! Don Bosco me lo aveva detto: se tu starai ritirato, le tue cose andranno avanti bene, invece in mezzo alle divagazioni tu ti perderai: ti serva di criterio come ti diporti quando sei nell'Oratorio; qui la tua condotta è abbastanza buona. Osserva invece come ti diporti nelle vacanze! Le cose dell'anima tua van sempre male. Ed è Lei, signor parroco, che non ha voluto che io ascoltassi Don Bosco, ed ora son rovinato.

 

                E questo disgraziato andò sempre avanti a rompicollo, divenuto lo scandalo di tutti. Attaccata briga col parroco, lo ridusse, direi, alla disperazione e le vessazioni furono spinte a tal punto, che per sua cagione il parroco dovette fuggire da quel paese, rinunciare alla parrocchia, senza che però neppure adesso quel giovane lasci di molestarlo quanto può. Così di nera ingratitudine pagava il suo benefattore. Costui vive ancora, l'ho incontrato or son pochi giorni, mi parlò e mi disse di aver sbagliata intieramente la sua via, per non aver seguiti i miei consigli. Ho provato a fargli sentire qualche buona parola; ma egli abbassò il capo e non diede nessun segno d'essere disposto ad eseguire quanto gli dissi. Questo disgraziato qui nell'Oratorio, lontano dai pericoli e dalle occasioni, avrebbe conservato la sua vocazione e avrebbe condotta una vita buona.

 

                Questo fatto che ora vi ho narrato, non è ancora per parlarvi di vocazione. Abbiamo tempo per discorrerne più tardi. E’ solo per far vedere come chi segue i consigli dei Superiori e si regola secondo i loro ammonimenti, finisce sempre per esserne contento. Chi vuole invece andar contro a quanto i Superiori gli dicono, andrà sempre a capitar male. E ciò perchè il Signore ha posto i Superiori a suo luogo e dà loro le grazie necessarie per dar buoni consigli e condurre a salvamento quelli che loro vengono affidati: e perchè vuole che gli inferiori obbediscano alle voci sue, che egli fa sentire per mezzo loro

 

                Nessuno mai creda che i Superiori nel dare consigli cerchino il loro proprio interesse. Anche quando pare che nel Superiore ci sarebbe qualche interesse, state tranquilli che non c'è mai questo che serva loro di regola. Volete che mettano a repentaglio l'anima propria [149] per darvi un consiglio che non vi indichi la volontà del Signore, ma i proprii interessi?

 

                Riposate adunque sicuri sui consigli dei Superiori e quando stabiliscono qualche regola, cercate di eseguirla. Vi ripeto che non so e nemmeno voglio indagare chi fra voi abbia ultimamente trasgredita la regola della casa, perchè sono persuaso che sarete tutti d'accordo per non farlo più.

 

                Se volete poi ancora che vi manifesti una cosa che mi sta molto a cuore e che fu la causa per cui varii a questo esame semestrale non ebbero dieci decimi di condotta, io ve la dirò. Sono i libri proibiti. Si diedero questi voti scadenti, perchè alcuni vollero conservare qualche libro non buono e non lo consegnarono, quando dovevano dare la nota dei libri che ciascheduno ha presso di sè. Tenetelo ben bene a mente: non leggete mai libri, della bontà dei quali non siete sicuri, senza domandar consiglio a chi ve lo può dare con giusto criterio. I libri non buoni, oppure quelli che non sono convenienti alla vostra età ed alle circostanze nelle quali vi trovate e che quindi possono essere per voi pericolosi, per carità, non leggeteli. Io so che alcuni, anche dopo il mio ultimo avviso, continuano a tenere e a leggere tali libri che uccidono l'anima e fanno male anche al corpo. Dunque animo; portateli al Superiore, oppure abbruciateli all'istante.

 

                Questi tre avvisi, cioè, di non uscir dalle file andando a passeggio e non far stazioni, di non ritener danaro, e di consegnare i libri cattivi, imprimeteveli ben bene nella mente per poter essere poi contenti. Ecco quanto intendeva di dirvi questa sera. Buona notte.

 

                La terza volta, che fu nell'ultimo del mese, parlò ai soli artigiani. Il discorsetto ha un'importanza maggiore che non sembri a prima vista. L'idea centrale è la presentazione dei coadiutori e un invito agli artigiani di buona volontà, perchè riflettano se non sia per loro il caso di entrare nella Congregazione come coadiutori. Non mai per l'addietro il Beato Fondatore si era spiegato così chiaramente in pubblico sopra quest'argomento. E’ probabile che nella conferenza del giorno di san Giuseppe egli mirasse ad aprirvisi la strada; certo è in ogni modo che l'impressione prodotta allora dalle sue parole gli aveva preparato ottimamente il terreno.

 

                E' già molto tempo che non ci siamo più parlati da solo a soli, qui nel vostro parlatorio dopo le orazioni. Dopo l'ultima volta che sono venuto a darvi la buona sera, sono accadute tra voi molte variazioni. Fra le altre lo scioglimento e la riformazione del corpo musicale. Vi [150] sarà già stata detta la ragione di ciò. La precipua, anzi l'unica fu, che alcuni giovani facevano benissimo il loro dovere; senonchè da molti non si faceva la parte dei musicante buono, che è quella dì tener allegra l'anima degli uomini e di farli partecipi della musica che andremo poi a sentire in paradiso; ma si faceva la parte del musico cattivo, di colui che vuol fare stare allegro il demonio. Ora siccome io voglio che i musici vadano poi a continuare le loro sinfonie in cielo, così il corpo musicale fu sciolto, perchè nessuno andasse a continuare la musica con Bergníf (il diavolo). Ora. il corpo musicale si costituì su migliori basi, come spero, perchè io voglio che i miei musici possano poi continuare la loro parte in paradiso.

 

                Una cosa poi che fece danno immenso fra voi, che mi cagionò un straordinario dolore, e fu causa che varii si dovessero anche allontanare dalla casa, si fu l'essersi scoperti fra i giovani dei ladri, dei mormoratori, di quelli che facevano dei discorsi immorali. Mi rincrebbe immensamente il doverli allontanare, specialmente perchè alcuni via di qua non sapevano dove andare, e si dovettero lasciare sul lastrico, costretti a domandare l'elemosina. Ma che volete! Quando uno in mezzo ai suoi compagni non ascolta più la voce dei Superiori e fa il mestiere di lupo rapace, io non posso in coscienza tenerlo qui a fare del male agli altri: in questo caso voi sapete che non si transige: quando c'entra lo scandalo dei compagni io non posso tollerarlo. Laonde bisogna che stiate attenti, e quelli che per loro disgrazia fossero già caduti in qualcuna delle mancanze soprammentovate, per carità, non continuino, ma si emendino; anzi procurino di tener ben celate le loro sconsigliate azioni, perchè altrimenti perderebbero il loro buon nome, la stima degli altri ed anche si metterebbero in pericolo di essere allontanati dall'Oratorio. Se vi fosse alcuno non deciso di emendarsi, che cioè non voglia stare alle regole, sapete che cosa io gli consiglio? Venga a dirlo che esso non sta più volentieri in casa, e si cerchi un posto altrove: noi gli faremo ancora i suoi buoni certificati. E così le cose procederanno d'accordo: amici prima, amici dopo. Perchè se sono i Superiori che vengono a scoprir le mancanze, allora costui dovrà subirne la vergogna coll'essere scacciato dall'Oratorio, il danno di non essere collocato in luogo ove possa guadagnarsi il pane e di sentirsi rifiutare i buoni certificati riguardo alla sua condotta per essere accettato negli impieghi. E questi certificati sono richiesti, ovunque uno si presenti per domandar lavoro.

 

                Ma stasera non sono venuto solamente per dirvi cose incresciose, ma eziandio per dimostrare una speciale contentezza a coloro che vengono a trovarmi con frequenza e non solo in confessione, ma anche in cortile e in camera. Non è più come qualche tempo fa, che da molti si guardava Don Bosco come se fosse uno spauracchio e lo fuggivano sempre. Allora attorno a me per confessarsi avevo una gran folla di studenti che mi attorniavano, specialmente al sabato sera e alla domenica [151] mattina, ma in quanto agli artigiani aveva un bel fare, un bel dire: pochi o nessuno. Adesso invece le cose van meglio, benchè a dire il vero, alcuni lascino ancor passare un tempo considerevole a venire.

 

                Tenete adunque questo a mente, che io sono sempre molto contento quando venite a trovarmi, e non solo in chiesa, ma anche fuor di chiesa. Ciò che io desidero si è che veniate non solamente per fare piacere a me, ma anche perchè possiate avere da Don Bosco qualche buon consiglio, che io sono solito dare a quelli che mi vengono vicini.

 

                Un'altra cosa voleva dirvi ed è, che l'altro ieri e quest'oggi alcuni vennero a chiedermi se potevano anch'essi farsi ascrivere ed appartenere alla Congregazione di S. Francesco di Sales. A varii ho già risposto in particolare; ma poichè so che ve ne sono anche altri che avrebbero desiderio di farmi questa domanda, così io vi rispondo in poche parole qui in pubblico a tutti insieme. Credo che già quasi tutti sappiate che cosa sia la Congregazione di S. Francesco di Sales. Questa non è fatta solamente per i preti o per gli studenti, ma ancora per gli artigiani. E’ una radunanza di preti, chierici, laici, specialmente artigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando così di farsi del bene tra loro e anche di fare del bene agli altri. Quindi ricordatevi che non solo possono prendere parte alla Congregazione quelli che vogliono poi farsi preti, ma anzi una parte considerevole dei soci è composta di secolari. Ad essa può prendere parte chiunque abbia voglia di salvarsi l'anima. Se perciò tra di voi vi è qualcuno il quale dica: Io questa voglia l'ho veramente, anzi io vedo che se esco dall'Oratorio le cose mie vanno male, ed io conducendo una vita meschina su questa terra, corro pericolo di dannarmi per tutta l'eternità; - costui può domandare di far parte della Congregazione.

 

                - E non ci mancherà poi il necessario e pel vitto e pel vestito?- qualcuno domanderà.

 

                Confidando sempre nella divina Provvidenza, madre pietosa, io posso assicurarvi che non ci mancherà mai nulla di ciò che ci è necessario, nè in tempo di sanità, nè in tempo di malattia, nè in tempo di gioventù, nè in tempo di vecchiaia. Questo motivo anzi è quello che fece decidere varii a fermarsi in Congregazione; il pensiero cioè che se venissero ammalati in mezzo al mondo, o quando fossero poi vecchi fuori di qui, verranno abbandonati, disprezzati, senza che essi possano più sostentarsi o dire la loro ragione: invece, stando qui, nulla loro mancherà. Chi adunque desiderasse cercarsi una posizione stabile, dove non gli abbia a mancare per tutta la vita nè il pane, nè l'alloggio, nè il letto, nè il vestito, costui può fare domanda di essere ascritto a questa Congregazione. E chi ancora considerando i pericoli straordinari di dannazione che, uscendo di qui, troverebbe in mezzo al mondo, come i cattivi libri e i cattivi compagni, e volesse [152] dire: - Io intendo di mettermi in posizione dove non mi manchi niente neppur per l'anima; - anche costui si faccia ascrivere tranquillamente, alla nostra Pia Società.

 

                Notate eziandio che tra i soci della Congregazione non vi è distinzione alcuna; sono trattati tutti allo stesso modo, siano artigiani, siano chierici, siano preti; noi ci consideriamo tutti come fratelli e la minestra che mangio io l'hanno anche gli altri e la stessa pietanza, lo stesso vino che serve per Don Bosco, per Don Lazzero, per Don Chiala, vostro Direttore, si dà a chiunque faccia parte della Congregazione.

 

                Ora qualcuno dirà: - Ma, e Don Bosco desidera molto che noi prendiamo parte a questa Società? Noi gli faremmo piacere se entrassimo? - No, miei cari, nessuno pensi entrando in Società di voler con questo fare piacere a Don Bosco. No; io non vi consiglio a star qui. Io vi ho detto queste cose, perchè ne foste istruiti, perchè sapeste bene come le cose stanno, perchè esaminaste quale possa essere il vostro vantaggio e chi desidera questo sappia come fare. Del resto io non sto ad esortare caldamente nessuno. Chi crede di farlo, faccia; chi no, importa niente.

 

                Eziandio se vi fosse qualcuno che desiderasse di andare in America, entrando nella Congregazione avrebbe la comodità di andarvi. Si noti però che la Congregazione non manda nessuno in America che non ne abbia voglia, solamente lascia andare coloro che molto lo desiderano. Avete visto che l'anno scorso erano qui vari vostri compagni: ora sono là Missionari e fanno molto del bene. Essi, finchè furono qui, in nulla erano da voi distinti: erano come voi. Ora che sono là, vivono contenti in modo straordinario. Tutti voi conoscevate benissimo Gioia, che faceva il calzolaio: ebbene in questi giorni si ricevette notizia che esso è divenuto un gran faccendiere, fa il cuoco, il calzolaio, il catechista. Conoscevate anche Scavini falegnarne, che una volta era qui ragazzotto, ora è capo laboratorio con circa venti garzoni sotto il suo comando e sappiamo che nel poco tempo che è là ha già fatto moltissimo. E Belmonte? Sembrava non avesse niente di particolare, in quanto a doti della persona, quando era tra noi; ed ora conosciamo di lui tante belle cose: fa il sagrestano, il musicante, il catechista e possiamo dire che è lui il maggiordomo della casa di Buenos Aires. E se volete, aggiungete eziandio Molinari, benchè coltivi la musica. Tutti costoro l'anno scorso erano tra noi semplici artigiani ed ora sono là campioni stimati ed onorati. Insomma chi lo desidera, ha davanti a sè il campo aperto e chi non lo desidera, se ne stia tranquillo al posto che ora tiene.

 

                Ora, prima che io parta per Roma, si farà un indirizzo in nome di tutti voi al Papa, al quale chiederò per i miei cari artigiani una speciale benedizione. Questa benedizione serva a farvi prosperare nel bene, ed anche nella sanità e negli interessi materiali; ma soprattutto [153] vi renda forti per resistere e tutte le tentazioni, dalle quali nella vostra età vi trovate travagliati, e vi renda superiori al demonio. In modo speciale poi vorrei che, per mezzo di questa benedizione, vi metteste tutti, ma tutti, di grande impegno per vincere quelle tentazioni, che vi vogliono far cadere in cose contrarie alla virtù della modestia; vorrei che conservaste i vostri pensieri, sguardi, parole in modo da non dar mai disgusto per questa parte al Signore.

 

                Fatevi coraggio e vedrete che la grazia del Signore, avvalorata dalla benedizione del suo Vicario, vi renderà superiori ad ogni suggestione del demonio. Del resto che cosa volete che io vi dica?

 

                A questo punto sospese il suo dire e con amorevole sorriso posò lo sguardo raggiante di una bontà indescrivibile su tutti i giovani, che pendevano dalle sue labbra. In quel momento parve manifestarsi sul suo volto l'anima di un padre che ama tenerissimamente i suoi figli. Dopo brevi istanti di silenzio continuò:

 

                Mentre io starò lontano, voi pregherete il Signore per me, acciocchè io possa riuscire in quelle cose per le quali vado a Roma; poichè, voi lo sapete, che quando io parto per Roma, ho sempre grandi affari da compiere e gravi motivi mi guidano sempre, che riguardano il bene della casa e perciò anche il bene vostro. Ritornando, se tutto mi sarà riuscito bene, io vi dirò anche che avete pregato bene e che siete buoni; altrimenti dirò che siete altrettanti sciappini[48], che non siete stati capaci colle vostre orazioni ad ottenermi quello che desiderava. Ma spero che, pregando voi, ed io facendo tutto il possibile, le cose riusciranno bene, massimamente se alle vostre preghiere unirete qualche comunione. Oh sì, io credo che tutti vi metterete d'impegno a fare qualche santa comunione che prosperi i nostri affari a Roma.

 

                Intanto il Signore vi dia sanità, santità, e perseveranza nel bene, affinchè possiate sempre vivere felici.

 

                Ora se volete qualche commissione per Roma io sono ai vostri cenni. Chi volesse scrivere qualche letterina al Papa, io gliela porterò; solo mi raccomando che scriviate bene, e senza errori. L'altra volta ne ho anche portate alcune, e il Papa le lesse; anzi mi fece notare qualche errore di grammatica e di ortografia e mi diceva: - Si vede che sono proprio artigiani che scrivono. Dite poi al tale che qui ci vogliono due s e qui due r ecc.

                Finisco. Avete celebrata poco fa la festa di san Giuseppe ed io non [154] ho potuto essere presente alla vostra accademia; ma sento che pel Patrocinio ne farete un'altra, ed allora io sarò già di ritorno da Roma e desidero tanto di poter venire a prendere anch'io parte attiva alla vostra festa.

 

                Con queste parlate Don Bosco, in procinto di partire per Roma, stampò negli animi impressioni, per le quali, benchè lontano, non sarebbe quasi parso assente.

 

                Comunicò la sua prossima partenza anche a due vere madri dell'Oratorio; ad esse il Beato e per la loro veneranda età e per la santità della loro vita soleva dare il titolo di mamma. Alla contessa Callori scrisse: “Mia buona Mamma. Prima di partire per Roma Le scrivo questo telegramma. Parto stasera alla volta di Roma. Ricapito, Torre de' Specchi. Dimora, tre settimane. Spero di ossequiarla. Buon viaggio a Lei e a tutta la famiglia. Amen”. Questo biglietto potè essere un avviso perchè la nobildonna venisse in città a fare le sue divozioni, prima che egli si allontanasse. Alla signora Eurosia Monti mandò per mezzo di Don Barberis queste righe: “Cara Mamma. Vostro figlio è sul partire per Roma. Partirà domani mattina alle 7; ma se lo lasciate partire così com'è senza denari, non potrà compiere i suoi disegni”. La Signora letta la lettera e scritto un bigliettino di risposta, vi unì tre carte da cento. - Mamma buona è Madama Monti, - esclamò Don Bosco, quand'ebbe aperta la busta.

 

                Ad un'altra Signora di Roma aveva alquanto prima annunziato due volte il suo viaggio: alla signora Matilde, moglie del signor Sigismondi, spedizioniere apostolico. Era donna piissima e devota a Don Bosco, anch'essa già avanzata negli anni. Il Servo di Dio, come abbiamo già visto, trovava in quell'ottima famiglia romana un'ospitalità non meno cordiale che vantaggiosa, sia per la comodità della cappella domestica sia per la pratica che il signor Alessandro aveva dei dicasteri ecclesiastici. La prima volta le scrisse in occasione della morte di suo padre. [155]

 

                Stimabilissima Sig. Matilde,

 

                Più volte abbiamo parlato di lei, Sig. Matilde, e più volte voleva scriverle per assicurarla che in mezzo alle molte cose, che l'hanno disturbata noi non l'abbiamo mai dimenticata nelle nostre comuni e private preghiere, siccome continuiamo a fare per Lei e pel caro Sig. Alessandro di Lei marito. Ora mi rimane un po' di tempo libero in mezzo agli interminabili nostri tafferugli, e me ne servo di buon grado per trattenermi alquanto con ambedue i miei benevoli e benemeriti ospitanti.

 

                Le assicuro che ho preso parte della dolorosa perdita del sig. suo genitore, nè mancai di ordinare e fare speciali preghiere per lui, che Dio chiamò a se, e per lei, per sua sorella, affinchè Dio voglia concedere loro pazienza e rassegnazione ai divini voleri suoi.

 

                Lo stesso abbiamo fatto nella inaspettata perdita della compianta Madre Galeffi. Abbiamo poi avuto una grande consolazione al sapere che questi cari defunti ebbero tempo a munirsi di tutti i conforti della religione, e che facendo una preziosa morte nel cospetto di Dio, siano volati a goderne il premio che la bontà divina tiene preparato in cielo a tutti coloro che muoiono nella sua santa grazia.

 

                Al mese di aprile io dovrò recarmi a Roma per leggere una compilazione nell'Accademia Arcadica del venerdì Santo. la prima porta cui vado a bussare, è certamente a via Sistina 104, dove da tanto tempo abbiamo una vera cuccagna. Ma siccome io desidero di diminuire i disturbi a Lei ed al nostro Sig. Alessandro per quanto mi sarà possibile, così La prego a dirmi con tutta libertà se in quella epoca può continuarmi la solita carità. In caso diverso Ella saprà indicarci qualche onesta famiglia presso di cui fare capo.

 

                Una persona Torinese deve recarsi a Roma entro breve tempo, e questa è incaricata di saldare i miei debiti per le spese fatte dal buon Alessandro in varii rescritti che ho puntualmente ricevuti.

 

                Ai dieci di questo mese apriamo due nuove case; tre altre saranno aperte nel prossimo marzo. Come vede il Signore benedice la povera nostra Congregazione ed Ella preghi per noi affinchè possiamo corrispondere alle sue grazie e benedizioni.

 

                In una lettera testè ricevuta dalla Repubblica Argentina i nostri Salesiani mandano cordiali saluti a Lei ed al Sig. Marito e si raccomandano alla carità delle loro preghiere.

 

                D. Berto, D. Lemoyne, D. Bonetti ed altri di nostra casa ossequiano Lei e suo Consorte, ed io pregando loro ogni celeste benedizione con figliale stima e venerazione ho l'onore di protestarmi

 

                D. V. S. B.

 

                Oratorio di S. Francesco di Sales. Torino, 5-2-76.

 

Obbl.mo umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Tanti saluti alla sua Signora Sorella e al buon Luigino. [156]

 

                La seconda lettera è di un mese più tardi, per l'onomastico della Signora. L'anno precedente in quella circostanza aveva fatto i suoi “doveri” di presenza; ora, chiedendole che gli conceda di poterli fare di nuovo in persona benchè posticipati, mostra di aver avuto risposta favorevole al desiderio espressole nella lettera di febbraio. Nelle poche ore di fermata a Sampierdarena farà scrivere a Don Rua di con segnare a Don Durando, perchè la porti seco a Roma, una bottiglia del 1815. “E' un regalo, spiegherà il segretario, che il Sig. D. Bosco desidera fare alla Sig. Matilde”.

 

                Stimabilissima Signora Matilde,

 

                Dopo dimani non possiamo avere il piacere di fare in sua casa Santa Matilde, ma la prego di volerci restituire il tempo utile almeno ai primi giorni di aprile, ed allora farò i miei doveri di presenza.

 

                Posso però assicurarla che non la dimenticheremo dinanzi al Signore ed appunto il 14 di questo mese sarà celebrata la S. Messa all'altare di Maria Ausiliatrice ed i nostri giovanetti faranno la loro comunione secondo la pia di Lei intenzione.

 

                Dio la benedica, Sig. Matilde, e con Lei bendica il Sig. Alessandro e ad ambidue conceda sanità stabile, con lunghi anni di vita felice.

 

                Preghi anche per questo poveretto che sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 12-3-76.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Affari importanti lo aspettavano a Roma, affari numerosi aveva a Torino e fuori di Torino. - Una cosa dopo l'altra tutto si aggiusterà, - disse parlandone con i suoi. Nel pomeriggio che precedette il giorno della partenza, scrisse più di venti lettere, alcune delle quali indirizzate in Francia. Dopo cena, che si poteva dire per lui il tempo del gran rapporto, s'intese con i diversi Superiori sopra tante cose da sbrigare. Finito che ebbe, alcuni preti e professori lo circondarono. A Don Cipriano raccomandò di non oltrepassare la mezz'ora nel celebrare, eccetto il caso che vi fossero molte orazioni: esser bene che ordinariamente la Messa durasse [157] da ventidue a venticinque minuti. Al chierico Obertiglio che gli chiedeva licenza di recarsi dai parenti per un paio di giorni, disse d'intendersi con Don Rua e Don Lazzero. Egli non dava mai negative; Don Rua poi era attentissimo a impedire ch'ei dovesse fare parti odiose. Ad altri disse altro. Quindi, salutati con parole amorevoli a uno a uno gli astanti, salì tranquillamente in camera.

 

 

CAPO VI. Viaggio del Beato a Roma.

 

                Di questo viaggio il compagno del Beato tracciò un diario scheletrico, riserbandosi forse d'impinguarlo a miglior agio o di fornire ad altri gli elementi; ma quegli appunti sono rimasti quali furono gettati giù. Altre notizie abbiamo da corrispondenze epistolari, che metteremo a profitto, e da parlate del Servo di Dio, che saran riprodotte quali i testimoni ce le hanno conservate. Nel nostro racconto, più che l'ordine cronologico, seguiremo un certo filo ideale, che sarà abbastanza visibile, senza che faccia d'uopo premettere qui speciali indicazioni per lumeggiarlo.

 

                Don Bosco, che desiderava tanto di far vedere Roma e il Papa ai suoi preti, non avrebbe potuto agevolare la cosa cambiando segretario ogni volta che si recava alla Città eterna? Sì, certamente, se colà il molto da fare e l'angustia del tempo non l'avessero costretto a valersi continuamente dell'opera del segretario in casa e fuori. Accadeva infatti che il Beato dovesse preparare per le Congregazioni Romane o per Cardinali memorie scritte, le quali in via ordinaria avrebbero richiesto un mese o due di lavoro; egli invece fra l'incredulità di quanti l'udivano, si obbligava a spicciare il tutto entro due o tre giorni. Componeva dunque alla lesta e dava da ricopiare al suo calligrafo, tenendolo per ore e ore inchiodato al tavolino. A volte Don Bosco finiva di comporre [159] alle dieci di notte ciò che l'altro doveva restituirgli in bella copia al mattino seguente, sicchè accadeva che, andando a dir Messa ritrovava là l'instancabile amanuense come l'aveva lasciato la sera. Non diremo poi nulla delle camminate che gli faceva fare per la città in tutte le ore del giorno. Servigi sì ardui e preziosi nessuno gli prestava meglio di Don Gioachino Berto.

 

                Motivo secondario che questa volta chiamava Don Bosco a Roma, era un impegno assunto ivi l'anno avanti. Dal '74 per i buoni uffici di suoi ammiratori romani egli apparteneva all'accademia dell'Arcadia col suo nome accademico di Clistene Cassiopeo, portato già dal cardinale Altieri[49]. Volendo far cosa grata al Custode generale monsignor Ciccolini, aveva promesso di leggere alcunchè di suo in qualche occasione, e l'occasione venne. Costumavano gli arcadi la sera del venerdì santo tenere una solenne adunanza nella gran sala del Serbatoio al palazzo Altemps per celebrare la Passione del Signore. Il Custode pertanto profferse a Don [160] Bosco di venir a leggere una prosa d'introduzione nella tornata del venerdì santo del '76, che cadeva ai 14 di aprile. Incaricato di comunicargli l'invito fu l'arcade monsignor Fratejacci, che glie ne scrisse con calore, dicendogli: “Io sarei di subordinato avviso ch'Ella tenesse questo invito, perchè la di Lei venuta in Roma in quel tempo sarebbe ed opportuna ed utile sotto tutti i rapporti. L'oggetto poi tutto sacro di essa sarebbe e conveniente e al tempo stesso lodevole”[50]. Il Beato accettò di fare per una volta tanto dell'accademia; vedremo tosto in che modo facciano dell'accademia i Santi.

 

                Quest'accettazione fu ritenuta “come un gran dono a tutti graditissimo[51]”. Ma più che altro Don Bosco vide nella cosa un insieme di preziosi vantaggi. Per la sua condizione egli sentiva sempre maggiore il bisogno di penetrare in tutti gli ambienti e di amicarsi ogni genere di persone. Aveva. inoltre ragioni parecchie e molto gravi di tornare a Roma; vi era specialmente necessità della sua presenza per istrappare privilegi alla spicciolata, giacchè egli si vedeva preclusa la via a ottenerli tutti in massa. Si ricordino la richieste presentate sulla fine del '75. Ora il comparire colà non di suo arbitrio, ma formalmente invitato, mentre ne giustificava il viaggio agli occhi di chi stava alle vedette in Torino e di altri che nutrissero diffidenza in Roma, gli dava più facile accesso ai prelati di Curia. La stessa circostanza lo metteva al riparo dai sospetti di coloro che lo pedinavano nei suoi rapporti con gli uomini del Governo.

 

                Giunse a Roma verso le due pomeridiane del 5 aprile. Fu accolto “dall'amato benefattore” signor Alessandro Sigismondi, che, condottolo a casa sua in via Sistina, gli assegnò un comodo appartamento, fuor d'ogni soggezione, su all'ultimo piano, donde un bel terrazzo permetteva di godere il delizioso panorama della città. Vi s'immerse tosto [161] nel lavoro, cominciando in pari tempo le sue peregrinazioni urbane per visite più di affari che di mera convenienza.

 

                Innanzi di procedere oltre, vogliamo dare un saggio del diario accennato sopra. Siano le annotazioni sui primi quattro giorni: “Addì 6 giovedì. Messa in casa; poi verso le 10 dal Card. Antonelli; quindi dal maestro di Camera Mons. Macchi, poi a casa. Verso le 4 da Mons. Sbarretti, Segretario della Cong. dei VV. e RR. [Segue una notizia sul cardinal Berardi, della quale diremo altrove]. - Venerdì 7. Messa in casa, poi lavoro fino all'ora del pranzo. Ci recammo dal P. Gio. Batta da Genova nel Convento dei Cappuccini vicino a piazza Barberini, per trattare della compera di una casa tra S. Giovanni in Laterano ed il Colosseo. - Sabato 8 aprile. Messa in casa, poi a Torre de' Specchi; pranzo a casa. Poi verso le 4 col Rig. Vigliani ed ing. Moglia prendemmo un legno e fummo a visitare il locale tra S. Giovanni Laterano e il Colosseo. - Domenica delle Palme. Tutto il giorno in casa a lavorare”. Come si vede, abbiamo qui un index rerum, ma senza le cose indicate.

 

                Le occupazioni romane non assorbivano talmente Don Bosco da impedirgli di portare il suo pensiero a Torino. Qui toccheremo di due cose soltanto.

 

                Partendo dall'Oratorio, aveva il rincrescimento di non veder ancora l'esito di una pratica, che gli stava molto a cuore. Due suoi suddiaconi fino dal principio della quaresima erano stati presentati all'Arcivescovo per le lontane Ordinazioni solite a tenersi nel sabato santo; ma, avutone in risposta che Ordinazioni allora non si sarebbero tenute, si pregò Monsignore che volesse rilasciare dichiarazione scritta per qualche Vescovo, che consentisse di ordinare i due figli di Don Bosco. Se non che la quaresima s'inoltrava, era omai vicina la settimana santa, Don Bosco partiva per Roma, e l'Ordinario non si faceva vivo. Don Rua si trovava fra l'incudine e il martello: o insistere presso la Curia e provocare forse lo sdegno del Superiore Ecclesiastico, o aspettare [162] con pericolo di veder andare a monte le Ordinazioni e recar dispiacere a Don Bosco. Quindi si appigliò al partito di chiedere istruzioni, non appena Don Bosco giunse a Roma. Don Bosco nella domenica della Palme gli fece rispondere così: “In quanto alle ordinazioni del ch. Vota e Veronesi pel sabato santo, è volontà del Sig. D. Bosco, che vi si presentino. Ella disponga. Troverà qui unite le due dimissorie sottoscritte. Se crede di mandarli a Vigevano, conviene ancora che ne prevenga il Vescovo, e sapere se tiene ordinazioni. Di più ci vuole la dichiarazione dell'Arcivescovo di Torino, di qualcheduno della Curia, come del Teol. Gaude, che in Torino non si tiene ordinazioni nel sabato santo, e questa dichiarazione spedirla a Vigevano. Se si volesse mandarli. a Susa, non occorrerebbe più la dichiarazione, perchè il Vescovo di Susa l'ha già: farebbe più solamente d'uopo prevenirne il Vescovo con lettera di V. S. Inoltre si avrebbe risparmio di spese. Alla sua prudenza il partito da prendersi “[52].

 

                Finalmente la sospirata risposta dell'Ordinario venne: venne all'una pomeridiana del venerdì santo e diceva così: “I candidati Moysè Veronesi da Bovisio e Michele Vota da Rivarolo non possono ottenere nè dall'Arcivescovo di Torino, nè da alcuno della sua Curia la carta che domandano per l'ordinazione del diaconato da riceversi domani, se dentro quest'oggi 14 aprile non si presentano al canonico Peyretti o al canonico Zanotti a subire l'esame su due trattati diversi da quelli che presero per l'esame del Suddiaconato, e inoltre sul Diaconato; e riportino all'Arcivescovo l'attestato per iscritto di averlo subito lodevolmente

 

                I due ordinandi non perdettero tempo a menar lamenti. In fretta e furia corsero dal Cancelliere arcivescovile per [163] avere la delegazione degli esami; in fretta e furia corsero in cerca degli esaminatori, diedero l'esame, rivolarono in Curia a portare il voto e a ritirare l'attestato di esito lodevole lo presentarono all'Arcivescovo per la dichiarazione; in fretta e furia corsero alla stazione e partirono per Susa. Le paterne accoglienze di quel santo Vescovo misero loro il cuore in pace; ma lo videro cascar dalle nuvole quando gli porsero il certificato dell'esame, spettando il diritto di esaminare gli ordinandi al Vescovo ordinante, non a quello di residenza. In ogni modo ricevettero i loro ordini. Ci fu però una conseguenza spiacevole di quel trambusto: il povero Don Vota, gracilino com'era, cadde infermo e n'ebbe per un anno.

 

                Non ci sembra qui fuori di proposito il far menzione di un fatto che prova fino a qual segno arrivasse il disinteresse dei Servo di Dio, obbligato tante volte a spese per lui non indifferenti, quando aveva da mandar lontano i suoi a ricevere gli ordini sacri. Il regio Economato dei benefizi vacanti gli passava un'annualità di lire mille; ma siccome. la portava sulla mensa arcivescovile Don Bosco, per riguardo all'Arcivescovo, non la volle mai riscuotere. Così da ventotto anni. quella somma restava a disposizione dell'Ordinario.

 

                La seconda cosa che da Roma richiamò allora l'attenzione di Don Bosco fu di tutt'altra natura. Seppe che Don Barberis nella domenica delle Palme doveva cominciare la predicazione degli esercizi spirituali ai giovani del collegio di Borgo S. Martino. Ebbene, si affrettò a fargli pervenire due raccomandazioni: che procurasse di amicarsi gli alunni della quarta e quinta ginnasiale per vedere se, caso mai, fra loro ci fosse “qualche mattone atto per la fabbrica di Torino” e che badasse fra gli “ex-novizi” se ve ne fosse qualcuno da infervorare e da raffermare nella vocazione. Per “ex-novizi” bisogna intendere qui certi ascritti che, interrotto il noviziato sotto Don Barberis nell'Oratorio, lo proseguivano sotto il Direttore locale, alternando le pratiche dei novizi con qualche occupazione. In tale condizione si [164] trovavano colà due chierici e due coadiutori. “Feci quanto potei; ma gli ex-novizi mi parvero tutti già confermati”, scrisse Don Barberis nella sua cronaca. Riguardo agli allievi, egli credette che “in pochi collegi al mondo” si potesse incontrare “maggior pietà, più fede, maggior purità di costumi”. Infine circa le vocazioni aveva qualche cosa da osservare; anzi ne scrisse a Don Bosco. A noi tornerà più acconcio parlarne di qui a poco.

 

                Alla mattina del lunedì santo fu chiesta l'udienza pontificia. Nei giorni di attesa Don Bosco trovò il tempo di stendere alcune suppliche per umiliarle poi al Santo Padre. Egli non dimenticava mai i benefattori delle sue istituzioni; perciò, trovandosi a Roma, volle ottenere dal Papa atti di clemenza, cioè favori spirituali, che valessero ad attestare la propria gratitudine a suoi amici d'America e d'Italia. Scrisse dunque anzitutto una memoria in favore del signor Benitez e di Don Ceccarelli.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco, umilmente prostrato, ha l'alto onore di segnalare all'alta Clemenza di V. S. due benemeriti cattolici della Repubblica Argentina: Francesco Giuseppe Benitez, e Dottor Pietro Giovanni Battista Ceccarelli.

 

                Il Sig. Benitez, uomo assai versato nella scienza sacra e profana, sebbene tocchi l'età di 81 anno, tuttavia lavora indefesso e spende le molte sue sostanze pel bene della religione, che egli pratica esemplarmente. Ognora pronto a tutte le opere di carità, promosse l'andata dei Salesiani in quella regione e con grande dispendio fece costrurre un collegio e Chiesa a S. Nicolas de los arroyos, fornì il necessario suppellettile e sostiene i missionari Salesiani che in numero di sette somministrano l'istruzione agli allievi interni ed esterni del collegio. Come affezionatissimo alla Santa Sede,. segnatamente alla sacra ed augusta persona del Romano Pontefice, riceverebbe nella sua vecchiaia il massimo dei conforti, se venisse onorato del titolo di Commendatore di quell'ordine che a V. S. fosse più beneviso.

 

                Il Dott. Pietro Gio. Batt. Ceccarelli, Sacerdote italiano, ha fatto i suoi studi in Roma e si recò nella Repubblica Argentina come Missionario, ed ora è Parroco Vicario Foraneo dell'unica, ma popolatissima parrocchia di S. Nicolas. Per sua cura furono fondate e regolarmente stabilite varie scuole, ospizi, e li sostiene con molto zelo. Egli [165] iniziò la pratica per l'andata dei Salesiani a S. Nicolas; per sua cura si compierono le trattative colle Autorità municipali, governative ed ecclesiastiche. Il suo Arcivescovo, Leone Federico Aneyros, ne parla con molto encomio. Per sua cura speciale ai Salesiani venne affidata la Chiesa della Misericordia in Buenos Aires, dove in numero di tre già esercitano il sacro ministero. Si adoperò con pari zelo perchè ai medesimi Salesiani fosse dato in perpetuo l'uso del Collegio, della Chiesa pubblica a benefizio degli adulti e particolarmente della gioventù, che in S. Nicolàs si trova nel massimo bisogno di educazione e di istruzione cristiana. Ora qual padre amoroso continua ad assistere i Missionarii Salesiani e coi medesimi si adopera per fondare un Collegio vicino alle tribù selvaggie, per così farsi strada a penetrare nella Patagonia, oggetto principale della Missione Salesiana.

 

                Per questo degno Sacerdote supplico che V. S. si degni accordargli la qualità di Cappellano o di Cameriere d'onore o di qualche altro titolo che alla S. V. sia beneviso.

 

                Questi due atti di Sovrana Clemenza serviranno certamente ad incoraggiare quei due zelanti Cattolici a perseverare nel lavoro a vantaggio della Religione ed essere in avvenire costanti protettori della Salesiana Congregazione.

 

                Con profonda gratitudine umilmente si prostra

 

                D. V. S.

 

                9 aprile, 1876.

 

                Solennità delle Palme.

Umil.mo figliuolo

Sac. Gio. Bosco.

 

                Una seconda memoria riguardava il commendator Gazzolo. Si parla in essa di “sacrifizi pecuniari” ma da parte del console argentino non ve ne furono. Sembrò bene sulle prime che vi fossero; ciò fu perchè egli seppe volgere a pro dei Missionari le altrui contribuzioni, massime la Stragrande generosità di Don Ceccarelli, facendo le cose in modo che tutto sembrava venire da lui. Più tardi la sagacia di Don Lasagna fiuterà e metterà sull'avviso. Ma chi nei primordi avrebbe mai potuto lontanamente sospettare che fosse un trucco perfino la pomposa uniforme con le relative decorazioni? Don Bosco tuttavia, calmando i bollenti spiriti in alcuni de' suoi, non permise a nessuno mai di trattarlo con manco di carità e di cortesia. Noi, pur facendo della storia, compatiremo alle umane debolezze, nè cesseremo di ammirare la Provvidenza, che, non ostante queste debolezze, in [166] sua dispositione non fallitur. Il cenno che qui si fa all'Uruguay va inteso nel senso di trattative già molto avanzate per la fondazione dì Colón.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Fra i fervorosi cattolici che in questi tempi si segnalarono per zelo verso la persona del Supremo Gerarca della Chiesa, credo si possa meritamente annoverare il Sig. Comm. Giovanni Gazzolo console argentino in Savona. Da due noticine, che potei attingere da fonte sicura e confidenziale, appariscono parecchi atti di benemerenza, con cui furono onorate parecchie sue azioni.

 

                Rimettendo questi titoli al buon cuore di Vostra Santità, io mi fo soltanto ardito di notare l'importante servizio prestato alla Congregazione Salesiana, specialmente nella missione testè aperta nella Repubblica Argentina e nell'Uruguay. Molte e grandi difficoltà -si presentarono, ma con sollecitudine, insistenza, con viaggi e con sacrifizi anche pecuniari, riuscì ad appianare tutto. Compiuta la pratica si pose egli stesso ad insegnare la lingua Spagnuola ai nostri Missionarii, li assistette, li guidò a Roma e anche a proprie spese li accompagnò pel lungo viaggio di America, rimanendo seco loro fino a tanto che vide l'opra evangelica consolidata e promettente i frutti desiderati.

 

                Ora, Beatissimo Padre, sebbene il prelodato Comm. Gazzolo qual buon cristiano, non abbia cercato e nemmeno ora cerchi onori temporali, tuttavia pel governo Argentino Cattolico che rappresenta in Italia, per la grande venerazione, che nutre alla persona di Vostra Santità e pel desiderio di lasciare alla famiglia propria un documento del suo attaccamento alla Cattedra di Pietro, avrebbe quale prezioso tesoro se l'alta Clemenza di Vostra Santità si degnasse concedergli una decorazione di quel grado che alla Santità Vostra fosse beneviso.

 

                Ciò servirebbe eziandio ad animarlo sempre più a promuovere altre opere di carità e specialmente per le missioni del Chilì all'Occidente della Patagonia, per cui furono già iniziate le pratiche, con fondata speranza che fra non molto siano condotte a buon termine.

 

                Così i Salesiani avranno un motivo di più di professare profonda gratitudine a Vostra Santità ed anche aumentare il numero dei benefattori che ci porgono aiuto nelle nostre pie imprese.

 

                Colla massima venerazione e riconoscenza e col più profondo ossequio, umilmente prostrato chiedo l'apostolica benedizione.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Con una terza supplica domandò al Papa onorificenze per due insigni benefattori dell'ospizio di Sampierdarena. [167]

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco umilmente prostrato ai piedi di V. S. a nome e colla commendatizia di Mons. Salvatore Magnasco, Arcivescovo di Genova, e di molti pii istituti, ha l'alto onore di segnalare alla Sovrana di Lei Clemenza due esemplari e ricchi cattolici, che da molto tempo godono di spendere le loro sostanze nel fondate e sostenere istituti, diretti specialmente a vantaggio della pericolante gioventù. Il loro nome è Angelo Borgo, Giovanni Battista Conti, ambidue della città e diocesi di Genova. Sono essi che mossi dall'esempio ammirabile di V. S., si posero nell'impegno di condurre a termine l'Ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena, dove è pressochè terminato un edifizio che quanto prima potrà dare ricetto a non meno di 300 poveri fanciulli.

 

                Per questi due virtuosi cittadini si fa umile preghiera alla S. V., affinchè si degni dare ai medesimi un segno di benevolenza, concedendo loro una decorazione di qualche ordine pontificio, secondo che sarà beneviso alla S. V.

 

                Tale onorificenza apporterà certamente la più grande consolazione alle religiose rispettive famiglie, e tornerà ai medesimi del più grande eccitamento a continuare nelle loro opere di carità, perchè benedetti ed onorati dal Vicario di Gesù Cristo, verso cui nutrono la massima venerazione.

                Che della grazia…..

Sac. Gio. Bosco.

 

                Si riferiva direttamente all'ospizio di Sampierdarena una quarta petizione. Il Beato probabilmente la lasciò a Roma, quando partì; ma torna più opportuno unirla qui alle precedenti. Egli desiderava di ottenere che i parroci dell'archidiocesi genovese potessero cedere a vantaggio di quella casa l'elemosina delle messe domenicali; non l'elemosina delle messe celebrate nelle feste soppresse, perchè già devoluta al seminario arcivescovile. Come le altre, così sortì il suo effetto anche quest'ultima supplica, sebbene in una forma speciale: il favore veniva concesso all'Arcivescovo monsignor Magnasco, nominalmente a pro del piccolo seminario di Chiapeto e in vista. delle vocazioni ecclesiastiche. Ora Don Bosco mirava soprattutto ai figli di Maria, destinati ad avere la loro principale residenza nell'ospizio di San Vincenzo de' Paoli. Nella faccenda l'Arcivescovo e Don Bosco andavano perfettamente d'accordo, [168]

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco ai piedi di V. S. espone umilmente come in S. Pier d'Arena presso Genova da quattro anni fu iniziato un ricovero pei poveri fanciulli che da varii paesi capitano in questa città. Si cominciò da un piccolo numero; ma la moltitudine di coloro che ad ogni momento dimandavano pane e ricovero costrinsero ad acquistare altro terreno ed innalzare nuovo edifizio. Ora sono circa trecento i giovani ricoverati; di cui cento trenta grandicelli sono applicati allo studio e si preparano per lo stato ecclesiastico; gli altri attendono alle arti e mestieri.

 

                Ma per fare l'acquisto, la costruzione, provvedere il suppellettile, somministrare pane e vestito a quelli che sono già ricoverati, si dovettero contrarre alcuni debiti, che non si sa come estinguere. Sono ancora oltre settanta mila franchi che gravitano tuttora sul povero istituto, o meglio sul povero esponente.

 

                In questo eccezionale bisogno fanno ricorso alla fonte inesausta della carità, alla S. V. che tutti proclamano padre degli infelici.

 

                Il sussidio che qui s'implora dipende dalla suprema sua autorità ed è di permettere ai parroci di questa diocesi genovese al cui favore è specialmente diretto l'istituto, che possano nei giorni festivi di precetto celebrando la s. Messa pro populo cederne la limosina a benefizio di questo orfanotrofio. Si limita il benefizio alla Messa dei giorni festivi di precetto, perchè quella delle feste non di precetto fu già dall'Ordinario diocesano destinata pei varii bisogni del giovane clero. Questo favore, che dicono essere già concesso per altri gravi bisogni, sarebbe solo per un triennio. Ogni cosa è stata poi concertata coll'Arcivescovo di Genova, il quale di buon grado presta l'opera sua presso ai sigg. parroci, anzi unisce la sua preghiera ad implorare presso di V. S. la grazia, sempre che tale sia la mente del Sommo Pontefice.

 

                Colla massima gratitudine da parte dell'esponente e da parte dei giovanetti beneficati, si assicurano quotidiane preghiere, affinchè Dio conservi lungamente V. S. pel bene della Chiesa e per sostegno di tanti bisogni, mentre tutti prostrati implorano l'apostolica benedizione.

 

                Che della grazia ecc.

 

D. Giovanni Bosco.

 

                Il martedì santo ecco giungere a Roma Don Durando e il professore Don Pechenino. Ora qui rifacciamoci da un po' addietro. Quella sera che Don Durando presentò a Don Bosco il secondo volume del suo dizionario latino[53], il buon Padre, espressogli il suo gradimento, gli aveva tosto soggiunto [169]: - Ora riposati un poco; a suo tempo andrai a presentarne una copia al Papa. - E non furono mere parole. Con lui veniva pure il teologo Pechenino a presentare il suo Vocabolario greco, edito allora e compilato per volontà di Don Bosco e secondo i suoi intendimenti morali, e stampato dalla tipografia dell'Oratorio. Il Beato non li menò subito seco sia perchè essi dovevano dar esami semestrali nei ginnasi di Sampierdarena e di Varazze, sia perchè egli voleva che passassero per Lucca e Firenze. Presero alloggio il Pechenino da sua sorella e Don Durando dal signor Colonna, spedizioniere apostolico e vecchio amico del Beato.

 

                Primo pensiero di Don Durando fu di andar a vedere Don Bosco, che trovò “tutto occupato nelle faccende della nostra Congregazione”[54], senza che però dimenticasse l'Oratorio. Infatti ebbe da lui ordine di comunicare a Don Rua essere sua intenzione che gli esercizi spirituali, tanto per gli studenti che per gli artigiani, si rimandassero a dopo il suo ritorno. Facendo questa comunicazione, il figlio di Don Bosco esprimeva un sentimento, che dimostra quale fosse l'animo di quegli uomini formati alla Scuola del Servo di Dio. “A dirtela schietta, scrisse egli, mi accompagna sempre dovunque un pensier tristo, una specie di rimorso, che mi fa vedere meno tutte le cose, ed è l'andarmene così a zonzo come un fannullone e spendendo anche danaro, mentre costì vi è tanto da lavorare; quel che mi rende tranquillo si è solo il pensare che è D. Bosco che ha stabilito tal cosa e ne lascio a lui la cura”[55].

 

                Dal medesimo veniamo informati che Don Bosco chiese per lui al Vicariato la facoltà di confessare in Roma; quindi in giorno stabilito questi andava in casa Sigismondi e là si confessava da Don Bosco, il quale poscia si confessava da lui mettendolo, com'egli dice[56], “un poco negl'imbrogli”. [170]

                A Torino il suo giorno di confessione era il lunedì, perchè in quella mattina i penitenti della casa non solevano essere molti; allora verso le otto compariva Don Giacomelli, che, confessatosi da Don Bosco, ne ascoltava a sua volta la confessione.

 

                Intanto il Beato si era venuto preparando alla sua lettura arcadica. Fu un lavoro che gli dovette costare fatica, tanto è denso di citazioni e saturo di pensiero nella sua notevole lunghezza. Circolava una viva aspettazione, non foss'altro, per la singolarità del caso che un prete piemontese, un prete dedito a opere di apostolato ed estraneo al mondo letterario, un prete in fama di santo si presentasse in quel centro romano di cultura per far udire una sua composizione a un pubblico avvezzo ad ascoltare letterati di professione ed anche di grido. Il Servo di Dio dovette cattivarsi la benevolenza dell'uditorio massimamente con la sua sincerità. Sincerità di linguaggio nell'esordio, dove la modestia delle espressioni non era smentita da preziosità lambiccate, ma confermata dall'umiltà stessa dello stile, in cui si aspetterebbe invano qualsiasi ricerca dell'effetto. Sincerità nella scelta del tema, non sorto mai nella mente di nessuno per quella circostanza, ma adatto quant'altro mai alla religiosità dell'ora: le “Sette parole proferite da Gesù in croce”, argomento ovvio per un'anima di Dio, la quale nella sera del venerdì santo non trova di meglio che fare in tal modo le così dette tre ore di agonia. Sincerità in tutta là trattazione, che procede quale si poteva attendere da chi dovunque e sempre ci teneva a essere e a mostrarsi prete: un ragionamento sacro da capo a fondo e mirante senza reticenze o eufemismi al bene spirituale degli ascoltatori. Sincerità nella chiusa, dove il papalismo di Don Bosco esplode.

 

                Con naturale e bel trapasso viene ivi a parlare dell'unione dei veri credenti con Pietro e co' suoi successori, e invitando tutti a stare “schierati intorno al degno successore di Pietro, [171] intorno al grande, al coraggioso Vicario di Gesù Cristo, al forte, all'incomparabile Pio IX”, prosegue: “In ogni dubbio, in ogni pericolo, ricorriamo a Lui, come ad áncora di salvezza, come ad oracolo infallibile. Nè mai alcuno dimentichi che in questo portentoso Pontefice sta il fondamento, il centro d'ogni verità, la salvezza del mondo. Chiunque raccoglie con Lui, edifica fino al Cielo; chi non edifica con Lui, disperde e distrugge fino all'abisso. Qui mecum non colligit, dispergit. Se mai in questo momento la mia voce potesse giungere fino a quell'Angelo Consolatore: Beatissimo Padre, vorrei dire, ascoltate e gradite le parole di un figlio povero, ma a Voi affezionatissimo. Noi vogliamo assicurarci la via che ci conduca al possedimento della vera felicità; perciò tutti ci raccogliamo intorno a Voi, come Padre Amoroso e Maestro Infallibile. Le Vostre parole saranno guida ai nostri passi, norma alle nostre azioni. I Vostri pensieri, i Vostri scritti saranno raccolti colla massima venerazione, e con viva sollecitudine diffusi nelle nostre famiglie, fra i nostri parenti, e, se fia possibile, per tutto il mondo. Le Vostre gioie saranno pur quelle dei Vostri figli, e le Vostre pene e le Vostre spine saranno parimenti con noi divise. E come torna a gloria del soldato, che in campo di battaglia muore pel suo Sovrano, così sarà il più bel giorno di nostra vita, quando per Voi, o Beatissimo Padre, potessimo dare sostanza e vita, perchè, morendo per Voi, abbiamo sicura caparra di morire per quel Dio, che corona i momentanei patimenti della terra cogli eterni godimenti del Cielo”.

 

                Di questo discorso non abbiamo l'originale: Dio sa che guazzabuglio era! Possiamo arguirlo da certe altre minute che ci stanno dinanzi agli occhi. Possediamo invece la copia che egli usò, trascrittagli, in nitidi caratteri e con infinita pazienza dal bravo calligrafo Don Berto e ritoccata qua e là di suo pugno. Dei ritocchi uno ha richiamato la nostra attenzione: per ben quattro volte alla parola “Salvatore” egli [172] sostituì il nome di “Gesù”, che pure vi ricorreva già con non ordinaria frequenza[57].

 

                L'effetto fu triplice: buono nei buoni, delusione in pochi dilettanti di mera letteratura, scorno a qualche raro malintenzionato. Sentiamo due testimoni auricolari. Don Durando scrive[58]: “Iersera fui all'Arcadia a sentire il discorso del nostro amatissimo D. Bosco; la sala era splendidamente addobbata ed illuminata, numerosa la dotta udienza, non meno di quattrocento persone stavano con religioso silenzio ad ascoltare il semplice ed insieme erudito discorso di D. Bosco, che fu applauditissimo”. E Don Berto a sua volta[59]: “La serata cominciò alle otto... Distinti personaggi... eransi quivi raccolti, attirati dalla fama della persona che doveva leggere la prosa d'introduzione. La povera mia personcina venne introdotta dal gentile Custode dell'Arcadia nei primi posti, e sconosciuto e zitto me ne stava osservando le impressioni del pubblico uditorio, che era impaziente di rimirare personalmente il nuovo Arcade. Appena spuntato alla porta, ecco tutti gli occhi rivolgersi sopra di lui, accompagnarlo fin sopra il palco collo sguardo: cessò ogni chiacchierio e si diede principio. Fu ascoltato con molta attenzione. Piacque il suo modo di ragionare semplice e facile delle cose più difficili. Nel corso della lettura udii di mezzo alla folla più di un bravo, bene; vidi mandargli più d'un bacio colla mano, specialmente sacerdoti. Venne ripetutamente applaudito. In fine della seduta che fu alle undici e un quarto, molti distinti personaggi vennero a stringergli la mano... E’ però bene notare che in mezzo a tanta moltitudine di amici dell'amatissimo nostro Papà, in mezzo a tanti ammiratori e del nome e delle opere del Sig. D. Bosco non mancavano però alcuni Farisei, che, siccome ai tempi del Salvatore, cercavano di [173] prenderlo in parole, ut accusarent eum...; “uomini venuti ad ascoltare il Sig. D. Bosco a fine di poter notare qualche cosa per denunziarlo al S. Uffizio... Ma l'oratore, prevenuto di questo laccio, appoggiò ogni suo pensiero, ogni parola, si può dire, all'autorità dei Santi Padri, del Vangelo e della Chiesa. Dimodochè quei due di perversa intenzione ebbero dopo a manifestare a qualcuno: - D. Bosco è più furbo di noi. - La conclusione della prosa fece poi in tutti salutare impressione, e Mons. Sanminiatelli, Elemosiniere di S. S., finito il trattenimento, dissegli: - Ci ha serviti tutti bene! -” Sappiamo inoltre che il padre Saccheri, domenicano, segretario dell'Indice, disse alcuni giorni dopo essergli il discorso piaciuto molto; tutti avervi avuto qualche cosa da imparare; meritare di venir dato alle stampe. Sappiamo pure che taluni sentenziarono: - Non ha detto nulla. Non c'è concetto. Questo non fa per noi, ma tra preti. - Non mancò chi biasimasse la lunghezza, essendo durata la lettura tre quarti d'ora abbondanti. Nulla era qui da tacere.

 

                Rientrati in casa verso la mezzanotte, vi trovarono il biglietto per l'udienza del Santo Padre. Il ritardo a recapitarlo era stato consigliato dall'opportunità di non causare disturbo a Don Bosco durante la preparazione della sua lettura. Gli si fissava l'udienza per l'indomani alle sette di sera. Egli aveva bell'e pronto il suo solito elenco di cose da esporre o da domandare: questa volta sette in tutto, che non mette conto riferire, essendo espresse in formole poco o punto intelligibili.

 

                Piuttosto coglieremo dalla cronachetta di Don Barberis e inseriremo qui un intermezzo non privo d'interesse. La sera del 22 gennaio di quest'anno, caduta la conversazione sul modo con cui Don Bosco veniva trattato dal Santo Padre, si osservò che il Papa sembrava riceverlo sempre volentieri. - Certo, rispose Don Bosco, che io faccio di tutto per sbrigarmi in fretta. Bisogna andar preparati bene sulle cose che gli si vogliono domandare. Alcuni per fare una domanda [174] - al Papa si mettono a raccontargli tutta la storia, e dicono e ridicono e vanno per le lunghe. D'ordinario il Papa li interrompe e dice loro: - In conclusione, qual è la cosa che domandate? - Io vo sempre là con una farragine di cose da domandare; ma prima me ne prendo nota precisa e mi preparo. Arrivato al cospetto del Papa, espongo il mio desiderio in poche parole. Quando si tratta di cose speciali, come a me spesse volte accade, aggiungo pure: Il tal Papa, con la tal Bolla, nella tale. circostanza ha concesso così e così. Allora Egli in due parole spedisce tutto, e poi ride, dicendo: - Voi usate poche parole per non istancarmi, ma io ne uso più poche di voi. - Altre volte Egli vede che ho la mia cartolina in mano e mi domanda:

 

                - A che numero siete?

 

                - Alla dodicesima domanda che voglio fare a Vostra Santità.

 

                - E quante ne avete notate?

 

                - Diciotto, Santo Padre.

 

                - Oh, siamo già a buon punto.

 

                - Quella volta credo che con diciotto domande e importanti le quali richiedevano tempo e riflessione e nell'esporre le quali avrebbe altri impiegato dieci minuti per ciascuna, io in dieci o dodici minuti le passai tutte quante. Talora, dopo che ho finito di dire io, comincia Lui e mi fa una serie d'interrogazioni; in quei casi naturalmente le cose procedono un po' più a rilento. Quello poi che piace più di tutto al Santo Padre, si è che io non gli fo mai nessuna opposizione o insistenza. Gli pare bene di concedere? E sia! Crede di non farlo? Io non replico. Se mi chiede semplici schiarimenti, io li espongo; del resto, quando anche mi paresse ottima la cosa domandata, non fiato più, se vedo che Egli si mostra poco propenso ad accordarmela.-

                La benevolenza, con cui Pio IX lo accolse, non poteva essere maggiore. Appena lo vide, gli disse: - Mi hanno detto che il vostro discorso piacque molto, che piacque assai il [175] vostro modo di parlare. Leggo poi con piacere le lettere che pubblicate nell'Unità Cattolica dei vostri Missionari[60]. Nel seguito della conversazione il grande Pontefice arrivò a chiedergli, che cosa potesse Egli fare per la Congregazione Salesiana. Nessun dubbio che Don Bosco abbia profittato di tanta bontà, avendone ben donde. Altri particolari dell'udienza apprenderemo da sue parlate dopo il ritorno; qui farem tesoro dei ragguagli fornitici da un gruppetto di lettere, che il Beato spedì il giorno dopo l'udienza, cioè nella solennità della Pasqua.

 

                Due di queste lettere sono dirette a Don Rua: una, la più laconica, è personale, e l'altra, abbastanza diffusa, era destinata a pubblica lettura. La tensione delle cose romane, a cui si accenna nella prima, riguardava le relazioni dello Stato con la Chiesa, fattesi molto più tese dopo la recente caduta dei governo di destra.

 

                Carissimo D. Rua,

 

                Ieri ho parlato col S. Padre e mi trattenne circa un'ora. Si professò nostro vero Protettore. E' pronto a favorirvici e fini col dire: Ditemi quel che posso fare per voi, che si farà volentieri.

 

                Per la casa di Roma si tratta: ma le cose di Roma sono così tese, che non so se convenga o no accingermi a tale impresa. Vedremo... Pregate. La lettera a parte puoi leggerla a tutti i giovani radunati o nella chiesa piccola o nella grande o altrimenti come ti parrà meglio.

 

                E' bene di pensare alla novena di Maria Ausiliatrice. Prova un poco a scrivere una lettera da parte mia a Mons. di Pinerolo, poi a quello di Alba, i quali probabilmente non verranno: di poi conferite con voi Capitolaristi, e decidete intorno a chi[61] .

 

                Ho bisogno di essere messo bene a giorno di Madama Monti[62]. Mi fece più volte vedere il suo testamento che era in nostro favore. Non so se l'abbia rifatto od altro. Il Cav. Bacchialoni[63] è di ogni cosa informato. [176]

                Vi è una certa Clara Castelli che aspira alla eredità. Madama Monti mi proibì assolutamente.

 

                Tuttavia giunto a casa, se le cose sono come mi furono fatte vedere, io farò in modo che, ne sarà assai contenta.

 

                Tu puoi copiare la lettera di sopra e poi, mutatis mutandis, mandarla a Lanzo e se lo credi, anche altrove[64].

 

                Saluta Dogliani, Audisio, e Macagno magazziniere.

 

                Scriverò di nuovo presto.

 

                D. Berto, D. Pechenino, D. Durando stanno bene, visitano Roma; appena giunti i Dizionari Greci[65], si presenteranno all'udienza del S. Padre.

 

                Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C.

 

                Pasqua, 16-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Carissimo D. Rua,

 

                Buone notizie a te e a tutti i giovani dell'Oratorio. Credo che non vi dispiacerà che vi descriva l'udienza avuta ieri dal S. Padre alle 7 di sera (Sabato Santo). Durò circa un'ora. Con una bontà veramente patema lesse l'indirizzo del March. Fassati, di D. Barberis e dei suoi ascritti, di D. Guanella e dei figli di Maria. Poi passò a leggere tutte le lettere piccole e grandi. L'ultima fu quella di Garrone, in cui il Papa notò molti errori di lingua e di ortografia. - Costui, disse scherzando il S. Padre, costui ha bisogno di prepararsi ancora un poco prima di presentarsi all'esame di lettere.

 

                Chiese se ve ne sono molti buoni come Savio Domenico, ed io risposi di sì.

 

                - Sono molti?

 

                - Credo che parecchi ci siano; ma un gran numero cerca di emulare quell'antico allievo e di raggiungerlo nella virtù.

 

                - Gli Ascritti sono molti?

 

                - Chierici 61, i Coadiutori 35.

 

                - E’, questo un miracolo della bontà del Signore! E i figli di Maria sono molti?

 

                - Fra tutte le case sono circa cento; speriamo che parecchi vestiranno da Chierici nel prossimo ottobre.

 

                - Nelle altre case appaiono vocazioni allo stato Ecclesiastico?

 

                - Ve ne sono molti in tutte le altre case, ma quelli di Torino si riservano a deliberare definitivamente all'epoca degli esercizi spirituali quando spero di trovarmi anch'io tra di loro.

 

                - Tra gli artigiani vi sono anche dimande per farsi Salesiani?

 

                - Ve ne furono e ve ne sono. Alcuni si recarono già coraggiosi [177] nella Repubblica Argentina, non pochi dimandano di andarvi, altri di fermarsi nella Casa.

 

                - A proposito di Missionari ho letto con molto piacere le lettere dei Salesiani e benedico il Signore che loro prepari una messe tanto copiosa. Sì, in questi tempi è questa una vera benedizione del Signore. Ma presentemente come provvedere a tanto numero, chè vi si dimanda dieci Salesiani e trenta Suore?

 

                - Molte suore e molti Salesiani mi hanno già fatta domanda di andare a raggiungere i loro compagni in quelle vaste e selvagge regioni dei Pampas e dei Patagoni.

 

                - Ma nell'Australia, nelle Indie, nella China vi è somma necessità di Missionari, vi sono più Missioni che stanno per estinguersi per mancanza dì evangelici operai. Un Vescovo del Giappone ha tre milioni di anime in sua Diocesi con sei Sacerdoti soli. Potreste voi accettare una o più Missioni in quei paesi?

 

                - Se Vostra Santità benedice i nostri allievi e pregherà per noi, entro breve tempo speriamo di potere accettare qualche nuova Missione in quei paesi. A tale scopo abbiamo già un Sacerdote, D. Bologna, con altri che studiano l'inglese, e sanno già discretamente lo spagnuolo e il francese.

 

                - Sì, ben di cuore benedico i vostri giovani e invoco sopra di loro i lumi del Signore, affinchè quelli che hanno vocazione allo stato ecclesiastico possano compierla ed acquistare la scienza e la virtù necessaria. A questo scopo concedo a tutti una particolare indulgenza plenaria per quel giorno che faranno la loro confessione e comunione.

                Qui il Papa passò a parlare a lungo dei Figli di Maria, dei Novizi di cui ho scritto a parte. Si fece pure raccontare minutamente le particolarità della Casa di Nizza, di Ventimiglia e di Sampierdarena, di una Casa da aprirsi in Roma, ecc. ecc., cose assai lunghe di cui riserbo a parlarvene poi a voce giunto a Torino.

 

                Intanto, voi tutti, o miei cari giovani, continuatemi la vostra affezione, e pregate per me. Al giorno della Domenica in Albis io dirò la Messa per voi, e voi fate la santa comunione secondo la mia intenzione. La farete tutti, non è vero? Buona sera, miei cari figliuoli, e la grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi e vi aiuti a fuggire il vero male che è il peccato. Così sia.

 

                Roma, Pasqua 16-4-1876.

Affez.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                All'udienza il Beato, insieme con le suppliche anzidette, portò anche quattro indirizzi collettivi dell'Oratorio, a nome cioè degli ascritti, dei Figli di Maria, degli studenti e degli [178] artigiani. Ai tre ultimi fu apposta la sola firma di chi li rappresentava; ma quello degli ascritti il Servo di Dio credette bene di farlo sottoscrivere nominatamente a tutti, compreso Don Barberis e con la sua qualifica di “Direttore del Noviziato”. La ragione fu che fra gli altri capi d'accusa mandati a Roma contro la Congregazione vi era l'assenza di noviziato. Vedesse dunque il Papa con i suoi occhi nomi e cognomi dei novizi e la firma di chi li dirigeva. Di tale indirizzo Don Bosco stesso diede oralmente la traccia a Don Barberis e poi, redatto che fu, lo rivide e modificò. Novantasei erano i firmati. Qui il Beato rende conto della presentazione.

 

                Carissimo D. Barberis,

 

                Sono portatore di buone notizie e tu sei il primo a riceverle. Ieri alle 7 ebbi udienza dal S. Padre e potei trattenermi con lui circa un'ora. Si parlò molto della Congregazione e dei nostri cari ascritti: poi lesse da capo a fondo il loro indirizzo e le relative firme, domandando le qualità speciali di taluno e se appariva in qualcuno virtù straordinaria. Ho provato di soddisfarlo. Ne rimase soddisfattissimo e disse che il loro numero è un miracolo della bontà del Signore. Poscia aggiunse queste testuali parole: - Sono olive novelle che bisogna coltivare, ma bisogna che le pianticelle permettano al coltivatore di tagliare le radici, i germogli inutili e nocivi; di allontanare la gramigna ed il tarlo che potrebbe rovinarle. Voi lo capite, ma lo spiegherete ad essi più diffusamente. Queste tenere piante debbono crescere per sè e poi fare frutto pel loro padrone. Guai se la pianta rimane inoperosa e non fruttifica! Torna affatto inutile pel- suo padrone. Dio benedica queste pianticelle, Dio le diriga e le faccia fruttare a sua maggior gloria. - Di poi prese la penna e di proprio pugno scrisse in fondo del vostro indirizzo. Dominus vos benedicat ecc. come puoi vedere nell'indirizzo che ti ritorno, perchè ha la firma del S. Padre.

 

                Salutami in modo speciale Peloso, Schiapino, Tosello ecc. Altro scriverò in altro momento.

 

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

Affez.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Ho ricevuto la tua lettera e va bene quello che mi scrivi. bene che si facciano delle passeggiate dagli ascritti.

 

                Apriamo una parentesi per chiarire il poscritto. I due periodetti sembrano aggirarsi intorno a un medesimo oggetto [179]; ma non è così. Il “va bene” è la risposta a un quesito fattogli da Don Barberis alcuni giorni prima della Pasqua. Questi nella sua recente predicazione a Borgo S. Martino aveva constatato che ivi durante l'anno poco o nulla erasi detto ai giovani di vocazione, mentre, a parer suo, nei collegi converrebbe istruire bene gli alunni sii tre punti: 1° che della vocazione non debbono decidere da soli, ma con l'aiuto del confessore; 2° che non debbono i più grandicelli aspettare la fine dell'anno scolastico per prendere la loro decisione, ma considerare il tempo degli esercizi come il più acconcio per lo studio del problema; 3° che gli allievi delle classi superiori debbono parlare di ciò nella confessione. Don Barberis riteneva inoltre che nei nostri collegi ai ragazzi delle ultime classi elementari bisogni già proporre le nozioni fondamentali della questione, avvicinandosi essi al bivio, da cui devono avviarsi per il corso classico o per quello tecnico. Ecco le cose, sulle quali egli bramava conoscere nettamente il pensiero di Don Bosco, pregandolo anche di vedere se non fosse il caso di richiamarvi sopra l'attenzione generale con qualche sua circolare. La piena approvazione formulata laconicamente dal Servo di Dio con il suo “va bene quello che mi scrivi” andava a cadere sui punti or ora enumerati.

 

                L'ultima delle lettere pasquali, contenenti informazioni sull'udienza pontificia, era per la contessa Corsi, suocera dei conte Cesare Balbo.

 

                Benemerita Sig. Contessa,

 

                Ieri ho avuto udienza dal Santo Padre e potei a lungo parlare di Lei e della sua famiglia. Ricordò l'antica visita della Deputazione, chiese notizie della novella piccola famiglia. Avendogli poi chiesta una speciale benedizione: - Ben di cuore, rispose, comunicatela a tutti da parte mia.

                Dio benedica e colmi de' suoi favori la Contessa Corsi, di cui parlate, la renda ferma nello spirito e nella carità. La sua famiglia cresca in sanità e divenga ognor più ritta delle vere ricchezze, del santo Timor di Dio. [180]

 

                Mi affretto di comunicarle questa benedizione per non dimenticarla. Intanto verrà a Roma? Io mi fermo ancora due settimane.

 

                Ricevo notizia che morì Mad. Monti. Mi rincresce assai. Era una persona che ci aiutava assai materialmente e spiritualmente. Io la raccomando di tutto cuore alle sue preghiere. Faccia la carità di pregare anche per questo poverello, che assicurandola delle sue deboli preghiere le sarà sempre in G. C.

 

                Roma, Pasqua 76.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. La prego de' miei rispettosi ossequi e partecipare la benedizione del S. Padre al Conte Cesare, Cont. Maria, a tutta casa Balbo, e al Sig. Dott. Fissore. Rimandi a D. Rua la lettera ivi unita, ma con tutta comodità.

 

                La “antica visita della Deputazione” ha bisogno di un chiarimento. Nel '71 i cattolici festeggiarono il giubileo pontificale di Pio IX, moltiplicando gli atti di omaggio al Vicario di Gesù Cristo, nell'intento di ristorarlo degli oltraggi recentemente patiti. Per questo fine pellegrinarono a Roma: deputazioni speciali delle varie nazioni e delle maggiori città italiane. Torino cattolica, segnalatasi già con pubbliche dimostrazioni locali che provocarono i furori e le violenze della setta, mandò anch'essa la propria deputazione. In tale circostanza la vetusta capitale del Piemonte meritò l'onore di un lusinghiero elogio del Pontefice, che nel discorso tenuto il 19 giugno a tutte le delegazioni italiane si espresse nei termini seguenti: “Ogni parte d'Italia mi diede testimonianze preziose di attaccamento, ma non vi rincresca che in questa circostanza collochi prima Torino. Di là procedettero le prime offese e quei mali che poi si diffusero per tutta l'Italia; ma donde venne il male, venne anche il bene, e vive furono le prove di pietà e di affezione che di là mi giunsero”. Alla distanza di un lustro il Papa rievocava il ricordo di quelle filiali dimostrazioni torinesi. Don Bosco in quell'anno aveva fatto annunziare che appunto “per queste ragioni” si sarebbe celebrata “con maggior pompa che negli anni decorsi” la festa di Maria Ausiliatrice; un appello dell'Unità Cattolica [181] aveva invitato i fedeli alla “solenne novena”predicata dal P. Secondo Franco, gesuita. Anche tali funzioni contribuirono a preparare gli animi.

 

                Di data alquanto posteriore, ma di argomento affine a quello della precedente, è pure quest'altra lettera, indirizzata al conte Eugenio De Maistre[66].

 

                Carissimo Sig. Conte Eugenio,

 

                Ho ricevuto notizie da Beaumesnil che Mamà sia seriamente ammalata. Ho immediatamente scritto a Torino che facciano mattino e sera particolari preghiere all'altare di Maria A. per ottenere la grazia della guarigione. Di poi mi sono recato dal S. Padre, Sabato Santo, sette di sera, ho dimandato una speciale benedizione che le inviò ben di cuore, assicurando che avrebbe anche pregato per Lei lo ho tosto scritto ogni cosa al Sig. Carlo. Ora non so più alcuna notizia e se mai Ella potesse dirmi qualche cosa mi farebbe un gran piacere.

 

                Nella medesima occasione il S. Padre chiamò minute notizie di Lei, della sua sig. moglie e della numerosa sua famiglia e si mostrava

 

GIUSEPPE DE MAISTRE

Rodolfo sposò Carlotta du Plan de Sieyès

Costanza sposò il duca di Montmorency-Laval

 

Adele sposò il conte Terray

¯

 

Maria sposò il marchese Fassati

 

 

 

 

 

 

Benedetta sposò il conte Medolago

 

 

 

 

 

 

 

Filomena morta Benedetta sposò il conte Medolago, e terminata l'educaz. di Stanislao si Stanislao fece suora nelle Figlie del S. Cuore di Gesù. Morì a Roma nel 1924]

Eugenio sposò una De Menthon

¯

¯

Emmanuele

 

 

Benedetta

 

 

Azelia sposò il barone Ricci des Ferres

 

¯

 

Zaverio signore attuale del castello di Borgo Cornalense

 

 

Francesca contessa di Bournazel

 

 

 

Pietro e Paolo Gesuiti. Quest'ultimo fu guarito da D.Bosco a Roma nel1867]

Maria A Borgo fece tante volte da segretaria a D. Bosco

 

 

Maurizio

 

 

 

 

 

                Il conte Rodolfo, oltre ai quattro figli qui indicati, ne ebbe altri sette: Maria Teresa, Emanuele, Francesca, Giuseppe, Carlo, Saverina (Carmelitana), Francesca.

                Beaumesnil è un villaggio della Normandia, dove i De Maistre avevano un castello. [182] assai consolato in udire che lo spirito cattolico ereditario nella casa santa de Maistre si riproduce nei figli e nei nipoti della futura generazione. Chiese pure particolari notizie della Sig. Duchessa e scherzando diceva essere contento di avere chi l'accompagnava nel suo ottantesimo anno. A tutti poi diede una speciale benedizione con alcuni favori spirituali, che mi riserbo di comunicare in iscritto a Lei, alla sua famiglia, a quella del Sig. C.te Francesco, alla Sig. Agostini e nominatamente alla Signora Duchessa.

 

                Ai primi giorni di maggio parto da Roma, e giunto a Torino spero poter fare una gita a Borgo.

 

                Il S. Padre gode ottima salute e tratta tutti gli affari della Chiesa in modo da sbalordire gli stessi segretari della Congregazione. Ma il Cardinale Antonelli è assai male andato da più mesi. Se non otterrà miglioramento, sarà forzato a desistere dal Segretariato di Stato.

 

                Io le sono assai riconoscente per tutta la carità che ci fa. Dio la rimeriti nel tempo e più tardi nel Paradiso. Umili ossequi a tutti. Preghi anche per me che di tutto cuore le sono in G. C.

 

                Roma, 21-4-1876.

                Via Sistina 104.

 

Obb.mo Um.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dopo la lettera al conte De Maistre sta bene che riportiamo una letterina alla baronessa Ricci, perchè l'una è con l'altra strettamente collegata.

 

                Benemerita sig. Azelia,

 

                Appena ricevuta la sua lettera, ho tosto domandato una speciale benedizione al S. Padre che di buon grado l'ha concessa alla buona Nonna contessa de Maistre. Io l'ho tosto comunicata a Beaumesnil e spero che avrà giovato al miglioramento di sanità della venerata inferma. Se Ella mi desse qualche altra notizia, l'avrei come un vero favore.

 

                Ho pure dimandato speciale benedizione per Lei, sig. Baronessa, e per tutta la Famiglia Ricci, che prego rispettosamente a voler ossequiare da parte mia.

 

                Mi raccomando di tutto cuore alla carità delle sue preghiere, mentre mi professo con tutta stima

 

                Di V. S. Benemerita.

 

                Roma, Via Sistina 104, 21-4-1876.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco. [183]

 

                Una particolarità vogliamo qui una volta tanto segnalare: nella sua corrispondenza epistolare il Beato non fa mai uso di devotissimo dinanzi alla firma. Dobbiamo la spiegazione del fatto a una reminiscenza di Don Giuseppe Vespignani, dal quale noi stessi l'abbiamo udita. Don Vespignani che fu segretario di Don Rua dalla fine del '76 a buona parte del '77, aveva adoperato in una lettera d'ufficio quel superlativo così comune; ma Don Rua gli suggerì di sostituirvi obbligatissimo o altro simile, osservando che a Don Bosco devozione, devoto e devotissimo sembravano termini così sacri da non doversi impiegare in significazioni profane. Gli notò pure com'egli rifuggisse dal valersi dell'aggettivo divino, attribuito a soggetti che con la Divinità non avessero nulla a vedere.

 

                Nell'Oratorio le lettere di Don Bosco, di Don Durando e di Don Berto si leggevano in pubblico, omettendosi le parti in cui si toccassero tasti delicati, come le divergenze con qualche personaggio, note a pochissimi in casa; gli originali recano ancora segni di penna, che indicano a chi legge, ci a chi copia, le cose da tralasciare. Non si può descrivere quanto cotali letture commovessero e rallegrassero gli animi. Molti ne scrivevano a Don Bosco; altri fecero indirizzi al Santo Padre. Gli ascritti con tante letterine resero grazie a Don Bosco e al Papa. Don Barberis per conto suo scrisse: “Siam pieni di consolazione. Abbiamo radunato subito a conferenza gli ascritti e letto nella sua lettera le parole che il Santo Padre c'indirizzava. Si rilesse in presenza di tutti l'indirizzo mandato a Sua Santità, perchè tutti si confermassero sempre più nelle promesse fatte. In una nuova udienza ringrazi il Santo Padre da parte nostra”. Fra i nuovi indirizzi uno ve ne fu, inviato dai giovani appartenenti alla Compagnia dell'Immacolata Concezione, firmatisi in numero di trentuno; ci piace scegliere e riportare i nomi dei più noti: Albino Carmagnola, Giuseppe Gamba, Secondo Macchialo, Giuseppe espanda, Luigi Molinari, Francesco Picollo [184], Carlo Peretto, Bernardo Vacchina: tutti, e non essi soli, divenuti poi Salesiani. Donde si vede come Don Bosco raggiungesse pienamente lo scopo da lui inteso con questa Compagnia e così spiegato da Don Barberis nella sua cronaca sotto il 23 aprile: “Si ha in mira di prendere specialmente i più adulti e quelli che presto dovran decidere della propria vocazione; poichè nello spirito del Sig. Don Bosco questo deve essere come un ultimo gradino, senza che essi per nulla lo sappiano o lo pensino, per entrare nella Congregazione. E' questo uno dei segreti dell'Oratorio, farli passare per vari gradi di conferenze e di compagnie senza che essi ci pensino per impadronirsi di molti di loro e poi volgerli e piegarli al bene sempre con amorevolezza e quasi solo cedendo ai loro desideri”.

 

                Per andar avanti sempre con qualche ordine, raggrupperemo ora intorno a quattro capi gran parte delle cose che ci rimangono a dire, e siano le faccende di Torino, i contatti con uomini politici, le proposte di fondazioni e i favori, spirituali del Santo Padre.

 

                Purtroppo “i fastidi” torinesi seguivano Don Bosco anche a Roma. Don Berto il 10 aprile scrisse a Don Rua: “L'Arcivescovo di Torino mi ha procurato del lavoro. Noi fabbrichiamo, egli cerca di distruggere”. E Don Durando di rincalzo il giorno 15: “La guerra continua terribile contro la nostra Società; ma coll'aiuto di Dio e col favore di Pio IX tutto si vincerà!”. Di nuovo Don Berto il 26: “Qui in Roma le ostilità dell'Arcivescovo di Torino sono note, si può dire, in tutte le Congregazioni ed avvertono con bontà il Sig. Don Bosco di stare in guardia, di mettersi in difesa”.

 

                Nel “lavoro” procurato da questi “fastidi” al segretario di Don Bosco entrò molto, probabilmente anche la preparazione di una risposta ufficiale all'accusa che Don Bosco avesse di suo arbitrio modificato in più luoghi e talora persino falsato il testo autentico delle Regole[67]. Altro lavoro gli venne [185] per raccogliere elementi, con cui abbattere gli ostacoli sollevati da Torino contro la concessione di privilegi; su di che rimandiamo al capo XXI del volume undecimo. In ogni modo sopperiscono a questa lettura i seguenti periodi dell'Arcivescovo al suo avvocato[68], che era pure l'avvocato di Don Bosco presso la Congregazione dei Vescovi e Regolari: “Ho scritto alla S. C. dei VV. e RR una lettera, in cui prego mi si dia comunicazione dei privilegi che Don Bosco chiede per la sua Congregazione, nel chiedere i quali io ho gravi ragioni di temere: 1° Che vi siano addotti motivi che contengano lagnanze contro di me; 2° che la mia giurisdizione Vescovile possa essere disturbata. Non ricevetti risposta. Mi piacerebbe averla, per sapere come regolarmi; chè vorrei scrivere in proposito al S. , Padre. Domani D. Bosco si reca a Roma per questo affare...”

 

                Che poi il favore di Pio IX, in cui Don Durando confidava, non fosse immaginario, oltrechè da quanto si è detto sopra, è provato pure da una testimonianza di monsignor Andrea Scotton. In una privata udienza il Papa gli parlò a lungo della cose salesiane e della deplorabile discordia, e fra l'altro, menzionando gli sforzi di monsignor Gastaldi per un risveglio del rosminianismo, disse queste precise parole: - Eh, sì, i Rosminiani veramente fanno del bene; ma credetemi, mio caro, essi non sono affezionati alla Santa Sede come Don Bosco e i suoi. preti[69] - .

 

                Monsignor Gastaldi fece in quei giorni buon viso all'idea venutagli di scrivere al Papa, che egli intendeva rinunziare al Vescovado[70]. Il Papa gli rispose che non glie lo consigliava; ci pensasse bene, si consigliasse, pregasse prima di prendere una risoluzione. Nella stessa lettera quegli si lamentava che il Papa non gli volesse bene. - lo non so che cosa abbia fatto all'Arcivescovo di Torino, disse Pio IX a monsignor [186] Sbarretti, se non di avergli scritto che andasse un po' più adagio nel sospendere. - Il medesimo Segretario dei Vescovi e Regolari osservò al segretario di Don Bosco: -E’ perciò che il Papa concesse a Don Bosco quella facoltà che domanda, ad tempus, per tre anni in Italia e per cinque all'estero, ma senza che se ne formuli il Rescritto, prima perchè le Congregazioni sono ancor chiuse per le ferie pasquali, poi affinchè l'Arcivescovo non venga a saperlo: se ne servano così come è già sottoscritto da me. - La facoltà a cui qui si allude è quella dell'extra tempora. Con maggiori cautele ancora e per il medesimo motivo gli fu concesso il privilegio della dispensa dalle testimoniali. Ne riparleremo presto.

 

                Allora fu che Don Bosco venne a conoscenza di un generoso tentativo osato da monsignor Galletti, Vescovo di Alba, per veder di pacificare monsignor Gastaldi. Glie lo dovette dire il buon Prelato stesso, perchè obbligato a render ragione di un suo rifiuto. La lettera ci sembra di non lieve importanza; perciò la riportiamo.

 

                Stimat.mo e Molto Caro Sig. D. Bosco,

 

                In tutta confidenza, a riscontro della preg.ma sua debbo dirle che presentemente dal lato mio non sarebbe cosa opportuna e prudente il dovere ricomparire in Torino innanzi al Reverendissimo Monsignor nostro Arcivescovo, in atto di pronunziarmi qual predicatore della Novena e Festa di M. V. Ausiliatrice, e poi non ardirei realmente addivenire a tanto. Non sono più che alcune settimane appena, che fidente senza dubbio troppo in me stesso, e nelle povere mie forze, tolsi per iscritto a far prova di prendere le difese dell'amato D. Bosco per veder modo di ravvicinare gli animi di due grandi Uomini di Dio, che forse non sono abbastanza in buon ordine rispettivo uniti, perchè non s'intendono e non si conoscono; ma il Signore mi umiliò, e non seppi guadagnar altro che di perturbare e disgustare amaramente chi avrei voluto rappacificare, imbrogliando così più e più la matassa della -non cordiale, ma intellettuale disunione. Bonum mihi, Domine, quia humiliasti me, ut discam iustificationes tuas. E ciò nel massimo segreto. Forse il Vescovo di Pavia farebbe a meraviglia per la loro Novena e festa. La riverisco in Domino.

 

                Alba, il 28 aprile 1876.

Devot.mo Servitore suo

                Eugenio Vescovo. [187]

 

                E’ di questa medesima data una lettera dell'avvocato Menghini, nella quale si rende a Don Bosco una preziosissima testimonianza. Si noti o si rammenti che il Menghini era anche l'avvocato di Monsignore a Roma, tenuto quindi a sposarne gl'interessi, sempre nei limiti imposti dalla coscienza e dall'onore. Così dunque scrive all'Arcivescovo di Torino il 28 aprile in una lettera di tutt'altri affari[71]: “Don Bosco si fa forte e sostiene di non avere mai nei suoi scritti offeso il suo Arcivescovo. A dire il vero nei suoi scritti diretti a Roma ha usato altissimo riserbo. Ciò ha fatto un'ottima impressione presso qualche Eminentissimo”. - Don Bosco si difende, non offende - disse una volta il Beato a Don Francesia, parlandosi di chi lo stimolava a prendere l'offensiva.

 

                A questa nuova sequela di guai ponga termine un altro incidente per cose di ordinazioni. Don Rua presentò alla Curia una nota di chierici, pregando che venissero ammessi a ricevere gli ordini nelle tempora di Pentecoste. La nota non fu trovata regolare per difetto di certe indicazioni. Don Rua rifece la domanda, tenendo esattamente conto delle formalità volute. Non bastò; la risposta fu negativa. Si può ben comprendere quanto queste ripulse amareggiassero Don Bosco.

 

                Due sogni ammonitori Don Bosco narrò in quell'aprile al segretario, che more solito li mise in scritto. Il velo che ne copre l'intima significazione è abbastanza trasparente; noi crediamo che qui sia il posto che loro compete.

 

                Nella notte del 7 aprile Don Berto sentì Don Bosco che, dormendo, gridava: - Antonio! Antonio! - Al mattino gli domandò se avesse dormito e gli disse del grido. Allora il Servo di Dio raccontò, e noi trascriviamo dal segretario: “Mi parve d'essere vicino al fondo di una scala, in luogo stretto, e mi si parò dinanzi una iena e non mi lasciava più muovere un passo. Non sapendo come liberarmene, chiamava in aiuto Antonio, mio fratello, morto da tanti [188] anni. Finalmente la iena si mosse contro di me, tenendo la bocca spalancata ed io, non vedendo altra via di scampo, le cacciai la mano nella gola. Ero angustiato da questo pericolo, e nessuno mi veniva in soccorso. Ecco alla fine discendere giù dai monti un pastore che mi disse: L'aiuto deve venir dall'alto; ma per ottenerlo bisogna discendere molto al basso. Quanto più si sta in basso, tanto più l'aiuto verrà dall'alto. Questa bestia non fa del male se non a chi ci bada, se non a chi lo vuole. - In quel punto mi svegliai”.

 

                Un'altra notte sognò nuovamente e fece del sogno questo racconto: “Mi parve di trovarmi al mio paese, e colà vidi giungere il Papa. Io non poteva persuadermi che fosse lui; perciò gli chiesi:

 

                - Come? non avete la carrozza, Padre Santo?

 

                - Sì, sì, ci penserò. La mia carrozza è la fedeltà, la fortezza e la dolcezza.

 

                Ma egli era sfinito e diceva: - Io sono alla fine.

 

                - No, no, Santo Padre, dissi io. Fino a tanto che le cose della nostra Congregazione non saranno terminate, non morrà.-

                Quindi comparve una carrozza, ma senza cavalli. E chi la tirerà? Ecco farsi avanti tre bestie: un cane, una capra ed una pecora, che tiravano la carrozza del Papa. Ma, arrivati ad un punto, quegli animali non la potevano più far muovere ed il Papa diventava sempre più sfinito. Io mi pentiva di non averlo invitato a venire a casa mia e di non aver pensato a fargli prender qualche ristoro. Ma, diceva fra me, appena saremo giunti alla casa del cappellano di Murialdo, aggiusteremo tutto. Intanto però la vettura rimaneva ferma. Allora alzai una specie di asse, che di dietro toccava terra. Il Papa, vedendo questo, prese a dire: - Se foste in Roma e vi vedessero a far questi lavori, ci sarebbe proprio da ridere. - Mentre stavo così aggiustando, mi svegliai”. [189] Questa volta Don Bosco a Roma avvicinò poco gli uomini del Governo. Visitò soltanto l'onorevole Melegari, Ministro degli Esteri, che lo accolse molto bene. Il Servo di Dio gli raccomandò le sue Missioni già avviate e altre future. Ne ricevette belle promesse; ma all'atto pratico soccorsi non ne ebbe. Nel famoso incontro con Depretis a Lanzo di lì a qualche mese, non si lasciò sfuggire l'occasione di ritornare sull'argomento. Il Presidente del Consiglio promise, disse che avrebbe appoggiato una sua domanda di soccorsi, che avrebbe diramato ordini ai consoli, che ne avrebbe trattato con il collega degli Esteri, che avrebbe egli stesso contribuito; ma poi, quando il Beato venne al tandem e gli chiese sussidi, n'ebbe in risposta lodi, scuse, e non se ne parlò più.

 

                Don Bosco mandò poscia Don Durando a ossequiare l'onorevole Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione, che gli si mostrò sommamente cortese. Pur sapendo che molti in anticamera aspettavano di essere ammessi all'udienza, lo trattenne per circa venti minuti. Gli fece grandi elogi dell'Oratorio e dei collegi Salesiani, che conosceva molto bene. Lodò pure assai i Vocabolari presentatigli, li sfogliò, ne lesse la prefazione, ammirò l'eleganza di quel latino. “Cose tutte che mi fecero piacere, scrive Don Durando, ma che possiamo dubitare che vengano interamente dal cuore”. Purtroppo in quei tristi tempi d'impero settario vi era sempre motivo di aspettarsi che ai detti mal rispondessero i fatti. Tuttavia Don Bosco rispettava e voleva rispettate le autorità dello Stato, stimando di guadagnar molto, se ottenesse anche solo di chiudere l'adito a male prevenzioni contro la sua persona e le sue opere. Questo spirito conciliativo gli servì più volte per aggiustare faccende e appianare differenze, che arrestavano l'azione salutare della Chiesa nell'Italia. Per aggiustamenti radicali i tempi non erano maturi; anzi il sospetto di suoi tentativi per aggiustare le cose mise i due opposti campi a rumore. Tanti dei buoni ne sorridevano allora come di un'ingenuità. [190] Durante il suo soggiorno in Roma ricevette varie proposte di fondazioni per la città, per luoghi attorno e per le Missioni. Nulla diremo per ora nè dei Concettini nè dei Castelli romani nè di Montefiascone; diremo soltanto di proposte che, sebbene sfumate, sono prova della fiducia che si riponeva nel Servo di Dio.

 

                Si ricorderà come nel ’75 si fosse parlato di affidare ai Salesiani la direzione di un collegio a Ceccano[72]. Intermediario era il cardinal Berardi; ma l'invito veniva da suo fratello. L'idea si lasciò cadere, perchè, appena trapelata, stuzzicò un vespaio: fu un viavai di preti a protestare per quello che sarebbe stato uno sfregio al clero romano. Bisogna sempre riportarsi ai tempi di cui si parla, non giudicando le cose di una volta con i criteri di oggi A sì breve distanza dal 20 settembre i Piemontesi per i romani cives altro non erano che buzzurri[73] piovuti in casa loro dal nord della penisola. Il popolino ci si sbizzarriva a rifare il verso ai nuovi arrivati; ma in certi ambienti gli era proprio come tra Giudei e Samaritani, che non se la intendevano. Di quei giorni medesimi la principessa Altieri, che stimava e venerava Don Bosco, gli confidò che, essendosi nell'adunanza della Società, per gl'Interessi cattolici fatta la preposta di chiamare lui a Roma per affidargli le scuole pontificie, non se n'era voluto sentir parlare, perchè la sua presenza avrebbe menomato l'autonomia del clero romano. Ancora nell'8o ci toccherà di assistere a una manifestazione della medesima natura e in forma più solenne. Il fratello dunque del Cardinale, vista la mala parata, chiamò gli Scolopi; ma poichè li vedeva là con appena la miseria di sette allievi, avrebbe voluto riaprire le trattative con il Beato, onde fece tastare il terreno [191] dal Cardinale. Il Servo di Dio però se ne schermì, dicendo di aver già sulle braccia troppi impegni.

 

                Da più anni Don Bosco sentiva il desiderio e il bisogno di stabilire una residenza in Roma; parecchi tentativi erano già falliti, parecchi altri dovevano fallire ancora. Il Prefetto di Propaganda, dopo avergli parlato di Missioni, lo interrogò a bruciapelo:

 

                - Perchè Don Bosco pensa a lontani paesi e non pensa a venire in Roma?

 

                - E perchè, rispose Don Bosco, Vostra Eminenza non pensa a cercarmi qui un locale? Io non domando altro, che una tettoia per raccogliere i giovani.

 

                - Se basta questo, lasci fare a me, glie lo troverò io. Credevo che chiedesse un grosso capitale; ma, se si tratta di così poco, io lo troverò.

 

                - Già altri dissero così; ma fino adesso furono parole e nulla più.

 

                - Come? Ella dubita della mia parola?

 

                - Non che io dubiti della sua buona volontà; ma Ella ha tanto da fare, che le passerà di mente, si dimenticherà o non avrà tempo...

 

                - Ci penserò io a questo, stia sicuro. - Avvenne proprio come Don Bosco aveva presagito: non se ne parlò più.

 

                Tornò alla carica per conto suo la summentovata principessa Altieri. In una visita da lui fattale gli disse:

 

                - Se Don Bosco viene a mettere una casa qui in Roma, la mia borsa e la mia persona sono a sua disposizione.

 

                - Alla fine del mese o al principio? fece Don Bosco.

 

                - Fa ben lo stesso!

 

                - No, perchè, se è al principio, la borsa è piena; ma se è alla fine, Vostra Eccellenza fa tanta elemosina, che le rimane vuota.

 

                - Al principio, a metà, alla fine...

 

                - Oh, se è così, va bene.

                Nè si creda che fosse un complimento la profferta della [192] principessa; perchè glie ne scrisse anche dopo, riconfermandogli tutto il suo buon volere. Ma Don Bosco sapeva quante opere ella già sussidiasse generosamente, sicchè non era da sperare che si potessero avere da lei appoggi validi e duraturi; onde quella sua risposta evasiva.

 

                Non meno deciso a procurargli un locale in Roma si mostrò il principe Mario Chigi di Campagnano; ma per allora nulla si conchiuse. Don Bosco non precipitava mai le cose; fino a tanto che non avesse dalla Provvidenza indicazioni chiare andava con pie' di piombo.

 

                Un forte assalto il cardinal Franchi, prefetto di Propaganda, gli diede per le Missioni d'Oriente. Esservi allora vacanti tre vicariati apostolici solo in Cina; di lì a pochi anni dovere quel numero salire a una quindicina; appena gli operai evangelici fossero pronti, Don Bosco glie lo significasse: non avrebbe, da spendere un soldo del suo, a tutto penserebbe la Congregazione di Propaganda; il Papa desiderarlo vivamente. Il Servo di Dio fece voti di poter presto mandare i suoi figli nell'estremo Oriente; ma intanto a lui premeva di assodare e sviluppare le Missioni già intraprese, e su di questo espose i suoi disegni precisi tanto al prefetto di Propaganda che al Papa. Egli chiedeva la creazione di una prefettura apostolica nella Patagonia e invocava larghi sussidi per affrettare la penetrazione dei Missionari nel territorio degli Indi; mezzi efficaci essere lo stabilire sui confini una rete di ricoveri, collegi, convitti, attirarvi i figli dei selvaggi, comunicare coi loro parenti e coi loro capi, formare indigeni capaci di agire nelle loro tribù. Il Santo Padre prese tanto a cuore i disegni di Don Bosco, che insistette ripetutamente col cardinal Franchi, perchè li esaminasse e ne riferisse. Don Bosco ebbe un largo scambio di idee col Porporato, al quale rimise una relazione scritta e corredata d'informazioni storiche e geografiche; poichè si era accorto che di quelle terre a Roma non si avevano quasi nozioni[74]. [193] Quanto all'Oriente non gli fu possibile far di meglio che promettere a lunga scadenza.

 

                Le maggiori brighe Don Bosco si prese per l'affare dei privilegi; ma proprio intorno a questo suo lavorio scarseggiano le informazioni, tanto egli vi andava circospetto, non mettendo chicchesia a parte dei passi che faceva. Frustrato ne' suoi sforzi per ottenere la comunicazione dei privilegi in massa, non lasciò nulla d'intentato per istrappare facoltà speciali e numerose indulgenze. Ottenne così i due Brevi di approvazione per l'Opera di Maria Ausiliatrice e per la Pia Unione dei Cooperatori; su di che gioverà rileggere i capi III e IV del volume precedente. Ottenne la facoltà in perpetuo al Superiore Generale della Congregazione di dare licenza a qualunque de' suoi di leggere libri proibiti. Ma soprattutto ottenne nell'udienza del 3 maggio che tutti coloro, i quali si trovassero nei collegi della Pia Società, fossero dispensati dall'obbligo di domandare ai Vescovi le lettere testimoniali; privilegio che fu poi, in altra udienza del 10 novembre successivo, esteso a chiunque volesse entrare nella Congregazione[75]. Della massima importanza, sebbene temporaneo, era anche il privilegio dell'extra tempora, che gli agevolava immensamente la presentazione dei suoi chierici agli ordini sacri, senza dover sempre lavorare di mani e di piedi per torre di mezzo gli ostacoli. Il Papa glielo concesse il 21 aprile quasi di sottomano, come si diceva pocanzi[76]. Di altre grazie si fa l'elenco in questa lettera a. Don Cagliero.

 

                Mio caro D. Cagliero,

 

                Ti scrivo da Roma ed ho una quantità di cose da scriverti che tutte ti numererò.

 

                1° Il S. Padre manifestò grande consolazione della nostra Missione Argentina; con me e con altri lodò lo spirito di Cattolicismo che tra' Salesiani si è sempre manifestato.

 

                - Io leggo, dissemi, tutte le lettere che mandano di colà, e mi [194] piacciono assai. - Mandò a tutti la sua Apostolica benedizione, incoraggiando di ricorrere a Lui per ogni eventualità.

 

                2° Ha concesso molti privilegi e favori spirituali, tra cui i diritti parrocchiali a tutte le nostre case; i confessori approvati in una Diocesi possono confessare in qualunque delle nostre case, anche nei viaggi. Concesso l'extra tempus Di tutto riceverai l'elenco.

 

                3° Qui avvi lettera pel Sig. Benitez, in cui gli comunico la benedizione del S. Padre che l'ha fatto Commendatore. Il breve relativo si sta preparando e partirà col tuo indirizzo al quindici di questo prossimo maggio.

 

                4° La lettera al Dottore Ceccarelli gli annunzia le belle espressioni dette dal S. Padre a suo favore, che lo costituisce per ora suo cameriere segreto; quindi Eccellenza Reverendissima.

 

                Queste due notizie tu le ignorerai, e perciò non ci darai alcuna pubblicità, se non in modo vago. Ricevuto il Breve di Benitez e il Diploma pel Signor Ceccarelli, tu ti intenderai con D. Fagnano. Porterai tutto in persona. Inviterai la Commissione del Collegio e gli amici dell'uno e dell'altro. D. Tomatis prepari un bel dialogo da recitarsi in quella occasione; e due giovanetti sopra di un disco portino il Breve di Commendatore, in un altro il Diploma; ma tu e D, Fagnano accompagnerete gli allievi e prenderete etc. e li porgerete nelle mani loro. Sono cose cui si deve dare tutta l'importanza[77]. Nel piego in cui ci saranno i mentovati oggetti scriverò di nuovo.

 

                5° Il S. Padre parlò molto dell'Arcivescovo di Buenos Aires; si mostrò molto contento di Lui, e sembra che abbia qualche progetto a suo riguardo. Ciò scrivo anche a Lui medesimo.

 

                6° Il S. Padre ci propose tre Vicariati Apostolici nelle Indie, uno nella China, altro nell'Australia. Ne ho accettato uno nelle Indie, ma ho chiesto non meno di diciotto mesi di tempo a provvedere il personale opportuno. Il Card. Franchi mi assicurò che non vuole che la spesa occorrente graviti sopra di noi.

 

                7° Ciò importa la necessità che tu ritorni in Europa. Vedi pertanto di sapermi dire quale personale sia necessario, Salesiani e Suore, e procurerò di farne presto la spedizione, affinchè, ordinate le cose, tu possa ritornar in Valdocco ad iniziare una casa a Roma, di poi una passeggiata nelle Indie.

 

                8° A proposito della casa in Roma, è deciso che si apre, e forse al tuo arrivo potrai già alloggiare sotto al nostro tetto. Poco alla volta. Bougianen[78].

 

                9° Siccome lo scopo nostro è di tentar una scorsa nella Patagonia [195], così sarà bene di presentarti a nome mio dall'Arcivescovo, a cui scrivo pure, e dirgli da parte del S. Padre se egli lo giudica opportuno, e quali a lui sembrano i tempi e i modi opportuni, ritenendo sempre per nostra base l'impianto di Collegi e di Ospizi; a questi tenete sempre il vostro pensiero in vicinanza delle tribù selvagge.

 

                10° E’ morta la Signora Orselli Felicita; Teresa[79] andò a dimorare colle nostre Suore in Valdocco, che fanno assai bene. Morì pure Madama Monti. Essendo io assente, le fecero cangiar testamento, così mi scrive D. Rua.

 

                11° E’ poi inteso che ad ottobre le nostre Suore andranno a prendere cura del Seminario di Biella: e tre Salesiani apriranno un Ospizio al paese di Trinità.

 

                12° Abbiamo in corso una serie di progetti che sembrano favole o cose da matto in faccia al mondo: ma appena esternati, Dio li benedice in modo che tutto va a vele gonfie. Motivo di pregare, ringraziare, sperare e vegliare.

 

                13° Dammi un ragguaglio dello stato finanziario vostro, se avete potuto utilizzare quegli oggetti che avete portato con voi; se avete ricevuti quelli mandati di poi.

 

                14° E' inutile il dire quanti saluti sono mandati a te ed ai tuoi. Il Card. Antonelli, Berardi, Sbarretti, Fratejacci, Menghini, Sigismondi Alessandro e Matilde, Cav. Bersani e molti altri augurano e benedicono. D. Berto solito Segretario; D. Durando e D. Pechenino sono qui a Roma. Essi hanno portato copia dei loro Dizionari al S. Padre: dimani a sera avranno l'udienza. Vi ossequiano.

 

                15° Ciò che scrivo a te, intendo sia pure detto a D. Fagnano e pro rata parte a tutti gli altri.

 

                Da parte mia poi salutami tutti gli amici, parenti e benefattori, a tutti partecipando la benedizione del S. Padre con molti favori spirituali, che saranno quanto prima comunicati.

 

                16° Quando poi potrai parlare ai soli Salesiani, di' loro che io li amo molto in G. C e prego ogni giorno per loro. Che si amino vicendevolmente, che ciascuno faccia quanto può per farsi degli amici, e diminuire coram Domino qualunque motivo di risse o dispiaceri altrui.

 

                17° Attendiamo sempre con ansietà vostre lettere. La grazia di Nostro Signore Gesù Cristo sia sempre con noi. Amen.

 

                Prega per chi ti sarà sempre in G. C.

 

                Roma, 27 aprile 76.

Aff. Amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Al principio dell'altro mese a Dio piacendo ripartirò per Torino.

 

                Lo stesso S. Padre ha concesso la Croce di Cav. al Sig. Ang. Borgo ed al Sig. Gio. Battista Conti, insigni benefattori di S. Pier d'Arena. [196]

                All'udienza del 3 maggio fu accompagnato, oltrechè dal segretario, anche da Don Durando e da Don Pechenino, che portavano seco bellamente legate due copie dei loro dizionari. Don Berto umiliò al Santo Padre due indirizzi, uno della Compagnia del Santissimo Sacramento e l'altro del Piccolo Clero. Il Papa, osservatili e lette alcune righe, li pose sullo scrittoio, dicendo: - Domani li leggerò meglio alla luce. - Udito lo scopo di quelle associazioni, esclamò: - Bravi! Questi sono mezzi per accrescere la pietà nei giovanetti! - Impartita la benedizione ai tre e, detta loro qualche piacevolezza, li licenziò, ritenendo presso di sè il Beato, che vi rimase quasi un'ora.

 

                La terza ed ultima udienza fu all'una pomeridiana dell’11 maggio. Durante l'attesa, monsignor Sanminiatelli disse a Don Bosco che l'aveva mandato il Santo Padre all'Arcadia e che poi aveva voluto sapere tutto. - Tutto bello, osservò Monsignore, ma la conclusione fu magnifica, piacque molto, il Papa ne fu contentissimo. - Al seguito di Pio IX venivano i cardinali Franchi e Bartolini. Diversi personaggi aspettavano nella sala, fra cui l'Arcivescovo di Barcellona.- Ecco un fiore del vostro giardino, - disse a Don Bosco il Pontefice, indicandogli il segretario. Don Bosco parlò così: - Santo Padre, permetta che le possa offrire gli ossequi e le congratulazioni di tutta la Congregazione Salesiana e si degni di voler gradire le preghiere che i Salesiani fanno per la Sua conservazione, e sia per molti anni ancora. - Il Papa rispose all'augurio dicendo: - Fiat, fiat, per poter eseguire i nostri disegni. - Poi, benedetti i presenti, si allontanava pian piano, mentre Don Bosco, tenendo dietro, discorreva un po' col cardinal Bartolini, indi col cardinal Franchi, che per volontà del Santo Padre gli fissò un appuntamento, in cui esaminare le sue proposte riguardanti le Missioni. Il Beato conferì con lui nel pomeriggio e gli consegnò l'anzidetto promemoria, che Sua Eminenza promise di sottoporre all'esame dei Cardinali per poi, farne la relazione al Papa. [197] Dopo la narrata udienza di congedo, il Servo di Dio si preparò a partire. Non verremo però subito a dire del ritorno, ma porremo qui in ordine cronologico quante altre lettere abbiamo potuto rintracciare spedite da Roma. Esse contengono molteplici particolarità da non doversi trascurare su persone e cose ed anche su Don Bosco stesso.

 

                1.   A Don Lemoyne.

 

                Nella domenica delle Palme, 9 aprile, era morto a Lanzo un giovane convittore, senza che potesse ricevere i Sacramenti; quel direttore n'era sconsolato.

 

                Mio caro D. Lemoyne,

 

                Ho ricevuto la tua cara lettera, cui non potei tosto rispondere. Il giovane Arisio ti dà pena e ne hai ragione, ma dopo il fatto che giova l'afflizione? Altronde si era confessato pochissimo prima, era buono, e quindi si deve escludere ogni dubbio che egli non sia morto nella misericordia del Signore. Tu poi non hai nessun carico di coscienza; per carità, prega per lui.

 

                Ora in Roma ho aggiustate più cose; altre ne vo aggiustando, e prega e fa' pregare, affinchè ogni cosa riesca a maggior gloria di Dio. D. Rua ti avrà comunicato una lettera per te e pei tuoi e miei cari giovani.

 

                I Signori Sigismondi Alessandro e Matilde parlano ad ogni momento di te, delle tue serate, ricevono con gran piacere i tuoi saluti e te li ricambiano di tutto cuore.

 

                Intanto di' così ai nostri cari maestri, prefetto, catechista, assistenti, giovani di tutte le classi, che ho per loro dimandato al S. Padre una speciale benedizione per la loro sanità, sapienza e santità, con molti altri favori che loro comunicherò al mio ritorno a Torino.

 

                Nel giovedì prossimo io dirà la santa Messa per voi tutti, e mi raccomando che tutti quelli, che mi sono amici, facciano la loro Comunione secondo la mia intenzione per un affare di molta importanza.

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi; e credimi tutto tuo.

 

                Roma, 22-4-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Saluta da parte mia Bonomi e Trione. [198]

 

                2.   A Don Rua e a Don Lazzero.

 

                Il Beato sperava di essere a Torino per la festa del Patrocinio di san Giuseppe, che cadeva ai 7 di maggio; ma non potè. Celebravano tale festa specialmente gli artigiani. Gastini, esterno, maestro dei legatori e capo degli ex-allievi, doveva condurre questi “suoi amici” a fare le loro divozioni nell'Oratorio. - Durante l'assenza di Don Bosco, oltre all'alunno di Lanzo erano morti nell'Oratorio tre studenti e un coadiutore. - Il catechista degli artigiani Don Chiala stava male; non visse più che un paio di mesi. - Per intendere l'elogio tributato al coadiutore Barale, capo della libreria, basti sapere quello che Don Barberis scriveva di lui in questo te mpo, cioè che egli in mezzo agli artigiani faceva per sei assistenti. - “Fare un carrozzino” è modo usato in Piemonte nel senso di versuram facere, significa cioè propriamente fare un contratto illecito di prestito in denari a condizioni molto onerose; figuratamente, potrebbe voler dire far un cattivo o buono affare, secondo il punto di. vista. A Torino però l'espressione si adopera nel senso peggiore. Qui Don Bosco con “quante cose [fatte]” sembra accennare ad affari riusciti bene e con “quanti carrozzini fatti e in corso da farsi” ad affari non riusciti secondo il suo desiderio, o imbastiti, ma onerosi.

 

                Mio caro D. Rua e D. Lazzero,

 

                1° Si concerti che Gastini coi suoi amici possano fare il S. Giuseppe all'Oratorio: ma vorrei due cose: 1° che mi lascino andare a pranzo con loro, pagando ben inteso la mia parte. 2° Quelli che possono, facciano le lor divozioni.

 

                2° Si appaghi Dogliani per la stampa del Tantum ergo e della Polka, ma a condizione che sia buono come Barale.

 

                3° Prendete Chiala D. Cesare, date gli ordini opportuni, mandatelo a Valsalice o in qualunque altro luogo gli piaccia di più, nè si risparmi cosa alcuna che gli possa giovare o piacere.

 

                4° Nè diasi pensiero del Breviario senza mio ordine espresso. [199]

 

                5° Al giorno di S. Giuseppe spero di essere con voi, si Dominus dederit.

 

                6° Pare che la morte si abusi della mia assenza; bisogna proprio che cerchi di andarvi presto a vedere e portarvi di presenza l'apostolica benedizione.

 

                7° Quante cose, quanti carrozzini fatti e in corso da farsi. Sembrano favole. Ci diremo tutto.

 

                Dirò presto il giorno e l'ora del mio arrivo. D. Berto, D. Durando, D. Pechenino stanno bene, vi salutano e meco vi augurano ogni bene.

 

                Salutate da parte mia D. Bertello, D. Guidazio, Febbraro, e Buzzetti Giuseppe, e credetemi in G. C.

 

                Roma, 24-4-1876

Aff. amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Non dimenticare i miei saluti a Bruna Antonio.

 

                3.   A Don Rua.

 

                Le “cose in corso” sono le trattative per i privilegi. Nella fretta di vergare questo biglietto gli è scappata una confessione rivelatrice, che cioè “il lavoro lo fa andar matto”

 

                 “Fregarsi le mani” si dice popolarmente di chi si mette con buona voglia a fare qualche cosa; l'operaio, prima di metter mano con lena all'opera, si fa spesso una stropicciatina. Gli studenti preparavano il Phasmatoníces del Rosini, ritoccato dal padre Palumbo. Se ne riparlerà.

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Niente di nuovo: le cose sono in corso, stiamo tutti bene. Il lavoro mi fa andar matto. Pregate molto per me. Ho scritto alla M.a Bricherasio, perchè sia priora della festa di Maria Ausiliatrice. Attendo risposta.

 

                Di' a Dogliani, Buzzetti e D. Lazzero che si freghino le mani e si preparino per la musica di quel giorno. Non si dimentichi la Commedia latina.

 

                Di' a Dompè[80] che vorrei che fosse un D. D. S. S. Bella medaglia, se indovina.

 

                Dio ci benedica tutti. Amen.

 

Sac. Gio. Bosco. [200]

                4.   Al medesimo.

 

                Il Beato continuava a trovare anime buone, che accoglievano in casa loro Salesiani bisognosi di riposo e di trattamento speciale. Il chierico Vigliocco morì poi in agosto; Don Giulitto si spense in settembre dopo pochi mesi di sacerdozio.

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Se mai la sanità di Vigliocco comporta di andare con Madama Agnelli, ben contento. E’ persona molto pia. Dopo di lui Massimelli; in fine Giulitto, che però si deve preparare per la Messa a Pentecoste, se vi è sanità.

 

                In quanto a Bruna, si senta il parere di D. Albera, o almeno un certificato del suo parroco.

 

                Ho tanto da fare. Non so se potrò trovarmi pel patrocinio di San Giuseppe. Chi sa che non si possa trasferire ad un'altra domenica. Ci sarò sicuro. Però si faccia come credete bene. Scrivimi delle notizie. A metà della corrente settimana scriverò il giorno della nostra partenza. Siamo tutti in buona salute. Pregate molto. Salutate D. Bertello, che non mi ha ancora scritto alcuna lettera. Di' agli artigiani, a quelli del giardinetto, che presenterò il loro indirizzo nelle mani del S. Padre; di poi scriverò. Dio ci benedica tutti. Amen.

 

                30-4-76.

Sac. Gio. Bosco.

 

                5.   A Don Perino.

 

                Era ex-allievo dell'Oratorio. Che prezioso programma per il neo parroco di Piedicavallo nel biellese! Quando lasciò l'Oratorio, Don Bosco gli aveva predetto che sarebbe stato parroco, ma che la sua parrocchia sarebbe stata devastata. Infatti sotto di lui a Piedicavallo i protestanti fecero de populo barbaro.

 

                Car.mo D. Perino,

 

                Godo assai della tua promozione a parroco di Piedicavallo. Avrai più vasto campo di guadagnare anime a Dio. Il fondamento della tua buona riuscita parrocchiale è: aver cura dei fanciulli, assistere gli ammalati, voler bene ai vecchi. [201] Per te: confessione frequente, ogni giorno un po' di meditazione, una volta al mese l'esercizio di buona morte.

 

                Per D. Bosco: Diffondere le Letture Cattoliche e venire a pranzo all'Oratorio ogni volta che verrai a Torino. Il resto a voce.

 

                Dio benedica te, le tue fatiche, la tua futura parrocchia e prega per me che ti sarò sempre in G. C.

 

                Roma, 8-5-1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                6.   A Don Dalmazzo.

 

                L'andata dei Valsalicesi a Roma fu nell'autunno del '74; se ne parlò anche nel volume precedente. - La dispensa di dieci mesi per il diacono Michele Vota fu concessa insieme con altre due, una di mesi sedici per il diacono Giuseppe Giulitto, e la seconda di mesi diciassette per il diacono Pietro Perrot; la ebbe ex audientia Sanctissimi ai 3 di maggio monsignor Sbarretti, segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari. Il Rescritto porta la firma del cardinal Ferrieri, succeduto al cardinal Bizzarri come Prefetto di detta Congregazione.

 

                Car.mo D. Dalmazzo,

 

                Il S. Padre parlò molto del Collegio di Valsalice e degli allievi che lo hanno visitato. Manda a tutti la sua ap. Benedizione in questo modo agli allievi ed ai loro parenti: Benedizione apostolica con indulgenza plenaria in articulo mortis; altra indulgenza plenaria a loro piacimento nel corso della vita.

 

                Molti episodi, molte e gravi cose ce le diremo a voce.

 

                Sarò in Torino sul finire della prossima settimana.

 

                Saluta il prefetto, D. Daghero e tutti i nostri amati salesiani e tutti i cari tuoi e miei allievi. Dirai a Vota che la sua dispensa di età è ottenuta. Si prepari perciò a farsi santo.

 

                Saluta anche tua madre e Molinari.

 

                Amami in G. C. e credimi

 

                Roma, 5-5-1876.

Aff.mo amico

Sac.Gio.Bosco [202]

 

                7.   A Don Lemoyne.

 

                Una copia della lettera scritta da Don Bosco per i giovani dell'Oratorio era stata inviata al collegio di Lanzo. Le notizie ivi contenute fecero nascere l'idea di mandare un indirizzo al Santo Padre, accompagnandolo con un'offerta per l'obolo di San Pietro.

 

                Caris.mo D. Lemoyne,

 

                L'indirizzo del Collegio di Lanzo coll'offerta di fr. 100 al S. Padre venne fatta colle mie proprie mani, e gli tornò graditissimo. Siccome era di sera e stentava un poco a leggerlo, così io, mezzo cieco, gli sottentrai a farne lettura, e l'ascoltò con grande soddisfazione. Di poi aggiunse queste testuali parole:

 

                - Ringraziate da parte mia quei buoni allievi di Lanzo, dite loro che preghino il buon Dio per me; io li benedico di tutto cuore e loro concedo, cioè ai Salesiani e agli altri del Collegio di Lanzo: 1° L'Apostolica benedizione; 2° Una indulgenza plenaria a piacimento nel giorno in cui s'accosteranno ai Santi Sacramenti.

                Richiesto se questi favori sarebbesi degnato di estenderli anche ai parenti dei giovani e dei Salesiani, al Vicario di Lanzo, [a] D. Foeri, al Vice parroco, agli allievi esterni; rispose affermativamente e di buon grado.

 

                Molte altre cose saranno comunicate a suo tempo.

 

                Ringrazio i nostri cari allievi che hanno pregato per me; io continuerò anche a pregare per loro.

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi.

 

                A Dio piacendo, al giorno 16 corrente sarò a Torino. Amen.

                Roma, 1-5-76.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                8.   A Don Rua.

 

                La “pratica per il Sig. Rua macchinista” si riferiva all'invenzione già descritta, che diede poi a Don Bosco tanto filo da torcere[81].

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Ho dimandato ed ottenuto una speciale benedizione dal S. Padre pel Sig. Dupraz, Mad. Ghilardi, Dam. Mandilla, casa Gonella dietro. [203] S. Carlo. Pel ritiro di S. Anna, della Vigna della Regina, del Rifugio, delle Maddalene, delle nostre Ausiliatrici; di Mad. Giussano, dam. Bonica. Tu la puoi comunicare, chè forse qualche cosa ti frutterà. Dirai che al mio ritorno darò loro nota dei favori speciali dal Papa loro concessi.

 

                A suo tempo ho pur dimandato la Apostolica Benedizione pel Sig. Valle, genero del Sig. Asinara.

 

                La pratica pel Sig. Rua macchinista fu messa in corso fin dai primi giorni, e ne speriamo risposta quanto prima.

 

                Le cose nostre sono a buon punto, mercoledì mattino spero partire alla volta di Torino. Se posso mi fermerò una giornata a Firenze ed un'altra a Genova per impostare il diploma prelatizio pel Signor Ceccarelli, ed il breve di Comm. di S. Gregorio per Benitez.

 

                Io fui occupatissimo, potei fare molte cose, ma non raccogliere danari, cui pensa tu.

 

                Vale in Domino. A rivederci.

Affez.mo in G. C.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                9.   Al medesimo.

 

                Le “commendatizie” da presentare a monsignor Macchi, Maestro di Camera, dovevano servire per ottenere di essere ammessi all'udienza pontificia. Abbiamo in un autografo del Beato un saggio di tali raccomandazioni, così concepito: “Il sottoscritto dichiara di aver piena conoscenza dei Signori Tommaso Frascara e Margherita Garelli, i quali vanno a Roma per soddisfare alla loro divozione, e quali buoni cattolici ed esemplari cristiani giudicano per loro la più grande ventura qualora potessero ricevere la benedizione del S. Padre. Per la qual cosa si raccomandano umilmente a chi può giovarli in questo pio intento. Torino, maggio 1876. Sac. Gio. Bosco”. E’ molto probabile che sia proprio questo l'originale delle “commendatizie” da lui mandate poco prima di lasciar Roma. Infatti “i nomi dei due viaggiatori” sono scritti d'altra mano, riempiendo appunto “i vani” da lui accennati.

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Ti mando le commendatizie richieste. Tu compirai i vani mettendo. i nomi dei due viaggiatori: poi la chiuderai in una busta colla soprascritta a Monsig. Macchi. [204] Comunica ai giovani la bella notizia: Tra le molte belle cose che il S.. Padre ha concesso ai nostri giovani e parenti loro, ai Salesiani e rispettivi parenti fu una indulgenza plenaria in articulo mortis, colla benedizione apostolica. Ciascuno pensi a comunicarla rispettivamente. Idem una indulgenza plenaria a piacimento per quel giorno in cui faranno la S. Comunione.

                Le cose nostre saranno ultimate per Martedì, e il giorno dopo, mercoledì (10), faremo vela alla volta di Torino. Un giorno a Firenze, altro a Pisa, due a Sampierdarena, quindi a Torino,

 

                Dopo il 9 le lettere siano dirette a Sampierdarena.

 

                So che hai da fare, consoliamoci, ne ho anch'io. A Torino ci conforteremo vicendevolmente.

 

                Rimando le lettere[82], perchè D. Chiala, se può, ne prepari un'altra, per l'Unitá Cattolica ed anche di più.

 

                Passando a S. Pierdarena ho più cose da impostare per la Repubblica Argentina: se manderete qualche cosa da Torino, la uniremo pel giorno 14.

 

                Credo già d'avertelo detto:

 

                Benitez Commendatore, Ceccarelli Cameriere di S. S., Borgo Angelo e Conte Gio. Batt.a Cav. Essi ne sanno ancora niente.

 

D. Giov. Bosco.

 

                10.   Al medesimo.

 

                Il nome esatto dell'ex-chierico qui menzionato era Bodrati. Il tema per Don Guidazio, professore della quinta ginnasiale, era qualcuno dei Brevi pontifici, ottenuti di recente e da tradursi in italiano[83].

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Dimani parto per Pisa e mi fermerò in Salviati fino a Lunedì. Lunedì. a sera fino a mercoledì sarò a S. Pierdarena. Se tu potessi trovarti là per quel mattino, mercoledì, faremmo il viaggio insieme e potremmo discorrere. Diversamente ci parleremo a Torino.

 

                Scrivo a Bodratto. Non so se ci sia ancora. In ogni caso fa' che non porti via cose della casa, nè porti l'abito da Chierico fuori della nostra Cong.e senza esserne altrimenti autorizzato.

 

                Multa facta, multa sunt opere complenda. [205]

                Abbi cura della tua sanità, di quella di Chiala, e di D. Guidazio. A costui ho preparato un tema da tradurre dal latino in Italiano. Dio ci benedica tutti. Amen.

 

                Roma 12-5-76.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                11.   A Don Barberis.

 

                Il Beato aveva bisogno che si compilasse una monografia sulla Patagonia, per mandarla alla Congregazione di Propaganda. La cosa urgeva, trattandosi allora di erigervi presto una prefettura apostolica da affidare ai Salesiani. Don Barberis, che per più anni era stato insegnante di geografia, parve a Don Bosco il più adatto a preparargli quel lavoro. L'“autore recente”, di cui non ricordava il nome, dev'essere il Daly, che nel 1875 pubblicò a Buenos Aires un'opera intitolata: La Patagonia y las tierras australes del continente Americano.

 

                Carissimo D. Barberis,

 

                Comincio a scriverti questa lettera per annunziarti un lavoro di cui abbisogno: Un ragguaglio sulla Patagonia, in cui si raccolga quel che si può sapere: 1° Intorno alla sua estenzione, limiti, popoli confinanti sulla linea dal Pacifico all'Atlantico.

 

                2° Usi, costumi, statura dei Patagoni e loro occupazioni.

 

                3° Religione, tradizioni, e specialmente delle prove fatte dai Missionari a fine di penetrare tra quei selvaggi.

 

                Puoi vedere il Ferrario: Usi e costumi di tutti i popoli nell'ultimo volume dell'America; Enciclopedia, Cesare Cantù e un autore recente il cui nome saprò giunto a Torino.

 

                Del resto saluta D. Chiala e tutti i tuoi e miei cari ascritti, che tutti spero di vedere e salutare mercoledì. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

                Pisa, 14-5-1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ed ora non riaccompagneremo subito Don Bosco a Torino, senza prima aver detto come fossero andate le cose nell'Oratorio durante la sua assenza. Salvare dall'obblìo [206] quante più notizie ci sia possibile intorno all'Oratorio antico, sembra a noi pensiero utile e opportuno. Utile, perchè gioverà sempre il potersi specchiare in quell'ambiente, che viveva di Don Bosco e donde Don Bosco trasse le prime generazioni di Salesiani; opportuno, perchè, se tante preziose notizie non si mettono in salvo al più presto, diventerà col tempo cosa ardua, per non dire fatica vana, rintracciarle e presentarle nella loro vera luce.

 

                Don Barberis nella sua cronaca, sotto il 24 aprile, ripete un'osservazione già fatta altrove: “L'Oratorio procede avanti tranquillamente, sebbene manchi il Sig. D. Bosco. Non che non ce ne accorgiamo; ma egli stesso ha messo le cose dell'Oratorio su di un piano, che si possa andar avanti senza di lui. Dico senza di lui momentaneamente presente nell'Oratorio: non però senza la sua persona, senza la sua mente”. Vediamolo in pratica.

 

                Durante quel lasso di tempo si celebrarono due feste, la. Pasqua e il Patrocinio di san Giuseppe, e tra l'una e l'altra vi fu il cominciamento del mese di Maria Ausiliatrice, apertosi per la prima volta nel '76 ai 23 di aprile.

 

                Per il precetto pasquale tutto andò secondo le consuetudini. Gli artigiani fecero pasqua al martedì santo, gli studenti al mercoledì, i chierici e preti al giovedì, dopo esservisi preparati con un triduo di predicazione, senza sospendere lavori e studi. Dei giovani esterni, gli scolari fecero pasqua al sabato santo, gli operai alla domenica di Risurrezione, quei della prima comunione al lunedì seguente; i piccoli non ancora promossi alla comunione furono confessati in un giorno della settimana fra l'ottava. Oltre al catechismo quadragesimale gli esterni ebbero a parte un corso di esercizi spirituali, in cui si facevano cinque prediche al giorno, a tre delle quali ognuno era tenuto a intervenire: gli artigiani alle cinque e mezza del mattino, alle dodici e mezza e alle otto di sera; gli scolari a una di queste, più a due fatte esclusivamente per loro alle nove e mezza antimeridiane e [207] alle quattro pomeridiane. La domenica di Pasqua si chiuse con la recita dell'interessante dramma Cristoforo Colombo, opera di Don Lemoyne.

 

                Tutto questo lavoro straordinario non esonerava i preti dell'Oratorio dalle loro ordinarie occupazioni. - Don Bosco non mette troppa carne al fuoco? - chiese un giorno la marchesa Fassati a Don Barberis. Spigoliamo dalla risposta che questi sotto il 2 aprile dice di averle data: “Certo, cose da fare ve ne sono molte e noi lavoriamo indefessamente, fin quasi a soccombere sotto il peso della fatica; eppure fintanto che c'è questo lavoro continuato senza posa, D. Bosco vede che le cose vanno bene. Si acquista uno spirito straordinariamente buono da tutti noi e si riesce ad essere utili in molti lavori; eziandio colui che non è atto a grandi imprese, cacciato fin da chierico negli affari, viene ad abilitarsi nel disimpegno di mille incombenze, il che senza quel gran lavoro e le occasioni propizie non verrebbe mai ad ottenere. D. Bosco vede anche il tanto da lavorare che c'è nella vigna del Signore e che altri potrebbe coltivarla e non lo fa; quindi, invece di permettere che si faccia niente, vuole che si faccia un poco. Ci pare un errore quello di molti, anche religiosi, che, se vedono di non poter intieramente riuscire bene in una cosa, piuttosto che mettervi mano, la lasciano affatto. Da noi non si guarda alla gloria esterna o a ciò che gli altri diranno. Se non si può compiere tutto l'alfabeto, ma si può fare A B C D, perchè tralasciare di far questo poco colla scusa che non si potrà riuscire fino alla Z?”.

 

                Era norma di Don Bosco che, dove non si poteva far tutto, si facesse almeno il poco fattibile; quindi non approvava la condotta dei buoni che dicevano: o tutto o niente. Per questo motivo lo addolorava molto il vedere che magistrati e ufficiali cattolici francesi nelle aberrazioni anticlericali della terza repubblica si dimettevano; egli avrebbe voluto che non abbandonassero il posto, non foss'altro per diminuire il male, impedendo che tutto passasse nelle mani dei settari. [208] Ci permettano i lettori di continuar a citare la nostra cronaca. Certe divagazioni di Don Barberis escono fuori dalla cronaca, ma ci fanno entrare nella vita. Prosegue: “D'altra parte, signora Marchesa, finora nell'Oratorio si lavorò piuttosto nascostamente; ma anche così, direi, sotto il moggio si prepararono materiali immensi. Don Bosco ora si vede crescere una famiglia numerosissima e con spirito eccellente in sommo grado. Siamo ancora tutti giovani, perchè tutti allevati da D. Bosco; ma anno per anno si va acquistando in forza, esperienza e numero. D. Bosco a poco a poco si forma un personale sufficiente per aprire molte case... E' vero che ci vuole tempo prima che i chierici siano formati; ma presso di noi, giunti al secondo anno di filosofia, incominciano ad aiutarci un poco e intanto, aumentando in essi capacità, scienza, pietà, prudenza, età, si allarga loro l'orizzonte e sono messi ad uffizi superiori...”.

 

                Il primo giorno del mese di Maria Ausiliatrice quasi tutti i giovani fecero la santa comunione; poi fu un crescendo di fervore nella casa. La corrente buona che soleva dominare nell'Oratorio, in simili circostanze trascinava anche coloro i quali d'ordinario si tenevano ai margini. Refrattari non ne mancavano mai; ma erano pochissimi, erano conosciuti dai Superiori, erano aiutati e sospinti al bene o eliminati.

 

                Al principiare del mese mariano andava in vigore l'orario estivo: levata, mezz'ora prima, alle cinque; all'una e mezza pulizia in camera; alle due studio libero e scuola di canto; alle sette e mezza predica. Cessava la ripetizione serale. Passeggio al mattino, subito dopo messa, fino all'ora di colazione.

 

                Poi fervevano i preparativi per la gran festa. I cantori avevano più frequenti lezioni di musica. Partito Don Cagliero, si temette nella musica un arresto o per lo meno un decadimento; ma Dogliani degnamente lo suppliva. Anche la banda aveva ripreso con una trentina di strumenti. Sciolta l'anno innanzi da Don Bosco, perchè quelli che vi entravano [209] diventavano indisciplinati, fu ricostruita su nuove basi, e i novellini facevano già benino. Noteremo di passaggio che lo scioglimento avvenne alla chetichella, senza scandali, mediante la graduale eliminazione dei giovani. Sorse allora anche una compagnia di dodici violinisti, che erano i migliori per condotta fra gli artigiani più grandicelli. Canti e suoni occupavano così buona parte delle ricreazioni, apportando in quella stagione una gradevole varietà. Nessun pericolo davvero che incombesse sull'Oratorio la cappa di piombo chiamata dal Faber “monotonia della pietà”.

 

                A ben disporre gli artigiani per il mese di Maria il loro catechista ideò un'accademia sui generis, che fu tenuta nella sala sotto la chiesa. Le si diede il nome di accademia catechistica. La vogliamo descrivere. Chi fosse sceso in quell'ampio spazio avrebbe veduto di fronte all'assemblea sopra un palco elevato Don Rua, Don Chiala e altri Superiori; da una parte la banda, i maestri d'arte, alcuni chierici e coadiutori; dall'altra i giovani, che riempivano anche tutto il fondo; in mezzo uno spazio rettangolare sgombro e lì da canto un tavolino. Al tavolino sedeva il coadiutore Barale, con una borsa contenente su polizze le domande della dottrina cristiana; nel rettangolo del centro si avanzavano gl'interrogandi, cinque o sei alla volta che si rinnovavano ogni quarto d'ora. Barale estraeva e interrogava. I Superiori notavano ognuno per conto suo chi rispondeva meglio. Alla fine, mentre si declamavan poesie e si eseguivano pezzi di musica, fu fatto lo spoglio dei voti; dopo di che si distribuirono subito premi e menzioni onorevoli.

 

                Abbiamo omesso un particolare. L'ultimo interrogato chiese a Barale che raccontasse un esempio, solendosi fare così al termine dei catechismi. Barale acconsentì e brevemente accennò alla vita di Cesare de Bus, con trasparenti allusioni a Don Cesare Chiala. Scoppiarono applausi al Direttore degli artigiani; e poichè egli era sempre malaticcio, nelle poesie e prose s'innalzavano voti al Signore per la sua guarigione. [210] Sul finire poi dell'accademia gli fu presentato un mazzolino di fiori finti, i cui petali recavano i nomi di coloro che per lui avevano fatto comunioni. Gli artigiani si mostrarono entusiasmati del loro Direttore o catechista. In quei giorni molte furono le loro domande di essere ascritti alla Congregazione; visto il momento propizio, si tennero pure ad essi conferenze apposite. Don Bosco, che sentiva il bisogno di buoni coadiutori, ne fu molto consolato.

 

                Era bello senza dubbio tanto interessamento dei giovani dell'Oratorio per i loro Superiori infermi. Anche gli studenti ne diedero luminosa prova. Don Guidazio stava abbastanza male; tuttavia, uomo di tempra energica e laboriosissimo, non voleva lasciar di fare la sua scuola di quinta ginnasiale. Gli alunni, addolorati, gareggiavano a far comunioni per lui; ogni sera poi nel tempo della merenda tutti quaranta si radunavano nell'abside di Maria Ausiliatrice a recitare la coroncina del Sacro Cuore di Gesù. Scene simili si rinnovavano ogni anno, nè solo per qualche superiore, ma anche per compagni o per bisogni della casa.

 

                Dicevamo or ora dell'insolita mortalità. La cronaca, rilevato il fatto, piglia occasione per descrivere il modo delle esequie. “Da due o tre anni abbiamo il permesso di fare la sepoltura qui in casa. Posto il cadavere in luogo conveniente, all'ora stabilita si radunano tutti i giovani a due a due e preceduto da chierici in cotta che portano la croce, sfila il corteo funebre al canto del Miserere, tutt'attorno agli ampi cortili dell'Oratorio. Li accompagnano tutti i giovani e chierici: è una funzione ben commovente! Circa ottocento giovani che attorniano il loro compagno estinto, colui che poco fa giocava con loro, con loro era alla scuola, in refettorio, dappertutto! Arrivati in chiesa, dov'entrano tutti, finito che sia il giro dei cortili, si fanno le solite esequie con qualche preghiera opportuna. I giovani poi se n'escono per andare a studio o a scuola o a lavorare, e il cadavere è portato a seppellire”. L'anno appresso, un sacerdote novizio, [211] assistendo per la prima volta al trasporto della salma di uno defunto nell'Oratorio, ne riportò un'impressione così profonda, che più di mezzo secolo dopo scriveva: “Quella processione dei giovani, il clero cantante salmi, i soci della Compagnia di san Luigi e del Santissimo Sacramento che accompagnavano e portavano l'amico estinto, davano un senso di pietà soave e commossa. Era uno degli atti di vera educazione cristiana e Salesiana”[84].

 

                Verso la metà del mese di Maria Ausiliatrice si festeggiò il Patrocinio di san Giuseppe, solito a celebrarsi con solennità specialmente dagli artigiani. “Si sperava di avere il caro Padre fra noi”, dice la cronaca; ma, non essendo egli arrivato, la solennità esteriore fu differita a un'altra domenica. La pompa tuttavia non mancò nella chiesa. Una novità quel giorno venne dal di fuori, e fu la visita dei presidenti generali delle Conferenze di san Vincenzo in Italia. Come ha già narrato Don Lemoyne, fioriva nell'Oratorio una Conferenza vincenzina annessa regolarmente a quella di Parigi. Suo scopo precipuo era di prendere sotto la propria tutela i ragazzi poveri, che frequentavano il catechismo; i soci anzi si prestavano a farlo. Essendo interni, non potevano andar a trovare i giovani in casa per portar loro i soccorsi, a norma degli statuti; li attendevano invece all'Oratorio e i soccorsi consistevano in premi di frequenza, massime in vestiti.

 

                La domenica dunque 7 maggio ecco che quei signori, i quali uniti insieme facevano un giro d'ispezione e di propaganda, annunziarono la loro visita alla Conferenza dell'Oratorio. Vennero il padre Alfieri, superiore generale dei Fatebenefratelli, presidente del consiglio superiore nei già Stati Pontifici; il cavalier Rocco Bianchi, presidente del consiglio superiore di Genova, chiamato “il nonno”, perchè fu il primo a introdurre le Conferenze in Italia fin dal 1852; [212] il marchese Bevilacqua, presidente del consiglio superiore di Bologna; il conte Lurani, presidente del consiglio superiore di Milano; e i presidenti di Venezia, Firenze e Napoli: un'eletta insomma di personaggi cospicui. Li conduceva il signor Falconnet, presidente del consiglio superiore di Torino, e il conte Cays, già presidente prima del Falconnet, chiamato “il papà”, perchè promotore e consigliere speciale delle Conferenze in Piemonte.

 

                La Conferenza dei nostri si adunò alle due pomeridiane, in presenza di questi signori, i quali alla fine si mostrarono assai soddisfatti; soltanto raccomandarono che, nella misura compatibile con le regole dell'istituto, si osservasse il regolamento generale. Vivamente si compiacquero al sentire che ex-soci, usciti dall'Oratorio, avevano fondato Conferenze altrove e che Don Cassinis a S. Nicolás de los Arroyos si adoperava a far colà rivivere la Conferenza decaduta. Sciolta l'assemblea, gli ospiti andarono a vedere i giovani interni ed esterni nelle rispettive chiese, e visitarono lo studio, i laboratori e altri locali della casa.

 

                Intanto nell'Oratorio tutti erano in moto per preparare la festa di Maria Ausiliatrice. I quotidiani racconti di grazie infervoravano la pietà. Sonatori e cantori facevano prove su prove. Nella chiesa si costruiva l'orchestra; per la casa s'imbiancavano le muraglie; le ricreazioni erano animatissime. Nè si creda che tanto tramestio andasse a detrimento degli studi; poichè, se la cronaca dice il vero, i professori avevano acceso così bene fra gli scolari l'emulazione che molto spesso bisognava moderarne l'ardore. Anche gli artigiani si davano d'attorno a preparare per l'arrivo di Don Bosco la ritardata accademia in onore di san Giuseppe.

 

                Mancava poco al suo ritorno, allorchè un accidente improvviso sopraggiunse a gettare lo scompiglio in tutta la casa e un gran turbamento negli animi. I giovani attendevano tranquillamente in chiesa alle loro vespertine pratiche mariane, quando si sentì entrare per le finestre un acre odore [213] di bruciato e si vide uno strano offuscarsi dell'aria. La funzione volgeva al termine. All'uscire di chiesa, ecco smisurate lingue di fuoco spuntare e sparire senza tregua per entro a una colonna vorticosa di fumo, dietro ai magazzini dell'Oratorio. La manifattura di Tensi, fra l'Oratorio e il Rifugio, era in fiamme; l'incendio distava tre metri dal nostro caseggiato e il vento soffiava in questa direzione. Bagliori sinistri illuminavano di tratto in tratto edifizi e cortili. Il primo pensiero fu di correre a chiudere tutte le finestre per impedire l'irruzione di scintille, levate in alto e portate dal vento alla distanza di cento metri. Ogni assistente invigilava il suo dormitorio, facendo trasportare i letti dalla parte opposta a quella del fuoco e facendoli avvolgere in coperte inzuppate d'acqua. Duecento coperte ben immollate vennero distese sulle tegole e dietro le finestre, a cui le fiamme spaccavano i vetri.

 

                Don Bertello col suo sangue freddo e con l'imperiosità che gli era propria, prese a dirigere le operazioni. Venti giovani più grandi appostò sul tetto, ad altri quaranta ordinò di far loro pervenire continuamente acqua da versare sulle coperte. Fu miracolo se brocche e tegole cadute di lassù non ferirono alcuno dei sottostanti. I giovani non necessari fece sgombrare dall'intorno, ed essi filarono in chiesa a recitare le litanie dei Santi. Finite le litanie, il vento si volse e spirava là, dove non sorgevano case. I pompieri finalmente gettando dalle loro pompe acqua a torrenti, domarono in un quarto d'ora il fuoco dalla parte che minacciava l'Oratorio. Il subbuglio durò quasi un'ora. Il danno per i nostri in tegole rotte, vetri infranti e sciupio di roba non ascese a mille lire. L'assenza di disgrazie parve doversi attribuire a speciale protezione della Madonna.

 

                Don Barberis, che fu spettatore di tutta quella confusione, colse dalla bocca dei giovani e registrò certi riflessi che, per essere stati spontanei e improvvisi e scambiati fra di loro, documentano egregiamente il buono spirito che regnava allora [214] nell'Oratorio. Li trascriviamo tali quali. “Si dicevano l'un l'altro -Ecco che cosa vuol dire lavorar sempre di festa! - Sì, va' a lavorare di festa, e ti capiterà bella! - Lo dicevamo noi che il Signore doveva castigare terribilmente questo scandalo! - Vergogna! In mezzo a due case religiose, dove si osserva la festa, voler persistere così nella trasgressione della legge di Dio! - Ecco lì, ciapa l'on (prendi lì), voler lavorare di festa! - Paghi lo scotto una volta tanto!”.

 

                Tre giorni dopo questo scampato pericolo, il sabato 13 maggio, Don Bosco, accomiatatosi dai Sigismondi, dai quali aveva ricevuto le attenzioni più delicate, si rimise in via per tornare all'Oratorio. Non compì però il viaggio tutto d'un fiato, ma fece due soste. Si fermò prima a Migliarino presso .Pisa, ospite del duca Salviati, dalla sera del 13 fino a mezzogiorno del 15 A Genova lo attendevano Don Albera, l'avvocato Scala, direttore del Cittadino, e il signor Varetto, che condusse tutti a pranzo in casa sua. Sul tardi era a Sampierdarena, dove trascorse il dì seguente. Gli si fece un po' di festa con lettura di poesie e con la recita di un dialoghetto, nel quale gl'interlocutori presentarono le croci da cavaliere ai signori Conte e Borgo, invitati appositamente e ignari della sorpresa che li attendeva. Il 17 partì per Torino.

 

                A Torino l'aveva preceduto di quattro giorni Don Durando. I giovani, che aspettavano ansiosamente Don Bosco, visto Don Durando mentre uscivano dalla chiesa e andavano in refettorio, s'immaginarono che anche Don Bosco fosse arrivato e levarono un grido di gioia. Rapida corse la voce: le file si ruppero e fu una ressa tumultuosa alla porteria. Quei che erano già discesi nel refettorio, allora sotterraneo, scapparono su a precipizio, volando dietro ai compagni. Quanto più ardente era la brama, tanto più amara fu la delusione. Ma all'una pomeridiana del 17 era proprio Don Bosco: dopo un mese e dodici giorni di assenza egli rientrava nel suo regno. I sonatori al suo affacciarsi dalla porteria diedero fiato alle trombe. Tutti i giovani, schierati di qua e di là, [215] avrebbero dovuto far ala al suo passaggio. Ma chi li potè trattenere? Non capivano più nella pelle e si precipitarono in massa su di lui. Circondato dalla gran turba che voleva vederlo e baciargli la mano, aveva per ognuno un sorriso e una parolina. Impiegò una buona mezz'ora per attraversare il cortile. Nel frattempo i musici si erano trasportati sotto i portici: Don Bosco entrò nel loro quadrato, li salutò affettuosamente e andò a pranzo. Là ci fu l'assedio dei più anziani: Papa, Roma, Missioni, privilegi, indulgenze... una tempesta di domande! Calmo e sereno come sempre, egli parlò per più di un'ora. Quando si ritirò, si sentiva molto stanco e aveva un forte mal di capo; tuttavia si mise subito al tavolino per dar corso alla corrispondenza arretrata.

 

                Stette là fino alle cinque e mezza; poi, -non potendone più, uscì a passeggiare nella biblioteca, discorrendo con Don Barberis. Ragionò della Patagonia. Don Barberis s'avvide con istupore che conosceva a menadito quelle regioni, come se vi avesse fatto lunghi studi, tanto che corresse più volte gli sbagli e le omissioni di Don Barberis stesso, il quale pure da tempo si occupava con intensità dell'argomento. Disse: -Son giunto all'età di oltre sessant'anni senz'aver quasi mai udito il nome di Patagonia. Chi mi avrebbe detto che sarebbe venuto il momento di doverla studiare passo passo in tutte le sue particolarità? - Spiegate due carte geografiche della Patagonia e dell'America meridionale, si mise a osservare con molta attenzione; ma la testa non gli reggeva e gli venivano le vertigini. Passeggiato un altro poco, tornò ai suoi lavori.

 

                Sebbene questo capo sia già eccessivamente lungo, pure non è opportuno staccarne tre documenti, che ci sembrano formare la sua chiusa migliore: una " buona notte ", una circolare e una conferenza.

 

                La sera stessa del 17 parlò ai giovani dopo le orazioni. Diede prima il fioretto per la novena di Maria Ausiliatrice; poi, fra la massima attenzione, prese a dire del suo viaggio. [216] Fioretto: Guarderò quale occasione mi fece cadere in peccato e da essa  mi terrò lontano. Questo è quanto dire: fuggire le occasioni che mi condussero al peccato nel passato. Ognuno adunque mediterà un momento quale occasione nella vita passata fu causa lagrimevole d'aver perduta la grazia di Dio. d'essersi meritato l'inferno; e da quella procurerà di tenersi ben lontano, fuggendola: Per alcuni sarà un libro, per altri un compagno, per altri l'aver troppo alzata la bottiglia ossia l'intemperanza, ecc.

 

                Ma veniamo a parlare del mio viaggio. Io sono andato a Roma a trovare il Papa: vi sono stato molto tempo e per molto tempo ho aspettato ed aspettato che voi veniste a farmi una visita; ma invano. Venne D. Durando, e bravo! Ma di voi non ne vidi alcuno. Basta. ora voglio intrattenervi sulle varie cose che si fecero a Roma. Di molte ho scritto. volta per volta e credo vi siano state narrate. Questa sera vi dirà che due volte fui ricevuto dal Santo Padre. La prima volta mi trattenne circa un'ora, e la seconda tre quarti d'ora. Perciò potei parlargli molto lungamente. Parlammo delle cose dell'Oratorio, dei figli di Maria Ausiliatrice, e dei giovanetti: di voi, dei quali il Santo Padre mi domanda sempre notizie:

 

                - E ne avete dei buoni?

 

                - Oh sì, Santo Padre!

 

                - E ce ne sono di quelli di grande virtù.

 

                - Santità, sono tutti molto buoni. Ci sarebbero tuttavia a fare certi appunti a qualcheduno! - Questa ultima osservazione però l'ho fatta sottovoce, perchè non mi sentisse.

 

                - E come stanno di sanità i vostri giovani? continuò Pio IX.

 

                - Bene!

                Quindi si parlò delle Missioni, delle quali si mostrò molto contento e mi propose di inoltrarmi al di là di S. Nicolás, nelle Pampas e tra i Patagoni, dove in uno spazio di terreno esteso quasi come l'Europa intiera non potè ancora giungere la luce del Vangelo. Proposemi anche un Vicariato nelle Indie, ove sono vasti campi di messe da raccogliere e altre Missioni di qua, di là. Io lo interruppi dicendo: - Ma, Santo Padre, ci vorrebbero migliaia di Missionari; i miei giovani sono buoni, docili, coraggiosi, pronti a tutto, ma sono piccoli e bisognerebbe aspettare che crescessero, che mettessero un po' di barba e di mostacchi ed acquistassero un fondo di scienza e le cognizioni necessarie per andar tutti nelle Missioni. Tutti sarebbero pronti ad esporsi a ogni pericolo, purchè potessero salvare anime. Ma bisogna aspettare.

 

                - Allora, rispose il Santo Padre, fateli presto crescere e venir su tutti adulti in un momento!

 

                - Soltanto, io soggiunsi, che il Signore ci visita assai di frequente nell'Oratorio, chiamando a sè qualcuno dei nostri. Quest'anno ce ne furono già vari, che vollero andare a visitate il paradiso e altri vi andranno ancora prima che finisca il mese di dicembre. [217] - E quelli che muoiono vi cagionano consolazione? vi lasciano buone speranze della loro salute? Ve ne fu qualcuno che non si mostrasse contento di ricevere i sacramenti?

 

                - Può comprendere, Santo Padre, che i giovani i quali si accostano regolarmente e di sovente ai santi sacramenti durante la loro vita, venendo ammalati domandano essi stessi di confessarsi e di comunicarsi quanto più poi in punto di morte! E se qualcuno talvolta non li domandasse, i Superiori stessi, vedendo il loro stato un po' serio, con belle maniere fan loro sentire questo bisogno e l'infermo, appena ode la voce di un superiore che l'invita, subito e volentieri si dispone a ricevere i sacramenti.

                In tal modo mi domandò il Santo Padre molte altre cose di voi e stava con piacere ad ascoltarmi, quasi che nel mondo non vi fosse altro che Valdocco. E mi disse: - In questi tempi molto calamitosi per la Chiesa i vostri giovani potranno fare del bene. Preghino essi intanto per i bisogni della santa Chiesa tanto bersagliata. Raccomandate loro che preghino per me, perchè il Signore mi dia forza e costanza di resistere ad ogni pericolo che dovrò incontrare, come Capo della famiglia di Gesù Cristo.

                E dopo poche altre parole ci licenziammo.

 

                La seconda volta che lo visitai s'intrattenne ancora con me sulle Missioni, sui giovani, e sui collegi. Mi concesse quindi numerose indulgenze da compartire a voi tutti. Dobbiamo fare gran conto di questi tesori spirituali che il Santo Padre ci ha largiti. Queste indulgenze saranno stampate ed a ciascuno sarà data una nota di quelle che sono a lui proprie, perchè non le abbia a dimenticare pel restante della vita.

 

                Ora passando dalle cose di Roma a noi, dico che io sono molto contento di trovarmi in mezzo ai miei figliuoli. Io desiderava ardentemente di trovarmi con voi; e contava i giorni, le ore ed i minuti, quando ero lontano. E sono qui finalmente!

 

                Che cosa ancora vi dirò? Non fa bisogno che vi parli delle Pampas e delle Indie. Non andiamo tanto lontano, discorriamo invece di cose un po' più vicine, cioè degli esercizi spirituali, i quali avran luogo dopo la festa di Maria Ausiliatrice, sia per gli artigiani che per gli studenti e per quelli altri che vi vorranno prendere parte. Io vi esorto a farli bene e specialmente quelli che sono nelle ultime classi del ginnasio, essendo per scegliere una carriera. Costoro procurino di pensar seriamente, perchè in modo particolare per questo fine, essi fanno gli esercizi, per deliberare intorno alla loro vocazione. Preghino molto il Signore, perchè possano veramente conoscere la sua santa volontà, in quale stato siano chiamati, quale carriera dovranno intraprendere. Su questo argomento altre volte parlerò e darò consigli e in pubblico e in privato.

 

                Ma un'altra cosa io desidero. Bisogna che noi facciamo un poco [218] di ginnastica in refettorio. In cortile sta bene che si corra pure quanto e come si vuole, ma è anche bene che ciascuno in refettorio abbia qualche occupazione speciale. Non dico già che andiate in cymbalis bene sonantibus, -ma che ci sia qualche cosa di più dell'ordinario, sia nel cibo che nelle bevande, che insomma facciamo come dice il proverbio, o meglio la Sacra Scrittura: Servite Domino in laetitia. Per questo ci raccomanderemo a Don Lazzero, perchè scelga lui stesso quel giorno che gli piacerà per tale ginnastica. Noi faremo però stare un poco allegro e contenteremo il corpo in ciò che giustamente desidera; ma bisogna che esso poi sia disposto ad obbedire anche all'anima ed a fare tutto ciò che sarà di suo bene.

 

                Siamo ora nella novena di Maria Ausiliatrice ed io vi prego a continuarla con fervore. Vedete: Maria ha preparato per ciascheduno di voi una grazia particolare, purchè gliela domandiate di cuore.

 

                Io avrei ancora molte cose da dirvi e di Roma e del Papa e delle Missioni; ma queste verrò esponendovele a poco a poco nelle sere che vi parlerò: certo che vi faran piacere. Buona sera.

 

                Con la data del 24 maggio indirizzò una parola ai benefattori della casa di Nizza, che con generosità sostenevano quell'opera. In segno di gratitudine comunicò loro i favori spirituali, che anche per essi egli aveva ottenuti dal Sommo Pontefice.

 

                Ai Benefattori Collettori e Collettrici del Patronato di S. Pietro in Nizza Marittima.

 

                La pietà che voi, caritatevoli Collettori e Collettrici, avete manifestata in favore del Patronato di S. Pietro, fondato testè in cotesta città, mi ha veramente commosso, e mi faceva sospirare una propizia occasione, per darvi almeno un piccolo segno di profonda gratitudine. Questa occasione non tardò a presentarsi, nel giorno 3 di questo mese, quando mi trovai alla presenza del benefico Pontefice, del glorioso Pio IX.

 

                Esso adunque ascoltò con paterna compiacenza l'esposizione delle opere di zelo con cui vi prestate in favore del nascente istituto, che era già stato oggetto della sua inesauribile beneficenza, della nascente instituzione, e infine con tutto buon grado concedette i seguenti favori spirituali:

 

                1° L'Apostolica benedizione con indulgenza plenaria in articolo di morte a tutti quelli, che colla loro carità concorrono a fondare o a sostenere questo patronato, che tende a beneficare e a migliorare la classe più degna di attenzione della civile società. Questi favori si estendono a tutte le rispettive famiglia dei benefattori. [219]

 

                2° A Lei poi in particolare, Benemerito Signore... la Santità Sua con decreto 9 maggio 1876 concede l'indulgenza plenaria tutta le volte che si accosterà al Sacramento della Santa Comunione. Ai Sacerdoti largisce la medesima indulgenza ogni volta celebreranno la Santa Messa.

 

                3° Queste indulgenze per modo di suffragio sono applicabili alle anime del Purgatorio, eccetto quella in articulo mortis, che è esclusivamente personale, e si può solamente lucrare quando l'anima fa passaggio da questa alla vita eterna.

 

                4° Il Clemente Pontefice dispensò altri favori che le saranno comunicati appena ne sia compilato l'elenco ed eseguita la stampa.

 

                Contento di poterle in questo modo esternare un tenue tributo di riconoscenza, mi raccomando che voglia tuttora proteggere e sostenere il patronato di S. Pietro, mentre dal canto mio l'assicuro che coi giovanetti beneficati invocherò ogni giorno le benedizioni del Cielo sopra di Lei e sopra tutte le persone che la riguardano, professandomi rispettosamente

 

                Di V. S. B.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Tenne conferenza il 4 giugno, solennità della Pentecoste, e la tenne dopo le orazioni della sera, nella chiesa di san Francesco. V'intervennero professi, ascritti e aspiranti. Erano le dieci quando cominciò: ora incomoda, che egli aveva già detto di voler cambiare per tali adunanze, portandola normalmente alle sei e mezza pomeridiane, nel qual tempo essendo i giovani nello studio, bastava un solo chierico o prete per assisterli. Ma allora dovendosi ripetere il Phasmatoníces nella sala di studio trasformata in teatro, i giovani stavano a studiare nelle scuole, sicchè ci volevano almeno sette assistenti: ecco perchè fu necessario ancora una volta fare la conferenza generale a notte avanzata.

 

                I presenti arrivarono al numero di centosettanta. Il Beato stanchissimo parlava stentatamente e così piano da far temere che da un momento all'altro la voce gli venisse a mancare. Il suo capo appariva stanco più ancora della persona Parlò così.

 

                E’ bene, o miei cari figliuoli, che ci raduniamo di tanto in tanto, sia perchè io possa avere il piacere di manifestare a voi i miei pensieri [220] e i miei desideri, sia anche perchè voi possiate avere il piacere di ascoltare la voce di un tenero amico, del vostro caro padre che tanto vi ama. Io avrei già voluto più volte radunarvi, specialmente prima di andare a Roma o poi subito dopo essere di là ritornato, e sarebbe cosa buona che ci potessimo vedere con frequenza; ma talora manca il tempo, talora anche un poco, diciamolo anche, manca la sanità... e perciò faremo solo quello che potremo.

 

                Questa sera ho bisogno di comunicarvi il vero scopo del mio viaggio a Roma ed i risultati che si ottennero. Vi dirò prima di tutto, che a Roma siamo veramente ben veduti e fummo ottimamente accolti. Io ero andato a Roma per ottenere dalla Santa Sede per la nostra Congregazione quei privilegi, che sono necessari per poter lavorare liberamente con gran profitto delle anime; e si ottenne assai più di quello che si sarebbe potuto aspettare. Tutto ciò che domandai fu concesso. Vi dico schietto che io stesso sono sbalordito al vedere come il Signore ci copre di benedizioni, quasi direi ci carica colle sue grazie,

 

                Per non dire ora qui tutto, ecco alcune delle principali cose ottenute. 1° Vi è la facoltà a tutti i direttori delle nostre case non solo di ritenere e leggere libri proibiti, ma di darne il potere a qualunque de' suoi subalterni Perciò, quando uno della Congregazione avesse bisogno di servirsi di un libro proibito, lo può fare senza incorrere in alcuna pena spirituale.

 

                2° Facoltà al direttore di ogni casa di benedire medaglie, corone, crocifissi, applicandovi le indulgenze.

 

                3° Facoltà di conferire la benedizione papale con indulgenza plenaria in articulo mortis, a tutti i sacerdoti.

 

                4° Riguardo all'altare privato, privilegiato ecc. già si ottenne l'anno scorso.

 

                5° D'ora in avanti qualunque prete dei nostri, anche di nazione straniera che sia approvato per le confessioni in una diocesi, può confessare e dir messa, senz'altra formalità di licenza, in qualunque casa, collegio, ospizio della nostra Congregazione; per esempio se venisse qui a Torino un prete di Genova, egli nelle nostre case, qui e fuori, negli Oratori festivi di S. Luigi, di S. Giuseppe, potrebbe liberamente esercitare tutti gli uffizi sacerdotali.

 

                6° Il Papa ci concesse anche il diritto di poter fare ordinare extra tempus, cosicchè se vi fosse un individuo che avesse da prendere la messa e non fosse allora il tempo delle Ordinazioni, basterebbe mandarlo ad un Vescovo e in tre domeniche, senza scrivere a Roma per le dispense, l'avremmo sacerdote; purchè, s'intende, costui sia fornito delle qualità necessarie.

 

                7° Ognuna delle nostre case ha i diritti parrocchiali per l'interno; perciò autorità di predicare, amministrare i sacramenti, portar Viatico, fare esequie, con tutti gli altri diritti che riguardano le parrocchie in qualunque tempo e modo. Aggiungete a questi favori quelli [221] già ottenuti altre volte e pensate quanto siano preziosi. Ci concesse insomma indistintamente tutti i diritti di cui fruiscono le altre Congregazioni.

 

                Aggiungete le indulgenze. In questo il Santo Padre si mostrò generosissimo e ce ne concesse giù barún[85], a profusione. Furono accordati a noi tutti i privilegi che hanno li Terziari di San Francesco d'Assisi e alle nostre chiese tutti i privilegi che hanno le chiese dei Francescani, ben inteso anche l'indulgenza della Porziuncola. E notate di quante altre indulgenze fummo già arricchiti. Indulgenza plenaria quando si dà il nome alla Congregazione, quando si fanno i voti triennali, i voti perpetui, quando si fanno gli esercizi spirituali e quando infine di questi si rinnovano i voti. Indulgenza plenaria poi a tutti in articulo mortis.

 

                Vi è l'indulgenza plenaria tutte le volte che facciamo l'esercizio della buona morte, cioè una volta al mese; indulgenza plenaria in tutte le feste della Madonna che sono più di 30, in tutte le feste di nostro Signore e degli apostoli; così molte altre indulgenze plenarie in moltissime circostanze che per brevità ometto e più di tutto l'indulgenza plenaria a qualunque dei soci che vi èe che vi sarà nella Congregazione, ogni domenica, confessandosi e comunicandosi, ed ogni volta che fa la santa Comunione. Tutte queste indulgenze si faranno stampare in apposito manuale, del quale a ciascheduno si distribuirà una copia, affinchè conoscendole e mettendo la voluta attenzione, possiamo partecipare a tanto tesoro della Chiesa.

 

                Teniamo gran conto di questi tesori che così prodigo ci largì il Sommo Pontefice. Io credo proprio che in fatto d'indulgenze e di favori spirituali, nessun Ordine religioso o Congregazione sia stata tanto cumulata come la nostra, la quale è ancora sul suo principio. Il Papa concesse inoltre a vari nostri benefattori alcuni titoli di Commendatore, di Cavaliere, di Monsignore, ecc.

 

                Si ultimarono a Roma anche le pratiche per l'Opera di Maria Ausiliatrice, su cui il Papa ha tante speranze; e per quella dei Cooperatori Salesiani, della quale si sta stampando il regolamento e che presto sarà a tutti noto. Il Santo Padre vede tanto volentieri queste opere nostre e ci vuole tanto bene e si cura tanto di noi che pare incredibile. Quante altre cose dovrò raccontarvi a questo riguardo! Ma vi basti questo per tutto. Appena mi sono a lui presentato, tutto festoso mi disse:

 

                - Sono molto contento, sapete; so che dai vostri figli si lavora, mi fo sempre leggere tutte le lettere dei vostri Missionari in America, stampate sull'Unità Cattolica; vedo che fanno del bene ed io ne provo grande piacere.

                Avendo poi io domandato che per sbrogliare i nostri negozi ecclesiastici a Roma, assegnasse a noi un Cardinale Protettore che perorasse [222] le nostre cause presso la Santa Sede, come hanno tutti gli altri Ordini e Congregazioni, sorridente mi disse: - Ma quanti protettori volete? Non ne avete abbastanza di uno? - Facendomi intendere: voglio essere io il vostro Cardinale protettore; ne volete ancora altri? Sentendo parole di tanta bontà, lo ringraziai di tutto cuore e gli dissi: - Padre Santo, quando voi dite questo, io non cerco più altro difensore.

                Essendoci poi trattenuti per molto tempo su molte cose, che riguardavano le Missioni, venne ad offerirci vari Vicariati Apostolici nelle Indie, i quali per mancanza di cultori evangelici son lì per estinguersi. Dodici me ne offeriva, nei quali farebbe di bisogno un Vescovo e preti.

 

                - Ma Santo Padre, io diceva fra me, i miei preti sono tutti giovanotti e per questi affari vi abbisognerebbero altri individui più attempa . ti: tuttavia bisogna che sappia che i più giovanotti, se non fossero capaci ad altro, sono però sempre quelli che se la cavano meglio in refettorio.

                Intanto insistendo il Papa che io accettassi uno di quei vicariati, pensai alcun poco sopra questa proposta e quindi gli dissi: - Poichè voi così volete, Santo Padre, io accetto, prendendomi però venti mesi di tempo, onde provvedere il necessario personale. E questi venti mesi incominceranno dal momento in cui mi saranno inviati tutti i documenti relativi a quel Vicariato.

                Il Papa approvò e per mezzo del suo segretario fece passare il progetto al Card. Franchi, Prefetto della Congregazione di Propaganda, il quale, riuniti a consulta altri Cardinali, dispose che al più presto mi fossero spediti tali documenti.

 

                Chi di voi adunque vorrà andare nelle Indie, ha ancora venti mesi di tempo. Avvertite però che questi mesi non cominciano adesso, ma dal momento in cui mi saranno spediti tutti i documenti necessari a tale scopo. Questi non giungeranno certamente prima di settembre. Abbiamo dunque due anni di tempo per prepararci e appena potremo incaricarci eziandio degli altri Vicariati, sono già là pronti che ci aspettano.

 

                Venendo a parlare della Congregazione devo dirvi che in essa cresce il vero spirito religioso, che si moltiplicano, come vedete, in gran numero i Soci, che tuttora cresce in questi la voglia di lavorare, e che così pure si aumenta la messe. Appena uno è un po' capace e sa far qualche cosa, ecco che subito la Divina Provvidenza gli presenta il posto, in cui avrà campo di mettere a partito il suo ingegno e le cognizioni acquistate. Quanti invece vi sono che, usciti dai seminari e compiti i loro studi, non sanno che cosa fare, da qual parte rivolgersi! quanti che cominciano qualche impresa e non sanno condurla a termine! quanti che con tutta la buona volontà, ma per vane cagioni sono distratti dal loro oggetto, che pure aveva per fine la [223] gloria di Dio, e vedono isterilito il loro ministero dalle maldicenze e dalle calunnie lanciate contro di essi, e non pochi sono distolti a forza dall'opera incominciata, sono costretti a fuggire dal campo ove avevano già fatto progredire i loro lavori! Così pure accade di tanti ordini religiosi. Noi all'opposto andiamo crescendo e da ogni parte i Salesiani sono desiderati, dappertutto sono chiamati. E’ una cosa che fa stordire: nessun impedimento, nessuna difficoltà ci si oppone. Il Signore vuole proprio confonderci coi suoi doni. Dico nuovamente che è una cosa che fa stordire.

 

                E’ proprio il Signore che ci vuole benedetti, Lui stesso vuole animarci e insegnarci la via, e noi dobbiamo cercare di rendergli grazie e di corrispondere degnamente a tanti favori che si degnò compartirci.

 

                Parlando io poi col Papa della Patagonia, gli dissi come si sarebbe potuto tentare di fare un cordone di collegi che circuissero la Patagonia, quasi dividendola dal resto dell'America e quivi ricoverando molti figli di selvaggi, questi fatti preti si potrebbero mandare a convertire i loro parenti, fratelli, amici. Quindi gli diedi più precisi ragguagli della nostra Missione e specialmente: 1° Come nel nostro Collegio di S. Nicolás siansi già accettati vari giovanetti di famiglie selvagge, fra i quali alcuni già dimostrano vocazione decisa allo stato ecclesiastico. 2° Che già si sta costruendo e preparando una casa nell'ultima città della repubblica, presso i confini dei Patagoni, proprio già in mezzo ai selvaggi[86].

 

                Il Santo Padre si mostrò contento in modo straordinario di queste notizie, e alzando le mani al cielo: - Che Dio sia benedetto! esclamò. Così la Patagonia evangelizzerà la Patagonia. In questo modo si potrà ovviare l'inconveniente di mandar Missionari in luoghi dove è lingua diversa, usanze e costumi affatto diversi. Appena vi siano vari preti delle famiglie dei selvaggi, io credo che la conversione della Patagonia sarà assicurata.

                Tutte queste cose io ve le ho solo accennate brevissimamente, lasciandovene da dire moltissime altre. Se dovessi raccontarvi anche solo le cose principali, ogni punto al quale ho accennato richiederebbe ore ed ore di discorso continuato, ciò che per ora non posso fare.

 

                Ma prima di lasciarvi stassera io ho ancora due parole molto importanti da dirvi. Siamo protetti dal Santo Padre, bene visti da tutti: coperti di grazie e di favori, di privilegi di ogni genere. Ciò sia anche a gloria nostra; guardate però che il Signore si servirà di noi, finchè corrisponderemo ai suoi voleri, finchè ci meriteremo i suoi favori. [224]

                Io non posso a meno in questo momento di animarvi molto e molto ad essere veri Salesiani. Dobbiamo dare frutti di ogni virtù, ornando di queste il nostro cuore. Quindi la gran cosa di massima importanza che. d'accordo dobbiamo fare si è, di volere intieramente e sempre essere uniti con vincoli di perfetta obbedienza. Sì, cari figli, obbedite. Questa obbedienza sia non solo nelle cose che giorno per giorno ci vengono comandate dai Superiori, ma obbedienza a tutte le regole ed obbedienza pronta, obbedienza spontanea, non coacte sed sponte, ed ilare. Non far mai cosa che sia a questa contraria. Non avvenga mai che vi sia tra noi chi obbedisca, come dice l'Apostolo, in modo da far piangere coloro che gli devono comandare. Desidero adunque che tutti i Salesiani siano obbedienti per amore di nostro Signore Gesù Cristo.

 

                Ancora una cosa, e qui vorrei che mi si prestasse un'attenzione speciale. Ciò che deve distinguerci fra gli altri, ciò che deve essere il carattere della nostra Congregazione è la virtù della castità: che tutti ci sforziamo di possedere perfettamente questa virtù e di inculcarla e di piantarla nel cuore altrui. Per me credo di poter applicare ad essa virtù ciò che si legge nella Bibbia: Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa. Se vi è questa, vi sarà ogni altra virtù; essa le attira tutte. Se non vi è questa, tutte le altre vanno disperse, è come se non ci fossero. Essa deve essere il perno di tutte le nostre azioni. Teniamolo altamente scolpito nelle nostre menti: affatichiamoci in ogni modo per dare buon esempio ai nostri giovani; ma che non succeda in tutta la nostra vita che un giovane abbia da prendere scandalo da uno della Congregazione. Giammai avvenga che un Salesiano perda questa virtù della modestia e che sia in essa d'inciampo agli altri colle parole, cogli scritti, coi libri, colle azioni. Nei tempi in cui siamo fa bisogno in noi di una modestia a tutta prova e di una grande castità. Se amerete codesta virtù, così delicata, così gentile, eritis sicut angeli Dei. Gli angeli amano Dio, lo adorano, lo, servono. Amando questa virtù verrà in voi il santo timor di Dio, la pace del cuore; non più strazi, non più rimorsi di coscienza. ma un trasporto grande nelle cose riguardanti il servizio del Signore e pronti a soffrire ogni cosa per lui. Se noi avremo questa virtù, saremo sicuri di camminare per la retta via, ogni nostra azione anche la più piccola sarà accetta a Dio, da tutto ricaveremo meriti immensi e saremo certi di arrivare al premio immortale della patria celeste, al pieno godimento di Dio.

 

                Facciamoci adunque forza per tenere lontano da noi anche ogni pensiero che possa tampoco offuscare questa virtù: ogni sguardo, ogni carezza e con noi e con altri; poichè, lo ripeto, tutti gli altri beni che ci verranno sono subordinati a questa. E ciò che più gioverà per poterla custodire gelosamente è l'obbedienza in tutte le cose. Queste due virtù si compiscono l'una l'altra e chi conserva obbedienza esatta, costui è sicuro altresì di conservare l'inestimabile tesoro della purità. [225] Preghiamo caldamente il Signore di darcela e se ce la concederà, non avremo più bisogno di cosa alcuna. Ogni bene, ogni consolazione ci verrà dal cielo col mettere essa sola in pratica. Sarà questa il trionfo della Congregazione e il modo di ringraziare Iddio di tanti favori che ci ha concessi.

 

                Diamo un'occhiata finale al diario di Don Berto. Risulta da esso che il Beato durante il suo soggiorno a Roma ebbe tre udienze pontificie; fece visite dieci a Cardinali, diciannove a Prelati minori, tredici a persone o comunità religiose, dodici a secolari di vario grado; andò a vedere due volte un locale che disegnava di acquistare, ma che non acquistò e soltanto due chiese, la piccola di san Benedetto e la rinnovata di Sant'Andrea alle Fratte; accettò sette inviti a pranzo. Quali affari trattasse nelle sue visite a Cardinali e a Prelati, durate a volte fin due o tre ore, non ci è dato di penetrare attraverso lo schematico diario. Sulle sue relazioni il Servo di Dio manteneva abitualmente un riserbo assoluto. Una volta egli disse che non si saprà mai tutto quello che egli ha fatto a Roma; un'altra volta, dopo l'ultimo viaggio a Parigi, disse che colà egli ebbe da risolvere casi di tanta importanza che uno solo di essi avrebbe giustificato il suo andare da Torino alla Capitale della Francia. Per lettera o nelle sue parlate manifestava solamente le cose atte a produrre buone e salutari impressioni. La conferenza del 4 giugno, e per le cose narrate e per quel suo parlar familiare, come di padre che racconta ai figliuoli le glorie domestiche, fece un effetto magico sull'animo di tutti coloro che la udirono, infiammandoli d'entusiasmo.

 

                Saputosi del ritorno, molte ragguardevoli persone vennero a trovare Don Bosco. Non erano sempre visite di mera convenienza; così almeno si arguisce da alcune svoltesi in presenza di confratelli. Il giorno A monsignor Durio, canonico di Novara, uomo di lettere e in voce di liberaleggiante, comparve sul finire del pranzo e, secondo il solito di chi arrivava a quell'ora, fu ricevuto nel refettorio; s'intrattenne [226] assai col Beato, passeggiando sotto i portici. Un po' più tardi giunse il Vescovo di Susa, che stette a colloquio col Servo di Dio per ben tre ore. Dovevano essere affari grossi, perchè Don Bosco soleva essere spiccio nel disbrigo delle faccende, si trattasse di prendere deliberazioni o di dare consigli. Questo fece sì che, nonostante la promessa di qualche visita in città e il bisogno di trattare qualche negozio, vi dovette per quella sera rinunziare.

 

                Anche il 19, finitosi di pranzare, si presentò il professor Bacchialoni; della Regia Università, molto intimo del Beato. Durante l'assenza di Don Bosco aveva cessato di vivere la tanto benemerita signora Eurosia Monti, lasciando buona parte del suo all'Oratorio e nominando il Bacchialoni esecutore testamentario. Chi non si sarebbe aspettato che Don Bosco gli desse con premura udienza? Invece, preso insieme il caffè, si mise a parlare con lui e con tutti i presenti della Patagonia e della contentezza del Papa per quelle Missioni, ingolfandosi a dire di geografia, di posizione astronomica, di condizioni fisiche, di storia della scoperta, dì tentativi missionari, di abitanti e dei loro usi e costumi, di suoi disegni, tirandola in lungo per quasi un'ora e con gran lusso di particolari, come se non avesse fatto mai altro che occuparsi di studi patagonici. Può ben darsi che quel signore supponesse Don Bosco ansioso di conoscere il testamento, anche per le sorprese ivi apparse all'ultima ora e a Don Bosco notificate; ma in tale ipotesi il professore ebbe agio di accorgersi, se pure non n'era già persuaso, quanto il Servo di Dio avesse il cuore distaccato dai beni della terra.

 

                Il cronista a ciò non bada; ma in compenso ci regala questa osservazione: “Il mirabile si è che quando il signor D. Bosco vuol fare una cosa, sembra che non abbia altro da fare, mentre ne ha mille; e quella cosa scruta, indaga, investiga, ne parla, sente i pareri, aggiunge alle cognizioni sue le altrui. In ricreazione non discorre d'altro, anche per far penetrare le sue idee e rendere insieme la conversazione [227] animata e utile... Eppure, appena si trova nel suo studio, lascia affatto da parte l'idea dominante che lo occupava poco prima e dà corso tranquillamente a cent'altri affari diversi”.

 

                Terminato che fu il tempo della ricreazione, restò solo col professore, che soltanto allora potè ragionare dell'imbroglio, per cui era venuto. Nota di nuovo il cronista: “Don Bosco vuole che a lui facciano capo tutte le cose. Nessuno de' suoi preti eccetto un po' Don Rua, s'immischia mai negli affari”.

 

                Alle 6 pomeridiane uscì la prima volta dall'Oratorio per andar a visitare la contessa Callori convalescente; ma non vi andò solo. Secondochè era solito fare, quando voleva parlare posatamente con qualcuno della casa, chiamò seco il coadiutore Pelazza, capo della tipografia, e il coadiutore Barale, capo della libreria e così andando confabulò con essi di cose editoriali. Egli ripigliava a poco a poco nell'Oratorio i suoi contatti individuali di confessore, di padre, dì amico, interrotti per l'assenza e non sostituibili con nulla e da nessuno.

 

 

CAPO VII. Nella novena e festa di Maria Santissima Ausiliatrice.

 

                LA novena di Maria Ausiliatrice era predicata da Don Fogliano, piissimo Sacerdote biellese, che piaceva molto anche a Don Bosco. Stimolati dalla curiosità di sapere quali fossero le doti che il Beato encomiava tanto nel predicatore, ci facemmo a parlare di Don Fogliano col compianto padre Caracciolo, superiore dei Filippini torinesi. Uditone appena il nome e senza conoscere ancora lo scopo di chi glie l'aveva proferito: - Oh, Don Fogliano! esclamò. Lo ricordo, lo ricordo! Io da giovane lo udii a predicare e stetti ad ascoltarlo con molto piacere, perchè esponeva chiaramente la dottrina, portava esempi adatti e narrati con abilità, e parlava con gran calma, come Don Bosco. - Era questo appunto il metodo di predicazione voluto dal Beato.

 

                Un giorno, discorrendo di quelle prediche, Don Bosco si mostrò assai contento, anche perchè vi entrava sempre il racconto di qualche grazia ottenuta per intercessione di Maria Ausiliatrice. Al qual proposito disse che a Roma, entrando casualmente in una chiesa, mentre ivi la predica volgeva al termine, aveva udito il predicatore nominare Don Bosco, e narrare uno dei fatti pubblicati nel suo libro Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie. - Qui in Torino, osservò Don Barberis, si parla poco di questi fatti, che si possono dire nostri; eppure mi parrebbe conveniente che [229] se ne dicesse molto, parlando e predicando. Abbiamo un tesoro e non si mette in vista. - Altro che mettere in vista! Quell'opuscolo doveva suscitare la tempesta descritta nel capo diciannovesimo del volume undecimo. Poichè il fatto narrato dal predicatore romano appartiene alla biografia di Don Bosco, è opportuno esporlo ora che se ne offre il destro.

 

                Si presentò a Don Bosco un medico valente nell'arte sua, ma incredulo, e gli disse:

 

                - Sento che lei guarisce da ogni genere di malattie.

 

                - Io? No!

 

                - Eppure me l'hanno assicurato, citandomi anche il nome delle persone e il genere di malattia.

 

                - L'hanno ingannata. Si presentano, sì, da me persone desiderose di ottenere simili grazie per sè o per i loro conoscenti, ad intercessione di Maria Ausiliatrice, facendo tridui o novene o preghiere, con qualche promessa da compiersi se otterranno la grazia; ma in questi casi le guarigioni avvengono per opera di Maria Ausiliatrice, e non certamente per virtù mia.

 

                - Ebbene, guarisca anche me, e crederò io pure a questi miracoli.

 

                - Da qual malattia la S. V. è travagliata?

                Il dottore era affetto da mal caduco. Gli assalti da un anno si succedevano così frequenti, che egli non si peritava a uscire senz'essere accompagnato. Le cure a nulla valevano. Sentendosi deperire ogni giorno più, veniva da Don Bosco, nella speranza di ottenere finalmente la tanto sospirata guarigione.

 

                - Ebbene, gli disse Don Bosco, faccia anche lei come gli altri. Si metta qui in ginocchio, reciti con me alcune preghiere, si disponga a mondare l'anima coi sacramenti della confessione e della comunione, e vedrà che la Madonna la consolerà.

 

                - Mi comandi altro, perchè quel che mi dice non lo posso fare. [230]

                - Perchè?

 

                - Perchè sarebbe per me un'ipocrisia. Io non credo nè a Dio, nè a Madonna, nè a preghiere, nè a miracoli.

                Don Bosco rimase costernato. Pure, tanto fece che, mercè la grazia divina, il miscredente s'inginocchiò, fece il segno della croce e poi alzandosi disse: - Mi stupisco di saper fare ancora questo segno, che da quarant'anni non faccio più. - Promise inoltre che si sarebbe preparato a confessarsi.

 

                E mantenne la parola. Appena confessato, ebbe la sensazione di essere guarito. Infatti non fu mai più colto da accessi epilettici, mentre prima, a detta de' suoi familiari, quelli erano così frequenti e terribili da far sempre temere qualche brutto caso. Un po' di tempo dopo venne alla chiesa di Maria Ausiliatrice, si. accostò alla sacra mensa, nè volle nascondere la sua soddisfazione per essere stato ricondotto in tal modo dall'incredulità alla fede.

 

                Nella sera prima del triduo Don Bosco, avendo confessato lungamente, andò a cena tardi. La sua, nota qui il cronista, era “una specie di cena” che per lo più consisteva “nel mangiare una scodella di minestra e bere un mezzo bicchiere di vino”. S'intrattenne quindi fin verso le undici e mezza a discorrere della gran festa vicina e della Patagonia.

 

                Nel primo giorno del triduo, domenica, vi fu una doppia allegria; in un col Patrocinio di san Giuseppe, la cui solennità esteriore, come si disse, era stata rimandata, si festeggiò pure il ritorno di Don Bosco. Al pranzo, preparato nella biblioteca, intervennero, oltre i capi d'arte, anche parecchi invitati, fra i quali i professori Pechenino, Terreno, Allievo, Lanfranchi e Bacchialoni. “Fan molto del bene, nota la cronaca, questi pranzi di famiglia”. S'imbandivano con relativa frequenza appunto perchè giovavano tanto a tener affezionati alla casa personaggi distinti, massime ecclesiastici e professori. Per questi ultimi si facevano speciali inviti, quando si trattava di scegliere gli autori per la Biblioteca della gioventù [231] italiana. Tali pranzi erano preparati senza grettezza, sicchè, pur senza sfarzo o dispendio, i convitati partivano soddisfatti.

 

                In quella sera Don Bosco presiedette all'accademia degli artigiani, rimandata anche quella perchè si desiderava la presenza del caro Padre. Intercalati a musiche e poesie piacquero molto alcuni bei dialoghi, nei quali gl'interlocutori rappresentavano i diversi mestieri. Cominciarono i calzolai. Venne uno con un paio di scarpe rotte in mano, e s'incontrò con un altro, che ne portava un paio di nuove. Si salutano; poi il primo, interrogato, spiega come si fa a rattoppare le scarpe, usando gli acconci termini italiani. Indi costui osserva le scarpe nuove e chiede spiegazioni, a cui si risponde allo stesso modo, finchè, manco male, arriva un terzo a rendere più vivo e lepido il dialogo, portandolo alla conclusione. Un secondo gruppo figurava i sarti, un terzo i fabbri ferrai e così via. L'elemento morale dava l'intonazione a ogni dialogo, dove il pigro si decideva a lavorar molto o il negligente a fare più attenzione o il chiacchierino a essere più moderato nel parlare. Sentimenti cristiani sbocciavano qua e là a infiorare il discorso, come per esempio: - Eh, vedi! San Giuseppe, quando fuggì in Egitto, dovè patire ben più di te. - San Giuseppe nella sua bottega quanto doveva faticare! - Gesù obbediva, oh! quanto più prontamente di noi, a san Giuseppe. - La finale era sempre una preghiera al Santo, detta in ginocchio davanti alla sua immagine.

 

                Don Bosco rimase così soddisfatto, che nel suo discorsetto di chiusa disse, come raramente diceva: - Vorrei che di queste accademie con simili dialoghi se ne facessero tutti i giorni. Io, potendo, verrei ad assistervi ogni volta. Ne sono tanto contento che nulla più. Fatene, fatene ancora, chè io mi procurerò il piacere di trovarmi fra voi. - Indi raccomandò a Don Lazzero che quei dialoghi fossero conservati, per ripeterli altre volte.

 

                Nello stesso giorno gli toccò un disappunto. Desideroso [232] di avere nell'Oratorio i giovani di Alassio per la festa di Maria Ausiliatrice, aveva scritto al Direttore generale delle Ferrovie dell'Alta Italia, pregandolo di accordare per l'andata e per il ritorno un ribasso del settantacinque per cento; ma la risposta fu negativa, perchè godevano già del cinquanta e ciò doveva bastare.

 

                Le condizioni della Chiesa e del Papa si facevano ognor più dure in Italia, sicchè i buoni sentivano il bisogno di raddoppiare le preghiere a Maria Santissima per implorarne il valido aiuto. Onde nel '76 il cardinal Patrizi, Vicario di Sua Santità in Roma, con speciale Invito sacro eccitò i fedeli a fare con fervore il triduo e la festa di Maria Ausiliatrice nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, ufficiata dai Domenicani. Descritte le aberrazioni degli empi, si rivolgeva a “quei Romani” che erano “veri cattolici nella fede e nelle opere” dicendo loro: “Ecco per noi opportunità di pregare e pentirsi, implorando l'aiuto di Maria Santissima, di cui è prossima la ricorrenza festiva del titolo Auxilium Christianorum. Questa circostanza ci ricorda il di lei patrocinio mai venuto meno alla Chiesa ed al Pontificato Romano”. Enumerate quindi le pie pratiche del triduo e pubblicate le speciali indulgenze concesse dal Santo Padre, conchiudeva: “Sia questa preghiera una tenue riparazione almeno alle gravissime ingiurie e bestemmie che con orrore di tutti giornalmente si scagliano contro Maria Santissima”.

 

                Nelle memorie del tempo troviamo un altro documento, firmato dal marchese Andrea Lezzani e recante la data in questa forma: “Roma, nel giorno 24 maggio, sacro a Maria Immacolata sotto il titolo di Ausilio dei Cristiani. 1876”. Era un indirizzo, con cui la gioventù cattolica romana proponeva a tutti i cattolici italiani di festeggiare ai 17 di gennaio del 1877 il quinto centenario del ritorno dei Pontefici da Avignone, Anche l'Unità Cattolica, araldo dei cattolici italiani, aveva un appello sul medesimo tono, ricordando come in sì “bel giorno” per tutto il mondo cattolico si rinnovasse [233] la gioia provata dai Romani, quando il 24 maggio del 1814 il Papa Pio VII “dopo cinque anni di prigionia” era ritornato “nella sua Roma Pontefice e Re”.

 

                A Torino la ricorrenza diveniva ogni anno più popolare, celebrandosi con crescente ardore di fede e di pietà. Il Beato nel triduo vedeva un'affluenza straordinaria di popolo. Molti si presentavano in sacrestia per avere la benedizione di Don Bosco, dicevano essi comunemente: per ricevere, diceva lui, la benedizione di Maria Ausiliatrice. A Maria Ausiliatrice chi rendeva grazie per favori ottenuti, chi faceva suppliche per favori che sperava di ricevere, e quanti erano esauditi! In due fascicoli delle Letture Cattoliche, uno del maggio 1877 e l'altro del maggio 1878 si leggono ben cinquantanove relazioni di grazie ricevute nel '76; ma quante altre vi furono che non si trovano ivi registrate!

 

                Ne narreremo una di quelle, in cui ebbe parte il Beato. Durante il mese di maggio un signor Mazzucco di Torino, vecchio di ottantadue anni, ammalò sì gravemente, che il medico ne dichiarò impossibile la guarigione. La figlia Marcellina nella sua angosciosa afflizione si recò alla chiesa di Maria Ausiliatrice, pregò la Madonna e invocò da Don Bosco una benedizione per il padre. Don Bosco accondiscese di buon grado alla sua domanda e nel licenziarla le disse: - Io benedico lei per il padre. Ella da oggi alla festa del Corpus Domini reciti ogni giorno tre Pater, Ave e Gloria in onore del Santissimo Sacramento e una Salve Regina alla Beatissima Vergine; poi stia certa che la Madonna le otterrà la grazia.

                La figlia tornò a casa contenta; ma, siccome il sospirato miglioramento non si vedeva, si ripresentò tutta dolente a Don Bosco, il quale le rispose: - Ma non è mica terminato ancora il tempo delle nostre preghiere; vi è ancora la novena del Corpus Domini, che incomincia oggi soltanto. Preghiamo dunque con fervore e speranza. Confidi; poi lasci fare alla Madonna. - Com'egli aveva annunziato, così avvenne: [234] la mattina del Corpus Domini il vecchio si trovò perfettamente guarito.

 

                Nell'Oratorio si era, come dicevasi in gergo domestico, a Terracina, cioè nelle maggiori strettezze finanziarie. Don Bosco da un mese e mezzo non aveva limosinato per Torino, nè a Roma aveva avuto tempo o creduto bene questuare. Eppure toccava a lui provvedere. Ricominciò le sue uscite la mattina dell'antivigilia: verso le dieci venne a prenderlo con la carrozza il barone Bianco di Barbanìa. Bel tipo di gentiluomo questo barone! Uno dei più nobili signori piemontesi, alto di statura e aitante della persona, dal carattere gioviale e franco, senza pelo sulla lingua, con chiunque avesse da trattare, nutriva la più schietta amicizia per Don Bosco. Quella mattina non condusse certamente a spasso il Beato, che ritornò soltanto a sera, e non a mani vuote.

 

                Chi potrebbe descrivere l'animazione crescente in casa per l'approssimarsi della gran festa? La musica vocale e strumentale prolungava le sue prove anche di notte. I maestri di cerimonie esercitavano il piccolo clero nelle ore di ricreazione, e in altri tempi addestravano lo stuolo numeroso dei chierici a eseguire bene le loro parti nelle sacre funzioni. Segretari improvvisati scrivevano indirizzi su buste contenenti lettere d'invito, che si spedivano in gran numero a persone ragguardevoli ed a benefattori. Poi un andare e venire d'imbianchini, di operai del gas, di addobbatori della chiesa, di falegnami che. allestivano banchi di beneficenza. Don Rua radunò ripetute volte a conferenza i Superiori dell'Oratorio, per predisporre tutto in modo da evitare disordini. Avverte la cronaca: “Sempre, quando si ha da fare qualche festa o qualcosa d'importanza, ci raduniamo a capitolo od a conferenza che si voglia chiamare”. A tali sedute s'invitavano pure quei coadiutori che avevano competenze e incombenze notevoli.

 

                Dopo il fin qui detto non è necessario aggiungere che alla vigilia l'allegrezza dei giovani rasentava la frenesia. Quella [235] sera ci doveva essere lectio brevis: ma la si potè fare a mala pena brevissima. Arrivavano Direttori e rappresentanti dai collegi; ci vennero anche monsignor Masnini, segretario del vescovo di Casale, e il console Gazzolo, giunto di fresco dall'America. La vista di molti preti secolari e la notizia di alcuni signori svizzeri venuti unicamente per fare le loro divozioni nella chiesa di Maria Ausiliatrice, fece scrivere al buon cronista: “Non mi stupirei che in pochi anni [questa chiesa] divenisse centro di grandi pellegrinaggi”.

 

                Il Servo di Dio diede udienza a una folla di persone, senza potersene sbrigare prima dell'una pomeridiana. Allora un telegramma da Genova lo avvisò che due nobilissime matrone sarebbero giunte alle due e avrebbero fatto pranzo nell'Oratorio. Egli le aspettò, sempre tranquillo e affabilissimo.

 

                A cena andò, quando ebbe finito di confessare, cioè molto tardi. Là, il Gazzolo l'aspettava al varco. Il console argentino aveva letto nell'Unità Cattolica la corrispondeza dei Missionari; aveva tenuto dietro anche ad altre pubblicazioni analoghe; ma n'era rimasto male e sentiva il bisogno di uno sfogo. Poco, troppo poco si era fatta menzione di lui! Erasene già aperto con Don Francesia; ma non gli bastava. Don Bosco appena lo vide, si scoprì il capo, lo abbracciò, lo baciò. Quando mai di proprio moto egli si effondeva in tali dimostrazioni? Poi, fattoselo sedere vicino, lo nominò con i titoli più graziosi, attribuendo a lui tutto il merito dell'impresa tanto felicemente riuscita e, quantunque stanco da non si dire, protrasse la conversazione per oltre un'ora. Don Bosco non voleva che alcuno mai si partisse da lui con un stilla di amarezza nel cuore.

 

                Nel dì della festa cominciarono per tempissimo le messe e le comunioni, durate fin verso le dieci. Alla messa della comunione generale intervennero anche i giovani di Valsalice. La musica, osserva la cronaca, “fu più quieta che negli anni scorsi, ma fu eseguita anche con maggior precisione”. [236] La scuola tirata su da Don Cagliero si fece onore anche nell'assenza del maestro, tanto bene egli aveva saputo addestrare gli allievi e prepararsi in Dogliani un bravo sostituto. Notevole ciò che si legge nell'Invito sacro: “Nell'Inno l'autore ebbe in mira di rappresentare con note musicali la famosa battaglia vinta dai Cristiani a Lepanto per l'aiuto di Maria Ausiliatrice”. Infatti quella drammatica esecuzione si denominò senz'altro dal popolo la battaglia di Lepanto. Era lo stile della musica sacra d'allora. Tutta la stessa musica fu ripetuta il 25, festa dell'Ascensione, con un concorso di gente ancor maggiore e con poco minor numero di comunioni, essendo giorno festivo.

 

                Don Bosco, appena terminata la sua messa, fu circondato da una cinquantina di persone che volevano essere benedette e lo trattennero per un'ora e mezza. Stanco qual era per gli strapazzi dei giorni antecedenti, quando fu libero, non ne poteva proprio più e stentava persino a parlare; ma procedeva grave e sereno. Chi durante quei giorni l'osservò da presso, non potè contenere l'ammirazione destatagli dal vedere com'egli sapesse prender parte a tutti i discorsi, tenerli vivi e animati e, quel che è più, volgere a cose buone anche argomenti frivoli, maestro sempre nell'arte di piegare a suo senno qualsiasi conversazione. I suoi racconti sembravano i più spontanei e suggeriti solo dalle parole altrui, mentr'erano voluti a bello studio per incarnare le idee ch'ei desiderava imprimere profondamente nell'animo di chi ascoltava. Nessuno se n'accorgeva, rivelandosi anche in questa sua destrezza l'antico prestigiatore, che possedeva il segreto di attrarre e dominare gli spiriti per produrre in essi effetti salutari.

 

                La solenne giornata però non trascorse senza nube. Nelle funzioni del mattino aveva celebrato il suddetto monsignor Masnini. Si era 'fatto invito all'Arcivescovo, ma ricusò; gli si era chiesto il permesso d'invitare qualche altro Vescovo, ma negò. Il popolo per altro, che nulla seppe e [237] nulla potè sospettare, non avvertì nemmeno l'assenza di un Vescovo, perchè il celebrante, vestendo l'abito paonazzo e usando la bugia, fu bonamente creduto Vescovo. Ma la cosa non passò liscia; infatti, ecco un fulmineo divieto che si ripetesse quell'intervento del prelato nei vespri. L'indomani poi arrivò al “Signor Prefetto alla Casa dell'Oratorio di D. Bosco” una lettera, in cui si diceva: “S. E. Rev. Monsignore Arcivescovo mi incarica di avvertire la S. V. molto Rev. del vivo dispiacere che prova nel sapere che ieri nella Chiesa di Maria Ausiliatrice si è lasciato celebrare solennemente un Sacerdote straniero, e di più con distintivi prelatizi, senza prima averne ottenuto esplicita licenza da esso Monsignor Arcivescovo, siccome era necessario per non offendere le leggi ecclesiastiche; e ciò tanto più in quanto è contro il costume costante di quest'Archidiocesi, che un ecclesiastico, non vescovo, usi nella celebrazione dei sacri riti, Solenni o non Solenni alcuni dei distintivi prelatizi, siccome consta dal fatto di varii sacerdoti di quest'Archidiocesi insigniti del titolo di Monsignore, e più o meno degli onori annessi a siffatto titolo, e non ne usano mai perchè loro manca il permesso dell'Arcivescovo. Monsignore perciò ricorda a V. S. e a' suoi confratelli [che] melior est obedientia quam victimae: Rg. 1,15: e spera che da questo istante in poi non avrà più da muovere a V. S. tale lagnanza”. Per dire tutto quello che si riferisce a questa vertenza, dobbiamo ancora aggiungere che monsignor Santo Masnini, in ossequio all'autorità, si era presentato per chiedere il permesso, ma non aveva ottenuta udienza[87].

 

                Con questo documento farà il paio un'ordinanza del 2 giugno, nella quale s'ingiungerà a Don Bosco “che nessuno dei neosacerdoti membri di questa Congregazione [Salesiana] e domiciliato nelle sue Case, sia licenziato a celebrare nè la prima Messa, nè le seguenti, almeno per quindici giorni, in alcuna delle parrocchie dell'Archidiocesi torinese”. [238]

                Mentre Don Bosco riceveva questi “fastidi” l'Ordinario torinese veniva pregato da un Vescovo meridionale di dargli in suo nome un segno di stima. Era il Vescovo di S. Agata dei Goti, che, avendo inteso dal Vescovo di Castellammare “d'un compendio di Storia Ecclesiastica dato alla luce dall'egregio Sacerdote D. Giovanni Bosco”, nè conoscendo l'indirizzo “del detto zelante Sacerdote”, pregava il suo Arcivescovo di ordinargli la spedizione per allora di almeno venti copie; essere poi sua intenzione d'invogliare il suo giovane clero a leggerla e a diffonderla nella sua diocesi. L'Arcivescovo eseguì puntualmente la commissione per mezzo del suo segretario.

 

                Il fervore di pietà che tutti infiammava durante la novena di Maria Ausiliatrice influì salutarmente sull'animo di un protestante, ospite dell'Oratorio, maturandone il desiderio di conversione. La sua storia non è priva d'interesse, anche perchè ci dà modo di conoscere un lato nuovo del multiforme zelo di Don Bosco.

 

                Guglielmo Hudson, nato da genitori protestanti e allevato nel calvinismo, si recò nella Svizzera per istudiarvi lingue moderne. Toccava i vent'anni. Le accuse che vi udiva continuamente contro il cattolicismo, svegliarono in lui la curiosità di conoscere un po' addentro la dottrina cattolica. Quanto più vi studiava, tanto più forti lo assalivano le incertezze sul valore del protestantesimo. Dio nella sua bontà fece sì che contraesse amicizia con un fervente cattolico, al quale confidò le sue titubanze religiose, manifestandogli anche l'intenzione di vedere la pratica del cattolicismo in Italia. Vi cercarono pertanto una famiglia, in cui egli potesse entrare come precettore; ma scrivi qua scrivi là, non si veniva a capo di niente. L'amico gli parlò allora di Don Bosco, dicendogli che sarebbe stato da lui facilmente accolto. Scrisse, domandò le condizioni, partì, entrò nell'Oratorio. Qui la grazia di Dio lo aspettava.

 

                Non sùbita però fu la vittoria; anzi dopo le prime due [239] settimane di buon volere, egli ricadde nella sua indifferenza. Dimentico della causa per cui era venuto all'Oratorio, e contentandosi di trovarvici unicamente per apprendere un'altra lingua, s'immerse nello studio dell'italiano senza darsi più pensiero di religione. Don Bosco però che l'aveva studiato da vicino, ne sperava bene, pur evitando di precipitare le cose. Parlandone il 28 marzo con Don Bologna, prefetto esterno, gli disse: “Io gli ho parlato chiaro, dicendogli che qui nessuno lo costringeva a mutar religione e che gli avremmo usata ogni carità,, qualunque fosse la sua decisione; che, facendosi cattolico, l'avremmo considerato come fratello e nulla gli sarebbe mancato, finchè stesse con noi; ma che, come avevo già detto ad altri, così ripeteva a lui: se fosse uscito dall'Oratorio, io non mi obbligava a nulla, assolutamente a nulla. E ciò gli diceva, perchè poi non si lamentasse che i cattolici l'avessero abbandonato: in questo caso egli stesso avrebbe fatto la sua scelta e sarebbe ritornato nella condizione di prima. Il giovane ascoltò le mie ragioni e mi rispose in modo che fui pienamente soddisfatto. Ora tu, Bologna, stagli dietro, perchè studi bene il catechismo e sia assiduo alle preghiere che si fanno in comune, e dàgli quelle spiegazioni che domanderà.

                I fatti diedero ragione a Don Bosco: la divina grazia scosse il giovane dal suo letargo ed egli si arrese. Ciò fu un mattino della novena. Se ne stava egli da solo in un scuola, esercitandosi nel violino, quando i suoi occhi s'incontrarono in. una statua di Maria Ausiliatrice, posta sopra un piccolo trono. L'aveva vista altre volte, ma senza badarvi; allora invece nuovi pensieri gli si affollarono alla mente. Dubbio e certezza, fede e incredulità si alternavano incalzandosi nel suo spirito agitato, finchè si fece questa domanda: Ma perchè tanto amore, tanta divozione, tante preghiere, tante prediche, tanti libri, tanti voti per Maria Santissima? Per più giorni prega, medita: sempre più attraente gli appare la pietà verso la Vergine dalla quale gli sembra di sentirsi [240] invitato e quasi spinto a farsi cattolico e suo divoto. Finalmente va da Don Bosco, gli palesa il suo stato d'animo e gli manifesta la sua intenzione di essere battezzato quando che sia. Il consenso non si fece aspettare. Allora si preparò con tutta serietà, finchè il giorno sospirato venne. Monsignor Gastaldi con apposito rescritto accordò a Don Bosco le necessarie facoltà[88]. Il neofito, ricevuto il santo battesimo ai 4 di giugno, scrisse: “Oggi, oggi stesso furono cancellati tutti i miei falli passati; oggi fui rinnovato nelle acque del santo battesimo, e reso forte e coraggioso, pronto a palesare la mia fronte serena ed intrepida a tutti gli infedeli, scismatici, eretici e pagani che mi affronteranno. Oggi Maria Vergine mi riconobbe per suo figlio, oggi ho promesso di amarla e invocarla quale madre mia tenerissima; oggi io ricevetti il suo Gesù ed ho promesso di seguirlo in mezzo a qualunque pericolo. Colla grazia di Dio starò fermo nella cattolica fede, stretto al Vicario di Gesù Cristo, l'infallibile Pio IX, e scelgo piuttosto la più crudele delle morti che allontanarmi menomamente dalle promesse fatte quest'oggi”[89].

 

                Nè fu fuoco di paglia. Recatosi in America e fattasi ivi una bella posizione, volle entrare come professore di letteratura inglese in un collegio cattolico irlandese; al qual uopo gli bisognava un certificato della sua conversione al cattolicismo. Ne fece richiesta per mezzo di un suo zio, il quale, scrivendo il 17 novembre 1892 a Don Rua da Brunswick, ricordava come “sotto la direzione del santo D. Giovanni Bosco” si fosse suo nipote “convertito al cattolicismo senza persuasione di nessun prete ovvero religioso”, ma dopo aver avuta “una visione”.

 

                I casi di protestanti che venivano all'Oratorio per convertirsi non erano tanto rari; e sebbene non tutti ritornassero all'ovile, pure ne riportavano sempre del bene. Quest'argomento di protestanti e di conversioni c'induce a mettere qui [241] un piccolo particolare che giova alla conoscenza dello spirito di Don Bosco. Un protestante di Firenze sul finire di marzo chiese di far l'abiura nell'Oratorio e di ivi fermarsi; ma il tono della lettera dava luogo a temere che egli agisse per interesse, nascondendo qualche inganno. Per questo motivo Don Rua, incaricato di rispondergli, usò un linguaggio un po' forte. Il protestante riscrisse al Beato in termini risentiti e assicurandolo del suo buon volere. Allora Don Bosco, passeggiando con Don Rua nel refettorio dopo pranzo, espresso il suo avviso su diversi affari, gli disse: - A coloro che sono novizi in cose di religione e incapaci di fare un atto di virtù quando vengono un po' offesi, bisogna rispondere sempre benignamente, anche se si teme con fondamento che abbiano secondi fini o che vogliano ingannare.- Poi tracciò per intero una lettera da scrivergli, nel che era mirabile: ogni volta che ordinava di scrivere a qualche personaggio, indicava su due piedi i concetti, il modo di svolgerli e perfino le espressioni.

 

                Spenti gli echi della festa, riassettate le cose e ritornata nell'Oratorio la regolarità, Don Rua, secondo l'usanza, chiamò a raccolta tutti coloro che erano stati alla direzione del movimento, perchè ciascuno esponesse gl'inconvenienti notati e suggerisse i rimedi per l'avvenire. Se ne compilò al solito un succinto verbale, perchè fosse poi letto nel maggio del 1877.

 

                Basterebbe questa particolarità per chiudere la bocca a chi, guardando le cose dal di fuori e scorgendo metodi così diversi dai consueti, blaterava di disordine. Moto, agitazione anche, ma sempre sotto l'occhio vigile di Superiori intelligenti, zelanti ed amati, che dominavano quell'apparente turbinìo, regolando le allegrezze e prevenendo le baldorie. Delle osservazioni messe a verbale riportiamo queste due sole: “3° Per la chiesa conviene studiare il modo che i giovani siano assistiti classe per classe e che a dar i posti alla vigilia sia presente qualche superiore. 4° D. Bosco dimostrò desiderio [242] che si lasciassero andar i forestieri in sacrestia, in coro, in modo che ogni parte fosse ripiena di gente”.

 

                Ancora una cosa. Don Bonetti da Borgo S. Martino, il paese delle fragole, aveva mandato a Don Bosco per la festa di Maria Ausiliatrice un presente di questo dolce e profumato frutto della stagione: il qual invio divenne poi tradizionale e si continua tuttora dai direttori di quel collegio. Il Beato ne lo ringraziò con una lettera, nella quale, profittando dell'occasione, disse una buona parola a tutti e infine diede un'ultima e importante notizia della cara festa.

 

                Car.mo D. Bonetti,

 

                Va bene la tua lettera. Le fragole in piccola quantità tornarono più gustose; ma grande ne fu il significato. Vedremo. Il ch. Anzini[90] mi scrisse; digli che faccia pure come scrisse ed io ne sarò assai contento, perchè diventerà presto operatore di miracoli. Fagli un saluto da parte mia.

 

                In giugno spero di fare una gita per trattenermi, almeno per alcuni giorni, co' miei cari figli di S. Martino, di cui ho tanto parlato col S. Padre e con cui spero potermi consolare; perchè sono persuaso, da quanto mi dici, che li troverò metà santi e metà per la via di esserlo.

 

                Ti dico però che la mia più consolante notizia è quella che mi partecipa esservi dei nostri giovani studiosi e virtuosi.

 

                Intanto dirai al mio amico Adamo[91] che il tempo dei zuccotti si avvicina ed appena egli possa conciarmene qualche piatto me lo scriva e andrò subito a vedervi.

 

                A Tamietti, che non sono contento di lui finchè non abbia acquistati tre S[92], ma tutti maiuscoli. Salutalo caramente.

 

                A tutti i preti, chierici, assistenti, ecc. auguro i doni dello Spirito Santo[93], specialmente la fortezza. [243] A quei della 4a e 5a ginnasiale di' loro che porto molta affezione: sono contento delle buone notizie che di loro mi furono comunicate, farò loro un regalo, e desidero di fare con ciascuno una conferenza intorno alla propria vocazione.

 

                Agli altri allievi auguro che diventino tutti ricchi, ma, sono parole di Pio IX, delle vere ricchezze del Santo Timor di Dio.

 

                Io scrivo in breve, tu aggiungerai quello che manca per completare i miei pensieri. La festa di Maria Ausiliatrice fu splendidissima; succedettero non pochi miracoli: che se D. Giulitto[94] non racconta, racconterò poi io stesso. Abbiamo anche pregato per te, per le suore e per tutto il collegio. Amen.

 

                Una delle grazie straordinarie fu la guarigione repentina della novizia Laurentoni in Mornese[95].

 

                Dio ci benedica tutti e pregate per me che ti sono in G C.

                Torino, 26-5-1876]

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

 

CAPO VIII. Modi e linguaggio dei Beato in alcuni incontri.

 

                L' “ALCUNI” del titolo importa un limite, che non dobbiamo lasciare così indefinito. Questo termine restrittivo sta dunque a segnare determinati confini di tempo; giacchè noi, sostanzialmente fedeli al sistema cronologico del primo biografo, ci proponiamo ora di cogliere alla spicciolata tra il febbraio e il giugno del '76, certi episodi d'incontri, meritevoli di venir segnalati in una storia piuttosto minuta qual è la nostra.

 

                Fra le qualità che si ammiravano nel conversare di Don Bosco una era la sua straordinaria destrezza a spingere il discorso su cose di spirituale utilità e un'altra la sua franca disinvoltura in dire certe verità un po' ostiche senza attirarsi l'odio che le suole accompagnare.

 

                Ne diede bella prova il 19 febbraio. Costumava egli una volta all'anno andare a pranzo da due vecchie zitelle Bonnié, abitanti in Torino. Vi andò quel giorno, facendosi accompagnare da Don Rua e da Don Barberis. Al levare delle mense vennero a visitare le due sorelle certi lontani parenti, che con esse non se la intendevano nè punto nè poco in fatto di religione: certi signori Tovaglia, marito e moglie, ricchissimi e senza prole, ma che non davano mai un soldo per elemosina e avevano una mal celata antipatia per le cose di chiesa. Introdotti che furono nel salotto, non tardò a entrarvi [245] anche Don Bosco, seguito dai suoi due compagni. Fatti i primi convenevoli, venne bel bello a parlare di un signor Turletti, persona al Tovaglia notissima.

 

                - Questo è veramente un buon signore! esclamò il Beato.

 

                - Sì, certamente, rispose l'altro. E’ ben raro trovare famiglie come la sua in questi tempi.

 

                - E' davvero cosa consolante incontrare ancora tali famiglie e di tanta pietà. Egli frequenta la chiesa, si accosta ai sacramenti, va a predica, nonostante i molti affari che ha.

 

                - E anche in casa, proseguì il signor Tovaglia, è affabile con tutti: riceve tutti cortesemente e se può fare un piacere ad alcuno, lo fa.

 

                - E poi, rincalzò Don Bosco, ciò che il Signore dice nel Santo Vangelo: Quod superest, date pauperibus, lo pratica fino allo scrupolo. E sì che ha famiglia numerosa e non è poi mica il re da denari! Come quando stava ancora a Firenze, così adesso, appena ha un po' di denaro, viene a visitarmi nell'Oratorio e: Don Bosco, mi dice una volta, ella si troverà in bisogno, ora che si avvicina l'inverno: dovrà comprare calze per i suoi ragazzi; prenda, ne compri qualche dozzina a mio conto. Avrà bisogno, mi dice un'altra volta, di provvedere camice; prenda, ne compri qualche dozzina a mio conto. Pare che la stagione si faccia molto cruda quest'anno, torna a dirmi; ella avrà bisogno di comprare maglie per coprire bene i suoi giovani: prenda, ne comprerà anche alcune a mio conto. Così di tanto in tanto me lo vedo là con qualche offerta. Io una volta temetti che facesse troppo e che lasciasse poi mancare il necessario alla sua famiglia, e gli dissi che, nonostante il mio gran bisogno, egli procurasse di non eccedere nel farmi elemosina. Oh, bravo Don Bosco! mi rispose. Solamente lei con i suoi si vuol guadagnare il paradiso? Se non faccio così, come praticherò quel che dice Gesù Cristo: Quod superest, date pauperibus ? Io gli osservai essere questo solo un consiglio, non un precetto. Sia consiglio, sia precetto, insistette egli, io so che con quelle parole del [246] Signore: E’ più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco si salvi, non si burla. Io voglio salvarmi; perciò ho bisogno di staccare sempre più il mio cuore dalle cose di questa terra. Purtroppo io vedo bene che, chi si perde in calcoli per sè, trova sempre di dover spendere a suo pro e nulla mai gli resta di superfluo per gli altri. Quanto più si è ricchi, tanto più si crede necessario spendere per mantenere il proprio grado, per il presente e per l'avvenire, sempre c'è da fare or qua or là. Ma tutti questi bisogni sono pretesti che vengono dall'aver il cuore attaccato alle ricchezze. A simili osservazioni io non replicai più, ma riconobbi sempre in lui l'uomo dal cuore grande e bene istruito nelle cose di religione.

 

                - Sicuro, sicuro! Da giovane egli aveva studiato per farsi prete. Credo anzi che fosse già chierico.

 

                - Io non sapeva questa particolarità; ma lo conobbi sempre come un sant'uomo, disinteressato e bene istruito.-

                Si passò quindi a discorrere di Missionari salesiani, che lavoravano tanto e facevano tanto bene in America, dov'era penuria assoluta di buoni preti. Si disse come fosse necessario mandare colà molti altri sacerdoti, che insegnassero a quelle genti le vie del cielo. - Ma per questo, osservò Don Bosco, ci vogliono tante spese, che è un affare molto serio -

 

                - E poi mancano anche gl'individui, osservò la signorina Bonnié.

 

                - Sì, continuò il Beato, anche d'individui si scarseggia. Ma quando si abbiano mezzi pecuniari, prima di tutto si possono educare giovani a questo fine in maggior numero, e poi si possono spedire. Ora noi dovremmo preparare una nuova spedizione; ma come fare? Sentiamo ancora gli effetti della prima, che ci costò almeno trentaseimila lire. Capiranno Bene che per un povero prete senza mezzi, appoggiato solamente sulla carità pubblica, è un peso che opprime. Per fortuna, la Divina Provvidenza, quando vuole un'opera, [247] muove il cuore a qualcuno e fa in modo che la si compia Noi siamo tutti nelle mani della Divina Provvidenza.

                Poscia il discorso cadde sul recente suicidio d'un cavalier Monti. Il Tovaglia disse grande atto di viltà quel non essere capace di sopportare i mali della vita. - Dove non c'è religione, interruppe qualcuno, è naturale che così accada; non c'è proprio da stupirsene.-E si continuò a parlare di morte.

 

                Alla signora Tovaglia quel ragionar di morte non andava a fagiuolo. Diceva non essere cosa da parlarne molto; non doversene poi nemmeno aver paura; quando venisse, si capisce ...: ma prima non essere il caso d'impressionarsene troppo.

 

                - E' vero, riprese Don Bosco. Un consiglio che io sentii tante volte ripetere dalla buon'anima di Don Cafasso, prete esemplarissimo di Torino, era questo: che ci tenessimo sempre preparati alla morte, come se ogni giorno si avesse da morire: ma poi non lasciarsi spaventare dalla morte, non averne paura. Quand'uno ha la sua coscienza monda, perchè o non ha fatto peccati o se n'è già confessato bene e ne ha fatto con degna penitenza, che cosa deve temere costui dalla morte? Solamente coloro che vivono male e non si accostano mai o molto di rado ai sacramenti, hanno da temere la morte. Costoro tremano al pensiero di essa, perchè la coscienza li rimorde. Il pensiero di tenersi ben apparecchiati si legge spesso nel santo Vangelo. Estote parati, ci raccomanda il Divin Salvatore, quia, qua hora non putatis, Filius hominis, veniet. Venit tamquam fur. Ecc. ecc.

                Nel congedarsi il Beato con maniere graziosissime invitò i signori Tovaglia a visitare l'Oratorio, che non avevano mai veduto. Quei signori, che non andavano mai a predica, avranno ricordato per un bel pezzo un tale incontro!

 

                Incontrando per casa gente nuova, non si contentava di rispondere al saluto, ma subito moveva interrogazioni, richiamando cose dell'anima o invitando alla Congregazione [248] o incoraggiando al bene, chiunque si fosse l'incontrato. Nel marzo gli fu portato il caffè da un cameriere trentenne, che solo da qualche settimana si trovava nell'Oratorio. Don Bosco lo squadrò un istante e poi gli domandò:

 

                - Come vi chiamate voi?

 

                - Pesce.

 

                - Di che paese siete?

 

                - Vicino a Mondovì.

 

                - Che cosa facevate prima di venire nell'Oratorio?

 

                - Il cameriere nel collegio di Mondovì. Ho qui il benservito, sottoscritto dal sindaco e dal canonico Ighina.

 

                - Leggetelo un po'.-

                Quegli lesse discretamente il foglio. Quindi Don Bosco proseguì:

 

                - Siete venuto per fermarvi o per aspettare un luogo migliore?

 

                - Oh, veramente, io mi fermerei qui...

 

                - Ora siete contento di esserci ovvero questo non vi sembra il vostro posto?

 

                - Non mi dispiace; solo desidererei di essere mandato in qualcuno degli altri collegi. Lo stare a Torino non mi pare cosa per me.

 

                - In che cosa vorreste essere occupato?

 

                - In quello che mi è stato assegnato ora: cameriere, refettoriere o simile.

 

                - Se è solo questo che desiderate, noi abbiamo altri collegi e vi possiamo mandare altrove. Ciò che ancora vorrei sapere, è se avete voglia di guadagnar quattrini o se avete ragionato fra voi così: Purchè non mi manchi il necessario per il corpo e per l'anima, io ci sto. Perchè se siete venuto per guadagnar soldi, qui non è il posto.

 

                - Oh, per me, non m'importa! Tanto sono quasi solo al mondo.

 

                -  Ebbene, guardate: se desiderate che non vi manchi nulla per il corpo e per l'anima, sia da sano che da ammalato [249], se desiderate cioè farvi una posizione buona in questa vita e nell'altra, fermatevi pure, chè per quanto sta da me, questa posizione ve la fo volentieri e vi potete stare tranquillo. Ma bisogna che risolviate e diciate: Io ho proprio grande voglia di salvarmi l'anima! Che cosa ne dite, Pesce? Vi piace star bene in questo mondo e nell'altro?

 

                - Sì, mi piace- Quasi quasi... Basta, per ora sono contento.

 

                - Ebbene, qui c'è Don Barberis. Lascio a lui l'incarico di parlarvi. Intendetevi con lui. Io sono ben contento, se potrò farvi del bene.-

                Anche quei della casa difficilmente gli passavano vicino senza sentire qualche amorevole parola. Una sera ne incontrò sei di seguito e a ognuno disse la sua. A Don Monateri: - Oh, Don Monateri vuole che Don Bosco resti meravigliato alla vista dei prodigi e dei miracoli che egli farà. Non è vero? - A un chierico di nome Podestà: Tremunt Potestates. Potestas et imperium in manu eius. - E con ciò una carezza e un sorriso. Al chierico Ghigliotto, quello di Varazze: - Ma tu non mi hai ancora fatta la confessione della tua vita futura. Bisogna che tu scelga un giorno e mi dica tutto quello che farai d'ora in avanti. - Al coadiutore Giuseppe Rossi: - Ecco qui il conte Rossi; il grande amico di Don Bosco. - Oh che gran voglia di scherzare ha Don Bosco! - esclamò Rossi. - Io voglia di scherzare? Ma non è vero che sei più contento che ti abbia detto così, anzichè se ti avessi dato uno scappellotto? - Ad un chierico chiamato Bodrati che doveva insegnare nella scuola di fuoco: - Preparati, che voglio procurarti tanti allievi da restarne tu stesso stupito, e tu con la tua mano maestra ne farai tante piante elette nella vigna del Signore. - Ad un altro chierico: - Lascia fare a me! Adesso andremo in America ad aiutare Don Cagliero. Tu convertirai la Patagonia. - Chi non ebbe la sorte di conoscere Don Bosco, non può immaginare quanto bene facessero queste maniere di trattare a chi ne era l'oggetto. [250] Bisognava poi vedere il nostro Beato, quando s'intratteneva a discorrere con chi nelle cose da intraprendere non la pensasse come lui. Non ribatteva l'opinione contraria alla sua; ma ascoltava con bontà, mostrava di prendere in considerazione l'altrui parere, dava buone speranze, lasciava insomma l'interlocutore con l'impressione che fra lui e Don Bosco non vi fosse dissenso. Però all'atto pratico il Beato badava a fare ciò che si poteva e non ciò che si sarebbe voluto, non recedendo di un apice da quanto aveva deciso e pensando con la propria testa, non con la testa di qualsiasi altro. Questo lasciar libero campo a dargli e prodigargli suggerimenti non era senza uno scopo: gli serviva molto bene a ravvisare meglio la natura della cosa, le difficoltà occorrenti e i mezzi di attuazione. Ciò si vide nei suoi lunghi colloqui col Gazzolo. Don Bosco gli diceva della necessità di evangelizzare la Patagonia, mettendo innanzi anche il desiderio del Santo Padre; ma l'altro da quell'orecchio non sentiva, battendo e ribattendo sulla convenienza assoluta di limitare ogni sforzo a Buenos Aires con l'aprire ivi una gran casa come a Torino e col prendersi cura della chiesa italiana. Don Bosco non fece alcun tentativo per distornarlo da quell'idea: lo stava a sentire, intercalando qualche sua osservazione, e proponendogli qualche dubbio, senza punto contrariarlo: in seguito venne mettendo ad effetto adagio adagio i piani già da lui ben formati.

 

                Ora dobbiamo seguire Don Bosco in una sua breve gita fuori di Torino. Il 31 maggio, toltosi a compagno Don Barberis, si recò a Villafranca d'Asti per visitarvi il sacerdote Don Messidonio, già allievo dell'Oratorio e da tempo gravemente infermo. Gl'incontri che ebbe nell'andare e nel venire sono cose per sè abbastanza ordinarie; ma l'ordinario di Don Bosco esce dall'ordinario comune.

 

                Partì alle otto del mattino. Aveva confessato proprio fino al momento della partenza, sicchè non ci fu tempo nemmeno di prendere una tazza di caffè. Montato in treno, ecco [251] un sacerdote suo vecchio amico, Don Dassano, viceparroco a Cambiano. Avviarono subito una conversazione affettuosa e santa. Lo invitò ad assistere alla commedia latina, che si sarebbe recitata il dì appresso nell'Oratorio; ma il buon prete si scusò, dicendo di dover attendere a malati. Il Beato, rallegrandosi con lui della cura che prestava agl'infermi, rammentò un insegnamento di Don Guala, il fondatore del Convitto Ecclesiastico: “Il prete che vuol avere il confessionale stipato di penitenti, abbia molta cura degli ammalati; si può dire che la caritatevole assistenza prestata a uno solo, ne attirerà tutta la famiglia a confessarsi”.

 

                Dallo zelo per gl'infermi il discorso si rivolse al consolare la famiglia di chi fosse passato all'eternità. A un certo punto Don Dassano esclamò mestamente: - Anche la nostra famiglia si estingue con noi. Non ci siamo più che io e mio fratello, Superiore dei Missionari a Chieri. Morti noi, addio! per i Dassano sarà finito! Neppur un nipote ci resta, a cui lasciare la nostra piccola sostanza.

 

                - Caso mai desiderasse un erede, soggiunse il Beato sorridendo, se proprio fosse soprapensiero per tale mancanza, io ne avrei da darle quanti ne vuole. L'assicuro che il suo patrimonio sarebbe messo a frutto e come! Poco fa il barone Catella sfogava con me il suo rincrescimento per non aver nessuno a cui lasciare la propria roba. Lasci fare a me, gli dissi, che in pochi giorni ella vedrà la sua roba produrre il cento per uno! Noi convertiremo tutto in pagnotte per i nostri giovani e compreremo tante paia di lenzuola, di camicie, di giubbetti... E lei, Don Dassano, provi un po' a indovinare quanto si è dovuto spendere ultimamente per comprare un paio di lenzuola a ogni individuo della casa. Sono somme favolose, creda, che nessuno indovinerebbe.

 

                - Seicento od ottocento lire, rispose Don Dassano, credendosi di dir molto.

 

                - Oh, senta, senta! Un lenzuolo costa circa otto lire. Ne compri per ottocento giovani, e faccia il conto: sono da [252] dodici a quattordici mila lire. Metta ancora le altre cose, che è necessario provvedere, come calzoni, maglie, camicie, e veda lei.

 

                Era questa un'arte di Don Bosco per far toccare con mano i bisogni finanziari dell'Oratorio, massime quando s'incontrava con persone che sapeva facoltose: parlar di coperte, di vestimenta, di grano, a seconda degli individui e della stagione, e farvi su calcoli semplicissimi, donde saltavano fuori all'improvviso cifre sbalorditive. Evitava però di entrare in simili discorsi tutt'a un tratto e senza preamboli o a mo' di chi domandava sovvenzioni e aiuti; ma soleva prendere lo spunto dalle parole del suo interlocutore, conducendolo pian piano a finire là, come a naturale conclusione del ragionamento.

 

                Il prete, giunto a Cambiano, scese; dopo di che Don Bosco, non essendovi più con chi utilmente attaccar discorso, si pose a correggere quaderni di storia antica, scritti da Don Barberis e consegnatigli il giorno innanzi; di tanto in tanto gli faceva notare espressioni disadatte, ipotesi malsicure, e altri difetti, nè smise quel lavoro fino alla stazione di Villafranca.

 

                Qui si vide quanto Don Bosco fosse amato e venerato dai preti del paese, che tutti vennero a incontrarlo, effondendosi in dimostrazioni di profondo rispetto. Il pievano specialmente, vecchio oltre la sessantina, gongolava di gioia e contava, contava di Don Bosco, dell'Oratorio, di Buenos Aires, mostrandosi ben informato e sincero ammiratore. Anche il vicecurato e il maestro comunale, sacerdoti compitissimi, lo accompagnavano con il più grande rispetto.

 

                Con loro il Beato entrò da Don Messidonio, restando ivi fino alle quattro in sempre viva e varia conversazione. Fece conoscere ai presenti l'Opera di Maria Ausiliatrice: cosa molto opportuna, perchè essi avrebbero potuto inviargli buoni figli di Maria. E manco a farlo apposta, un domestico del parroco, già libero dagli obblighi di leva, manifestò a Don Bosco il suo ardente desiderio di studiare per farsi prete. Don Bosco [253] ascoltò, incoraggiò, ma 1ì per li non volle decidere. Il medesimo pievano accennò a due altri parrocchiani già adulti e pieni di buona volontà; anche per essi il Beato rimise la decisione a momento più opportuno, quando sarebbe venuto il tempo delle accettazioni. Pendeva allora la grande controversia, che si doveva chiudere col trasferire la sede dell'Opera a Sampierdarena.

 

                Dopo vennero in campo le Figlie di Maria Ausiliatrice, delle quali spiegò lo scopo e descrisse la vita e il continuo progredire. Una giovane, che ne aveva già udito parlare e vi si sentiva attratta, fu subito accettata, mentre alcune altre, fra cui due educande, si mostrarono desiderose di andare a Mornese.

 

                Infine, mentre si era a pranzo, un padre di famiglia presentò al Beato un suo figlio, che aveva fatto domanda di entrare nell'Oratorio. Il parroco ne dava ottime informazioni; anche il maestro lo raccomandava caldamente: senz'altre formalità Don Bosco lo accettò.

 

                Non aveva ancora detto nulla dei Cooperatori, argomento allora per lui di viva attualità. Introdusse bel bello il discorso, fece vedere quanto l'Opera stesse a cuore del Santo Padre, diede un'idea dell'apostolato che tale istituzione doveva esercitare nella Chiesa, magnificò i favori spirituali di recente ottenuti a pro di essa; donde fu agevole il passo a dire di altri favori concessigli da Pio IX nel suo ultimo viaggio a Roma. Si appalesò qui l'abilità di Don Bosco a mettere in valore le cose. A Roma egli aveva chiesto, secondo il solito, peculiari indulgenze, fra cui un'indulgenza plenaria per tutti i benefattori dell'Oratorio ogni volta che si comunicassero o celebrassero. Or dunque, volgendosi al pievano che ben meritava di essere annoverato fra i benefattori, gli disse che a Roma si era ricordato di lui e che per lui aveva domandato al Papa l'indulgenza plenaria sempre che avrebbe celebrato la Messa. Fece il medesimo con Don Messidonio, aggiungendo che per lui e per la sua famiglia ne aveva ottenuta pure una [254] seconda da lucrarsi in articulo mortis. Si capisce come dovesse produrre in entrambi la più gradevole impressione il pensare che Don Bosco in Roma dal Papa si era ricordato di loro e tanto di loro occupato. Quello che aveva chiesto collettivamente, Don Bosco lo presentava ai singoli come favore personale: sic totum omnibus, quod totum singulis.

 

                Il povero Don Messidonio si sfaceva per consunzione; il male era all'ultimo stadio e non gli permetteva più di la sciare il letto. Quando il Beato si accomiatava da lui, l'infermo in uno sforzo supremo volle alzarsi, diceva di volerlo accompagnar a Torino, di voler entrare nella Congregazione, perchè questo era da gran tempo il suo unico pensiero. Don Bosco, senza menomamente scomporsi e senza contraddire, gli parlò così: - Io fin da questo momento ti accetto e, appena tornato a Torino, ti inscriverò nel numero dei nostri fratelli. Tu, appena ti potrai alzare, sebbene non ancora perfettamente guarito, vieni pure all'Oratorio, che noi ti accoglieremo a braccia aperte. Non avrai da far altro che mandarcelo a dire una mezza giornata prima, affinchè ti prepariamo la camera. Ecco, fa' così: quando comincerai ad alzarti e a poterti muovere un po' liberamente, fa' la prova se puoi andare da solo alla stazione della ferrovia. Appena tu possa fare questa passeggiata, che è di un solo chilometro, io ne ho abbastanza: ti aspetto tra i nostri fratelli di Torino.

 

                Chi degli astanti, Don Bosco compreso, non era convinto che a guarire il povero tisico ci voleva un miracolo di prim'ordine? Ma Don Bosco fu ben felice nel modo di confortarlo; ed a suo maggior conforto lo assicurò delle preghiere sue e de' suoi giovani.

 

                Rieccolo in treno, dove però dal, gran mal di capo non può lavorare; ma il tempo non si deve passare inutilmente. Discorre dei novizi; fa i nomi dei giovani di quarta e quinta ginnasiale, dicendo le doti di ciascuno e chi sia buono per la Congregazione e chi no; ragiona di case aperte e da aprire e insegna il modo di attirare i ragazzi. Qui ebbe una bella [255] osservazione. Disse: “Fra noi i giovani adesso Sembrano altrettanti figli di famiglia, tutti padroncini di casa; fanno propri gl'interessi della Congregazione. Dicono “la nostra chiesa, il nostro collegio di Lanzo, di Alassio, di Nizza “qualunque cosa riguardi i Salesiani, la chiamano nostra. Finchè si darà campo a discorrere di Missioni, di case, di affari religiosi, essi vi s'interesseranno come a cose loro e vi attaccheranno il cuore. Poi sentendo sempre a dire che bisogna andare nel tal luogo, che la via è aperta a quell'altro, che siamo chiamati da tante parti, in Italia, in Francia, in Inghilterra, in America, par loro di essere padroni del mondo. - Quella fase di conversazione si chiuse con mettere in rilievo lo spirito proprio della Società Salesiana, che è attività, non mai prendere di fronte gli avversari, non ostinarsi a lavorare dove non si può far nulla, ma portarsi invece dove si possano impiegare utilmente le forze.

 

                Don Barberis ci godeva e faceva tesoro; ma a Don Bosco il mal di testa non diminuiva. Giunti a Torino, il Beato lo condusse a prendere una tazza di caffè in una pubblica bottega, entrandovi per una porta secondaria. Nota del cronista: “Ciò dimostrava lo spirito della Congregazione: non mai ricercatezze o comodità; ma quando la necessità lo richiede, si faccia pure liberamente”. A quell'ora il luogo era deserto. Don Bosco prese a parlare degli artigiani, che stavano nell'Oratorio. - Io credo che le cose loro nell'Oratorio vadano adesso così bene, che nessun collegio, anzi nessun seminario in fatto di moralità possa vantarsi superiore. Quand'io era chierico, e si era tutti adulti, io vedeva come andavano le cose: non andavano come ora vanno tra noi. -

 

                Uscendo da quella bottega, ragionava dei segni di vocazione. Ridisse cose che amava ripetere in privato e in pubblico. - Ecco un gran segno per conoscere se un giovane è fatto per la Congregazione, se gli si deve consigliare di entrarvi, se si abbia a pronosticar bene della sua perseveranza. Quando un giovane è molto schietto in confessione e costantemente [256] si confessa dal medesimo confessore, e la prima cosa che fa appena tornato dalle vacanze oppure dopo qualche assenza del suo confessore, è andar subito ad aprirgli il suo cuore interamente, ecco, questo è ottimo indizio che si fermerà in Congregazione. Quando ancora si vede un giovane, che nell'Oratorio sta buono e, andato a casa, fa gravi cadute, e poi di ritorno aggiusta nuovamente le cose dell'anima sua e va bene tutto l'anno, e di nuovo nelle seguenti vacanze ricade, io credo di poter dire schietto e netto: Costui, se entra in Congregazione, si faccia prete; ma non abbracci assolutamente lo stato ecclesiastico, se intende vivere fuori della Congregazione. Infatti, se si lascia andare miseramente al male ora nel poco tempo delle vacanze, che cosa farà quando si trovi interamente padrone di sè? Nè si dica: Allora avrà maggior forza! Io invece rispondo che avrà più pericoli. L'esperienza mi ha fatto conoscere che coloro, i quali non si mantengono sulla retta via durante le vacanze, non vi s i manterranno poi da preti in mezzo al mondo.

 

                Due ultimi incontri ebbe nell'andare dalla stazione all'Oratorio. Da prima gli si unì il teologo Giuganino, vicecurato di San Carlo. Don Barberis, accortosi che entravano in argomento serio e delicato, stimò dover suo tirarsi in disparte, sicchè tenne lor dietro leggicchiando. Nel passar davanti al collegio degli Artigianelli, gli si fece incontro il Direttore di quell'opera, il teologo Murialdo, che lo accompagnò fino a casa. Là, loro conversazione si aggirò intorno alla così detta mole antonelliana o sinagoga degli Ebrei. La comunità Israelitica, venuta in discordia per ragioni finanziarie intorno a quell'edificio non ancora ultimato, non trovò miglior via di uscita che disfarsene. Fu fatta a Don Bosco la proposta di comperarlo, dopochè il Municipio aveva deciso di terminare a sue spese la parte esteriore. Col teologo Murialdo esaminava i modi più acconci per giungere all'acquisto e l'uso che si sarebbe potuto fare della fabbrica. Solo nel settembre gli venne formalmente presentata la proposta dallo stesso ingegnere [257] Antonelli[96], che si offriva a fare da intermediario fra lui e la presidenza dell'amministrazione israelitica. Don Bosco avrebbe dovuto aprire le trattative con l'offerta di lire duecento cinquanta mila. L'ingegnere pensava che l'affare fosse conveniente; la buona accoglienza da parte degli Israeliti pareva sicura. Il Beato mandò a vedere: studiata la cosa per ogni verso, si convinse che non avrebbe potuto trarre un partito conforme ai suoi disegni di farne una chiesa, e definitivamente vi rinunziò.

 

                Gl'incontri, dove meglio si ammirano certi atteggiamenti caratteristici di Don Bosco, saranno sempre quelli, in cui egli si trovava di fronte persone, che nel loro modo di pensare erano con lui agli antipodi. Tale fu l'incontro col cavalier Provera a San Salvatore nel Monferrato. Il Servo di Dio attraversava il paese, avendo ai fianchi parecchi signori, fra cui il parroco; si discorreva della popolazione tanto buona, tanto piena di venerazione per Don Bosco, tanto desiderosa di aver là un collegio salesiano. - Uno solo, si disse al Beato, uno solo vi è contrario a Don Bosco: il più ricco del paese, uomo che da anni e anni non mette piede in chiesa: il cavalier Provera, probabilmente massone. - Queste parole erano appena proferite, quand'ecco, lupus in fabula, il cavaliere in persona venire avanti per la stessa strada. - Eccolo là il pretofobo! - fece uno del seguito. Don Bosco lasciava dire.

 

                Quando furono vicini, Don Bosco lo riverì togliendosi il cappello. Il cavaliere risponde al saluto e si ferma. Quindi, come tra persone a modo si suol fare, si stringono la mano, [258] si scambiano parole di reciproca stima, esprimono il piacere vicendevole della fatta conoscenza.

 

                - Sento che Vostra Signoria è il cavalier Provera.

 

                - A servirla.

 

                - Fra di noi questo nome è dei più onorati ed amati, perchè ci ricorda un santo sacerdote, che lo portava, e là a Torino ci aiutò tanto e ci edificava tutti con le sue virtù. Ella è forse dei Provera di Mirabello?

 

                - Sì, per l'appunto. Mio nonno venne qui da Mirabello e apparteneva a quella famiglia.-

Il discorso proseguì per alcuni minuti su questo metro e con tanta cordialità, che il cavaliere invitò Don Bosco a passare in casa sua e gradirvi un rinfresco. I circostanti si affrettarono a dire: - Oh, per questa volta non potrebbe venire; è tanto aspettato di qua e di là! - Ma Don Bosco, chiesta, licenza ai zelanti amici, accompagnò il cavaliere a casa sua, ove, usando sempre il massimo riguardo, gli narrò diversi fatti ameni, che lo rallegrarono molto. Nel congedarsi, mostrandosi desideroso della sua amicizia, gli disse apertamente: - Veda, signore: in questo momento io intendo di mettermi sotto la sua protezione. Lo trovo così benigno verso di me, che oso domandarle un piacere. Le dirò schietto, che io son venuto a San Salvatore, per vedere se trovassi una casa atta ad aprirvi un collegio; questo collegio io desidero che sia sotto la sua protezione, ed ho bisogno del suo appoggio e del suo aiuto.

 

                - S'immagini, signor Don Bosco, rispose il cavaliere incantato di quei modi; me ne farò il più gran piacere. Anzi, giacchè Ella mi ha parlato con schiettezza, schiettamente anch'io e proprio col cuore alla mano le farò un'esibizione. Visiti questa mia casa, osservi bene tutto. Se può servire al suo scopo, io glie la cedo sull'istante.-

Don Bosco lo ringraziò, si scusò dicendo che per il momento non poteva accettare un'offerta così gentile, e lo lasciò contento di quell'incontro.

 

 

CAPO IX. Missionari e Missioni.

 

                DUE erano gli scopi a cui Don Bosco mirava con la sua spedizione di Missionari: provvedere al bene spirituale degli immigrati italiani e tentare un passo fra gli Indi delle Pampas e della Patagonia. Per il primo scopo già si lavorava; per il secondo tutto era da fare ed il Beato se ne dava assiduo pensiero. Intanto da più parti giungevano proposte, che, mentre sembravano rispondere a quell'intento, servivano pure a dimostrare quanta fosse la considerazione, in cui erano tenuti i primi Salesiani che posero piede nell'America latina.

 

                L'Arcivescovo di Buenos Aires avrebbe voluto affidare ai Salesiani una parrocchia a Carmen de Patagónes, l'ultima della sua vastissima diocesi al sud, confinante col nord della Patagonia; colà un ospizio poteva divenire centro di attrazione per gli Indi del Rio Negro.

 

                Il signor Antonio Oneto genovese, commissario della Colonia gallense, così detta perchè composta di coloni oriundi dal paese di Galles, trattava con Don Cagliero per avere due Salesiani che, stabilitisi in quei paraggi, si dedicassero agli Indi del Chubut. Possediamo una lunghissima lettera del 10 marzo '76, in cui questo signore descrive lo stato della Colonia e le condizioni del paese, fornendo a Don Cagliero fra le altre queste importanti notizie: “Alle scaturigini del fiume, cioè ai piedi dei contrafforti della Cordigliera, v'è terra fertilissima [260] ed è occupata da indigeni della famiglia dei Pampas. Verso la metà di febbraio, 41 individui di quel popolo o tribù erano qui, assieme al loro capo (cachique) di nome Foiel all'oggetto di vendervi pelle di guanaco o di volpe. Questa gente è semicivilizzata e parmi che sfugga dai crimini di sangue. Ho rappresentato al cachique quali erano le benevoli intenzioni del Governo Argentino a loro riguardo, e gli domandai se avrebbe accolto volentieri Missionari cattolici nelle sue terre, ed egli risposemi che sì. Questa tribù è numerosa ed inclina a cessare da vita nomade. Dalla loro terra alla Colonia del Chubut impiegarono 13 giorni, che a ragione di 20 miglia per giorno sarebbero 260 miglia, cioè non site vera mente al piede della Cordigliera, come dichiararono. Molti d'essi parlano la lingua spagnuola e si cibano, relativamente parlando, bene.

 

                Abbiamo qui a 50 o 60 miglia dalla Colonia una tribù nomade di popolo patagone-pampa. Il loro capo è certo Ciquecian ed è un'ottima persona. Guadagnando l'animo di questo capo, si potrebbero fare molte cose. E' caritatevole, e già soccorse di viveri la Colonia gallense. Vengano due dei loro padri e faremo meraviglie ed il Chubut sarà conquistato alla fede ed alta civiltà dai discendenti o stirpe dello scopritore del Nuovo Mondo. Coraggio e fede, e vinceremo.

 

                Il Governo è propenso; Madama la S.ra Consorte del Presidente è arcicattolica, ed anche il distintissimo signor Juan Dillon, Commissario Generale d'immigrazione. Altresì la legge di Immigrazione all'articolo 103 così si spiega: El Poder Ejecutivo procurarà por todos los medios posibles el establecimiento en las Secciones, de las tribus Indígenas, creando misiones para traerlas gradualmente á la vida civilizada, auxiliándolas en la forma que crean màs conveniente y estableciéndolas por familias en lotes de cien hectáreas, a medida que vayan manifestando aptitudes para el trabajo.

 

                Insomma, com'Ella vede, tutto è propizio, ed a lor pure è propizio il tempo per distinguersi come Società nuova, o [261] nuova Congregazione; e dimostrino coi fatti, che la Società di San Francesco di Sales, auspice della stessa il caritatevole R.do Bosco, seppe in pochi anni redimere a civiltà le tribù fra il Desiderato, il Chubut ed il Rio Negro”.

 

                Gli abitanti della Colonia, data la loro origine, erano di religione protestante, divisi in quattro sette, con quattro ministri su ottocento persone. Il signor Oneto si offriva per agevolare con ogni mezzo la via e la missione ai Salesiani[97].

 

                Lo stesso Governo Argentino disegnava di fondare una colonia verso l'estremo lembo meridionale della regione patagonica, presso il Rio Santa Cruz; ai Missionari avrebbe somministrati mezzi sufficienti anche per raccogliere ed incivilire i Patagoni di quei luoghi. Il 3 luglio Don Cagliero scriveva da Buenos Aires a Don Bosco: “Tutti questi Indi sono facili ad essere mansuefatti, ma pure facili al sospetto, ed allora ammazzano inesorabilmente. Comunque sia, prepari il personale pei Patagoni, ed i destinati si armino fin d'ora della pazienza, studio, prudenza e coraggio. Con gli Indi, se non si procede cautamente, in un giorno si distrugge l'opera di anni ed anni. Se il Missionario loro parla di sommissione a Buenos Aires, è ammazzato; se H minaccia con la forza, è ammazzato. Per poter fare del bene in una tribù bisogna farsi amico con il cacico, regalandolo e civilizzandolo colle buone e colla religione, porlo al contatto di qualche buon cristiano; dopo gli si parli del Governo per avere favori, ma non mai per sottometterglisi. Il resto lo farà la Provvidenza”.

 

                Dei Missionari Salesiani l'Arcivescovo desiderava pure valersi per creare un'opera di grande utilità in Dolores a sud di Buenos Aires, oltre il Rio Salado; le persone più ragguardevoli del luogo caldeggiavano quella fondazione. Sulle prime erroneamente si credette che Dolores fosse “l'ultima città dalla parte della Patagonia molto inoltrata verso i selvagi”[98]. [262] C'era invece una enorme distanza. Quest'errore ci spiega l'insistenza del Beato nello spingere Don Cagliero ad allestire presto quella stazione. Anche da Cordoba, nel cuore della Repubblica, si sollecitava l'apertura di un collegio salesiano. Che non disse e non fece il signor Poulson, professore di quella Università, per istrappare da Don Cagliero il bramato consenso! Ma a Cordoba non si potè andare prima del 1905.

 

                Dal fin qui detto sarà agevolata l'intelligenza di questa lettera, che il Beato scrisse a Don Cagliero sul finire di maggio.

 

                Car.mo D. Cagliero,

 

                Non mi sono ancora giunti i Brevi[99] da Roma. Ho soltanto quello di D. Ceccarelli, che desidero unire con quello del Signor Benitez, che deve venire giorno per giorno. Forse in giornata.

 

                Ti mando qui notizie di quanto mi chiese il S. Padre, che è tutto animato per tentare qualche cosa nella Patagonia e nei Pampas. Il S. Padre vuole egli stesso dirigere questa impresa, e dice di nulla risparmiare, affinchè si apra quanto prima un Collegio od Ospizio a Dolores.

 

                Il Comm. Gazzolo fa una speciale sua relazione ufficiale alla S. Sede, ma tutta basata sopra il progetto che ti unisco, e che è bene che sia noto a D. Fagnano, affinchè noi andiamo tutti di accordo e non se ne cangino le basi, senza esserne tutti intesi. Appena ricevuta una conclusione da Roma, ti dirò subito quale fu.

 

                Lo stesso Comm. Gazzolo mi ritornò i duecento franchi in oro che tu gli avevi regalato, più due mila franchi. Egli giudica conveniente di conchiudere quanto riguarda la Chiesa della Misericordia, ed è pronto a cedere il suo terreno per qualunque offerta D. Bosco giudichi di fargli. Sappimi dire appresso quanto possa valere ciascun metro.

 

                Insiste sulla necessità di una nuova spedizione, ed ho calcolato di prepararne una dozzina, di cui cinque preti; tre secolari, ma maestri idonei per far scuola: quattro capaci della cucina, della sacrestia, delle cose di casa ed anche del giardino.

 

                Dei preti due per la Chiesa della Misericordia, due per S. Nicolás [263] ed uno per quello che occorre. D. Bazzani[100] sarebbe capitano civile; D. Bodrato capitano Salesiano. Che ne dici?

 

                La festa di Maria Ausiliatrice si celebrò con molta divozione, molto concorso, molte grazie. Il vino di Mendoza coronò l'opera: applausi prolungati ai Missionari Salesiani. Si votò loro un indirizzo che D. Chiala ti manderà. Tutti mi dicono che Sammorì farebbe ovunque un eccellente predicatore.

 

                Altre cose, altra volta. La nuova spedizione sarebbe per gli ultimi di settembre prossimo, la quale installata tu ritorneresti in Valdocco per.... (sic).

 

                Il Signor Gazzolo dà per positivo che il Pres. della Società di S. Vincenzo de' Paoli mette 80 m. franchi a tua disposizione per una costruzione o casa per artigianelli poveri; dimmi anche su ciò una parola.

 

                Mi dice anche che tu sei molto stanco, non troppo bene in salute: abbi cura di te e degli altri, ed in ogni buon caso, intasca i burattini[101], ed io studio di mandarti immediatamente un supplente.

 

                Saluta tutti i nostri amati figli e credetemi sempre in G. C.

 

                30-5-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Svanito il sogno momentaneo di una colonia italiana in terra libera, perchè terre libere non esistevano se non nella fantasia di male informati scrittori europei, il Beato andava in cerca del luogo, dove creare un centro sicuro, per isvolgere un'efficace attività a salvezza dei Pampas e dei Patagoni, mediante soprattutto l'istituzione di una Prefettura Apostolica. Se ben si ricorda, questo egli aveva in mira col suo promemoria del maggio al cardinal Franchi, Prefetto di Propaganda, promemoria che è poi il “progetto” accluso nella lettera qui sopra riferita.

 

                Quanto alla relazione, a cui il Gazzolo prestò semplicemente il nome, non vi troviamo nulla di nuovo, sicchè non vale la pena di riportarla. Non dobbiamo però tacere della convenienza che il Papa per via ufficiale avesse contezza [264] dell'operato, sia perchè vedesse come le cose si fossero condotte con tutta serietà, sia perchè guardasse con favore al molto che restava da fare. I lettori poi non prendano alla lettera il regalo di Don Cagliero al Gazzolo e la restituzione del Gazzolo a Don Bosco: è una pura formula diplomatica per avvertire che il console argentino rimborsò le spese del viaggio, anticipategli da Don Cagliero. Come poi egli sia venuto a questo atto, non sappiamo.

 

                Siamo però meglio informati circa l'affare del terreno o meglio dei terreni, perchè erano due, come dicevamo altrove. Don Cagliero, per rispondere a Don Bosco sul valore, ne fece fare l'estimo da persona competente e disinteressata, la quale dichiarò che i due appezzamenti potevano valere una somma di pesos, moneta corrente, pari a lire italiane diciottomila. Don Bosco dunque gli fece tale offerta, che al Gazzolo parve irrisoria; questi dal canto suo portò la somma di base a un minimo di lire italiane quarantamila, con una serie di ragioni che Don Cagliero non durò fatica a ridurre in polvere[102]. Per venire a un'intesa non fu possibile mai trovare il bandolo.

 

                Esagerava alquanto Don Cagliero scrivendo allora a Don Bosco, che, dopo le sue raccomandazioni, egli per occuparsi della Patagonia aveva quasi dimenticato Buenos Aires; attendeva infatti a preparare ivi una Scuola di Arti e Mestieri sullo stampo dell'Oratorio. Il dottor Edoardo Carranza, presidente delle Conferenze vincenzine, tenendosi nel 188o una riunione di dette Conferenze alla presenza del Nunzio Apostolico monsignor Matera, espose in forma genialissima le origini prime dell'Opera[103]. Un giorno del '76, diss'egli, in sostanza, due uomini andavano per la via principale di Buenos Aires meditando una grande opera a favore della gioventù povera e abbandonata, che formicolava nelle piazze e nei [265] dintorni della capitale. Ambidue pensavano a un asilo od ospizio; ma nessuno dei due possedeva i mezzi sufficienti allo scopo. Uno di essi, sacerdote, veniva da Torino, mandato qui dal Fondatore di una nuova istituzione destinata a soccorrere la gioventù pericolante e conduceva seco maestri d'arti e mestieri ed anche qualche valente sacerdote capace di dirigere un istituto; ma non aveva nè casa nè denaro per attuare il gran disegno. Questi era Don Cagliero. L'altro era egli stesso, il presidente delle Conferenze, che aveva ricevuto un legato da una buona signora, perchè si fondasse un ricovero per ragazzi poveri. La somma non bastava alla costruzione di un edifizio e al mantenimento degli orfani, essendo appena seicento mila pesos dell'antica moneta, equivalenti a lire italiane sessanta mila circa; si poteva solo prendere in affitto una casa, tanto per cominciare. Quei due uomini volle la Divina Provvidenza che s'incontrassero e si stringessero la mano e dicessero a una voce: - Ebbene, cominciamo nel nome del Signore! -

                E difatti cominciarono. Fu affittata una casa abbastanza comoda in via Tacuarí y San Juan, presso la parrocchia della Concepción. I primi 25 orfani si tolsero dall'asilo, che amministravano le Suore dell'Orto in via Méjico: i loro genitori erano stati vittime della febbre gialla, che aveva colpito Buenos Aires nel '71, onde toccavano già un'età troppo avanzata, perchè le buone Suore potessero ancora educarli: esse intanto vi rimediavano, prendendo uomini stipendiati che insegnassero loro qualche utile mestiere. Altri 25 ragazzi furono raccolti tra le famiglie povere assistite dalle Conferenze. Si diede principio così ai laboratori dei sarti, calzolai, falegnami e legatori di libri, ordinandovisi le scuole secondo il sistema salesiano, con banda musicale, canto e tutto il rimanente. Le cose furono avviate in base a una convenzione lacunosa[104], che col tempo doveva necessariamente dar origine [266] a inconvenienti seri. La direzione della Scuola di Tacuarí sarà affidata a Don Bodrato, che insieme reggerà la chiesa di Mater Misericordiae ed anche una parrocchia, di cui tosto vedremo. Nel frattempo braccio destro di Don Cagliero era l'incomparabile Don Baccino, al cui zelo e sacrifizio vanno molto debitrici le opere salesiane di Buenos Aires, se fin dal loro esordire ebbero una stabilità foriera di durata.

 

                Ad un'altra impresa pose mano l'infaticabile Don Cagliero. Appena arrivati a Buenos Aires, i Salesiani rimasero esterrefatti al miserando spettacolo che dava di sè un rione della città, denominato la Boca e popolato di Liguri. A quegl'Italiani attribuivasi la settaria manifestazione, che aveva preso di mira specialmente i Gesuiti, incendiandone il grande collegio Salvador[105]. Don Cagliero, predicando agl'Italiani nella chiesa della Misericordia, tuonava contro il disonore che ne ricadeva sul nome dell'Italia. Nel suo fervore apostolico fece di meglio: volle vedere che cosa fosse quella Boca, di cui tanto male si diceva. Riempitesi dunque le tasche di medaglie di Maria Ausiliatrice, delle quali erano stati ben provvisti a Torino, attraversò da solo i prati, che allora separavano il rione dalla città. Vide subito fra quelle casupole di legno scorrazzare monelli e ragazzacci in gran numero, ai quali non sembrò vero di scorgere un malcapitato prete, contro cui fare un po' di baldoria. Ma qual non fu la loro sorpresa al sentirlo proferire belle frasi in genovese e al vederlo venire avanti sorridente, allegro e festoso! Don Cagliero, colto il momento buono, trasse fuori un pugno di medaglie e le lanciò più lontano che gli fu possibile, e mentr'essi si gettavano sopra quelle credute monete, egli sparì, fece in gran fretta il giro del porto, in gran fretta percorse le strade principali, sempre seminando medaglie. I ragazzi le raccolsero, le portarono a casa, le mostrarono alle mamme, alle nonne, alle sorelle, ai fratelli; per casette e cortili non si parlava che [267] del prete, che chiamavano il prete delle medaglie. Ma il prete, dopo la breve apparizione, era scomparso.

 

                Don Cagliero il giorno seguente andò dall'Arcivescovo e gli disse: - Ieri, Monsignore, ho fatto una bellissima passeggiata. Sono stato a la Boca e l'ho girata tutta per lungo e per largo.

 

                - Lei ha commesso una grossa imprudenza. Io non ci sono mai andato e non permetto a nessuno de' miei preti di andare colà, perchè sarebbe un esporsi a gravi pericoli, fino a essere presi a sassate.

 

                - Eppure io ho proprio la tentazione di tornarvi per vedere l'effetto della mia prima visita. Sa, Monsignore, che io ho seminato... e adesso bisogna che vada a raccogliere?

 

                - Si prenda. ben guardia, non si esponga a pericoli! -

                Don Cagliero, senza scomporsi, si licenziò. Due o tre giorni dopo ritornava allo stesso luogo e per le medesime strade. I ragazzi gli corsero dietro, gridando in genovese: “Il prete delle medaglie! il prete delle medaglie! - Allora si rinnovarono le antiche scene di Don Bosco: - Chi è il più buono?... Chi è il più cattivo?... Sapete il segno della Croce?... E l’Ave Maria? - Si sforzavano di mostrare che sapevano qualche cosa. Tanti avevano la medaglia al collo e ne volevano altre da portare a casa. Don Cagliero ascoltava, ne dava qua e là, diceva a ciascuno una barzelletta. Insomma il secondo giro fu realmente un piccolo trionfo; uomini e donne uscivano fuori a vedere il prete che si era guadagnato l'affetto di tutti quei birichini e che prometteva già un gran cortile con molti giuochi e canti e musiche e allegria universale.

 

                L'Arcivescovo, quando sentì da Don Cagliero che cosa fosse successo alla Boca, restò ammirato e rallegrato e in uno scatto di entusiasmo gli disse: - Giacchè lei è così pertinace a voler andare a la Boca, io le darò quella parrocchia, dove fino a oggi non fu possibile stabilire l'esercizio del culto e del sacro ministero. - Don Cagliero ringraziò dicendo: - E’ proprio per questi nostri Italiani e figli d'Italiani che Don [268] Bosco ci ha mandati. In nome del nostro Fondatore e Padre io rendo grazie a Vostra Eccellenza e comunicherò a Torino il bel regalo che ci vuol fare.

                L'Arcivescovo come disse, così fece. Don Bodrato, che capitanerà la seconda spedizione dei Missionari e rimarrà superiore della Missione dopo la partenza di Don Cagliero, assumerà pure il governo della parrocchia di San Giovanni Evangelista a la Boca, operandovi la prodigiosa trasformazione che ammireremo più tardi. Di questi titanici lavoratori la scuola del Beato Don Bosco popolò le primordiali istituzioni salesiane: alcuni largamente noti, altri molti consumatisi nel silenzio, tutti egualmente degni di eterna memoria e di generosa imitazione.

 

                La parola paterna del Beato arrivava di tanto in tanto a Don Cagliero con notizie, istruzioni e incoraggiamenti. Ai 29 di giugno gli scrisse così:

 

                Mio caro D. Cagliero,

 

                1° Comincio per darti notizie de' tuoi parenti. Venne qui tua madre, poi tuo fratello, e sono ansiosi di recarsi anch'essi in America; tanto godono della tua missione. Sono tutti in buona sanità. Un tuo nipotino ebbe mal d'occhi e dopo un mese presso il Dottor Sperini guarì benissimo.

 

                2° Ieri mattina a Feletto spirava nel Signore il caro D. Chiala, lasciando in tutti amaro rincrescimento. E' una disgrazia per la nostra Congregazione, da lungo tempo temuta; tuttavia amareggiò tutti. Sua madre era accanto a lui. Il giorno prima del suo decesso, l'altro ieri, lo passò fuori di letto. I polmoni durarono finchè ce ne fu.

                3° Ti mando i due Diplomi per Benitez e Ceccarelli; se è possibile, siano portati con solennità e si dia la dovuta importanza, nel modo che ti ho scritto da Roma. Monsig. Vescovo fu prevenuto; ma è bene che tu stesso ne dia cenno al medesimo. Sarà pure bene che i giornali buoni ne siano informati.

 

                4° Il Marchese Spinola, ministro italiano a Buenos Aires, è portatore di una calotta e di questo piego a voi. Egli è buon Cristiano e buon Cattolico: con lui puoi parlare confidenzialmente. Suo scopo è di fare il maggior bene che può. Desidera di promuovere le scuole degli Italiani. Dite quello che fate in Buenos Aires, a S. Nicolás, e fategli delle proposte relative. A incaricato dal governo di prendere anche parte pecuniaria ove è d'uopo. Tu insisti che cominci ad aiutarci [269] pei passaggi e per avere locali per le scuole e ricoveri. Sarà bene di prevenire anche l'Arcivescovo che, ove d'uopo, si può fidare della onestà e della Cattolicità del Marchese Ministro.

 

                5° Il S. Padre desiderava vivamente una prova quale fu da noi ideata, verso ai Pampas e Patagonia. Io credo che una Casa a Dolores sarebbe opportunissima. Un'altra a Cordova ed anche più verso i selvaggi.

                Intanto di questa settimana scrivo al Vescovo della Concezione nel Chili[106], per vedere di fare altre istituzioni da quella parte. Questo vuole il Signore in questo momento da noi! Case e collegi di bassa condizione, ricoveri in cui siano accettati selvaggi, o semiselvaggi, se possono aversi. Grande sforzo per coltivare le vocazioni.

 

                6° Io preparo una dozzina di Salesiani, tra cui vi saranno non meno di cinque preti con Sammory, Fassio, e D. Bodrato alla testa. C'è speranza di averne i passaggi almeno la maggior parte?

 

                7° Le nostre monache sono già 150 dovremo dare per loro due mute di esercizii spirituali. Sestri Levante, Trinità di Mondovì, Biella, avranno delle nostre case, ecc ecc. Che movimento!

                In quest'anno avremo non meno di settantacinque vestizioni chiericali per la Congregazione. Le vocazioni in tutto saranno 200.

                Attendo notizie per l'Ospizio di Buenos Aires, degli Oratori, del Collegio di Montevideo.

 

                Dà delle mie notizie a D. Baccino, a D. Belmonte e a los otros, cui questa volta manca tempo da scrivere.

 

                Sospiro il momento del tuo ritorno.

 

                Dio ci benedica tutti, e credetemi sempre in G. C.

 

                Torino, S. Pietro, '76.

 

Aff.mo Amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Prepara pure per una casa di Noviziato in America; ho già cominciata la pratica a Roma, e credo non avremo difficoltà.

 

                Ben s'appose il Beato, ritenendo che la pratica per ottenere l'apertura di un noviziato non avrebbe incontrato a Roma nessuna difficoltà. Una casa apposita non esisteva ancora, nè la si poteva improvvisare; ma intanto l'esempio dei nuovi apostoli svegliava simpatie per la loro forma di vita -religiosa e spuntavano domande dì farsi salesiani. Si sarebbe potuto pretendere che i postulanti partissero per l'Europa a farvi il loro noviziato? o bisognava lasciar isterilire germi [270] preziosi di vocazioni? Ecco perchè Don Bosco chiedeva di aprire un noviziato, ma non faceva il nome di una casa determinata; egli mirava più che tutto alla facoltà in se stessa, che gli permettesse di fare il bene in attesa del meglio e dell'ottimo. Si sarebbe dunque tirato avanti per un po' di tempo com'erasi fatto per molt'anni nell'Oratorio, grazie alle eccezionali facoltà concesse da Pio IX al Fondatore. Ci diceva il venerando Don Cartier che a' suoi tempi fare il noviziato voleva dire in sostanza confessarsi da Don Bosco e parlare ogni tanto con lui. Certo è che nessun ordinario maestro di novizi sarebbe mai riuscito allora a plasmare religiosi così compiuti come quelli formati da Don Bosco, dotato non solo di rare attitudini formative, ma anche di speciali carismi. Tutte le, formalità canoniche andarono in vigore da poi, quando le basi erano solidamente poste, e lo spirito di Don Bosco, oramai ben definito e ben compreso, operava per mezzo de' suoi figli maggiori. La supplica indirizzata al Papa sonava così:

 

                Beatissimo Padre,

 

                La benedizione che V. S. degnavasi di compartire ai Missionari Salesiani prima della loro partenza per la Repubblica Argentina, ottenne già buoni risultati in vantaggio alle anime. Le ultime notizie di là inviate il 10 giugno e ricevute il 1° luglio di questo anno recano che di già poterono stabilirsi cinque case o Istituti nell'America del Sud. Un Collegio a Montevideo: la Chiesa Mater Misericordiae de los Italianos in Buenos Aires; un Ospizio per ragazzi abbandonati in questa medesima capitale; un collegio a S. Nicolás de los Arroyos che conta già oltre a cento allievi. Accanto al Collegio fu inaugurata una pubblica Chiesa in favore degli adulti che intervengono volenterosi ad ascoltar la parola di Dio, udire la S. Messa, accostarsi ai Santi Sacramenti della Confessione e Comunione.

 

                In apposita relazione sottoporrò all'alta Sapienza di V. S. ciò che mi sembra utile ad intraprendersi per progredire verso i selvaggi e tentare tra loro la diffusione del Vangelo.

 

                Al presente è necessario provvedere anzitutto ad una casa di Noviziato. Nei cinque mesi di dimora in quelle regioni i Salesiani incontrarono parecchi giovani. che manifestavano volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico, e sette di essi dietro loro domanda vennero [271] accettati nella Congregazione Salesiana. Loro desiderio si è di farsi missionari e recarsi, dicono essi, a predicare tra i selvaggi. Ma essendo troppo lungo il viaggio per venire in Europa a fare il noviziato io supplico V. S., acciocchè voglia permettere che si apra colà una casa di Noviziato conforme alle Costituzioni Salesiane approvate da V. S.

 

                Siccome i luoghi e le persone tra cui si dimora, possono consigliare il trasloco del Noviziato o di aprire più case succursali, così io supplico V. S. di concedere che questa casa o case si possano aprire in quella città o paese dove la salubrità, la facilità dei mezzi materiali e morali persuaderanno a vie più convenire per la gloria di Dio.

 

                Beatissimo Padre, questa missione fu progettata e cominciata sotto ai Vostri auspici coi Vostri consigli, continuateci la Vostra protezione ed il Vostro appoggio, e noi siamo sicuri che coll'aiuto divino si riporteranno grandi frutti.

 

                I dieci Missionari che sono già in America e i dodici che si preparano a partire nella seconda metà di settembre, assicurano V. S. che eglino offrono ben volentieri la vita lavorando per la Vostra Santità, che è quanto dire per la Religione di Gesù Cristo; e umilmente prostrati unanimi si raccomandano alle preghiere di V. B. implorando l'Apostolica Benedizione.

 

                Di V. S.

Obbl.mo figlio ed Umile Supplicante

Sac. Gio. Bosco, Sup.

 

                Aveva inviata da pochi giorni questa supplica, quando scrisse di bel nuovo a Don Cagliero, tanto aveva del continuo la mente e il cuore rivolti ai Missionari e alle loro presenti e future Missioni.

 

                Carissimo D. Cagliero,

 

                Le cose sono in moto. La domanda al S. Padre per un Noviziato in America è fatta, e non ci sono difficoltà. Venti Salesiani si preparano e partiranno in ottobre prossimo circum circiter.

 

                Non perdere di vista Dolores, e io credo che sia nell'interesse del governo che si apra colà una casa modellata su quella di Torino o di S. Pier d'Arena; trattare in modo positivo con Mons. Arcivescovo e col caro Mons. Ceccarelli. Ciò sta molto a cuore al S. Padre.

 

                Nella lettera successiva a questa avrai scritta la benedizione dei Papa pel Collegio Colón, che sarà ottima cosa.

 

                Tu sei musico, io sono poeta di professione; perciò faremo in modo che le cose delle Indie e dell'Australia non turbino le cose Argentine, e tu ci rimarrai finchè tutto sia aggiustato, e secondo la tua alta saviezza tu giudichi di poter ritornare in Valdocco senza disturbo. [272] Tu saluterai tanto tanto il Sig. Dottor Carranza, e gli dirai che ho una piccola cosa da spedirgli, la quale, come a buon cristiano, farà piacere. Fa quello che puoi per raccogliere giovanetti poveri, ma preferisco quelli, se è possibile averne che provengono dai selvaggi: che se mai fosse possibile mandane alcuni in Valdocco, io li riceverei assai volentieri.

 

                Abbiamo il Card. Berardi in Torino e terminata questa lettera vado a fargli visita e parlerò anche di quelli dell'altro mondo.

 

                Non so dove ti sarà consegnata questa lettera; tra è inteso che tu saluterai i nostri conoscenti ed amici e figli, come se te li nominassi caduno in particolare.

 

                Procura che possiamo avere per tempo i passaggi; ma se puoi ottenere che ci sia mandato il danaro effettivo, è assai meglio: giacchè diremo più chiara la nostra ragione.

 

                Vedendo D. Tomatis, dirai che ai Santi la Trinità, sua patria, avrà una casa Salesiana per fanciulli.

 

                Dio ci benedica tutti e credimi tutto in G. C.

 

                Torino, 13-7-76.

Aff. amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Ad ottobre le figlie di M. A. andranno a prender cura del Seminario di Biella.

 

                La prontezza della risposta favorevole dimostra quanto accetta fosse tornata a Roma la domanda di aprire un noviziato nell'Argentina. Già ai 6 di luglio ex audientia Sanctissimi il cardinal Franchi, Prefetto della sacra Congregazione di Propaganda, riportava per Don Bosco la “facoltà di erigere un altro noviziato... nella Repubblica Argentina, previo il consenso dell'Ordinario del luogo”[107]. Nella comunicazione fattane al Beato seguivano le solite condizioni richieste per la definitiva erezione canonica. Don Bosco ne fu arcicontento. Nel partecipare la lieta notizia a Don Cagliero, improvvisava un altro documento assai eloquente delle sue molteplici sollecitudini per le Missioni e i Missionari.

 

                Car.mo D. Cagliero,

 

                Ho ricevuto la ultima tua e fu letta e riletta. Questi scritti, che per lo più si pubblicano in tutti i giornali, fanno un gran bene nei nostri Salesiani e in tutti. [273]

 

                Nel trattare coi nostri di' e raccomanda che non mai si ometta l'esercizio mensile della buona morte. E’ questa la chiave di tutto.

 

                Io preparo la spedizione dei venti eroi per l'altro mondo: se occorre, ne manderò anche di più, e spero che ne sarai contento, ma bisogna che mi fissi il tempo per la partenza. Per Villa Colón se si. conchiude, io manderò Direttore D. Daghero, o D. Tamietti o D. Lasagna, o D. Belmonte, tutti dottori in lettere, l'ultimo dottore in filosofia. Sono tutti prontissimi.

 

                In generale ricòrdati sempre che Dio vuole i nostri sforzi verso i Pampas e verso i Patagoni e verso i fanciulli poveri ed abbandonati.

 

                Non ho ancora ricevuto la risposta di Monsig. Arcivescovo: il Card. Franchi l'attende con molta ansietà; ma comodamente.

 

                Ti mando alcune copie dei Cooperatori Salesiani che videro la luce testè. Tu lo leggerai, poi ne porterai una copia a S. E. l'Arcivescovo, e gli dirai che io desidero che egli comparisca il primo dopo il S: Padre tra i Collaboratori Salesiani, ma non voglio far niente senza che me ne dia il suo beneplacito.

 

                Dopo l'Arcivescovo sarà il suo Vic. Gen.; dipoi il Dottor Spinoza, Carranza, Monsig. Ceccarelli, D. Benitez, etc. Se occorrono libretti fammelo sapere.

 

                Nota: anche tutte le indulgenze ivi notate sono eziandio lucrabili da tutti i Salesiani.

 

                Ampia facoltà da Roma di aprire Noviziato, studentato in America, in qualunque luogo, ma de consensu Ordinarii Dioecesani; come vedrai dal Decreto ivi unito.

 

                Non dimenticare che nel caso di mandare i passaggi, si mandi di preferenza il numerario; noi ne abbiamo notabile vantaggio, e diciamo assai meglio la nostra ragione.

 

                Car.mo D. Cagliero, quanto da fare! Altri ti scriveranno altro.

 

                Fa un carissimo saluto a D. Baccino, e digli che io sono molto contento di lui, e che continui.

 

                D. Bazzani è qui in mia camera mentre scrivo. Ti manda i suoi saluti e attende l'ordine per accompagnare i Salesiani in America.

 

                Io sono di parere che almeno uno di quelli che sono a S. Nicolás, il quale sappia bene lo Spagnuolo possa trasferirsi a Montevideo pel futuro Collegio in progetto.

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e saluta tutti i nostri fratelli ed amici; e se mai ti avvenisse di poter mandare in Europa una decina di Pampas o di Patagoni o qualche cosa di somigliante, mandali pure.

 

                Credimi tutto in G. C.

 

                Torino,1 agosto 18?6.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [274]

 

                Nella lettera accluse un biglietto, in cui comunicava a parte la benedizione del Papa per la prima fondazione salesiana fuori dell'Argentina. Riferito che l'avremo sarà tempo di parlare della nuova opera, della quale ci è occorso già più volte d'incontrar menzione.

 

                Il S. Padre provò il più gran piacere alla notizia di un collegio cattolico nell'Uruguay; gradì assai che si chiami Collegio Pio: manda la sua Apostolica benedizione all'Opera, a chi la promuove, e a tutti quelli che vorranno cooperare a favore della medesima. Il Card. Berardi, che mi fa questa comunicazione, aggiunge: S. P. mostrerà ognor più la sua grande soddisfazione; quindi attivato il collegio, concederà tutti quei favori spirituali che si giudicheranno opportuni per la maggior gloria di Dio.

 

                Torino, 1 agosto 1876.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                La breve fermata dei primi Missionari a Montevideo, guidati da Don Cagliero, non era stata senza frutto. Le autorità ecclesiastiche della capitale fecero tesoro delle notizie da lui fornite sulla Congregazione; le notizie poi delle fondazioni di Buenos Aires e di San Nicolás confermarono in loro il buon concetto dei Salesiani: onde fino dai primi mesi del '76 la Curia Vescovile di Montevideo cominciò le sue pratiche per avere colà i figli di Don Bosco.

 

                L'Uruguay, staccatosi di fresco dalla Repubblica Argentina, era sul costituirsi a Stato. La gerarchia ecclesiastica vi era rappresentata da un semplice Vicario Apostolico nella persona di monsignor Vera, prelato assai zelante, che si affaticava a farvi fiorire la religione cattolica, fondando ospedali, ritiri e scuole. Fortemente vi si sentiva la mancanza assoluta di collegi per l'educazione cristiana della gioventù, al che si volle provvedere per mezzo dei Salesiani. L'occasione si presentò favorevolissima: si poteva acquistare uno stabile in magnifica posizione, che sembrava fatto apposta per lo scopo desiderato. Parve quella una disposizione della Provvidenza, perchè fosse scongiurata l'incalzante minaccia che [275] i protestanti, con i mezzi di cui sogliono disporre, invadessero per primi il campo.

 

                Nel 1868 i fratelli Cornelio, Adolfo e Alessandro Guerra avevano fondato una Villa o paesello col nome di Villa Colón, ossia Città di Colombo; più tardi, nel 1873, il paese con i suoi terreni passò ad un'altra Società Lezica, Lamis e Fynn, di Montevideo, fondata nel 1866 per provvedere l'acqua potabile alla capitale: impresa che ebbe esito completo con l'inaugurazione dell'acquedotto nel 1871. Ma la situazione economica della Società rimase fortemente scossa soprattutto dai rivolgimenti politici uruguaiani del '75, sicchè dovette liquidare i suoi beni e dissolversi.

 

                Allora fu che il signor Fynn, messosi in relazione con monsignor Vera e col suo segretario don Raffaele Yeregui, fratello del futuro primo Arcivescovo di Montevideo, offrì a Don Cagliero in nome della Società la chiesa dedicata a santa Rosa di Lima col collegio annesso, ponendovi per condizione che i Salesiani ufficiassero per il pubblico detta chiesa e tenessero ginnasio e liceo nel collegio stesso, secondo i regolamenti e programmi della Pia Società Salesiana[108]. La cessione degli stabili e dei terreni si firmò il 24 maggio 1876; dopo di che il Beato Don Bosco cercò dieci Salesiani da inviare nell'Uruguay con la prossima seconda spedizione di Missionari.

 

                Don Bosco, come nel resto, così nelle Missioni non si fermava mai, dilatava anzi i suoi piani a misura che le opere intraprese pigliavano consistenza e davano speranza di stabilità. Eccolo perciò spingere lo sguardo anche di là della Cordigliera per cercarvi un punto d'appoggio all'evangelizzazione degli Indi. E’ del luglio 1876 una sua lettera al Vescovo cileno di Concepción per chiedergli consiglio e aiuti in questo suo disegno. Non lo nomina, perchè non sa nemmeno chi sia; gli scrive in latino, perchè ignora quale sia la lingua del paese. Lo stile è quello delle tante sue lettere italiane, [276] che i lettori conoscono molto bene[109]. Fatta la presentazione sua e della Congregazione, gli espone la propria idea di fare un tentativo da quella parte, per raggiungere i selvaggi. Gli chiede perciò se vi sia probabilità di successo e donde converrebbe prendere le mosse, e quali si presumano le disposizioni del Governo verso l'impresa, e che voglia esso Prelato interporre i suoi buoni uffici. Non ci è nota la sorte toccata a questa lettera; ma la risposta non poteva essere incoraggiante, perchè agli Indi della Cordigliera in quel punto prestavano già le loro cure i padri Cappuccini. La città di Concepción accoglierà la prima fondazione salesiana del Cile, vivente ancora il Beato, nel 1887.

 

                A San Nicolás si potè procedere all'inaugurazione solenne del collegio nel giorno dell'Annunziata. Vi presero parte anche tutte le autorità civili. Monsignor Arcivescovo, che vi celebrò la Messa, pianse di commozione al vedere tanti giovani accostarsi alla sacra mensa. Nulla di simile erasi mai visto in quei paesi. Don Cagliero, venuto ivi parecchio tempo prima, provvide stupendamente alla musica. Le feste durarono due giorni in mezzo a grande entusiasmo popolare. Alle cerimonie religiose del 25 seguì la celebrazione civile del 26, con una grandiosa accademia, presieduta dall'Arcivescovo, a cui facevano corona i primari cittadini. Canti, suoni, declamazioni furono la parte gaia; la parte seria consistette nei discorsi. Discorso di Don Tomatis, presentato ufficialmente dall'ottuagenario signor Benitez, quale membro più influente della. Commissione che aveva preparato l'avvento dei Salesiani[110]; discorso di monsignor Ceccarelli, il factotum dell'impresa; discorsi vari di :notevoli personaggi; discorso finale del [277] l'Arcivescovo. Il buon Pastore felicitò il popolo Arroyero, perchè aveva innalzato un tempio all'istruzione e all'educazione cristiana della gioventù e ringraziò, i Salesiani, proclamandoli “la sua avanguardia nell'operare il bene e la salvezza delle anime”. I giovani, che nei due giorni avevano formato la gioia dell'Arcivescovo, gli guadagnarono le simpatie della popolazione, accompagnandolo con i loro festosi Evviva, allorchè andava a imbarcarsi nel porto del Paranà.

 

                I Salesiani di San Nicolás non limitarono il proprio lavoro al collegio e alla città; l'abbandono religioso, in cui vivevano tanti Italiani disseminati a immense distanze per la sterminata campagna, aveva commosso fin dai primi giorni il Direttore Don Fagnano e i suoi confratelli, che in alcune escursioni poterono misurare la miseria morale di tante povere anime. Perciò dal 1° giugno fu accettata la missione delle estancias o fattorie, che con disagi incalcolabili i nostri visitavano di tempo in tempo, recandovi i benefizi del loro ministero sacerdotale.

 

                Un bel fatto risvegliò in tanti della città e della campagna la fede sopita. Fra i ricordi lasciati da Don Bosco ai Missionari campeggiava questo: “In qualunque grave bisogno vi troviate, ricorrete a Gesù Sacramentato ed a Maria Ausiliatrice, e state certi che le vostre speranze non saranno mai deluse”. Se ne ricordarono in buon punto i confratelli di S. Nicolás. Il paese va soggetto al terribile flagello delle locuste. Vi piombano sopra a densi nuvoloni, distruggendo in pochi giorni il raccolto dell'annata e pregiudicando quello degli anni seguenti. Erano tre anni consecutivi, che il disastro si rinnovava e immiseriva al sommo gli abitanti. Anche nel '76 giunse notizia che la piaga infestava località non lontane. I Salesiani, visto il panico generale, pensarono d'invitare i popoli a mettersi sotto la protezione di Maria Ausiliatrice; pubblicarono perciò un triduo solenne nella loro chiesa. Spiriti forti non mancarono a deriderne la buona fede; ma specialmente gl'Italiani accorsero in gran folla. Tre giorni dopo ecco la [278] langosta, in mezz'ora città e campagna ne furono coperti: alberi, prati, strade, case, pareti, tutto scomparve sotto il rosso grigio delle brulicanti cavallette. La quantità superava di gran lunga quella delle infestazioni precedenti; se si fossero fermate un paio di giorni, non una foglia d'albero, non un filo d'erba sarebbe rimasto in tutto il territorio. Lo scherno degli scettici si fece più insultante; ma i fedeli raddoppiarono le preghiere e vi unirono promesse. Il giorno dopo, quando meno si aspettava, il funesto esercito riprese il volo per altri siti, Ne restava tuttavia una tal retroguardia da poter produrre guasti enormi; se non che nella notte una burrasca di pioggia e vento con freddo intenso la mise in fuga. Il danno fu piccolissimo, sicchè la vegetazione riprese vigore; anzi le terre prosperarono in modo prodigioso. Una colletta per la chiesa di Maria Ausiliatrice fruttò in un batter d'occhio la somma di cinquantamila pesos, equivalente a un diecimila lire italiane, tanta era la riconoscenza di quella buona gente. Si può ben immaginare l'effetto prodotto dal fausto avvenimento.

 

                Avvicinandosi l'onomastico di Don Bosco, tanto i Salesiani di S. Nicolás che i loro alunni inviarono al Padre lontano indirizzi molto affettuosi. Agli alunni Don Bosco rispose così:

 

                Carissimi figliuoli,

 

                Colla massima consolazione del mio cuore ho ricevuto i vostri saluti, i vostri augurii: e benedico Iddio che abbia mandato il Sig. D. Fagnano cogli altri Salesiani ad aprire questo collegio, dove spero che colla scienza voi imparerete il santo timor di Dio. I vostri Superiori mi dicono che siete molto buoni, e questo imi consola grandemente. Continuate il cammino della virtù e voi avrete sempre la pace del cuore, la benevolenza degli uomini, e la benedizione del Signore.

 

                Ora vi voglio dare una buona notizia. Essendo andato a Roma, ho parlato assai di voi al Papa, che ascoltò molto volentieri la vostra buona condotta.

 

                Infine mi disse: - Io mando di buon grado l'apostolica benedizione ai vostri giovani del Collegio di S. Nicolás tanto convittori quanto esterni, loro concedo una indulgenza plenaria in articolo di [279] morte, ed un'altra indulgenza plenaria da guadagnarsi in quel giorno che vorranno. Questo favore sarà esteso a tutti i loro parenti, fino al terzo grado inclusivamente.

                Voi adunque potete farvi spiegare questo favore dai vostri superiori e di poi comunicatelo ai vostri parenti.

 

                Dio vi benedica tutti, o miei cari figli, siate allegri, ma fuggite l'offesa del Signore, frequentate la Santa Comunione, mandatemi qualche lettera, e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 1 luglio 1876.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                 “Sono quindici giorni che Don Bosco non sa parlare d'altro che delle missioni e della Patagonia”, scrive Don Barberis nella sua cronaca sotto il 12 agosto. Il Beato si studiava di risolvere il problema missionario sotto tutti i suoi aspetti. Così la questione del clero indigeno, che oggi si è affacciata più imperiosa che mai, ne preoccupava già la mente, quand'egli era appena stilla soglia della sua attività missionaria: fin d'allora si propose la creazione di quel clero come un obbiettivo da raggiungere nel più breve termine possibile; in sette anni credette di potervi riuscire. Sospirava pertanto il giorno in cui si fossero avuti preti indigeni da mandare in mezzo agl'infedeli del paese, riguardando quella data come degna di far epoca nella storia delle Missioni. E ad allevare indigeni gli sembrava ottimo partito quello adottato da lui di non gettare i suoi in braccio ai selvaggi, con loro grave pericolo, ma piantar case ai confini; prevedeva anzi che col tempo si sarebbe fatto dappertutto a questo modo. Nessun privato sacerdote certamente essere in grado di eseguire ciò, ma una Congregazione religiosa averne i mezzi. E citava l'esempio di monsignor Comboni, che nel centro dell'Africa si sforzava di praticare questo sistema; ma a che pro, se era solo? In casi simili, coloro a cui si affidano giovanetti da educare, o non usano un metodo adatto o non hanno spirito o sono inabili; e poi bisogna non di rado ricorrere all'opera di estranei alla missione. E le spese ingenti che vi si richiedono ?. Per [280] formare qualche prete egli riteneva che fosse necessario. raccogliere una cinquantina di giovani in un piccolo seminario e provvederli di tutto. Un privato non sarebbe mai arrivato a tanto. “Noi però, disse, e l'ho veduto io nel sogno, sappiamo che va avanti e può fare gran bene il missionario che sia circondato da una buona corona di giovani”.

 

                Qui appunto egli fondava le sue rosee speranze di un avvenire felice delle proprie Missioni, nell'attaccarsi dei nostri alla gioventù povera: “chi si mette per questa via, affermò il Beato, non dà più indietro”. Accennava quindi a certi religiosi che una volta fecero parlar tanto delle loro Missioni nella Cina, dove realmente operarono gran bene; ma egli era convinto che, se avessero avuto in mira ancora una cosa, se si fossero cioè rivolti alla massa del popolo con l'educazione della povera gioventù, non avrebbero mai dovuto indietreggiare nel loro apostolato.

                Nell'opera delle Missioni, come in ogni altra impresa, il Beato non iscompagnava dalle provvidenze umane la più assoluta fiducia nell'aiuto divino. Sono parole sue di quei giorni le seguenti, raccolte da Don Barberis: “Speriamo nel Signore. Noi in questa impresa facciamo come in tutte le altre. Tutta la confidenza sia riposta in Dio e speriamo tutto da lui; ma nello stesso tempo spieghiamo tutta la nostra attività. Non .si trascuri mezzo, non si risparmi fatica, non si omettano sante astuzie, non si badi a spese per farla riuscire. Quanto la prudenza umana può suggerire, si metta in pratica. Si cerchino tutti i mezzi possibili di sicurezza per non arrischiare la vita per mano dei selvaggi. E' vero che per chi muore martire, la morte è una fortuna, perchè egli vola immediatamente al cielo; ma intanto non si procede nella conversione di forse migliaia di anime, le quali si sarebbero potute salvare usando maggior precauzione. E’ anche vero che il sangue dei martiri è semenza di novelli cristiani; ma questo vuol dire che, non potendosene fare a meno, piuttosto che rinnegar la fede, dobbiamo essere pronti a dai la vita e mille vite, senza temere che, [281] mancando noi, abbia da patir detrimento la buona causa. Il Signore in questo caso supplirà. Non dovremmo dare indietro per questo”.

 

                Di tale argomento Don Bosco ragionava pure coi giovani. Infatti, quattordici anni prima, descrivendo in una predica le astuzie usate da sant'Atanasio per isfuggire alle insidie dei persecutori, aveva finito con dire: - Santi di questa sorte vorrei che vi faceste tutti voi. Sì, miei cari, cercate sul serio di farvi santi, ma di quei santi, che, quando si tratta di fare il bene, sanno cercarne i mezzi, non temono la persecuzione, non risparmiano fatiche; santi astuti che cercano prudentemente tutti i modi per riuscire nel loro intento.

 

 

CAPO X. Lo spirito di Mornese.

 

                IL Beato Don Bosco invitava i suoi figli a benedire la Provvidenza, dalla cui mano egli riconosceva il consolidamento e lo sviluppo mirabile dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice pur in mezzo a non poche nè lievi difficoltà[111]. La prova più tangibile di questo intervento divino si aveva nel fatto, che, sebbene mancassero cespiti d'entrata, non mancava tuttavia per tante bocche il pane quotidiano. Umanamente parlando, una famiglia così numerosa non si mantiene senza una qualche base finanziaria adeguata, che permetta di guardare con tranquillità in faccia all'avvenire. In altri Istituti femminili vi sono almeno le doti delle postulanti, per provvedere ai bisogni dei noviziati; qui invece novanta volte su cento le buone figliuole che chiedevano l'ammissione, erano sfornite di beni patrimoniali, non poche anzi si presentavano prive perfino di corredo personale. Eppure si accettavano, e si tirava avanti. Si avverava così in modo indubbio la promessa del Signore, che a chi cerca solamente il regno di Dio e la sua giustizia, le cose necessarie al vivere materiale sono date di soprappiù.

 

                Al qual proposito abbiamo una bella parola del nostro Beato. Un giorno il Servo di Dio, incontrata a Borgo S. Martino madre Petronilla, vicaria generale e quindi responsabile dell'amministrazione economica, le domandò se postulanti ne [283] venivano. - Postulanti ne vengono, caro Padre, rispose la suora; ma tutte o quasi tutte a mani vuote. Come si fa a mantenerle? - Don Bosco levò lo sguardo in alto, come costumava allorchè doveva rispondere o consigliare, e proferì queste ispirate parole: - Oh, se sapeste che cosa grande è una vocazione! Non respingiamo mai nessuna per la povertà. Se noi pensiamo alle vocazioni, la divina Provvidenza penserà a noi. Qualche volta stenteremo forse; ma Dio non ci abbandonerà mai. Ditelo a Mornese, ditelo a tutte: le vocazioni, anche povere, faranno ricco l'Istituto.

                Nè il crescere del numero tornava a detrimento dello spirito, poichè vivere poveramente, lavorare molto e pregare con fervore erano sempre le tre note predominanti nella casa. Donzelle di famiglie agiate ed anche nobili non ne mancarono in quei duri inizi; esse venivano di preferenza applicate agli studi, perchè si preparassero a sostenere pubblici esami e conseguissero patenti magistrali: ma elleno pure facevano vita comune con tutte le altre, non sottraendosi agli ordinari uffici e obbedendo affettuosamente a madre Mazzarello, che, ignara di lettere e venuta su dai campi, con la sua bontà semplice e umile operava prodigi. Ripiena dello spirito di Dio, praticava per sè e insegnava alle sue figlie un'ascetica molto alla buona, ma anche molto soda. Eccone un piccolo saggio. Diceva spesso: - Finchè vi sarà vanità nel parlare e nel sentire, non vi sarà mai pietà vera. Non istate a invidiare quelle che in chiesa mandano sospiri e spargono lacrime davanti al Signore, e intanto non sanno fare un piccolo sacrifizio, nè adattarsi ad un lavoro umile. Sapete invece chi dovete invidiare? Quelle altre che con vera umiltà si adattano a tutto e sono contente di essere come la scopa della casa. Umiltà dunque, mortificazione, amore al sacrifizio: non è in ciò la quintessenza della buona ascetica religiosa?

 

                Intorno allo spirito di Mornese abbiamo una testimonianza che ne vale cento. Monsignor Andrea Scotton nel '76 predicò nella casa di Mornese gli esercizi spirituali alle signore; [284] ebbene prima di andar via sentì il bisogno di fare una ritrattazione. Tre anni innanzi, visitando l'Istituto, ne aveva riportata l'impressione che difficilmente le cose vi sarebbero continuate fino ad avere un esito felice. Agitato da sì gravi dubbi, aveva anche espresso a Don Bosco i suoi pronostici poco lieti. Il Servo di Dio erasi limitato a rispondergli: - Vedremo quello che ne farà la Madonna. - Ma tre anni dopo, constatato di presenza il valore morale di colei che sulle prime gli era parsa inetta al governo e visto il bel numero delle Suore e soprattutto il loro spirito, si ricredette, esprimendo la convinzione che Don Bosco, allorchè gli aveva data quella risposta, leggesse nell'avvenire.

 

                Ricorderanno i lettori come il Beato Padre nell'agosto del '75 durante un soggiorno a Ovada desse forma definitiva alle Regole[112] e poi le presentasse alla Curia vescovile di Acqui per l'esame canonico. Avuto dai revisori giudizio favorevole, inviò a Monsignor Vescovo la necessaria supplica per ottenere l'approvazione diocesana dell'Istituto.

 

                Eccellenza Reverendissima

 

                E’ noto a V. E. come in Mornese dallo zelante Sac. D. Pestarino Domenico, di sempre cara memoria, siasi iniziato un Istituto col titolo di Casa o Collegio di Maria Ausiliatrice collo scopo di educare cristianamente le ragazze non agiate, oppure povere ed abbandonate per avviarle alla moralità, alla scienza, ed alla religione sotto la direzione delle Suore dette le Figlie di Maria Ausiliatrice.

 

                La E. V. con grande bontà degnavasi farsi protettore del novello Istituto, e nel 5 agosto 1872 si compiaceva di leggere le regole, in scrivendovi le dovute osservazioni, facendovi le prime vestizioni e le prime professioni. Poco dopo arricchiva quell'Istituto di vari favori e di preziosi privilegi, la cui mercè il corpo morale in faccia alla Chiesa veniva di fatto costituito.

 

                Tali cose furono come il granello di senapa, che l'E. V. seminò e che crebbe meravigliosamente. Il numero attuale delle religiose monta a cento e più; alle Suore sono affidate le pubbliche scuole femminili del paese: all'edifizio dell'Istituto è annesso un educandato di giovanette di media condizione; siccome si scorge dal programma che si unisce. [285]

 

                Una seconda Casa venne già aperta a Borgo S. Martino, altra ad Alassio[113]; la quarta sarà di quest'anno aperta in Lanzo presso Torino; molte domande si fanno perchè nuove case siano aperte in altri paesi.

 

                Ma quest'Istituto mancherebbe certamente del suo vero fondamento fino a tanto che non abbia conseguita la ecclesiastica approvazione, la quale segna agli Istituti religiosi quella via sicura, che conduce alla maggior gloria di Dio. Egli è per ottenere questo segnalato favore, che io presento rispettosamente all'E. V. le regole dell'Istituto di Maria Ausiliatrice, tali quali sono praticate da più anni, supplicandola a volerle esaminare e porvi quelle modificazioni, che nella sua. illuminata sapienza giudica necessarie; quindi, se così Dio La inspira, dare all'Istituto e alle sue Costituzioni la diocesana approvazione. Con me si uniscono il Sac. Giacomo Costamagna Direttore, e tutte le religiose, chiedendo questo segnalato favore. Sarà questo un motivo di più alla nostra incancellabile gratitudine, e l'assicuriamo che innalzeremo ogni giorno comuni e private preghiere al pietoso Iddio ed all'augusta Sua Madre la Vergine Ausiliatrice, affinchè conservi l'E. V. a lunghi anni di vita felice, e così possa vedere copiosi frutti da quell'opera ch'Ella si compiacque benedire, arricchire di grazie spirituali, proteggere e possiam dire fondare e sostenere fino al presente.

 

                Colla massima gratitudine ho l'onore di potermi professare

 

Dell'E. V. Rov.ma

 

Obbli.mo Serv.re

Sac. Giovanni Bosco

Don Costamagna Giacomo

Suor Maria Mazzarello Sup.ra

 

                L'espressione “iniziato un Istituto col titolo di casa o collegio di Maria Ausiliatrice” è letterariamente una frase concisa e psicologicamente un atto di umiltà! La frase va risolta e completata nel senso che Don Pestarino iniziò un'opera, da cui Don Bosco trasse i primi elementi per fondare un Istituto religioso denominato da Maria Ausiliatrice e destinato all'educazione cristiana della gioventù femminile di tutto il mondo: titolo e fine che non sarebbero mai caduti in mente all'ottimo Don Pestarino, senza il suo provvidenziale incontro con Don Bosco. Del resto chiunque offra terreno e materiali [286] di costruzione, perchè altri getti le basi di un edifizio su disegno proprio e con proprii intendimenti, si può a buon diritto considerare come iniziatore di quanto in seguito verrà attuato. Che poi Don Bosco eclissi in certa guisa se stesso e metta in luce soltanto il degno sacerdote di Mornese, non ci deve sorprendere, essendo questo lo stile dei Santi. Aggiungeremo che a ottenere più speditamente l'approvazione diocesana potè sembrargli opportuno il rappresentare l'Istituto quale opera sorta non solo nell'ambito della diocesi, ma anche per merito di un prete diocesano. A ogni modo il decreto vescovile di approvazione, emanato il 23 gennaio, rimette le cose a posto: nella sua parte positiva, che precede e giustifica la dispositiva e deve quindi appoggiarsi alla realtà, fissa storicamente il fatto della fondazione, attribuendo a Don Bosco il disegno iniziale di fondare in Mornese la Congregazione detta delle Figlie di Maria Ausiliatrice; questo infatti s'intende là dove si parla de proposito ab admodum reverendo Domino Sacerdote Joanne Bosco Taurinensi, piae Societatis Salesianae Superiore, concepto, instituendi nempe in hac Dioecesi, loco Moronisii Congregationem Filiarum Mariae Auxiliatricis[114].

 

                Nella vestizione dell'agosto di quest'anno si apportò all'abito l'ultima variante. Il velo, già rettangolare, fu alquanto arrotondato in fondo sì da potersi modellare sul capo di ciascuna mediante due spighette formate dagli stessi spilli che lo assicurano al cuffione; tale arrotondamento permette pure di ripiegarne il lembo anteriore in guisa che ricada meglio attorno al volto e sulle spalle. Rotonda si fece pure la mantellina con collettino bianco, quale erasi adottato sin dalla vestizione del maggio 1875; vi si aggiunse infine una soprammanica tanto larga e lunga da permettere un'abbondante rivolta. L'idea di quest'ultima modificazione nacque dall'aver osservato come le Suore di città, mosse da certo senso di [287] modestia religiosa, andassero per via e in parlatorio con le mani nascoste fra le maniche e alla sacra mensa con le maniche fin sulle dita.

 

                Diciassette postulanti ricevettero l'abito in quella vestizione, fattasi dopo gli esercizi delle signore. Don Rua vi rappresentò Don Bosco, impedito di assentarsi da Torino. Ma Don Rua non compiè solamente quella breve cerimonia. Vi attese alle confessioni; indi portò il pensiero di Don Bosco su diversi punti di vita interna e esterna e sull'accettazione dell'Opera proposta dal Vescovo di Biella; disse il suo parere sulla convenienza o no di certi trasferimenti; s'informò dell'andamento morale della comunità, e in particolar modo ne esaminò lo stato finanziario. A tal fine verificò in qual maniera si curasse la registrazione e come funzionassero cucina e lavanderia, come fosse coltivata la vigna, come andassero le scuole e il laboratorio, largheggiando in spiegazioni per ovviare alle maggiori difficoltà ed in incoraggiamenti per sostenere gli animi a soffrire volentieri gli effetti della stragrande povertà. La penuria domestica dovette impressionarlo non poco, giacchè un giorno, vistosi presentare uno zabaione, si schermì bellamente dal prenderlo; anzi, per qualunque cosetta in più o in meglio che dalle buone figlie venissegli offerta, si mostrava quasi accorato. Prima di lasciare la casa, visitò una povera suora, attaccata violentemente dal tifo, procurandole il bramato conforto della professione perpetua e amministrandole l'Olio Santo. Partì con i predicatori, che furono il prelodato monsignor Scotton e il teologo Ascanio Savio., fratello di Don Angelo salesiano, cugini di Domenico.

 

                Nel '76 sciamarono da Mornese ventinove fra suore, novizie e postulanti, ripartite in sei luoghi diversi per dare principio ad altrettante nuove famiglie. La parola d'ordine da parte della Madre era per tutte: osservare la Regola, conservare lo spirito, guadagnarsi le giovanette, ma per trarle al Signore.

 

                Prime spiccarono il volo tre per Vallecrosia ai 9 di febbraio [288]. Parve loro e alle consorelle un andare in capo al mondo; ma più ancora della lontananza era in casa argomento di gran parlottare l'idea che andavano in bocca ai protestanti. A impressionare maggiormente la comunità aveva contribuito la disposizione del direttore Don Costamagna, che per implorare sulle “missionarie” grazie speciali dal Signore si facesse un triduo di adorazione eucaristica a mo' di quarantore, cosa assolutamente nuova nell'Istituto. La Madre Generale e la Madre Vicaria le vollero accompagnare per la strada coperta di neve fino a Gavi, dove presso quel santuario della Madonna innalzarono tutte insieme un'ultima preghiera alla Vergine Santissima e non senza lacrime si scambiarono gli estremi addii. Don Costamagna guidò fino a Sampierdarena la piccola comitiva, che consegnò al direttore di Vallecrosia Don Cibrario, anche lui sulle mosse verso quella meta.

 

                Furono loro di grande conforto le paterne accoglienze di monsignor Biale, vescovo di Ventimiglia, il quale tenne a pranzo anche le Suore nell'episcopio e poi le condusse a prender possesso della loro dimora. La Domenica 13 febbraio il Vicario Generale canonico Viale benedisse la chiesina provvisoria, in cui esse diedero cominciamento all'oratorio festivo; il 14 vi fu l'apertura delle scuole. Per l'oratorio non c'era nè giardino nè cortile; onde le suore fecero come sapevano essersi fatto già a Mornese dalla madre Mazzarello, prima che fosse religiosa: radunate le fanciulle alla meglio, facevano loro un po' di catechismo e poi le menavano a passeggio, sostando in luogo adatto per cantare e giocare; di là ritornavano alla chiesetta per le funzioni domenicali, finchè sull'imbrunire, distribuiti alcuni regalucci, le rimandavano a casa. Tali furono gli umili principii di quella che oggi è la grandiosa opera delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Vallecrosia.

 

                Ai 29 di marzo, scortate da Don Rua, giunsero a Valdocco sette suore, destinate a prendere stanza nella famosa casa, che Don Bosco aveva acquistata per loro vicino alla chiesa [289] di Maria Ausiliatrice[115]. Il giorno innanzi l'Arcivescovo aveva emanato il solenne decreto, in cui, accogliendo la domanda presentatagli nell'anno antecedente da Don Bosco, sebbene non avesse fino allora nessuna notizia sicura sul conto delle nuove suore, tuttavia, rimettendosi alla prudenza di monsignor Sciandra, vescovo di Acqui che le aveva approvate nella sua diocesi, le autorizzava a porre la loro residenza a Valdocco. Nello stesso documento egli dichiarava che con tale autorizzazione non intendeva punto di approvare la Congregazione nella sua diocesi, ma che si riserbava di farlo soltanto dopo una conveniente prova[116].

 

                La cronaca dell'Istituto dice che le prescelte furono oggetto d'invidia da parte delle consorelle per la fortuna che le attendeva di lavorare così vicino a Don Bosco. Alla stazione di Torino diede loro il benvenuto la mamma di Don Rua. Il Beato stesso poi le presentò alla tanto benemerita contessa Callori, che l'aveva aiutato molto a snidare il demonio dal luogo destinato alle Figlie di Maria Ausiliatrice, come è narrato nel volume precedente. La pia gentildonna le volle servire con le proprie mani a pranzo, presente Don Bosco; quindi le guidò alla loro abitazione. La casa era così. povera, che non aveva neppur cucina, sicchè per il vitto somministravano ad esse il necessario i Salesiani. Le presenti abitatrici della grande casa generalizia, spingendo lo sguardo oltre il lato opposto della piazza di Maria Ausiliatrice sopra un gruppo di vecchie fabbriche, possono esclamare: - Ecco dove fu un tempo la nostra Betlemme! -

                Per lo spirituale stavano discretamente. Il giorno 30 per espressa delegazione arcivescovile venne benedetta dal parroco la cappella interna. Un lodevole senso di delicatezza suggerì a quell'ecclesiastico di subdelegare Don Bosco; ma questi amò meglio che si eseguisse alla lettera la disposizione del Superiore. Don Rua era il confessore ordinario delle suore; [290] Don Bosco le aiutava in tutti i modi con cuore di padre, facendo loro talvolta anche la conferenza mensile.

 

                Appena installate, non istettero con le mani in mano; poichè cominciarono subito l'oratorio festivo, la scuola gratuita, un po' di laboratorio e i catechismi diurni e domenicali. Il Beato le istruì sulla maniera di fermare le fanciulle e d'intavolare discorso, regalandole d'immaginette, arance o caramelle, per amicarsele e attirarle all'oratorio. Nel qual oratorio due cose volle Don Bosco che parlassero alle giovanette della riconoscenza dovuta a chi ne aveva procurato loro il benefizio. Anzitutto il nome: intitolò la casa a Sant'Angela Merici, per ricordare la signora Angela Bianco, che molto generosamente aveva. risposto alla sua circolare dell'anno avanti. Poi un bel quadro di san Carlo Borromeo, fatto porre da lui nella cappella, per onorare la contessa Callori, che si chiamava Carlotta.

 

                Biella ebbe la terza fondazione. In uno de' suoi viaggi il Beato s'incontrò quest'anno con monsignor Basilio Leto vescovo di Biella, e saputo da lui che cercava suore per il suo seminario, gli disse:

 

                - Le mando le mie!

 

                - Ma voi avete suore?

 

                - Sì, Monsignore e penso che possano fare al caso per Vostra Eccellenza.-

 

                Così a tamburo battente fu deciso di aprir casa in quella città. Le suore destinatevi in numero di sette, lasciarono Mornese ai 7 di settembre. Il Vescovo stesso le aspettava alla stazione. Paternamente egli si era occupato della casa loro assegnata, badando che fosse igienica, allegra e ben provvista di tutto il necessario. Volle che avessero anche la propria cappellina interna, sebbene abitassero a pochi passi dal duomo. Le suore cercavano da per tutto invano un'immagine della loro cara Ausiliatrice. Il Vescovo, avvedutosene, commise tosto a un giovane pittore della città un quadro in tela che la rappresentasse nel modo indicato dalle suore stesse. Per parecchio [291] tempo le biellesi furono le sole non assistite dai Salesiani; ma vi suppliva la bontà tutta patema di Monsignore. Nel marzo del '77 la madre Mazzarello le andò a visitare. Il Vescovo le fece grandi elogi della comunità; ma la buona Superiora partì con una spina nel cuore: le parve che quelle sue figlie vi avessero troppi agi. Il lavoro soprabbondava; ma quel vitto e quella casa avevano, secondo lei, del signorile, che disdiceva alla povertà e allo spirito di Mornese. Naturalmente non venne via da Biella senza rendere il suo tributo di pietà alla Madonna di Oropa nel suo vetusto santuario montano, tanto caro anche a Don Bosco.

 

                Appena regolate le cose di Biella, venne la volta di Alassio. Sette suore vi si recarono ai 12 di ottobre, accompagnate da Don Costamagna. Ve le accolse una casa piccola, poco adatta, priva di ogni comodità, senza nemmeno un tavolino, a cui sedersi per prendere cibo. Vedevano bene che l'urgenza della loro andata non aveva lasciato tempo a provvedere; ma ciò non toglie che il loro buon volere fosse messo in sulle prime a ben dura prova. L'8 novembre un gruppetto di tre aperse la casa di Lu Monferrato. I coniugi Giuseppe Rota e Maria Ribaldone si stimarono fortunatissimi d'aver ottenuto da Don Bosco dopo molte istanze che le Figlie di Maria Ausiliatrice andassero nella loro patria a dirigere l'asilo infantile, a metter su un laboratorio e ad aprire un oratorio festivo. Essi offrirono tutto quanto poteva all'uopo occorrere.

 

                Più modesti che altrove furono nel dicembre gl'inizi della casa di Lanzo. Due sole suore salirono lassù, prendendo alloggio presso una signora benefattrice. Tali condizioni si protrassero fino al settembre dell'anno dopo, quando una comunità regolare potè installarsi nell'abitazione appositamente preparata. La vicinanza però di Torino, ove scendevano pressochè ogni settimana, rendeva meno sensibile l'isolamento delle due prime. Essendo poi Lanzo nell'archidiocesi di Torino, il Beato aveva in antecedenza chiesto il beneplacito di monsignor Gastaldi con questa supplica. [292]

 

                Eccellenza Reverendissima,

 

                I grandi vantaggi morali e materiali ottenuti da coloro che nei Seminarii od in altre case di educazione hanno introdotto le monache per quei lavori e per quelle occupazioni che sono adattate alla condizione di quelle, mi hanno animato a fare altrettanto pel Collegio convitto di Lanzo.

 

                Supplico pertanto la E. V. Reverendissima a voler permettere che alcune suore dell'Istituto di Maria Ausiliatrice siano a questo fine inviate nel collegio mentovato, in sito appositamente preparato, colle medesime condizioni con cui ha permesso che altre dello stesso istituto venissero a fare scuola alle povere ragazze in Valdocco.

 

                Si nota che le occupazioni delle religiose sarebbero esclusivamente nel Collegio e pel Collegio, e che per quanto riguarda alle pratiche di pietà, intervengono a quelle che hanno luogo regolarmente per gli allievi dello stesso Collegio.

 

                Pieno di fiducia di essere favorito nella fatta dimanda, con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi

 

                Di V. E. Rev.

 

                Torino, 10 settembre 1876.

Umile supplicante

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il fatto dell'andata dimostra che il beneplacito venne accordato; ma non ne abbiamo rinvenuto documento di sorta.

 

                Al termine di queste fondazioni la Madre Generale, scrivendo a Don Cagliero, dopo aver enumerate le case aperte, usciva in una ingenua facezia, dettando alla segretaria: “Dimenticavo la Casa che abbiamo in Paradiso,. la quale è sempre aperta. Il Direttore di essa non ha nessun riguardo nè ai Superiori nè al Capitolo; prende chi vuole; ne ha già sette”. Dalle memorie del tempo non traspare che morti così numerose nel giro di un anno gettassero lo sgomento nelle superstiti; non vi si parla anzi che dei buoni esempi dati in vita dalle defunte e dell'edificazione dei loro ultimi istanti.

 

                Durante l'estate del '76 le Figlie di Maria Ausiliatrice diedero ottima prova di sè in un'occupazione, che sembrava esorbitare dalle mansioni proprie dell'Istituto, nell'assistenza cioè di ragazzi e ragazze scrofolosi sulla spiaggia ligure a Sestri Levante. Madre Mazzarello non aderì alla proposta se [293] non dopo aver consultato il Servo di Dio. Dai primi dunque di giugno agli ultimi di settembre sette Suore attesero a quel caritatevole ufficio. Cristianamente caritatevole diciamo nei loro riguardi, laicamente filantropico invece nello spirito degli amministratori, uomini compitissimi, ma avversi alla religione. Le Suore però senz'alcun rispetto umano insegnavano ai piccoli il catechismo, facevano dir loro le orazioni mattino e sera, li facevano cantare lodi sacre, li conducevano alla Messa e alla Comunione. Anima di tutto era la dirigente suor Enrichetta Sorbone, oculata, coraggiosa e abbastanza pratica del mondo. Quante monellerie in principio da parte di quei ragazzi e di quelle ragazze! Ma dopo la cura non si riconoscevano più neanche moralmente. Gli amministratori si dichiararono molto soddisfatti dell'Opera delle Suore, e le Suore rientrarono nel nido soddisfattissime del proprio lavoro.

 

                Nel '76 la casa di Mornese fu teatro di fenomeni straordinari, che per parecchi mesi ne turbarono la pace. Una postulante misteriosa, chiamata Agostina Simbeni, vi era stata ammessa per raccomandazione di Don Bosco. Veniva da Roma. La dicevano figlia di un deportato politico della Siberia. Vantava conoscenze di prelati e asseriva d'aver bevuto il caffè nella tazza stessa del Papa. A Don Bosco l'aveva raccomandata uno di quei personaggi altolocati, ai quali non si può dire di no; ma nessuno glie la presentò. Aveva voce dolce, maniere piacevoli, figura snella, capelli biondeggianti. Sebbene di non grande avvenenza, ammaliava chiunque l'avvicinasse. Pareva intelligente e sana. In casa tutte la amavano; parecchie la ritenevano per santa. Anche il Direttore, Don Costamagna non era alieno dal giudicarla privilegiata di carismi superni. Madre Mazzarello osservava e taceva. L'innato buon senso e il buon fiuto delle cose spirituali la facevano andare guardinga. Le mise una pulce nell'orecchio anche monsignor Bonelli, parroco di Rosignano, al quale certi atteggiamenti della Simbeni garbavano poco. A chi gli obiettò il favorevole concetto del Direttore, rispose: - Il Direttore non può ancora avere tutta [294] l'esperienza di un vecchio; e poi è sempre vissuto in ambienti santi. -

                L'archivio delle Suore possiede una lunga relazione sincrona, stesa dal nostro Don Fassio, allora maestro comunale a Mornese. Che fatti mirabolanti! Agostina palesava i segreti delle coscienze, indovinava cose avvenute in luoghi lontani, talora sembrava rapita in estasi e sollevata da terra cantava in italiano e in francese con voce angelica. Colta da una malattia misteriosa e condotta in fin di vita, ne guarì all'istante. Le appariva una fanciullina, da lei chiamata la sua bambina, che le rivelava arcani d'ogni specie. Finalmente profetò, che sarebbero nell'anno accaduti grandi soqquadri a Roma, per causa di una guerra che doveva infallantemente scoppiare. Il vaticinio, portato nell'Oratorio, vi destò un fermento indescrivibile. La visionaria ne scrisse persino a Don Bosco, annunziando in prova della sua profezia che fra tre giorni ella, che godeva perfetta sanità, sarebbe morta improvvisamente. Nella medesima lettera invitava Don Bosco ad assisterla nell'estremo passo. Tutta la comunità era in subbuglio.

 

                Don Bosco non si mosse; anzi a Don Costamagna che gli chiedeva se dovesse assisterla nel suo passaggio all'eternità, rispose che non ne facesse nulla. Il terzo giorno venne, ma Agostina non morì. Disse che, se non era morta, se ne attribuisse la causa alla mancata visita di Don Bosco, al quale aveva importanti comunicazioni da fare. Insistette pertanto di essere condotta dov'era Don Bosco e presto presto. Insomma tanto fece che venne condotta a Borgo S. Martino, dove allora trovavasi il Servo di Dio, il quale senza tanti preamboli le disse in presenza di molti: - Non parvero che tanta malizia e tanta superbia possa albergare in una donna così giovane! Andate, che Dio non si comunica mai a persona disobbediente quale voi siete! - E rivolto a chi l'aveva condotta: - Accompagnatela a casa, intimò, e non compaia mai più nè avanti a Don Bosco nè in alcuna delle nostre case. -

                Agostina voleva ancora parlare, scusarsi, palesare nuove [295] profezie, ma Don Bosco rifiutò di udirla. Essa allora chiese denaro per andare a Roma e presentarsi al Papa. Don Bosco, vedendo che non finiva più d'insistere, ordinò che le si pagasse il viaggio, ma non le si desse il denaro; sibbene le andassero a prendere il biglietto alla ferrovia.

 

                Udite queste disposizioni, Agostina non volle più partire, sicchè per istrapparla di là bisognò ricorrere alla forza. Le si pagò dunque il biglietto fino a Roma, giunse a Sampierdarena, trovò modo di tornare a Mornese, ripartì, rivenne, finalmente se ne andò per sempre e non se n'ebbero più notizie. Fu una diavoleria ovvero una trama per rovinare l'Istituto? Fu certamente un pericolo di suggestione collettiva, che avrebbe potuto causare un disastro irreparabile. Nonostante qualche momento di esitazione, madre Mazzarello dimostrò in generale una chiaroveggenza che riuscì salutare; il Beato poi chiuse con la sua risolutezza l'incidente.

 

                Parlando di simil gente, Don Bosco diceva: - Bisogna stare in guardia. Vi sono realmente certe scroccone, che hanno tanti ripieghi e sotterfugi da trarre in inganno anche l'uomo più prudente. Sembra proprio che il demonio le abbia invase ed insegni loro tutto ciò che egli sa. Contro di esse con c'è furbizia che valga. Trovate mancanti in una parte, hanno mille scuse ed espedienti per parere ancora più sante; scoperte bugiarde in una cosa, sanno cavarsela in modo da comparire le più veritiere del mondo. L'uomo più assennato e perfino il prete non arrivano a trovare un'arma che basti contro di loro: non c'è che l'esperienza, la quale insegna che di queste male donne ve ne furono sempre e ve ne sono tuttavia e nessuna malizia, nessun inganno lasciano intentato, quando hanno abbandonato il Signore e si sono date al demonio. Quindi appena certe creature di tal fatta si scorgono realmente o superbe o disobbedienti o bugiarde, non si deve più prestar loro la menoma fede, nè ascoltarne veruna ragione, facessero pure miracoli. Non vi è inganno, che non se ne debba ragionevolmente temere. - [296] Infatti egli, che si attenne sempre a questa regola, non si lasciò mai gabbare. Verso il 1880 una giovane si diceva ossessa dal demonio, così permettendo Iddio a prova della sua virtù. Accadevano anche allora cose strane e inesplicabili. Don Bosco, esaminate le circostanze, rispose non esservi in quanto si affermava nulla di soprannaturale. Coloro che la dirigevano, le professavano invece molta stima e piena fiducia, e quindi glie la presentarono perchè la benedicesse. Don Bosco, interrogata che l'ebbe, ribadì la sua affermazione. Non si volle stare al suo parere. Colei mentiva con tale sfacciataggine da negare perfino le prove più evidenti; anzi con sottile perspicacia d'ingegno ritorceva in suo favore le stesse accuse e con illusorii argomenti si faceva credere vittima di calunnia, passando quindi per più santa ancora. Se però i suoi ammiratori avessero guardato un po' meglio, si sarebbero potuti accorgere di quello che Don Bosco vide, della mancanza cioè di umiltà e di obbedienza, e si sarebbero risparmiati lo scorno che suol essere riserbato a simili infatuazioni.

 

                Mentre avvenivano questi fatti, la Madonna diede una prova sicura della sua materna protezione alle sue figlie mornesine. Era il primo giorno del triduo di Maria Ausiliatrice. Suor Teresa Laurentoni, da gran tempo inferma, per volontà di madre Mazzarello assistette in chiesa alla funzione da una specie di carrozzella, dietro tutte le altre. Le stava accanto suor Agnese Ricci. Al momento dell'esposizione di Gesù Sacramentato l'ammalata si agita, diventa rossa, trema. Suor Agnese spaventata chiama la Madre. La Madre si volta verso suor Laurentoni, e le dice imperiosamente: - Fila! Alzati, prendi la scala e va' a vestirti. - Suor Teresa senz'aiuto si alza, va, ricompare lieta e arzilla come prima della malattia. L'8 luglio la Madre scriveva a Don Cagliero: “Suor Teresa Laurentoni è perfettamente guarita”. Tanto guarita, che le venne poi affidata la direzione della casa di Torino e campò fino al 1920. Era nata nel 1857 a Massignano di Fermo, figlia di un Colonnello Pontificio. [297] Sventata la manovra diabolica entro casa, altro bolliva in pentola contro l'Istituto fuori di casa. La sorda ostilità dei Mornesini contro la destinazione dell'Opera non disarmava. Questa volta scese in campo il municipio. La causa prossima della vertenza fu quanto mai meschina. Tutto contribuiva ad accrescere il disgusto dei ben pensanti e ad accelerare l'esodo delle Suore dalla terra che le vide aggregarsi, pigliar forma e slanciarsi nell'avvenire.

 

                Un signor Pastore, consigliere comunale di Mornese e purtroppo ex-allievo dell'Oratorio, ambiva di conseguire non sappiamo bene quale carica e si rivolse a Don Bosco, perchè lo aiutasse a raggiungere lo scopo. Il buon Padre fece del suo meglio per appagarne il desiderio; ma anche per lui non tutte le ciambelle riuscivano col buco. L'ingrato, come se Don Bosco avesse colpa nell'insuccesso, montato in collera e messosi sul puntiglio, propose in municipio di diffidare il maestro salesiano e la maestra suora, che insegnavano legalmente nelle scuole comunali. La proposta non incontrò nel consiglio seria opposizione. Buona gente, che non capiva quanto giovasse ai Salesiani e alle Suore ritirarsi non solo dalle scuole, ma dal paese, nè misurava il danno materiale e morale che ne sarebbe venuto al comune! Don Bodrato, economo generale della Congregazione salesiana e mornesino, rnandatovi da Don Bosco, appianò il dissidio; ma fece chiaramente intendere a tutti che si guardassero bene dai colpi di testa, perchè Don Bosco al ripetersi di simili atti ostili avrebbe levato le tende da Mornese; Gavi e Serravalle presentare comodità di gran lunga superiori; anche Novi piacergli moltissimo per più ragioni; da un angolo così disadatto e disagiato aver già egli troppi motivi di andarsene senza che vi si aggiungessero imbarazzi d'altra natura; badassero al granello, che avrebbe fatto traboccare la bilancia.

 

                Don Bosco, udita la relazione, pensò di dover cominciare a prendere le sue misure; perciò commise a Don Bodrato di scrivere all'avvocato Traverso, persona assai benevola e influente, [298] che cercasse dove nel caso dei casi fosse più conveniente trasportare i penati. Ma la voce del probabile abbandono di Mornese era già corsa fra i maggiorenti della contrada; quindi è che detto signore, consigliere comunale a Gavi, lo prevenne, esprimendogli calorosamente la sua approvazione e profferendogli spontaneamente i suoi servigi[117]. Mentre così la Provvidenza disponeva alla lunga gli eventi, che avrebbero portato alla soluzione del problema, ogni dì più maturava nella culla dell'istituzione quello spirito buono, che avrebbe animato la prima generazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice e che nelle generazioni successive sarebbe stato detto lo “spirito di Mornese” e riguardato come l'ideale perenne dello spirito di tutta la Congregazione. Intanto guidate da tale spirito, nelle case di recente fondazione si diportavano così egregiamente da meritarsi che il Beato scrivesse di loro questo semplice invidiabile encomio: “Le Figlie di Maria Ausiliatrice fanno assai bene dove vanno”[118].

 

 

CAPO XI. Preparativi per la seconda spedizione di Missionari.

 

                L’AVVIAMENTO preso dalle cose nell'America obbligava Don Bosco a preparare senz'indugio una nuova spedizione di Missionari, che fosse ancor più numerosa della prima. Don Cagliero ne reclamava almeno una ventina. Per mettere insieme tanti soggetti era giocoforza sguernire i collegi d'Italia; il che, come di leggeri si comprende, allarmava i Direttori, già stremati di personale. Un giorno il Beato, viaggiando con Don Cerruti da Alassio ad Albenga, gli magnificava il campo sconfinato aperto dal Signore ai Salesiani non solo nell'America, ma anche nell'Oceania, nell'Africa e altrove, e faceva i nomi delle molteplici stazioni da porre nei vari luoghi. Ma Don Cerruti, non che entusiasmarsi, dava segni evidenti di distrazione. Accortosene il Beato s'interruppe interrogandolo:

 

                - Ma capisci?

 

                - Qualche cosa; ma...

 

                - Già; non volete riflettere e quindi non capite. -

                Il Servo di Dio però, che procedeva ben diversamente da chi va con la testa nel sacco, teneva conto di questi stati d'animo; onde architettava alla lunga le sue combinazioni in guisa da rendere il meno sensibile che potesse i diffalchi di personale. In pari tempo lo confortava la certezza di poter [300] fare sempre assegnamento sul buon volere e sullo spirito di sacrifizio da lui stesso ispirato a' suoi direttori. Non erano essi cresciuti fin da piccoli nell'Oratorio? Al qual proposito disse un giorno: - Grande vantaggio è il ricevere noi ancor piccolini la maggior parte di coloro che si fanno Salesiani. Vengono grandi assuefacendosi senz'accorgersene ad una vita laboriosa, conoscono tutto il congegno della Congregazione e si troveranno facilmente pratici di qualunque affare; sono subito buoni assistenti e buoni maestri, con unità di spirito e di metodo, senz'aver bisogno che nessuno loro insegni il metodo nostro, perchè lo impararono mentr'erano allievi. Ci dànno eziandio maggiori speranze che tra noi continuerà a conservarsi lo spirito e non ci saranno scissure o bisogni di riforme. In una Congregazione, allorquando entra un uomo di molta scienza e autorità, se non è un gran santo, cioè se non sa nei casi particolari adattar sempre la sua volontà a quella dei superiori, farà più male che bene. E' cosa ben difficile spogliarsi interamente dell'antico Adamo, massime che non si tratta di vizi gravi o di azioni peccaminose; ma di cose nelle quali ciascuno, facendole, si trova in piena buona coscienza. Col suo esempio svia lo spirito antico e porta gravissime conseguenze nell'andamento degli altri. Io credo che fino ai tempi nostri non sia ancor nata una Congregazione o un Ordine religioso che abbia avuta tanta comodità nella scelta degli individui a lei più adattati... Un'altra cosa che mi fa sperare nella conservazione del nostro spirito anche in futuro e in lontane regioni sta nella nomina a superiori delle case di coloro che sono vissuti molto in Congregazione e passati per molti gradi in essa... Si apriranno molte case, ma a direttori senza pensarci verranno scelti quasi tutti i preti e i chierici, che di qui si mandarono, prima che possano credersi atti a tale uffizio quelli che ora vanno crescendo in quei luoghi. Coloro che sono vissuti molto tempo fra di noi infonderanno negli altri il nostro spirito e prima che vi sia uno fra gli Americani che possa avere molta autorità fra i [301] soci, lo spirito salesiano sarà naturalizzato e avrà messe salde radici nel nuovo mondo[119] - .

 

                I preparativi per la seconda spedizione non furono meno ardui che quei della prima; però ci sono molto men noti. Ci è dato d'intuirli solo attraverso la scarsa corrispondenza tenuta da Don Bosco nei tre mesi di agosto, settembre e ottobre. Di questi preparativi diede l'annunzio a Don Cagliero verso l'Assunta.

 

                Car.mo D. Cagliero,

 

                Tutto secondo il solito. Si lavora pel corredo. La ventina si va disponendo; è necessario che le cose siano ultimate prima della partenza. Abbiamo bisogno di passaggi: per una spesa grave fatta per la casa di Nizza, ci troviamo nella massima miseria. Ma a pil o a pouf ci caveremo.

 

                Sono circa duecento che domandano d'andar in Patagonia. Tutta l'Italia e l'Europa politica e religiosa parla del nostro progetto per la Patagonia. Dio lo vuole, e ci voglia aiutare a fare la parte nostra.

 

                Attendo notizie positive.

 

                Di' a tutti i nostri cari che saranno sempre gaudium meum et corona mea.

 

                Dio ci benedica tutti.

 

                Ho ricevuto la lettera dell'Arcivescovo, e gli scriverò in proposito il pensiero del S. Padre. Amen.

 

                Dio ci benedica tutti e credetemi sempre in G. C.

                Torino, 13-8-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Don Cagliero trattò dei passaggi con la Curia di Montevideo. Mercè il concorso del Governo se ne ottennero dieci, quanti erano i Salesiani destinati al collegio di Villa Colón, sebbene due dovessero raggiungere più tardi i primi, le pratiche si svolsero fra l'agente della Compagnia del Pacifico in Montevideo e l'agente di Bordeaux. Chi condusse molto bene le trattative fu il segretario del Vicario Apostolico, che noi già conosciamo. Lo zelo da quei buoni amici spiegato in [302] questo, come anche nell'allestimento del collegio, non mancò di sollevare contrarietà locali; ma essi, non che disanimarsi, ne pigliavano animo, persuasi che fosse opera di Dio e che delle opere di Dio le contrarietà siano ordinario suggello[120].

 

                Nella lettera dell'Arcivescovo di Buenos Aires, a cui Don Bosco si propose di rispondere, noi vediamo come le simpatie dello zelante prelato per i Salesiani non si attiepidissero; egli anzi, per secondare i disegni del Beato a pro dei selvaggi, aveva in animo d'intraprendere un viaggio fino al remoto Carmen de Patagónes in compagnia di Don Cagliero e là studiare che cosa vi fosse di fattibile a quello scopo[121].

 

                Nell'ordine dei preparativi Don Bosco procedette sistematicamente: interessò l'opinione pubblica, si rivolse alle alte sfere e sollecitò individualmente la carità delle persone facoltose.

 

                Ecco infatti nel mese di agosto i due massimi giornali cattolici d'Italia, a un certo intervallo l'uno dall'altro, illustrare con lunghi e accurati articoli gl'ideali di Don Bosco sull'evangelizzazione della Patagonia[122]. Entrambi, esposto per sommi capi il già fatto e messe in evidenza le ragioni di bene sperare, per l'avvenire, informavano i lettori dei progressivi sviluppi, a cui s'intendeva di mettere mano, e dei mezzi che a tale intento si richiedevano. O dall'uno o dall'altro foglio poi gli organi minori presero lo spunto per occuparsi anch'essi della cosa, diffondendone la notizia in tutte le classi delle popolazioni. A tempo opportuno il Beato inviò ai giornali una sua circolare, che diramò anche per posta a grandissimo numero di persone, facendo appello alla generosità di tutti. Egli stesso per più giorni attese a scrivere indirizzi: chi ne conosceva la scrittura, ricevendo direttamente da lui lo stampato, ne faceva maggior conto. La circolare è in due redazioni; la posteriore, oltre alcuni ritocchi formali, presenta diverse aggiunte [303] di notizie pervenute a Don Bosco dopo la pubblicazione dell'altra. Nella prima si annunziava la partenza di dodici Missionari con la spesa non minore di quarantamila franchi; nella seconda i Missionari salgono a venti con la spesa di circa franchi sessantaseimila. Il qual numero di partenti sarà all'ultima ora aumentato. Noi diamo qui il testo definitivo, distinguendo con il corsivo le aggiunte introdotte.

 

                Benemerito Signore,

 

                Iddio pietoso, ricco in misericordia, si degnò di benedire il pensiero di una Missione nella Repubblica Argentina e nello spazio di pochi mesi i Missionari Salesiani poterono fondare un Collegio a Monte-Video, attivare un ricovero per ragazzi abbandonati, riaprire la Chiesa detta Madre di Misericordia, iniziare Scuole ed Oratorii festivi in Buenos-Ayres pei numerosi Italiani colà dimoranti.

 

                Si ultimò e già si aprì un Collegio a S. Nicolás de los Arroyos, dove hanno già raccolto oltre a cento venti giovanetti, di cui parecchi appartenenti a famiglie vissute nelle tribù selvaggie. Annessa al Collegio hanno pure aperta una pubblica Chiesa, dove gli adulti intervengono ad ascoltare la parola di Dio, udire la Santa Messa, accostarsi ai Santi Sacramenti della Confessione e Comunione. Coll'apertura di queste case è tracciata la via per. progredire tra i selvaggi; il S. Padre si degnò di benedire e commendare la pia impresa. Ora trattasi di effettuare un novello istituto nella citta di Dolores, altro a Carmen ultimo paese della Repubblica Argentina tra l'Atlantico e la Patagonia. Da lettere ricevute in questo momento dai Missionarii ci viene data la grande consolazione che in tre parti i selvaggi dimandano Missionarii che vadano tra loro, ad annunziare il regno de' cieli. Altre case, altri ricoveri dello stesso genere sono progettati nella Repubblica del Chili. Colà ci è offerto di aprire in Santiago, che n'è la capitale, un Ricovero per le moltitudini di fanciulli abbandonati, che vivono senza istruzione, affatto privi di mezzi per conoscere Dio Creatore; un collegio a Valparaiso, seconda città di quella Repubblica; un piccola seminario nella città di Concezione ultima Diocesi al sud e confinante coi selvaggi della Patagonia.

 

                Aperte queste case, attivati questi ricoveri, si assicura la moralità e la religione fra gl'indigeni, si può dare una educazione scientifica e cristiana ai fanciulli di ogni classe, e intanto si coltivano quelle vocazioni ecclesiastiche, che per avventura si manifestassero tra gli allievi. In questa guisa si spera di preparare dei missionarii pei Pampas e pei Patagoni, quindi i selvaggi diventerebbero evangelizzatori dei medesimi selvaggi senza pericolo di vedere rinnovati i massacri [304] dei tempi andati. Il progetto di formare dei missionarii indigeni, pare sia quello benedetto dal Signore, poichè vi sono già dieci giovani grandicelli indigeni i quali fecero richiesta e vennero ammessi tra i Missionarii. Vivo desiderio di costoro si è di farsi ecclesiastici e andar a predicare il Vangelo tra i selvaggi.

 

                Ma i Salesiani inviati, e che già si trovano sul campo evangelico dalla Divina Provvidenza assegnato, sono insufficienti al grave lavoro che hanno tra mano e a quello che ognor più esteso loro si presenta.

 

                Ed affinchè non abbiano a soccombere sotto il peso delle fatiche è indispensabile che siano prontamente mandati in aiuto non meno di venti novelli cooperatori. Tale appunto è il numero che di là si domanda e che si sta preparando, tutti contenti di affrontare ogni sorta di pericolo, per recarsi presso ai loro Confratelli e lavorare seco loro per guadagnare anime a Dio. Ma come l'anno scorso ho dovuto ricorrere alla carità dei fedeli per fare la prima spedizione, così debbo fare presentemente. Avvi bisogno di provvedere libri, corredo personale, arredi sacri, suppellettili di scuola, di casa, di viaggi per quelli che stanno per partire. E' pur mestieri di provvedere molti oggetti richiesti da coloro, che già trovansi al luogo delle missioni. Giacchè in quei remoti paesi si manca di tutto. La spesa della novella missione non è minore di sessantasei mila franchi. Per raggranellare questa somma io non ho altra via che ricorrere alla pietà dei buoni cattolici e specialmente a V. S. Benemerita.

 

                Mentre i Salesiani offrono volentieri la loro vita per salvare anime, dal luogo delle loro Missioni si volgono alla carità di V. S. supplicandola di venir loro in soccorso colla sua beneficenza. Faccia quello che può, e ci voglia eziandio raccomandare alle persone caritatevoli con cui avesse particolare relazione. Ogni offerta anche piccola può mandarsi al sottoscritto con quel mezzo che tornerà più comodo al Benemerito Oblatore.

 

                L'amoroso nostro Divin Salvatore, che morì in Croce per la comune salvezza benedica e compensi largamente tutti i nostri Benefattori. I Missionarii poi dal canto loro tanto quelli che già sono in America, quanto quelli che si preparano a partire, assicurano quotidiane preghiere pei loro benefattori, ed io a nome di tutti professando la più viva e profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi segnare.

 

                Di V. S. Benemerita.

 

                Torino 25 agosto 1876.

Obbl. Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

                Volle questa volta richiamare più direttamente l'attenzione del Governo italiano, per averne appoggio morale e [305] materiale. Non s'illuse sull'effetto; disse anzi francamente che prevedeva di fare un buco nell'acqua, a nulla essendo approdate fino allora tante lettere e tanti schiarimenti orali. Ma non glie ne importava nulla, perchè due risultati almeno erano sicuri. Anzitutto il Governo veniva così a sapere ciò che i suoi facevano, e a formarsi la persuasione che non si agiva in segreto nè si navigava sott'acqua, ma si operava alla luce del sole. Poi i governanti avevano modo di convincersi sempre più essere unica mira di Don Bosco far del bene all'Italia e agl'Italiani, anche allorquando si drizzavano le vele verso lidi remoti. - Costoro, insisteva egli, vedendo essere palesi le nostre intenzioni e le nostre opere, sono contenti e non cercano più oltre. A questo il fine della festa al collegio di Lanzo. per la ferrovia; e così farò ora qui e sempre. Quando si presenta l'occasione, ci fa del bene il parlare, il dire, il manifestare, sicchè conoscano le cose nostre; poichè adesso da questi altolocati si va avanti con la paura e col sospetto in ogni cosa. Basta che si sappia che una Congregazione opera, ma non si conosca che cosa faccia, perchè temano subito e si mettano sulle vedette. Con noi non c'è bisogno di occhiali: diciamo tutto a chi vuol sapere e persino a chi non vuol sapere. E’ vero che molte cose bisogna farle sapere, e farle ascoltare, perchè generalmente piacciono al pubblico; altre non bisogna che le propaliamo tanto, perchè possono toccare la suscettibilità d'altre Corporazioni religiose o far arricciar il naso a certi prudenti o schifiltosi; ma, diciamolo, noi siamo davvero e un po' troppo espansivi. -

                La sede opportuna per trattare di Missioni era presso il Governo al Ministero degli Esteri. Il Beato, corrispondendo con quel Ministro, si valeva del commendator Malvano, che n'era il segretario generale, israelita piemontese, che gli fu e gli si mostrò in ogni tempo estremamente benevolo. Per mezzo suo dunque Don Bosco inviò al ministro Melegari questa memoria. [306]

 

                Eccellenza,

 

                Nel mese di aprile ultimo scorso io aveva l'onore di esporre all’E. V. la miserabile condizione in cui versano gli Italiani dispersi nella Repubblica Argentina e in altri paesi dell'America del Sud, per la mancanza di istruzione scolastica e morale. Notava eziandio alcuni mezzi con cui parevami potersi provvedere a quel bisogno; e come per fare esperimento, io aveva già mandato dieci soci Salesiani, ossia membri dell'Associazione di beneficenza sotto al nome di S. Francesco di Sales, che ha per iscopo di occuparsi dei fanciulli più poveri ed abbandonati dalla Società.

 

                La E. V. si mostrò sensibile a quella esposizione, lodò il progetto, e promettendo l'appoggio del governo, mi indirizzava al March. Spinola che stava per partire in qualità di Ministro italiano a Buenos Aires. Quell'intelligente Signore apprezzò la gravità dei fatti, promise di occuparsene con tutta la energia, appena fosse in uffizio, e intanto mi consigliò a continuare la pratica in Italia presso di V. E.

 

                Presentemente ho l'onore di rendere noto a V. E. che con buon successo vennero già attivate alcune scuole ed il servizio religioso nella Chiesa de los Italianos in Buenos Aires.

 

                Fu aperto un Collegio a S. Nicolás de los Arroyos, in cui vi sono convittori interni ed allievi che, non potendo essere accolti come convittori, vengono a scuola dall'esterno.

 

                Sarà pure quanto prima aperto un ospizio pei ragazzi più poveri che dimorano in quella capitale, ed un Collegio a Montevideo col medesimo scopo di quello di S. Nicolás.

 

                Pei provvedimenti a prendersi per sostenere quelle scuole, l'ospizio e collegi, se piace all'E. V. potrò trattare quando ne abbia ricevuta relazione dal Signor Marchese Spinola.

 

                Nello stato attuale delle cose mi raccomando soltanto affinchè l'E. V. mi voglia concedere un sussidio per formare le spese di corredo e per quelle di viaggio a venti soci Salesiani, che devono quanto prima recarsi in aiuto a quei loro compagni che ne fanno calda istanza, perchè si vedono insufficienti al molto e crescente lavoro.

 

                Io nutro viva fiducia che la V. E. mi presterà il suo efficace appoggio a quest'opera, che oltre di essere nazionale è diretta in modo speciale a migliorare la più bisognosa classe della società, i figli pericolanti delle famiglie italiane.

 

                Mi conceda l'onore di potermi professare con tutta stima

 

                Di V. R.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Beato spedì al Malvano questo scritto per il suo Ministro, accompagnandolo con la seguente lettera. [307]

 

                Chiarissimo Sig. Commendatore,

 

                Le premetto vivi ringraziamenti pei molti disturbi che si è dato a mio riguardo, specialmente pei suggerimenti dati intorno alla Patagonia ed agli autori che ne trattano.

 

                Ora continuo a calcolare sulla generosa offerta del valido suo appoggio, e mi raccomando alla sua bontà che voglia leggere le unite carte indirizzate a S. E. il Ministro degli Esteri, prendendole sotto la sua valida protezione affinchè sortano il loro effetto.

 

                E' un'impresa difficile che un privato non può sostenere, ma è necessaria e torna a vantaggio di migliaia di famiglie italiane, che ritornando in patria avranno figliuoli discoli oppure onesti cittadini, secondo l'educazione che loro viene somministrata.

 

                Sarebbe pure una gloria per l'Italia se fosse prima fra le nazioni che abbiano efficacemente cooperato all'incivilimento della Patagonia e degli altri confinanti selvaggi.

 

                Voglia gradire la preghiera di un umile Sacerdote, che le augura dal cielo felicità e vita felice, mentre ho l'onore di potermi professare con gratitudine.

 

                Di V. S. Chiar.ma

 

                Torino, 12 agosto 1876.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La risposta del segretario ministeriale fu dilatoria, se pure non tradiva l'imbarazzo del suo principale. Uomini del Governo che non riguardassero gli uomini di Chiesa per lo meno come il fumo negli occhi, potevano allora dirsi rari come le mosche bianche. Rispose dunque che quanto al concentrare gl'Italiani in un punto della Patagonia, bisognava pensarvi ancora, essendosi esacerbato negli ultimi tempi un'antica controversia fra il Chili e l'Argentina circa lo spartimento del rispettivo dominio in quelle regioni; essere quindi cosa prudente differire ogni disegno fino a tempi migliori; riserbarsi di parlargliene egli stesso a viva voce all'Oratorio in Valdocco, qualora Turchi e Serbi gli lasciassero tanto di libertà da potersi recare in Piemonte a respirarvi un po' d'aria fresca[123]. Non è superfluo ripetere qui come l'idea utopistica di una condenda [308] Colonia italiana sotto il dominio della madre patria cedesse il posto al disegno attuabile di una Colonia simile a quella Gallese del Chubut, cioè formata d'immigrati italiani, favorita dall'Italia e governata interamente secondo le leggi argentine. Il Malvano soggiungeva: “Circa l'affare del sussidio per il tragitto di giovani da mandarsi ai nuovi istituti da Lei fondati o vantaggiati nell'Argentina, il ministro ha voluto (secondarli è consuetudine costante in simili casi) che anzitutto se ne scriva al R. Ministro di Buenos Aires per udirne il parere. Aspetteremo una prima risposta dal Marchese Spinola, il quale dev'essere giunto al suo posto negli ultimi giorni dello scorso mese di luglio”. Qui “per non rubargli troppo gran parte del suo tempo prezioso” fece punto, raccomandandosi alla sua benevolenza. Ed anche per tutto il negozio fu davvero punto fermo, sebbene il Servo di Dio tornasse all'assalto due mesi appresso con questa lettera.

 

                Chiarissimo Signor Commendatore,

 

                Si avvicina il tempo in cui dovrebbero partire i miei missionarii per la Repubblica Argentina ed ho veramente bisogno di aiuto pel viaggio. Il Governo di quella Repubblica paga i passaggi per 8; rimangono ancora 12 pel cui viaggio non so come provvedere. Usi questa carità a me, ed ai poveri italiani dispersi per la Repubblica o meglio per le Repubbliche dell'America del sud, e mi appoggi, affinchè io possa effettuare questa spedizione Non. domando sussidi per le scuole già iniziate e che sono già attivate. Di ciò attenderemo i risultati pratici. - Credo che il Marchese Spinola avrà già scritto in proposito e che avrà fatto una esposizione delle cose in modo identico a quanto verbalmente e per iscritto aveva l'onore di narrare.

 

                Prego Dio che le conceda vita felice e mi creda con verace gratitudine.

 

                Di V. S. Chiar.ma

 

                Torino, 12 ottobre 1876.

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Apprendiamo da questa lettera il generoso sussidio del Governo Argentino per otto passaggi. Don Bosco non poteva ancora sapere che quello Uruguaiano contribuiva per altri [309] dieci. L'Italiano gli diede mille lire “con vivo rincrescimento di non poter fare di più - dirà più tardi il Beato.

 

                Era ben naturale che Don Bosco bussasse anche a Propaganda. Mira a questo una sua lunga lettera al cardinal Franchi, Prefetto di quella Congregazione, che l'aveva già richiesto di notizie particolareggiate intorno alla Patagonia. Gli spedì appunto in detta circostanze quella compilazione messa insieme da Don Barberis. Nel territorio patagonico la Santa Sede voleva fondare, come abbiamo accennato sopra, una prefettura apostolica, da affidarsi ai Salesiani.

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                Sono in ritardo a spedire all'E. V. Reverendis.ma le notizie che ho potuto raccogliere intorno alla Patagonia, e perciò le chiedo benigno compatimento. Parecchi affari che non ho potuto differire, i pochi autori e le scarse notizie di essi su quelle vaste regioni mi fecero impiegare maggior tempo di quello che io non credeva.

 

                Questo tenue lavoro non è compiuto, e se mai si trattasse di stamparlo avrei bisogno di un po' di tempo per rivederlo con calma. Non fu però possibile di avere una storia sugli esperimenti fatti per evangelizzare la Patagonia. Si è dovuto ricavare quanto si potè trovare negli autori, che parlano delle Missioni soltanto per incidenza.

 

                Il punto principale adesso sta nel mettere insieme i mezzi materiali per questa seconda spedizione, pel quale bisogno mi raccomando alla E. V. Rev.ma.

 

                Il Segretario agente del fu Duca di Modena mi ha scritto che quel Sovrano morente lasciò al Sommo Pontefice una somma notabile, da erogarsi in favore delle missioni[124]. Ella si degni di farmi questa carità, ne parli col Santo Padre, e se mai avesse ancora qualche cosa disponibile lo supplichi a voler estendere la sua beneficenza ai Salesiani che hanno molto buon volere, ma mancanza di mezzi materiali. Sua Santità ha sempre dimostrato grande bontà per questa pia impresa.

 

                Le vocazioni in S. Nicolás e in Buenos Aires hanno già cominciato a manifestarsi tra gli indigeni e spero che di qui a qualche anno non saranno più necessarie se non rare spedizioni.

 

                Mi raccomando eziandio alla carità di V. E. Reverendissima, supplicandola di qualche oggetto di cui Ella possa disporre per queste. missioni come sono, messali, antifonarii, graduali, cartelle per la benedizione del SS. e per le messe da requiem, o arredi o vasi sacri di [310] qualsiasi qualità. Di tutto questo si fa richiesta dai nostri missionarii, specialmente per le case che stanno per aprire sui confini della Pata gonia. Dalla lettera stampata che le acchiudo la E. V. può conoscere il grave stato della Missione Salesiana, e come questo sembri momento molto propizio per fare qualche passo tra i selvaggi Patagoni ed anche tra i Pampas.

 

                Per diminuire quanto è possibile il lavoro a V. E. ho incaricato il Signor Sigismondi Alessandro, mio procuratore generale, che ha casa vicino al Palazzo di Propaganda. Esso eseguirà qualunque disposizione, qualunque cosa sia per ordinate a questo proposito. Esso è un pio Signore, che lavora molto volentieri pel bene della Chiesa ed ha bisogno di niente.

 

                La E. V. compatisca la libertà con cui io scrivo: ma io sono persuaso che la riuscita di questo progetto, dopo Dio, dipende dall'appoggio che al medesimo darà la E. V.

 

                Secondo la sua proposta ho accettato le scuole di Aricia e probabilmente anche quelle di Albano.

 

                Umilmente prostrato imploro la sua santa benedizione mentre colla più profonda gratitudine, ho l'onore di potermi professare

 

                Della E. V.

 

                Torino, 23 agosto 1876.

Umilis.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Quale effetto questa supplica abbia sortito, noi lo ignoriamo; sappiamo invece che una preghiera analoga, indirizzata al Santo Padre, ebbe ottima fortuna. Infatti`Pio IX, a mezzo del cardinal Bilio, non solamente gli espresse l'alto suo compiacimento per la nuova spedizione, ma gli rimise cinquemila lire, “somma assai notabile”. osservava lo stesso Cardinale, se si teneva conto delle immense spese, di cui allora più che mai trovavasi aggravato il Papa[125].

 

                Altri ragguagli intorno alle sollecitudini di Don Bosco per allestire il personale e raggranellare il danaro necessario ci vengono somministrati da due letterine, ch'egli scrisse a Don Cagliero nella prima metà di settembre.

 

                Carissimo D. Cagliero,

 

                Se puoi procura che i passaggi siano pagati qui, e che anche a noi si mandi il danaro. Il Console generale Argentino ci assicurò grandi [311] riduzioni. Con D. Bazzani disse che egli conchiudeva a fr. 500 i posti di prima classe.

 

                Poi speriamo qualche cosa dal governo e qualche cosa dal Papa.

 

                Ricevo in questo momento la tua lettera di S. Nicolás. Darò movimento. Ma non conviene più D. Daghero, che D. Tamietti? Pel 15 settembre spero declinarti il personale per Villa Colón.

 

                Torino, 1 settembre 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Caris.mo D. Cagliero,

 

                Siamo qui in Lanzo, dove studiamo pel personale di Italia, Europa, e per l'America. Spero che le cose saranno ben organizzate. Per fare il personale in regola ce ne vorrebbero 25 e ci sarebbero; ma l'affare sta nella spesa del viaggio. Ad ogni modo pel 10 ottobre avrai la nota dei nomi, e qualità. Per le monache dovremo attendere fino ad aprile.

 

                Il prezioso chierico Vigliocco se ne volò al Paradiso: preghiamo per lui.

 

                Gran fermento per andare nelle missioni; avvocati, notai, parroci, professori chiedono farsi Salesiani ad hoc.

 

                Fate ogni sforzo per avere allievi o adulti vissuti in mezzo ai selvaggi. Se taluni volessero venire in Europa per fare gli studi o apprendere mestieri, mandali pure.

 

                Mi scriverai poi la visita che farai coll'Arcivescovo a Carmen o Patagones; dirai al medesimo che il S. Padre desidera tanto nuovi esperimenti pei selvaggi ed applaude ai nostri sforzi per aprire case di educazione sui loro confini, adoperandosi a tutta possa per avere del clero indigeno.

 

                Mille ossequi ai soliti amici e benefattori, e a tutti i nostri figli D. Baccino, D. Belmonte, etc.

 

                Ti sono in G. C.

 

                Lanzo, 12 settembre 1876.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Le pratiche tanto laboriose per la pia Unione dei Cooperatori Salesiani e per l'Opera di Maria Ausiliatrice,[126] le novelle fondazioni in entrambe le famiglie religiose, il governo ordinario della Congregazione e dell'Oratorio, l'avviamento dell'anno scolastico, i preparativi per la seconda spedizione e altri affari si disputavano tempo e cure, non però a tal segno [312] che il pensiero di Don Bosco non varcasse sovente l'Oceano per far sentire agli operai evangelici della prima ora le sollecitudini del suo paterno affetto. E' quello che si legge attraverso le righe della sua corrispondenza epistolare, non involataci dalle umane vicende. Per il corriere mensile di ottobre scriveva al suo caro Don Cagliero:

 

                Mio caro D. Cagliero,

 

                Sono a Vignale, e la Contessa Callori, che si è riavuta dalla lunga sua malattia, ti scriverà qualche cosa.

 

                In quanto a noi si fanno alacremente i preparativi per la partenza, che sarà pel quattordici novembre, se non vi sarà ordine contrario. Calcolo sugli otto passaggi del governo Argentino; in qualche modo mi aggiusterò pel resto. Ho scritto al ministro degli Esteri, che mi promise mari e monti. Vedremo, se lasciando a Lui la proprietà del mare e dei monti mi darà qualche cosa per passarli. Ricevuta risposta, te ne darò tosto cenno.

 

                Dalla nota del personale chè ti mandai al principio di questo mese, potrai cominciare a farti un'idea sul modo di distribuirlo. Col corriere del io novembre prossimo, riceverai i ragguagli positivi su tutto il personale e sulle modificazioni di esso, che spero soddisfacente. In numero saranno oltre a venti: probabilmente ventitre.

 

                Abbiamo in casa quattro preti, che fanno il tempo di prova, per andare nelle Missioni. Si mostrano animati assai. Uno, Bourlot Stefano, potrà già spedirsi; gli altri saranno ancora ponderati. Ai Santi verranno altri quattro. Vedremo.

 

                Il Card. Bilio, per mezzo del S. Padre, chiede nostri Maestri, pel suo Seminario Sabino: idem il Card. Franchi per Aricia; idem il Card. Di Pietro pel piccolo Seminario di Albano; idem il Municipio di Albano pel suo ginnasio; idem il Seminario di Novara a Miasino. Vuoi sapere tutto? In questo anno apriamo 20 case, tra l'uno e l'altro mondo, calcolando anche quelle delle Figlie di Maria A., che fanno assai bene dove vanno.

 

                A Nizza Marittima abbiamo comperato uno stupendo edifizio, dove potremo accogliete 100 artigiani con altrettanti figli di Maria. Se cogli occhi tuoi vedessi quello che fa la nostra Congregazione, diresti che sono favole. Dio ci aiuti a corrispondere.

 

                La tua cambiale di fr. 4 m. in oro, fu ricevuta, e servirà per lo scopo indicato.

 

                I Missionarii studiano lo Spagnuolo. Parecchi sono a buon punto; altri secundum quid; ma in breve tempo di studio locale credo si renderanno capaci di entrare in classe.

 

                Riceverai copia delle lettere stampate. E’, bene che ognuno dei [313] nostri le legga, affinchè sappiano quello che è stampato, e all'uopo ne sia e si mostri informato.

 

                Ho ricevuto la lettera del Sig. Benitez, cui risponderà per altro corriere[127].

 

                La Contessa Callori è in sufficiente salute, ma non può ancora scrivere e mi incarica di ringraziarti delle due lettere che le hai indirizzate; ne ebbe molto piacere, e si riserva di risponderti appena che la sanità, o meglio la sua testa, lo permetta.

 

                Il nuovo parroco di Lanzo sarà Mons. Dalfi, parroco di Casanova, mio compagno di Seminario. Spero che continueremo ad avere un vero amico[128].

 

                La Contessa Bricherasio prepara, ed è pressochè terminato, uno stupendo e completo paramentale in bianco; e farà parte del corredo della prossima spedizione.

 

                Non ho tempo di scrivere ad altri. Fa' a tutti sapere delle nostre notizie, dicendo che li amo tutti in G. C., e che prego assai per loro; ma che stiano fermi come colonne, e siano santi come il nostro Patrono.

 

                Dio vi benedica tutti e credimi tutto tuo, e degli altri

 

                Vignale, 13 ottobre 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. I soliti saluti e ossequii a Mons. Arcivescovo, etc.

 

                L'ultimo del mese ecco una quarta lettera; un sommario elenco di otto fra notizie, comunicazioni e istruzioni. [314]

 

                Mio caro D. Cagliero,

 

                1° Continuiamo a preparare per la partenza al 14 prossimo novembre in numero e personale accennato, con qualche piccola modificazione. All'arrivo avrai nota descrittiva delle qualità di ciascuno e delle occupazioni esercitate in passato.

 

                2° Il fatto della espulsione dei 500 è grave; in ciò va adagio e tienti a parte quanto è possibile. Forse i moti rivoluzionari di Buenos Aires furono cagionati da questo?

 

                3° Avrai già ricevuto il mio consenso per la Bocca del diavolo e per la Parrocchia di S. Carlo. Ho già tre tomi[129], di cui due per questi siti, l'altro per Patagones. Lo desiderano e li credo molto ad hoc. L'arcivescovo andrà a far la visita con te a Patagones?

 

                4° Avrei proprio bisogno che pel 1877. potessi fare una passeggiata in Europa, per fame poi un'altra a Ceilan nelle Indie per aprire altra Missione assai importante, dove ci vuole proprio un Castelnuovese. Ma purchè le bocche[130] di Buenos Aires siano tutte ben ferme ed ordinate.

 

                5° E' indispensabile un locale o parte di locale destinato ad un noviziato. Se è necessario ho pronto il Maestro dei provandi.

 

                6° Nel prossimo 1877 avrai quattro Chierici che possono essere ammessi agli Ordini. Me lo dirai per tempo. Il S. Padre per noi concede la dispensa fino di mesi 21.

 

                7° Ricevuta cambiale di fr. 4 mila; attendo quella di 9 mila.

 

                Si prepara: fervet opus: finanze esauste.

 

                8° Ieri sera (29) partirono sei Salesiani che vanno ad amministrare le scuole di Ariccia, e di Magliano in Sabina. Domenica 5, partiranno sei altri per Albano. Subito dopo quei della Trinità, quindi gli Argentini, che andranno prima a prendere la benedizione del S. Padre.

 

                Manca il tempo di scrivere: ad altro[131]. Dio vi benedica tutti. Finora non si è ricevuto lettere nè cambiale: ma mi terrò agli ordini che riceverò. Abbiatemi in G. C.

 

                Torino, 31 ottobre 76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il 4 luglio tumulti gravissimi erano scoppiati in Buenos Aires al grido di Viva la libertà. Si voleva impedire una riunione popolare in onore degli Stati Uniti, organizzata dai [315] più diffusi giornali cittadini. Don Bosco attribuiva la causa di quei moti al tentativo di una rappresaglia contro il Governo Argentino per l'espulsione di cinquecento stranieri, perturbatori della pace pubblica. Essendo quegli stranieri in massima parte italiani, bisognava che Don Cagliero usasse molta prudenza per non compromettersi con l'una parte o con l'altra; onde la raccomandazione di Don Bosco.

 

                L'idea della “passeggiata”, a Ceylan originò dal seguente fatto. Nell'agosto del '76 fu all'Oratorio da Don Bosco un Don Luigi Piccinelli, bergamasco, missionario in quell'isola. Essendosi parlato a lungo di Missioni estere e in particolare di Ceylan, il Beato lasciò nel suo interlocutore fondata speranza che entro il 1878 avrebbe inviato colà alcuni Missionari, ma a condizione che potessero stare uniti in un luogo solo. Don Piccinelli, che non era autorizzato da nessuno ad accettare quella riserva, scrisse laggiù al proprio Vescovo, il quale gli rispose essere suo vivo desiderio di ricevere alcuni sacerdoti capaci d'insegnare in lingua inglese il latino, il greco, le scienze fisiche e altro. Egli si augurava di averli anche prima del 1878. Li avrebbe riuniti presso di sè nell'Episcopio, sarebbero suoi commensali e avrebbero insegnato come professori nel numeroso collegio già stabilito a Colombo, attiguo al palazzo vescovile e allora diretto dai Fratelli della Dottrina Cristiana sotto l'immediata sua vigilanza. Per appianare altre possibili difficoltà Monsignore si sarebbe messo in personale corrispondenza con Don Bosco. Posta così in sicuro la condizione voluta da Don Bosco, il missionario bergamasco lo pregava di confermargli senz'altro la promessa; per lui l'affare era già bell'e conchiuso.

 

                Diremo di più: egli fece ancora un passo innanzi: avrebbe voluto che Don Bosco gli desse subito due Missionari da condurre seco prossimamente a Ceylan. Pur di ottenerli, avrebbe differito di alcuni mesi la sua partenza. Eglino sarebbero rimasti nella Missione a lui affidata, che contava ottomila cattolici fra un numero assai maggiore di turchi, buddisti e [316] protestanti. Diceva: “Noi vivremo in comune e procurerei di adattarmi anch'io alle regole della Congregazione... Avrebbero, s'intende, viaggio pagato, vitto e vestito, e non mancherebbe nulla del necessario. Se Ella vuole, sono quasi certo che Ella può. Mi dica dunque che può e vuole ed io ne benedirò il Signore”[132]. In fronte a questa lettera noi leggiamo le seguenti parole autografe del Beato: “Risposto: accettato in massima”. Non essendo sua abitudine fare le cose frettolosamente, si limitò dunque a prendere la proposta in benevola considerazione, riserbandosi di mandare sul posto Don Cagliero per esaminare bene tutto da vicino.

 

                Ai suoi benefattori più insigni il Beato non si contentava d'inviare la circolare, ma scriveva personalmente sollecitandone la carità. Possediamo due lettere di questo genere, indirizzate ai nobili coniugi Fassati, coi quali faceva a fidanza, ogni volta che alle sue opere necessitavano speciali aiuti. Al Marchese, mandando la prima circolare, scrisse:

 

                Car.mo sig. Marchese,

 

                Il ch. Bonora mi portò sue notizie, secondo le quali Ella è meglio in salute. Ringrazio il Signore e lo prego a volergliela conservare lungo tempo.

 

                Mando a Lei ed alla Signora Marchesa l'aggregazione ai cooperatori Salesiani, di cui abbiamo più volte parlato. Così Ella potrà fruire delle molte indulgenze e grazie spirituali concesse dal benemerito regnante Pio IX.

 

                Unisco pure una copia di lettera con cui vo questuando pei Missionarii che dovrò mandare in America. Faccia quello che può e Dio buono pagherà col paradiso chi va a dare la vita per le anime e parimente a chi viene in aiuto ai missionarii che saranno N. 20.

 

                Dio conceda a Lei e alla Signora Marchesa buona sanità, buona campagna dove spero poterli riverire. Domani parto per Alassio per un affare dì premura: mi raccomando alle loro preghiere e mi professo.

 

                Di V. S. Car.ma

 

                Torino, 16 luglio 1876.

Obbl.mo servo

Sac. Gio. Bosco. [317]

 

                Alla signora Marchesa si rivolse circa tre mesi dopo con uno scritto, dove non si saprebbe se ammirare più la semplicità dell'uorno di Dio o la sua disinvoltura nel chiedere sacrifizi pecuniari a titolo di carità.

 

                Benemerita Signora Marchesa,

 

                L'anno scorso quando raccomandava la pia opera di Maria Ausiliatrice per sostenere le nostre Missioni, Ella aveva la bontà di dirmi che tanto Lei quanto il Sig. Marchese non si obbligavano a nessuna annualità, ma quando mi fossi trovato nei casi di bisogno, io fossi loro ricorso e mi avrebbero prestato quell'aiuto che la loro carità comportava.

 

                Ora ricorro perchè stretto da due bisogni. Ho ancora cinquanta chierici che sono tutti in borghese, e che attendono un aiuto provvidenziale per vestirsi da ecclesiastico e così poter regolarmente cominciare i loro studii per l'imminente anno scolastico.

 

                L'altro bisogno è per la Missione Argentina. Alla meglio che ho potuto riuscii a raggranellare un po' di corredo; ma mi trovo privo dei mezzi pel viaggio. Il Governo Argentino mi fa le spese per otto; e mi manca ancora per quindici, che è quanto dire la somma di fr. dodici mila. Ho fatto testè un giro a questo scopo, ma non potei raccogliere niente. Ho scritto al Santo Padre che mi fa rispondere che farà altra volta; ora gli è impossibile.

 

                So che Ella pure ha molte spese, tuttavia io ricorro come ad àncora di salute di quelle povere anime che tuttora immerse nell'Idolatria, attendono chi porti loro la luce del Santo Vangelo con cui potersi salvare.

 

                Io non mancherò di pregare e far pregare per Lei Signora Marchesa, e pel Sig. Marchese di Lei marito, affinchè Dio li conservi ambidue a lunghi anni di vita felice col premio dei giusti a suo tempo in cielo.

 

                Colla più profonda gratitudine ho l'onore di professarmi

 

                Di V. S. B.

 

                Torino, 21 ottobre 1876.

Obb.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Si vede che poi il Santo Padre cambiò idea; possiamo anzi congetturarne con buon fondamento il perchè. L'augusto Pontefice voleva dal Beato un servigio importante. Il cardinal Bilio, otto giorni dopo che Don Bosco aveva scritto alla marchesa Fassati, scrisse a lui annunciandogli l'offerta del Papa [318] e avvertendolo: “A questa offerta però ha voluto il Santo Padre aggiungere una condizione; la quale mentre dimostra la grande stima che Egli ha di Lei, e la fiducia che in Lei ripone, Le riuscirà, spero, anche più grata dell'offerta medesima”. La condizione era che Don Bosco accettasse la direzione dei Concettini; ma di quest'affare discorreremo più opportunamente altrove.

 

                Un benefattore, che egli non soleva dimenticare nei momenti critici e al quale non ricorreva mai invano, era l'ottimo avvocato Galvagno di Marene.

 

                Car.mo Sig. Avvocato,

 

                Non so se Le sia già stata spedita la circolare pe' miei Missionari; ad ogni modo ne mando una copia, ed Ella secondo la sua carità faccia quello che può.

 

                Sono stampate quelle indulgenze e quei favori spirituali, di cui le ho già altra volta parlato.

 

                Se posso vedere qualcuno di Marene, glieli farà tenere.

 

                Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia e mi creda in G. C.

 

                D. V. S. Car.ma

 

                S. Bernardo Dottore, 20  agosto 1876.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Delle ordinarie offerte che gli pervenivano, accusava ricevuta e rendeva grazie sbrigativamente, facendo tenere all'oblatore o all'oblatrice questo biglietto a stampa:

 

                Ottimo Signore,

 

                Abbiamo ricevuto l'offerta che si compiacque spedirci pei nostri Missionarii: io le sono assai riconoscente. Voglia il Signore rimunerarla colle sue più elette celesti benedizioni.

 

                I Missionarii conserveranno incancellabile memoria del benefizio ricevuto, mentre con perfetta stima io le sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 1876.

 

Obbli.mo servitore

Sac. Gio. Bosco. [319]

 

                Quando però l'offerta fosse cospicua o la qualità della persona meritasse speciale riguardo, scriveva di proprio pugno letterine come la seguente, indirizzata alla contessa Olimpia di Pamparato, nata marchesi Natta di Alfiano, e domiciliata in Torino.

 

                Benemerita Sig. Contessa,

 

                Con vera gratitudine ricevo fr. 100 pei nostri Missionari che si preparano per l'America.

 

                Io La ringrazio; Dio pagherà. Non mancherò di fare eziandio preghiere particolari pel Sig. Conte di Lei marito e più ancora per la Sig. Genitrice March. Natta, che mi si dice essere alquanto inferma.

 

                Umili ossequi a tutti, e mi creda con pienezza di stima .di V. S. B.

 

                Torino, 22 agosto 1876.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Che dire infine dei paramenti e degl'indumenti preparati da Comunità religiose femminili? In certi ritiri le suore passarono notti insonni per finire il corredo dei Missionari. Menzioneremo a titolo d'onore e a perpetua gratitudine le figlie del Rifugio, di S. Anna, le Orfane e quelle di S. Pietro. Era doveroso per Don Bosco manifestare loro in qualche modo la sua riconoscenza. Chi gli suggeriva l'invio di regali, chi di regalar loro una sua visita. Don Bosco diede ordine che si cercassero doni graditi e si mandassero in suo nome. Come avrebbe potuto trovare il tempo di andar a visitare ogni istituto, se per disbrigar i suoi affari doveva starsene sempre in camera? Da un anno le Figlie di Maria Ausiliatrice dimoravano a quattro passi dall'Oratorio; eppure egli non era ancora andato a visitarle neppure una volta.

 

                La partenza dei Missionari era stabilita per il novembre. Il numero fu in ultimo portato a ventitrè. Di essi, otto dovevano aprire il collegio di Villa Colón; due iniziare l'ospizio per i poveri ragazzi italiani a Buenos Aires; due occuparsi di oratorii nella stessa metropoli; due unirsi ai confratelli che amministravano [320] la chiesa della Misericordia; due assumere la cura della parrocchia della Boca; quattro portare aiuto a S. Nicolás; gli altri tre tenersi pronti per tentare gli approcci coi selvaggi sulle frontiere della Patagonia a Carmen de Patagónes. In mezzo a tante preoccupazioni il povero Don Bosco non ne poteva proprio più; “ma niente importa, Dio ci aiuta”, scriverà il 19 novembre a Don Cagliero.

 

 

CAPO XII. Cose dell'Oratorio dagli esercizi spirituali alla premiazione finale.

 

                Ogni anno la morte assottiglia il numero già esiguo di coloro che vissero la vita dell'antico Oratorio, quando personalmente il Beato Don Bosco ne reggeva le sorti. E' sempre bello udire dalla bocca dei superstiti il racconto particolareggiato delle cose di quei tempi, sebbene sia vero che, udito uno, sono uditi tutti, quanto alla sostanza dei fatti. Salesiani e non Salesiani, preti e laici, sotto il carico dei loro anni li vediamo ringiovanire, allorchè decantano la felicità allora goduta nella casa di Don Bosco. Non vi si conoscevano al certo le comodità odierne; ma chi se ne dava per inteso? L'allegria dominava sovrana, un'allegria temperata di pietà e studio, di pietà e lavoro, sotto lo sguardo e il sorriso paterno di Don Bosco, la cui bontà era come il sole, che fa sentire in ogni angolo il suo salutare influsso. I nuovi, appena messo piede nell'Oratorio, non tardavano a subirne, diciamo così, il fascino, che sembrava diffuso nell'aria dappertutto. Valga quello che ci narrava poc'anzi il venerando Don Cartier, il Salesiano invecchiato a Nizza Marittima e tanto ammirato colà ed amato. Piovuto nell'Oratorio senza sapere un ette d'italiano, vi si sentì da prima quasi sperduto. Ma ecco che Don Bosco, avuto a sè il giovanotto, se ne guadagnò in un batter d'occhio la confidenza non solo con l'amabilità del tratto, ma con le interrogazioni sulla sua famiglia e sulle cose sue più care. [322] Indi per qualche tempo, finchè non gli fu possibile comunicare agevolmente con tutti, il poverino ogni giorno ed anche più d'una volta al giorno saliva da Don Bosco, che invariabilmente lo accoglieva con fare paterno e s'intratteneva con lui, proprio come se nulla al mondo gli premesse più che star là a interrogarlo e ad ascoltarlo. In questo capo diremo della vita dell'Oratorio durante i tre mesi estivi del '76;nella qual parte dell'anno scolastico era costume del Servo di Dio non allontanarsi da' suoi giovani, sia perchè allora si facevano gli esercizi spirituali, sia perchè si avvicinava il tempo della partenza per le vacanze.

 

                Precedette gli esercizi spirituali una rappresentazione drammatica, che fu salutata come un avvenimento non solo nell'Oratorio, ma anche in città. Nel pomeriggio del giovedì 10 giugno gli studenti recitarono una commedia latina, cosa che da gran tempo non si vedeva più e che nessuno avrebbe mai sognato di vedere a Valdocco. La si sarebbe dovuta dare fino dall' 11 maggio, se non fosse stata l'assenza di Don Bosco che si trovava ancora a Roma; finchè egli era lontano, a nessuno sarebbe mai passato per il capo di metterla in scena.

 

                La commedia s'intitolava Phasmatonìces o Larvarum victor, il vincitore dei fantasmi. Era opera di monsignor Carlo Maria Rosini, dotto Vescovo di Pozzuoli, morto nel 1836; l'aveva ritoccata opportunamente in alcuni luoghi un altro valoroso latinista, il padre Luigi Palumbo della Compagnia di Gesù. L'argomento è questo. Cremete, ricco patrizio romano, parte per lontane regioni, affidando le sue sostanze e la tutela del figlio Callidoro al vecchio amico Simone. Il giovinotto, amante degli spassi, è tenuto al sottile dal taccagno tutore; quindi, a spillarne danaro, viene consigliato di dargli a intendere che la casa paterna è fatata, perchè ne autorizzi la vendita. Un segreto accordo col futuro compratore assicura al figlio di Cremete una discreta somma. Prima però, a fine d'illudere maggiormente il tutore, si finge di placare i domestici lari con un solenne sacrifizio. Frattanto è giunto nascostamente il padre [323] di famiglia, che, scoperta la trama, appare d'improvviso mentre si sacrifica con bugiarda pietà ai falsi numi e rimprovera a ciascuno la colpa sua; poi, cedendo alle reiterate preghiere del figlio inesperto e del vecchio tutore illuso, a tutti perdona.

 

                La preparazione procedette accurata e condotta in guisa da affezionare gli attori alla loro parte interessandoli al buon esito della non lieve fatica[133]. Una prova generale, eseguita la [324] sera prima dinanzi agli studenti,. diede motivo a bene sperare; nè le speranze andarono fallite, anzi il risultato superò l'aspettativa. V'intervenne un pubblico scelto, in cui abbondavano professori di scuole secondarie e spiccavano professori universitari, che manifestarono tosto la loro ammirazione. Di lì a poco nella stampa cittadina comparvero articoli con apprezzamenti che facevano molto onore all'Oratorio. Così L'Unità Cattolica del 4 giugno tributò amplissime lodi agli esecutori. Chiamò la rappresentazione “accademia plautina”: accademia, forse perchè ci vide più che altro un saggio dei progressi fatti da quei giovani negli studi classici, e plautina, perchè realmente i versi arieggiavano alla maniera propria del poeta di Sàrsina., della cui lingua però riproduceva soltanto il fiore. Riguardo all'esecuzione il giornale osservava: “Quei giovanetti studiosi sanno interpretare la loro parte con franchezza di chi parla il natìo linguaggio”. Anche il Baretti, periodico scolastico letterario del professor Perosino, recava nel numero dell'8 giugno un lungo articolo del suo direttore, che, elogiando l' “inappuntabile precisione” degli attori, scriveva: “Il tenere a memoria le cinquanta e più pagine di latino, l'esporre questo latino con garbo, con iscioltezza di gesto, con prontezza, con precisione senza mai incespicare nella pronunzia o errare nella prosodia, tutte cose facilissime a succedere, non era certo un còmpito così leggero. Eppure, sia detto a lode di quei bravi allievi e dei bravissimi maestri loro, le cose andarono così per bene, che molti del numeroso e scelto uditorio non capivano in sè per la contentezza di assistere ad uno spettacolo così piacevole. I più avevano il libro della commedia rosiniana; ma non ve ne era bisogno per la esatta intelligenza del testo, perchè i bravi attori recitavano così bene la parte loro e con voce sì franca e gesto così piacevole, che era assai più vantaggioso e dilettevole concentrare l'attenzione sul palco che sul libro”.

                Un coro si levò d'ogni intorno così insistente per la sua replica, che lo spettacolo si dovette ripetere il giovedì appresso [325] 8 giugno. Vi accorsero in folla preti e professori. Il professor Allievo della Regia Università andava per la sala del teatro a trarre innanzi persone ragguardevoli, che se ne stavano nei banchi confuse con gli altri invitati e che da quei di casa non erano conosciute. Finito il trattenimento, uno dei discorsi più comuni era che quel saggio bastasse per chiudere la bocca a quanti blateravano che nell'Oratorio gli studi fossero negletti o dessero risultati meschini. Di questa replica si occupò l'Emporio Popolare, “giornale quotidiano universale” nel numero del giorno seguente, notando fra l'altro: “Il giocoso dramma, vero capolavoro di letteratura, fu interpretato a perfezione da quei bravi allievi studenti di ginnasio e il coltissimo uditorio se ne mostrò oltre ogni dire soddisfatto”.

 

                Nell'una e nell'altra serata allegre esecuzioni musicali e alcuni canti ricrearono, durante gl'intervalli degli atti, gli spettatori. Il Marinaio di Don Cagliero risvegliò in amici e conoscenti l'affettuoso ricordo dell'autore lontano. Don Bosco, impedito la prima volta, assistette alla seconda rappresentazione, di cui rimase “soddisfattissimo”, registra la cronaca. Della soddisfazione generale rendono testimonianza i tre giornali citati, nell'ultimo dei quali il direttore chiuse il suo articolo scrivendo festevolmente: “Le mie congratulazioni à tout le monde”. Infatti non è difficile immaginare a quanti risalisse il merito della gloriosa impresa.

 

                Rimessisi tutti al tenore della vita ordinaria, cosa che anche oggi nell'Oratorio si attua con la massima celerità e naturalezza dopo passeggere distrazioni, si diede principio agli esercizi spirituali. Nonostante la deliberazione presa di non protrarli più fino all'ultimo scorcio dell'anno scolastico, bisognò fare di necessità virtù, data la lunga assenza di Don Bosco, che naturalmente voleva trovarvisi. Per fortuna il tempo fu galantuomo: mantenendosi piovoso e fresco, secondò non poco gli sforzi dei Superiori e il buon volere dei giovani. In una settimana, dall'11 al 18 giugno, tutto fu sbrigato tanto per gli studenti che per gli artigiani. Predicò agli [326] uni e agli altri quattro volte al giorno il teologo Belasio, missionario apostolico, assai celebrato allora per l'originalità della sua predicazione, che otteneva effetti sorprendenti nelle popolazioni rurali e nella gioventù. In entrambi i corsi fece pure un'attraente istruzione sulla santa Messa, seguendo passo passo il celebrante all'altare. Fra una predica e l'altra ascoltava le confessioni, recandosi direttamente dal pulpito al coro della chiesa piccola, dove gli esercizi si facevano. Quanti Salesiani lo conobbero, furono testimoni del suo straordinario affetto per Don Bosco. Scrive Don Barberis nella cronaca: “Oh che brava persona! Io ebbi campo di conoscerlo ben da vicino. Come vuol bene a Don Bosco! Gli è attaccato e pende da lui come figlio da padre. E’ tutto contento, perchè Don Bosco lo insrisse fra i primi Cooperatori Salesiani, opera nuova che sorge ora e da cui Don Bosco spera immensamente”.

 

                Dopo le orazioni serali del giorno 11 il Servo di Dio parlò così agli studenti:

 

                Io mi rallegro con voi e vi saluto tutti nel Signore. Già in questa sera si è dato principio agli esercizi spirituali. Desideravate tanto che li dettasse il Sig. Teologo Belasio ed eccolo qui tra voi. Foste soddisfatti. Tenete a mente che è una gran fortuna il poter fare gli esercizi, perchè in essi si può guadagnare il paradiso. Desidero che questi sacri esercizi si facciano da una buona parte di voi, per la scelta dello stato, in cui uno deve vivere. Alcuni di voi sono già nei corsi superiori e prossimi a terminare il ginnasio e quindi pensino seriamente alla loro vocazione. Altri poi dovrebbero fare ancora un anno per terminare il ginnasio, ma pensano di saltar la quinta: questi pure devono esaminarsi intorno allo stato al quale il Signore li chiama. Domandate caldamente al Signore questa grazia, che ve la concederà. Io lascio il resto al Rev. sig. Teologo Belasio che vi indirizzerà e vi insegnerà il modo per conoscere qual sia la vostra vocazione e vi consiglierà i mezzi per potervi in essa mantenere. Ciascuno di voi si metta in mano del proprio direttore di spirito: procurate di star molto ritirati ed esaminatevi bene. Alcuni aspirano allo stato ecclesiastico altri ad altri stati: lo stato nel quale il Signore vi vuole fu da lui sparso di molte grazie per facilitare la vostra eterna salute. Tutto sta a indovinare la scelta.

 

                Io non sto qui a darvi regole particolari per diportarvi bene in questi esercizi, perchè vi saranno date nelle prediche. Solo vi dirò che [327] le osserviate, specialmente il silenzio nei tempi stabiliti; come sarebbe nello studio, prima delta messa e dopo le orazioni alla sera.

 

                Voglio ora svelarvi un mio pensiero, anzi raccontarvi un fatto che è avvenuto quest'oggi alle tre e mezza circa. Un figlio della ricchissima famiglia Callori, benefattrice della casa, si vantava ed era valente domatore di cavalli. Anche i più furiosi erano maneggiati da lui con mano maestra. Bastava che venisse a sapere un cavallo essere indomabile, che subito ne faceva acquisto; in vero tutti i cavalli che gli erano venuti tra le mani li aveva domati. Essendogli stato detto che a Saluzzo vi era uno di questi, che per la fierezza nessuno aveva voluto comprarlo, andò, lo comprò, e riuscì a guidarlo come voleva. Un giorno lo attaccò ad un calesse, egli vi salì sopra e dirigendolo colle briglie e sferzandolo lo faceva correre velocemente. Il fatto accadeva a Saluzzo. Dopo un po' di tempo, a un tratto il cavallo fortemente sferzato dà uno sbalzo, prende la mano al cocchiere, e si precipita per i campi in corsa velocissima. Quel giovane signore vedendosi in pericolo, salta fuori dal calesse e cade per terra, ma per la velocità del carro una gamba resta impigliata per un istante nella ruota e viene fratturata: esso sbattuto per i sassi. Accorre gente, fu portato in un albergo, gli furono rese cure grandi e messa la gamba in stato da poter reggere ad un trasporto. Da Saluzzo fu portato a Torino. Ma sia che l'osso non sia stato messo bene a posto, sia che il viaggio avesse riaperta qualche piaga, il fatto sta che gli si dovette amputare la gamba. Ma non per questo fu salvo. Essendosi perduto troppo tempo nel fare i consulti e a vincere le ripugnanze del giovane e della famiglia, la cancrena si era formata, estesa, e non si potè più trovare nessun rimedio contro la morte. Quest'oggi appunto verso le tre e mezzo l'anima di detto giovane se ne volò al Signore, munita dei conforti di nostra Santa Religione.

 

                Erano tre fratelli dei quali uno è morto tempo fa di consunzione a 20 anni, l'altro quest'oggi in età di 23 anni e l'ultimo che sopravvive è assai cagionevole di salute. Il dolore della famiglia è immenso, perchè l'unica speranza che le rimaneva stava riposta in quel figlio, della cui perdita oggi non sanno darsi pace, nè trovar sollievo.

 

                Ciò che solamente potè lenire questa desolazione grandissima si è il pensiero che questo figlio morì da buon cristiano e lasciò speranza grande della sua eterna salute. Questa famiglia è ricchissima, ma le ricchezze punto non valgono a consolare e questo prova sempre più che le ricchezze non fanno l'uomo felice. Questa riflessione mi confermò sempre più nella grande verità che la sola religione può sollevare nelle tribolazioni e rendere tranquille le anime.

 

                Noi preghiamo il Signore che degni quella famiglia di un suo benevolo sguardo e la consoli in sì grave perdita.

 

                In tanto voi ritenete, miei cari figliuoli, che le ricchezze non possono sollevare e contentare il cuore umano. La sola religione può far [328] questo. Ciò vi dico acciocchè impariate a tenere i beni della terra in quel conto che si meritano. Le sole buone opere sono le vere ricchezze che ci preparano un posto lassù in cielo. Buona notte.

 

                Il nobile giovane così tragicamente scomparso era il contino Emanuele Callori, il cui nome ricorse non di rado nella corrispondenza del Beato con la piissima contessa madre. Gli chiuse gli occhi Don Bosco, che avevagli amministrati gli ultimi Sacramenti e raccomandata l'anima[134]. Il fratello superstite è il conte Ranieri, allora un po' scosso nella salute, ma tuttora vivo in robusta vecchiaia, padre di numerosa ed eletta prole. Fra Don Bosco e la famiglia Callori si fermò dopo quella perdita dolorosa il patto di un anniversario perpetuo con determinato servizio religioso da compiersi nella chiesa di Maria Ausiliatrice[135].

 

                Gli studenti dovettero fare le cose bene durante gli esercizi; infatti sappiamo che Don Bosco ne fu arcicontento. Il punto che più gli stava a cuore in tale circostanza soleva essere l'affare della vocazione, ed ecco che l'abbiamo trovato in capo alla " buona notte " dell'11. Del resto si può dire che quest'argomento fosse abitualmente all'ordine del giorno nell'Oratorio. Così Don Barberis, che faceva la scuola di religione nel ginnasio superiore, l'aveva toccato nell'ultima lezione, lasciando agli alunni questi due ricordi per gli esercizi:  [329] 1° Non finissero gli esercizi senza decidere tutti della loro vocazione; l'aspettare più oltre sarebbe stata una rovina e causa di crucci per la vita intera. 2° Essere follia andar a consultare su ciò confessori diversi dal solito; chi già li conosceva e aveva lumi specialissimi dal Signore, essere Don Bosco; a lui dunque dal primo all'ultimo si presentassero. Che beati tempi! La conclusione fu che della quarta e quinta ginnasiale ben quaranta si ascrissero fin d'allora risolutamente alla Pia Società, mentre una dodicina rimasero fra il sì e il no o per motivi di famiglia o per desiderio di sentir ancora qualcuno, pur inclinando ad ascriversi. Anche l'Opera di Maria Ausiliatrice prometteva il contributo di una ventina. Se a tutti questi si aggiungevano altri che si sperava di veder giungere dai collegi, le previsioni dei Superiori per l'anno appresso si aggiravano sopra un'ottantina di chierici novelli. Ebbene, la previsione fu superata dal fatto, come diremo a suo tempo.

 

                La Congregazione dunque si avviava a rapidi progressi. Il Servo di Dio ne attribuiva l'incremento anche alla circostanza del non aspettare che gl'individui si movessero verso di essa, quando in loro l'idea della vocazione fosse già sul maturare. “Noi li andiamo a cercare, diceva, li cerchiamo senza muoverci di casa. Vengono senza veruna intenzione -nei nostri collegi e oratori, piace loro il nostro modo di vivere e domandano di fermarsi: a noi resta solo il pensiero della scelta. Se uno ci sembra che dia speranza di buona riuscita, lo teniamo; se no, vada altrove”. Da elementi di questo genere il Beato traeva i soggetti più adatti alla sua Congregazione. Poichè, avvertiva pure, la nostra Congregazione non è diretta a riformare i costumi come altri Ordini religiosi. No! noi supponiamo che i costumi di chi vuol farsi Salesiano, siano già riformati o meglio che chi viene da noi, non sia mai incappato in grandi vizi o disordini[136].

 

                Un episodio graziosissimo avvenuto in quei giorni conferma [330] quanto dicevamo nell'altro volume sul come riguardavano la vocazione religiosa i giovani dell'Oratorio[137]. Un alunno della quinta, svelto ma posato, passeggiava con parecchi compagni vicino a Don Bosco sotto i portici. Sembrava un po' soprapensiero e desideroso di parlare. Don Bosco che se n'avvide, lo interrogò:

 

                - Tu vorresti dirmi qualche cosa, non è vero?.

 

                - Ha indovinato, sissignore.

 

                - E che cosa vorresti dirmi?

 

                - Mah!... Non vorrei che gli altri sentissero: - E in così dire tirò Don Bosco in disparte e gli sussurrò all'orecchio: - Vorrei farle un regalo che le farà piacere.

 

                - E che regalo vuoi tu farmi?

 

                - Ecco qui, ripigliò, rizzandosi quasi in punta di piedi, stendendo e allargando le braccia e componendo il volto a serietà: vorrei regalarle me stesso, perchè d'ora innanzi faccia di me quello che vuole e mi tenga sempre con sè.

 

                - Veramente, gli rispose Don Bosco, non potresti farmi regalo più gradito. Io lo accetto, non già per me, ma per offrirti e consacrarti tutto al Signore.

 

                Questo stesso giovane in uno degli anni antecedenti, per un malinteso, aveva creduto di capire che il prefetto pensasse di mandarlo a casa, perchè la sua mamma vedova tardava a versare la modica retta convenuta. Corse pertanto da Don Bosco e gli disse il suo dubbio tormentoso. Don Bosco, guardatolo un istante e lettagli negli occhi l'interna pena, gli rispose con quella sua paterna bonarietà: - Ebbene, guarda, se il prefetto ti manda a casa, tu esci dalla porteria e poi rientra dalla chiesa e vieni da Don Bosco. - Il ragazzo, baciatagli la mano, se n'andò tranquillo, promettendo di fare così. Ma non ce ne fu bisogno.

 

                Questi era un giovane, del quale Don Barberis, scrivendo di una breve andata dei nuovi ascritti in famiglia prima della [331] vestizione chiericale, ci tramandò nella sua preziosa cronaca già tante volte citata questa informazione: “Che non abbia voluto assolutamente andare a casa non vi fu che Picollo, il quale sul serio, sebbene un po' birichinetto negli atti esteriori, aveva paura, andando a casa, di far peccati; epperciò non ci volle andare”. Noteremo che in Piemonte “birichinetto” non vuol dire nè tristanzuolo nè impertinentello, ma semplicemente frugolo; infatti dai registri risulta che il nostro birichinetto riportò al termine dell'anno scolastico il primo premio di studio e dieci in condotta.

 

                Al medesimo giovane nel momento decisivo della vocazione il Beato tenne questo discorso: - Vedi, hai due vie dinanzi a te: quella in cui ti vorrebbero i tuoi, cioè una professione nel mondo, da avvocato, per esempio, e quella che ti apre Don Bosco. Nel mondo puoi fare una bella carriera e guadagnare molti denari, ma con il pericolo di non salvarti l'anima; con Don Bosco avrai da lavorare e a suo tempo anche da soffrire molto, ma ti farai ricco di meriti per il paradiso. - Don Francesco Picollo, già Ispettore in Sicilia, ha sperimentato per ventitrè anni la giustezza del vaticinio, il cui ricordo gli era di soave conforto nelle diuturne sofferenze[138].

 

                Nè gli erano mancate a suo tempo lusinghiere proposte. Mons. Gastaldi, che aveva sentito parlare assai favorevolmente di lui, gli fece dire dal teologo Angelo Rho, suo compaesano di Pecetto e suo cugino, che, se lasciava Don Bosco, egli lo avrebbe non solo mantenuto gratuitamente in seminario, ma anche provvisto dei vestiti e dei libri. Egli rispose che con Don Bosco stava troppo bene e che non avrebbe mai tradito chi l'aveva fino a quel punto allevato e istruito, amandolo come un padre. Anche il fratello del Teologo, regio Provveditore agli studi in Torino, gli mosse un pericoloso assalto. A Picollo, che era già chierico da alcuni anni, egli fece dire per mezzo della madre che, se usciva da Don Bosco, gli avrebbe [332] assegnato una cattedra in un pubblico ginnasio e dopo un paio d'anni gli avrebbe procurato un diploma legale di professore. Il chierico ripetè la stessa risposta già data, al fratello di lui. Sarcasticamente l'altro disse alla madre: - Va bene! Dite a vostro figlio che stia da Don Bosco, e certamente diventerà cardinale. - Don Bosco, saputi i due incidenti, se per un lato provò pena al vedere i tentativi che si facevano per istrappargli i suoi chierici, per un altro lato godette alle prove di fedeltà dategli da' suoi figli ancora tanto giovani.

 

                In tema di vocazione e del muovere in cerca di soggetti merita un cenno il caso di un altro giovane, del quale abbiamo già fatto menzione sopra[139]; vogliamo dire di Giuseppe Mino, alunno della quinta ginnasiale. In cinque anni non aveva mai dato motivo di lagnanze. Cantore valente e assai simpatico, si era trovato in occasioni e pericoli maggiori di qualunque altro, dovendo andare a trattenimenti e pranzi, dov'era ammirato da tutti. Eppure si era mantenuto sempre buono, tanto che pensava unicamente a farsi prete. Ora Don Bosco subito dopo gli esercizi disse a parecchi sacerdoti, fra cui Don Barberis, che ne consegnò alla cronaca le parole: - Se Mino si fermasse nell'Oratorio come chierico e facesse parte della Congregazione! Oh come desidererei che si fermasse! Io gli ho prestate tutte le cure che si possono prestare ad un giovane, ho faticato molto, e posso dire che egli mi ha sempre corrisposto. Non avvenne mai che io gli dicessi una parola e gli dessi un consiglio e questo consiglio o questa parola sia caduta a vuoto. Io poi non ho. lasciato passare circostanza alcuna senza fare per lui, anche con mio grande incomodo, ciò che giudicavo potessi fare nel Signore per il suo bene. Ora, avendo egli finita la quinta ginnasiale e dovendo mettere la veste da chierico, quanto sarei contento che si fermasse con noi! Ma non sarà cosa tanto facile, perchè è bersagliato dai genitori e dal parroco, e il Vescovo lo vuole in seminario. - Difatti andò [333] nella sua diocesi di Biella, senza che il Servo di Dio nulla mai facesse o dicesse che avesse l'aria di costringerne la libertà. Giovanissimo sacerdote, vi fu rapito da violento morbo poco dopo la morte del Servo di Dio. Un buon parroco biellese diceva d'aver cominciato ad amare Don Bosco, quando conobbe Don Mino, perchè riteneva che le sue maniere di fare, così diverse dalle consuete, fossero state da lui apprese alla scuola del Beato.

 

                Vi fu nel medesimo tempo un altro caso analogo, in cui però Don Bosco agì ben diversamente; ma allora il giovane prese nettamente la sua posizione di fronte agli oppositori, sicchè per il Servo di Dio si trattava di farne rispettare, non di rispettarne la libertà. Giacomo Gresino, alunno anch'esso della quinta, dimostrava seria intenzione di fermarsi con Don Bosco. Venne lo zio per avere gli attestati necessari, affinchè il nipote potesse dare gli esami in seminario. Povero giovane! Anche suo padre gli si opponeva, anzi di tanto in tanto gli diceva: - Se ti vuoi fermare con Don Bosco, ti rinnego per figlio! - Il parroco a sua volta teneva bordone al padre. Quasi non bastasse, un prete di Torino, che in parecchie circostanze l'aveva aiutato, era colui che più di tutti soffiava nel fuoco. Infine una sorella, già matura d'età e influente nel paese, riempiva la casa di guai solamente al sentir dire, che suo fratello voleva rimanere nella Congregazione.

 

                Don Bosco adunque rispose allo zio di non potergli fare attestati, essendo cosa ormai intesa col giovane che non sarebbe andato in seminario, ma che avrebbe fatto ritorno nell'Oratorio. Si dichiarò tuttavia disposto a rilasciargli quei certificati, qualora il nipote stesso dimostrasse di aver cambiata la sua volontà. Insistette a più non posso lo zio; ma Don Bosco non si arrese. - Venga qui il giovane in persona, ripeteva il Beato, dimostri di aver cambiata la sua volontà, e allora farò le carte richieste.

                Venne difatti il giovane. Aveva ceduto! Troppo forte era stato l'assalto. Disse a Don Bosco che sarebbe andato in [334] seminario; dopo di che Don Bosco sottoscrisse e consegnò subito gli attestati. In quell'età inesperta, circondati da gente che pensava solo ai vantaggi temporali, lontani da chi li avrebbe potuti consigliare, i giovani talora cedevano. Tuttavia non pochi, a dispetto delle battaglie, trionfavano e tornavano nell'Oratorio. Nel '76 alcuni pagarono cara la vittoria: uno, per esempio, dovette promettere al fratello di cedergli la sua parte dei beni paterni; un altro dal. padre non fu più voluto riconoscere per figlio; un terzo tornò dopo che era stato strappato via dal padre furibondo.

 

                Per Gresino fu debolezza momentanea. Andato a casa dopo la licenza ginnasiale, si rammaricava di aver ceduto così le armi, e anelava di far ritorno. Egli non aveva ancora ricevuto la Cresima. Sul finire di agosto nell'Oratorio si doveva amministrare questo sacramento. Don Bosco gli fece scrivere che venisse a riceverlo. I parenti non glie ne poterono negare il permesso, perchè, non cresimato, non sarebbe stato ascritto fra i chierici, della diocesi. Venne; ma poi non ci fu più verso che se ne volesse andare. Dalla sua determinazione nessuno valse a smuoverlo, sicchè vestì l'abito con i suoi compagni ed è ancora oggi bravo Salesiano.

 

                Episodi come questi, in cui si appalesava l'affetto dei giovani per Don Bosco e la spontaneità con cui si mettevano alla sua sequela, non erano infrequenti nell'Oratorio. “Di quanti fummo noi testimoni!” esclama Don Barberis nella sua cronaca, e lo conferma Don Lemoyne in certe sue memorie. Per coloro che leggeranno queste pagine noi soggiungeremo: quanto sarebbe utile che i fortunati superstiti d'allora c'inviassero relazioni di fatti consimili, ad essi noti e, fors'anche ad essi accaduti!

 

                Ma sull'argomento delle vocazioni abbiamo ancora qualche cosa da dire. Non sempre i paterni consigli di Don Bosco su questa materia incontravano nei giovani la docilità voluta, benchè mancassero opposizioni esterne; del che o tosto o tardi essi dovevano poi lamentare le conseguenze. Se n'erano avuti [335] tre esempi recentissimi. Nel '75 Don Bosco a un giovane della quarta ginnasiale un po' indeciso aveva suggerito d'indossare senz'altro l'abito chiericale; ma egli aveva preferito aspettare ancora un anno. Fece la quinta, tornò a casa dopo gli esami e più non pensò a farsi prete. Un altro che era fra i migliori, consigliato egualmente da Do n Bosco a non fare la quinta, credette meglio attendere; entrò nella quinta, ma quantum mutatus ab illo! Già in novembre i Superiori intravedevano prossima la necessità di metterlo fuori. Un terzo giovane, consigliato ad accelerare gli studi col passare alla scuola di fuoco perchè già un po' avanti nell'età, aderì; ma poi, preso consiglio da altri, rientrò nella scuola regolare e fece una mala fine. Il Beato, quando vedeva che un giovane, invece di seguire il suo parere, andava a cercarsi altri consiglieri, perdeva subito ogni speranza. Lo amava come prima, non gli dava a conoscere che cosa pensasse di lui, ma si guardava bene dal tornargli a dare consigli di questo genere.

 

                Qualche fortunato figliuol prodigo ritrovava ancora la via alla male abbandonata casa patema. Così avvenne a un giovanotto di nome Coccero, presentatosi a Don Bosco la sera del 19 novembre dopo circa otto anni dacchè se n'era incautamente andato dall'Oratorio. Sul finire del ginnasio il Beato gli aveva detto: - Tu non sei fatto per il mondo; hai bisogno di vivere quieto e ritirato. - Ma l'altro gli rispose essere suo desiderio andare in seminario specialmente per compiacere i genitori. - Tu puoi fare come vuoi, riprese Don Bosco, ma riusciresti nello stato ecclesiastico solamente se te ne vivessi ritirato in una Congregazione religiosa.

 

                Andò in seminario, dove si sforzava di tenere buona condotta, sicchè i Superiori si mostravano contenti di lui. Giunse così al quarto anno di teologia, quando un bel giorno il Rettore, mandatolo a chiamare, gli disse a bruciapelo che egli non aveva vocazione allo stato ecclesiastico. Il povero chierico, sbalestrato in famiglia, vi si sentiva fuori del proprio centro. Visse là due anni senza pace, finchè, ricordando le [336] parole dettegli da Don Bosco nel suo dipartirsi dall'Oratorio, andò a parlargli e a supplicarlo che lo volesse accogliere nella Congregazione. Il Servo di Dio, procuratesi le informazioni necessarie sulla sua condotta, lo accettò.

 

                - Quanti casi simili! - esclamarono i sacerdoti che avevano udito da Don Bosco stesso il racconto di questa avventura. - E questo perchè? riprese Don Bosco. Si può capire anche ragionando naturalmente. Vi sono giovani buoni, semplici, d'indole dolce; il mondo è troppo ingannatore, essi non lo conoscono, e credono che tutti siano semplici al par di essi. Quando poi trovano inganni da ogni parte, non resistono. Tali giovani stanno al mondo come la loro semplicità sta alla scaltrezza mondana. Certo è che questi poveretti non vi troveranno mai il loro posto. Io che li conosco, li avviso schiettamente, ed essi anche dopo anni e anni rammentano le mie parole, e queste servono loro di richiamo.

                Anche dagli artigiani gli esercizi andarono bene: buon indizio del frutto fu il bel numero di essi che domandarono di venir accettati fra i novizi coadiutori. Il Servo di Dio, bramoso di dar consistenza a questo ramo della Congregazione, ne fu oltremodo consolato.

 

                Ma nella vita di Don Bosco dalle consolazioni non si scompagnavano mai le croci. Questa volta la salute sua e di alcuni suoi aiutanti lo teneva in continua pena. Dopo il ritorno da Roma non aveva più avuto un giorno solo senza incomodi La morte del figlio del conte Callori gli causò nuovi disturbi; perchè, rincasando madido di sudore, prese aria, il che finì con prostrarlo del tutto. Nella notte del 14 fu assalito da una colica violenta, che lo fece balzare da letto e stendersi sul sofà, nè gli lasciò un istante di riposo. Non chiese aiuto, perchè di notte non volle mai disturbare nessuno. La notte seguente ebbe febbre, e durante il giorno sudava, sudava profusamente e senza posa. Aveva per giunta tre preti ammalati. Don Barberis, che faceva ancora la scuola, ma Dio sa come, giacchè a mala pena si reggeva in piedi e stava su [337] per forza di volontà, mancando chi lo potesse sostituire; Don Guidazio, che, sebbene robustissimo e lavoratore indefesso, pure, logoro dalla fatica, basiva talmente, che il medico gl'ingiunse di abbandonare la sua diletta quinta ginnasiale e di rassegnarsi ad un assoluto riposo, che egli andò a prendere in Nizza Monferrato presso la mamma dell'Oratorio la Contessa Corsi. Ma peggio di tutti stava il povero Don Chiala, il zelante catechista degli artigiani.

 

                Questo degno figlio di Don Bosco lavorò proprio fino a quando non ne potè più. D'un tratto il suo male precipitò tanto, che lo costrinse ad accogliere il consiglio di recarsi in un paesello della diocesi d'Ivrea vicino a Feletto presso un suo zio parroco. Qui lo aspettava una dolorosa sorpresa: non gli fu permesso di celebrare. Un decreto del Vescovo monsignor Moreno vietava di dir messa a tutti i preti che, oriundi o nativi della diocesi, vi fossero ritornati dopo aver stabilito altrove il loro domicilio. Com'è noto, quell'Ordinario nutriva diffidenze verso Don Bosco e l'opera sua. In quel torno i due fratelli sacerdoti Cuffia, dopo aver amareggiato il nostro Servo di Dio con la loro diserzione, avevano dato motivo di lagnanze a Monsignore, che ricorse a quel provvedimento concepito in termini generici, ma mirante senz'alcun dubbio a colpire i preti di Don Bosco. Il Beato nondimeno diede ordine a Don Rua di spedire a Don Chiala il celebret da lui richiesto; nella qual circostanza egli fu udito esprimersi in questi termini: - Se il Vescovo continuerà a negargli il permesso di celebrare, mi rincresce, ma sarò costretto di scrivere a Roma. Non è lecito sospendere a divinis un prete, sol perchè appartiene a una Congregazione religiosa. Se c'è motivo serio contro il prete, faccia pure, ne ha tutto il diritto; ma sospendere uno solamente perchè appartiene alla tale Congregazione non benevisa, è cosa che non si può fare - Sempre disposto a mettere in non cale ogni mancamento di riguardo verso la propria persona, Don Bosco spiegava la massima fermezza, quando venissero in giuoco i diritti della Congregazione. [338] Gli esercizi degli artigiani si chiusero la mattina della domenica 18 giugno, nel qual giorno dovevasi celebrare un'ancor più solenne cerimonia. Quanto maggiormente il nemico del bene si accaniva seminando odio contro il Papa, tanto più i cattolici coglievano occasioni per rendere omaggio al Vicario di Gesù Cristo. Il Santo Padre compiva il trentesimo anno di Pontificato; una sì grande durata di regno parve giusto motivo per chiamare a raccolta i buoni e ringraziare da ogni parte del mondo l'Altissimo. L'anno trentunesimo cominciava propriamente il giorno 16; ma la commemorazione fu dai Vescovi rimandata alla domenica 18 per agevolare il concorso dei fedeli. Una lettera dell'Arcivescovo di Torino invitante il clero e il popolo a innalzare pubbliche preghiere per il Papa diceva fra l'altro: “La mano di Dio sorregge, direbbesi, in modo visibile questo grande Pontefice , il cui nome segnerà una delle epoche più insigni della storia ecclesiastica. Esso è il solo raggio di luce che splende in mezzo alle dense tenebre che ogni dì più si affollano sopra il secolo presente, la sola speranza che ci rimanga fra le persecuzioni visibili che si muovono contro la Chiesa, il faro verso cui tenere fissi gli occhi fra le tempeste che minacciano di sommergerci”. Nell'Oratorio si fece gran festa con comunione generale; alle io vi fu messa cantata con scelta musica; dopo i vespri solenni predicò il teologo Belasio, entusiasmando l'uditorio e infine commovendo i giovani con le parole di commiato che rivolse loro in quella vigilia della sua partenza, dopo aver predicato gli esercizi.

 

                Durante la sua dimora nell'Oratorio il teologo Belasio aveva concepito un nobile disegno. La venerazione da lui portata a Don Bosco lo indusse a fare un tentativo di riavvicinare al Servo di Dio il cuore del suo Arcivescovo. Con l'Arcivescovo in altri tempi il buon Teologo aveva avuto rapporti amichevoli; perciò gli sembrava di avere la porta aperta. L'abboccamento avvenne, o sul partire lui da Torino o di lì a poco; certo è in ogni modo che subito dopo il colloquio [339] egli non rivide Don Bosco. In tale incontro comprese abbastanza dove stesse il nodo della questione: Monsignore si credeva di non veder abbastanza rispettata da Don Bosco la sua Autorità e temeva di comparire come l'esecutore della volontà di lui, sì da divenirne come il vicario chi era posto dal Signore a reggere la sua Chiesa. Il Teologo si stimò autorizzato a conferire con Don Bosco sull'argomento; tornato quindi a Sartirana, dove probabilmente lo chiamavano d'urgenza i suoi doveri, si fece premura di recarsi dal Servo di Dio. Trovatolo a Borgo S. Martino, potè discorrere liberamente con lui, esponendogli quanto aveva inteso da Sua Eccellenza. A tale esposizione Don Bosco si mostrò assai dolente e gli disse: “E' possibile che nascano tali dubbi tra persone che vogliono la sola gloria di Dio?! Io, no, no, non farò mai per la diocesi di Torino e per il mio Arcivescovo cosa che possa recar disturbo e molto meno dispiacere al mio Arcivescovo. Solo la prego di osservare che, essendo io Superiore di una Congregazione definitivamente approvata, la quale prende ogni giorno maggiore sviluppo, debbo anch'io adoperarmi per consolidarla e per mantenerle l'autonomia indispensabile a esistere come tutte le Congregazioni religiose. Ah mio caro Belasio, se si potesse o se può Lei in qualche modo, ottenermi di essere in perfetto accordo, come sono in perfetta relazione cogli altri Vescovi, coll'Arcivescovo mio, che sa come io lo ami tanto... benedirei il Signore per sempre”. Il teologo Belasio informò tosto monsignor Gastaldi della sua visita a Don Bosco e delle cose dette e udite. Ma la risposta dell'Arcivescovo non fu quale si aspettava[140].

 

                Si avvicinavano intanto due solennità di grande importanza per l'Oratorio: la festa di San Luigi Gonzaga e l'onomastico di Don Bosco. Senza stare a descrivere i preparativi che dal più al meno sono sempre i soliti, non ometteremo ,alcune coserelle che nella grande storia sarebbero giudicate [340] riempitivi insignificanti o fuori di posto, ma che viceversa trovano luogo convenientissimo in queste Memorie, il cui oggetto precipuo è di far rivivere il Padre tal quale egli fu in mezzo a' suoi figli.

 

                La festa di S. Luigi i Superiori dell'Oratorio avevano pressochè stabilito che fosse trasferita ai 25 del mese; ma Don Bosco vi si oppose per una ragione tutta sua. Il 24 era San Giovanni, festa di precetto e solenne per Torino; festeggiandosi S. Luigi subito il giorno dopo, sarebbe mancata la comodità per le confessioni alla vigilia: “per i giovani, diss'egli, questa solennità è molto importante e vanno molto volentieri alla comunione”[141]. Allora taluno propose il giorno di S. Pietro. “Assolutamente no, ribattè Don Bosco. Desidero che per S. Pietro si faccia una festa grande e solamente in suo onore e che abbia il suo penegirico e la sua musica, e che se ne predichi molto la divozione. Tanto più che abbiamo un altare nella nostra chiesa a lui dedicato. Ai nostri giorni c'è un bisogno speciale di solennizzare molto questo Santo e d'istruire il popolo sulla sua dignità e di cogliere ogni occasione per stringere gli uomini alla Santa Sede”. Restò dunque convenuto che la festa di S. Luigi si sarebbe celebrata nella prima domenica di luglio.

 

                Ma in quella determinazione di data l'argomento per Don Bosco non era ancora esaurito: dopo tale scambio d'idee egli aveva tuttavia da esprimere un suo pensiero e insieme da dare amorevolmente una piccola lezione ai suoi collaboratori. Secondo la nostra cronaca avrebbe ragionato così: “Che si facciano le cose senza dirmi niente, questo è un modo che mi dispiace; ma che, quando si vuol fare, vi si pensi prima da voi e se ne escogitino i mezzi e poi mi si venga a dire: - Si penserebbe di fare così e così, con questo o con quel mezzo, in guisa da riuscire nella tale o tale maniera - ciò mi piace. Allora, se io ho qualche difficoltà, non essendovi ancora nulla [341] di deciso, si possono fare i mutamenti creduti necessari; sebbene d'ordinario le cose si lascino immutate, quali mi si presentano. In tal caso la mia fatica si riduce a nulla, tutta consistendo per me nell'osservare se vi scorgo qualche ostacolo o inconveniente; mentre invece il dover formare di sana pianta un disegno è prendere un'iniziativa che stanca”.

 

                Presente alla conversazione si trovava il teologo Belasio, che a Don Bosco porse il destro di palesare un fatto assai notevole per chi vuol conoscere a fondo la vita dell'Oratorio. Essendo il zelante sacerdote venuto a parlare di certe profezie che correvano intorno ad eventi non lontani, il Beato anche per deviare il discorso prese a dire: - Di quando in quando noi abbiamo avuto in casa giovani che nella preghiera ricevevano grazie proprio straordinarie e mi venivano a narrare colloqui avuti col Santissimo Sacramento o col Crocifisso o con la Beata Vergine. Anche quest'anno fra i giovani io vedo di queste cose speciali: non è uno, ma sono più! Il teologo Belasio suppose che tali giovani gli annunziassero cose future; ma il Servo di Dio riprese: - Oh, non sono cose di questo genere. Per esempio, mi vengono a dire: Don Bosco, osservi i tali e i tali altri; sono lupi rapaci, che danno scandalo. E simili altri avvisi per il buon andamento della casa, che io poi trovo giustissimi. Abbiamo pure qualche prete che, distribuendo la comunione, vede chi non è disposto e non la sbaglia. Questo fatto è accaduto più volte.-

                Una conversazione uguale a questa il Beato tenne con Don Giuseppe Vespignani nel 1877, ricordando giovani del passato e del presente, emuli di Domenico Savio. Il medesimo Don Vespignani riferisce un fatto, di cui sta bene anticipare qui il racconto. Nel '77 visitò l'Oratorio monsignor Pietro Lacerda, Vescovo di Rio de Janeiro. Prelato di esimia pietà, veniva a consultare Don Bosco per liberarsi da certe sue ansietà di coscienza. Non pago di ciò, volle che Don Bosco gli chiamasse cinque dei giovani più buoni, imitatori di Domenico Savio, perchè desiderava di far loro alcune interrogazioni. [342] Il Beato ottemperò al suo desiderio. Comparvero così cinque giovanetti dall'aria serena, pieni di riverenza per il Vescovo e di confidenza con Don Bosco, che disse loro: - Questo eccellentissimo Vescovo americano vuol sapere da voi che cosa pensate intorno a certe cose, che egli vi esporrà; parlategli pure con tutta libertà, come fareste con Don Bosco. - Quindi si ritirò, lasciandone là uno solo e conducendo gli altri quattro nell'anticamera. A tutti e singoli il Prelato fece la medesima esposizione: pesargli sulla coscienza la responsabilità per la salvezza di tante e tante anime a lui affidate, ma a salvar le quali egli non poteva far nulla, date le arti del demonio e de' suoi satelliti e la mancanza di buoni sacerdoti. Spaventarlo il pensiero di tante anime che ogni giorno andavano all'inferno. Non dovrebbe egli risponderne davanti a Dio? E si sarebbe egli stesso salvato? Si può ben pensare l'impressione di quei ragazzi all'udire simili cose. Pressati a esprimere il loro sentimento, essi ingenuamente gli dicevano che, se era venuto così da lontano per cercar sacerdoti da Don Bosco, ciò era segno che si prendeva grande cura di quelle anime. Infine il Vescovo raccomandava a ciascuno di pregare Maria Ausiliatrice e Domenico Savio, perchè Don Bosco gli desse Missionari... - E tu, soggiungeva, verresti volentieri ad aiutarmi? - Le risposte non si facevano aspettare: ne avrebbero parlato a Don Bosco, perchè ve li preparasse. - Tutti mi assolsero da ogni colpa, diceva il buon Prelato alcuni anni dopo a Don Vespignani in Rio de Janeiro e mi promisero di pregare, perchè Don Bosco mandasse presto i suoi Missionari al Brasile[142]. - Questo fatto ci rammenta come S. Benedetto -nella sua regola prescriva che in affari gravi l'abate ricerchi il sentimento anche dei più giovani, “poichè spesso il Signore a giovani menti rivela maturi consigli”[143]. [343]

                Torniamo ora alla conversazione del Servo di Dio con i suoi. Da un discorso all'altro si venne a parlare della sanità dei giovani nell'Oratorio, che si manteneva tanto buona. Giova raccogliere le sue parole, anche per qualche spunto che viene ad arricchirne la biografia. “Il moto, disse, è quello che più giova alla sanità. Io debbo riconoscerla proprio da questo. Da chierico e nei primi anni che fui prete io era sempre malaticcio; in seguito feci gran moto e risanai. Mi ricordo ancora che una volta ho percorso con Don Giacomelli oltre a venti miglia piemontesi[144] in un giorno. Siamo partiti da S. Genesio per venire a far commissioni a Torino e poi ritornare ad Avigliana. Altre volte partiva da Torino e andava ai Becchi in sei ore e faceva quelle dodici miglia a piedi; senza quasi fermarmi un istante. Anche ora quando mi sento lo stomaco tanto stanco e tutta la persona oppressa, esco, vado a trovare qualche ammalato anche presso il Po od a Porta Nuova, e non prendo mai vettura, se non quando ciò è necessario per l'importanza di un lavoro, per la premura o per il pericolo di mancare ad un appuntamento. Io sono di parere che una causa non indifferente della diminuzione di sanità ai giorni nostri provenga dal non farsi più tanto moto come una volta si faceva. La comodità dell'omnibus, della vettura, della ferrovia toglie moltissime occasioni al far passeggiate anche brevi, mentre cinquant'anni fa si giudicava passeggiata l'andare da Torino a Lanzo a piedi. Mi pare che il moto della ferrovia e delle vetture non sia sufficiente all'uomo per stare bene. E’ un vantaggio, per esempio, eccitare il sudore ai piedi, e questo effetto non si ottiene sedendo; poi il moto che parte dal piede, quella piccola scossa che si dà alla persona battendo i piedi per terra, mi pare che ecciti tutto il corpo e lo rinvigorisca”.

 

                Dopo gli esercizi aleggiava nella casa una pace e tranquillità perfetta. In molti giovani si vedeva un amore alla pietà, che sapeva di soprannaturale, per dirla con la cronaca. Tutto [344] questo favoriva la preparazione agli esami finali. I così detti retorici, ai quali il cronista attribuisce “un senno ben superiore alla loro età”, studiavano persin di notte.

 

                Tuttavia il pensiero degli esami non disturbò le feste per l'onomastico del Padre; qualche disturbo invece fu causato dal mal tempo. Vi si rimediò parte lì per lì, parte qualche giorno dopo. Alla sera della vigilia la festa si svolse nel cortile, ma nel giorno di S. Giovanni non fu possibile far nulla all'aria aperta. Al mattino gli ex-allievi, ricevuti a suon di banda, si presentarono a Don Bosco, che li aspettava nel refettorio e a cui offersero belle piramidi per ornamento dell'altare di Maria Ausiliatrice. Essi fecero la tradizionale presentazione del “bocchetto”, piemontesismo facile a intendersi. Il simbolico mazzo di simbolici fiori significava i sentimenti degli antichi figli verso il sempre amato Padre[145]. Nel '76, al pranzo dato loro più tardi da Don Bosco, sorse l'idea di suffragare le anime dei defunti compagni, che in passato avevano preso parte a tale presentazione. Il cristiano pensiero germogliato dalla pietà viva che quegli ex-alunni avevano portata con sè dall'Oratorio, rallegrò tanto Don Bosco, che dispose subito per la celebrazione di una solenne messa funebre con catafalco e musica. Gl'ideatori a lor volta pensarono di compiere l'opera, invitando i colleghi a contribuire per la relativa elemosina. Si raccolse lì per lì la somma di lire 20,50, indizio di piccole borse e di cuori generosi. Anche gli interni gli fecero i loro doni. Nella solita questua gli studenti diedero 107 lire e gli artigiani lire 90 le quali tutte servirono all'acquisto di tappezzerie per la chiesa. Accennammo già alle lettere giunte dall'America per la medesima circostanza. Ulteriori manifestazioni impedite dalla pioggia furono rimesse alla sera di S. Pietro. Fra le due date Don Bosco parlò così a tutti i giovani dell'Oratorio nella " buona notte " del 28. [345] Che almeno qualche volta ci possiamo parlare! Voi mi direte: - Non ci vediamo e parliamo durante tutto il giorno? - Sì; ma quando ci vediamo di fuori, ci diciamo qualche cosa alla spicciolata e in fretta. Qui invece possiamo parlarci liberamente e più a lungo.

 

                Per prima cosa adunque debbo dirvi con gran piacere, che gli esercizi sono andati abbastanza bene, che ne fui molto contento, che in essi si conservò un molto buon contegno e raccoglimento, sicchè fu pure di voi molto contento il Teol. Belasio. A me fece specialmente molto piacere, perchè molti delle scuole più avanzate pensarono con serietà alla loro vocazione, cioè allo stato al quale il Signore chiama ciascuno, e si esaminarono sulle proprie qualità, propensioni, doti di animo e anche di corpo per conoscere fra i vari stati, quale dovessero abbracciare. Ciò si fece non solo dai giovani delle classi superiori, ma eziandio da quelli delle scuole inferiori. Fin d'ora molti si sono risolti a farsi Salesiani per andare poi nella Patagonia, fra i Pampas e in altre regioni. Ma forse il mondo è in nostro potere per aver strada aperta nell'andare ovunque vogliamo? Sì! E come vedete tutti ci chiamano: e poi la Chiesa Romana è universale, e però in ogni parte della terra può essere predicata. Ciascuno poi, secondo il suo coraggio e secondo le proprie forze, potrà andare in regioni più vicine o più lontane.

 

                Ora passando alla festa di S. Giovanni, debbo dire che essa fu splendida ed oscura. Fu splendida in quanto che la prima volta potemmo eseguirla all'aperto; fu splendida per gli apparati, le offerte, gli auguri e le congratulazioni che mi si fecero pel mio onomastico. Fu oscura perchè il tempo si fece piovoso, interruppe il nostro trattenimento, si dovette improvvisare l'apparecchio nuovo nello studio e invece di continuare la festa di giorno chiaro, alla luce del sole, dovemmo ritirarci in quella sala e colà ove era più oscuro voi leggeste i vostri componimenti. Però state sicuri che i vostri auguri e i vostri affetti mi furono cari lo stesso e mi piacquero tanto. Ringrazio quelli che concorsero coi doni, quelli che concorsero col canto e cogli scritti a questa manifestazione. Sì, sono assai soddisfatto perchè i vostri sentimenti partivano da cuori che mi amano e i quali come Padre io amo. Molti non osarono o non credettero opportuno leggermi alcuna cosa in pubblico; per molti non vi fu tempo, ma però mi scrissero in particolare e mi diedero le loro lettere. Io ho letto tutte queste lettere attentamente, per vedere se vi fosse qualche cosa d'importante e ho messo da parte quelle che esigevano risposta, che io farò o in iscritto o a voce. In esse mi si dissero molte buone cose e, quello che mi piacque, non si stette a sole parole, ma si espressero buoni sentimenti. Io avrei desiderato fare risposta ed in iscritto a quelli che mi mandarono lettere; ma ciò avrebbe, richiesta l'occupazione, non solo di una notte o di un giorno, ma di un'intera metà dell'anno, distogliendomi dagli altri miei affari. Io però credo che nessuno di voi pretenda tale risposta. [346] Tuttavia una risposta la farò qui in generale, dicendo che tutti i favori che mi si chiesero saranno largamente concessi, per quanto lo comporterà lo stato di D. Bosco e dell'Oratorio. Ho detto questo affinchè ognuno si persuadesse, che le lettere che mi si scrivono sono tenute nel debito conto. Alcune le conserverò per ponderare con maturità ciò che in esse si dice per servirmene poi all'uopo.

 

                Domenica ventura si farà la festa di S. Luigi. In essa si potrà acquistare l'indulgenza plenaria, confessandosi e facendo la Comunione, come pure si potè lucrare domenica scorsa e quest'oggi. Quell'indulgenza possono acquistarla non solo i giovani dell'Oratorio, ma anche tutti gli esterni che, confessati e comunicati, visiteranno in quel giorno la Chiesa di Maria Ausiliatrice. Procuri ciascuno di voi di acquistare questo grande tesoro pel vantaggio dell'anima sua e di proporsi intanto per modello di virtù S. Luigi, che è il protettore della gioventù.

 

                Finalmente per parlare della grande e dolorosa perdita che fece in questi giorni l'Oratorio, senza dirne a lungo, perchè vi si diede già questa notizia ieri sera, vi dirò che D. Cesare Chiala era un sacerdote di santa vita e molto amante del lavoro: faticava incessantemente per la Congregazione senza perdere un minuto di tempo. Egli molto volentieri avrebbe sacrificata la sua vita pel bene de' suoi simili. Tutti noi ammiravamo la sua grande esattezza e facilità nello sbrigare gli affari dell'Oratorio. Un malore che aveva al petto fino da quando entrò nella Congregazione, e che sembrava cosa da niente, aggravandosi dopo alcuni anni, lo costrinse a lasciare la sua carica per curare la sanità. In questi giorni io dovetti comandargli con suo gran rincrescimento di cambiar aria, per ristorarsi meglio, se fosse stato possibile, nella casa di sua famiglia; ma tutto fu inutile.. Solo tre giorni fa egli era ancora fuor di letto. Il giorno prima di morire erasi alzato, aveva preso un po' di cibo e sembrava che stesse alquanto meglio. Ieri mattina sul finir della notte il Signore lo chiamava a sè. Ognuno adunque preghi per lui che tanto lo merita e per i sacrifizi e pel continuo lavoro nel quale si occupò per noi. Domani si facciano comunioni e visite al SS. Sacramento per lui caso mai si trovasse a purificarsi nel purgatorio. E’ un valente campione che scompare dalle nostre file. Esso avrà ormai conseguito il premio; ma lascia un vuoto grande in mezzo a noi. Lavoriamo adunque e alacremente. Certo noi dobbiamo avere molta cura della nostra salute, per guadagnare anime a Dio ed acquistarci il paradiso; ma non per questo chi muore anche da giovane dovrà temere. Oh no! Se il Signore ci facesse morire, è segno che ci crede già degni del paradiso, come fece col nostro D. Chiala.

 

                Mi sono dimenticato di una cosa, cioè di raccontarvi un sogno. Vorrei narrarvelo ancor questa sera, ma sono già le nove e perciò dovrei dirlo troppo in breve (grida generali: Racconti, racconti). E’ [347] un po' intricato e lungo e bisogna quindi che lo racconti con pacatezza ed intiero in tutti i suoi particolari. Questa sera ho già parlato molto e perciò domani a sera, senza divagarmi in altri argomenti, tratterò solamente di questo. Vi farò un poco ridere, un poco paura, perchè l'ha fatto anche a me. Del resto si dia ad esso il valore di un sogno. Rimettiamolo a domani ed intanto vi do la buona notte.

 

                Le festività religiose sogliono avere per epilogo nelle case salesiane un serale trattenimento accademico o drammatico, che faccia chiudere allegramente la giornata; così nella festa di S. Pietro venne opportuno a questo scopo quel che era mancato nel giorno onomastico di Don Bosco. I giovani si radunarono nello studio. Nessun'altra accademia gli era mai tanto piaciuta. Nelle composizioni lettegli risonò per la prima volta l'armoniosità della lingua spagnuola. Le letture si succedettero in bell'ordine: prima gli ascritti, poi gli studenti, quindi gli artigiani. Sbandite le lungaggini. Fra un gruppo e l'altro di lettori la banda eseguiva un pezzo. Genialissima la trovata dei librai: presentarono a Don Bosco un quadro delle opere da lui stampate e insieme il numero approssimativo delle copie che se n'erano diffuse. Basta riflettere al conto che Don Bosco faceva della buona stampa, per comprendere l'intima sua soddisfazione e come debba aver detto in cuor suo press'a poco come suol dire Pio XI dinanzi a opere di apostolato: - Sempre più e sempre meglio!-

                Della sua parlata finale ci è pervenuto appena un magro riassunto. Rese particolareggiate grazie di tutto e a tutti, musici cantori, poeti, donatori; e attribuite poi all'aiuto del Signore, al buon cuore dei giovani, alla cooperazione de' suoi sacerdoti le lodi tributategli, si fermò a descrivere qual vasto campo di azione la Provvidenza avesse aperto dinanzi ai Salesiani negli ultimi tempi e qual nuovo campo assai più vasto ella stesse per aprire nelle vere Missioni fra i selvaggi della Patagonia, vicina a essere eretta in Prefettura Apostolica; poi nell'India, donde milioni e milioni di creature tendere le braccia ai Salesiani e aspettare da essi la luce del Vangelo; [348] anche nell'Oceania schiudersi ai Salesiani nuovi orizzonti. Quindi, facendo coraggio ai giovani, perchè stessero fermi nella loro vocazione, prese a dire della salvezza delle anime con un accento così vibrato e con tanta forza d'espressione, che riempì di commozione e di entusiasmo tutti i presenti. Pose fine al suo discorso dicendo: -Coraggio! L’anno venturo avrà la sua spina, ma avrà pure la sua buona rosa; e se la lacrima non manca, non mancherà neppure la gioia ed il sorriso.

                I giovani, e non essi soli, aspettavano avidamente il racconto del sogno; Don Bosco mantenne la promessa, ma con un giorno di ritardo, nella " buona notte " del 30 giugno, solennità del Corpus Domini. Esordì a questo modo: “Mi rallegro nel vedervi. Oh! quante facce angeliche io ho davanti e tutte rivolte a me (risa generali). Ho pensato che raccontandovi quel sogno vi farei paura! Se avessi pur io una faccia angelica, potrei dirvi: Guardate me! E allora si dissiperebbe ogni vostro timore. Ma sfortunatamente non sono altro che fango, come siete voi. Siamo però fattura di Dio e posso dire con S. Paolo che voi siete gaudium meum et corona mea: voi siete la mia consolazione e la mia corona. Però non vi è da stupirsi, se nella corona vi sarà qualche Gloria Patri un po' ruvido. Ma veniamo al sogno. Io non voleva raccontarvelo per timore di farvi paura; ma poi ho pensato: Un padre nulla deve tener nascosto ai suoi figli, tanto più se essi in ciò che egli sa hanno interesse e questi devono sapere ciò che il padre conosce e fa. Perciò mi son deciso a raccontarvelo in tutti i suoi particolari; ma vi prego di non dargli se non l'importanza che si dà a un sogno, e ciascuno lo prenda nella parte che più gli piace e che è più salutare. Sappiate dunque che il sogno si fa dormendo (risa generali). Ma sappiate anche che questo sogno non l'ho fatto adesso; l'ho fatto quindici giorni addietro, proprio allora quando voi terminavate i vostri esercizi. Era da molto tempo che io pregava il Signore, affinchè mi facesse conoscere lo stato dell'anima dei miei figliuoli [349] e che cosa si potesse fare per il loro maggiore avanzamento nella virtù e per isradicare dal loro cuore certi vizi. Specialmente in questi esercizi spirituali io era sopra pensiero per tale motivo. Ringraziando il Signore, gli esercizi sono andati veramente bene, sia per gli studenti che per gli artigiani. Ma il Signore non si fermò qui nelle sue misericordie; Egli volle favorirmi in modo, che io potessi leggere nelle coscienze dei giovani, proprio come se leggessi in un libro; e quello che è più mirabile, vidi non solamente lo stato presente di ciascuno, ma le cose, che a ciascuno sarebbero accadute nell'avvenire. E ciò, in modo proprio anche per me straordinario; perchè non mi avveniva mai che io vedessi in simile modo, così bene, così chiaro, così svelatamente nelle cose future e nelle coscienze dei giovani. E’ stata questa la prima volta. Avevo anche pregato molto Maria Santissima, acciocchè mi volesse concedere la grazia, che nessuno di voi avesse il demonio in cuore, e spero che anche questo mi sia stato concesso; poichè ho motivi di credere che tutti voi mi abbiate interamente palesato,la vostra coscienza. Essendo io adunque in questi pensieri e pregando il Signore che mi facesse conoscere che cosa potesse giovare e nuocere alla salute dell'anima dei miei cari giovani, andai a letto, ed ecco che mi posi a fare il sogno ,che io qui vi racconterò”.

 

                Il preambolo comincia da un sentimento consueto di profonda umiltà; ma questa volta finisce in un'asserzione di tal natura, che esclude ogni dubbio circa il carattere soprannaturale del fenomeno. Il sogno si potrebbe intitolare così: La fede, nostro scudo e nostra vittoria.

 

                Mi parve di trovarmi nell'Oratorio coi miei giovani, che formano la mia gloria e la mia corona. Era sera in sull'imbrunire. Si vedeva ancora, ma non più tanto chiaramente. Io, uscendo qui dai portici, era incamminato verso la portieria; ma un numero immenso di giovani mi circondava, come voi siete soliti a fare, perchè siamo amici. Gli uni erano venuti per salutarmi, gli altri per dirmi qualche cosa. Io indirizzava una parola a questo ed una a quello. Così lentamente era giunto in mezzo al cortile; quando sento degli ahi! ahi! Lamentevoli [350] e prolungati e un rumore grandissimo, misto ad alte strida di giovani e ad urla feroci che venivano dalla parte della portieria. Gli studenti all'udire quell'insolito tumulto vanno per vedere; ma ben presto, insieme cogli artigiani spaventati, li vidi fuggire a precipizio, gridando e correndo verso di noi. Molti artigiani erano passati dalla porta al fondo del cortile.

 

                Ma crescendo ognor più le grida cogli accenti di dolore e di disperazione, io con ansietà domandava a tutti che cosa fosse accaduto, e cercava di avanzarmi, per portare aiuto ove fosse stato d'uopo. Ma i giovani affollati intorno a me mi trattenevano. Allora io:

 

                - Ma lasciatemi andare a vedere che cosa c'è che mette tanto spavento.

 

                - No, no, per carità, tutti mi dicevano; non vada avanti, venga, venga indietro; vi è un mostro che la divorerà; fugga, fugga con noi: non vada laggiù.

 

                Volli tuttavia vedere che cosa vi fosse e svincolatomi dai giovani mi avanzai alquanto nel cortile degli artigiani, mentre tutti i giovani gridavano: -Veda, veda!

 

                -Che cosa c'è?

                -Veda là in fondo! -

 

                Mi volsi da quella parte e vidi un mostro che sulle prime mi parve un gigantesco leone, che l'eguale certamente non esiste sulla terra. Lo fissai attentamente. Era schifoso, aveva l'aspetto quasi di orso, ma più feroce e orribilissimo La parte di dietro a proporzione delle altre membra era piuttosto piccola, ma le spalle anteriori aveva larghissime, come pure lo stomaco. Enorme era la sua testa, e la bocca così smisurata e aperta, che sembrava fatta per divorare la gente in un boccone. Da questa sporgevano fuori due grossi, acuti e lunghissimi denti a guisa di spade taglienti.

 

                Io tosto mi ritrassi in mezzo ai giovani, i quali mi chiedevano consiglio ansiosamente: ma neppur io era libero dallo spavento e mi trovava non poco imbarazzato. Tuttavia risposi: - Vorrei potervelo dire che cosa avete da fare; ma non lo so. Intanto raduniamoci sotto i portici.

                Mentre così diceva, l'orso entrava nel secondo cortile e si avanzava verso di noi con passo grave e lento, come colui che è sicuro della preda che vuol fare. Noi retrocedemmo inorriditi finchè ci siamo trovati qui sotto i portici. I giovani si erano stretti attorno alla mia persona. Tutti gli occhi erano fissi in me: - D. Bosco, che cosa dobbiam fare? - mi dicevano. Ed io pure guardava i giovani, ma silenzioso, non sapendo a qual partito appigliarmi. Finalmente esclamai: - Voltiamoci là verso il fondo dei portici, all'immagine della Madonna, mettiamoci in ginocchio, preghiamola fervorosamente, con maggior divozione del solito, perchè essa ci dica ciò che abbiamo da fare in questi momenti, ci faccia conoscere chi sia questo mostro, [351] venga in nostro aiuto e ci liberi. Se è un animale feroce, in qualche modo fra tutti insieme cercheremo di ucciderlo; se è un demonio, Maria ci soccorrerà. Non temete! La Madre celeste provvederà alla nostra salute!

                Intanto l'orso continuava ad avvicinarsi lentamente e quasi si strisciava per terra in atto di prendere lo slancio per avventarsi.

 

                Ci siamo inginocchiati e ci mettemmo a pregare. Trascorsero pochi minuti di grande costernazione. La belva era giunta così vicina da poter con uno slancio piombarci sopra. Quand'ecco non so nè come, nè quando, ci vedemmo ad un tratto trasportati di là del muro e ci trovammo tutti nel refettorio dei chierici.

 

                Nel mezzo di questo si vedeva la Madonna che aveva somiglianza, non so bene se colla statua che è qui sotto i portici, o con quella del refettorio stesso, o con quella che è posta sulla cupola, oppure con quella che sta in Chiesa. Ma comunque sia, fatto sta che era tutta raggiante di vivissima luce e illuminava tutto il refettorio, ampliato in vastità ed in altezza cento volte tanto, come un sole in pieno meriggio. Era attorniata da beati e da angioli, sicchè quella sala sembrava un paradiso. Le sue labbra si muovevano come se volesse parlare, per dirci qualche cosa.

 

                Noi in quel refettorio eravamo in numero straordinario. Nei nostri cuori allo spavento sottentrò lo stupore. Gli occhi di tutti erano intenti nella Madonna, la quale con voce dolcissima ci rassicurò. -Non temete, disse; abbiate fede; questa è solo una prova che di voi vuol fare il mio divin Figlio.-

                Osservai allora attentamente coloro che sfolgoranti di gloria facevano corona alla Santa Vergine e riconobbi Don Alasonatti, Don Ruffino, un certo Michele[146] fratello delle scuole cristiane, che qualcuno di voi avrà conosciuto, e mio fratello Giuseppe; e altri i quali furono anticamente nel nostro Oratorio, appartenenti alla Congregazione ed ora sono in paradiso. Con questi ne vidi alcuni altri che sono ancora vivi.

 

***

 

                Quand'ecco che uno di coloro che facevano corteggio alla Vergine, dice ad alta voce: Surgamus!

 

                Noi eravamo in piedi e non sapevamo che cosa ci indicasse quell'avviso, e dicevamo: - Ma come surgamus? Se siamo già tutti in piedi!- Surgamus! ripetè più forte la stessa voce. I giovani fermi ed attoniti si erano rivolti a me, aspettando un mio cenno; e non sapevano che cosa fare. Io mi volsi colà donde quel suono era partito e dissi: - Ma come fare? che cosa vuol dire surgamus, mentre siamo già tutti in piedi? - [352]

                E quella voce mi rispose con maggior forza: Surgamus! Io non sapeva rendermi ragione di questo comando che non intendeva.

 

                Allora un altro di quelli che erano colla Beata Vergine si indirizzò a me, che stava sopra di un tavolo per dominare tutta la moltitudine, e così prese a dire con voce mirabilmente robusta, mentre i giovani stavano attenti: - E tu che sei prete dovresti intendere questo surgamus! Quando celebri la S. Messa non dici tutti i giorni sursum corda? Intendi forse con ciò di alzarti materialmente, oppure di innalzare gli affetti del cuore al cielo, a Dio?

                Io tosto gridai ai giovani: - Su, su, figliuoli, ravviviamo, fortifichiamo la nostra fede, innalziamo i nostri cuori a Dio; facciamo un atto di amore e di pentimento; facciamo uno sforzo di volontà per pregare con vivo fervore, confidiamo in Dio. - E feci un segno e tutti ci inginocchiammo.

 

                Un momento dopo mentre noi pregavamo sommessamente con slancio pieno di fiducia., una voce di nuovo si fece udire: Surgite! E fummo tutti in piedi e ci sentimmo sollevare sensibilmente da terra per una forza soprannaturale e salimmo io non so dire quanto, ma ben so che eravamo tutti molto in alto. Non saprei neppur dire sopra di che posassero i nostri piedi. Mi ricordo che io mi teneva stretto al telaio o al parapetto di una finestra. Tutti i giovani poi si arrampicavano su per le finestre e sulle porte. Chi si attaccava di qua, chi si attaccava di là; chi a spranghe di ferro, chi a chiodi robusti, chi alla cornice della volta. Tutti eravamo sollevati in aria ed io era stupito che non cadessimo per terra.

 

                Ed ecco quel mostro, che avevamo veduto nel cortile, entra nella sala seguito da una innumerevole quantità di bestie di varia specie, ma tutte feroci. Scorrazzavano qua e là pel refettorio, mandavano urli orribili, sembravano smaniose di combattimento, sembrava che ad ogni momento fossero per slanciarsi con un salto addosso a noi. Ma ancora non facevano la prova di assalirci. Ci guatavano però sollevando il muso con occhio sanguigno. Noi dall'alto stavamo osservandole ed io tenendomi stretto stretto a quella finestra: - Se cadessi, diceva fra me, quale strazio orribile farebbero della mia persona!

 

***

 

                Mentre noi eravamo in quella strana posizione, una voce uscì dalla Madonna, la quale cantava le parole di S. Paolo: Sumite ergo scutum fidei inexpugnabi1e. Era un canto così armonioso, così unito, di tale sublime melodia, che noi eravamo come in estasi. Si sentivano tutte le note dalla più bassa alla più alta e pareva che cento voci cantassero in una sola.

 

                Noi stavamo ascoltando quel canto di paradiso, quando abbiamo visto partire dai fianchi della Madonna molti leggiadrissimi giovanetti, [353] forniti di ali e discesi dal cielo. Si avvicinarono a noi portando degli scudi in mano e ne ponevano uno sul cuore di ciascheduno dei nostri giovani. Tutti quelli scudi erano grandi, belli, risplendenti. Riflettevasi in essi la luce che veniva dalla Madonna e sembrava proprio una cosa celeste. Ogni scudo nel mezzo pareva di ferro, poi un gran cerchio di diamante, e in ultimo sull'orlo un cerchio d'oro purissimo. Questo scudo rappresentava la fede. Quando tutti fummo così armati, coloro che erano intorno alla Beata Vergine intonarono un duetto e cantavano con sì bella armonia che non saprei quali parole possano in qualche modo esprimere tanta dolcezza. Era tutto ciò che si può immaginare di più bello, di più soave, di più melodioso.

 

                Mentre io contemplava quello spettacolo ed era assorto in quella musica, fui scosso da una voce potente che gridava: Ad pugnam! Tutte quelle belve presero ad agitarsi furiosamente.

 

                In un subito noi tutti cademmo, restando in piedi sul suolo ed ecco ognuno trovarsi in lotta colle fiere, protetti dallo scudo divino. Non so dire se abbiamo ingaggiata la battaglia nel refettorio oppure nel cortile. Il coro celeste continuava le sue armonie. Quei mostri slanciavano contro di noi, coi vapori che uscivano dalle loro fauci, palle di piombo, lancie, saette ed altri proiettili di ogni specie; ma queste armi o non ci arrivavano o colpivano i nostri scudi e rimbalzavano indietro. Ma i nemici a tutti i modi volevano ferire ed uccidere e si precipitavano all'assalto; ma non potevano recarci nessuna ferita. Tutti i loro colpi urtavano con impeto in quelli scudi, ed essi si rompevano i denti e fuggivano. Come flutti l'uno dopo l'altro si succedevano nell'assalirci quelle masse di belve spaventevoli, ma tutte incontravano la stessa sorte.

 

                Lunga fu la pugna. Finalmente si fece udire la voce della Madonna: Haec est victoria vestra, quae vincit mundum, fides vestra.

 

                A questa voce quella moltitudine di belve spaventata si diede a precipitosa fuga e scomparve. Noi restammo liberi, salvi, vincitori in quella sala immensa del refettorio, sempre illuminata dalla viva luce che si diffondeva dalla Madonna.

 

                Allora io guardai fissandoli attentamente coloro che portavano quello scudo. Erano molte migliaia. Fra gli altri vidi Don Alasonatti, Don Ruffino, mio fratello Giuseppe e il Fratello delle scuole Cristiane che avevano combattuto con noi.

 

                Ma gli occhi di tutti i giovani non potevano staccarsi dalla Madonna Santissima. Essa intonava un cantico di ringraziamento, che in noi destava nuovi gaudi e nuove estasi indescrivibili. Non so se si possa sentire cantico più bello in paradiso.

 

***

 

                Ma la nostra allegrezza venne all'improvviso turbata da grida e gemiti strazianti misti ad urli feroci. Sembrava che i nostri giovani [354] fossero dilaniati da quelle belve, fuggite pochi momenti prima da quel luogo. Io volli subito uscir fuori per vedere che cosa accadesse, e portar soccorso ai miei figli; ma non poteva uscire perchè alla porta vi erano i giovani che mi trattenevano e non volevano a tutti i costi che io uscissi. Io faceva ogni sforzo per liberarmi e diceva loro: Ma lasciatemi andare ad aiutare quelli che gridano. Voglio vedere i miei giovani e se loro tocca danno o morte, voglio morire con loro. Voglio andare, sebbene avessi da lasciarci la vita. - E strappatomi dalle loro mani, fui sotto i portici. Ed oh! miserando spettacolo. Il cortile era sparso di morti, di moribondi e di feriti.

 

                I giovani, impauriti dallo spavento, tentavano fuggire da una parte e dall'altra e tutti quei mostri li inseguivano, si slanciavano loro addosso, conficcavano i denti nelle loro membra e li dilaniavano. Ad ogni istante erano giovani che cadevano e spiravano, mandando grida le più dolorose.

 

                Ma chi più di tutti faceva spaventevole macello, era quell'orso comparso pel primo nel cortile degli artigiani. Con quei due denti simili a spade trapassava il petto dei giovani da destra a sinistra, e da sinistra a destra e quelli con doppia ferita nel cuore cadevano miseramente morti.

 

                Io risolutamente mi posi a gridare: - Coraggio, miei cari giovani I

 

                Molti giovani si rifugiarono vicino a me. Ma l'orso al mio apparire mi corse incontro. Io, facendomi coraggio, feci qualche passo verso di lui. Intanto alcuni giovani di quelli che erano nel refettorio e che avevano già vinte le bestie, vennero sulla soglia e si unirono a me. Quel principe dei demonii si avventò contro di me e contro di essi, ma non ci potè ferire perchè eravamo difesi dagli scudi. Anzi neppur ci toccò, perchè alla vista di questi, spaventato e quasi riverente, indietreggiava. Allora fu che guardando fisso quei suoi lunghi denti in forma di spade, vi lessi scritte due parole a grossi caratteri. Sull'uno era scritto: Otium; sull'altro: Gula.

 

                Restai stupefatto e andava dicendo fra me: - Possibile che nella nostra casa, dove tutti sono tanto occupati, dove vi è tanto da fare che non si sa neppure dove dare del capo per isbrogliarci delle nostre occupazioni, vi sia chi pecchi di ozio? E riguardo ai giovani mi pare che lavorino, che studino a tempo e luogo e che in ricreazione non perdano tempo. - E non potevo darmi ragione della cosa.

 

                Ma mi fu risposto: - Eppure delle mezz'ore se ne perdono !

 

                - E di gola poi? io continuava; tra noi pare che anche volendolo non si possano commettere molte golosità. Non abbiamo guari occasioni di essere intemperanti. I cibi non sono ricercati e così le bevande. Si dà appena il necessario. Come dunque possono accadere intemperanze che conducano all'inferno? -

 

                Di nuovo mi fu risposto: - O sacerdote! Tu credi di essere profondo nelle cognizioni morali e di avere già molta esperienza; ma in [355] ciò ne sai niente; sei nuovo del tutto. E non sai che si può commettere una golosità, una intemperanza anche bevendo acqua?

                Io non contento volli avere una più chiara spiegazione ed essendo ancora il refettorio illuminato dalla Vergine, andai tutto triste dal fratello Michele perchè volesse schiarire il mio dubbio. Michele mi rispose: - Eh, mio caro, in questa parte sei ancora novizio. Ti spiegherò quanto domandi.

 

                Riguardo alla gola hai da sapere che si può peccare d'intemperanza, quando anche a tavola si mangia o si beve più del bisognevole; si commette intemperanza nel dormire o quando si fa qualsiasi cosa riguardo al corpo che sia oltre il bisogno, che non sia necessaria. Riguardo all'ozio sappi che con questa parola non intendesi solo il non lavorare e l'occupare o no il tempo di ricreazione nel divertirsi, ma sibbene anche quando in questo tempo si lascia libera l'immaginazione nel pensare a cose che sono pericolose. L'ozio ha luogo eziandio quando nello studio uno si diverte con altrui disturbo, quando certi ritagli di ora si sprecano in letture frivole, o stando inerti a badare agli altri, lasciandosi vincere da quel momento di accidia, e specialmente quando in chiesa non si prega e si hanno a noia le cose di pietà. L'ozio è il padre, la sorgente, la causa di tante tentazioni cattive e di tutti i mali. Tu poi, che sei Direttore di questi giovani, devi procurare di tener da loro lontani questi due peccati, cercando di ravvivare in loro la fede. Se tu potrai ottenere dai tuoi giovani che siano temperanti in quelle piccole cose che ho detto, essi vinceranno sempre il demonio e colla temperanza verranno loro l'umiltà, la castità e le altre virtù. E se occuperanno il tempo a dovere non cadranno mai nelle tentazioni del nemico infernale e vivranno e morranno da santi cristiani.

 

***

 

                Ascoltate queste cose, io lo ringraziai di così bella istruzione e quindi per accertarmi se ciò che io vedevo fosse realtà ovvero semplice sogno, cercai di toccargli la mano: ma nulla strinsi. Cercai di stringerla per la seconda volta e per la terza, e inutilmente: non strinsi che aria. Pure tutte quelle persone le vedeva, parlavano, sembravano vive. Mi accostai a Don Alasonatti, a Don Ruffino, a mio fratello: ma non mi fu possibile palpar loro la mano.

 

                Io era fuor di me ed esclamai: - Ma è vero o non è vero tutto ciò che io vedo? Ma queste non sembrano persone? Non le ho udite a parlare?

 

                Il fratello Michele mi rispose: - Dovresti sapere, e lo hai studiato, che, finchè l'anima non sarà riunita al corpo, è inutile tentare di toccarmi. Non puoi toccare i puri spiriti. Solo per farci vedere dai mortali dobbiamo prendere la nostra figura. Ma quando tutti risorgeremo [356] al Giudizio, allora riprenderemo i nostri corpi immortali e spiritualizzati.

                Allora volli appressarmi alla Madonna, che pareva avesse qualche cosa a dirmi. Ero quasi vicino a lei, quando mi pervenne all'orecchio un nuovo rumore e nuove e alte grida di fuori. Subito volli uscire per la seconda volta dal refettorio; ma nell'uscire mi svegliai.

 

                Terminato che ebbe il suo racconto, vi aggiunse queste osservazioni e raccomandazioni “Checchè sia di questo sogno così variamente intrecciato, il fatto si è che in esso si ripetono e spiegano i detti di S. Paolo. Ma tanto era l'abbattimento e la prostrazione di forze cagionatimi da questo sogno, che io pregai il Signore di non permettere che altra volta si presentasse alla mia mente un simile sogno; ma ecco che nella notte seguente rifeci di nuovo lo stesso sogno e di questo dovetti vedere anche la fine, che non aveva vista la notte precedente. Ed io mi mossi e gridai tanto, che Don Berto udì il rumore e al mattino mi venne a chiedere perchè avessi gridato e se la notte fosse trascorsa insonne. Questi sogni mi hanno stancato molto più che se avessi passata tutta la notte vegliando e scrivendo. Come vedete, questo è un sogno, ed io non voglio dargli alcuna autorità, ma solo farne caso come di un sogno senz'andare più in là. Non vorrei poi che se ne scrivesse a casa, o qua o là, affinchè quei di fuori, che nulla conoscono delle cose dell'Oratorio, non abbiano a dire, come han già detto, che Don Bosco fa vivere i suoi giovani di sogni. Questo però poco m'importa; dicano quello che vogliono. Ciascheduno tuttavia tragga dal sogno ciò che fa per lui. Per ora non vi do spiegazioni di esso, perchè è tanto facile a capirsi da tutti. Quello che vi raccomando molto e molto si è che ravviviate la vostra fede, la quale si conserva special mente con la temperanza e con la fuga dell'ozio. Di questo siate nemici, di quella amici. In altre sere ritornerò su quest'argomento. Intanto vi do la buona notte”.

 

                Lo spesseggiare delle feste, non che dissipare, conciliava anzi l'applicazione, sia perchè i Superiori sapevano a tempo [357] e luogo allentare e stringere il freno, sia perché l'allegria così ben condita di pietà era composta e serenatrice. Giunse pertanto desiderata ai 2 di luglio l'annua festa di S. Luigi, con la sua tradizionale processione svoltasi solennemente e con la premiazione degli artigiani dopo le funzioni vespertine.

 

                Il premio degli artigiani rimeritava tre cose: il profitto nelle scuole serali che cessavano durante il mese di Maria Ausiliatrice, la condotta morale, e l'assiduità nel lavoro di tutto l'anno. Per dare maggior lustro alla cerimonia Don Bosco invitava qualche persona ragguardevole ad aprirla con un discorso di circostanza. Nel '76 lo tenne il professor Lanfranchi; nel '75 aveva parlato il professor Alessandro Fabre[147]. Su due palchi eretti nel cortile prendevano posto da una parte i musici e dall'altra gl'invitati, fra cui sedeva sempre Don Bosco, avendo alla sua destra, il priore della festa[148] e, attorno una numerosa corona di Signori. Tutti i giovani dell'Oratorio, tanto artigiani che studenti, formavano ai lati dei palchi due semicerchi, disposti uno di fronte all'altro. L'imponenza stessa dell'apparato esterno colpiva l'immaginazione dei giovani, che si formavano un'idea altamente educativa del merito e della sua ricompensa.

 

                Erano giorni di afa. Il Servo di Dio, che dalle cose più eterogenee sapeva assorgere a considerazioni di ordine superiore, disse ai giovani nella " buona notte " del 5 luglio: “Bisogna avvertire colui che alla mattina accende la stufa, di mettere più poca legna, altrimenti bruciamo tutti! Se però [358] alcuno di voi ha bisogno di qualche schiavina o coperta o copertone, parli pure che gli sarà concesso (risa generali). Noi però, miei cari giovani, assuefacciamoci a prendere tutto dalla mano di Dio, il freddo, la sete e le altre noie inerenti a questa misera vita. Ed ora per parte nostra soffriamo in pace il caldo, per acquistarci meriti che ci aiutino a salire in paradiso...”

 

                Lo zelo di Don Bosco per il bene della gioventù ardeva sempre a un modo in qualsiasi tempo dell'anno. Finite le scuole pubbliche, egli aprì per più anni agli esterni corsi elementari durante le vacanze nell'Oratorio di S. Francesco e in quelli di S. Luigi e di S. Giuseppe. I ragazzi vi affluivano in buon numero; nel '76 superarono i seicento. In una grande città come Torino era quella una vera provvidenza per le famiglie che non potevano tener chiusi i figli nè guardarli dalla strada; ma era soprattutto una benedizione per i ragazzi stessi. Quello soleva essere il tempo per prendere tanti pesciolini che non andavano mai a confessarsi. Quanti se ne incontravano che non eransi mai accostati al sacramento della penitenza! La maggior parte poi, interrogati da quando non si fossero più confessati, rispondevano - Da Pasqua.- Sicchè senza tali scuole non si sarebbero curati di accostarsi ai sacramenti prima della Pasqua successiva. A quel modo invece si porgevano loro parecchie occasioni di comunioni generali e i non cresimati si preparavano convenientemente a ricevere la Confermazione. E’ vero che di lì a pochi mesi chi s'era visto s'era visto, e quegli alunni improvvisati tornavano tosto in balla di se stessi; ma intanto avevano acquistato una discreta istruzione religiosa, avevano presa la salutare consuetudine dei sacramenti, non avevano più il rispetto umano nè la vana paura del confessore. Ecco perchè Don Bosco, fintanto che le circostanze glie lo permisero, sostenne, a costo di qualunque sacrifizio, siffatte scuole autunnali.

 

                Il Municipio di Torino soleva accordargli qualche sussidio per queste scuole; ma nel 1876 vi si rifiutò. Invitati quei signori [359] a visitarle, non vennero. Allora Don Bosco, desideroso di conoscere il perchè di quella novità, si recò dal sindaco e, giunto il momento opportuno, gli disse: - Noi facciamo quel che possiamo per soddisfare a un bisogno della città. Ma sono troppo gravi le spese, perchè un privato cittadino le possa sostenere, pure, per poco aiuto che loro signori mi diano, io sono pronto a fare questo sacrifizio.

                Il sindaco sembrava impacciato a rispondere; ma, insistendo Don Bosco, gli disse di passare dal conte Riccardi, incaricato di fare questa risposta.

 

                - Ma io vado a suo nome? chiese Don Bosco.

 

                - Vada pure a nome mio, perchè egli deve darle questa risposta d'ufficio.

 

                - Non avrebbe qualcuno da cui farmi accompagnare, perchè il conte resti persuaso che vengo mandato da un'autorità?

 

                - E chi vuole che le mandi ?

 

                - Basta un usciere!

 

                Il sindaco mandò un usciere. Arrivato Don Bosco dov'era il conte, lo trovò occupato in una certa conferenza; ma chiamato sospese e uscì un istante. Il Beato gli disse:

 

                Sono espressamente mandato dal sindaco e accompagnato appunto dal suo usciere, per avere risposta alla supplica da me fatta più volte, perchè si degnino di visitare le nostre scuole autunnali e mi diano un qualche sussidio.

 

                - Ma veda, rispose il conte masticando le parole, ... ora, sono in conferenza... non potrei... passi un'altra volta ... o meglio, scriva.

 

                - Ho già scritto di troppo e non m'è venuta risposta. Non vorrei ritornare un'altra volta. Vengo a nome del sindaco, perchè mi dia una risposta, essendo lei incaricato di darmela.

 

                - Ma adesso... pel momento... qui su due piedi!..

 

                - Ci vorranno poche parole. Io voglio sapere solo il motivo, per potermi regolare con questo Municipio. Io ho altri [360] impegni tra mano; ho bisogno di vedere se questo è un atto di sfiducia verso di me oppure se esista qualche altro motivo.

 

                - Giacchè vuole sapere la cosa, io gliela dirò chiara e netta in poche parole. Veda: ella è un prete cattolico: il Municipio nella sua maggioranza è formato di frammassoni. Capisce abbastanza da questo...

 

                - Capisco anche troppo e non voglio altro. Per altra via conoscevo già questo motivo, ma desideravo di sentirlo da bocca ufficiale. Ciò mi servirà di regola. Tuttavia mi fa stupire che un Municipio, il quale nella maggior parte è composto di cattolici ed amministra il danaro di una popolazione cattolica, non si diporti con un cattolico almeno come si diporta coi Valdesi e con gli Ebrei. Giacchè danno sussidi a costoro, non posso intendere come rifiutino di darli ad un concittadino cattolico.

                Apertamente il Municipio non osteggiava l'Oratorio e lasciava fare; ma non concedeva mai quello che legalmente poteva negare. Se però la guerra non iscoppiava aperta, questo si doveva alla somma prudenza di Don Bosco. Non vogliamo ora cercare, se altri santi si siano trovati in circostanze simili; ma certo fu sempre ammirabile la sua pazienza, la sua rassegnazione e la sua dolcezza, continuando egli a beneficare la città e a ricoverare i giovani raccomandatigli da quei signori medesimi senza mai mostrarsi offeso.

 

                Per l'Assunta quaranta nuovi occupavano già i posti lasciati liberi dagli alunni della quinta, che, avendo dato gli esami in ginnasi regi o in seminari o in casa, si godevano da alcune settimane le vacanze. Non è a dire la gradevole impressione che quella prima festa faceva su di loro con le sue funzioni, con i suoi canti, con le sue musiche. Scrive Don Barberis, testimonio oculare: “Oh com'è bello vederli con semplicità e confidenza andar volentieri a confessarsi e ad aprire candidamente il loro cuore a chi si mostra tanto premuroso della loro eterna salute!”. Per la seconda volta si commemorò [361] il supposto compleanno di Don Bosco. Sedevano a mensa alcuni signori; il cronista, certo per quel sentimento di gratitudine che il Beato nutriva abitualmente in cuore e si studiava di trasfondere nei suoi verso i benefattori, si compiace di menzionare distintamente fra gli altri il dentista dottor Sistelli che prestava all'Oratorio l'opera della sua professione gratuitamente. Peccato che della “buona notte” di quella- sera noi conosciamo appena l'argomento! Il caro Padre manifestò quali fossero i sentimenti dell'animo suo nel compiere il sessantunesimo anno di età e cominciare il sessantaduesimo ed espresse la speranza di poter continuare questo coi giovani, impiegandolo tutto a loro vantaggio.

 

                Anche in sì lieta circostanza il Signore permise che il suo buon Servo avesse qualche stilla di amarezza. Da tre anni egli desiderava tanto che monsignor Gastaldi venisse a cresimare i giovanetti dell'Oratorio; glie ne rinnovò la preghiera anche qualche settimana prima dell'Assunta. Monsignore parve disposto a consentire; ma rinviava sempre la funzione, finchè mandò un rifiuto. A Don Bosco rincresceva troppo di lasciar andare alle vacanze parecchie decine di giovani senza che avessero ricevuto quel sacramento, tanto più che due della quinta e alcuni della quarta ginnasiale, che dovevano vestirsi chierici, non erano ancora cresimati. Laonde pensò bene d'interpellare l'Arcivescovo di Vercelli, se, contrariis non obstantibus, si sarebbe degnato di venirglieli a cresimare. Monsignor Fissore gli rispose affermativamente. Allora il Servo di Dio indirizzò all'Ordinario questa lettera:

 

                Eccellenza Rev.ma,

 

                Monsignore Arcivescovo di Vercelli sarebbe disposto di venire ad amministrare il Sacramento della Cresima ai giovani di questa casa per la giornata ventisette di questo mese.

 

                Siccome corre già il terzo anno da che non si è più amministrata, io prego umilmente la E. V. Rev.ma di voler permettere che il sopra lodato Arcivescovo venga a prestarci questo importante servizio religioso. [362] Mi permetta che io abbia l'onore di potermi professare colla massima gratitudine

 

                Della E. V. Rev.ma

 

                Casa, 12 agosto '76.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                A questa lettera fu nel dì dell'Assunta riscontrato così dal segretario arcivescovile:

 

                Rev. mo Signore,

 

                S. E. Re.ma mi incarica di scrivere alla S. V. che egli non dissente a che l'Eccellentissimo Arcivescovo di Vercelli amministri la Cresima ai giovani alunni dell'Oratorio di S. Francesco di Sales: ma osserva sarebbe stato pubblico atto di riverenza all'autorità Arcivescovile, se questi alunni fossero venuti a ricevere detto Sacramento nella Chiesa dell'Arcivescovado dal proprio Pastore.

 

                Nell'esporle le intenzioni del mio Rev.mo Arcivescovo, mi onoro esser con somma considerazione di V. S. Rev.ma

 

                15 agosto 1876.

 

Devotissimo Servitore

T. Can. Chiuso Segret.o.

 

                Signor D. Bosco G. -Torino.

 

                All'Arcivescovado il Beato faceva condurre gli alunni esterni, essendogli impossibile avere Sua Eccellenza nell'Oratorio a cresimare i suoi piccoli diocesani; ma per gl'interni, oltrechè la cosa avrebbe destato ammirazione e prodotto disturbi, a lui piaceva tanto in certe occasioni celebrare belle feste di famiglia con solenni cerimonie e con intervento di Vescovi, sapendo che l'assistervi tornava. di grande utilità ai giovani. L'essere così mal compreso lo affliggeva amaramente. La cerimonia fu compiuta ai 27 di agosto.

 

                A quei tempi nell'Oratorio la chiusura dell'anno scolastico avveniva generalmente nel giovedì fra la novena della Natività di Maria Santissima. Don Bosco la protraeva tanto col fine di ridurre al minimi termini la durata delle vacanze, che egli ordinariamente chiamava “la vendemmia del diavolo”. Diede in due sere consecutive salutari avvisi ai giovani per quel tempo pericoloso. [363] 23 agosto. Due cause di male nelle vacanze e come premunirvisi. - Ci avviciniamo alle vacanze autunnali ed è bene che io cominci a darvi qualche consiglio, perchè vi serva a tenervi nel santo timore di Dio in quel tempo pericoloso. Ve li darà poco per volta per non essere, poi troppo prolisso nell'ultimo giorno.

 

                Molti mi domandano: - Come va che vari giovani, anzi quasi tutti si conservino buoni, docili, timorati di Dio lungo l'anno scolastico, e poi nelle vacanze in poco tempo perdano tutto il frutto di tante fatiche e divengano non solo dissipati e disobbedienti ai propri genitori, ma ben anche cadano in cose brutte e si facciano viziosi? . La risposta è presto fatta. L'uccello fuori di gabbia gode la libertà, è vero, ma mentre meno se lo aspetta viene lo sparviere e lo divora. Voi siete come gli augellini: finché state nell'Oratorio, tutto va bene; si esce, e il demonio sta alla porta ad aspettarvi e vi fa cadere.

 

                Ma come va che avviene questa sventura? Eh, vedete: vi sono due cose. Fuori di qui si trovano maggiori incentivi al male e minori mezzi per sostenervi, nella retta via. Incentivi al male sono i compagni, alcune volte proprio perversi e scellerati che talora s'incontrano. Vi sono occasioni cattive, scandali. A volere o non volere si sentono bestemmie, discorsi frivoli e sovente irreligiosi ed immorali. Di qua si vede una persona vestita comechessia, di là si ha da trattare con gente di diverso sesso. E poi gli stessi parenti e amici dicono: - Mangia, mangia! su, su, bevi, bevi! - E come si fa a sostenersi in mezzo a tanti pericoli? Specialmente i giovani, in cui per lo più il rispetto umano regna gigante, come potranno resistere?

 

                Ma poi c'è un'altra cosa. Vi sono a casa minori mezzi per tenervi nel servizio del Signore. Qui se si ha qualche cosa nella coscienza, andate subito a confessarvene e ne avete comodità tutti i giorni: là, no. Qui avete la comodità di fare la S. Comunione, la visita in chiesa, avete la messa tutti i giorni, mezzi potentissimi per mantenervi in grazia di Dio: là no. Qui si prega al mattino e alla sera, vi è un poco di meditazione, verso notte vi è la benedizione. E a casa? Molti di voi, arrivati alle case loro, lasciano varie di queste pratiche ed è chiaro che cadranno più facilmente in peccato.

 

                Ecco adunque quello che bisogna conchiudere. Chi vuole fermarsi nell'Oratorio, voi lo sapete che io sono contento che si fermi, e costoro faranno le vacanze qui. L'Oratorio non si chiude mai e chi vuol fermarsi è in libertà. Chi poi vuole andare a casa, io sono anche contento: vada pure; ma per carità, allontani da sè quanto può i pericoli e le occasioni di peccato, che colà si trovano, le compagnie perverse che incontrerà, e poi faccia quanto può per continuare regolarmente le sue pratiche di pietà, come le farebbe all'Oratorio. Che difficoltà potreste trovare nel recitare sempre le vostre orazioni mattino e sera? Recitatele adunque e recitatele bene, e tutti. Credo che anche tutti [364] potrete ascoltare la vostra messa ogni mattina, ed anche meglio, servirla; fatelo e fatelo volentieri. Poi chi v'impedisce di fare eziandio un po' di meditazione al mattino, un po' di lettura spirituale e la visita al SS. Sacramento lungo il giorno? Tenete poi ancora la gran pratica di confessarvi ogni settimana, ogni dieci ovvero quindici giorni. Se farete così, io credo che le vacanze non vi faranno del male.

 

                Adunque se volete star buoni a casa, come lo foste nell'Oratorio, tenete in molto conto le pratiche di pietà ed eseguitele come le eseguite nell'Oratorio.

 

                Vi sarebbe poi ancora una gran cosa che è quella che io vi raccomando di più. E’ la ritiratezza; statevene volentieri in casa vostra, state coi vostri genitori e non cercate di andare dappertutto, di veder tutto, di trovarvi alle feste ed ai mercati.

 

                Proponete, o miei cari figliuoli, di praticare queste poche cose che io vi ho suggerito: fatelo fin d'ora questo proponimento e state sicuri che sarete poi contenti in fine delle vacanze, per non aver offeso, Iddio.

 

                24 agosto. Come si debba intendere la raccomandazione di star ritirato durante le vacanze. - Aggiungerò due parole alle cose dette ieri sera. Ho detto adunque che chi vuole conservarsi buono nelle vacanze deve eseguire a casa quelle stesse pratiche di pietà, per quanto può, che si eseguiscono nell'Oratorio. Ora spiego la parola star ritirato. E vuol dire: ritirato dalle persone, dai luoghi e dalle cose che possono essere occasione di peccato. Con dire star ritirato, non voglio intendere che ve ne stiate tutto il giorno rannicchiati nel cantone del fuoco, aspettando che i maccheroni vi caschino belli e cotti in bocca. Ma:

 

                1° Star ritirato dalle persone. Pur troppo che molti a casa hanno compagni con cui erano già soliti fare discorsi non buoni e cose che non van bene. Se andrete ancora con questi compagni, cadrete in una lagrimevole rovina. Vi sarà quel tale che in presenza vostra incomincierà un discorso o contro la religione, o contro i buoni costumi. Ebbene, lasciatelo, fuggitelo, piantatelo lì. E’ forse da malcreato fare così? No, è lui il malcreato, che in presenza vostra parla di ciò che vi può far dispiacere. Esso dirà: - Sei un ipocrita, un impostore! E voi pensate che la cosa è precisamente al contrario. E’ lui l'impostore, è lui l'ipocrita. Il professarsi cristiano e poi non operare da cristiano, è ipocrisia: dunque o non pretendere d'essere cristiano, oppure seguire i comandamenti del Cristianesimo. Ditegli pure francamente a questo tale: - Io il nome di Cristiano non lo voglio rinnegare, e perciò per non essere impostore non voglio fare di questi discorsi. - E così dite di qualunque altro male o peccato. E' impostore chi si professa cristiano e non agisce come tale.

 

                2° Ho detto, fuggire le persone, e poi i luoghi pericolosi. Ad esempio, fuggire i festini, i balli, i teatri, le fiere. E’ quasi impossibile [365] voler prendere parte a tutte queste radunanze, trovarsi dappertutto, dove ci sono questi grandi rumori, e non restare ferito in qualche virtù cristiana. In tutti questi luoghi si sente bestemmiare, dire parole cattive e alcune volte proprio sporche, atte a suscitare cattivi pensieri. Per lo più vi è gente vestita comechessia, vi sono uomini, vi sono donne, e credete pure all'esperienza mia, vi sono sempre pericoli e gravi.

 

                Si va a quel festino, a far quella visita: e qui si beve un bicchiere di vino, poi per lo più se ne beve anche un altro, ed alcune volte anche di più. Questo incomincia a far bollire la fantasia, si destano pensieri e desideri, e chi sa dove si va a finire, perchè in quelle conversazioni col vino e colle immaginazioni vengono dietro i discorsi e una cosa chiama l'altra. Anch'io fui giovane come voi, e per mia disgrazia mi sono anche trovato nei pericoli nei quali vi trovate voi. Credete alla mia esperienza, alle mie parole. Fortunati voi altri, se resi esperti dalla mia esperienza, starete ritirati il più che sia possibile; voi scanserete immensi pericoli; voi con questo vi metterete nella buona via prima di provare la cattiva, e credete pure che è una gran fortuna imparare sull'esperienza altrui. Imparare a proprie spese è una delle più grandi disgrazie.

 

                La naturale irrequietezza dei giovani nell'imminenza di dover partire per le loro case fa sentire i suoi effetti anche durante le pratiche di pietà. La “buona notte” del 25 agosto mira senza dirlo a ovviarvi in qualche modo, tanto più che i nuovi venuti potevano riceverne mal esempio. Parlò dunque così:

 

                Ho da avvertire quelli che sono antichi della casa e quelli che sono nuovi, di mettere bene in pratica il primo atto di nostra santa religione; voglio dire il segno della Santa Croce. Alcuni pare che caccino via le mosche, altri omettono di portare la mano da una spalla all'altra, altri si tirano una linea dalla fronte al petto. Non è così che si deve fare. Si deve mettere prima la mano destra distesa sulla fronte e non solamente toccarla colla punta delle dita, e dire; Nel nome del Padre; poi al petto, dicendo; E del Figliuolo; quindi si porta alla spalla sinistra e da questa alla spalla destra dicendo; E dello Spirito Santo. E congiungendo poscia le due mani, dire: Così sia.

 

                Debbo inoltre avvertirvi che si procuri di recitar bene le orazioni e che si preghi con uniformità di voci. Voglio dire che uno continui le orazioni nello stesso tono di voce col quale ha incominciato. Domani incominceremo a dare alcuni avvisi per le vacanze. So che vi sono alcuni i quali già decisero di star qui, ma so pure che vi sono altri [366] i quali non desiderano che il momento di partire. Quindi domani ci parleremo. Per questa sera mi contento di darvi la buona notte.

 

                Finalmente al 31 agosto vi fu la distribuzione dei premi agli studenti; per la prima volta i musici ricevettero un premio speciale. Il discorso venne pronunciato da Don Dalmazzo, Direttore di Valsalice. Si presentarono pure, i premiandi della quinta, che, assenti già da un mese, andarono tutti a confessarsi da Don Bosco. Nello stesso giorno Don Bosco provvide che si facesse l'esercizio della buona morte. L’indomani, giorno della partenza, vi fu una bella comunione generale, “quasi viatico”, dice la cronaca, che, li accompagnasse nel viaggio. Terminata la messa, ecco Don Bosco presentarsi dalla balaustra e dare il paterno commiato ai suoi cari figliuoli con il seguente discorsetto.

 

                Non è una predica che io voglio farvi, ma solamente darvi alcuni avvisi che vi dovranno accompagnare nelle vacanze e che vi saranno di gran vantaggio, se li porrete in pratica. Io non voglio mettermi contro di voi per allontanarvi dalle vacanze, no; che anzi queste sono il premio delle vostre fatiche. Come il viandante stanco dal lungo cammino prende un po' di riposo per rimettersi con più vigore nel viaggio, così voi altri andate alle vostre case per riposarvi dalle fatiche dell'anno e per pigliar lena a nuovi studi.

 

                Ma volesse Dio che questo riposo non avesse funeste conseguenze per molti di voi! Io ne temo forte, ed è per questo che vi voglio dare alcuni avvisi. Io li compendio tutti in questo detto: Diverte a malo et fac bonum. Diverte a malo, allontànati da tutto ciò che può nuocere all'anima tua: et fac bonum, e fa' il bene. E credete voi che il Signore richiegga molto con questo fac bonum? Oh no, vedete, il Signore si contenta di poco. Fate bene ciò che avete da fare. In una sola parola, custodite l'anima vostra. E quest'anima così preziosa la portate con voi. Se poteste lasciarla qui l'anima, potreste andar sicuri, dicendo: D. Bosco ne avrà cura. Ma essa non può stare distaccata dal corpo; quindi la porterete con voi. La custodirete colla massima cura? Vigilerete perchè il demonio non vi rubi un tanto tesoro? E i mezzi per custodirla?. Li avete? Leggete spesso il libriccino dei ricordi che vi fu distribuito, leggetelo tutti i giorni, meditatelo e mettetelo in pratica.

 

                Alcuni mi diranno: - Ma noi non possiamo andare colla solita frequenza alla messa, accostarci ai sacramenti! Ebbene, non potete accostarvi in tutta la settimana? Procurate almeno di avere assolutamente [367] libero qualche spazio di tempo alla domenica per andare a messa e accostarvi ai santi sacramenti della confessione e comunione. Non potete andare tutte le domeniche? Io non vi assegno tempo alcuno: cercate di avere solamente qualche tempo, o il giovedì, o altro giorno per far la confessione e la comunione. Se vi sono alcuni che non hanno alcuna colpa sulla coscienza, non vadano a confessarsi, non ne hanno bisogno; facciano le solite preghiere e si accostino a ricevere il santissimo Sacramento; ma però che abbiano proprio niente che loro rimorda la coscienza. Ma se hanno qualche cosa che loro fa dubbio, io rispondo chiaramente col catechismo: vadano a confessarsi appena lo possono.

 

                Se io domando a ciascuno di voi: - Hai voglia di passar bene le vacanze? - ciascuno mi dice di sì, e: - Guardi, D. Bosco, stia sicuro, io non mi lascerò abbindolare dai parenti e dagli amici.

 

                - Bene, bene; vedremo! - io rispondo.

 

                Certuni vanno a casa, sentono a parlare un compagno, che dice una cosa indecente, coprendola con belle frasi, ed essi sorridono e, se non è questa volta, sarà un'altra, anch'essi fanno bordone ai ragionamenti di uno sboccato. Quel primo sorriso fu l'atto di arrendersi al nemico. Viene loro fra le mani un brutto libro e cominciano a guardare il frontispizio, poi a leggere le prime righe; all'indomani percorrono una pagina; un altro giorno si scalda la testa e lo leggono tutto, passando anche in questa lettura molte ore della notte. Di qui ne viene che al mattino quel tale dorme a oltranza, fino a tarda ora, e perciò non può più andare a messa tutti i giorni; poi comincia a frequentare compagni e amici, perchè non prega, perchè ha perduto l'orrore che dovrebbe destargli il timore del peccato, perchè si lascia vincere dal rispetto umano. Insomma a poco a poco finisce col cadere miseramente.

 

                Passano bene queste vacanze?

 

                Tutt'altro. Questi tali ritornano all'Oratorio e la prima loro parola è questa.

 

                - Dov'è Don Bosco?

 

                - E’ là, gli si risponde.

 

                - Oh bene. Bisogna che non mi lasci vedere.

 

                - Ma perchè?

 

                - Oh lo so io il perchè. Dimmi, domenica vien forse un confessore forestiero?

 

                - Sì! E perchè?

 

                - Eh, perchè bisogna che io vada ad aggiustare qualche cosa, e a parlare un po' con lui in segreto.

 

                - E perchè non andare da Don Bosco?

 

                - Perchè, perchè ......

 

                Tutti questi perchè ve li spiegherò io: perchè non ha passato bene le vacanze. [368] Affinchè non abbiate a provare questo rossore, io vi do un salutare consiglio. Quando saranno quindici giorni che siete a casa, scrivetemi. Lo farete? Mi ricordo che nell'anno passato io avevo preso in nota quaranta di questi tali che mi davano poca speranza di perseverare nel bene. - Scrivetemi, dissi loro, ogni quindici giorni il regolamento della vita che seguite alle case vostre, che io vi consiglierò, e voi troverete forza per mantenere i buoni proponimenti. Sembra cosa incredibile! Di quaranta che io ne aveva preso in nota, neppur uno mi scrisse. Al loro ritorno li interrogai, perchè non mi avessero scritto, come mi avevano promesso. Risposero:

 

                - Le cose nostre non andarono guari bene: avevamo paura.

 

                - Ah! avevate paura! Ma non sapete che questo è un inganno del demonio? Egli gode del vostro silenzio, della vostra ripugnanza a far ciò che è necessario per vincere il male o per premunirsi contro di questo e dice: Non lavori tu? opererò io. Taci tu? parlerò io. E così egli vi chiude la bocca per poi aumentarvi il rossore.

                Ho inoltre da darvi un altro avviso che io credo di molta importanza. Vi sono alcuni giovanetti i quali arrivati alle case loro, entrano, salutano semplimente i loro genitori, e vanno a ricantucciarsi in un angolo della casa senza più parlare. Sembra che siate venuti nell'Oratorio per diventar cocciuti e per fare i musi. Sembra questa una stranezza, eppure succede non di rado. E ciò non va. Insieme colla scienza voi avete ricevuta qui una buona educazione. Perciò entrati in casa salutate amorevolmente i parenti, domandate se la campagna va bene, se il negozio prospera, se quel parente, quell'amico gode buona sanità! A loro volta i parenti vi domanderanno notizie di vostra sanità, vi domanderanno se siete promossi e voi potrete rispondere: - Sicuramente; ecco il primo premio! Ecco la menzione che mi sono guadagnata per la buona condotta e studio! - Altri dirà: - Io non ho potuto giungere a guadagnare il premio, ma ecco vi offro questi voti, i quali almeno dicono che ho fatto il possibile per contentarvi. - Oppure dirà taluno: - Io sono andato in battaglia, ho combattuto, ma rimasi ferito; però vi prometto di studiare queste vacanze per rimettermi in piedi negli esami ai Santi, e stare a paro di tutti gli altri miei compagni. - Parlando voi a questo modo, i parenti rimarranno contenti o almeno soddisfatti, pensando che il loro danaro non fu sprecato.

 

                Gli stessi modi che io vi ho detto di tenere coi parenti adoperateli colle persone che siete obbligati a visitare, come sarebbero il parroco, il maestro, e gli amici di famiglia. Date al parroco quel foglietto che avete ricevuto, ditegli che Don Bosco lo saluta e che lo prega a firmare quel foglio quando sarete per ritornare nell'Oratorio.

 

                Vi sono alcuni che hanno paura, che quando siano a casa, si mandi loro un biglietto coll'invito di rimaner pure al paese per l'anno venturo. Ognuno si rassicuri e pensi che i Superiori non sono cattivi, e [369] che invece desiderano solamente il suo bene. Quei tali che furono buoni vadano pure in vacanza tranquilli, senza alcun timore che loro si mandi il famoso biglietto. Gli altri poi che sanno d'aver meritato un tal biglietto e che loro sarà spedito (ma per fortuna quest'anno la cosa andò assai meglio che negli anni scorsi) per la loro cattiva condotta e poltroneria nello studio, hanno ancora una risorsa per annullarlo e possono dire: - Chi sa se i miei Superiori, facendo io un fermo proposito di mutar vita e costumi, non mi riaccettino nuovamente? Ebbene; facciano così e potranno anch'essi passare le loro vacanze tranquille.

 

                E anche quelli che restano qui nell'Oratorio passino tranquillamente e bene le vacanze. Quelli dico che sono nuovi, quelli che hanno a rifarsi nello studio, un po' trascurato lungo l'anno, quelli che vogliono avanzarsi in una classe superiore, quelli che metteranno la veste da chierico. Noi troveremo maniera per rendere anche ad essi gradevoli le vacanze.

 

                Oltre a ciò che ho detto, debbo dare ancora un avviso sul ritorno dalle vacanze: cioè che quelli i quali hanno da ripetere l'esame di qualche materia vengano ai 16 di ottobre, e quelli che più niente hanno da aggiustare cogli esaminatori, ai 19. Non fa d'uopo che io vi dica essere necessario venire al tempo prefisso, onde avere ancora il posto nell'Oratorio. Solamente io vi dico che tutti gli anni, molti che vennero dopo, per questo motivo furono costretti a ripartire per la propria casa. Non voglio però dire che, se alcun che di grave vi ritenesse, non veniate. Oh, no! Se per esempio alcuno di voi avesse il padre o la madre gravemente infermi, o stesse male lui stesso, o dovesse rimanere per qualche affare, ma grave, stia pure a casa senza timore; ma o dal parroco o da qualche persona degna di stima faccia scrivere ai Superiori dell' Oratorio. Non scriva però lui stesso perchè... egli scriverebbe... potrebbe sospettarsi... basta!

 

                Ecco in breve ciò che io voleva dirvi e che se voi metterete in pratica potete star sicuri di passar bene le vacanze. Leggete di frequente il libretto dei ricordi[149], e se ne volete degli altri, portatevi il Giovane Provveduto e là troverete molti bei ricordi che D. Bosco dà ai giovani che desiderano passar bene le vacanze.

 

                Ho poi una triste notizia da darvi: abbiamo il chierico Vigliocco che è gravemente ammalato; sembra che il Signore lo voglia con sè in Paradiso e si ha poca speranza di ritornarlo in sanità. Egli si raccomanda caldamente a voi tutti ed alle vostre preghiere. Preghiamo tutti il Signore il quale benchè sembri che lo voglia con sé, pure, se vuole, può ridonargli la primiera sanità. [370]

 

                Voi pure procurate di tenervi in sanità; ma state bene attenti, mentre darete riposo, sollazzo, cibo al corpo, di non tralasciare di dame anche all'anima; cioè, allontanatevi dai festini, balli e divertimenti che possano in qualche modo nuocere alla vostra eterna salute. Se così farete, state sicuri che passerete le vacanze nella santa pace del Signore.

 

                Come già avete sentito, questo novembre si farà una novella spedizione di Missionari per la Patagonia. Se voi ritornerete tutti, potrete assistere nuovamente alla splendida festa già fatta una volta. Essi lasceranno laggiù anche del posto a voi, quando andrete. Del lavoro ve n'è molto e gli occhi di tutti sono fissi sopra di noi. Questo ditelo ai vostri parenti, se volete: dite loro che Don Bosco li saluta; che li raccomanderà nella santa messa; che essi preghino per lui. Lo stesso dite ai vostri parroci, cui porterete i miei saluti. Dal canto mio io raccomanderò sempre nella messa i miei cari figliuoli, perchè ci possiamo un'altra volta ricongiungere sotto questo caro tetto. Buone vacanze !

 

                Partirono da quattrocento nello spazio di poche ore. Nota la cronaca:“La partenza oggi è stata molto ordinata. Era tutto preveduto e prevenuto: presi i biglietti della ferrovia, disposto per la spedizione dei bauli, fissate le squadre secondo le linee da percorrere”. Molti assediavano Don Bosco per sentire ancora una sua parola; anche i genitori gli facevano ressa intorno per salutarlo o consultarlo. Andati via i giovani, appariva sempre sul volto di Don Bosco una piccola nube di tristezza: il suo cuore trepidava per la sorte di quei figliuoli, che da dieci e più mesi avevano formato l'oggetto di tante sue cure e sollecitudini.

 

                L'impressione che Don Bosco produceva nell'animo dei giovani, non era da essi interamente avvertita, finchè vivevano la vita dell'Oratorio; ma gli anni e l'esperienza portano a riflettere e a intendere. Don Francesco Picollo, il vivace alunno della quinta ginnasiale menzionato sopra, trovava gran sollievo a tanti suoi incomodi riandando quei tempi e mettendo talvolta in carta come gli apparissero le cose d'allora. In un manoscritto che teniamo davanti agli occhi, egli descrive Don Bosco quale lo vide specialmente nel 1876. A chiusa di questo capo ne riferiremo due impressioni, riassumendole [371] con le stesse sue parole. Anzitutto, dice, “la sua persona mi fu e mi è tuttavia presente circonfusa di un'assoluta purità verginale. Lo splendore di questa virtù traspariva da ogni suo gesto, da ogni sua parola. Era un angelo in carne. Se parlava di questa vita, ne cantava le bellezze, come non sanno fare generalmente gli uomini; se guardava, lo faceva con una modestia tale, che noi a stento potevamo vedere quelle sue maravigliose pupille; se toccava (e in ciò l'unico tratto che si permettesse era di porre a noi la sua mano sul capo a modo di benedizione), al suo tocco pareva che l'alito di uno spirito celeste ci riempisse di amore per la purezza.” La seconda impressione di Don Picollo era che “Don Bosco pregasse sempre. In lui l'unione con Dio era continua. Chi lo avvicinava sperimentava subito la presenza di un serafino. Tale pareva, quando ginocchioni pregava; tale quando celebrava la santa Messa; tale nell'incesso, grave, ma sereno; tale quando nelle conversazioni dagli argomenti più ordinari sapeva elevarci a Dio, e ciò senza essere noioso o pesante, ma con una naturalezza incredibile. Intorno al capo di Don Bosco si sarebbero potuto scrivere a caratteri di luce: Conversatio nostra in caelis est”.

 

 

CAPO XIII. Cose di famiglia.

 

                Qual cosa più di famiglia che la res familiaris? La questione economica dava sempre nell'Oratorio seriamente da pensare. Verso la metà di agosto mancava in casa a tal segno il danaro, che, dovendo un confratello recarsi a Borgo S. Martino, non si trovò nella cassa centrale della prefettura con che pagargli il viaggio. Il coadiutore Pelazza, direttore della tipografia, aveva trentamila lire di debito con la cartiera, che non voleva più saperne di mandare carta; il coadiutore Rossi, provveditore, doveva lire sessantamila alla sola fabbrica dei panni, che minacciava di non spedire più roba. Il medesimo non osava più lasciarsi vedere dai creditori; quando poi vedeva Don Bosco, gli stava vicino con gli altri, ma senza domandargli mai nulla, ben sapendo in che acque si navigasse. Una sera il Servo di Dio ruppe il ghiaccio e gli disse: - Bisogna proprio che ci pensiamo sul serio ! Oh, vedi, Rossi, tutto il danaro che riceveremo, lo manderò a te. Ho già scritto varie lettere e spero che frutteranno. Sul momento però non faremo niente, perchè i Signori sono tutti in campagna: omai non c'è più nessuno a Torino. - L'ultimo d'ottobre, “finanze esauste”, scrisse a Don Cagliero; e quindici giorni dopo gli ripeteva: “Questa spedizione ci ha ingolfati fino al collo”. Queste compassionevoli angustie finanziarie tuttavia non, lo [373] sgomentavano. “Dio ci aiuta”, diceva[150], esprimendo non speranze pel futuro, ma sicura certezza come di realtà presente.

                Sorretto da tanta fiducia soprannaturale, il Beato non lesinava sulle spese ogni volta che si trattasse di vocazioni. Vi fu chi propose di obbligare i nuovi chierici a provvedersi da sè il vestimento ecclesiastico, che, tutto sommato, veniva a costare circa duecento lire. Anticipare, secondo il proponente, voleva dire non buscar più un soldo, perchè i giovani chierici, una volta provvisti dall'Oratorio, non se ne sarebbero più dati per intesi. Don Bosco si rendeva pienamente conto dell'ammontare: secondo le previsioni, i vestiendi sarebbero stati un'ottantina. Ma egli non si nascondeva un paio d'inconvenienti. Il primo era la perdita di non pochi individui; giacchè alcuni, per non dover battagliare con i loro, se ne sarebbero tornati in famiglia, e altri, di fronte alle pressioni dei parenti riluttanti a pagare, non avrebbero resistito. Il secondo inconveniente era di carattere psicologico: i più dei rimasti, vedendo gli stenti dei genitori per mettere insieme a poco a poco quella somma, sarebbero vissuti in pena, con danno della loro formazione. E’ vero, disse, che noi abbiamo le finanze in uno stato deplorevole; ma in qualche modo procureremo di fare. Così ne verrà un gran bene. Se un giovane riesce buon prete, non dobbiamo essere paghi dei nostri sacrifizi? Se poi quel tale si ferma in Congregazione pagherà lui per molti. Noi qui abbiamo in casa giovani, per i quali pagano la pensione i Domenicani, i Gesuiti, i Filippini, gli Oblati. Vedo come queste Congregazioni si sobbarchino a queste spese nella semplice speranza che i loro beneficati possano poi entrare a far parte del loro Istituto. Eppure il più delle volte non vi entrano oppure, entrati, se n'escono. Quanto meglio dunque possiamo farlo noi, a cui non costano tanto, noi che appena ci accorgiamo di avere uno scolaro di più o di meno, un mangiapagnotte di più o di meno! [374]

                Altri proponeva che per migliorare le finanze si moltiplicassero i collegi, donde si potessero avere sussidi. Non meno categorica fu la risposta del Beato: - E’ necessario che noi ci occupiamo grandemente dei giovani poveri. Abbiamo anche bisogno di collegi; ma semenzaio di molte vocazioni e strumento di bene straordinario sono gli oratori, gli ospizi, le case per ragazzi abbandonati. Il maggior bene che si possa fare è l'erigere in gran numero case come l'Oratorio di Torino, come l'Ospizio di S. Pier d'Arena, come il Patronage di Nizza Marittima, dove sieno studenti e artigiani, poveri affatto o di men che media condizione e dove ci sia musica vocale e strumentale e ogni specie di occupazioni, dove cioè individui d'ogni sorta possano trovare un posto adatto per loro. Se noi cominciamo le case nostre in questo modo, dal poco, raccogliendo fanciulli derelitti, siamo ben visti da tutti, dai buoni e dai cattivi, nessuno ci mette ostacoli. Potremo anche senza tanti diplomi e programmi fare le nostre scuole, educandoci molti giovani affezionati e istruiti. Se i cattivi non ci proteggeranno, potremo almeno sperare che non ci disturbino.-

                Erano pur quelli i mesi dei febbrili preparativi per la seconda spedizione di Missionari, al che occorrevano mezzi ingenti; era il tempo in cui bisognava fornire il corredo ai confratelli destinati a nuove fondazioni. D'indumenti nell'Oratorio si aveva appena, quando si aveva, lo stretto necessario; ma Don Bosco non voleva che si guardasse per il sottile: nelle nuove case non conveniva che i confratelli comparissero gretti e meschini. Di roba, a dir vero, ne arrivava discretamente all'Oratorio, inviata da caritatevoli persone; quando però ne giungeva per uno, la necessità obbligava a ripartire fra due, sicchè si andava di strettezza in strettezza. Deo gratias ! esclama quasi a commento il nostro cronista, nel riferire questo stato di cose.

 

                Sebbene angustiato da tanti lati, permise che si mettesse mano a un'opera muraria non vistosa, ma sempre costosa. [375] Nel primo cortile dell'Oratorio, dove si avanza il corpo di fabbrica che fa da sfondo alla bronzea statua del Beato, si protendeva già un semplice portico trasformato poi in ampio salone mediante un muro che chiudeva gli spazi fra pilastro e pilastro; in seguito una sovrastruzione a due piani fu fatta arrivare fin dove oggi termina la tettoiuccia che ripara il ballatoio superiore. Più in là si stendeva una terrazza larga circa cinque metri, coronata di ringhiera che si appoggiava a pilastrini di mattoni, sorreggenti vasi di fiori. Presso il muro alcune viti, piantate in cassoni pieni di terriccio, s'inerpicavano fino a stendere i loro pampini intorno alle finestre delle stanzette di Don Bosco. Il 18 ottobre 1876 su quel terrazzo furono continuati i due piani, in modo da offrire a Don Bosco l'ambulacro a loggia, che gli rese possibile fare un po' di moto quando cominciò per lui la difficoltà grave del scendere e salire le scale. A dir vero, il permesso fu strappato a Don Bosco dalla pietà dei figli durante una sua assenza e col rappresentargli il lavoro come cosa di poco tempo e di non molta spesa. Il Beato però non volle che si rovinassero le viti; ma tolte che furono dal terrazzo, le fece trapiantare giù nel suolo, donde tornassero a rallegrargli la dimora e gli permettessero di mantenere una sua bella consuetudine. Poichè in autunno egli ne vendemmiava l'uva matura, di cui faceva omaggio a benefattori e regalava i giovani della quarta e quinta ginnasiale[151].

 

                In fatto di economia Don Bosco aveva per norma il neque largius neque parcius di S. Tommaso; non spese superflue, nè grette spilorcerie. Temette che vi fosse non giustificato dispendio nel dare ogni anno il bianco a metà della casa; onde il 31 maggio se ne lamentò con alcuni Superiori e [376] aggiunse: - Bisogna che voi mi aiutiate. Dite e ripetete che ogni giorno che non c'è il muratore in casa, è una giornata d'oro. Del resto bisognerà che mi ci metta proprio io e che non permetta più nessun lavoro per piccolo che sia, senza che mi si domandi licenza specificatamente. - Quando però una spesa gli sembrava necessaria, agiva in modo che appariva fin magnifico. Una massima da lui spesse volte ripetuta, era questa: - Io non temo che ci manchi la Provvidenza, qualunque maggior numero di giovani accetteremo gratuitamente, o per le grandi opere anche dispendiosissime, nelle quali ci slanciamo per l'utilità spirituale del prossimo; ma la Provvidenza ci mancherà in quel giorno, in cui si sciuperanno danari in cose superflue o non necessarie.

 

                Rei familiaris procurator, amministratore generale della casa, anzi delle case, era Don Michele Rua. Uomo che possedeva una straordinaria capacità di lavoro, tutta la mise a servizio di Don Bosco per l'Oratorio e per la Congregazione. Contava allora trentanove anni, vissuti per due terzi a fianco del Servo di Dio. Propostosi fino da fanciullo di stare con lui, accintosi poi a imitarlo aiutandolo, si abbandonò, mani e testa legate, come si legge del Saverio con S. Ignazio, alla direzione del Beato, del quale con fedeltà e costanza mirabile cercò sempre d'interpretare esattamente e di eseguire a puntino voleri, desideri, intenzioni. Ben rare s'incontrano nella storia le coppie di anime e di cuori che abbiano formato così letteralmente un cuor solo e un'anima sola, tanta ebbero in ogni tempo conformità di pensieri, di criteri, di metodi, di fini, di mezzi. L'atteggiamento in cui Don Giuseppe Vespignani lo sorprese la prima volta che lo vide una sera del novembre 1876, fu il suo perpetuo contegno verso Don Bosco. Stava egli in piedi presso il buon Padre assiso a mensa, come chi ne attendesse la parola, l'ordine, il consiglio; a lui Don Bosco passò la lettera di presentazione del nuovo venuto, perchè la leggesse e riferisse, e dopo glie ne affidò la persona. Don Vespignani capì senz'altro che in tutto e su tutti Don [377] Bosco agiva mediante Don Rua, nè tardò a constatare che realmente l'Oratorio e l'intera Congregazione stavano alla dipendenza immediata del giovane, amabile e riflessivo sacerdote; notò infine com'egli nulla facesse che non apparisse voluto o ispirato da Don Bosco o comunque eseguito in suo nome, tranne i provvedimenti odiosi.

 

                Il medesimo Don Vespignani ci è testimonio di altre cose, che venne allora osservando di giorno in giorno con i propri occhi in quel grande figlio di Don Bosco. Nella vita di comunità lo vedeva sempre puntualissimo al suo posto, tanto puntuale che talvolta, per recarsi a dire le orazioni della sera con i confratelli e i giovani, rompeva la conversazione con Don Bosco, che era sì cara. Lo vedeva procurare con ragionevole discrezione che nel refettorio si facesse la lettura e si facesse bene. Quell'anno si finì di leggere a tavola la Storia Ecclesiastica del Rohrbacher; c'eran voluti nove anni a percorrere quei quindici grossi volumi, anche perchè s'intercalavano altre letture, e poi Don Bosco da agosto a novembre desiderava che, quando vi si leggevano opere di mole, quella lettura si sospendesse: la ragione era che in tal periodo avveniva un gran movimento di personale sicchè i più della casa non potevano udire la narrazione continuata dei fatti. Aggiungeremo che a Don Bosco il Rohrbacher sembrava l'autore più opportuno per la lettura a mensa, tolte alcune pagine, ch'ei consigliava di omettere per trovarsi ivi giovani chierici e coadiutori. Don Vespignani lo vedeva inoltre dopo le preghiere serali passeggiare lento e solo sotto i portici, dicendo assai divotamente il Rosario, e avvisare con belle maniere quanti non praticassero il silenzio comandato dalla Regola o non fossero solleciti a ritirarsi; dopo di che faceva un giro per tutto l'Oratorio. Il nostro testimonio seppe che egli ripeteva tale perlustrazione nel cuor della notte, andandola a terminare in chiesa davanti al Santissimo Sacramento.

 

                Era uno dei confessori ordinari. Don Vespignani ci sa dire com'egli confessava. Lo faceva con ardore. Nell'ammo nire [378] il penitente gli avvicinava assai le labbra all'orecchio, porgendogli riflessi e consigli opportunissimi. Chi si confessava da lui, ne riportava l'impressione di un grande zelo per accendere nelle anime l'amore di Dio e il desiderio della perfezione.

 

                Il suo ufficio l'obbligava ad avvisare e comandare. Il nostro informatore ci fornisce a questo proposito ragguagli degni di nota. Don Rua aveva l'occhio a tutto, senza però far nascere il sospetto che diffidasse o spiasse; tanta era la soavità e dolcezza del suo procedere. Ma sullo scrittoio teneva abitualmente listerelle di carta preparategli a mazzi dai legatori con iscampoli dei fogli. All'occasione pigliava una di quelle liste, vi scriveva una parola o un nome o vi tracciava un segno; quindi durante la ricreazione del dopo pranzo con quei promemoria in mano si accostava a uno, fermava un altro, chiamava un terzo: erano coloro a cui aveva qualche cosa da dire, e nel dirla usava le espressioni di Don Bosco: -Mi vuoi fare un piacere?... Saresti disposto ad andare nel tal luogo?... Sapresti dirmi come vai negli studi?... Nel tuo ufficio incontri qualche difficoltà?... Vuoi che parliamo di questo, di quello?... Finiva pure alla maniera di Don Bosco:- Stammi allegro... Siamo sempre amici... Fatti coraggio! - Don Vespignani ricorda che non solo si ammirava tanta sollecitudine, ma si aveva quasi piacere di essere segnati nelle sue polizze per aver occasione d'intrattenersi un istante con lui, e dice che le sue chiamate facevano del bene, tenevano i confratelli desti al dovere e ispiravano generosi sensi.

 

                Don Rua aveva presso di sè parecchi segretari, ai quali non si contentava semplicemente di distribuire il lavoro, ma ne scrutava le attitudini per abilitarli a diversi uffici, massime a reggere le nostre prefetture. A tal fine si era allestita tutta una serie di manualetti, manoscritti e legati, dove. si spiegavano i metodi delle registrazioni da usarsi nelle nostre case: erano registri per messe e relative elemosine, libri per contabilità e pensioni, quaderni per elenchi di cooperatori e [379] annotazioni di offerte, e poi tanti prontuari quanti sono i rami della gestione interna ed esterna, come sacrestia, laboratorio, libreria, cucina, dispensa, depositi, bucato e via di seguito. Con pazienza invitta e chiarezza mirabile insegnava ai novellini la maniera di compiere le varie operazioni amministrative e come segnare le partite e riportarle sul libro mastro, suscitando e coltivando in essi l'idea della grande importanza che hanno l'esattezza e la precisione nell'economia domestica.

 

                A Don Rua metteva capo la massima parte della corrispondenza. Egli, facendone lo spoglio, postillava e distribuiva ai segretari le lettere, di cui potevasi da loro stendere la risposta e in cui bastava che apponesse la propria firma. Non poche recavano già brevi indicazioni marginali scritte da Don Bosco, che soleva rimettere al criterio di Don Rua il disbrigo di commissioni, le accettazioni gratuite dei ragazzi, i ringraziamenti per offerte minori, le domande di aspiranti. Don Vespignani che fin dai primi giorni del suo arrivo fu annoverato da Don Rua fra i suoi segretari, scrive: “Posso con verità asserire che la camera e l'ufficio di Don Rua fu per me un alto posto di osservazione, donde scorgere tutto il movimento caratteristico della Congregazione Salesiana”.

 

                Don Rua si prendeva amorosa cura dei chierici studenti di teologia, ai quali impartiva  una lezione settimanale sul Nuovo Testamento, vigilandone con assiduità la formazione intellettuale e religiosa. Assisteva nei primi passi i novelli insegnanti. Richiamava i sacerdoti all'osservanza esatta delle rubriche. Dava personalmente l'esempio di un sommo rispetto alla povertà religiosa, usando con una parsimonia, che mai la maggiore, delle cose anche più minute e pochissimo valore, come sono la carta, le penne, i pennini, ma ciò facendo con decoro e senza lasciare in chi l'osservasse l'impressione di sordida spilorceria.

                A Don Vespignani toccarono due garbate lezioncine, dalle quali ci è dato comprendere quali fossero i sentimenti di Don Rua verso il nostro Beato Padre. Un sacerdote chiedeva [380] di venir accettato nella Congregazione. Don Bosco, fattagli la risposta, la diede a Don Vespignani, concittadino del richiedente, perchè glie la spedisse acclusa in una lettera sua. Don Vespignani, tornato da Don Rua, gli manifestò come quel sacerdote esemplare fosse in istato di avanzata etisia e poichè temeva che Don Bosco lo volesse accettare, gli proponeva o di ritenere la lettera o di spiegare al Beato il pericolo di ricevere un infermo in tali condizioni. Don Rua si fece serio e fissandolo con aria di stupore, gli rispose: - E tu avresti l'ardire d'intercettare una lettera di Don Bosco? T'arrischieresti a opporti ai disegni che il Signore e Maria Ausiliatrice potrebbero avere su quel sacerdote, che tu credi inabile e disperato dai medici? Non sai che Don Bosco se la intende molto bene con la Madonna? - A sì incalzanti interrogazioni non c'era da far altro che scusarsi e impostare la lettera; così appunto fece Don Vespignani.

 

                Una mattina Don Rua gli si accostò pian piano, com'era suo costume, tenendo in mano un plico e gli disse in tono misterioso: - Ho un bel lavoro da affidarti; ma bisogna prima che tu ti metta in grazia di Dio e faccia un buon atto di contrizione, perchè la calligrafia del signor Don Bosco è difficile a decifrarsi. Sono i regolamenti delle Case, da lui riveduti, corretti e quasi rifatti; si devono dare definitivamente alle stampe; copiali dunque bene. - Finita la trascrizione, il segretario domandò a Don Rua in ricompensa di poter ritenere una pagina dell'originale, per avere un autografo di Don Bosco da serbare come reliquia. Don Rua quasi di scatto gli rispose: - Che cosa dici mai? Non sai che ogni piccolo scritto di Don Bosco si conserva gelosamente negli archivi della Congregazione? Tanto più poi questo che viene a essere il codice della vita salesiana! - L'altro comprese l'inopportunità della propria domanda e insieme la gran venerazione del superiore per il Servo di Dio.

 

                Nell'ufficio di Don Rua la pietà e la preghiera santificavano il lavoro. Appena vi s'era entrati, egli diceva con i segretari [381] l'Actiones e l'Ave Maria, indi leggeva un pensiero di S. Francesco di Sales; venuto il tempo di uscire, leggeva un'altra massima del Santo e diceva l'Agimus con l'Ave Maria. Era insomma quell'ufficio vera scuola d'ogni virtù, cattedra di dottrina e di santità, palestra di formazione salesiana. Ma o dentro o fuori dell'ufficio Don Rua era sempre l'uomo che faceva le cose a perfezione; tale il sentimento e il giudizio di quanti avevano la fortuna di vivere più a contatto con lui. Onde il tante volte citato Don Vespignani, che si trovava allora in condizione di tenergli da mane a sera gli occhi addosso, ha potuto scrivere di lui: “Ogni dì più ammiravo in Don Rua la puntualità, la costanza instancabile, la religiosa perfezione, l'abnegazione unita alla più soave dolcezza. Quanta carità, che belle maniere per incamminare un suo dipendente nell'ufficio che voleva affidargli! Che delicato studio, che penetrazione in conoscerne e sperimentarne le attitudini per educarle in guisa da renderle utili all'Opera di Don Bosco!”. Tale l'alter ego che il Servo di Dio si era cercato e formato e che la Provvidenza destinava a esserne il primo successore[152].

 

                L'attività di Don Bosco e del suo fedele imitatore, avvalorando le loro esortazioni orali, elettrizzava il personale; in agosto, e con il caldo di Torino, i professori, benché quasi spossati, non lasciavano ancora le cattedre. Il medico predicava i bagni; ma da quell'orecchio Don Bosco non sentiva; anzi, quando alcuni del collegio di Varazze, che è a quattro passi dal mare, fecero istanza perchè fosse lor concesso di procurarsi quel refrigerio, Don Bosco rispose di no. Si lavorava, si lavorava indefessamente, e di tanta laboriosità anche si parlava. La sera del 14 agosto dopo cena s'intavolò una discussione sul tema, se fosse vero che il lavoro uccideva anzi tempo i Salesiani. Ognuno disse la sua. Don Bosco stette ad ascoltare il pro e il contro e poi, presa la parola, tirò avanti bel bello [382] per circa un quarto d'ora a esporre. il suo pensiero, facendo quasi una conferenza sull'argomento e corredandola non solo di considerazioni teoriche, ma anche di esempi domestici. Le cose udite parvero così notevoli, che Don Barberis si affrettò a metterle in iscritto.

 

                - Ognuno di noi, diceva Don Bosco, che morisse ucciso dal lavoro, ne attirerebbe cento altri in Congregazione. Sì, è vero, e io ne sono contento e ne vado glorioso: tra noi si lavora molto. Ma che, come ho sentito da qualcuno, i preti morti in casa siano stati proprio uccisi dal lavoro, oh, no, non mi pare proprio vero. Lavorarono molto, furono valorosi campioni, riposando avrebbero potuto prolungare la loro vita; ma già tutti avevano qualche malattia giudicata dai medici incurabile.

 

                - Don Alasonatti aveva un ascesso nella gola; era già ricorso a tutti i mezzi, a tutti i rimedi per guarirne; i molti medici consultati gli promettevano sempre la guarigione, ma poi non conchiudevano mai nulla. Nell'ultimo anno di vita io gli comandai di nuovo che per obbedienza si curasse, non guardando a spese; egli obbedì, ma tutto fu inutile, l'ascesso lo soffocò. Don Ruffino lavorava anche straordinariamente; ma l'origine della sua malattia e della sua morte fu una grossa costipazione. Recatosi da Torino a Lanzo sotto una pioggia dirotta, non si cambiò i panni madidi, andò a confessare in parrocchia, confessò a lungo, poichè era la settimana santa, si buscò una tosse fortissima, n'ebbe tocchi i polmoni e morì. Don Croserio faceva scuola e lavorava molto, è vero; ma fin da giovane soffriva palpitazione di cuore, e questo fu il male che lo condusse alla tomba. Di Don Chiala sappiamo tutti che il governo accettò le sue dimissioni da direttore delle poste a motivo della sua malferma salute. E così si dica degli altri che lavorarono molto: non fu il lavoro che, propriamente parlando, li abbia uccisi. Chi si potrebbe quasi chiamar vittima del lavoro, sarebbe Don Rua; ebbene noi vediamo che il Signore finora ce l'ha conservato abbastanza in forze. [383] - Ma fosse pur vero quello che si dice, oh quale gloria sarebbe il morire per troppo lavoro! Iddio per questi sacrifizi riserba guiderdoni preziosi non solo in cielo all'individuo che soccombe, ma anche in terra alla Congregazione, a cui, togliendole quel tale, ne manda cento altri. La nostra Congregazione non diminuirà mai, sempre anzi sarà in aumento, finché si lavorerà molto e vi regnerà la temperanza. Io sono di parere che fra una cinquantina d'anni essa conterà diecimila individui. Mah!... Io vedo anche però una tendenza così accentuata all'agiatezza, che mi spaventa. Quand'io cominciai a fondare gli oratori e la Congregazione, era solo; eppure si faceva tutto. Adesso si divide e si suddivide il lavoro. Certo il da fare è cresciuto immensamente e chi si mette all'opera, è per lo più giovane e ancora inesperto, e d'ordinario deve studiare per sè, dovendo dare l'esame di confessione... Ma questa tendenza io la vedo! E’ anche certa un'altra cosa: fino a tanto che saranno al mondo coloro che convissero lungamente con Don Bosco e che videro questi tempi della Congregazione, le cose andranno bene. Dopo... mettiamo la nostra confidenza nel Signore.

                - Sono tre le cause che gettano giù le Congregazioni religiose. La prima è questa, a cui abbiamo accennato, cioè l'ozio, il lavorar poco. Bisogna davvero che ci proponiamo lavori superiori alle nostre forze, e così chi sa che non si arrivi a fare tutto quello che si può!

 

                - La seconda causa è la ricercatezza o l'abbondanza dei cibi e delle bevande. Guai a noi, quando s'introducesse l'abitudine di tenere nella propria camera la bottiglia, il liquore, il biscottino, il dolce!... Guai quando a tavola si cominciasse a voler questo, a ricercar quello! Per questa strada si è già corso molto, e ciò mi fa temere assai. Si principia dal dire: Non bisogna che manchi il necessario. Poi: Sarebbe conveniente questo o quello, perchè abbiamo sempre forestieri a mensa. Si fa ora un passo, ora un altro, specialmente riguardo al vino. Dopo avere ben mangiato e bene bevuto si capisce [384] che bisogna riposare. Riposerà il corpo, ma non la fantasia, e le passioni si fanno gagliarde...

 

                - La terza cagione di rovina si chiami egoismo o spirito di riforma, si chiami mormorazione, per me è tutto lo stesso. Quando l'inferiore non vede bene quello che si fa dal Superiore, allora se ne lamenta, suggerisce di fare diversamente, vuole che si prendano disposizioni quali piacciono a lui... E dico inferiore, non per indicare un novizio o chi non ha ingerenza negli affari, ma voglio accennare a superiori subalterni. Ricordatevi sempre che, se s'infiltra fra noi un po' di divisione, la Congregazione non procederà più bene. Uniti in un cuor solo, si farà dieci volte tanto di lavoro e si lavorerà meglio.-

                Il Beato, stimolando al lavoro, non disconosceva ne' suoi il bisogno di riposo. Verso la metà di agosto quattordici chierici dell'Oratorio ritornarono da Pinerolo, dov'eransi recati a dare gli esami di licenza normale o, come allora più comunemente si diceva, di metodo. Negli anni precedenti s'andava alla scuola normale pareggiata di Novara. Ivi i candidati salesiani facevano parlare molto di sè per la loro buona preparazione, sicchè a Don Bosco ne venivano congratulazioni private e pubbliche. Nel '76 il Ministero designò come uniche sedi per i privatisti le scuole regie, qual era appunto quella di Pinerolo. Colà il Vescovo diede ai chierici di Don Bosco generosa ospitalità nel suo seminario. Avevano faticato molto a prepararsi, perchè toccava loro, come si dice, cantare e portar la croce, cioè studiare e lavorare; ma l'esito compensò i lor sudori, avendo tutti conseguito la promozione e meritato elogi tanto dal presidente della Commissione esaminatrice che dal Provveditore. Accompagnati dunque da Don Cipriano, che li aveva assistiti a Pinerolo, infilarono rumoreggiando la porta del refettorio già spopolato e corsero a baciar la mano a Don Bosco, che finiva la sua parca refezione. Il Servo di Dio, compiaciutosi dei loro allori, disse essere sua intenzione che dopo l'Assunta andassero a passare le vacanze ben meritate. Uno era più di tutti mal ridotto in salute: il chierico [385] Giovanni Rinaldi, futuro fondatore della casa di Faenza.- Ecco, gli fece Don Bosco, ora hai finito le tue fatiche erculee, sei stanco e mezzo ammalato. Ebbene, io desidero che tu faccia vere vacanze, ma in modo che siano proprio di tuo gusto. Quindi pensa in quale delle nostre case più ti piaccia di restare qualche tempo e l'aria ti sia più confacente. Vacci subito, fa' ivi le tue vacanze: io ti lascio piena libertà di scegliere. -Il buon chierico preferì Torino, per poter essere sempre con Don Bosco.

 

                Quello che Don Bosco non poteva sopportare si era che i chierici gli parlassero di andare a far vacanza in casa loro. Per altro, anche lì bisognava usar prudenza. Egli vedeva bene la necessità di finirla risolutamente con tali andate; ma vedeva pure che il rompere di tronco avrebbe scosso più d'uno nella vocazione. - Le innovazioni, diceva, si devono introdurre a poco a poco e quasi insensibilmente. Introdotte che siano a questo modo, i nuovi arrivati le trovano bell'e stabilite nè ci pensano più che tanto, e i vecchi non ne restano scontenti. - Col moltiplicarsi delle case, diventava facile procurare il necessario svago ai confratelli, mandandoli chi qua, chi là, al monte o al mare, secondo il bisogno di ognuno. Così aveva disposto che i chierici ascritti andassero per un mese a Lanzo. Ma perchè fosse riposo e non ozio, ordinò che vi si facesse un po' di scuola e si assegnassero occupazioncelle compatibili con il desiderato sollievo. La lettera seguente, scritta da Don Barberis a Don Lemoyne, direttore di quel collegio, comunicava i suoi precisi voleri a questo riguardo.

 

                Molto Reverendo Direttore,

 

                Il Signor D. Bosco mi incarica di scriverle quanto segue in riguardo alle vacanze dei nostri chierici a Lanzo. V. S. favorirà di leggere queste disposizioni ai detti chierici radunati.

 

                1° Siccome in ogni casa, perchè sia ordinata, bisogna che vi sia chi comanda e chi obbedisca, così D. Bosco stabilisce che il Direttore del collegio sia colui che abbia l'alta direzione anche dei detti chierici e delle disposizioni da prendersi in ordine alle vacanze. [386]

 

                2° Come incaricato particolareggiatamente all'esecuzione d'ogni cosa sia il Professore D. Rossi, dal quale ciascuno dipenda in ogni cosa. Egli poi procurerà di trovarsi sempre con coloro che fanno le vacanze. D. Bosco crede che lo potrà fare essendo per lui finite le scuole[153].

 

                3° Affinchè, come è desiderabile, il sollievo del corpo non abbia ad essere di nocumento all'anima, anzi rinvigorendosi il corpo ne possa anche acquistar l'anima, si facciano sempre le nostre solite pratiche di pietà in comune nelle ore più adattate.

 

                4° Perchè ciascuno abbia anche uno stimolo per essere intieramente sottomesso e per eseguire esattamente le pratiche di pietà, D. Rossi è incaricato di dar nota ogni sera della condotta di ciascuno in particolare e di mandare ogni giorno detta lettera al Signor Don Bosco.

 

                Ci sia grande impegno in tutti di essere lux mundi et sal terrae Non vi sia neppure un momento nella nostra vita in cui nella pratica non ricordiamo questo precetto che il nostro Divin Maestro dava ai sacerdoti ed a tutti quelli che aspirano al sacerdozio. Si cerchi invece che la lucerna nostra mandi sempre maggior luce, affinchè dia splendore ed illumini bene tutta la casa in cui ci troviamo. Si faccia in modo che il sale nostro sia sempre più condiente ed acquisti sempre maggior forza nel dar gusto e preservare dalla corruzione coloro che ci avvicinano.

 

                Queste, Molto Reverendo Signor Direttore, sono le cose che il nostro caro padre D. Bosco mi incaricò di scriverle, il che io feci con gran sollecitudine e molto piacere, non essendovi altra cosa che più mi stia a cuore che prontamente ubbidire a colui che per me e per tutti noi è rappresentante di Dio medesimo.

 

                Voglia sempre credermi, Signor Direttore,

                Di V. S. Il.ma e Molto Rev.a

 

Obbli.mo Servo e fratello in G. C.

Sac. Giulio Barberis.

                Torino, 17 agosto 1876.

 

                Intanto s'avvicinava il tempo degli esercizi spirituali d'autunno, quando per gli ascritti scoccava l'ora di risolvere il gran problema, se fare o non fare la domanda dei voti. Per assisterli ed aiutarli in cosa di tanta importanza e per preparare tutto l'occorrente agli esercitandi, Don Barberis si recò lassù, donde scrisse tosto al Beato, informandolo sullo stato degli animi e invitandolo a farvi una gita. Il solerte [387] maestro dei novizi era un po' afflitto a motivo di alcune diserzioni. Il Servo di Dio gli rispose con questa interessantissima lettera.

 

                Mio caro D. Barberis,

 

                La tua lettera mi accordò colle affettuose parole del sempre caro D. Lemoyne di fare una gita a Lanzo: ma gli affari che abbiamo qui tra mano, e la mia sanità che reclama quei riguardi ch'io vorrei rifiutare, me lo impediscono almeno per ora. Ogni ascritto però mi può scrivere ed anche venire a Torino, se ne è bisogno. Pare però che le difficoltà debbano piuttosto essere quando uno si ascrive, che quando si fa professione religiosa, che dipende interamente dalla volontà individuale.

 

                Sarà bene che tu dica che il dimandare di fare i voti non importa alcun legame e che dopo gli esercizi ognuno è pienamente libero. I riflessi erano piuttosto da farsi lungo l'anno, siccome molti prudentemente l'hanno fatto; ora pare che non ci sia più altro a fare che dar un calcio al mondo e dire con S. Alfonso:

 

Mondo più per me non sei,

Io per te non sono più:

Già tutti gli affetti miei

Ho donati al mio Gesù.

 

Ei m'ha tanto innamorato

Dell'amabil sua bontà,

Che d'ogni altro ben creato

L'alma più desio non ha.

 

                Ora voglio raccontarti un sogno o favola o storia che si fabbricò in mia mente la notte della festa di S. Anna.

 

                Ho veduto un pastore che lavorava per nutrire, pascolare, tener lontane dal pericolo le sue pecorelle. Lavorava da un anno, aveva sudato assai; e ne era assai contento delle sue fatiche, perchè le pecore divennero tutte assai grasse e ben cariche di lana; davano molto latte.

 

                Venuto il tempo di tosare, ne fissò il giorno e invitò alcuni amici per fare un po' di festa.

 

                Il buon pastore entrò per tempo nell'ovile e si accorse che alcune pecorelle mancavano. Dove sono andate le pecorelle che mancano? si fece a chiedere.

 

                Fu risposto: Venne un uomo, propose pascoli migliori e così adescate andarono con lui. Non ne sappiamo di più.

 

                Povero me! disse il pastore afflitto. Per quelle pecorelle, che ho pur lavorato e sparso sudori; io mi pensava raccogliere un po' di lana [388] ed anche un po' di cacio, ed ora mi accorgo che ho lavorato invano. Opera et impensa periit

 

                No, risposero tutte le pecorelle con un linguaggio capito da tutti, no, alcune pecore ti portarono via la lana, ma noi ti compenseremo non solo colla nostra lana, ma ben anche con tutta la nostra pelle.

 

                Il pastore ne fu contento e fece mille carezze alle pecorelle che rimasero fedeli nell'ovile, nel pascolo, nè si lasciarono sedurre da lusinghieri inviti.

 

                Un bel premio a chi mi dà la spiegazione di quanto sta qui esposto.

 

                Dio ci benedica tutti e pregate per me che vi sono in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Non dispiaccia un piccolo intermezzo che non istona col titolo di questo capo. Abbiamo scovato una letterina, che ci sembra opportuno riprodurre. La scrive un Luigi Piasco da Sampeyre, alunno della quinta ginnasiale nell'Oratorio, che comparirà fra i chierici ascritti dell'anno seguente. Si rivolge a un “Superiore” che molto probabilmente era Don Barberis; infatti il foglietto è nei bianchi tutto coperto di appunti, che ne rivelano con certezza la mano e che dovettero servirgli di richiamo nella compilazione della sua cronachetta. Il giovane nel mese di giugno, forse preso da indisposizione sentì il bisogno di rinfrancarsi ed espresse il desiderio di andar a respirare le fresche aure di Lanzo. Don Bosco annuì, e di lassù egli lo ringrazia Dal contesto appare che non vi andò solo a godere del benefizio. L'umile documento, riboccante di gratitudine, viene con tanti altri indizi a mostrarci quanto avesse della famiglia la vita dei giovani nell'Oratorio.

 

                Signor Superiore,

 

                La ringrazio che si sia tutto adoperato perchè il mio desiderio di venir passare alcuni giorni qui a Lanzo fosse così presto eseguito. Neppure i genitori si prenderebbero tanta premura dei loro figliuoli, nè così facilmente accondiscenderebbero ai loro desideri, prova dell'amore che hanno i superiori verso di noi. Anche qui ci trattano con tutti i riguardi possibili e guardano di contentarci per quant'è possibile, sicchè non lasciano desiderare di più. E noi che cosa fare per [389] coloro che cotanto si prendono cura di noi? La risposta viene da sè senza esitazione; guarderemo di corrispondere ai loro desideri. A Don Bosco poi dica ch'io l'amo e gli porga i miei ringraziamenti, poichè per lui mi trovo in una condizione, che nulla mi lascia desiderare. Intanto gradisca i miei sentimenti d'amore e gratitudine.

 

                Lanzo, 12-6-1876.

 

                Piasco Luigi.

 

                Certi episodi sono come le ciliegie, uno tira l'altro. Antonio Aime era un ragazzo di undici anni, orfano, alunno della seconda ginnasiale, affidato dalla divina Provvidenza a Don Bosco. Come altri che non avevano chi li potesse mantenere durante le vacanze, se ne stava all'Oratorio. Il Beato, che trovavasi a Lanzo per gli esercizi spirituali dei Salesiani, pensò a lui e scrisse al segretario Don Berto che lo conducesse lassù con qualche altro a passare alcuni giorni. Vi andò con Pietro Furno della prima. I due buoni figliuoli, arrivati a Lanzo, avrebbero voluto fare anch'essi gli esercizi; ma il predicatore delle istruzioni Don Dalmazzo vi si oppose, perchè quelli non erano esercizi per ragazzi. Se ne lamentarono col Beato Padre, il quale sorridendo disse loro: - Ebbene, se Don Dalmazzo non vi lascia fare gli esercizi spirituali,. Don Bosco ve li farà fare corporali. Andate dal prefetto del collegio e ditegli da parte mia che vi dia tutti i giorni quattro soldi a testa, una pagnotta al mattino e una al dopo pranzo, e poi, finchè rimarrete qui a Lanzo, andrete a far colazione e merenda sui monti con pane e latte fresco. - Di più, egli stesso fece l'orario delle loro vacanze, che non potevano riuscire più gradevoli, come attestava per entrambi Don Aime. Egli fu Ispettore prima nella Spagna e poi in America; in ogni luogo, dove stette, la sua memoria è in benedizione. Anche Furno divenne Salesiano e andò primo Direttore della casa di Trento.

 

                Il settembre e l'autunno erano i mesi delle ordinarie iscrizioni al noviziato. I pochi fatti emersi dall'oblio lumeggino, come nel precedente così in questo volume, i criteri, a cui [390] Don Bosco si ispirava nell'ammettere o no a far parte della sua maggiore famiglia.

 

                Vi erano nell'Oratorio tre artigiani che, sospinti dall'affetto per le cose nostre, bramavano d'intervenire alle meditazioni e alle conferenze degli ascritti: Borghi, Ghiglione e Garbellone. - Sono giovani buoni e conosciuti, disse il Beato. Io sono contento che prendano parte a tutto quello che gli ascritti fanno in comune. Anzi, per me, vorrei che due terzi dei giovani vi partecipassero; in sostanza non vi si fa se non quanto dovrebbe fare ogni buon cristiano, eccetto che fra di noi nelle conferenze si riprendono un po' più liberamente i difetti. - Per tacere dei due primi, chi dei nostri non ha conosciuto almen di nome il terzo? Ebbene, egli fu una prova vivente della straordinaria potenza formativa di Don Bosco. A onta delle sue naturali inclinazioni che tendevano all'eccentrico e che altrove l'avrebbero fatto essere zimbello altrui e uomo di poco o nessun conto, passando per le mani di Don Bosco, uscì plasmato in guisa, che, utilizzando perfino i difetti del temperamento, operò in cinquant'anni un bene incalcolabile nell'oratorio festivo di S. Francesco di Sales e rese alla Congregazione numerosi e talora segnalati servigi. Per Don Bosco, egli si sarebbe buttato nel. fuoco; e Don Bosco mostrò di apprezzarne tanto la fedeltà, che una volta gli diede trentamila lire, perchè andasse a fare un pagamento, e quel che è più, gliele mise nelle mani scopertamente e con la massima indifferenza. Non indifferente però rimase Garbellone, non ancora trentenne, che a quell'atto non potè frenare le lacrime e lo ricordò poi sempre con commozione.

 

                Si presentarono due chierici, provenienti da diverse diocesi, chiedendo di essere ascritti. Parevano buoni e risoluti; ma furono ricevuti come semplici aspiranti. Don Bosco andava molto a rilento allora nell'ascrivere quelli che non avevano fatti i primi studi nelle nostre case e voleva assicurarsi che fossero suscettivi di formazione, schiettamente salesiana.

 

                Desiderava di entrare come coadiutore un tale, che era [391] abbastanza intelligente, ma aveva la disgrazia di essere deforme nell'aspetto. Don Bosco non credette bene di ammetterlo e a Don Barberis, come soleva abitualmente nell'affidare incarichi orali, suggerì le parole, con cui comunicargli il diniego. Doveva rispondergli così: - Guarda, tutti i Superiori ti vogliono bene, non ti manderanno mai via, sono ben contenti che ti fermi qui con noi. Tuttavia in faccia alle persone estranee non è bene che tu entri a far parte della Congregazione, perchè secondo il nostro istituto noi abbiamo sempre da uscire, da trovarci in mezzo al mondo, da andare e venire per commissioni e negozi,, e potrebbe scapitarne la nostra Società. Però sta' tranquillo, che ti useremo sempre i dovuti riguardi. Infatti egli passò tutta la sua vita nell'Oratorio. Si chiamava Doda, noto a tutti quelli che furono nell'Oratorio.

 

                Tre preti, sapendo che Don Bosco non ricusava per principio di abbreviare la durata della prova, avrebbero voluto fare i voti perpetui nella festa dell'Immacolata, dopo soli tre mesi di noviziato. Sebbene fossero ottime persone e di spirito conforme al nostro, pure non furono ammessi dal Capitolo Superiore. I canonisti del tempo, trattandosi di voti semplici, non andavano tutti d'accordo su questo punto. Sconsigliavano bensì dal largheggiare nella dispensa, ridondando ciò nella maggior parte dei casi a danno delle Congregazioni; ma in fondo in fondo la decisione si faceva dipendere dall'arbitrio del Superiore generale, a cui quindi non incombeva l'obbligo di ricorrere a Roma. In quella circostanza Don Bosco, quantunque fosse a giorno di tutto questo e avesse inoltre da Pio IX speciali facoltà, approvò la decisione capitolare.

 

                In questo soppraggiungergli di personale era visibile la mano della Provvidenza. Sul principio del mese di novembre ventitrè fra coadiutori, chierici e preti partirono per le Missioni; e altrettanti preti, chierici e coadiutori gli arrivarono, da casa loro all'Oratorio. Un tratto singolarmente provvidenziale fu anche quest'altro. Don Bosco aveva aperto trattative orali con Roma per ottenere certe dispense o concessioni [392] in favore della Società: ne sentiva proprio impellente bisogno. Un giorno si pose allo scrittoio e vi spese assai tempo per preparare una lettera da inviare al Santo Padre, al quale diceva che, essendogli stati da lui affidati certi incarichi, volesse pure concedergli i mezzi indispensabili per attuare i suoi augusti desideri. Orbene la mattina del 19 novembre, piegato il foglio e messolo nella busta, stava per suggellare e spedire, quand'ecco arrivargli da Roma una lettera del Papa, che rispondeva a tutte e singole le domande poc’anzi formulate e lì lì per essere spedite e gli concedeva dalla prima all'ultima le cose chieste. - E proprio un fatto provvidenziale! esclamò Don Bosco. Il Papa è davvero posto in un'atmosfera tutta superiore e miracolosa.

                La fama della Congregazione si divulgava ogni dì più, cosicchè preti, parroci, monsignori o venivano a vedere o scrivevano, vogliosi di darvi il nome; se non che Don Bosco si mostrava tutt'altro che corrivo a incoraggiarveli. Soleva dire: - Costoro, avendo nelle loro diocesi una posizione, incontrano sempre mille difficoltà per abbandonarla e perciò credo che molti non verranno. Se poi si decidono a venire superando ogni ostacolo, il più delle volte, dopo poco tempo che li abbiamo in casa, incominciano a disgustarsi, perchè non possono continuare le loro abitudini e debbono principiare una vita nuova. D'altro canto noi bisogna che stiamo fermi a non tollerare quelle abitudini che siano contrarie alle nostre regole e tradizioni. Questo malcontento da parte loro e questa risolutezza da parte nostra farà sì che ben pochi si fermeranno. Io sono di parere che, essendo costoro buoni preti, possano fare molto bene dove si trovano, massime in questi tempi, nei quali i preti scarseggiano tanto. Il Signore li benedica dove stanno. Se io non chiudo le porte delle nostre case agli adulti, non li vado però a cercare.

                Uno dei preti venuti nel '76 da Lugo è il nostro Consigliere professionale Don Giuseppe Vespignani. Fin dal suo primo ingresso nell'Oratorio comprese la natura del nuovo ambiente. [393] Era già molto tardi. Don Bosco aveva confessato fin verso le dieci, perchè il dì seguente si faceva l'esercizio della buona morte e partivano i Missionari. Don Vespignani lo trovò che cenava, circondato da quattro o cinque preti, che o ritti o seduti gli parlavano con gran confidenza. Fatto accomodare alla sua destra, gli porse una lettera di raccomandazione scritta da Don Cerruti, poichè veniva da accompagnare i suoi fratelli al collegio di Alassio. Il Beato passò la lettera a Don Rua, che gli stava a fianco in piedi. Questi apertala e vistone il contenuto, riferì a Don Bosco:

 

                - Questi è un sacerdote novello delle Romagne che viene qua per restare con Don Bosco.

 

                - Sì, sì! fece Don Bosco, fissandolo sorridente. Lei viene per restare con noi un certo tempo, forse un anno, e così vedere come noi facciamo nei nostri collegi, e poi tornarsene al suo paese e ivi fare altrettanto.

                Don Vespignani cascò dalle nuvole. Quando egli partiva da Lugo, il suo prevosto, udito lo scopo del viaggio, gli aveva letteralmente suggerito di fare come Don Bosco in quel momento diceva. Vinto il primo* stupore causatogli da quella misteriosa uscita, si affrettò a protestare e dire che no, che non avrebbe fatto così, ma che se lo accettava, sarebbe rimasto sempre con Don Bosco. Il Beato rispose: - Ebbene, adesso ci vediamo con la luce di questa lampada, ma domani ci rivedremo alla luce del sole e ci conosceremo. Ella dunque è sacerdote novello? Domattina ci dirà la messa della comunità per i nostri Missionari, prossimi a partire per l'Argentina. - Datagli quindi la buona notte, lo affidò a Don Rua, che con amabilità somma lo condusse in camera, gli acconciò il letto, gli additò una scritta che si leggeva in un medaglione di porcellana appeso presso l'acquasantino e, augurandogli buon riposo, si ritirò. La scritta diceva: “Costi Dio quanto vuol, non è mai caro”. Sentenza d'oro, che gli doveva presto venir in taglio di ricordare.

 

                Per i chierici e i preti che volevano entrare in Congregazione, [394] si chiedevano sempre le lettere testimoniali dei loro Vescovi; ma i Vescovi per lo più non le rilasciavano. Perciò il Beato stabilì di appigliarsi al metodo usato dai Barnabiti. Fece dunque stampare moduli simili ai loro e ad ogni postulante ne mandava uno, perchè lo sottoscrivesse e lo spedisse al proprio Ordinario. Rispondesse poi questi o non rispondesse, non vi era più nulla che ostasse all'accettazione. Quanto ai giovani che facevano gli studi in case salesiane, sappiamo già che Don Bosco aveva ampia facoltà di accettarli, qualunque età avessero. Nonostante simili cautele ricevette dal cardinal Ferrieri, allora proprefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, una rimostranza concepita in questi termini:

 

                Reverend.mo Signore,

 

                E’ giunto a notizia di questa S. Cong. de' Vescovi e Regolari, che la S. V. abbia sempre ricevuto nel suo istituto di S. Francesco di Sales i giovani, senza richiedere le testimoniali dai rispettivi Vescovi conforme del decreto Romani Pontifices emanato dalla S. Cong. super statu Regularium in data del 25 gennaio 1848. Il che, secondo reclami ricevuti in proposito, è stato causa che siasi da lei ricevuto e quindi presentato all'Ordinazione qualche giovane ch'era stato dimesso dal Seminario per immorale condotta. Quindi è che la S. Cong. la invita a far conoscere se abbia Ella ottenuto qualche speciale dispensa sulla Osservanza del precitato decreto; altrimenti dovrà, riguardo al suo Istituto, uniformarsi al medesimo decreto, nel quale non si fa neppure eccezione di. alcuna Cong., Società, Istituto o Casa, ancorchè di voti semplici. Tanto le si doveva partecipare per sua norma e governo e Dio la guardi. Al piacere di V. S.

 

                Roma, 28 novembre 1876.

S. Card. Ferrieri pro-Pref.

Enea Sbarretti, Segret.

 

                Il Servo di Dio con un ritardo, del quale ignoriamo la cagione, rispose così a Sua Eminenza.

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                Ho ricevuto il reclamo che la E. V. Rev.ma si degnò inviarmi e La ringrazio del modo tutto paterno con cui me ne ha dato comunicazione [395]. Due cose mi si richiedono: se io abbia ottenuto qualche dispensa per le testimoniali degli Ordinarii secondo il decreto Romani Pontifices (25 gennaio 1848); se ho accettati giovani espulsi dal Seminario di Torino.

 

                Al 1° rispondo affermativamente. Appena nella Salesiana Congregazione si osservò che tutti i postulanti erano giovani accolti nelle nostre case per fare i loro studi letterarii e per conseguenza poco o niente conosciuti dai rispettivi Ordinari, e che per lo più appartenevano ad altre nazioni; avuto il consiglio di un alto personaggio, si chiese e la clemenza del S. Padre concedette, che tutti quelli che fossero accolti nelle nostre case, ospizi, convitti e chi a suo tempo avesse fatto domanda di far parte alla Pia Società Salesiana fossero dispensati dalle testimoniali sopra nominate, vivae vocis oraculo (udienza 3 maggio 1876). Più tardi qualche sacerdote avendo fatta dimanda di ascriversi a questa Congregazione, la medesima dispensa veniva estesa a tutti indistintamente (10 nov. 1876 vivae vocis oraculo). Tuttavia pel desiderio di non urtare cogli Ordinarii diocesani, al cui sussidio è totalmente dedicata questa congregazione, ogni volta che si trattò dell'accettazione di chierici o preti già scritti in Albo Clericorum di qualche diocesi, si è sempre dimandata ai proprii Ordinarii che la diedero di buon grado. Si eccettua l'Arcivescovo di Torino che giudicando di non concederla, abbiamo messo in pratica la seconda parte del medesimo decreto che dice di scrivere alla S. Sede.

 

                Al 2° reclamo di accettazione di chierici espulsi dal Seminario accettati da noi e presentati alle Sacre Ordinazioni, devo rispondere negativamente, siccome fu già fatto osservare al medesimo nostro Arcivescovo ed una volta in presenza dello stesso Arcivescovo di Vercelli. A meno che. si vogliano muovere reclami per aver accettati momentaneamente alcuni poveri chierici, che espulsi dal Seminario e trovandosi in mezzo alla strada, vennero caritatevolmente ricevuti non per essere Salesiani, ma per essere ricoverati e per provvedere alle loro necessità ed impedire la loro rovina spirituale e temporale. Pertanto io invito rispettosamente il sempre venerato nostro Arcivescovo a voler declinare il nome di un solo chierico espulso dal Seminario per immorale condotta, che sia stato ricevuto nella Congregazione di S. Francesco di Sales. Risposto a questi richiami, io mi fo ardito di supplicare la E. V. a volere da parte mia pregare lo stesso nostro Arcivescovo di Torino a manifestare il motivo di certe severe misure usate verso i Salesiani. P. es.

 

                1° Ha sospeso il povero scrivente dalla confessione dando una patente limitata e ricusandone la conferma, senza averne mai data ragione nè prima nè dopo[154]. [396]

 

                2° Impedisce che nelle nostre case diansi esercizii spirituali ad alcuni Maestri secolari che in tempo delle ferie autunnali aspirano di intervenire per alcuni giorni di ritiro. '

 

                3° Rifiutò la facoltà di predicare ad alcuni nostri preti che lavorano negli Oratori festivi a benefizio di fanciulli pericolanti.

 

                4° Invitato a venire a prendere parte a qualche sacra funzione rifiuta di venire e non permette che altri siano invitati.

 

                5° Non vuole venire ad amministrare il Sacramento della Cresima e non permette che un altro venga ad amministrarla.

 

                Queste e molte altre misure di questo genere suppongono gravi motivi che non si poterono mai conoscere.

 

                Nello esporre queste cose non intendo fare reclami, ma unicamente di avere cognizione di ciò che può incagliare in questo modo il bene delle anime. Mi siano dette le cose chiare ed esatte e poi ne prometto preventivamente la fedele esecuzione, in tutto ciò che la S. Sede consiglia poter tornare alla maggior gloria di Dio. Aggiungo ancora una preghiera. Ogni volta che la E. V. avrà motivo di darmi avviso, correzione, consiglio, farà ai Salesiani una grande opera di carità di volercelo comunicare. Possiamo dire che il Santo Padre è il nostro fondatore e ci ha quasi personalmente diretti, perciò tutti desideriamo ardentemente di lavorare per la gloria della Chiesa fino all'ultimo respiro. Ogni pensiero del Sommo Pontefice o di qualunque Sacra Congregazione sarà per noi un vero comando da non trasgredirsi mai. Colla più profonda gratitudine e col più rispettoso ossequio ho l'alto onore d'inchinarmi e professarmi

 

                Di V. E. Rev.ma.

 

                Torino, 16 dicembre 1876.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Anche da professioni liberali si guardava all'Oratorio: avvocati, notai, impiegati, perfino tredici vi anelavano come ad asilo, dove rifugiarsi abbandonando il mondo. Vi fu un momento in cui il Beato Don Bosco, tocco da questo fenomeno, ventilava il disegno di stabilire una casa appositamente per simile classe di persone, non solo affinchè conoscessero e venissero conosciute, ma anche perchè generalmente avevano bisogno d'imparare in teoria e in pratica che cosa fosse spirito religioso. Quell'idea però non ebbe mai effetto, perchè l'esperienza dimostrò non essere cosa necessaria, tanto pochi furono sempre gli adulti fermatisi nella Congregazione.

 

                Del singolare provvedimento fosse stata qualche calunniosa accusa di natura delicata. [397] Ma assai più che non gli adulti, il Beato Don Bosco aveva a cuore le tenere speranze della Congregazione. Durante il corso dell'anno scolastico egli non perdette di vista specialmente i chierici ascritti, al cui progresso verso il meglio aveva già dato un forte impulso nel cominciamento delle scuole. Nel noviziato le materie profane erano ancora un po' ingombranti. Per il latino bisognava limitarsi a tradurre e spiegare i salmi e qualcuna delle Vite scritte da S. Girolamo; per l'italiano, una cantica di Dante; per la filosofia, la logica e l'ontologia. Egli riteneva che in questo modo vi sarebbe ogni possibilità di applicare seriamente i novizi. alle occupazioni e pratiche proprie dell'anno di prova.

 

                Poi gli premeva la scuola di pedagogia: conveniva che la si studiasse in una forma più adatta per noi. Avrebbe voluto che vi prevalesse una trattazione da intitolarsi Il maestro e l'assistente salesiano, suddivisa in tanti capitoli di questo genere: come deve comportarsi l'assistente nel dormitorio; l'assistente di passeggiata; l'assistente di chiesa; l'assistente di scuola; come debba comportarsi il maestro salesiano riguardo alla puntualità nel trovarsi in classe, riguardo alla disciplina, ai premi, ai castighi e via di questo passo. Tali lezioni s'impartissero nell'anno di prova, indi si stampassero, e formassero un libro di testo per uso nostro.

 

                Alle separazioni già fatte ne rimaneva una da aggiungere: separare gli ascritti dai professi nel refettorio. - In ogni luogo e tempo, diceva egli, debbono gli ascritti avere sott'occhio la regola. Stando coi professi i quali o per necessità facciano eccezioni alla regola o per negligenza la trascurino, gli ascritti perdono il desiderio di abbracciare interamente quel tenore di vita che, seguito a dovere, tornerebbe loro di grande soddisfazione e vantaggio. - Un'altra cosa gli sembrava da modificare nel refettorio. Vi erano stati fino allora anche i Superiori maggiori; ma non gli pareva cosa conveniente che giovani appena vestiti da chierici fossero a tavola messi alla pari con Don Bosco, con Don Rua e con [398] gli altri. Avessero pure il medesimo trattamento dei Superiori; ma se per i più anziani occorressero particolarità, ragion voleva che ne potessero fare uso senza che i giovani ne fossero testimoni o comunque notassero la differenza. Disse anzi essere desiderabile che i membri del Capitolo Superiore avessero la mensa in una sala a parte, dove fra l'altro vi fosse maggior libertà di parlare senza pericoli d'indiscrezioni da parte dei commensali.

 

                Come i lettori hanno potuto osservare, siamo ancora nei tempi in cui il nostro Beato Padre sbrigava da sè gli affari grandi e piccoli che riguardavano il personale della famiglia salesiana. N'è prova anche questo bigliettino rinvenuto fra le carte di Don Lemoyne, Direttore del collegio di Lanzo. Approssimandosi la data delle sacre Ordinazioni gli scrisse: “Caro D. Lemoyne. - Varaja cominci tosto i suoi esercizi e vada a Borgo S. Martino. Ordinazioni, 3 settembre”. Ordinante era dunque il tanto benevolo vescovo di Casale monsignor Ferrè. In queste note di famiglia un cenno del nostro ordinando non sarà fuor di luogo. Nel '68 Antonio Varaja, studente a Lanzo, doveva abbandonare il collegio per motivi di famiglia. Addoloratissimo, la vigilia della sua partenza, fece un sogno. Gli parve di entrare nel parlatorio, presso il quale vi era una piccola altalena per divertirsi; ma con suo stupore e tremore trovò ivi Gesù Cristo, della cui viva luce e divina maestà fu sì compreso, che gli sembrò di cadere a terra svenuto. Il divin Salvatore lo pigliò per mano, lo rialzò e così lo tenne dicendogli: - Non temere: io stesso ti farò da padre (il giovane era orfano), poichè gli uomini ti abbandonano. Affidati a me.

                Varaja, inginocchiato a lui vicino: - O Signore, gli disse, fatemi la grazia che io sia prete e missionario. Gesù lo guardò con aria di bontà ineffabile, poi con un sorriso: E l'uno e l'altro! - gli rispose. - Sì, o Signore, replicò il giovane, fatemi prete e missionario. - E Gesù ripetè sempre con lo stesso sorriso: - E l'uno e l'altro! [399] La promessa si avverò. Due anni dopo rientrava in collegio, accettato gratuitamente. Nel '76 ricevette l'Ordinazione sacerdotale, indi fu mandato Direttore della casa di St. Cyr in Francia, e finalmente nel dicembre del '91 i Superiori lo inviarono nelle missioni della Palestina, dove chiuse santamente i suoi giorni il 19 ottobre 1913.

 

                Fra le cose di famiglia sta bene anche questa che ora ci facciamo a riferire. Nei salmi e cantici della Bibbia gli scrittori ispirati inneggiano talvolta a Dio, numerando minutamente e con accenti di gratitudine i benefizi largiti dalla divina Bontà al popolo eletto e invitando tutte le creature a magnificare con loro il Datore di ogni bene. Un inno di questa forma il Servo di Dio innalzò al Signore con animo riconoscente la sera del 25 novembre. Era la solita ora dell'intimità, dopo le confessioni, nel luogo della cena, fra una corona di dieci o dodici preti. Riandando il passato remoto e prossimo, venne a dire delle grazie con cui il Signore aveva favorito e favoriva l'Oratorio; nè si fermò a una menzione generica, ma rievocò una lunga serie di fatti, mentre i presenti gli tenevano coro sia offrendogli nuovi spunti sia benedicendo Iddio. Crediamo bene di riprodurre quella sequela di reminiscenze, lasciando la parola a Don Bosco, ma dopo aver premessa, egualmente con le sue parole, un'osservazione.

 

                Don Bosco sulle cose passate riformava volentieri allora che la sua famiglia cresceva tanto e si dilatava. La ragione fu detta e ridetta da lui, ma dichiarata particolarmente e raccolta dal cronista il 21 dicembre. Alla presenza del professor Bacchialoni, ordinario di lettere greche nella Regia Università, e di parecchi Salesiani egli si espresse a questo modo: - Mi compiaccio di raccontare le cose antiche dell'Oratorio. Alcune volte sono fatti che riguardano anche Don Bosco. Non li racconto però con vanagloria. Oh no! grazie a Dio, questa non c'entra. Il mio fine è unicamente di narrare le magnificenze della potenza di Dio e far vedere che quando Dio vuole una cosa, si serve di un mezzo qualunque, anche [400] il più debole, il più inetto, per far superare qualsivoglia ostacolo.

                Veniamo ora all'accennato Cantemus Domino, nel quale Don Bosco fece vedere come Dio in tante circostanze avesse mostrato di voler bene all'Oratorio, preservandone gli abitatori da morti tragiche o immature.

 

                - Due anni fa, prese egli a dire, nel giorno di S. Giuseppe, mentre sonava la campana. maggiore e una folla di giovani stava a crocchio sotto il campanile, improvvisamente tutti insieme si ritirarono senza sapere il perchè, ed ecco piombar giù il battaglio, rompendo la cornice del portico e sbalzando in terra senza far male ad alcuno. Don Lazzero che si trovava lì presso, a quel fracasso e al grido dei giovani si volge spaventato e vede Don Ghione che, tutto giulivo, portava in ispalla il grosso ferro, facendo gran festa. Don Ghivarello con la sua scienza meccanica assicurava che nel cadere quel peso aveva l'impeto di una palla da cannone.

 

                - L'altr'anno pure, ai diciannove di febbraio, primo giorno del mese di S. Giuseppe, Don Rua e Buzzetti, udito nel cuor della notte uno strano rumore dalla parte del cortile vicino all'orto, si alzano e scendono, temendo che i ladri siano penetrati in casa. Ed ecco che Buzzetti addita a Don Rua nel suolo una larga macchia, che sembra una buca, e tosto lo fa indietreggiare da quel posto. Appena furono alcuni passi più in qua, il terreno sul quale si erano fermati brevi istanti, cedette: era la volta del pozzo nero che sprofondava, e il pozzo era alto tre metri e pieno fino all'orlo. Ancora un attimo, e Don Rua e Buzzetti vi sarebbero andati miseramente a perire.

 

                - Nel primo braccio della casa nuova crollò il muro di mezzo, l'una sull'altra precipitarono le tre volte dei tre piani vicini alla chiesa, piombò il fulmine nella camerata di S. Luigi, e in nessuno dei tre casi toccarono disgrazie alle persone.

 

                - Aldroandi, giovane di Guastalla raccomandato da monsignor Rota, cadde dall'alto del poggiuolo nel cortile della [401] ginnastica. L'altezza era di sette metri; il poverino, sbattendo sul suolo, si ferì al ventre; ma di lì a pochi minuti si alzava e rideva. Accorse il medico e vide che bisognava cucirgli una larga ferita. Tre giorni dopo vi fu una passeggiata generale a Superga: ci volle andare anche lui e corse tanto che la cucitura si sciolse. Egli, senza perdere la sua tranquillità, andò fino all'omnibus, e quando ne discese venne tranquillamente a casa. Appena il medico gli rinnovò la cucitura e la fasciatura, egli si sbucciò allegramente e si mangiò una mela. Guarì del tutto.

 

                - Pochi giorni or sono un giovane della prima ginnasiale, correndo a nascondersi mentre giocava a tingolo, mise il piede nell'apertura praticata per l'ascensore del nuovo refettorio e precipitò in cantina. Ma appena caduto, senza neanche riflettere al pericolo corso, scappò via per non lasciarsi prendere da chi lo inseguiva.

 

                - Un gran portone laterale della chiesa di Maria Ausiliatrice si rovesciò sul lastricato dei portici, dove i giovani agglomerati giocavano; ma nessuno si fece male. Vi fu pericolo che almeno una ventina restassero schiacciati.

 

                - Un giovane, giocando ai ladri, si nascose entro una canna del muro destinata al passaggio delle spazzature. Un altro gli si lancia dietro e lo insegue in quel buco e gli grida: Guarda, sono un serpente che ti mangio! - Il meschino sviene dallo spavento. Tratto fuori e portato nell'infermeria, non dà segno di vita. Viene il medico, e non sa che dirsi e mentre fa i preparativi per applicargli un reagente energico e altri pensa all'Estrema Unzione, egli salta su, si stropiccia gli occhi e dice: - Ora sto bene, - e senz'altro scappa dall'infermeria, lasciando là gli astanti stupiti.

 

                - Essendo alcuni giovani andati a far vacanza nella casa di Trofarello, Fiore cadde in una profonda peschiera. Finocchio si buttò dentro per salvarlo. La prima volta non riuscì; risalito a galla per respirare, si tuffò di bel nuovo e ricomparve spingendo in alto il compagno, che subito dagli altri fu tratto [402] fuori. Ce ne volle del tempo per farlo rinvenire! Nessuno può descrivere la desolazione e il terrore dei condiscepoli e del professor Francesia.

 

                - Nella costruzione di Maria Ausiliatrice non successe alcuna disgrazia. Fu proprio un miracolo. Don Savio, camminando per i ponti all'altezza della cupola, pose il piede su d'una tavola, che fece leva; ma potè afferrarsi a un'antenna e non cadde.

 

                - Caddero due volte i contrappesi dell'orologio nella chiesa piccola, ruppero un gradino, ma non fecero male a persona.

 

                - E il fuoco? Si appicca alla camera del secondo piano vicino a Don Bosco, ma Don Cagliero riesce a spegnerlo. Abbrucia il pagliericcio di Menzio per alcune ore senza che si svolga la fiamma, la quale si alza solo quand'è entrato qualcuno; ma in un istante viene spenta. E quando i giovani facevano il caffè dentro il baule nel dormitorio? Al comparire dell'assistente, per non essere colti in flagrante, calavano il coperchio e uscivano dal dormitorio, lasciando ivi lo spirito acceso. E mai un incendio! E quando, quest'anno nello spegnere l'incendio della fabbrica Tensi, le brocche dell'acqua volavano giù dalle tegole senza far male a nessuno, benchè, proprio là sotto, il cortile fosse pieno di giovani?

 

                - E i giovani che cadono continuamente e non si fanno male? Uno battè la testa con tanto impeto contro il pilastro, che per contraccolpo sbalzò tre passi indietro e pareva morto. Aveva la fronte spaccata; eppure tre giorni dopo giocava tranquillamente con gli altri. Due s'incontrano e cozzano con tanta violenza, che entrambi cadono rovescione in senso opposto; l'avversario della partita corre per dichiararli prigionieri ed essi saltano in piedi e scappano, come se nulla fosse. Uno, con la gamba rotta in due posti, corre ancora un tratto per non lasciarsi prendere, finchè cade spossato. Curato e guarito, eccolo da capo nelle partite di ricreazione. Che entusiasmo nel giuoco durante il tempo della ricreazione! E' proprio qualche cosa di poetico. [403] - E poi c'è la guarigione di Don Bosco a Varazze. Quando rientrò nell'Oratorio, voi eravate tutti commossi; ma egli diceva a Don Rua e a Don Bonetti che aveva fame e che gli dessero da mangiare. E quando venne a parlare ai giovani, all'udire la sua voce fioca e un po' stentata, nessuno sul momento osava fissare gli occhi in volto a Don Bosco, perchè tutti li avevano lacrimosi.

 

                - E lo scoppio della polveriera? E due volte il colera scoppiare a Torino e non fare alcun male all'Oratorio, benchè i preti e i chierici prendessero parte attivissima nell'assistenza dei colerosi? E la vita di Don Bosco tante volte insidiata?

 

                - Nel '64 Don Cerruti ammala a Mirabello. Don Bosco gli manda a dire di fare scuola a quei della quarta e quinta ginnasiale. Egli obbedisce, ma ricade così gravemente che si teme della sua vita. Don Rua allora manda a scongiurare Don Bosco, perchè dispensi Don Cerruti da quella scuola così pesante. - Don Bosco gli risponde: Cerruti continui a far scuola. E Don Cerruti continua. Alla sera del primo giorno si sente sfinito; ma il secondo giorno continua a far scuola e sta meglio, il terzo è guarito quasi perfettamente. Sulla parola di Don Bosco, tutte le settimane fa viaggio a Torino per assistere a qualche lezione universitaria e non ne patisce. Più tardi, mandato ad aprire e a dirigere la nuova casa di Alassio, era così debole che temeva di dover morire per istrada. Va', gli dissi, quando ebbi udite le sue giuste osservazioni. Don Cerruti partì! Nelle prime ore gli sembrava quasi di dover cadere in deliquio; ma giunse ad Alassio in piene forze. Quando abbia da raccontare come vir obediens loquetur victorias, egli non avrà da andar a cercare esempi nei libri! -

                - Se il chierico Erminio Borio si fosse trovato presente, avrebbe potuto narrare ai compagni il caso toccato a lui nell'autunno e descritto in una sua lettera dodici anni dopo. Le febbri terzane, buscate a Borgo S. Martino nei mesi estivi del '76, l'avevano mezzo distrutto. Mandato ad Alassio per i bagni, fu peggio; provò l'aria nativa, ma senz'alcun miglioramento. [404] Con tutto ciò ebbe ordine di prepararsi agli esami di licenza ginnasiale; onde venne a Torino nel collegio di Valsalice. Se non che l'ansia e la fatica dello studio gli resero più ostinate che mai le febbri. Un giorno, verso le due pomeridiane, sentendosi venire i soliti brividi, desolato, e tanto per avere un po' di conforto dai Superiori, scese all'Oratorio a piedi in preda a un vaneggiamento che a stento gli lasciava veder la strada e muovere i passi. Giunto, come Dio volle, all'Oratorio, subito s'imbattè in Don Bosco, che passeggiava sotto i portici, e gli baciò la mano. Il Servo di Dio, vistolo così sfinito e pallido e chiestogli affettuosamente che cosa avesse, gli pose la mano sul capo e rimasto un momento come in atto di riflettere gli disse con quella sua aria di conforto: - Fatti coraggio. - Licenziatosi da lui, il chierico salì per andar a riposare. Mentre stava seduto nel salotto attiguo all'ufficio del prefetto, l'accesso febbrile gli passò e senza ritorno. Infatti dimorò altri quattro anni a Borgo S. Martino, nè più ebbe a soffrire disturbi di tal natura.

 

                Tra le cose di famiglia hanno parte cospicua i tesori spirituali. Due Brevi pontifici erano giunti nel mese di settembre ad arricchire di spirituali favori la famiglia religiosa del Beato Doli Bosco. Il primo Breve disponeva che certe facoltà concesse alla casa principale fossero estese a tutte le case della Congregazione; in forza di esse si potevano dunque erigere oratori privati a vantaggio dei soci Salesiani e di tutti quelli che in qualunque modo appartenessero a tali case: in qualunque solennità dell'anno essi vi potrebbero soddisfare al precetto ecclesiastico. Il secondo Breve accordava per tutte le chiese ed oratori della Congregazione la facoltà di celebrare la santa Messa, amministrare la santa Eucarestia a tutti i fedeli, esporre e predicare la parola di Dio, fare il catechismo ai fanciulli, conservare il Santissimo Sacramento, esporlo solennemente alla venerazione dei fedeli e con quello impartire la santa benedizione. Tali facoltà erano già state accordate al Servo di Dio per i suoi oratori torinesi dai [405] monsignori Fransoni e Riccardi; ma i due Brevi pontifici estendevano i medesimi favori a tutte le case di Don Bosco, in qualunque diocesi fossero per aprirsi. In questa maniera Don Bosco veniva ottenendo alla spicciolata un po' di quei privilegi che non gli era riuscito di ottenere in altra forma, secondochè abbiamo esposto ampiamente nel volume undecimo[155].

 

 

CAPO XIV. Cose dei collegi.

 

                Cose dei collegi ne abbiamo pochine da contare per la seconda metà dell'anno. Cominciamo dalla Liguria. Il Beato Fondatore tornò due altre volte da quelle parti, prima nel luglio e poi in occasione della partenza dei Missionari. La seconda volta fu piuttosto un passaggio; ne diremo quando verrà il discorso dei Missionari. A luglio invece fu una vera visita; siamo costretti però a seguirne le tracce dietro la scorta di avari documenti.

 

                Il giovedì 20 luglio noi lo troviamo ad Alassio, per via di due lettere che scrive di là a Nizza Marittima e a Torino. A Nizza correvano le trattative per l'acquisto della nuova casa; Don Ronchail ne conduceva le fila, ma sempre secondo le direttive del Beato, che nel mese di giugno gli aveva già mandate queste minute, chiare e ferme istruzioni.

 

                Car.mo, D. Ronchail,

 

                Dato un po' di spaccio alle cose principali ed urgenti, passo alle cose nostre di Nizza che pur mi stanno grandemente a cuore. Ti dico adunque:

 

                1° Le indulgenze annunziate e da comunicarsi con quel foglio che ti ho mandato, si estendono ai collettori e benefattori del Patronato di S. Pietro passati, presenti e futuri. Anzi possono godere di questi e di altri favori che ti invierò stampati, tutti quelli che si faranno benefattori nostri. Ciò vedrai dal Breve che è già in corso di stampa. [407]

 

                2° Per la casa Gautier bisogna che tu parli col nostro caro Barone Héraud che ci deve aiutare a fare il gran miracolo per raccogliere i mezzi necessarii. Lo pregherai da parte mia che vada teco dal benevolo sig. notaio Sajeto per chiedergli se mediante ipoteca competente non si possa trovare una somma che ci è necessaria. Qualora occorressero stabili per garantire un mutuo possiamo darlo sopra le nostre case e terre fino alla cifra che si desidera. Io preferisco di fare il mutuo in Francia, perchè si toccherebbe gran ribasso trasportando la nostra carta in moneta d'oro.

 

                3° Qualora poi non si trovasse assolutamente questo mutuo allora si dica al sig. Sajeto se potrebbe provvedere al nostro bisogno con crediti ipotecarii, che potrei avere a mia disposizione fino a cinquanta mila f. e la cui esazione non è lontana.

 

                4° Se poi non si può assolutamente effettuare nessuno di questi progetti, mi si fissino in modo formale due mesi, e provvederò di qui quanto non si possa provvedere costì.

 

                Ma prima di ogni altra cosa è indispensabile che lo stabile sia sicuro e che i pagamenti siano garantiti o dall'ipoteca locale o da altro possedimento.

 

                Il Vescovo manifesta tutto il suo buon volere e qualora ci mancasse ancora qualche migliaio di franchi credo che non ci lascerà nell'imbroglio.

 

                L'avv. Michel non è ancora arrivato? Io calcolo molto sopra di lui; e so che nel bisogno grave farà egli pure gravi sforzi.

 

                Il Principe Sanguskhi ha fatto qualche cosa? Il Municipio, il Governo per mezzo del Prefetto non può fare anche qualche parte?

 

                Addio, caro D. Ronchail, saluta tutti i nostri cari confratelli e i nostri figli, di' a Rabagliati se è disposto di andare a fare l'organista a Buenos Aires: D. Cagliero l'attenderebbe.

 

                Pregate per me, fa. umili ossequi al Sig. Barone Héraud, sig. Audoli; e credimi in G. C.

 

                Torino, 5-6-76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ora dunque, essendosi vicini a stringere il nodo, invia da Alassio a Don Ronchail norme opportune, infiorando le comunicazioni di affari con notizie di famiglia

 

                Mio car.mo D. Ronchail,

 

                La tua lettera mi viene a raggiungere in Alassio,. dove mi fermo oggi e dimani per ritornare a Sampierdarena dove sono chiamato. Aveva divisato di fare una gita fino a Nizza, ma gravi affari me lo impediscono. [408] Avrai avuto notizie della morte di D. Giulitto; l'altro ieri avveniva quella di Piacentino in Alassio. D. Guidazio è gravemente ammalato a Nizza Monferrato. Il Chierico, Vigliocco e Giovannetti sono pure in cattivo stato. Vedi come ci visita il Signore! Preghiamo e preghiamo assai.

 

                Dio, quale buon Padre, ci benedice in altre cose. Le case di America vanno ottimamente; in quest'anno abbiamo circa 200 vestizioni chiericali di cui circa ottanta per la Congregazione.

 

                Pregherò e farò pregare pel sig. principe Sanguskhi e per la principessa madre che sarà certamente desolata. Ma egli morì santamente...

 

                Ora a noi. Oltre a quello che ti avrà scritto D. Rua da Torino tu puoi tenere per base:

 

                1° Fare un compromesso per l'acquisto di casa Gautier, con un mese di tempo a pagare l'intera somma dalla data del compromesso. Franchigia di ipoteca.

 

                2° In questo tempo io farò in modo di mettere a tua disposizione i trenta mila franchi ed anche di più, se farà mestieri.

 

                Sopra queste basi raduna, o meglio, prega che si radunino i signori Avv. Michel e Barone Héraud e di' loro che essendoci messi in ballo di comune accordo, bisogna che conduciamo la danza a termine a costo di qualunque fatica, sudore, sbadiglio ed anche di più.

 

                Dio lo vuole e questo basta. Ho parlato a lungo con Mons. Sola che si mostrò molto animato; e mi disse che giunto a casa, forse oggi o domani, si occuperà totis viribus di casa Gautier, vuole concorrere in proprio con altra somma, e spera anche qualche cosa da altri; e mi invitò di significare tale cosa a te, al Sig. Barone e all'Avv. Michel.

 

                Nota bene, che noi avevamo delle esazioni certe, sopra cui io calcolava. Sono sicure, ma adesso nasce difficoltà, nel tempo. Tuttavia ho già provveduto altrimenti e pel tempo che ti accenno ci faremo onore.

 

                Ringrazia in modo speciale i mentovati nostri due campioni, pei quali tengo preparato un diploma che loro farà piacere, e che loro manderà appena qualcheduno di qui si rechi personalmente costà.

 

                A pur bene di notare che prima di pagare si faccia lo svincolo da ogni ipoteca gravitante sopra il nostro stabile.

 

                Abbiti molta cura della tua sanità, fa' umili ossequi ai mentovati Signori e agli altri nostri insigni benefattori.

 

                Qui tutti ti mandano fraterni saluti ed io ti sarò sempre in G. C.

                Alassio, 20 luglio 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ha più d'un nesso con la precedente l'altra lettera scritta sotto la medesima data a Don Rua. [409]

 

                Carissimo D. Rua,

 

                Ho scritto a D. Ronchail che faccia pure il compromesso per la villa Gautier con obbligo di pagare entro un mese. In qualche modo troveremo.

 

                Per tua norma i nostri collegi soffrono tutti una terribile siccità, quindi non si può sperar niente.

 

                Sabato a sera sarò a Varazze, ivi passerò la Domenica. Lunedì sarò a Sampier d'Arena: mi fermerò quattro giorni per provvedere quibus[156] per D. Albera; per l'altro sabato sarò a Torino, a meno che la malattia di D. Guidazio mi faccia cambiar itinerario.

 

                Mandami sette od otto circolari pei missionari a San Pierd'arena.

 

                La morte di questi ultimi confratelli produsse grave abbattimento in tutti. Preghiamo.

 

                D. Belmonte farebbe bene da direttore a Montevideo?

 

                D. Bruna[157] farebbe alla Trinità?

 

                Dio ci benedica tutti.

 

                Dirai ai chierici e chiericandi che ci propongono tre grandi stabilimenti nel Chili, dove si possono guadagnare migliaia di anime a Dio.

 

                Ti sono in G. C.

 

                Alassio, 20-7-76.

Affezionatissimo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Da Alassio o nell'andare ad Alassio il Servo di Dio fece una gita ad Albissola per confortare la signora Susanna Saettone, già da noi ricordata altrove[158]. E’ indescrivibile la venerazione [410] che questa santa benefattrice nutriva per il Beato e quanto si adoperasse per il collegio di Varazze Di una sua visita fatta quivi a Don Bosco ci rimane una memoria inedita, ,che vogliamo citare. Questo documento risale al '71, quando il Servo di Dio cadde gravemente infermo in quel collegio; in una lettera del coadiutore che lo assisteva leggiamo: “Ieri mattina venne a fargli visita una vecchia signora, che era partita da casa sua mezzo ammalata, solamente per vedere Don Bosco. Se avesse visto che scena commovente, che prova d'affetto! Io che ero presente non potei trattenere le lagrime”[159]. Questa visitatrice era appunto la signora Susanna, come i nostri familiarmente la chiamavano. Dalla casa di lei Don Bosco scrisse alla contessa Corsi, che teneva nella sua villa presso Nizza Monferrato Don Guidazio, bisognoso di cure impossibili ad aversi nell'Oratorio.

 

                Benemerita Sig. Contessa,

 

                Mi fu -detto che il nostro Car.mo D. Guidazio sia piuttosto grave nella sua antica malattia. Io non dubito punto della grande e nota sua carità per noi, e perciò non mi fo a raccomandarlo. Avrei però bisogno di sapere notizie positive ed Ella mi farebbe un gran piacere se mi dicesse:

 

                1) lo stato giusto del suo male, e se dice Messa.

 

                2) Di proibirlo a recitare qualunque piccola porzione di Breviario. Se mi favorisce sua lettera io sono come segue: Fino a sabato ad Alassio, domenica a Varazze; lunedì fino a venerdì a S. Pierdarena.

 

                Scrivo da Albissola dalla casa della pia Susanna che possiamo chiamare la nostra buona Madre di questi paesi. Ella fa cordiali ossequi a Lei ed alla Cont.a Maria.

 

                Si compiaccia di riverire e salutare tanto il mio D. Guidazio, e di assicurarlo che io prego per lui, che non si dia pensiero nè della scuola, nè di altro lavoro, che pensi solo a ristabilirsi e poi coll'aiuto di Dio provvederemo a tutto.

 

                Dio li benedica tutti, e ossequiando tutta la rispettabile sua famiglia ho il piacere di potermi professare

 

                Della S. V. B.

 

Obl.mo come Figlio

Sac. Gio. Bosco. [411]

 

                Il Direttore di Nizza venne a conferire con Don Bosco in Alassio, come si rileva dalla seguente sua lettera.

 

                Carissimo D. Rua,

 

                1° Ricevuta lettera spedita,

 

                2° Parlai con D. Ronchail e prepara e spera[160] con 20 mila lire da Torino.

 

                3° Le case sono spiantate di quattrini. Io porto fran. 3000 in oro prelevati dalla cambiale di D. Fagnano. Cercare altrimenti.

 

                4° Parla un poco col Comm. Duprez per un consiglio, onde scontare il chirografo ipotecario di D. Turco.

 

                5° Sabato, a Dio piacendo, sarò a Torino: spero passare a vedere D. Guidazio.

 

                6° Cerco quibus per l'Ospizio di S. Vincenzo.

 

                Tu puoi comunicare a tutti i nostri giovani che due cacichi o capi di tribù della Patagonia hanno fatto domanda a D. Cagliero che mandi una schiera di Salesiani tra loro, assicurando che non solo non saranno mangiati, ma saranno rispettati ed ascoltati con grande divozione. D. Cagliero coltiva questa pratica con la massima sollecitudine e sapremo i risultati[161].

 

                Saluti a te, ai nostri cari e abbimi sempre in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Da Alassio il Beato fece ritorno a S. Pier d'Arena, dond'era partito. La superiore corrispondenza ci dice abbastanza il bisogno che Doli Bosco aveva di danaro per l'Ospizio di S. Vincenzo, de' Paoli. Là si fabbricava e c'erano da mantenere anche i Figli di Maria, ivi trasferiti come in sede centrale. Oltre a questo egli sentiva la necessità di far presto ad aprirvi una tipografia, nella quale stampare cose che con troppa difficoltà potevano vedere la luce in Torino. La revisione dei libri da stamparsi nell'Oratorio causava fastidiosi incagli nella regolarità delle pubblicazioni periodiche, e molestie non piccole di fronte agli autori. Don Durando, che dirigeva la Biblioteca della Gioventù Italiana, aveva mandato alla Curia due [412] fascicoli da pubblicarsi presto; ma l'Ordinario li volle rivedere egli stesso e dopo notevole attesa li rimandò osservando che, essendo estratti da opere messe all'Indice, bisognava ricorrere a Roma. Realmente questo bisogno non c'era, bastando la sua approvazione. Per fortuna Don Durando, che ci teneva alla puntualità con gli associati, potè cavarsi d'impiccio, perchè aveva in serbo per ogni evenienza un altro lavoro. Riguardo ai due volumi in questione Don Bosco gli disse di scrivere al cardinal De Luca, Prefetto della Sacra Congregazione dell'Indice, prelato tanto benevolo che, appena sapesse la provenienza dei libri, non avrebbe avuto nulla in contrario. Secondo il consueto in simili casi, egli abbozzò a Don Durando la lettera, così concepita: “Essendo desiderato molto nelle scuole il libro tale, affinchè non si abbia a ricorrere all'originale che è all'Indice, si è pensato di farne un estratto che servisse a contentare le esigenze dei professori e che nello stesso tempo nulla contenga di cattivo. Si è presentato qui alla revisione e ci fu rimesso col dirci che il libro non contiene nulla di male, ma che essendo l'autore all'Indice, bisognava ricorrere a Roma. Io conoscendo quanto la E. V. Rev. ecc. ecc.”.

 

                Don Durando eseguì; ma, volendo uscire da quella esosa condizione di cose, insisteva a più non posso perchè Don Bosco affrettasse l'impianto di una tipografia a S. Pier d'Arena, donde i libri si sarebbero mandati per la revisione a Genova: là si era certi di trovare tutte le agevolezze possibili. A Torino una delle difficoltà insormontabili proveniva dalle divergenze in fatto di teorie filosofiche. Diversi professori, che avrebbero fatto stampare le loro produzioni nell'Oratorio, o le davano a tipografie incuranti della revisione ecclesiastica o le mandavano fuori di Torino. Così il professor Allievo, ordinario di Pedagogia nella Regia Università, ricorreva a Milano, perchè a Torino gli tartassavano gli scritti, quando le sue opinioni fossero o sembrassero contrarie alle dottrine rosminiane.

 

                Sono del 27 e 28 giugno due atti arcivescovili, con cui [413] l'Ordinario nomina due delegati a rivedere i fascicoli delle Letture cattoliche. e della Biblioteca dei classici italiani; ma il tenore esce alquanto dalle forme consuete. E giacchè l'argomento vi ci porta, aggiungeremo qui che fin dall'aprile Don Bosco aveva ottenuto da Roma la facoltà di permettere ai suoi religiosi la lettura dei libri proibiti, secondochè a lui sembrasse conveniente[162].

 

                Dopo il trasloco da Marassi a S. Pier d'Arena, l'Ospizio era in via di continuo progresso: da quaranta i giovani toccavano oramai i duecento. Nessuno pochi anni innanzi si sarebbe aspettato tanto. Nessuno, tranne Don Bosco e chi più da presso lo coadiuvava. In una di queste visite, sedendogli intorno a mensa parecchi benefattori e facendosi da taluno le meraviglie per sì felice incremento, il Servo di Dio disse con asseveranza: - I giovani aumenteranno, e un giorno se ne conteran trecento e quattrocento e più ancora. Questa casa per numero e per importanza non sarà da meno dell'Oratorio di Torino.

                Di quattro giorni passati da Don Bosco a S. Pier d'Arena non ci restano che due tenui ricordi in due letterine da lui scritte a Lanzo e a Torino. Scrisse a Don Lemoyne sopra un affare, del quale si occuperà la parte maggiore di questo capo.

 

                Car.mo D. Lemoyne,

 

                Fa pure tutto quello che sai per la festa della ferrovia. Spero che non ci sarà l'ottava delle elezioni municipali[163]. Aggiustati pure a Torino per la musica, purchè il municipio inviti. Se in quel momento sarò a Torino ci vado assai volentieri.

 

                Ti mando una lettera di Mons. Ceccarelli testè ricevuta. D. Cagliero ne scrive pure una assai bella e lunga[164].

 

                Ti prego di salutare D. Barberis e di dire agli ascritti[165] e a tutti [414] i Salesiani, che due Cacichi o due Capi di tribù della Patagonia hanno fatto formale domanda a D. Cagliero, che mandi colà i Missionarii Salesiani, i quali saranno bene accolti. D. Cagliero tratta col governo di questo importantissimo affare. Pare proprio che Dio voglia qualche cosa di grande dai Salesiani. Dio benedica tutta la nostra cara famiglia di Lanzo, e pregate pel vostro in G. C.

 

                S. Pier d'Arena, 25-7-76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Ho ricevuto quanto mila mandato D. Barberis.

 

                L'altra letterina è indirizzata a Don Rua; glie la scrive due giorni prima di rimettersi in viaggio per Torino, dove giunse il sabato 29. Nei ritorni da' suoi viaggi, quando arrivava a Torino sul mezzodì, andava a pranzo dal suo carissimo amico Don Vallauri, sia per non recar disturbo all'Oratorio col ritardo, sia per ultimare là qualche lavoro urgente, a cui, rientrando subito, non avrebbe potuto attendere se non dopo alcune ore.

 

                Carissimo D. Rua,

 

                Ti mando la lettera del Principe Chigi[166], affinchè procuri di dare corso al contenuto, cioè i certificati di D. Cipriano e D. Bodratto.

 

                A pure unita la lettera di D. Ronchail. Fa quello che puoi per mettere insieme danaro e lunedì lo manderemo.

 

                Non posso passare a Nizza per vedere D. Guidazio. Forse farò poi una gita da Torino.

 

                Sabato andrò a pranzo con D. Vallauri. Se puoi, vieni anche tu. Ma scrivi gli un bigliettino., che mi tenga un po' di minestra a parte, perchè, io giungo alle 12.30 meridiane.

 

                S. Pier d'Arena, 27-7-76.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Rientrato da poco nell'Oratorio, Don Bosco ricevette da Roma uno scritto del cardinal Giacomo Antonelli, che grandemente lo consolò, tanto affettuoso n'era il tenore, Quello fu l'ultimo segno di benevolenza datogli dal celebre Segretario [415] di Stato, che il 6 novembre doveva rendere l'anima al Creatore.

 

                Illustrissimo Signore,

 

                Alla sua bontà di cuore ed alla molta amorevolezza che Ella mi porta attribuisco gli auguri da lei indirizzatimi in occasione del ri-torno del mio onomastico. Essi mi tornarono assai cari non dubitando punto della sincerità onde vennero dettati. Di questi e sovratutto delle orazioni che ha fatte in egual congiuntura innalzare al Signore dai giovani alle sue cure affidati, la ringrazio di vero cuore, e nel-l'assicurarla della continuazione della mia benevolenza a suo riguardo, mi pregio confermarle i sensi della mia distinta stima.

Di V. S. Illustrissima

                Roma, 29 luglio 1876-

Aff.mo per servirla

G. Card. Antonelli.

 

                Il Beato amava fare sempre una comparsa nei collegi verso il termine dell'anno scolastico, soprattutto per intratte-nersi a tu per tu con gli alunni delle classi superiori e illuminarli sul punto della vocazione. Anche per questo era stato in Liguria; ma prima ancora aveva visitato i collegi del Piemonte. Infatti in quello di Borgo S. Martino fece la festa di S. Luigi nel giorno in cui cadeva. Non vi giunse però inaspet-tato; per preparare gli animi scrisse alcuni giorni prima a quei giovani, annunziando loro di aver grandi affari da trattare insieme. Se non possediamo la lettera, ci consta che tale notizia, condita com'egli sapeva fare, li mandò in solluchero, sicchè molti gli risposero individualmente, ringraziandolo che tanto bene si ricordasse di loro. Lo ricevettero con grande allegria sotto al bel viale della stazione. Gli alunni della quarta e quinta ginnasiale ebbero - comodità di andargli a parlare. Uno dei convittori che gli espresse il desiderio di appartenere alla Congregazione, fu Pietro Rota da Lu, che nell’autunno seguente cominciò il suo noviziato. Egli resse a lungo un'importante Ispettoria nel Brasile ed ora continua l'opera sua nel Portogallo. Don Rota ci ha recentemente descritta la consolazione che provavano i più attempatelli nell'avvicinare [416] Don Bosco e aprirgli il cuore durante le sue visite al loro collegio. “Oh! gli effetti di quei brevi colloqui, le impressioni incancellabili di qualche espressione, fors'anche di qualche facezia che parevano gettate là a caso!... Don Bosco quasi senza che ce ne avvedessimo, ci conduceva per la via che il Signore ci aveva fissata. E così, senza che me ne accorgessi, quando terminai la quinta. ginnasiale, io non poteva persuadermi della possibilità di lasciare Don Bosco...”[167].

 

                Don Bosco in quella circostanza visitò il paese di Lu, dove un santo parroco diffondeva la Letture Cattoliche e il Servo di Dio era molto conosciuto. Sul principio del mese una giovane madre di famiglia, tal Isabella Grossetti, già disperata da valenti medici chiamati a consulto dalla città, dopo aver fatto ricorso a Maria Ausiliatrice e alle preghiere di Don Bosco, entrata ormai in agonia, con istupore universale era tornata da morte a vita[168]. Quindi Don Bosco vi fu accolto con entusiasmo e parecchie famiglie. si disputarono l'onore di offrirgli la loro ospitalità; ma egli aveva già promesso di andare a pranzo dai Rata. Allora le stesse famiglie, accordatesi fra loro, mandarono là ognuna un piatto confezionato nella propria casa.

 

                Come per Borgo S. Martino, così fece per Lanzo: preavvisò con lettera e poi diede udienze particolari ai “retorici”, ossia agli alunni della quarta e quinta ginnasiale. Ciò fu il 26 giugno; sul resto le memorie del tempo sono mute.

 

                Il Collegio di Valsalice anche quest'anno ci fa parlare di sè per un incidente capitato nella festa di S. Luigi. Il Direttore invitò monsignor Manacorda, Vescovo di Fossano, a compiervi le solenni funzioni, L'Arcivescovo di Torino, appena, saputolo, fece scrivere dal suo segretario a Don Dalmazzo una lettera [417] di biasimo, con l'invito a dare spiegazioni e a chiedere scusa della trasgressione di leggi canoniche. Don Dalmazzo ne informò subito il Vescovo, esprimendogli il proprio rammarico, se mai la cosa dovesse procurare a Sua Eccellenza qualche dispiacere. Monsignor Manacorda, che era uomo di grande schiettezza, si affrettò. a rassicurarlo per qualsiasi eventualità, poichè egli si sentiva nel suo buon diritto; al qual proposito gli citava l'autorità di sommi canonisti e l'autorizzazione che i Vescovi subalpini si erano reciprocamente concessa di pontificare liberamente nelle diocesi l'uno dell'altro[169]. Ulteriori conseguenze del fatto non ci son note. Questo avvenne allorchè si agitava la grossa questione per il manuale dei Cooperatori Salesiani[170].

 

                Ed ora torniamo a Lanzo, dove ci richiama un avvenimento che ebbe il suo quarto d'ora di celebrità, come diremo nel rimanente di questo capo ed anche più innanzi.

 

                Una Società anonima canavese, costituita nel '65, aveva intrapresa la costruzione di una strada ferrata da Torino a Lanzo, lunga 32 chilometri. A poco a poco se ne aprirono i diversi tronchi: il primo da Torino a Venaria e il secondo da Venaria a Caselle nel '68; il terzo fra Caselle e S. Maurizio e il quarto fino a Ciriè nel '69. Rimaneva l'ultimo tronco da Ciriè a Lanzo, che fu condotto a termine solamente nel '76. Per inaugurare questo tratto, che misurava appena 11 chilometri, ma segnava il felice compimento della decennale impresa si volle inscenare una grande dimostrazione politica. Recente era il passaggio del governo dalla destra alla sinistra parlamentare, i cui uomini, atteggiandosi a caldi fautori delle idee di progresso e di libertà, salirono al potere con intenti non solo democratici, ma spiccatamente anticlericali. L'occasione parve assai opportuna per un'esaltazione del nuovo ordine di cose nel cuore del vecchio Piemonte. Fu quindi sollecitato l'intervento del Ministero e si pose mano a grandiosi [418] preparativi, che richiamassero su Torino l'attenzione di tutta l'Italia. Nel programma la cerimonia di Lanzo costituiva naturalmente il numero fondamentale, come quello che rappresenterebbe la ragion d'essere della manifestazione di partito nella capitale storica. Il nome di Don Bosco si. trovò immischiato nell'avvenimento; ma anche in quella congiuntura egli seppe con la sua prudenza incedere per ignes suppositos cineri doloso, accostarsi cioè al fuoco senza lasciarsi scottare.

 

                Negli ultimi giorni di luglio i due sindaci di Torino e di Lanzo andarono a far visita al Direttore del collegio, pregandolo che volesse accogliere sotto i portici del suo ampio edifizio i Ministri del regno e gl'invitati all'inaugurazione; poichè il Municipio locale aveva intenzione di offrir loro un vermut d'onore. Il sindaco torinese Rignon parlava anche a nome del Prefetto Bargoni e degli stessi Ministri, e il sindaco di Lanzo manifestò a nome del Municipio che fuori del collegio nessun altro luogo si prestava convenientemente per intrattenere qualche tempo tanti illustri personaggi. Don Lemoyne condusse quei signori a vedere il posto e il circo stante giardino; disse che, non essendo egli il proprietario, ne avrebbe scritto a Don Bosco, il quale senza dubbio avrebbe acconsentito; non poter quindi egli dare una risposta definitiva. Entrambi trovarono ragionevole la sua osservazione. Appena licenziatili, informò di tutto il Beato, che era a S. Pier d'Arena e dal quale a giro di posta ebbe carta bianca per tutto l'affare; gli promise anzi che, se si fosse allora trovato a Torino, vi sarebbe egli pure intervenuto[171].

 

                L'inaugurazione si fece la domenica 6 agosto. Don Bosco era lassù dal giorno innanzi e con lui la banda musicale del l'Oratorio. Viaggiò con il solo coadiutore Barale a fianco; questi ricorda ancora molto bene che il Servo di Dio gli ragionò a lungo del dovere cristiano di rispettare le autorità [419] costituite. A sì breve distanza dai fatti del '70, quanto era facile che i contatti degli uomini di Chiesa con uomini del governo dessero motivo o pretesto a critiche e a male interpretazioni!

 

                Il collegio fu ornato meglio che si potè. Da ogni colonna pendeva una bandiera come quelle delle Crociate; tendine rosse e bianche velavano lo spazio fra colonna e colonna. Al centro dei portici sorgeva un padiglione col ritratto del Re Vittorio Emanuele II fra bandiere tricolori; sotto il ritratto una vaga colonnetta sosteneva un bellissimo mazzo di fiori del diametro di un metro e cinquanta. I fiori formavano l'arma di Lanzo; sulla fascia dell'orlo, da un fondo di gerani rossi, spiccava questa scritta a margheritine bianche: Il Collegio. Felicità a tutti. A destra e a sinistra dei fiori stavano disposti molti seggioloni. Larghi tappeti coprivano il pavimento. Di qua e di là dei seggioloni correvano due lunghe file di tavole, coperte di candide tovaglie per il vermut offerto dal Municipio. Il palco per la musica era eretto ai piedi dello scalone verso la piazza di S. Pietro.

 

                Un annunzio ufficiale faceva attendere il principe Amedeo, Duca d'Aosta; ma all'ultima ora egli non potè intervenire.

 

                Ai piedi dell'altura, su cui sta adagiato il paese, e fra il verde degli alberi, il Municipio aveva fatto costrurre in legno un salone coperto di vela a strisce bianche e turchine per la colazione.

 

                La giornata sorse splendida. Alle otto e mezza comparve il convoglio, che recava tre Ministri: Depretis, Presidente del Consiglio; Nicòtera, dell'Interno; Zanardelli, dei Lavori pubblici, rappresentante del Re. Il Vicario foraneo della parrocchia teologo Federico Albert con otto chierici del, collegio, tutti in cotta, attendevano schierati nel punto di arrivo. Un battaglione del genio ferroviario presentava le armi. Discesi i Ministri e gl'invitati, in numero di circa quattrocento, il Vicario benedisse il treno e, da quel sacerdote dotto e pio ch'egli era, pronunciò brevi, ma eloquenti e sante parole. [420] Quindi il clero si ritirò, mentre i soldati, salendo verso il paese,. facevano ala al corteggio, che ordinato si avanzava passando sotto un maestoso arco trionfale Apriva la lunga fila uno squadrone dì carabinieri a cavallo, seguito da una schiera di carabinieri a piedi. Dipoi la musica del paese e il sindaco precedevano il gruppo dei tre Ministri, a cui venivano dietro il Prefetto della Provincia e il sindaco di Torino, e poi consiglieri comunali, senatori, deputati, giornalisti, un vero esercito di personalità convenute anche da parti d'Italia lontane. Innanzi all'ospedale la testa del corteo si fermò, i Ministri vi entrarono e vi stettero un cinque minuti indi l'incesso proseguì. Nella piazza di S., Pietro stipata di gente il Vicario attendeva il rappresentante dei Re sotto un padiglione con i giovanetti della sua colonia agricola, l'asilo infantile, l'ospizio delle fanciulle e il collegio femminile. Dopo un complimento che durò un istante, s'arrivò al portone del collegio.

 

                La banda comunale continuava a sonare; ma, udito il rullo del tamburo dalla parte della banda salesiana, cessò all'istante. Allora questa, che era in attesa all'entrata dell'istituto, intonò la marcia reale. I carabinieri a cavallo si collocarono da un lato dell'ingresso; quelli a piedi entrarono e fecero ala. I nostri sonatori con abile mossa si trasportarono nel cortile. Don Bosco e Don Lemoyne in ferraiolo attendevano sulla soglia. Zanardelli nell'atto di varcarla si volse a Don Bosco e gli chiese

 

                - Scusi, Signore, Don Bosco sarebbe per caso qui?

 

                - Sono io rispose Don Bosco.

 

                E tosto riverenze reciproche con i Ministri e strette di mano. Le loro Eccellenze stavano un po' sul sostenuto. Entrarono nell'atrio. I giovani in divisa, ben ordinati in quattro compagnie, si stendevano da un capo all'altro del cortile, allineati in doppia fila e volgendo le spalle ai portici. Fra le due compagnie del centro si apriva il passaggio. Al comando del maestro di ginnastica tutti i giovani si tolsero il berretto e gridarono [421] un formidabile evviva. I Ministri salutarono e passarono sotto i portici. L'apparato presentava un così vago aspetto, che fu un oh! generale di meraviglia. Le autorità del paese non indugiarono a cercare del Direttore, a. cui strinsero la mano e resero grazie di quanto aveva fatto per l'onore di Lanzo. Gli occhi di tutti ammiravano il magnifico mazzo di fiori. Intanto il maestro di. ginnastica aveva comandato ai giovani il fronte indietro! e le quattro compagnie eseguirono quel movimento con sì perfetta simultaneità e precisione, che gli ufficiali dei carabinieri dissero loro: Bravi!

 

                La banda che aveva raggiunto il suo posto, ed i cantori che le si erano collocati di fronte, diedero principio all'esecuzione dell'inno, scritto da Don Lemoyne e musicato da Dogliani. Ai primi squilli d'introduzione, i Ministri fecero cenno ai presenti di tacere, perchè parlavano tutti a voce alta, e per meglio udire andarono presso i cantori. Di stupendo effetto riuscì un pezzo a quattro voci, eseguito da Don Lazzero, dal coadiutore Pelazza e da due giovanetti. Gli spettatori ruppero in applausi prolungati. Servito che fu il vermut, quasi tutti salirono nel giardino preceduti da Don Bosco, che era accompagnato dai Ministri. Questi non lo lasciarono più fino alla partenza.

 

                A ponente del giardino, proprio nell'angolo sotto il quale scorre la Stura, un piccolo ripiano con un tavolino di pietra nel centro invitava ad arrestarsi per godere il delizioso panorama. Là i principali personaggi si fermarono, sedendo chi sul basso del muro di cinta, chi sul tavolino, chi sull'erba: vi erano Nicotera, Depretis, Zanardelli, Spantigati, Ercole, Ricotti e molti altri, e in mezzo a tutti Don Bosco. Il resto della rumorosa comitiva o passeggiava per i viali o faceva crocchi sotto i portici. Intanto, nell'angoletto dello stato maggiore, fra allegre risate si accese una conversazione a botte e risposte, che merita di essere riferita.

 

                Nicotera fu colui che aperse il fuoco, rivolgendo la parola a Don Bosco [422]

 

                - Ebbene, signor Don Bosco, lei viaggia piuttosto molto. - Certamente, rispose Don Bosco, sono obbligato di andare a far visita ai miei collegi due o tre volte all'anno.

 

                - E a Roma va pure sovente?

 

                - Certo, vi fui più volte.

 

                - Noi sappiamo che lei va anche in Vaticano.

 

                - E perchè no? E’ quello il luogo dei preti. Dove vorrebbe che io andassi a Roma?

 

                - Dicono che lei ha una relazione piuttosto intima con il Papa.

 

                - Io vado a vedere il Sommo Pontefice, il quale mi riceve sempre con grande bontà. Ho relazioni più o meno avanzate con lui, secondochè Sua Santità si compiace di concedermi. D'altra parte ho anche libero accesso ai Ministeri. Io andava a fare le mie commissioni, e i Ministri non mi facevano aspettare in anticamera, ma venivo subito introdotto. Uscito dal Ministero, ritornava immediatamente dal Santo Padre e senza dover fare anticamera poteva trattare con lui di alcuni affari, e in questo modo si aggiustarono varie cose. Posso anche dire che Sua Santità poneva in me una confidenza speciale e nei limiti stabiliti mi lasciava pieni poteri di trattare. Anche Sua Eccellenza il Ministro Vigliani aveva con me una straordinaria confidenza, lasciandomi in tante cose una libertà quasi intera, sebbene sapesse che io era papalino più dello stesso Papa.

                Qui il deputato Ferraris lo interruppe dicendo: - E' vero, è vero! Io posso fare testimonianza delle parole che disse Vigliani, quando abbandonò il Ministero. Disse precisamente così: " Tengano prezioso Don Bosco, è forse l'uomo che può rendere i più grandi servigi allo Stato ".-

                - Io poi, proseguì Don Bosco, accettava commissioni d'ogni genere; e posso anche dire che il Papa mi lasciava parlare senza interrompermi, anche in quelle cose che più gli ripugnavano. Solo, io non voleva commissioni ufficiali. Molte cose però erano. state intraprese d'intesa con Vigliani; [423] ma per l'imprudenza di qualcuno non poterono essere attuate. - Le parole di Don Bosco, che con tanta semplicità discorreva di cose importantissime, erano ascoltate in mezzo a generale silenzio.

 

                - Ohi, Ohi! fece Nicotera. Lei, Don Bosco, non dice tutto quello che pensa...

 

                - Io? e perchè?

 

                - Perchè è troppo furbo!

 

                - Dove mai vogliono che stia la mia furbizia? Quello che ho nel cuore, ho sul labbro. Non vi è segreto palesabile che io non dica a tutti. Tutto quello che io voglio fare, lo sa fin l'ultimo giovane delle nostre case. Se la furberia consiste in questo, allora io posso credere di essere veramente furbo. In quanto a religione, sono col Papa, e me ne vanto.

 

                - E in quanto alle cose moderne? insinuò Nicotera.

 

                - Io obbedisco alle autorità costituite!

 

                - Eppure, mi sembra che lei, Don Bosco, non ci dica tutto.

 

                - Scusi, signore: dal modo col quale parlo, possono accorgersi come io non sia qui per adulare, ma da uomo franco e leale faccio sempre conoscere i miei sentimenti. Tutti sanno come la pensa Don Bosco.

                A questo punto il senatore Ricotti, lo storico, prese la parola e disse a Don Bosco: - Tutto va bene; ma Don Bosco ha due punti neri in faccia al Ministero della sinistra.

 

                - Mi favorirebbe d'indicarmi quali? Così potrei vedere se sono torti emendabili.

 

                - Il primo è che fa troppi preti.

 

                - E il secondo?

 

                - Troppi professori.

 

                - Ma, signor Senatore, non trovo in che cosa io abbia torto qui. In quanto al primo punto, nulla dirò in mia difesa. Coloro che io faccio preti, non sono troppi; anzi sono pochi in confronto del numero grandissimo di quelli, che sono entrati negli uffici dello Stato, nella milizia, nelle professioni [424] dotte, nelle arti e nei mestieri Non capisco però come ella possa dire che un, prete si faccia torto, cercando d'istruire altri, perchè lo aiutino nel suo ministero. Io credo che dal primo all'ultimo quei signori che sono qui e che mi ascoltano desidererebbero d'infondere in molti il loro spirito e tirar su nel maggior numero possibile uomini simili a sè, intenti specialmente al bene pubblico. Quindi è naturale che un prete voglia fare altri preti. Che direbbero di un militare, che non cercasse di far buoni militari? Un medico desidera di formare molti medici valenti! Così un avvocato. Quindi ella, signor Professore, non deve imputarmi a colpa, se cerco d'infondere il mio. spirito in altri, allevando uomini che mi rassomiglino, intenti unicamente nella nostra umile sfera a beneficare i nostri simili. Loro stessi mi rimprovererebbero, se io fossi insensibile su questo punto. Se trascurassi di far preti, si direbbe che io non amo la mia divisa.

 

                - Don Bosco ha ragione, risposero a pieno coro tutti i Ministri, sempre più incantati da quel linguaggio così schietto e soprattutto dal tono che rivelava la massima sincerità.

 

                - In quanto al secondo punto, sono io che faccio troppi professori? Chi mi costringe a far questo? Lei, signor Ricotti, il quale, sostenendo nel Parlamento le leggi sulle patenti, mi ci ha tirato per i capelli. Io non cerco altro che di poter obbedire ad una legge che mi hanno imposta. Se si vuole tenere aperto un collegio, bisogna procurarsi buone patenti o diplomi o lauree. Se Vossignoria crede che l'adoperarsi a più non posso per mettere in pratica una legge dello Stato sia un torto, allora io mi terrei troppo glorioso d'aver questo torto, e sono più che persuaso che tutti convengano con me anche su questo punto. E poi è una vera necessità. Guai, se nei miei collegi non ci fossero patenti! Questi Signori (e accennava con un sorriso i ministri mi servirebbero per le feste!

 

                - Don Bosco ci chiude la bocca, replicarono i Ministri. Don Bosco ha  ragione!  [425] Si passò quindi a qualche scherzo. - Dica un po', Don Bosco, uscì a. dire il deputato Ercole: lei che legge nei cuori... fra Nicotera e Zanardelli chi è maggior peccatore?

 

                Che cosa vogliono che io dica? Se ho da rispondere alle apparenze, esse molte volte ingannano; perciò non offrono un criterio sicuro, sul quale io mi possa basare. Se guardo all'interno, io non li conosco, e perciò non posso dire.

 

                - Ma dica, dica: che opinione ha di noi due?

 

                - Signori miei, io credo che siano galantuomini.

 

                - Venga al particolare.

 

                - Io ho stima di tutti due. Il signor Zanardelli è un valente avvocato, della cui fama è omai piena l'Italia. Lei poi è famoso per lavori di statistica, che io ho imparato ad apprezzare molto.

 

                - Non mi scappi, Don Bosco, tornò a dire Ercole; risponda alla mia domanda: chi è più peccatore?

 

                - Ella mi mette nell'imbroglio. Che cosa vuole? Ripeto che se io li guardo dal lato della scienza, io trovo che entrambi sono celebri per la loro fama; se dal lato dell'attività e pratica nel disbrigo degli affari, io dico che sono vere rarità e che ben difficilmente trovino chi li somigli; ma se. mi chiede dal lato morale, io per ora non saprei come cavarmela a dar risposta, perchè io non li conosco.

                Allora Nicotera, rivolto ad Ercole, esclamò: - Oh, perchè vuoi mettere me per termine, di paragone? Io non c'entro, sai! Domanda invece a Don Bosco, se tu sei più peccatore degli altri.

 

                - Non ho mica voglia di convertirmi io! rispose Ercole.

 

                - Ebbene, replicò Nicotera, tu sei più peccatore di me, perchè conosci il male e lo fai. Non sai come sta scritto nella Bibbia? Desiderium peccatorum peribit. Che cosa ne dice Don Bosco?

 

                - Che cosa vogliono che io aggiunga ancora, mentre mi tolgono la parola di bocca? Del resto, per conoscere uno, bisognerebbe che venisse qui non per un'oretta,. ma per [426] fare gli esercizi spirituali. Pensasse alla vita passata; alla morte, con la quale finisce la scena di questo mondo; alla vanità delle cose terrene e alla preziosità delle cose celesti; ai giudizi di Dio; all'eternità... Pensasse che in punto di morte quello che darà contentezza, sarà il bene fatto, e che tutte le altre cose non daranno che angustie... Dopo tutte queste riflessioni, se costui facesse una sincera confessione generale, allora potrei dare giudizio del suo interno.

 

                - Ma dica un po': ella crede che noi ci salveremo? lo interrogò qualcuno a mo' di chi vuol dire una facezia.

 

                - Eh! io lo voglio sperare, perchè la grazia e la misericordia del Signore è così grande...

 

                - Ma noi non abbiamo voglia di convertirci tanto in fretta!

 

                - Vorranno dire che desidererebbero bensì dì essere convertiti... ma tuttavia continuando... oppure lo desidererebbero, ma non si sentono...

 

                - Sì, per l'appunto, è così.

 

                - E allora io non avrei altro a rispondere, se non ciò che ha detto quel signore poco fa: desiderium... con quel che segue.

 

                - Sì, sì, questo va bene per te,. sai, Nicotera! disse uno.

 

                - Anzi per te, - replicò un altro.

 

                Finalmente questo discorso cadde e si entrò in diversi argomenti, di cui non fu serbata memoria, ma nei quali sappiamo che Don Bosco non lasciava a tempo opportuno di far sentire qualche verità salutare ed anche scottante. Tuttavia la sua parola amorevole, la semplicità delle sue maniere escludeva ogni punta di acrimonia o di offesa personale; sicchè gli stavano attorno attenti, scherzando, ma senza che nel loro scherzi si udisse motto o si vedesse tratto che sapesse di spregio. Don Bosco insomma li aveva completamente soggiogati. Zanardelli quel giorno era sofferente, non appariva se per interna angustia che lo tormentasse o perchè travagliato da qualche malessere fisico. [427]

 

                - Lei non si sente troppo bene? gli chiese Don Bosco.

                - Eh, no, Signore! gli rispose Zanardelli sospirando.

 

                - Allora procuri di guarire! - Queste parole del Servo di Dio, come attesta Don Lemoyne che era presente e vide, fecero su Zanardelli un effetto strano. Lo sguardo di Don Bosco, osserva il medesimo Don Lemoyne, in tali circostanze diceva quello che la bocca non proferiva.

 

                Nicotera aveva colto un fiore e se l'era messo all'occhiello dell'abito e ve lo tenne poi tutto il giorno. Il fatto fu notato dai giornalisti, i quali dissero che in questo il Ministro aveva voluto significare amore e stima per Don Bosco.

 

                A poco a poco deputati, senatori e altri in buon numero avevano riempito quello spazio e commentavano simpaticamente la familiarità e graziosità di modi, con cui Don Bosco s'intratteneva coi Ministri, seduto in mezzo a loro. Egli infatti fu l'unico che abbia rappresentato una parte notevole allora in Lanzo, poichè le autorità del paese si erano eclissate interamente.

 

                Mentre si teneva così circolo in giardino, nel cortile si alternavano sonate della banda ed esercitazioni ginnastiche degli alunni. I giovani la sera innanzi erano stati esortati a far onore al collegio con la loro obbedienza, e specialmente col non abbandonare le file senz'averne l'ordine, perchè questo avrebbe fatto piacere a Don Bosco. Osservarono la consegna in modo inappuntabile, sebbene tanti genitori accorsi alla festa cercassero di trarre fuori i loro figli: padri e madri per un'ora e mezza non ne smossero neppur uno dal suo posto. Gli ospiti illustri si aggiravano per il cortile, li osservavano con interessamento speciale, cercavano di conoscere quelli delle loro terre e li salutavano affettuosamente. Alla fine ecco scendere i Ministri seguiti da tutto il corteggio, e con loro Don Bosco, che teneva per mano da una parte Nicotera e dall'altra Zanardelli; Depretis veniva dietro. Questi non aveva quasi mai aperto bocca.

 

                Il gruppo si diresse là dov'erano i seggioloni disposti a [428] semicerchio. I Ministri fecero sedere Don Bosco nel centro; ai suoi fianchi sedettero Nicotera, Ercole e Ricotti. Depretis stette in piedi appoggiato al seggiolone di Don Bosco; Zanardelli andò a prendersi una sedia e venne a porsegli dinanzi chiudendo così il circolo. Don Bosco apparve così il re della festa. La Commissione ordinatrice aveva stabilito che i Ministri si sarebbero fermati in collegio un venti minuti; invece vi stettero un'ora e mezza. Si presentò più volte il sindaco a dire che era tempo; ma essi rispondevano: - Ancora un momento!

                Verso le undici i Ministri si alzarono e, con le più cordiali istanze invitarono Don Bosco alla colazione; ma egli ricusò ringraziando. Erano divenuti espansivi, allegrissimi e quasi affettuosi. Si mostrarono soddisfatti al sommo delle accoglienze avute. Zanardelli manifestò il suo più vivo compiacimento., Nicotera, accomiatandosi, disse alto, che tutti udirono: - Ho provato un contento grandissimo. Sì, una soddisfazione di quelle che si provano forse una sol volta nella vita.

 

                - Eccetto che, riprese Zanardelli, venissimo un'altra volta ricevuti nei collegi di Don Bosco. - Zanardelli poi, avendo visto nell'uscire dal collegio il professore salesiano Don Albano mescolato alla calca, messegli le mani sulle spalle come in atto di abbracciarlo, gli disse curvandosi verso il suo orecchio: - Dica a Don Bosco che non potrei essere soddisfatto più di quello che sono del ricevimento avuto nel collegio; glielo dica che mi farà piacere. Saluti da parte mia questi cari giovani. Dica loro che mai e poi mai mi dimenticherò di essi. Ringrazi i Superiori, gli allievi, i musici, i cantori da parte di tutti noi. I versi. della poesia un po' li ho già imparati a memoria e gli altri sarà mio dovere impararli. Non li voglio dimenticare più e li porterò stampati nel cuore. Dica, dica, sa, tutte queste cose e non si dimentichi. Io farò per il collegio tutto quello che potrò. Ciò detto, si unì ai colleghi che si. avviavano per uscire. Don [429] Bosco li accompagnò fino a metà della piazza e dopo ripetute proteste di buona memoria e inchini e strette di mano, ritornò indietro.

 

                Egli era visibilmente contento. Dopo pranzo, seduto sul gran seggiolone là sotto i portici e attorniato da chierici e preti, manifestò impressioni e idee che vennero raccolte: alcune specialmente sono degne di passare alla storia.

 

                - Io credo, diss'egli, che da molto tempo quei Ministri e Deputati non sentivano più tante prediche quante ne sentirono a Lanzo, Per una parte sono anche povera gente, che non sì sentono mai dire una parola col cuore, nè una verità espressa in modo da non inasprirli. lo li ho ricevuti cordialmente e ho detto loro col cuore alla mano, quanto l’occasione mi suggeriva; ed anche quelle verità che senza offenderli poteva dir loro, le ho dette tutte e nella maniera più schietta. Forse non hanno mai fatti esercizi spirituali; ma credo che questa volta, anche senz'andare a S. Ignazio, ne abbiamo fatto una muta.

 

                - Del resto io non poteva immaginare che questa festa sarebbe riuscita così imponente e che avrebbe messo in apprensione chicchessia. Io per me non mi sono sconcertato più di quando mi trovo in mezzo ai miei giovani, ed. ho parlato con quei signori con la stessa schiettezza e familiarità. Essi facevano molte domande, una incalzava l'altra, e io rideva. Essi credevano che io ridessi per le domande strane che mi facevano, mentre io non poteva trattenere le risa nel vedermi là, in mezzo a tanta gente come il protoquamquam; e nell'ascoltare le domande e dare le risposte andava pensando a quella mia strana posizione.

 

                - E trovavo d'aver fatto bene a venire a Lanzo. Povero Direttore! in che imbrogli si sarebbe trovato! Come avrebbe potuto rispondere a tante interrogazioni subdole, maligne ed anche provocanti, che gli avrebbero mosse? O sarebbe restato impacciato, o diveniva loro zimbello, o si sarebbe irritato, ed ecco una sconvenienza. A difficile per chi non è [430] assuefatto, usare una sana prudenza in mezzo a costoro, che sono soliti a tenere il prete per un essere da aversi in niun conto. Ecco perchè io sono venuto, essendo questa visita inevitabile; perchè solo Don Bosco poteva sostenere questi dialoghi. E come si poteva, per esempio, negare ospitalità ai Ministri, avendola essi stessi chiesta? Pensate che rumore avrebbe destato una nostra negativa! Poteva venirne per  conseguenza la chiusura del collegio. Noi però non avevamo nessun motivo di rifiutarci. Siamo negli antichi Stati, si aspettava il Duca Amedeo, venne Zanardelli rappresentante del Re. Dovendo riceverlo bisognava accoglierlo in quel modo che fosse conveniente; quindi la musica non era fuori di posto. La festa non aveva, nessun carattere di dimostrazione ostile alla Chiesa, nessun proclama era stato fatto in questo senso. Dunque ciò che è stato fatto, è stato ben fatto. Noi abbiamo quel detto evangelico: Date a Cesare quel che è di Cesare. E anche questo va eseguito. Null'altro abbiamo fatto fuorchè prestare ossequio ad un'autorità costituita.

 

                - Abbiamo ancora ottenuto, io spero, qualche altro vantaggio. Credo che costoro non saranno mai più nemici acerrimi dei preti. Essendosi accorti che io li trattava col cuore, si persuaderanno facilmente che molti preti altro non desiderano se non il bene di tutti. Io credo che in punto di morte avranno tutti il desiderio di avere un prete accanto al loro letto. -

 

                Infatti al banchetto con tanti discorsi che si fecero, non si udì parola che menomamente offendesse la religione. Nè il ricordo di Don Bosco si scancellò più dalla memoria dei Ministri, come si vide per prova in diverse occasioni.

 

                Il rumore dell'avvenimento aumentò la riputazione del collegio, che nell'anno scolastico successivo accolse 208 convittori.

 

                E' doveroso però aggiungere che il Direttore Don Lemoyne godeva tutta la stima e la fiducia dei parenti. Gli [431] alunni lo amavano come un padre. In una solenne occasione un ex-allievo, ricordandolo con parole piene di tenerezza, additava sotto il porticato del cortiletto superiore la rustica panca, dove il buon Direttore, attorniato dai giovani, soleva sedere narrando fatti edificanti con quell'arte di bel conversare che era sua invidiabile dote.

 

 

CAPO XV. Soci defunti nel 1876.

 

                Il farci a parlare dei soci defunti nel 1876 non crediamo che sia in queste Memorie un uscire dal solco. Infatti essi chi più chi meno vissero tutti in relazione con Don Bosco, sicchè non è possibile parlare di alcuno senza imbattersi nel Servo di Dio; inoltre i dati che abbiamo potuto raccogliere della loro vita ci forniscono un materiale assai prezioso per formarci un giudizio esatto sullo spirito, che allora circolava fra i membri della Congregazione e che era poi in buona sostanza spirito di Don Bosco: giacchè noli bisogna dimenticare che in quel tempo Don Bosco non aveva ancora ceduto il suo mantello a nessun Eliseo, e si è visto abbastanza qui sopra com'egli nella sua crescente famiglia continuasse a essere il grande animatore e come tutti da lui direttamente o indirettamente togliessero ispirazione e impulso. Ecco perchè non ci sembra tempo perso l'indugiarci un tantino a discorrere di tre chierici e due preti salesiani chiamati da Dio all'eternità nel corso di quest'anno.

 

                I chierici provenivano tutti tre dai nostri collegi, dove avevano compiuto il loro ginnasio fino alla quinta classe inclusa. Il primo, Giacomo Piacentino, nativo di Rochetta Tanaro, studiò a Lanzo e vestì l'abito nel '70, a diciotto anni di età. In quei primordi Don Bosco pigliava chierici già maturi, e capaci per mandarli poco dopo la vestizione [433] nelle case, affidandoli ai Direttori locali, perchè, mentre li occupavano in qualche cosa, li aiutassero a fare il noviziato e gli studi. Egli però non li perdeva di vista, ma faceva in modo che si sentissero sempre sotto il suo salutare influsso. Così Piacentino fu mandato quasi subito a Borgo, in un primo anno come assistente e nel secondo come maestro della terza elementare; indi, richiamato all'Oratorio, vi rimase fino agli ultimi suoi giorni assistente degli artigiani. Alla sua ingegnosa attività si dovette se nel '76 gli artigiani furono in grado di gareggiare da soli con gli studenti nelle rappresentazioni drammatiche, cosa non mai tentata per l'addietro. Quando già i suoi studi teologici erano abbastanza inoltrati e s'avvicinava il tempo delle sacre ordinazioni, parenti e amici gli mossero ripetuti assalti per trarlo fuori della Congregazione, facendogli balenare allo sguardo un più comodo avvenire; ma egli resistette energicamente, anzi, per iscansare ogni pericolo, dopo la professione religiosa, non aveva più voluto recarsi al paese. Nel maggio del '76 lo colse un malessere generale, che minacciava di prostrarne le forze. I Superiori lo inviarono ad Alassio nella speranza che l'aria mite della riviera giovasse a rimetterlo in salute; ma nel luglio seguente, purificato dalle sofferenze, se ne volò al Paradiso. La memoria del suo zelo indefesso per il bene degli artigiani gli sopravvisse a lungo nell'Oratorio.

 

                Della città e del collegio di Alassio fu un altro chierico per nome Antonio Vallega, spentosi a Noli in Liguria presso i parenti tre mesi prima di Piacentino. A sette anni era guarito da una gravissima infermità per intercessione di Maria Immacolata, la qual grazia contribuì a renderlo pio e tutto dedito alle cose del Signore. Riusciva splendidamente negli studi; agli esami di licenza dati nel regio Ginnasio Monviso di Torino, riportò la palma su tutti i numerosi candidati interni ed esterni. Ascritto alla Congregazione, attese con ardore al proprio avanzamento nella perfezione e nel sapere. In un libretto, che Don Barberis conservò, segnava al termine [434] di ogni mese mancanze e propositi. Ivi, fatta la professione dopo l'approvazione delle Regole, scrisse queste parole: “Co' voti ho reso l'anima e il corpo tempio vivo dello Spirito Santo. Adunque voglio che questo tempio sia sempre puro e mondo”. Nel gennaio del '75 gli si rincrudì un malore, che soffriva già prima di ascriversi alla Congregazione, e che lo portò irrimediabilmente al sepolcro. Ancora la sera che ne precedette la morte, ringraziava dinanzi a Don Cerruti il Signore d'averlo chiamato alla Congregazione e pregò vivamente il Direttore di dirlo a Don Bosco e di aggiungergli che egli era sempre ai suoi ordini per andare alle Missioni, se fosse piaciuto a Dio di mantenerlo in vita.

 

                L'8 settembre partì per l'eternità il “prezioso” chierico Giacomo Vigliocco: tale lo qualificò Don Bosco, notificandone a Don Cagliero la perdita[172]. Era di Barone, villaggio della diocesi d'Ivrea. Possedette fin da ragazzo un raro spirito d'orazione; in casa e nel collegio di Caluso, dove cominciò il corso classico, fu sorpreso talora sia di giorno che di notte appartato e assorto in preghiera. Aspirava al sacerdozio. Udendo un suo maestro a parlare dell'Oratorio, ne fu talmente invaghito, che volle venire a terminarvi il ginnasio. Era nei sedici anni. Di statura più che mezzana, pallidetto in volto, con aria semplice e tagliato piuttosto alla buona, vestito dimessamente ma pulito, parve a quel Direttore degli studi che fosse per principiare il corso ginnasiale; onde, senza nemmeno interrogarlo, lo condusse nella sezione inferiore della prima classe. Egli non fiatò, ma se ne stette là tranquillamente tutto il giorno; solo l'indomani dal còmpito fu scoperto lo sbaglio. Svegliato d'ingegno, primeggiò nella quinta. La sua pietà gli aperse tosto le porte alle Compagnie di S. Luigi e del Santissimo Sacramento, e poi lo fece aggregare a quella dell'Immacolata Concezione, riserbata agli ottimi. Giunta l'ora di decidere sulla vocazione, non istette in forse. [435]

 

                A persone distinte e influenti, che si presentarono a contrariarlo, disse che nelle cose della vocazione si ascolta soltanto la voce della coscienza e la parola del proprio direttore spirituale. Novizio, si mise interamente nelle mani del Maestro, il quale, dovendone dare relazione scritta a Don Bosco, non esitò a proclamarlo “il buon esempio del noviziato” e “un vero S. Luigi”.

 

                Uno de' suoi primi pensieri fu quello d'imparar a meditare. Lesse, interrogò e alla fine si attenne a questo metodo. Sul principio, nel porsi alla presenza di Dio, si figurava che Gesù Crocifisso gli stesse dinanzi e che dalla croce amorosamente lo osservasse. Nel corso della meditazione dava di tratto in tratto sguardi della mente al Crocifisso, immaginandosi di riceverne incoraggiamenti a considerar bene la verità che meditava. Infine pregava Gesù, che lasciasse cadere su di lui qualche goccia del suo preziosissimo sangue, come pegno di perdono e di grazia. Chiudeva la meditazione col formare buoni proponimenti. Da quel pensiero continuo a Gesù Crocifisso durante la meditazione si sentiva sospinto a scrutare ben bene il suo cuore e a prendere forti risoluzioni.

 

                Conobbe a pieno il valore dell'obbedienza. Un compagno gli manifestò le proprie antipatie verso un superiore immediato; Vigliocco prese a svolgergli l'insegnamento di S. Alfonso essere per lo più una gran fortuna l'avere un superiore che ci sembri pieno di difetti, potendosi così vedere se siamo veri obbedienti o no, se cioè obbediamo all'uomo perchè ci piace, o a Dio, di cui quegli fa le veci. In fatto di obbedienza non c'erano per lui cose piccole; avvenendogli di mancare in coserelle di nessuna conseguenza, se ne accusava al superiore. Conobbe anche la preziosità del tempo. Non amava discorrere di cose inutili. Diceva suo diletto e sua ricreazione lo studio, al quale si applicava con tanta intensità da non accorgersi di quello che si facesse attorno a lui. Don Bosco. che aveva bisogno di un insegnate buono e bravo per i Figli di Maria, pose sopra di lui gli occhi, nè s'ingannò nella scelta. [436] Gli piaceva assai e fece sua la massima del Beato, che fa molto chi fa poco, ma fa quel che deve fare, mentre fa poco chi fa molto, ma non fa quel che deve fare.

 

                Quello che maggiormente lo attrasse alla Congregazione e ve lo affezionò, fu il vedere come fosse suo oggetto primario occuparsi della gioventù povera e abbandonata. Egli ardeva d'istruire nella religione e condurre al bene i più tapini. Per due quaresime consecutive, finita la scuola, correva quotidianamente a fare il catechismo nell'Oratorio di S. Luigi presso Porta Nuova. Vi premetteva una preparazione molto accurata. I giovani gli volevano così bene, che i suoi oratoriani erano fra i più assidui nella frequenza e fra i più disciplinati e silenziosi durante la lezione. Ogni domenica dell'anno poi, non contento di affaticarsi in chiesa, dopo, quando gli altri catechisti uscivano a prendere un po' di sollievo,. radunava i più volonterosi e insegnava loro a servire la Messa. Don Guanella, che dirigeva i Figli di Maria e l'Oratorio di san Luigi e quindi ebbe a cooperatore il chierico Vigliocco, in una sua relazione sul tempo passato con Don Bosco, scritta dopo la morte del Beato, dice di lui che “era un virtuosissimo giovane”.

 

                Il suo ardore di catechizzare crebbe, allorchè Don Bosco incominciò a parlare di Missioni e di Missionari: bramoso di andar missionario, si pensava di fare nell'oratorio festivo il suo tirocinio. Presentò a Don Bosco formale domanda di partecipare alla prima spedizione. Nella sua lettera che porta la data del 2 febbraio 1875, scriveva: “Ben conosco la pochezza mia e il nonnulla in cui potrò aiutare; ma se Dio mi assiste, oh, qualche cosa farò anch'io! Dacchè sono l'ultimo dei suoi figliuoli, voglio almeno essere il primo a testimoniargliene il grande mio desiderio. La volontà di. far del bene al prossimo, Reverendissimo Padre, è in me straordinaria, nè mi spaventano disagi e fatiche, e ad una Sua voce son pronto ad andare anche in capo al mondo”.

 

                Ma altro disponeva di lui la Divina Provvidenza. La sua [437] sanità che deperiva sensibilmente, destò serie inquietudini. Alleggerito della scuola, fu mandato a villeggiare sui colli di Soperga; indi per desiderio de' suoi andò all'aria nativa. Là raccoglieva i ragazzi del paese e dei dintorni per insegnar loro la dottrina cristiana, nè smise di farlo, finchè il male. non lo condannò a tenere il letto. Don Bosco che lo amava teneramente, non potendo visitarlo in persona, mandò a lui Don Rua. Spirò la mattina della Natività di Maria Santissima. Il suo parroco, domandandogli qualche giorno innanzi se la morte gli facesse paura, n'ebbe in risposta: “Oh, io spero che non temerò la morte quando mi si avvicini, nè mi farà paura, perchè in tutti i mesi ho sempre fatto l'esercizio della buona morte”[173]. Era entrato appena nell'anno ventesimo della sua età.

 

                Dei due preti rapiti alla Congregazione nel'76 uno, Don Giuseppe Giulitto, crebbe nell'Oratorio, dove entrò nel '66 a dodici anni compiuti. Abbiamo dì lui una succinta biografia, riduzione forse di un discorso funebre, pubblicata da Don Giovanni Bonetti nelle Letture Cattoliche e preceduta da una prefazioncella del chierico Carlo Cays[174], il quale fa in questi termini la presentazione dell'estinto: “Molti ancora di quelli che lo ebbero a compagno e maestro ricordano l'affabile suo tratto, il gioviale carattere, l'ameno conversare, e nel medesimo tempo l'edificante condotta, la purezza dei costumi, l'ardore della pietà, lo zelo per la salute delle anime”.

 

                Egli veniva da Solero, comune del circondario di Alessandria. L'aveva raccomandato a Don Bosco la marchesa Emilia Imperiali di Solero. Compiè in quattro soli anni il ginnasio, lasciandosi docilmente guidare dal Servo di Dio. Rifulse nel giovinetto una purità angelica. Si facevano anche a lui i -ponti d'oro, se avesse voluto proseguire i suoi [438] studi nel seminario; ma egli non si seppe rassegnare a staccarsi; da Don Bosco.

 

                Si allontanò materialmente un anno dopo dal padre dell'anima sua, che lo mandò insegnante al collegio di Borgo S. Martino. Era ivi da pochi giorni, quando, entrato in familiarità col chierico. Luigi Nai, lo pregò di volerglisi fare ammonitore segreto, avvertendolo di qualunque difetto o mancamento scorgesse nella sua condotta. Don Nai, che ci riferisce oggi questa edificante particolarità, rammenta pure con che buona grazia il più giovane suo compagno ricevette la prima, ammonizione. Il dovere di assistere gli alunni in ricreazione esigeva che tutti al mattino, preso lestamente il caffè, si affrettassero a uscire nel cortile. Il chierico Giulitto, non ancora avvezzo a tale manovra, vi si attardava alquanto. All'osservazione fattagliene, si mostrò riconoscentissimo nè' mai più rimase là un istante oltre il necessario. Di un'altra cosa Don Nai si rammenta molto bene. Lettore assiduo del Rodriguez, l'aveva sulla punta delle dita; onde in frequenti occasioni o per dirimere controversie o per chiarire punti di ascetica o per avvalorare un suo modo di vedere o per raddrizzare idee storte, faceva immancabilmente ricorso a un suo Ipse dixit, che era: - Il Rodriguez dice così, il Rodriguez dice cosà.” Anche Don Bonetti vi accenna là dove arreca due fatti che confermano la testimonianza sopra alle gata. Un tale si lagnava con lui di un uffizio, che alla sua poca mortificazione riusciva gravoso; Giulitto gli rispose: - Va', leggi il trattato primo della seconda parte del Rodriguez, e quello che ora ti pesa, ti si farà leggero come una paglia. - Un altro riluttava alquanto a obbedire; gli consigliò di leggere per alcuni giorni il trattato quinto della parte terza e: - In capo a otto giorni, gli soggiunse, confido che sarai il più obbediente della casa. -

 

                Giunto alla nuova residenza, per prima cosa si fissò un orario, assegnando a ogni parte della giornata la sua occupazione, sì da non dover perdere un briciolo di tempo. Per [439] nessun pretesto si dispensava dalla meditazione o dalla lettura spirituale. Dalla sua profonda pietà verso Gesù Sacramentato gli veniva una giovialità di modi e una serenità di volto, che lo rendevano a tutti carissimo; anche il medico che lo curò nell'ultima sua malattia, ne era incantato.

 

                Nel settembre del '75, mentr'egli non se l'aspettava, Don Bosco gli disse di prepararsi agli ordini minori, per ricevere quindi a brevi intervalli i maggiori. Il chierico aveva appena ventidue anni; ma Don Bosco, bisognoso com'era di preti, tutte le volte che poteva, rompeva gl'indugi. L'improvviso annunzio lo turbò. Don Bosco, che lo conosceva a fondo, gli fece animo, chiese le opportune dispense e poi lo raccomandò a monsignor Ferrè, Vescovo di Casale, sempre tanto buono col Servo di Dio. L'ordinando aveva ricevuto in dicembre il suddiaconato, quand'ecco manifestarglisi una gran debolezza di petto, seguìta prima da tosse ostinata e poi da emottisi. Fu un fulmine a ciel sereno! Mandato a passar l'inverno nel collegio di Alassio, vi si rinfrancò, tanto che potè tornare a Borgo per prepararsi al presbiterato. Celebrò la prima Messa nella festa della Santissima Trinità. Fra i suoi manoscritti si rinvenne un fogliettino, in cui sotto il titolo Memento della mia prima Messa, si leggeva: “1° Signore, che io sia un sacerdote quale mi volete voi, secondo il vostro cuore. - 2° Che io vi ami come e quanto voi volete. - 3° Che non mi abbia a perdere eternamente. - 40 Che nessun'anima abbia da andare perduta per colpa mia; anzi possa io salvarne molte”Ma purtroppo le belle speranze concepite da lui e sopra di lui ben presto andarono in fumo. Un mese appena era trascorso dai fervori dell'ordinazione sacerdotale, quando, nella medesima cappella che aveva echeggiato delle melodie di cento voci osannanti intorno all'altare del neolevita, risonava il lugubre canto del Requiem e del Dies irae dinanzi alla sua bara. Acerbo fu il lutto dei confratelli vicini e lontani. Il ricordo de' suoi santi esempi non si cancellò dalla memoria di quanti lo conobbero: i pochissimi [440] superstiti ne parlano tuttora con sincera e tenera ammirazione.

 

                Di poche settimane l'aveva preceduto nella tomba il sacerdote Cesare Chiala, già abbastanza noto ai lettori di queste Memorie. Un giorno Don Bosco disse di lui ad alcuni preti salesiani: “E’ una perla preziosa per tutti i riguardi”[175]. Venne a farsi salesiano in età matura; ma conosceva Don Bosco da lunga data. Si fa menzione di lui in un autografo del Servo di Dio, dove sono registrati i nomi e l'età dei cento giovanotti, che nel '5o egli condusse da Torino a fare gli esercizi spirituali nel piccolo seminario di Giaveno; ivi infatti verso la metà del foglio c'imbattiamo in “Chiala Cesare 16 [anni]”. Questo dimostra che le relazioni col Beato duravano da tempo.

 

                Nacque a Ivrea da famiglia ragguardevole nel 1837. Trasferitosi con i suoi a Torino, avvicinò Don Bosco, quando il randagio oratorio festivo piantava finalmente le sue tende a Valdocco. Avvicinare Don Bosco e amarlo fu una cosa sola; onde se lo scelse per confessore e per guida, nulla facendo d'importante senza udirne il consiglio. A 26 anni era già Direttore delle Regie Poste del Piemonte. Piacendogli molto la maniera usata da Don Bosco nell'intrattenere e istruire i fanciulli, il Chiala e da studente e da impiegato si prestava di buon grado a fare il catechismo. Con il chierico Rua andava le domeniche all'oratorio dell'Angelo Custode in Vanchiglia, dove prese per sè la classe degli spazzacamini. Alto della persona, signorilmente vestito, di modi gentili, era bello vederlo seduto in mezzo a una trentina di quei malmessi valdostani, tutto intento a insegnar loro le cose di Dio. Nel '64 il trasporto della capitale lo costrinse a staccarsi dal suo amatissimo Don Bosco e recarsi a Firenze, donde nel '70 passò in Sicilia a dirigere le Poste della Provincia di Caltanissetta. Ivi subalterni e cittadini furono talmente [441] edificati e ammirati della sua virtuosa condotta e schietta religiosità, che all'annunzio della sua morte gli fecero fare un. solenne funerale, sebbene già da quattro anni avesse lasciato la loro città.

 

                Lasciò quella città, perchè rinunziò all'impiego. Nel '72 risolse di abbandonare il mondo per vivere col padre dell'anima sua. Gli costò non poco superare gli ostacoli domestici; ma alla fine trionfante fece il suo ingresso nell'Oratorio e vi diede principio al suo noviziato come chierico. La madre vedova e il fratello non si potevano capacitare che il loro Cesare volesse sul serio abbracciare una forma di vita così umile e povera[176].

 

                Spese ottimamente i quattro anni vissuti nella Congregazione. Intrapreso con alacrità lo studio della teologia,. in meno di tre anni fu pronto per le sacre ordinazioni. Sua delizia era sempre l'oratorio festivo dell'Angelo Custode. Don Barberis, allora Direttore di quell'oratorio, scrive: “Io posso attestare con soddisfazione che non trovai mai altro collaboratore nè più intelligente nè più zelante.” Infatti aveva l'arte di trasformare addirittura certi discoli, che sembravano muletti indomiti.

 

                Nell'aprile del '75 fu ordinato sacerdote. E qui sentiamo nuovamente Don Barberis:” La sua virtù già si eminente si fece al tutto eroica... Lo ammirai più volte, quando era sopraccarico di lavoro, nel suo ufficio di prefetto, dopo alcune giornate, che si possono dire tempestose, alla sera, anche dopo le dieci, sforzarsi tutto stanco qual era, di finir la meditazione... Celebrava posatamente e con gran devozione [442] la santa Messa, preceduta sempre da lunga preparazione e susseguita da fervoroso ringraziamento... Era solito dire che la fortuna d'aver in casa il Santissimo Sacramento era il bene che gli riusciva di maggior conforto”.

 

                Si teneva abitualmente nell'ombra. Pratiche umilianti o spiacevoli, da cui volentieri si rifugge, si affidavano a lui, che vi si sobbarcava con tutta docilità, sbrigandole col suo tatto molto fine. Non ridiremo ora quanto sia stata preziosa l'opera sua a vantaggio degli artigiani. Diresse anche le Letture Cattoliche, nelle quali aveva già aiutato non poco Don Bosco prima. di venire nell'Oratorio, correggendo stampe e traducendo dal francese. Alcuni opuscoli anonimi sono suoi, riveduti sempre accuratamente da Don Bosco. Finchè stette a Torino, alla sera, dopo aver pranzato con la madre, veniva assai di sovente a Valdocco, si ritirava in una stanzetta messa a sua disposizione e lavorava fino a tardissima ora. Talvolta dormiva nell'Oratorio; poi al mattino, fatte con grande edificazione le sue divozioni in mezzo ai giovani, sbocconcellava in compagnia dei chierici un po' di pane asciutto (allora i chierici non prendevano caffè) e se n'andava così al suo ufficio delle Poste. Don Lemoyne scrive: “Talora accompagnò Don, Bosco ai Becchi per continuare sotto la scorta del suo maestro quelle composizioni; ma anche qui si contentava al mattino di mangiare pane scusso e non voleva altro”[177]. Il malanno che l'aveva già molestato nel suo ufficio postale, si aggravò talmente nell'estate del '76, che sul finire di giugno lo condusse alla tomba. La sua morte costernò quanti avevano avuto il bene di conoscerlo. Con sincera” convinzione si andava da tutti ripetendo: - E' morto un santo! - Le sue spoglie mortali riposano a Feletto nel sepolcreto della famiglia.

 

                Nel sogno del Paradiso il Beato Don Bosco vedrà fra breve Don Giulitto e Don Chiala con altri Salesiani al seguito di Domenico Savio.

 

 

CAPO XVI. Gli esercizi spirituali di Lanzo.

 

                Nel '76, com'erasi deliberato dal Capitolo Superiore in una seduta del 18 giugno, gli esercizi spirituali a Lanzo si fecero in tre turni, susseguitisi con poco o nessun intervallo. In tutti Don Bosco presiedette, agì, parlò; ma quello che abbiamo potuto saperne non è relativamente gran cosa.

 

                La prima muta, aperta la domenica sera 10 settembre, si chiuse la mattina del lunedì 18, sicchè durò sette giorni interi. V'intervennero soli confratelli e buon numero di chierici e coadiutori, che dovevano fare la professione triennale o perpetua. Predicarono Don Bonetti per le istruzioni e il teologo Ascanio Savio per le meditazioni. Il Beato, per quel poco che sappiamo, diede sei volte la “buona notte” e tre volte predicò.

 

                Dopo le preghiere della prima sera rivolse agli esercitandi alcune raccomandazioni necessarie od utili al buon andamento degli esercizi. Raccomandò il raccoglimento e il silenzio; e poi essere contenti di tutto e non lamentarsi, se mancava qualche cosa o riguardo al letto o riguardo alla cucina o riguardo alla puntualità del servizio a tavola. - Sono inconvenienti, disse, dei quali non si può fare a meno in così subitanei mutamenti di locale e a breve distanza dalla fine dell'anno scolastico. - Non si guastasse nulla, [444] specialmente nel giardino; non si toccasse l'uva o altro frutto, che sarebbe segno d'intemperanza e di golosità, e i guasti darebbero a ridire a chi osservasse. - Riguardo all'orario, concluse, lo troverete affisso in vari luoghi. Quello che sono solito a raccomandare fin da principio si è che questo orario si osservi molto esattamente. Ciascuno poi guardi a se stesso, come se fosse solo a fare gli esercizi e pensi che li faccia per l'ultima volta. La levata per domani sarà ritardata di mezz'ora, essendo tutti stanchi. - La stanchezza derivava soprattutto dall'avere buona parte dei presenti viaggiato a lungo fin dalle prime ore del mattino.

 

                Il giorno seguente Don Bosco alle nove e mezza tenne la conferenza d'introduzione. Un quaderno di Don Barberis ne contiene questo discreto riassunto.

 

                Un agente di un gran signore al principio dell'anno chiama a sè tutti quelli che vogliono porsi al suo servizio, ed a ciascuno dà un uffizio da eseguire durante l'anno. Ad uno dà il comando di lavorare il terreno, ad un altro affida la cura delle piante, ecc. Quindi prima di licenziarli dà loro i convenevoli avvisi, perchè compiano bene il loro ufficio. Ciascuno allora entra nella sua carica e si mette di cuore a lavorare in essa. Chi si mette a zappare il terreno, chi semina in esso, chi cura il bestiame, chi accudisce agli alberi; insomma ognuno con grande impegno compie l'ufficio dall'agente assegnatogli.

 

                Passa intanto l'anno, sicchè giunge il tempo in cui è d'uopo che gli operai di quell'agente si radunino a render conto della loro gestione. Questa volta però l'agente non vuole essere lui il giudice dell'opera degli operai, e tutti li manda al padrone stesso, perchè siano da questo esaminati e giudicati.

 

                Il padrone pertanto tutti ad uno ad uno li interroga e chiede a loro il modo con cui eseguirono l'uffizio che loro assegnò il suo agente, ed i frutti che da quello ricavarono. Ad uno chiede come ha coltivato il terreno; ad un altro quale cura ha usata a quelle piante, se le ha concimate a tempo debito, innaffiate quando si doveva, se ha tagliati ad esse i rami inutili, se ha procurato insomma che siano di utilità; a quell'altro chiede se ha bene alimentato il bestiame a lui affidato, se gli ha usata la debita cura; ed in simile guisa si fa render conto di tutto ciò che hanno fatto e guadagnato.

 

                Qualcuno di quegli operai, se avesse dovuto render conto del suo operato all'agente, lo avrebbe forse ingannato in qualche cosa; ma appena vide che era lo stesso padrone quegli a cui doveva render [445] conto e ben sapendo come al padrone nulla poteva tenersi celato, essendochè egli conosceva le cose per intero, e considerando come avrebbe dovuto confessare la sua negligenza allo stesso padrone, rimase molto afflitto del male fatto e propose di operar meglio per l'avvenire.

 

                Ora passando a noi dico che gli operai siete tutti voi, che al principio dell'anno, dopo esservi qui radunati, riceveste un ufficio da compiere e partiste quindi per portarvi ad esso. L'agente sono io. Terminato pertanto l'anno, ecco che l'agente vi richiama tutti a sè perchè gli rendiate conto della vostra gestione dei decorso anno.

 

                Io adunque sono l'agente, ma capite bene che D. Bosco si può ingannare, e gli si può tacere qualche cosa; non già che D. Bosco sia poi tanto semplicione e si lasci ingannare, ma sapete bene che le cose interne si possono anche nascondere all'uomo che non vede che le esterne. Però non a me voi dovete render conto del come vi siete diportati nel vostro ufficio, ma a Dio che non si può ingannare e che conosce ogni vostra azione ed intenzione.

 

                Voi adunque vi siete radunati per esaminare che cosa avete fatto in quest'anno e render conto di ciò a Dio, e prepararvi a far meglio un altro anno, se per il passato siete stati negligenti.

 

                Un'altra gran cosa bisogna che io vi dica in questo momento e si è che noi abbiamo bisogno sommo di rivederli questi nostri conti con Dio, specialmente perchè tutti gli anni sono gli ultimi esercizi che qualcuno di noi possa fare. Anno per anno muoiono vari e per questi, se non li fecero bene, guai a loro; viene loro a mancare la grazia di poter aggiustare i conti un'altra volta.

 

                Anche quest'anno saranno gli ultimi esercizi per vari che sono qui che mi ascoltano. Erano qui in questa medesima Chiesa, che ascoltavano questa stessa predica l'anno scorso i chierici: Vallega, Piacentino e Vigliocco, e D. Chiala, e D. Giulitto. Allora pregavano, per i trapassati dell'anno antecedente; ora si prega da noi per loro, come un altr'anno altri pregheranno per alcuni di voi. Anche per questo motivo adunque è d'importanza che si faccian bene.

 

                Ora che siamo per incominciare gli esercizi spirituali, dovrei fermarmi a darvi avvisi per farli bene; ma senza darvene molti mi limiterò ad enunciarvene qualcuno che però messo in pratica varrà moltissimo per passar bene questo santo ritiro ed inoltre potrò poi alla sera dirvi anche due parole e darvi avvisi ove faccia di bisogno, il che spero non avverrà.

 

                Ora per darvene uno importantissimo e che eseguito varrà quasi per tutti, vi dico che durante questi santi spirituali esercizi nessuno dia scandalo ai compagni, e non solo si astenga dai dare scandalo, ma procuri anzi di dare buon esempio, sicchè ogni sua azione o parola, qualora si facesse o dicesse ad altri, serva di bene alla loro anima. Se si porrà in pratica questo avviso, come spero, allora i predicatori [446] non avranno che da parlare e le loro parole saranno seguite prontamente nè vi sarà più bisogno di altra ammonizione, ed i santi spirituali esercizi passeranno bene con profitto per le nostre anime.

 

                Non mi fermo più a dare altri avvisi e soltanto ricordo il silenzio nei tempi stabiliti. Il silenzio è il fondamento del buon andamento dei santi spirituali esercizi, perchè lascia più largo campo alla mente di riflettere sulle prediche e meditare sopra i punti di esse. Si osservi il silenzio nei tempi stabiliti, come alla sera dopo le orazioni sino al mattino prima della colazione e nel tempo della merenda, e in tal modo vi sarà più raccoglimento e maggior frutto si otterrà dagli esercizi. Tuttavia nei tempi in cui non c'è da mantenere il silenzio, è bene che si evitino schiamazzi od ogni cosa che potesse produrre grande disturbo e distrazione.

 

                Io termino queste mie parole raccomandandovi di dare tutti l'uno all'altro buon esempio e di osservare il silenzio nelle ore fisse: in tal modo gli spirituali esercizi che stiamo per fare procederanno bene e ricaveremo da essi gran profitto per le anime nostre.

 

                Presenteremo ora tutte di seguito le altre cinque “buone notti” quali ci sono pervenute, premettendo soltanto a ciascuna un titolo che ne indichi brevemente il tema.

 

                2a Sera. Compostezza in chiesa: stare in ginocchio senz'appoggiarsi.

 

                Vi è una costumanza in vari luoghi, che io non vorrei vedere introdotta da noi, ed è che molti, non avendo studiata bene la grammatica, confondono il verbo inginocchiare col verbo sedere e ne fanno un solo. No, miei cari; questo è assolutamente un errore sia in grammatica, sia in filologia e si trova la differenza specialmente nel dizionario dei sinonimi, nel quale non si confondono mai queste due parole. Sono specialmente i Liguri che introdussero tra di noi questo errore ed io trovo conveniente che ora si rettifichino le cose.

 

                Avviene di vedere molte volte che non pochi stanno inginocchiati, ma seduti nello stesso tempo, appoggiandosi dietro al sedile. Io, parlando con un Vescovo Genovese e poi con altri, feci notare questo sconcio, e mi pare che assolutamente non valga la ragione dell'usanza universale; è un'usanza cattiva e va tolta. Cominciamo adunque a toglierla fra di noi: quando è tempo di star seduti, si stia seduti con compostezza; quando è tempo di stare inginocchiati, si stia inginocchiati bene, stando diritti sulla persona, senza appoggiarsi menomamente di dietro: e il mio avviso valga per adesso, valga andando avanti negli anni, valga anche per i Direttori dei collegi, acciocchè introducano questa buona usanza nello stare in Chiesa, dove per caso non ci fosse. Credetemi: l'esteriore composizione del corpo gioverà molto per il raccoglimento interiore. [447] 3a Sera. Non prendere abitudini cattive o indifferenti ma dannose. - Una cosa particolare che io intendo di raccomandarvi questa sera si è che vi teniate lontani da ogni abitudine. Dico abitudine, non per indicare le buone usanze o le pratiche religiose che ciascuno suole fare: queste sono cose molto buone; anzi ciascuno si sforzi di acquistare molti abiti buoni, perchè in questo modo potrà molto più facilmente praticare la virtù. io intendo di parlare di ogni abitudine cattiva o indifferente, ma in qualche modo dannosa.

 

                Vi sarà quel tale che avrà l'abitudine di non alzarsi alla levata, o per lo meno dice: - Io sono lesto nel vestirmi, occupo dormicchiando il primo quarto d'ora, e nel secondo quarto io ho tempo di far tutto. - No, questa è un'abitudine non buona, alla quale se uno si abbandona con frequenza, ne risentirà inconvenienti non leggieri.

 

                Vi è un altro che ha l'abitudine di fumare. Da ciò bisogna proprio astenersi, perchè troppo dannoso alla sanità corporale, e ad eccezione di uno che sia estremamente pingue, altri non potrebbe resistere senza prendere un poco per volta un'infiammazione terribile agli intestini.

 

                Un altro ha l'abitudine di annasar tabacco, abitudine anche questa molto dannosa e molto pericolosa. Io conosco un signore che solo nel tabacco spende oltre a tre lire al giorno. E questa abitudine si acquista quasi senz'accorgersene Se ne prende qualche presa un po' qua, un po' là, dall'uno e dall'altro. Si comincia a mettere in una scatola il dito mignolo e poi scherzando si annasa l'indice; poi si fa aderire un po' di pulviscolo all'indice, si aspira delicatamente col naso e se ne ha a sufficienza; poi se ne prende pochissimo con due dita: poi per motivi futili se ne compra per un soldo e non avendo la tabacchiera si tiene in un pezzo di carta e si dice: - Un soldo di tabacco mi dura tre mesi. - Poi si aggiunge: - Oh! piuttostochè tenerlo nella carta posso anche procurarmi una tabacchiera; durandomi gran tempo starà più fresco. - E poi si prende la cattiva abitudine e non se ne può più fare a meno. Perciò anche dall'annasare tabacco si astenga chi non ne ha vero bisogno. Se vi è qualcuno cui il medico lo comandi perchè lo crede utile per il mal di capo o per il mal d'occhi, pazienza; ma per altro motivo ciò non si faccia.

 

                Così diremo del caffè, di certe bibite, ecc.

 

                Pur troppo, vedete, abitudini ne abbiamo già varie, cui siamo obbligati di soddisfare. Non prendiamocene ' altre da, noi, non creiamoci necessità. Sarebbe pure una bella cosa aver l'abitudine di non dormire, di non mangiare. Quanto si starebbe meglio! Quante seccature di meno! Quanto lavoro si potrebbe fare di più! Ma che volete? Di ciò non possiamo privarci. Ma potremo fare a meno di dormir troppo, o fuori d'ora, di mangiare o bere ogni momento...

 

                4a Sera. I voti: valore, differenze, utilità. - Domani è il giorno destinato a far la domanda per essere iscritto nella Congregazione [448

 

                da chi regolarmente non lo è ancora, e per emettere i voti da chi è disposto a farli. Queste domande si faranno a Don Barberis, possibilmente nel tempo di colazione e chi non potesse in quest'ora, avrà anche tempo dopo pranzo.

 

                Molti mi chiedono che diversità vi sia tra un'opera che si faccia con voto ed un'opera che si faccia senza voto. E' bene che tutti sappiate la mia risposta: un'opera buona fatta con voto ha doppio merito; il primo è il merito dell'opera buona in se stessa, il secondo è il merito dell'opera del voto. S. Bernardo fa anche a se stesso questa domanda e risponde, che fra colui il quale fa opere buone con voto e chi le fa senza voto, vi è la diversità che corre tra colui che faccia un regalo dei frutti della sua vigna e colui che regalasse la vigna stessa. Chi la opere buone senza voti regala a Dio i frutti della sua vigna, ma la vigna che consiste in se stesso, nella sua volontà, la tiene per sè. Invece chi offerisce a Dio tutto se stesso con voto, è colui che regala non solo i frutti, ma la vigna stessa.

 

                Si domanda anche quale diversità vi sia tra il fare i voti triennali o i perpetui. Ecco: io vi dico che sia gli uni sia gli altri sono cose grate a Dio. Quello che vi è di positivo sta in ciò: colui il quale desidera di servire il Signore e di farsi del bene all'anima, non si deve spaventare nè degli uni nè degli altri. - Mah! dirà qualcuno: caso mai cambiassero le circostanze, cambiassero le condizioni, chi è legato da voti perpetui non può più tornare indietro; sarà perciò meglio farli triennali.

                Questo è un inganno. I triennali lasciano ancora molte sollecitudini, molte apprensioni, dànno luogo a vessazioni da parte del demonio e dei genitori; invece chi lì fa perpetui, tronca subito ogni relazione esterna e sta più tranquillo. Riguardo poi al pentirsi del passo fatto, per mutate circostanze, questo non avverrà, perchè se si trattasse proprio di veri motivi, il Superiore ha piena autorità di dispensare sia dai triennali come dai perpetui; perciò questo timore si lasci da parte e chi si sente di farli perpetui, ne faccia pure la domanda liberamente.

 

                Si domanderà ancora: - Che utilità vi è nel fare i voti? - Delle utilità ve ne sono molte: non parlerà delle temporali, come il rassicurarci che non ci mancherà mai niente nè per il vitto, nè per il vestito, nè per l'alloggio e ciò senza sollecitudine nostra; neppure dimostrerò ché si può operare un maggior bene, mentre da soli non si potrebbe o non si saprebbe operare. Dirò quindi solamente due vantaggi spirituali che vengono all'anima direttamente per l'emissione dei voti. Chi fa questi voti mette di nuovo l'anima sua nello stato d'innocenza, come se ricevesse il battesimo e acquista davanti al Signore il merito di chi dà il sangue per la fede: resta come un martire santo del Signore. E’ questa la dottrina generale dei Santi Padri. Noi abbiamo di più l'indulgenza plenaria, applicabile anche per le anime del purgatorio... [449]

                5a Sera. Suffragi per i confratelli defunti. - Domani si farà un servizio funebre in suffragio delle anime del purgatorio. Lo abbiamo nelle nostre Regole che in uno degli ultimi giorni consecrati agli esercizii spirituali si facciano speciali pratiche di pietà a sollievo delle anime dei nostri confratelli defunti. In questo anno sono cinque che passarono all'eternità. E' vero che tutti erano di specchiata bontà ed abbiamo ferma speranza che il Signore li abbia già con sè; tuttavia noi pregheremo per questo scopo. Il Signore si prese il Ch. Vallega, il Ch. Piacentino, D. Chiala, D. Giulitto; e Vigliocco in questi ultimi giorni. Tutte le Comunioni che si fanno, il rosario e le altre pratiche di pietà s'indirizzino domani al Signore con questo fine. I preti li raccomandino anche al Signore nella S. Messa e così speriamo che, se avessero da soddisfare ancora qualche conto colla Divina Giustizia, potranno domani essere liberati.

 

                6a Sera. Chi è il prete. Non defraudare la Congregazione. - Oggi si sono fatte le domande per l'emissione dei voti. Oh quanto è bello e consolante consacrarsi a Dio con voto! Qui però vi è una difficoltà. Vi sono di quelli che vogliono consacrarsi a Dio in questo modo, ma tuttavia pensano a casa, pensano ai genitori, pensano ai guadagni. Ogni sollecitudine, o miei cari, sia lontana da noi. Quel Signore che veste i gigli dei campi e pasce gli augelli dell'aria, non lascia mancar nulla a chi spera in lui. Quel che bisogna fare si è di darci tutti per intiero al Signore, senza riserva alcuna. Nessuno dica: - Se riuscirò sacerdote, professore, andrò, verrò, guadagnerò, ecc. - Chi ha questa intenzione non si faccia sacerdote. Prete vuol dire ministro di Dio e non negoziante. Il prete è uno che deve cercare la salvezza di molte anime e non già fare andar bene i suoi affari temporali.

 

                Quello poi che non bisogna che nessuno faccia si è il dire: - Io mi fermo un po' in Congregazione, per esempio tre anni. - Costui sarebbe reo di vero furto avanti al Signore ed avanti alla Società. Farai spendere denari e fatiche, e poi quando sarai nel caso di ricompensare un po' la Congregazione delle spese fatte a tuo conto, tu l'abbandoni? Ad esempio: vi è uno che studia, è povero e non può fare spese. La Congregazione nella ferma speranza che venga poi in suo aiuto in qualche maniera, lo fa progredire negli studi in ogni modo, gli paga anche i professori, minervali e tasse d'esami, finchè non sia professore colle patenti o colla laurea. Ed ecco dopo aver fatto noi tanti sacrifizi, costui dice: -Io della Congregazione non ne ho più bisogno! - E se ne esce. Io non so come possa costui stare tranquillo in coscienza davanti a Dio. Egli fece un vero furto e non gli può esser perdonato il peccato, se non restituisce. Purtroppo fra noi vi è qualcuno, il quale, di tanto in tanto arriva a questo punto d'ingratitudine. Ma io lascio che ci pensi lui alla sua coscienza. Ci siano pure i genitori che dicano e ridicano, il parroco che rassicuri, fosse anche [450] il Vescovo che chiami: ma costui non può abbandonare in questo modo la Congregazione.

 

                Facciamo dunque come dice il Salvatore: Nessuno che mette la mano all'aratro si ponga poi a guardare indietro, perchè costui non sarebbe atto pel regno dei cieli. Coraggio adunque, consacriamoci tutti al Signore, ma intieramente, senza riserve.

 

                Quest'ultimo non è che un pallido riassunto del sermoncino tenuto la sesta sera; ci consta infatti che il Beato confortò il suo dire con allusioni a cose avvenute e a circostanze del momento e che parlò con tanta forza da produrre in tutto l'uditorio una profonda impressione. Le sue parole miravano in special modo a far rinsavire due chierici, che, spirato già il tempo dei voti triennali, non si davano pensiero di domandarne la rinnovazione. Dotati entrambi di non comune capacità, non sembrava che avessero alcun ragionevole motivo di dubitare della propria vocazione: uscire sarebbe stato per essi un ricalcitrare alla divina chiamata. Adunatosi la mattina dopo il Capitolo Superiore e venutosi a parlare di quest'argomento, Don Bosco disse che s'era accorto d'aver parlato un po' troppo forte, ma che la necessità ve l'aveva obbligato, trattandosi del bene non di quei due soli chierici; ma anche di alcuni altri; che però essi due non potevano sapere di essere stati l'oggetto, a cui egli principalmente aveva mirato con la sua paternale, non avendo nè l'uno nè l'altro fino allora con lui aperto bocca sul restare o sull'andarsene; che anzi non potevano nemmeno supporre essere egli informato, se avessero o non avessero fatto la domanda. Ma Don Bosco non aveva parlato al vento. via conseguenza fu che, dopo aver eglino discusso insieme nella notte, uno fece la domanda subito il giorno appresso e l'altro si mostrava disposto a farla e più tardi realmente la fece. Aggiungeremo che quest'ultimo era stato veramente assai bersagliato in paese. Non gli si opponevano soltanto i suoi genitori, ma anche il parroco si adoperava con zelo degno di miglior causa a dissuaderlo dal restare con Don Bosco; anzi, persino l'Arcivescovo, [451] essendosi recato al villaggio nativo del chierico andò a cercarlo in casa, tentò con le buone di stornarlo dal suo divisamento e in ultimo ricorse alle brusche, minacciandolo che mai non sarebbe potuto venir ordinato prete. Lì per lì rimasero ognuno con la sua; ma il chierico ne riportò una scossa, della quale abbiamo veduto la conseguenza.

 

                Il 17 fu giorno di professioni religiose. via cerimonia si svolse così. Alle nove e mezza tutti gli esercitandi, entrati in chiesa, ascoltarono una seconda messa, perchè era domenica e nello stesso tempo cantarono il solito ufficio; indi si finì la lettura delle Regole. Dopo, intonatosi il Veni Creator, tutti gli ammessi alla professione si riunirono in sacrestia; erano trentacinque, cioè ventuno per i voti perpetui e quattordici per i triennali. Nel presbitero stava preparato un inginocchiatoio, su cui uno per uno si sarebbero quelli succeduti per pronunziare la formula. Sopra la predella dell'altare in cornu evangelii un seggiolone attendeva Don Bosco, che avrebbe ricevuto le professioni. Entrarono prima coloro che dovevano fare i voti perpetui; ritiratisi questi, si avanzarono dalla sacrestia gli altri, ai quali Don Bosco rifece l'interrogatorio. Don Barberis nella cronaca osserva: “Notai in quest'anno una fermezza speciale nel leggere la formula, tutti ad alta e distinta voce, senza esitazioni e senza sbagli”. Ognuno, letta la formula, passava a sottoscrivere la scheda d'uso, indi se ne tornava in chiesa al proprio posto. Terminate le professioni, Don Bosco dal suo seggiolone fece “una bella predicotta”, dice Don Barberis, che ce ne ha tramandato questi appunti.

 

                Un generale d'armata, quando vede crescere le file dei suoi campioni, ne gode, perchè spera di potere con questi più facilmente debellare i suoi nemici senz'avere nulla a temere da essi. Così in questo momento godo io che ho veduto crescere le file de' miei figliuoli, di quei campioni che vogliono combattere contro il demonio; di quei campioni che mi daran mano per debellare, per quel tanto che potremo, il suo regno su questa terra, e prepararsi un bel trono in cielo.

 

                Sapete quel che vuol dire fare i santi voti? Vuol dire essersi posti [452] nelle prime file delle milizie del Divin Salvatore, per combattere in ogni modo sotto i suoi stipendi.

 

                Ma la cosa che io in questo momento voglio dire si è questa, che non basta fare i voti, ma bisogna sforzarci a fare quanto a Dio con voto si promise.

 

                Noi adunque coi santi voti ci siamo tutti e interamente a lui consacrati; non riprendiamo più ciò che una volta gli abbiam dato. Questi occhi li abbiamo consacrati a lui; adunque si lascino quelle letture inutili o indifferenti, quegli sguardi vani o cattivi. Queste orecchie le abbiamo consacrate tutte a Dio: adunque non più fermarci ad ascoltare chi mormora o semina il malcontento, non più desiderare mollezze, o trovarci in quelle conversazioni, in quelle adunanze dove, sebbene il parlare non sia cattivo, è tuttavia per intiero secolaresco e mondano. Questa lingua al Signore l'abbiamo consacrata; adunque non più parole mordenti o piccanti verso i nostri compagni, non più risposte ai Superiori, non più seminar malcontenti; no, ora che glie l'abbiamo consacrata, non macchiamola più, anzi sia tutta intesa a cantare le lodi del Signore, a raccontare buoni esempi, ad animare gli altri al bene. Questa gola l'abbiamo consacrata al Signore, perciò lontano da noi ogni soverchia delicatezza nei cibi, persimonia grande nel vino, non mai lasciarci tirar dalla gola per accettare pranzi, bibite o cose simili. Queste mani le abbiamo in modo speciale consacrate al Signore; perciò non stiano più oziose, noti rincresca loro di operare in uffici vili in apparenza, purchè tutto proceda a miglior gloria di Dio. Questi piedi sono tutti consacrati al Signore; oh! qui io entro in un vastissimo campo: perciò non usiamoli questi piedi per ritornare a quel mondo che noi abbiamo abbandonato.

 

                Sì, bisogna che io mi fermi in questo momento a trattare quest'argomento. Il Signore ci ha fatto una grazia grande chiamandoci alla sua sequela; questo mondo è troppo perverso e pervertitore. Seguiamo adunque la grazia e non torniamo a pervertirci. Vedete, lo Spirito Santo ci istruisce chiaramente che il mondo è tutto posato sul male: mundus in maligno positus est totus. Facciamo adunque che questi piedi non ci riportino là di dove siamo scappati. L'inciampo principale, la difficoltà più grande che si trovi, si è in riguardo ai genitori. Ma il Signore disse che quando questi fossero per porre inciampo al nostro maggior bene, non dobbiamo ascoltarli, neppur guardarli, anzi viene persino a dire, odiarli. Bisogna adunque che da loro ci stacchiamo affatto, dacchè Iddio ci fece il grande favore di chiamarci alla sua sequela. E poi coi voti fatti ci siamo staccati, da loro, per legarci in modo peculiare a Dio; perchè dunque metterci nuovamente nel pericolo di staccarci da Dio andando a sentire le loro miserie, i loro bisogni od i loro voleri? Io non ho ancora trovato uno finora il quale andato in vacanza a trovare i suoi, nel ritorno potesse dire: - Oh! questa visita ai miei, queste vacanze, quanto bene mi hanno [453] fatto all'anima! - Vi assicuro, ancor nessuno finora, in tanti anni, andò a metter radice di profonde virtù in vacanza coi suoi genitori; anzi ancora nessuno cui le vacanze abbiano fatto qualche bene; andando a casa non si acquista nulla di buono, si vada pare a casa con ottime e sante intenzioni.

 

                Vi racconterò questo fatto avvenuto, non è gran tempo, a me. Un buon giovane mi domandò di andare a casa un po' di tempo. Vado a casa, diceva, invoglio della Congregazione un mio fratello, la sorella la conduco a Mornese, e così la mia famiglia finirà tutta sotto le ali di Maria Ausiliatrice. - Io che conoscevo l'indole incostante di questo giovane, cercavo di dissuaderlo; ma volle andarvi. Aspettai inutilmente che tornasse, finchè, incontrato un suo compaesano, gli chiesi nuove, e mi disse che conduceva vita scioperata nel suo paese, e che non pensava più al ritorno. Lasciai di salutarlo e di dirgli varie cose da parte mia. Poco dopo mi arriva una lettera che ancora conservo. Era di questo tenore: - Da quanto mi si dava a credere nell'Oratorio, tutta gente perversa doveva esserci nel mondo. Ora io ho trovato le cose stare in ben altro senso. Della brava gente ve n'è dappertutto, ed io vedendo che anche qui posso vivere da buon cristiano, intanto che spero poter poi aiutare i miei genitori, qui credo bene di stare e non ritornare più all'Oratorio.

                Io gemeva su quel caro giovane, perchè era uno dei più esemplari che vi fossero all'Oratorio, e mi ricordo di averlo proposto più di una volta come modello ad altri e dicevo: - Se volete fare le cose vera mente bene, fate come fa il tale, - ed accennavo a lui. Quella lettera che mi scrisse racchiudeva già molta malizia, perchè, tanto beneficato e per vari anni, non ha una parola di riconoscenza e di ringraziamento, e si licenziava così seccamente dall'Oratorio senza neppure salutare alcuno. Avevo adunque fondati timori sul suo conto. Poco fa capita che io lo incontri per caso, in luogo dove non mi poteva evitare, e sebbene cercasse ogni modo per sfuggirmi, volli tuttavia parlargli. Finì con dirmi schietto: - Che vuole? Io ho cambiato intieramente opinione. Non sono più i tempi in cui baciava le mani ai preti. - Insistetti chiedendogli se almeno avesse fatto Pasqua, e mi rispose che no. Gli domandai se così poteva vivere tranquillo, o non piuttosto fosse lacerato da rimorsi... Mi fece un bruttissimo viso, e finì con dirmi: - Là, noi non andiamo d'accordo. Buon giorno! Ella va pei fatti suoi ed io per i miei - E malgrado che io cercassi di trattenerlo ancora, se ne andò. Quel suo compaesano mi disse dopo che fu conturbatissimo per più giorni, e che gli, aveva detto: - Maledetto il giorno in cui mi sono incontrato con D. Bosco! - Per chè gli aveva suscitato nel cuore la più terribile delle battaglie mettendogli in mente la pace antica dell'Oratorio e la disperazione odierna. Disse che per farsi passare quell'impressione dovette bestemmiare, bere, far stravizi. [454] Ecco uno dei migliori giovani, che andò a casa con l'intenzione di convertire i suoi... Ed ecco come finì... Volle andare a casa, non obbedì ai Superiori... Temiamo anche per noi.

 

                Qui D. Bosco si estese molto a commentare le parole di Gesù Cristo, che ci persuadono a dare un addio a tutto, anche ai genitori, per consacrarci a Lui. Portò l'esempio di Abramo, le parole con cui Mosè finisce il Deuteronomio, e confrontandole con le parole di Gesù fece bellamente vedere come la legge naturale personificata in Abramo, la legge scritta e la legge di grazia non pare abbiamo altro più a cuore che di allontanarci dall'attacco alla patria e ai parenti[178]. Indi proseguì:

 

                Mi accorgo che mi sono allontanto alquanto dal soggetto che voleva trattarvi, che cioè essendoci in modo speciale consacrati a Dio, dobbiamo a lui tutta la nostra vita, tutte le nostre opere, tutto -noi stessi. Noi dobbiamo sforzarci molto, perchè in realtà il fatto, le. nostre opere corrispondano a questo scopo. Credetelo pure, non vi fu mai nessuno che sia stato malcontento in punto di morte di essersi a Dio consacrato, e di avere spesa la vita nel suo santo servizio. Invece sono innumerevoli coloro che in quel punto lamentano di non averlo servito ed amato. Piangono allora i miseri, ma non sono più in tempo. Dacchè il Signore nella sua grande misericordia volle avvertirci in tempo, e chiamarci a sè, arrendiamoci, e facciamo proprio opere degne di questa sua chiamata.

 

                Una terza predica Don Bosco fece durante questa muta, e fu la mattina del 18, prima che si cominciasse la solenne funzione di chiusura; egli diede allora i così detti ricordi degli esercizi, esortando tutti alla pratica della pazienza, della speranza e dell'obbedienza. Questa volta la fonte a cui attingiamo, è un po' più abbondante. Il Beato Padre parlò così.

 

                Siamo sul punto di separarci e andare ciascuno in quel luogo, dove dal Signore è destinato ad esercitare il suo sacro ministero. Che cosa io vi dirò in questo momento che serva come parola d'ordine, [455] che ciascuno abbia da ricordare in qualunque luogo ed in qualunque tempo come frutto di questi esercizi? Sono tre semplici parole che in questo momento io credo della massima importanza. A bene che ad esse noi attendiamo con tutto lo sforzo possibile dell'anima nostra. Ecco: PAZIENZA, SPERANZA, OBBEDIENZA.

 

                E per prima io vi raccomando molto la pazienza. E’ lo Spirito Santo medesimo che ci ammonisce. Patientia vobis necessaria est, ci dice in un luogo della Sacra Scrittura. In patientia vestra, ci dice altrove, possidebitis animas vestras. Patientia opus perfectum habet.

 

                Non intendo qui di parlare di quella pazienza che si richiede per sopportare grandi fatiche o straordinarie persecuzioni; non di quella pazienza che sì richiede per sopportare il martirio, nè di quella che devesi esercitare in gravi infermità. Pazienza per certo si richiede in questi casi ed in grado eroico; ma poichè sono casi che si presentano di rado per essere messi in esecuzione e d'altronde Iddio in quei casi dà grazie straordinarie, la pazienza di cui qui intendo parlare io è quella che è necessaria per compiere bene i nostri doveri, quella che ci vuole per eseguire in tutto le nostre regole, disimpegnare con precisione le nostre obbligazioni. Di questa io intendo parlarvi. Ne abbisognano e Superiori e inferiori, e può venire in mille circostanze il caso di usarne; perciò bisogna esserne forniti a dovizia.

 

                Vi sarà quel tale che è sovraccarico di occupazioni e se gli vorrebbe ancora aggiungere qualche cosa ed è per irritarsi con colui che lo vuol così occupare, sia perchè non conosce le altre sue attribuzioni sia perchè lo crede atto a quel resto. Pazienza ci vuole.

 

                Vi è quell'altro che desidererebbe far scuola, e lo mettono ad assistere; quell'altro invece vorrebbe andar esso a scuola e lo mettono a farla; o se vuole piuttosto stare in un luogo, lo mettono in un altro. In tutti questi casi ci vuole la pazienza.

 

                Vi è quel tale che si crede averla il Superiore contro di lui, non vederlo di buon occhio, dar sempre a lui le attribuzioni più vili. Se non si ha pazienza ed uno si mette subito a mormorare, a mostrarsi mal contento, che ne sarà? Quell'altro ha un'occupazione che gli è antipatica, non può far bene in quel luogo; gli vien mille volte la voglia di piantar tutto lì e andarsene chi sa dove. Adagio a' mali passi: qui bisogna più che mai conservare la pazienza. Verrà anche la volta che uno dirà: - Il Superiore mi odia. - Sarà effetto più d'immaginazione che d'altro; ma sia pure: ti sarà forse lecito lamentarti, sparlarne, mostrarti pubblicamente offeso? Non già.

 

                Ecco perchè io diceva che bisogna avere la pazienza come compagna indivisibile.

 

                Il Superiore poi, oh quanto più ne avrà bisogno! Poichè se esso sa farla esercitare agli altri, i sudditi possono dire: - Noi siamo molti, esso è solo ed esercitiamo un po' di pazienza per ciascuno; ma il Superiore resta solo contro tutti e deve esercitare la pazienza con tutti. [456] - Ed ecco perchè i Superiori,, sebbene giovani, alcune volte devono camminare gobbi; poichè un po' per riguardo ad uno, un po' per riguardo ad altri, alcune volte han da masticare un poco, sia perchè non si è capaci, sia perchè non si vede tanta buona volontà e spontaneità nelle cose, sia anche perchè si vede proprio il malvolere. Ma sarà per questo da troncare ogni relazione con quel tale o in quell'affare e piantare del tutto lì le cose come sono sono? Lo so che verrà mille volte la voglia o di far secche parrucche o di mandar via, o che altro; ma è appunto qui che c'è bisogno di molta pazienza o per dir meglio di molta carità condita col condimento di S. Francesco di Sales: la dolcezza, la mansuetudine.

 

                Anche quel maestro, quell'assistente potrebbero troncare ogni questione, dando uno schiaffo di qua. un calcio di là; ma questo, riteniamolo bene, se qualche volta tronca un disordine, non fa mai del bene, e non serve mai a far amare la virtù o a farla penetrare nel cuore di nessuno. Ci sia il vero zelo, sì; si cerchi ogni modo di far del bene, sì; ma sempre pacatamente, con dolcezza, con pazienza.

 

                Dirà quel tale: - Ben detto così, ma costa a non irritarci, quando si vede .... . Costa? Lo so anch'io che costa; ma sapete da che cosa deriva la parola pazienza? Da patior, pateris, passus sum, pati, che vuol dire patire, tollerare, soffrire, farci violenza. Se non costasse fatica, non sarebbe più pazienza. Ed è appunto perchè costa molta fatica che io la raccomando tanto, ed il Signore la inculca con tanta istanza nelle Sacre Scritture.

 

                Me ne accorgo anch'io che costa. E non crediate che sia il più gran gusto dei mondo stare tutta la mattina inchiodato a dare udienza o fermo al tavolino tutta la sera per dar corso alle faccende tutte, a lettere o simili. Oh! vi assicuro che molte volte uscirei ben volentieri a prendere un po' d'aria e forse ne avrei un vero bisogno; ma bisogna che prenda alle buone santa pazienza. Se non si facesse così, molti affari noti avrebbero corso, tanto bene resterebbe da farsi, incagliati si troverebbero varii negozii d'importanza; epperciò pazienza.

 

                - Ha un bel dire, esclamerà qualcuno; ha un bel dire Don Bosco: Pazienza, pazienza! Sta bene; ma gli è che .... .

 

                Non crediate che non costi anche a me, dopo di aver incaricato qualcuno d'un affare, o dopo di avergli mandato qualche incarico d'importanza o delicato o di premura, e non trovarlo eseguito a tempo o malfatto, non costi anche a me il tenermi pacato; vi assicuro che alcuno volte bolle il sangue nelle vene, un formicolio domina per tutti i sensi[179]. Ma che?... impazientirci ?... Non si ottiene che la cosa non fatta sia fatta, e neppure non si corregge [457] il suddito colla furia. Pacatamente si avvisi, si diano le norme opportune, si esorti, ed, anche quando è il caso di gridare un poco, si faccia, ma si pensi un momento: In questo caso, S. Francesco di Sales come si diporterebbe? - Io posso assicurarvi che, se faremo così, si otterrà quanto disse lo Spirito Santo: In patientia vestra possidebitis animas vestras.

 

                E poi? E poi ci vuole anche quella pazienza che è costanza e perseveranza ad eseguire sempre le nostre Regole. Verrà quel giorno, uno si trova spossato, annoiato, o, diciamolo anche, non ha voglia di fare la meditazione, recitare il rosario, frequentare i sacramenti, continuare quell'arida assistenza. E qui è proprio il caso di domandare con costanza, con perseveranza la pazienza al Signore ed alla Beata Vergine.

 

                Vedete là un giardiniere quanta cura mette per tirar su una pianticella; si direbbe fatica gettata al vento; ma esso sa che quella pianticella col tempo verrà a rendergli molto, e perciò non bada a fatiche, e comincierà a lavorare e sudare per preparare il terreno, e qui scava, là zappa, poi. concima, poi sarchia, poi pianta. o mette il seme. Poi come se questo fosse poco, quanta cura e attenzione nel badare che non si calpesti il luogo dove fu seminato, perchè non vadano uccelli e galline a mangiare la semente! Quando la vede nascere, la guarda con compiacenza: - Oh! germoglia, ha già due foglie, tre... - Poi pensa all'innesto, ed oh! con quanta cura lo cerca dalla miglior pianta del suo giardino e taglia il ramo, lo fascia, lo copre, procura che il freddo o l'umidità non lo faccia morire. Quando poi la pianta cresce e volta o si piega da una parte, subito cerca di mettervi un sostegno che la faccia crescere diritta; o se teme che il fusto o tronco sia troppo debole, che il vento o la bufera lo possano atterrare, le pone accanto un grosso palo, e lo lega e lo fascia, perchè non abbia a succedere il temuto pericolo. Ma perchè, o mio giardiniere, tanta cura per una pianta? - Perchè, se non faccio così, essa non mi darà frutti; se voglio averne molti e buoni, devo assolutamente fare così. - E pur troppo, notate, malgrado tutto ciò, soventi volte muore l'innesto, si perde la pianta; ma nella speranza di' rifarsi poi, si fan tante fatiche.

 

                Ancor noi, miei cari, siamo giardinieri, coltivatori nella vigna del Signore. Se vogliamo che il nostro lavoro renda, bisogna che mettiamo molta cura attorno alle pianticelle che abbiamo da coltivare. Purtroppo, malgrado molte fatiche e cure, l'innesto seccherà e la pianta andrà a male; ma se queste cure si pongono davvero, nel maggior numero dei casi la pianticella riesce a bene.... Caso mai non riuscisse, il padrone della vigna ce ne ricompenserà ugualmente, essendo tanto buono! Tenetelo a mente, non valgono le furie, non valgono gl'impeti istantanei, ci vuole la pazienza continua, cioè costanza, perseveranza, fatica. [458] Ma il coltivatore almeno spera la paga, la ricompensa, e noi? Chi ci pagherà? Ecco che io entro nel secondo punto, a parlarvi cioè della Speranza. Sì: ciò che sostiene la pazienza dev'essere la speranza del premio.

 

                Oh! lavoriamo, chè consolantissima ci arride la speranza del premio. Abbiamo la fortuna di dover fare con un buon Padrone. Notate come sono consolanti queste parole: Quia super pauca fuisti fideIis, super multa te constituam: perchè fosti fedele nel poco, ti costituirò sopra molto. Noi meschini sappiamo far poco, abbiamo poche forze, poca abilità; non importa, in quel po' che possiamo siamo fedeli, ed il Signore il premio ce lo darà grande. Quando tu, o maestro, sei stanco le e vorresti lasciar lì le tue occupazioni, attento! bada a essere fede nel poco, se vuoi che il Signore ti costituisca nel molto. Oh! un Direttore ha già avvisato, detto, raccomandato, sarebbe lì lì per lasciare andare la, pazienza, o piantar tutto che vada come vuole, o fare qualche sfuriata: attento a star fedele nel poco, se vuoi essere costituito nel molto!

 

                Un punto dove ancora dobbiamo usare molta pazienza guardando alla speranza, è il vincere noi stessi. Si tratta di vincere le nostre abitudini, le nostre cattive inclinazioni, le tentazioni che continuamente ci molestano. Oh! quanto costa lasciare quell'abitudine, quella tiepidezza ordinaria, quella mollezza, quella trascuratezza nelle piccole pratiche. d'obbedienza o di pietà; pure qui, qui bisogna usare una continua pazienza, una sofferenza anche straordinaria, ma non permettere che il demonio ci vinca: sia di giorno che di notte, sia nella veglia che nel riposo, sia in ricreazione che nel lavoro, cercare sempre di vincere queste nostre cattive inclinazioni. P, questo che io chiamo pazienza o longanimità. E se per ottenere la vittoria avremo da combattere assai, volgiamo lo sguardo alla gran mercede, al gran premio che ci sta preparato, e non ci lasceremo vincere. In patientia vestra possidebitis animas vestras. E San Paolo aggiunge: Si vos detectat magnitudo praemiorum, non vos terreat magnitudo laborum.

 

                Non istò qui a dirvi quanto sia fondata la nostra speranza. Voi lo sapete che è il Signore nostro benignissimo che ce lo promise, e per il poco in cui siamo fedeli, ci promise il molto; ed esso stesso chiama beati quelli che osservano la sua legge, perchè sa quanto sarà grande il loro premio. Ed altrove dice che un solo bicchiere d'acqua fresca dato in suo nome sarà compensato. Coraggio adunque! La speranza ci sorregga, quando la pazienza vorrebbe mancarci.

 

                Qui raccontò il fatto di quel solitario che nelle sue tribolazioni guardava il cielo da una fessura, e questo bastava per tenerlo sempre allegro e contento. A chi lo interrogò, disse: - Da quella fessura viene ogni mia consolazione.  [459] Ora ci sarebbe bisogno di una virtù che comprendesse le due prime e le tenesse unite. Questa virtù è l'obbedienza. Non ne dirò che poche cose, essendosi letto nel corso di questi Esercizi il trattato dell'obbedienza nel Rodriguez ed essendosene anche parlato in qualche predica.

 

                Io raccomando molto che si usi pazienza nell'obbedire, e vorrei che, quando questa obbedienza non volesse esserci, quando la nostra testa volesse essere lontana dall'obbedienza, mirassimo il cielo e prendessimo alle buone la speranza.

 

                L'obbedienza ben sostenuta è l'anima delle Congregazioni religiose, è quella che le tiene unite. Quanto bene si può fare quando molti membri dipendono tutti assolutamente da uno solo, il quale per ragione stessa della sua posizione ha vedute molto ampie, vede in grande cos'è che va bene ed occorre fare e dice a costui: Sta qui, e lui sta; fa' ciò, e lo fa; va' là, e subito quel tale s'incammina! Il bene si moltiplica, ed è un bene. che non si può fare, se non vi è assoluta obbedienza.

 

                Oh! che altro gran bene reca l'obbedienza! Innalza di merito tutte le azioni; parlo. delle azioni manuali. Vi sarà quel tale che è buono a poco od a nulla; ebbene esso si mette sotto l'obbedienza, ed il Superiore lo metterà a scopare od a fare il cuoco, e costui potrà avere il merito di colui che tutto il giorno si occupa e si affatica o sul pulpito e nel confessionale o su d'una cattedra a far scuola. Questo è gran bene che ci viene dall'obbedienza. Ciascuno pazienti nell'incarico che ha, lo eseguisca bene quanto può e non si dia pensiero più oltre: il Signore lo accoglie bene e lo benedice.

 

                Ora io ho ancora un pensiero che vorrei raccomandarvi tanto in oggi. Questo pensiero sarà quello che rannoderà i tre primi. Consiste nel fare bene l'esercizio della buona morte; cioè ad ogni mese consacrare veramente un giorno in cui, lasciate da parte, per quanto è possibile tutte le altre occupazioni, pensiamo a stabilir bene le cose dell'anima nostra. Gioverà tanto fare un confronto tra mese e mese:

 

                -Ho fatto del profitto in questo mese? oppure vi fu in me regresso?

 

                - Poi venire ai particolari: - In questa ed in quest'altra virtù come mi sono comportato? - E specialmente si dia una rivista a ciò che forma oggetto di voti ed alle pratiche di pietà. - Riguardo all'obbedienza come mi sono comportato" ho progredito, l'ho osservata scrupolosamente? Per esempio, quell'assistenza che mi si diede da fare, come l'ho fatta? In quella scuola come mi sono impegnato? Riguardo alla povertà sia negli abiti, come nei cibi e nella cella non ho nulla a rimproverarmi, che non sia da povero? Ho desiderato golosità? Mi sono lamentato, quando mi mancava qualche cosa? - Poi venire alla castità: -Non ho dato in me luogo a pensieri cattivi? Mi sono distaccato sempre più dall'amore dei parenti? Mi sono mortificato nella gola, negli sguardi, ecc.? - E così far passare le pratiche di pietà [460] e notare specialmente se, vi fu tiepidezza ordinaria, sicchè si siano fatte le pratiche senza slancio. Questo esame, o più lungo o più corto, si faccia sempre.

 

                Siccome vi sono vari che hanno occupazioni da cui non possono esimersi in nessun giorno del mese, queste occupazioni sarà lecito tenerle; ma ciascuno in detto giorno procuri veramente di eseguire queste considerazioni e di fare buoni e speciali propositi. Ancora un piccolo pensiero.

 

                Il Signore, a quel giovane che gli domandava che cosa dovesse fare per salvarsi, diede la legge e disse: Fac hoc et vives; fa' questo e vivrai. Così io vi dico: avete le Regole, è il Signore che. ce le ha date, osserviamole e vivremo. Ciascuno le studi e nello stesso tempo studi il modo di metterle in pratica. Ciascuno per la parte sua, o superiore o inferiore, o prete o coadiutore, tutti procurino di eseguirle. Oh, in punto di morte come saremo contenti e consolati al ricordo di averle eseguite! State certi che la nostra speranza, come dicevamo, non sarà confusa. Fedele è il Signore nelle sue promesse, e quanto ci die' a sperare, tanto ci darà. Anzi Egli è pieno di bontà e di misericordia. Ci darà ben più di quanto possiamo immaginare.

 

                Facciamoci adunque coraggio. Se vi è qualche cosa da soffrire, da sopportare, per eseguire tutto ciò che il Signore ci domanda, non diamo indietro. Esso saprà bene rimunerare ogni nostro sforzo, ci contenterà nel tempo e nella eternità, con quel premio che supera ogni aspettazione.

 

                Finita la predica e cantato il Veni Creator, i professi rinnovarono i loro voti dinanzi a Gesù Sacramentato esposto sull'altare. A questo scopo Don Rua montò in pulpito, recitò con i presenti le litanie lauretane e un Pater, Ave, Gloria in onore di S, Francesco di Sales, e dopo lesse a voce alta la formula che gli altri ripetevano. Il Te Deum e la benedizione col Santissimo posero termine alla funzione e agli esercizi. A mezzogiorno il pranzo venne allietato da qualche cosa oltre il consueto, e subito dopo vi fu la partenza; ossia partirono subito i confratelli dei collegi piemontesi, mentre, quei della Liguria per ragioni facili a intendersi dormirono ancora una notte a Lanzo. Don Barberis nota che dal principio alla fine le cose procedettero con grande “pacatezza”.

 

                La seconda muta ebbe durata un po' più breve, dal 21 al 28 settembre. Vi presero parte circa duecento e cinquanta esercitandi, quasi tutti ascritti o aspiranti. Predicatore unico [461] fu il padre Gaspare Olmi, un missionario apostolico assai conosciuto e assai stimato specialmente nell'Alta Italia per virtù, zelo ed efficacia oratoria. Don Lazzero nella sua microscopica cronachina ci fa sapere che “piacque assai”.

 

                Venti giorni innanzi il Servo di Dio aveva diramato una sua letterina a stampa, concepita in modo che servisse di avviso ai soci che dovevano andare alla seconda muta, e d'invito ai giovani o ad amici, che desiderassero intervenirvi. Il tenore del biglietto era come segue:

 

                Carissimo in G. Cristo,

 

                Ti partecipo con piacere che i nostri esercizi spirituali sono fissati pel giorno 20 di questo mese, secondo il solito nel collegio di Lanzo.

 

                Se tu, come hai mostrato desiderio, ci vuoi prendere parte, procura di trovarti un po' prima in Torino per le opportune disposizioni del viaggio e di altre cose che, ci riguardano.

 

                Dio ti benedica, e prega per me che ti sarò sempre in G. Cristo

 

                Torino, 1 settembre 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                La forma dell'invito differiva notevolmente da quella usata negli anni antecedenti[180]; ma poichè quest'opera buona nel '74 aveva dato luogo a incidenti disgustosi, Don Bosco per salvare capra e cavoli, per evitare cioè malintesi e non tralasciare di fare il bene, redasse la circolarina nel modo anzidetto.

 

                Alla fine degli esercizi vi furono diciotto professioni perpetue e diciotto triennali[181]. Dopo di che, intorno a questo corso d'esercizi altro più non sappiamo, se non di un singolare episodio e di un singolarissimo sogno.

 

                L'episodio si referisce a Don Michele Unia, l'apostolo [462] dei lebbrosi nel lazzaretto di Agua de Dios. Egli arrivò dal suo paese di Roccaforte Mondovì all'Oratorio proprio sul principio di questa seconda muta e fu mandato senz'altro a Lanzo. Don Bosco non lo conosceva affatto. Negli ultimi giorni degli esercizi Unia, vedendo che tutti andavano a confessarsi da Don Bosco, vi andò egli pure. Ora, siccome intendeva di fare la sua confessione solo dall'ultima volta che si era accostato ai sacramenti, Don Bosco gli disse,

 

                - Non crederesti bene di fare la confessione generale?

 

                - Ma io non son preparato e non mi sentirei in questo momento capace di fare l'esame.

 

                - E che importa? Io ti dirò tutti i tuoi peccati e tu non avrai a rispondere che un solo sì a tutte le mie domande.

                Ciò detto, Don Bosco prese a narrargli per filo e per segno tutta la sua vita con le circostanze e il numero delle colpe e con tanta precisione che Unia, il quale aveva passati i ventiquattro anni, n'era trasecolato. Bastò infatti che rispondesse con quel semplice monosillabo, nè dovette dare altre spiegazioni. Ricevuta l'assoluzione, pieno di un gaudio ineffabile, chiese a Don Bosco:

 

                - Ma lei come ha fatto a conoscermi così bene?

 

                - Io ti ho sempre conosciuto fino da quando eri ragazzo. Ne vuoi una prova? Tu avevi dodici anni e ti trovavi una domenica in chiesa al tuo paese, nel coro, durante il vespro. Vicino a te stava tuo cugino, il quale dormiva con la bocca aperta. Tu, vedendolo in quell'atteggiamento, cavasti di saccoccia una susina e glie la ponesti in bocca, sicchè il poveretto a momenti ne rimaneva soffocato.

                Il fatto era verissimo: Don Unia assicurava di poterlo attestare con giuramento. Salesiani autorevoli ne udirono il racconto dalle sue labbra medesime.

 

                A chiusura e a ricordo degli esercizi Don Bosco raccontò un sogno simbolico, che è uno dei più istruttivi fra quanti ne aveva avuti fino allora. Don Lemoyne ne prese appunti mentr'egli parlava; indi pose subito tutto in iscritto e poi [463] fece leggere a Don Bosco, che vi apportò qualche lieve modificazione. Per maggior chiarezza dividiamo la narrazione in quattro parti.

 

Parte I.

 

                Si dice che non si deve badare ai sogni: vi dico in verità che nella maggior parte dei casi sono anch'io di questo parere. Tuttavia alcuna volta, quantunque non ci rivelino cose future, servono a farei conoscere in che modo sciogliere affari intricatissimi ed a farci agire con vera prudenza in varie faccende. Allora si possono ritenere, per la parte che ci offrono di buono.

 

                Io in questo momento vi voglio appunto raccontare un sogno che mi tenne occupato, si può dire, in tutto il tempo di questi esercizi e specialmente mi travagliò in questa notte scorsa. Ve lo racconto tal quale lo feci, restringendolo solo qua e là un poco per non essere troppo lungo, perchè mi pare ricco di molti e gravi ammaestramenti.

 

                Mi sembrò adunque che eravamo tutti insieme e andavamo da Lanzo a Torino. Ci trovavamo tutti su qualche veicolo, ma non saprei dire se fossimo sulla ferrovia o sugli omnibus; ma non eravamo a piedi. Arrivati a un dato punto della strada, non ricordo più dove, il veicolo si fermò. Io discendo giù per vedere che mai si fosse, e mi si affacciò un personaggio che non saprei definire. Mi pareva di alta e bassa statura nello stesso tempo; era grasso e sottile; mentre era bianco, era anche rosso; camminava per terra e per aria. Fui tutto stupefatto e non sapevo darmi ragione di questo, quando, fattomi coraggio, gli domandai: - Tu chi sei? -

                Egli senza dirmi altro, rispose: - Vieni! -

                Io voleva prima sapere chi fosse, che volesse, ma esso riprese: Vieni presto; facciamo girare i veicoli in questo campo. - Il mirabile si era che parlava piano e forte nello stesso tempo ed a varie voci, del che io non mi rifiniva di far meco stesso le meraviglie.

 

                Il campo era vastissimo, proprio a vista d'occhio, tutto ben piano; non era a solchi, ma proprio battuto come fosse un'aia. Non sapendomi che dire, e vedendo quel personaggio tanto risoluto, facemmo dar di volta ai veicoli, i quali entrarono in quel vastissimo campo, e poi gridammo a tutti quei che erano dentro, che discendessero. Tutti discesero in brevissimo tempo, ed ecco che appena discesi si vedono scomparire i veicoli, senza sapere dove se ne siano andati.

 

                - Ora che siamo discesi, mi dirai... mi direte.. mi dirà..., sussurrai io incerto del come diportarmi con quel personaggio, perchè ci abbia fatto fermare in questo luogo.

                Rispose: - Il motivo è grave; si è per farvi evitare un grandissimo pericolo!

 

                - E quale? [464]

 

                - Il pericolo di un toro furibondo, che non lascia persona viva al suo passaggio. Taurus rugiens quaerens quem devoret.

 

                - Adagio, caro mio, tu attribuisci al toro quel che nella Sacra Scrittura S. Pietro dice del leone: leo rugiens!

 

                - Non importa: là era leo rugiens, e qui è taurus rugiens. Il fatto si è che bisogna stiate bene all'erta. Chiama tutti i tuoi attorno a te. Annunzia loro solennemente e con gran premura che stiano attenti, molto attenti, ed appena sentiranno il muggito del toro., muggito straordinario ed immenso, si gettino subitamente a terra, e così se ne stiano bocconi colla faccia rivolta al suolo fin tanto che il toro abbia fatto il suo passaggio. Guai a colui che non ascolterà la tua voce; chi non si prostrerà bocconi nel modo che ti ho detto, è bell'e perso, perchè si legge nelle sante Scritture che, chi sta basso sarà esaltato, e chi sta alto sarà abbassato: qui se humiliat exaltabitur, et qui se exaltat humiliabitur.

                Poi mi soggiunse di nuovo: - Presto, presto il toro è per venire; grida, grida forte che si abbassino.

                Io gridava, ed egli: - Su, su! grida ancor più forte, grida, grida!

                Io ho gridato tanto forte, che credo persino di aver spaventato D. Lemoyne, che dorme nella camera attigua; ma di più non poteva.

 

                Ecco che in un istante si sente il muggito del toro: - Attenti! attenti! falli mettere in linea retta, tutti vicini gli uni agli altri da una parte e dall'altra con un passaggio in mezzo, per cui il toro possa passare. - Così mi grida quel personaggio. Io grido e do questi ordini; in un batter d'occhio tutti sono prostrati a terra e noi incominciammo a vedere il toro da molto lontano che arrivava furibondo. Sebbene la grande maggioranza fosse prostrata, tuttavia alcuni volevano stare a vedere che cosa fosse quel toro, e non si prostravano: erano pochi.

 

                Quell'individuo mi disse: - Ora vedrai che cosa avverrà di costoro; vedrai che cosa riceveranno, perchè non si vogliono abbassare.

                Io voleva avvertirli ancora, gridare, correre a loro; l'altro me lo negava; io insistetti che mi lasciasse andar da loro. Mi rispose reciso: - L'ubbidienza è anche per te: abbassati.

                Non ero ancor prostrato che un grandissimo muggito, tremendo, spaventevole, si fece udire. Il toro era già vicino a noi. Tutti tremavano e domandavano: - Chi sa?... chi sa?...

 

                - Non temete; giù a terra, io gridai.

                E quel tale continuava a gridare: Qui se humiliat, exaltabitur, et qui se exaItat, humiliabitur... qui se humiliat.... qui se humiliat...

 

                Una cosa strana che fece stupire anche me, fu questa, che sebbene io avessi il capo sul pavimento e fossi proprio tutto intieramente prostrato con gli occhi nella polvere, tuttavia vedeva benissimo le cose che attorno a me accadevano. Il toro aveva sette corna in forma quasi di circolo; due le aveva sottoposte al naso; due al posto degli occhi; due al posto ordinario delle coma ed uno sopra. Ma cosa maravigliosa! [465] Queste coma erano fortissime, mobili, le voltava dalla parte che voleva, di modo che per abbattere ed atterrare qualcuno, non avea, correndo, da voltarsi qua e là; bastava andare avanti senza voltarsi, che abbatteva qualunque incontrasse. Più lunghe erano le coma del naso, e con queste faceva stragi veramente sorprendenti.

 

                Già il toro ci era vicinissimo. Allora l'altro grida: - Si vedrà l'effetto dell'umiltà. - Ed in un istante, oh meraviglia! tutti noi ci vedemmo sollevati in aria, ad una considerevole altezza, di modo che era impossibile che il toro ci potesse raggiungere. Quei pochi che non si erano abbassati, non furono sollevati. Arriva il toro e li sbrana in un momento. Non fu uno salvo. Noi intanto così sollevati in aria, avevamo paura e dicevamo: - Se cadiamo giù, sì che siamo bell'e persi! poveri noi! Che mai sarà di noi? - Intanto vedevamo il toro furibondo che cercava di raggiungerci; faceva salti terribili per poterci dare delle cornate; ma non potè farci male di sorta alcuna. Allora furioso più che mai, fa segno che vuole andarsi a cercare dei compagni, quasi dicendo: - Allora ci aiuteremo gli uni gli altri, faremo scalata.... - E così, habens iram magnam, se ne andò.

 

                Allora ci trovammo di nuovo per terra e quel tale di pose a gridare: -Voltiamoci dalla parte di mezzodì.

 

Parte II.

 

                Ed ecco che senza capire come la cosa avvenisse, si cambiò affatto scena innanzi a noi. Voltatici verso mezzodì noi vedemmo esposto il Santissimo Sacramento; molte candele stavano accese dall'una e dall'altra parte, e già non compariva più quel prato, ma pareva che ci trovassimo in una chiesa immensa, tutta ben ornata. Mentre eravamo tutti in -adorazione avanti al Santissimo Sacramento, ecco che arrivano furibondi molti tori, tutti con corna orribili e spaventosissimi nell'aspetto. Vennero, ma essendo noi tutti in adorazione del Santissimo Sacramento, non ci poterono fare alcun male. Noi intanto ci eravamo posti a recitare la coroncina al Sacratissimo Cuore di Gesù. Dopo un poco, non so come, guardammo, ed i tori non c'erano più. Rivoltatici poi di nuovo dalla parte dell'altare, trovammo che i lumi erano spariti, il Sacramento non più esposto; scompare la chiesa: ma dove siamo? Ci trovammo nel campo dove eravamo prima.

 

                Voi capite abbastanza che il toro è il nemico delle anime, il demonio, che ha grande ira contro di noi e cerca continuamente farci del male. Le sette coma sono i sette vizi capitali. Ciò che ci può liberare dalle coma di questo toro, cioè dagli assalti del demonio, dal non cadere nei vizi, si è principalmente l'umiltà, base e fondamento della. virtù.

 

Parte III.

 

                Noi intanto stupefatti, meravigliati ci guardavamo gli uni gli altri; nessuno parlava; non sapevamo che dire. Si aspettava che Don Bosco [466] parlasse o che quel tale ci dicesse qualche cosa. Quando esso, presomi da parte, soggiunse: - Vieni, ti farò vedere il trionfo della Congregazione di S. Francesco di Sales. Monta su questo sasso e vedrai!

                Fra un gran macigno in mezzo a quel piano sterminato, ed io vi montai sopra. Oh che vista immensa si affacciò ai miei occhi! Quel campo che non avrei creduto tanto vasto, mi comparve come se occupasse tutta la terra. Uomini d'ogni colore, d'ogni vestito, d'ogni nazione, vi stavano radunati. Vidi tanta gente che non so se il mondo tanta ne possegga. Cominciai ad osservare i primi che si affacciarono al nostro sguardo. Erano vestiti come noi Italiani. Io conosceva quei delle prime file e vi erano tanti Salesiani che conducevano come per mano squadre di ragazzi e ragazze. Poi venivano altri, con altre squadre; poi ancora altri ed altri che più non conosceva e più non poteva distinguere, ma erano in un numero indescrivibile. Verso il mezzodì comparvero ai miei occhi, Siciliani, Africani ed un popolo sterminato di gente che io non conosceva. Erano sempre condotti da Salesiani, i quali io conosceva nelle prime file e poi non più.

 

                - Vòltati, - mi disse quel tale. Ecco che mi si affacciarono agli occhi altri popoli sterminati di numero, vestiti diversamente da noi: avevano pellicce, specie di mantelli che parevano velluto, tutti a vari colori. Mi fece voltare verso i quattro punti cardinali. Tra le altre. cose vidi in oriente donne con i piedi piccoli tanto, che stenta vano a stare in piedi e quasi non potevano camminare. Il singolare si era che dappertutto vedeva Salesiani che conducevano squadre di ragazzi e di ragazze e con loro un popolo immenso. Nelle prime file sempre li conosceva; poi andando Avanti non li conosceva più, e nemmeno i  missionari. Qui molte cose non posso narrarle per disteso, perchè riuscirei troppo lungo.

 

                Allora quel tale che mi aveva condotto e consigliato fino a questo punto, che cosa aveva a fare, prese di nuovo la parola e soggiunse: Guarda; considera; tu ora non capirai tutto quel che ti dico, ma sta' attento: tutto questo che hai visto è tutta messe preparata ai Salesiani. Vedi quanto sia immensa la messe? Questo campo immenso in cui ti trovi è il campo in cui i Salesiani devono lavorare. I Salesiani che vedi sono i lavoratori di questa vigna del Signore. Molti lavorano, e tu li conosci. L'orizzonte poi si allarga, a vista di occhio, di gente che tu non conosci ancora; e questo vuol dire che non solo in questo secolo, ma ben anche nell'altro e nei futuri secoli, i Salesiani lavoreranno nel proprio campo. Ma sai a quali condizioni si potrà arrivare ad eseguire quello che vedi? Te lo dirò io. Guarda; bisogna che tu faccia stampare queste parole che saranno come il vostro stemma, la vostra parola d'ordine, il vostro distintivo. Notale bene: Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la Congregazione Salesiana. Queste parole le farai spiegare, le ripeterai, insisterai. Farai stampare il manuale che le spieghi e faccia capir bene che il lavoro [467] e la temperanza sono l'eredità che lasci alla Congregazione, e nello stesso tempo ne saranno anche la gloria.

                Io risposi: - Questo lo farò molto volentieri; questo è tutto secondo il nostro scopo, è quello che vo già raccomandando tutti i giorni e vo insistendo semprechè me ne capiti l'occasione.

 

                - Sei dunque ben persuaso? Mi hai dunque ben capito? Questa è l'eredità che lascerai loro, e di' pur loro chiaro che, fintantochè i tuoi figli corrisponderanno, avranno seguaci al mezzodì, al nord, all'oriente e all'occidente. Ora discendi pure dagli esercizi ed incamminali per la loro destinazione. Questi saranno di norma, poi verranno gli altri. -

                Ed ecco che compaiono nuovamente degli omnibus per condurci tutti a Torino. Io osservo, osservo; erano omnibus tutti sui generis, strani quanto mai. I nostri cominciano a montare; ora quegli omnibus non avevano appoggio da nessuna parte, ed io temeva che i giovani cadessero e non voleva lasciarli partire. Ma quel tale mi disse: -Vadano, vadano pure; essi non hanno bisogno di appoggio, solo che eseguiscano bene quelle parole. Sobrii estote et vigilate. Eseguite bene queste due parole, noli si cade, sebbene non vi siano appoggi e la carrozza corra. -

 

Parte IV.

 

                Partirono adunque ed io rimasi solo con quel tale: - Vieni, mi soggiunse tosto; vieni; voglio farti vedere la parte più importante; oh avrai da impararne bene! Vedi là quel carro?

 

                - Lo vedo!

 

                - Sai che cosa è?

 

                - Ma non vedo bene.

 

                - Se vuoi veder bene, avvicinati. Vedi là quel cartellone? Avvicinati; osservalo; su quel cartello vi è l'emblema: da quello conoscerai.

                Io mi avvicino e vedo su quel cartello dipinti quattro chiodi molto grossi. Mi rivolsi a lui dicendo:

 

                - Ma non capisco nulla, se non mi spiega.

 

                - Non li vedi quei quattro chiodi? Osservali bene. Sono i quattro chiodi che forarono e tormentarono tanto crudelmente la persona del Divin Salvatore.

 

                - E con ciò?

 

                - Sono quattro chiodi che tormentano le Congregazioni religiose. Se eviti questi quattro chiodi, cioè che la tua Congregazione non resti tormentata da essi, che sappiate tenerli lontani, allora le cose andranno bene e voi sarete in salvo.

 

                - Ma io ne so come prima, risposi; che cosa significano questi chiodi?

 

                - Se vuoi sapere meglio, visita meglio questo carrozzone che ha [468] i chiodi per emblema. Vedi; questo carrozzone ha quattro scompartimenti, ciascuno dei quali corrisponde ad un chiodo.

 

                - Ma e questi scompartimenti, che cosa significano?

 

                - Osserva il primo scompartimento. - Osservo e leggo sul cartello: Quorum Deus venter est. - Oh, adesso comincio a capire qualche cosa.

                Quel tale mi risponde: - Questo è il primo chiodo che tormenta e manda in rovina le Congregazioni religiose. Egli farà strage anche di voi, se non stai attento. Combattilo bene e vedrai che le tue cose prospereranno.

 

                - Ora veniamo al secondo scompartimento; leggi l'iscrizione del secondo chiodo: Quaerunt quae sua sunt, non quae Jesu Christi. Quivi sono quelli che cercano le proprie comodità, gli agi, e brigano pel bene proprio o forse, anche dei parenti, e non cercano il bene della Congregazione, che è quello che forma la porzione di Gesù Cristo. Sta' attento, allontana questo flagello e vedrai prosperare la Congregazione.

                Terzo scompartimento: osservo l'iscrizione del terzo chiodo, ed era: Aspidis lingua eorum. - Chiodo fatale per le Congregazioni sono i mormoratori, i sussurroni; quelli che cercano sempre di criticare e per diritto e per traverso.

                Quarto scompartimento: Cubiculum otiositatis. - Qui sono gli oziosi in gran numero, e quando si incomincia ad introdurre l'ozio, la comunità resta bell'e rovinata; invece, finchè si lavorerà molto, nessun pericolo per voi. Ora osserva ancora una cosa che vi è in questo carrozzone a cui molte e molte volte non si bada, ed io voglio che tu osservi con attenzione tutta speciale. Vedi quel ripostiglio che non fa parte di nessun scompartimento, ma si estende un poco in tutti? E' come un mezzo scompartimento o distretto.

 

                - Vedo; ma non c'è che rimasugli di foglie, erbaccia alta: altra più bassa ingarbugliata.

 

                - Bene, bene; è questo che voglio che tu osservi.

 

                - Ma che cosa posso io ricavar da questo?

 

                - Osserva bene l'iscrizione che sta quasi nascosta.

 

                Osservo bene e vedo scritto: Latet anguis in herba.

 

                - Ma e con questo?

 

                - Guarda, vi sono certi individui che stan nascosti; non parlano; non aprono mai il cuore ai Superiori; ruminano sempre in cuore i loro segreti; sta' attento; latet anguis in herba. Sono veri flagelli, vera peste delle Congregazioni. Ancorachè cattivi, se fossero svelati, si potrebbero correggere; ma no, stanno nascosti, noi non ce ne accorgiamo, ed intanto il male si fa grave, il veleno si moltiplica nel cuore di costoro, e quando fossero conosciuti non vi sarebbe più tempo a riparare il danno che già hanno prodotto. Impara dunque bene le cose che devi tener lontane dalla tua Congregazione: tieni bene a mente [469] quanto hai udito: da’ ordine che queste cose siano spiegate e rispiegate a lungo. Facendo così, sta' tranquillo sulla tua Congregazione, che le cose prospereranno un dì più dell'altro.

                Allora io pregai quel tale che per non dimenticare nessuna delle cose che mi aveva detto, mi lasciasse un po' di tempo per poterle scrivere.

 

                - Se vuoi far la prova, mi rispose, scrivile, ma temo che ti manchi il tempo, e sta' attento.

                Mentre esso mi diceva queste cose ed io mi preparava per iscrivere, mi parve di sentire un rumore confuso, un'agitazione tutto intorno a me. Il pavimento di quel campo pareva che traballasse. Allora io mi volgo attorno per vedere se qualche cosa ci fosse di nuovo, e vedo i giovani poco prima partiti, che tutti spaventati, da ogni parte tornavano a me, e subito dopo, il muggito del toro, ed il toro medesimo che li inseguiva. Quando il toro ricomparve, io fui tanto spaventato alla sua vista che mi risvegliai.

 

                Io vi ho raccontato il sogno in questa circostanza, prima di separarci, ben persuaso di poter dire con tutta verità, che sarebbe degna conclusione degli esercizi, se noi porporremo di attenerci al nostro stemma: Lavoro e temperanza; e se procureremo a tutt'uomo di evitare i quattro grandi chiodi che martoriano le Congregazioni. Il viziò della gola, il cercar le agiatezze, le mormorazioni e l'ozio, a cui è da aggiungere che ciascuno sia sempre aperto, schietto e confidente coi proprii Superiori. In questo modo faremo del bene alle anime nostre e nello stesso tempo potremo anche salvare quelle che la Divina Provvidenza affiderà alle nostre cure.

 

                Don Bosco aveva divisato e promesso nel corso del racconto che avrebbe spiegato meglio in ultimo il punto della temperanza, narrando un'appendice del sogno; ma poi nel passare alla seconda parte del suo discorso, la quale vedremo fra breve, se ne scordò. Svegliato, come ha detto, dal riapparire della bestia furente, ebbe desiderio di conoscere ancora una cosa; ne fu appagato non appena riprese sonno. Quello che allora vide, fu da lui raccontato più tardi a Chieri. Don Berto che era presente, scrisse e rimise a Don Lemoyne, il quale copiò, a compimento di quanto aveva già in carta.

 

                Ero desideroso di conoscere gli effetti della temperanza e quelli della intemperanza e con questo pensiero mi posi a letto; quand'ecco appena addormentato ricompare il nostro personaggio e m'invita a seguirlo e a vedere gli effetti della temperanza. Mi condusse in un [470] amenissimo giardino, pieno di delizie e di fiori d'ogni genere e specie. Quivi osservai una quantità di rose le più pompose, simbolo della carità; là un garofano, là un gelsomino; qua un giglio, là una viola, là un fiore perpetuo, un girasole, ed uno sterminato numero di fiori, ciascuno simboleggiante una virtù.

 

                - Ora sta' attento - mi disse la guida. Scomparve il giardino e sentii un forte rumore:

 

                - Che cosa è questo? Donde viene questo rumore?

 

                -Vòltati e osserva.

                Mi voltai e vidi, oh spettacolo inaudito! vidi un carro di forma quadrata, tirato da un maiale e da un rospo di enorme grossezza.

 

                - Avvicinati e guàrdavi entro.

                Mi feci avanti per esaminare il contenuto del carro. Esso era pieno e riboccante di animali i più schifosi: corvi, serpi, sciorpioni, basilischi, lumache, pipistrelli, coccodrilli, salamandre. Io non potei resistere a tal vista, e mentre inorridito, rivoltai lo sguardo, per la puzza di quelli animali schifosissimi, ricevetti come una scossa e mi svegliai, sentendo ancora per un buon pezzo il medesimo odore; e la mia mente era ancora sì turbata per l'orridezza di quella vista, che parendomi d'aver tuttora innanzi agli occhi tal cosa, non mi fu più possibile poter riposare per quella notte.

 

                Don Lemoyne, badando unicamente al sogno, non pensò a scrivere la seconda parte della predica, che troviamo invece riassunta da Don Barberis nel modo che segue.

 

                Volendo ora venire a dare qualche ricordo speciale che serva per il corso di quest'anno, ecco quale sarebbe: che si cerchino tutti i mezzi per conservare la virtù regina, la virtù che custodisce tutte le altre; che se l'abbiamo non sarà mai sola, anzi avrà per corteo tutte le altre, e se perdiamo questa, le altre, o non ci sono o si perdono in breve tempo.

 

                Amatela questa virtù, amatela molto, e ricordatevi che per conservarla, bisogna lavorare e pregare: non eicitur nisi in ieiunio et oratione. Sì: preghiera e mortificazione negli sguardi, nel riposo, nel cibo, e specialissimamente nel vino; pel nostro corpo non cercare agiatezze, anzi, quasi direi, strapazzarlo. Non usargli riguardi eccetto che per necessità, quando la salute lo richiede; allora sì; del resto, dare al corpo lo stretto necessario e non di più, perchè dice lo Spirito Santo: Corpus hoc quod corrumpitur aggravat animam. Sì? Allora che cosa faceva S. Paolo? Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ut spiritui inserviat.

 

                Raccomando poi qui ciò che raccomandai nell'altra muta di esercizi, cioè: OBBEDIENZA, PAZIENZA, SPERANZA... [471] L'altra cosa è l'umiltà che dobbiamo cercare di possedere noi ed inculcare nei nostri giovani e in tutti, virtù che viene ordinariamente chiamata il fondamento della vita cristiana e della perfezione.

 

                Una cosa che qualche volta si dice, ma io non vorrei mai che si facesse, si è questa: di fare le cose solo per piacere a D. Bosco. No, miei cari, non cercate di piacere a me, ma cercate di piacere al Signore. Poveretti! Che premio potrei. darvi io, se cercate solo di piacere a me? Potrei darvi le mie miserie. Mettete proprio il vero spirito di piacere al Signore, e se qualche volta vi fosse affidato un uffizio ripugnante, fatelo ugualmente, fatelo volentieri, pensando che con questo vi guadagnerete l'amore di Nostro Signor Gesù Cristo ed un premio eterno in cielo.

 

                Abbiate poi tutti una copia delle Regole; leggetele, studiatele, e siano queste come un nostro codice, a cui cerchiamo di uniformare intieramente la nostra vita.

 

                Tra le Regole specialmente si osservino le pratiche di pietà, e tra queste, come ricordo speciale, desidero che si introduca e si faccia bene quanto riguarda l'esercizio della buona morte. Posso assicurarvi che chi eseguisce bene questo esercizio mensile, può star tranquillo della salute dell'anima sua e sicuro di camminare sempre nella vera via della propria vocazione. Avverrà di varii che non possono trovare un giorno in cui esimersi da ogni occupazione, non importa, facciano pure quello che per il loro ufficio è strettamente necessario fare; ma non vi sarà nessuno che in quel giorno non trovi una buona mezz'ora, in cui pensi sul serio: 1° Se morissi in questo momento, non ho nessun imbroglio sull'anima? 2° In questo mese quali sono stati i miei difetti principali? 3° Tra questo mese ed i precedenti, quale andò meglio? 4° Se morissi ora, non lascerei nessun imbroglio nella mia gestione o nei miei uffizi? non lascerei nell'imbroglio i Superiori riguardo a quanto posseggo? e nelle gestioni materiali che mi riguardano? - Facendo queste considerazioni, procurare di mettere veramente a posto quanto potremo trovare d'inconveniente.

 

                Ancora un pensiero riguardo al dubbio che qualcuno potesse avere sulla sua vocazione. Sarò poi chiamato a stare in questa Congregazione? Sono ben sicuro che questa che ho abbracciato, sia la vita che il Signore richiede da me?

 

                Prima di tutto io vi dico, e tenetelo pur bene a mente: non ho mai, accettato nessuno di cui non fossi sicuro che quel tale vi fosse dal Signore chiamato.

 

                Poi, pensate: io sono del parere che l'esser venuti voi tutti qui a radunarvi in Lanzo chi da una parte, chi da un'altra, chi superando ostacoli di un genere, chi di un altro; l'aver lasciato le vostre occupazioni, e l'occasione speciale di trovarvi in questo momento qui: questo solo io credo che sia già un vero segno che Dio vi chiama ad abbracciare questo stato. Ed io in questo momento non temo punto [472] di dirvi che voi tutti quanti qui siete, tutti siete chiamati dal Signore; manca soltanto che corrispondiate, mettendovi di tutto cuore ad osservare le Regole. Oh, sì! Io risponderei a ciascuno quello che il Divin Salvatore rispondeva a quel tale: Si vis ad vitam ingredi, serva mandata.... Hoc fac et vives (Luca, X, 28).

 

                ... Hoc fac et vives. Osserva le Regole. Ma, e d'altro? Fa' questo e vivrai. Sapete quando è che la vocazione comincia ad esser dubbia? Comincierà in voi a venir dubbia, quando voi comincerete a trasgredire le Regole. Allora sì che verrà dubbia, e se si continua nelle trasgressioni, si corre grave pericolo di perderla.

 

                Coraggio adunque: osservanza esatta delle nostre Regole e sia questo il ricordo che mette come il suggello a tutti gli altri, sia a quelli che man mano venne suggerendovi il bravo Predicatore, sia a quanto vi suggerì la vostra pietà nelle meditazioni, negli esami di coscienza, nella Santa Comunione; e anche serva di suggello a quanto io vi venni già in questa stessa conferenza suggerendo; e vivete felici!

 

                La seconda muta degli esercizi venne funestata da una tragica sciagura. Mentre nella cappella del collegio gli esercitanti pendevano dalle labbra di Don Bosco, il Vicario foraneo della parrocchia, teologo Federico Albert, sacerdote dotto, intraprendente, artista e santo, finiva di dare le ultime pennellate a una sua pittura sulla volta di una chiesina, eretta per uso della sua colonia agricola e dell'Oratorio festivo, quando, scivolatogli un piede, cadde dall'altezza di circa otto metri, battè della persona e specialmente della testa su mucchi di grosse pietre e rimase là tramortito. Quel mattino egli aveva terminato un mese di digiuno e diceva tutto allegro a Don Lemoyne, che aspettava una grande grazia.

 

                Primo pensiero di chi lo vide cadere fu di correre al collegio per chiamare Don Bosco, intimo e vecchio amico del Vicario. Ma poichè Don Bosco predicava ancora volarono sul posto Don Rua e Don Lemoyne. La ferita purtroppo era mortale. I medici del paese, fattolo trasportare in canonica, gli apprestarono le prime cure; sopraggiunse anche il celebre dottor Bruno[182] chiamato telegraficamente da Torino, ma la [473] scienza nulla ormai poteva fare. Visse ancora due giorni senza dir verbo, senza fare il più piccolo movimento, senza dar segno di conoscere i tanti che si affrettarono a visitarlo. Quando per altro gli si avvicinò Don Bosco, tutti gli astanti notarono due cose: che mentre il Servo di Dio gli parlava, l'infermo tratteneva il rantolo, mandando poi un sospiro prolungato appena Don Bosco taceva, e che, avendogli Don Bosco presa la mano, parve fare uno sforzo per stringergliela, ma senza riuscirvi. I due santi ebbero forse insieme un muto colloquio di paradiso sulle soglie della morte.

 

                Fu un accorrere di parroci e di altri sacerdoti, che al vederlo in quello stato si scioglievano in lacrime. Tanti visitarono Don Bosco in collegio e, come se si fossero passata parola, gli venivano ripetendo: - Umanamente parlando, non vi è più speranza di guarigione; ma lei lo raccomandi alla sua Madonna. Se Ella prega, si riavrà. - Don Bosco che sentiva più di tutti la perdita imminente, rispondeva: - Se umanamente parlando si può dar caso, in cui ci sia bisogno che la Madonna faccia un miracolo, questo è proprio uno. Ma che farci! Conviene essere rassegnati alla volontà del Signore. - Nè proferì mai parola di speranza con chicchessia.

 

                Egli disse in casa: - Se vi è uno che ne senta la perdita sono io, perchè nessuno sperimentò la sua carità al par di me. Non vi era una cosa che egli potesse fare per noi e che non facesse immantinenti e volentieri. Noi, quando ci trovavamo in imbrogli qui in Lanzo, ricorrevano sempre a lui. Accadde più volte che ci mancasse il predicatore alla vigilia degli esercizi, ed egli invitato predicava di buon grado e con grande zelo. Ci aiutava anche pecuniariamente, prima che cominciasse il suo ospizio. Anch'io da mia parte non ricordo che il Vicario desiderasse qualche cosa da noi e non la ottenesse. L'aver noi accettato il collegio di Lanzo è in gran parte merito suo. Adesso specialmente tutto il suo studio era rivolto all'oratorio festivo, cosa che anche noi desideravamo [474] tanto; anzi era già designato chi dei nostri preti sarebbe andato a dirigerlo, a predicare, a fare il catechismo: ed ecco che proprio mentre finisce di dipingere la volta della desiderata cappella, il Signore giudica arrivato il momento di dargli la corona. Per Lanzo e per noi è certamente una perdita molto dolorosa. -

                Allora fu che Don, Bosco raccontò in qual modo tanti anni innanzi avessero fatto la reciproca conoscenza. Nel 1844, in momenti gravissimi per l'Oratorio, egli si vide una domenica venire incontro un giovane prete, che dopo i soliti convenevoli gli disse:

 

                - Sento che lei ha bisogno di qualche prete che l'aiuti a fare il catechismo e a far buoni questi ragazzi. Se crede che io sia capace a qualche cosa, eccomi qui, mi presto ben volentieri.

 

                - Come si chiama?

 

                - Teologo Albert.

 

                - Ha già predicato?

 

                - Sì, qualche volta; ma, se è necessario, mi ci preparo. E se non sarà necessario predicare, lei avrà bisogno di chi l'aiuti a fare catechismi, a scrivere, a copiare...

 

                - Ha già dettato esercizi spirituali?

 

                - Non ancora; ma se mi dà un po' di tempo, mi ci metto.

                - Bene! Io, veda, ne ho dei giovani. Alcuni stanno già qui con me e altri potrebbero venire ancora, e mi sembra che sarebbe ottima cosa far loro fare gli esercizi spirituali. Si prepari per il tal tempo, e vedremo. -

                Egli venne; Don Bosco radunò una ventina di ragazzi, e quelli furono i primi esercizi spirituali che si siano dati nell'Oratorio. Dopo d'allora Don Bosco e il Teologo si mantennero sempre in relazione.

 

                Spirò all'alba del 30. Aveva cinquantasei anni. Con la sua robustezza avrebbe potuto raggiungere la più tarda età. Condusse una vita di mortificazione, di zelo e di lavoro, procedendo abitualmente nelle cose sue con prudenza e vigilanza [475]. Creò un ospizio per le fanciulle povere e rifece ed abbellì la chiesa parrocchiale, due opere a cui restò legata la sua memoria Nell'Archidiocesi primeggiava fra i più ragguardevoli predicatori. La sua salma stette esposta nell'ospizio delle Vincenzine da lui istituite. Il Beato Don Bosco fece anticipare la venuta dei chierici e dei preti che dovevano recarsi a Lanzo per il terzo turno di esercizi, affinchè potessero prendere parte all'accompagnamento funebre.

 

                La terza muta, dal 1° al 7 ottobre, fu predicata dal padre Bruno, filippino dell'Oratorio torinese, gran direttore di anime. V'intervennero soli preti e i chierici più anziani. Don Bosco non si mosse mai da Lanzo nemmeno nei brevi intervalli fra una muta e l'altra. Le notizie dell'ultima scarseggiano assai più che per le antecedenti, se non fosse di un sogno narrato sul finire, dovremmo qui fare punto. Bisogna che ne riuniamo i dati, perchè non ci è stato trasmesso nella consueta forma parlata. Nelle memorie del tempo lo troviamo designato col titolo “La fillossera”[183].

 

                Sembrava a Don Bosco di trovarsi entro una vastissima sala nel Borgo S. Salvario a Torino. Religiosi e religiose in gran numero, appartenenti a diversi Ordini e Congregazioni, stavano ivi radunati: all'entrare di Don Bosco, tutti i loro occhi si rivolsero verso di lui, come se vi fosse da tutti aspettato. In mezzo ad essi vide un uomo di aspetto strano, con la testa fasciata da una bianca benda e con la persona avvolta in una specie di lenzuolo a guisa di mantello. Don Bosco volle sapere chi fosse quella testa strana e gli fu risposto che quella testa strana era egli stesso, Don Bosco... Rappresentava forse Don Bosco sognante.

 

                Si avanzò dunque fra quella moltitudine di persone religiose, che gli facevano intorno larga corona, sorridendogli; ma nessuno parlava. Egli osservava sorpreso: ma tutti continuavano [476] a guardarlo ridendo e senza far motto. Finalmente ruppe il silenzio e disse:

 

                - Perchè ridete così? Sembra quasi che vogliate burlarvi di me!

 

                - Burlarci di te? T'inganni; noi ridiamo perchè abbiamo indovinato il motivo che ti ha condotto qui.

 

                - Come lo potete indovinare, se io stesso non saprei dirvi perchè ci sia venuto? Vi accerto che il vostro ridere mi sorprende.

 

                - Il motivo che ti ha menato qui, dissero i religiosi, è questo. Tu hai dato gli esercizi ai tuoi chierici a Lanzo.

 

                - E con ciò?

 

                - Ora vieni a cercare che cosa dire nella predica di conclusione.

 

                - Sia pure come voi dite. Suggeritemi dunque che cosa debbo dire, qualche avviso che giovi a far fiorire sempre più la Congregazione di S. Francesco di Sales. Ve ne sarei tenuto.

 

                - Una cosa sola noi ti suggeriamo: di' ai tuoi figliuoli che si guardino dalla fillossera.

 

                - La fillossera?! Ma che c'entra la fillossera?

 

                - Se terrai lontana dalla tua Congregazione la fillossera, essa avrà lunga vita e fiorirà e farà un grandissimo bene alle anime.

 

                - Ma io non vi capisco.

 

                - Come, non capisci? La fillossera è il flagello che ha portato la rovina in tanti ordini religiosi e fu la causa per la quale tanti non raggiungono più oggi il loro, altissimo fine.

 

                - E’ inutile quest'avviso, se voi non vi spiegate meglio. Io non ne capisco nulla.

 

                - Allora non valeva la pena studiare tanta teologia.

 

                - Tanto quanto mi sembra d'aver fatto il mio dovere; ma nei trattati teologici non ho mai trovato che si parli di fillossera.

 

                - Eppure se ne parla. Riduci a senso morale e spirituale questa parola. [477] Nell'etimologia di fillossera non vedo neppure alla lontana un significato che possa ridursi a senso spirituale.

 

                - Giacchè tu non sei capace di spiegare il mistero, ecco venire chi te ne darà la spiegazione.

                In quella Don Bosco notò un certo movimento fra la turba per lasciar libero il passo a qualcuno e vide avanzarsi verso di lui un nuovo personaggio. Lo fissò bene; ma gli parve di non averlo mai veduto, benchè con i suoi modi familiari mostrasse di essere una sua antica conoscenza. Appena gli fu vicino, Don Bosco gli disse:

 

                - Voi giungete proprio a proposito per levarmi dall'imbarazzo, in cui mi hanno posto questi signori. Pretendono che la fillossera minacci distruzione alle case religiose e vogliono che io prenda la fillossera per tema della conclusione dei nostri esercizi spirituali.

 

                - Don Bosco, che si crede tanto sapiente,. non sa queste cose? E' certo che se tu combatterai a tutto potere questa fillossera e insegnerai ai tuoi figli il modo di combatterla a dovere, la tua Società non mancherà di fiorire. Sai che cosa è la fillossera?

 

                - So che è una malattia che s'attacca alle piante e ne mena strage, facendole intisichire.

 

                - E questa malattia da che cosa proviene?

 

                - E’ originata da una moltitudine infinita di animalucci, che prendono possesso di una pianta.

 

                - Come si fa a salvare le piante vicine dalla distruzione?

 

                - Ecco quello che più non intendo.

 

                - Ascolta bene quello che sono per dirti. La fillossera comincia a comparire sopra una pianta sola, e non passa gran tempo che tutte le piante più prossime ne sono infette, anche se si trovano a una certa distanza. Ora quando in una vigna, in un frutteto, in un giardino compare la malattia, l'infezione si estende rapidamente e la bellezza e i frutti sperati se, ne vanno in rovina. Sai come si estende il male? Non per contatto, perchè la distanza lo impedisce; non perchè [478] gli animaletti scendano nel suolo e attraversino lo spazio che li divide dalle altre piante: l'esperienza lo prova: è il vento che solleva questa maledizione e la sparge sui rami delle piante ancora sane. E rapidissima succede una sì gran .disgrazia. Ebbene, sappi che il vento 'della mormorazione porta lontano la fillossera della disobbedienza. Intendi ?

 

                - Comincio a capire.

 

                - Ora i danni che porta questa fillossera spinta da simil vento sono incalcolabili. Nelle case più fiorenti fa prima scemare la carità vicendevole; poi lo zelo per la salute, delle anime; quindi genera ozio; poi toglie tutte le altre virtù religiose e infine lo scandalo le rende oggetto di riprovazione da parte di Dio e da parte degli uomini. Non fa bisogno che alcuno dei depravati passi da un collegio all'altro: basta questo vento che soffia da lontano. Persuaditi! Questa fu la causa che condusse alla distruzione certi Ordini religiosi.

 

                - Hai ragione. Riconosco la verità di quel che dici. Ma come porre rimedio a tanta disgrazia?

 

                - Le mezze misure non bastano, ma è necessario ricorrere ai mezzi estremi. Per porre un argine alla fillossera materiale, si tentò di zolforare le piante infette, si ricorse all'acqua calcinata, s'inventarono altri espedienti; ma tutto questo a nulla valse, perchè da una sola pianta la fillossera rovina in un istante la vigna intiera. Quindi da una vigna si propaga in quelle vicine, e da queste alle altre, cosicchè da una regione si estende a tutta la provincia, da questa a tutto un regno e via. Vuoi dunque sapere l'unico modo che vi sia per troncare efficacemente il male, nel suo principio? Appena la fillossera si manifesta sopra una pianta, cautamente tagliarla, tagliare le siepi che ha intorno e tutto gettare alle fiamme. Se poi la vigna intera ne fosse infetta, recidere tutte le piante e tutte ridurle in cenere per salvare le vigne vicine. Il fuoco solo estermina simile malattia. Perciò, quando in una casa si manifesta la fillossera dell'opposizione ai voleri dei superiori, la noncuranza superba delle [479] Regole, il disprezzo alle obbligazioni del vivere comune, tu non temporeggiare: sradica quella casa dalle fondamenta; rigetta i suoi membri, senza lasciarti vincere da una perniciosa tolleranza. Come della casa, così farai dell'individuo. Talvolta ti sembrerà che un individuo isolato possa guarire e ridursi di bel nuovo sul buon sentiero; oppure ti rincrescerà colpirlo per l'amore che gli porti od anche per qualche sua speciale abilità o scienza che ti sembra tornare di lustro alla Congregazione. Non lasciarti muovere da simili riflessioni. Persone di questa fatta difficilmente cambieranno costume. Non dico che la loro conversione sia impossibile; sostengo però che di rado accade, e talmente di rado, che questa probabilità non è bastevole per indurre un Superiore a piegarsi verso più benigna sentenza. Certuni, si dirà, potranno fare riuscita peggiore in mezzo al mondo. Tal sia di loro; essi porteranno tutto il peso della loro condotta, ma la tua Congregazione non ne avrà a soffrire.

 

                - E se realmente, ritenendoli nella Società, si potesse con la tolleranza tirarli al bene?

 

                - Questa supposizione non vale. E’ meglio rimandare uno di questi superbi che ritenerlo col dubbio che possa continuar a seminare zizzania nella vigna del Signore. Tieni bene a memoria questa massima; mettila risolutamente in pratica, qualora ne venisse il bisogno; fanne oggetto di conferenza ai tuoi Direttori e sia quest'argomento il tema per la chiusura dei tuoi esercizi.

 

                - Sì, lo farò. Grazie dei tuoi avvisi. Ma ora dimmi: chi sei tu?

 

                - Non mi conosci più? Non ti ricordi quante volte noi ci siamo veduti?

 

                Mentre lo sconosciuto così diceva, tutti gli astanti sorridevano. In quel mentre sonò la levata e Don Bosco si svegliò. Egli aggiunse che questo sogno gli era durato tre notti consecutive; la qual particolarità toglie consistenza al dubbio che il racconto sia una specie di parabola da lui escogitata per [480] vestire fantasticamente la sua idea. L'affare della “testa strana” gli fornì l'esordio, con cui, secondo il solito, umiliare se stesso sul principio e levare dalla mente degli uditori l'impressione che si trattasse di carismi straordinari. Nella massima parte dei sogni Don Bosco incontrava un personaggio che gli faceva da guida e da interprete.

 

 

CAPO XVII. Fondazioni proposte e fondazioni attuate.

 

                Anche le fondazioni semplicemente proposte e non mai o non tanto presto attuate meritano di trovare luogo in queste pagine per due motivi. Esse sono tante prove della fiducia che, a dispetto dei tempi avversi, il nome di Don Bosco ispirava a zelanti ecclesiastici e laici, bramosi di provvedere alla cristiana educazione della gioventù. E poi nel corso delle trattative rotte o sospese Don Bosco necessariamente faceva e diceva cose, che la storia ha tutto il diritto e il dovere di raccogliere, quale utile con tributo alla piena conoscenza dell'uomo e del santo.

 

                Da Chiavari il canonico Giuseppe Guerello propose a Don Bosco di assumervi la direzione e l'ampliamento di un suo ospizio e orfanotrofio maschile. A rincalzo della domanda interpose i suoi buoni uffizi il rettore dei Seminario, Don Stefano Rumi[184]. Questi nella sua lettera chiedeva che cosa esigerebbe Don Bosco per il mantenimento de' suoi; sul foglio si legge questo appunto autografico del Beato per la risposta: “Niente altro che poter vivere da povero”. Se non che il disegno poggiava, si può dire, su mere speranze: speranza di ottenere dal Municipio, previo accordo con l'Autorità ecclesiastica, un convento dei Cappuccini, allora vuoto; speranza che i Cappuccini non accamperebbero i loro diritti; [482] speranza che una locale Società Economica si facesse promotrice e sostenitrice dell'opera; speranza di contributi finanziari da parte dei privati. Don Bosco tuttavia credette opportuno tener, aperte le trattative, per il desiderio che aveva di far. del bene in quella città; onde fece rispondere che i Salesiani erano contentissimi di andare a Chiavari; ma, se si voleva che le trattative continuassero, doversi assolutamente eliminare due ostacoli: i Salesiani non avrebbero mai abitato una casa appartenuta a un Ordine religioso e non avrebbero mai accettato condizioni incompatibili con l'autonomia spettante a una corporazione religiosa. La corrispondenza durò dell'altro; Don Cerruti, Direttore del Collegio di Alassio visitò il piccolo ospizio dell'ottimo Canonico; ma non si venne a nulla di concreto. Le pratiche, sospese per circa tre anni, furono ripigliate e trascinate dal '79 all'84; poi, spariti dalla scena gli attori. principali, tutto piombò nell'oblio. Nel '95 il Vescovo di Chiavari tenterà di ottenere da Don Rua una fondazione giovanile di carattere differente; ma non si verificheranno mai condizioni tali, che consiglino di annuire. Di tutta questa lunga vicenda insomma non rimase traccia, se si eccettua il ricordo del buon volere di ambe le parti. Oggi Chiavari non ha ancora alcuna opera salesiana.

 

                Da Bologna sul principio di giugno venne una proposta del marchese Prospero Bevilacqua. Il cattolicissimo gentiluomo bolognese, essendosi recato a Torino un mese innanzi per l'annuale convegno del Consiglio Superiore delle Conferenze Vincenzine, aveva visitato il già noto Oratorio, entrandovi in giorno di domenica e nell'ora dei vespri. Vi provò una straordinaria commozione, effetto della quale fu esporre a Don Bosco una sua idea. “E' un fatto, scriveva[185], che ovunque più si provvide all'educazione delle femmine, che a quella dei maschi. Torino sola forma in ciò eccezione, appunto per l'esistenza del benefico Istituto da Lei diretto [483] e fondato. - Parlo della classe povera. - Anche nella nostra Bologna scarseggiano gli istituti per l'educazione maschile e credo realmente che in pratica, sia per fondarli, sia per farli vivere e per dirigerli, presentino difficoltà maggiori che quelli che si fondano per le femmine. Tutto ciò porta che Bologna si trova nella necessità di averne uno pei maschi che risponda al bisogno”. Quindi concludeva chiedendo quali sarebbero le condizioni, che Don Bosco porrebbe per aprire in Bologna una casa di tal genere.

 

                Di una fondazione Salesiana in Bologna s'interessava a sua volta la marchesa Zambeccari, che ne avrebbe voluta un'altra simile anche a Modena, obbligandosi dal canto suo a dare per ciascun collegio lire trentamila di rendita annua e facendosi mallevadrice di valido appoggio da parte non solo del marchese Bevilacqua, ma anche di altri signori bolognesi.

 

                Don Bosco giudicò le due proposte convenienti, sia per la possibilità di far del bene in quei due centri di tanta importanza, sia per la sufficienza degli aiuti pecuniari offerti, essendo egli notoriamente privo dei mezzi materiali che sono indispensabili per giovare alle anime. Diremo di più: egli ci vedeva un terzo vantaggio. La Marchesa infatti preferiva che tutto si facesse copertamente, di modo che non apparisse aver ella chiamato i Salesiani, la qual cosa lasciava a Don Bosco maggior libertà di azione. Costante fu nel Servo di Dio lo studio di costituire le sue opere in guisa, che non vi fossero pastoie di nessuna specie; quindi non enti morali, non commissioni amministrative, non ingerenze di privati, anche se benefattori. Tracciò dunque così la risposta: 1° non aver egli difficoltà di accettare; 2° essere sua intenzione di cominciare con l'oratorio festivo, il quale a poco a poco si traesse dietro scuole e ricovero; 3° quanto ai mezzi di sussistenza, cercarsi unicamente il necessario per vivere. Ma il Beato non vide con i suoi occhi corporei nè l'una nè l'altra opera; tanto a Bologna che a Modena i suoi figli posero piede solo dopo la morte del Padre. [484] Da Saluzzo il Vescovo venne personalmente all'Oratorio per offrire a Don Bosco l'Istituto Gianotti esistente in quella città. Erano già corse lettere fra loro su quest'argomento; nel colloquio rimasero d'accordo che Don Bosco avrebbe redatto uno schema di convenzione, che servisse di base per ulteriori intelligenze. Quando il Servo di Dio lesse in Capitolo gli articoli dei patti e delle condizioni, i Superiori ne ammirarono la prudente accortezza: a prima vista”. si sarebbe detto che vi si facessero soltanto gl'interessi delle persone che allora stavano alla direzione dell'Istituto ma, ben pesati i termini, si scorgeva tutta la finezza di Don Bosco nell'inserirvi certi incisi facili a passare inosservati in una semplice lettura, ma atti a guarentire i Salesiani da eventuali sorprese. Per causa, sembra, del Municipio i disegni del Vescovo rimasero sulla carta.

 

                Anche a S. Remo, l'amena città della riviera ligure d'occidente, vi fu chi rivolse il pensiero a Don Bosco. In luglio erasi recato colà Don Giulio Barberis, maestro dei novizi, per assistere alla professione religiosa di una sua zia monaca nel convento della Visitazione. Le Visitandine avevano per direttore spirituale un tal sacerdote Don Luca Calvi, già compagno di Don Bosco nel Convitto ecclesiastico di Torino. Questa circostanza fece sì che Don Barberis entrasse con lui in qualche familiarità. Don Calvi lamentava che in tutta la Liguria, accettochè in S. Pier d'Arena, non vi fosse nessuna casa, dove poter ritirare i giovani abbandonati; disse che Don Bosco avrebbe fatto molto bene ad aprirne una in S. Remo, specialmente perchè i protestanti vi guadagnavano terreno, minacciando la fede di quella popolazione; una casa salesiana con l'oratorio festivo poter mettere un argine potente all'irruzione dell'eresia.

 

                A quest'ultimo argomento il Servo di Dio era sempre sensibilissimo. Don Barberis gli espose quanto aveva udito da Don Calvi. - Scrivigli subito, rispose il Beato, che mi propongo di aprire una casa in S. Remo. Egli mi cerchi il [485] posto, veda se vi sia qualche edifizio d'affittare o da vendere, che faccia al nostro scopo, mi comunichi il risultato delle sue ricerche, e io andrò immediatamente a osservare o a metter mano all'opera. - Don Calvi alcuni giorni dopo rispose d'aver trovata la casa capace d'un centinaio di giovani; la padrona chiedere lire tremila di fitto. Nel tempo stesso un signore appartenente alla Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli nulla sapendo delle trattative di Don Bosco, fece istanza presso di lui, affinchè andasse a fondare in S. Remo una casa per artigianelli. Don Bosco vi si sentiva allettato anche dalla speranza di potere per mezzo degli Inglesi colà affluenti mettersi facilmente in relazione con la loro isola e farvi del bene. Ma alle sue buone intenzioni non arrisero i fatti. Anche un altro principio di attuazione profilatosi nel 1912 tornò presto nel nulla.

 

                A Roma Don Bosco cercava da tempo di metter piede; col progredire della Congregazione questo diventava una necessità, dovendosi trattare tanti affari con le Autorità supreme della Chiesa e dello Stato. Cardinali e Patrizi lo animavano a stabilirvi una residenza. Nel mese di settembre ecco arrivargli una calorosa proposta. Stilla riva destra del Tevere, vicino al ponte Garibaldi, là dove oggi fa bella mostra di sè il restaurato castello degli Anguillara, la storica residenza di quella nobilissima e già potente famiglia era ridotta all'umile condizione di locale per magazzini. Or venne un momento in cui il vasto edifizio parve prestarsi allo scopo voluto da Don Bosco, che era duplice: accogliervi alcune centinaia di ragazzi artigiani e studenti e stabilirvi uno studentato per i suoi chierici. Il buon monsignor Fratejacci, colta la palla al balzo, parlò, brigò, scrisse, correndo con l'ardente fantasia dove il suo grande affetto per Don Bosco lo portava[186]. L'idea di fare quella proposta gli era venuta per aver inteso dire che Pio IX volesse dare a Don Bosco la [486] chiesa là vicina di santa Bonosa, una delle Più storiche e antiche chiese del Trastevere, demolita purtroppo alcuni anni dopo. Ma il Servo di Dio, non avvezzo a far le cose con precipitazione, pigliò tempo a studiarci su. Andato a Roma nel mese di novembre, sia per la brevissima dimora sia per altre faccende più urgenti non ebbe agio di occuparsi dell'affare; onde il proprietario dello stabile, rotti gl'indugi, diede corso ad altre richieste di acquirenti.

 

                Se per Roma non era ancor sonata l'ora della Provvidenza, Don Bosco stimò doversi esaudire domande che da Roma partivano e riguardavano località non lontane da Roma; intendiamo dire di Albano e di Ariccia, due dei più vetusti castelli romani.

 

                Per Ariccia la mossa venne dal principe Mario Chigi di Campagnano, che già ne aveva fatto parola col Servo di Dio a Roma nel mese di maggio. Ora il Municipio ariccino, legato al Principe che aveva colà palagio e possedimenti, pressava del continuo, perchè si passasse dalle parole ai fatti. Trattavasi di accettare l'insegnamento nelle scuole elementari e l'ufficiatura di una chiesa; vi occorrevano due maestri e un prete. Il regio Provveditore agli studi aveva ormai approvato il licenziamento dei vecchi insegnanti; bisognava dunque presentare al Consiglio comunale e alla Prefettura della provincia nomi e titoli di due maestri salesiani. Sulle prime lo stipendio sarebbe di lire 1320 per ambidue i maestri, più una gratificazione di lire 200; si darebbe l'alloggio gratuito; dopo il primo anno si stipulerebbe un contratto che si giudicasse equo. Don Bosco fece rispondere che si portasse l'annualità a lire duemila, assicurando tutta la sua buona volontà per contribuire all'istruzione cristiana della gioventù in Ariccia. Contemporaneamente fece spedire le patenti di Don Carlo Cipriano e di Don Francesco Bodrato. La maggioranza dei consiglieri, sebbene non fossero mancate influenze ostili, non si lasciò rimorchiare, ma tenne fermo e approvò la proposta. Ai protestanti, che in quelle scuole [487] avevano messo lo zampino, altro non rimase che andarsene con le pive nel sacco.

 

                Regolate le cose con le Autorità scolastiche e civili, restava da provvedere alla sistemazione canonica dei confratelli colà destinati. Due difficoltà si affacciavano di natura canonica. Le Regole vogliono che ogni comunità si componga almeno di sei religiosi, mentre per Ariccia se ne richiedevano solo tre; per giunta il locale loro assegnato per abitazione apparteneva ai padri Dottrinari, uno dei quali vi -dimorava tuttavia, quale rettore della chiesa annessa, e questo stato di cose, se non veniva rimosso, rendeva impossibile l'accettazione. Don Bosco dunque inviò una supplica all'Autorità suprema, per ottenere le opportune dispense e provvidenze. Il Santo Padre, a mezzo dell'Uditore monsignor Latoni, gli notificò che derogava per quella volta alla regola accennata, autorizzandolo a mandare in Ariccia solamente tre individui e lo informò d'aver provvisto, perchè i tre Salesiani fossero soli ad abitare il collegio appartenuto ai padri Dottrinari. Nella stessa occasione il Papa insinuava com'egli vedesse bene che, pur aderendo con tanta sollecitudine ai desideri degli Ariccini e del principe Chigi, Don Bosco portasse il pensiero anche ad Albano[187].

 

                Questo velato, ma chiaro desiderio del Santo Padre aveva avuto origine da una comunicazione fattagli dal cardinal Di Pietro, Vescovo di quella diocesi suburbicaria, da cui di pende pure Ariccia. Sua Eminenza, udito delle trattative per questo comune, pregò Don Bosco di accettare nella stia sede episcopale il ginnasio comunale, a cui sarebbero accorsi anche gli alunni del Seminario. Data poi la vicinanza dì Albano e Ariccia, separati appena dal grandioso ponte che da Ariccia prende il nome, il Cardinale riteneva che gl'insegnanti di ambidue i luoghi potessero abitare in un medesimo locale. Don Bosco che aveva già indugiato due settimane a [488] rispondere, subito che conobbe il pensiero del Papa, rispose affermativamente all'Eminentissino, allargando anzi la mano; poichè, mentre il Cardinale, forse non abbastanza al corrente della legislazione scolastica, si contentava di due professori patentati, Don Bosco gliene promise altri quattro, per raggiungere il numero minimo voluto dalla legge. Di tutto diede comunicazione a Monsignor Uditore.

 

                Eccellenza Reverendissima,

 

                Non poteva ricevere notizia più consolante di quella che V. E. Rev.ma ebbe la bontà di scrivermi a nome di S. S. Anzitutto pertanto ne fo' all'E. V. umili ringraziamenti, e la prego a voler comunicare alla S. S. che riconosco un novello atto di sovrana clemenza nel concedere che i Salesiani in Ariccia siano solamente tre in luogo di sei, secondo le nostre costituzioni; che essi vadano ad abitare entro il Collegio dei Dottrinari e funzionare la chiesa annessa. Quindi aderisco di buon grado ai ss. desideri del S. Padre, chè tornerà sempre a vera gloria a tutti i Salesiani ogni volta loro sarà dato poterli praticare; accetto senz'altro le proposte degli Ariccini formolate dal Signor Principe Chigi di Campagnano e farò in modo che nel prossimo anno scolastico i maestri siano al loro posto.

 

                Per secondare quindi i sempre venerati pensieri del S. Padre, oggi stesso ho scritto affermativamente al Signor Card. di Pietro intorno al ginnasio di Albano. Si vorrebbero soltanto due professori patentati atteso il limitato numero degli allievi, ma quelle scuole avendo forma di pubblico ginnasio, è necessità che si aggiungano non meno di quattro professori, e ciò per evitare il pericolo di vessazioni che dobbiamo studiare di evitare; tale è il senso del progetto che oggi stesso ho inviato all'Eminentissimo Cardinale Di Pietro.

 

                Questi miei Salesiani nell'andare al luogo stabilito passano a Roma, ed ardono del desiderio di poter ricevere la benedizione del S. Padre prima di cominciar l'anno scolastico, come pure fare una breve visita all'E. V. come giusto atto di ossequio e di alta stima.

 

                Ma poichè la Eccellenza Vostra si mostra tanto benevola verso di noi, la prego anche a supplicare il S. Padre a voler mandare la sua apostolica benedizione sopra tutti i Salesiani e specialmente sopra tre case che s'apriranno nel prossimo settembre; una nella città di Trinità in Mondovì, l'altra in Lanzo, e la terza a Biella.

 

                In fine dia compatimento alla confidenza con cui le ho scritto, assicurandola che innalzeremo preghiere a Dio per la preziosa di Lei conservazione, ed ho l'alto onore di potermi professare

 

                Dell'E. V. Rev.ma

 

                Torino, 26 agosto 1876.

                D. Gio. Bosco. [489]

 

                Un altro Vescovo suburbicario, il cardinale Luigi Bilio, barnabita piemontese, volle avere da Don Bosco due insegnanti salesiani per il Seminario di Magliano nella sua diocesi di Sabina. I seminaristi vi erano pochi pochi; il Cardinale sperava che la presenza dei Salesiani ne avrebbe attirato maggior numero. Don Bosco temporeggiò a rispondere; finalmente si sobbarcò anche a questo sacrifizio di personale, sapendo di poter fare sicuro assegnamento sopra lo zelo dei confratelli che a lavorare non dicevano mai basta.

 

                Nella scelta del personale per le tre nuove residenze l'uomo pratico del mondo fece presente ai Capitolari che in certe parti d'Italia si badava molto all'esteriore dell'individuo, sicchè una buona presenza ivi era già di per sè una buona raccomandazione. Tuttavia non diede esagerata importanza a questa considerazione secondaria, che infatti non lo rattenne dall'inviar pure colà negli anni successivi qualcuno di quegl'imberbi giovincelli da lui formati e capaci di dominare masse di ragazzi non solo negli oratori festivi, ma anche nelle scuole. Il chierico Picollo fu uno. Allorchè Don Bosco lo mandò ad Ariccia nel '78, egli aveva statura e aria così giovinetta, che, quando passava per le strade, le mamme del paese, con l'impronta e simpatica libertà tutta propria delle genti laziali, gli gridavano: - Don Palmo, dove l'hai lasciata la balia? - Eppure nella sua prima elementare governava una cinquantina e più di marmocchi che era una meraviglia. Un giorno il regio Ispettore scolastico, mal prevenuto e anticlericale, entratogli in classe di sorpresa, al vedere la disciplina e il silenzio che regnava nella numerosa scolaresca, rimase di stucco. Gli fece continuare la lezione in sua presenza, ne interrogò egli stesso gli scolaretti, verificò che la patente c'era e conseguita a Mondovì con bella votazione, e uscì congratulandosi con il bravo maestrino. Con i suoi ragazzi, chiamiamoli pur così, Don Bosco operò veri prodigi.

 

                E’ bellissima la lettera, con cui il buon Padre, richiamando Picollo da Borgo S. Martino, gli diede l'obbedienza per Ariccia. [490]

 

                Mio caro ch.co Picollo,

 

                Si è cambiata destinazione. Andrai con D. Gallo a Roma, farai una visita al S. Padre, gli bacerai il piede da parte mia, gli dimanderai la S. Benedizione, di poi partirai per recarti a santificare quelli che abitano in Albano e in Ariccia.

 

                Tu santificherai te stesso con la esatta osservanza delle nostre Regole, col rendiconto mensile, e col puntuale esercizio della buona morte. Quando ti occorreranno difficoltà scrivimi spesso, esponendomi vita, virtù e miracoli.

 

                Dio ti benedica, o caro Picollo, e prega per me che ti sarò sempre in G. e.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                I soci destinati laggiù partirono da Torino in tre gruppi:. il 29 di ottobre alcuni di Albano e i due di Magliano, il 7 novembre quei di Ariccia e altri di Albano e alla fine di novembre i due rimanenti[188]. L'avanguardia era accompagnata da Don Antonio Sala, economo dell'Oratorio, uomo dalle forme atletiche e dall'animo di fanciullo, ma abbastanza navigato. A Roma poterono vedere il Papa, che, passando dinanzi a loro con i due, cardinali Bilio e Mertel, esclamò: - Oh! ecco Don Bosco. - Egli vedeva Don Bosco ne'. suoi figli. Rivolse quindi ai singoli una paterna parola, mentre il cardinal Bilio ne faceva le presentazioni. Infine disse loro: - Benedico voi tutti, i vostri, la Congregazione e i vostri scolari nell'opera che imprenderete. - Infine si ritirò, la sciandoli pieni di consolazione[189].

 

                Ad Albano i primi arrivati si trovarono, fra scuola e sacro ministero, sovraccarichi di lavoro; onde imploravano a mani giunte il pronto arrivo degli attesi rinforzi. Don Bosco, lette le implorazioni d'un di loro, diede di piglio a un pezzo di [491] carta qualunque e vi scrisse, improvvisando, mentre teneva Capitolo, i seguenti versi che, se non erano fior di poesia, furono però apportatori di serenità animatrice.

 

                Carissimo Rinaldi,

 

Datti pace e sta' tranquillo,

Ma con volto ognor giocondo

Chè D. Bosco pensa a voi,

Quanto onore ognun farà.

Vostri affanni sono i suoi,

Andrà un prete per la Messa

Pronto alta apporterà.

In sollievo di Montiglio

Manderò due campioni:

Che sebben sia bravo figlio,

E’ Gerini[190] con Varvello,

Già comincia a borbottar.

Tanto questo, quanto quello,

Ma voi siate tutti buoni,

Virtù e scienza insegnerà.

Sempre allegri e veri amici:

Matematico è il primo,

Ricordate che felici

Letterato n'è il secondo,

Rende solo il buon oprar.

 

                Di trattare con il cardinal Bilio per Magliano Don Bosco aveva dato incarico a Don Celestino Durando, consigliere del Capitolo Superiore. I Salesiani lavoravano là da poco più di un mese, quando l'Eminentissimo scrisse a Don Durando una lettera, che molto dovette rallegrare il Beato e che sta bene riferire qui per intero.

 

                Rev.mo Signore,

 

                Non Le tornerà discaro aver da me qualche notizia intorno al Prof. D. Gius. Daghero e M.o Chierico Biagio Giacomuzzi. Dalle relazioni che ho continue dal Prov. Gen. e dal Sig. Rettore del seminario, so che essi si portarono veramente bene: io ne sono contentissimo, e tomo a ringraziare di cuore, sì il Rev.mo D. Bosco, sì V. S. che me li ha procurati. Essi medesimi, secondo che hanno scritto, si trovano contenti e del seminario e della città, e a vicenda il Seminario e tutti i cittadini si trovano di essi pienamente soddisfatti. Ne sia ringraziato il Signore Iddio. Forse il piccolo numero degli alunni per questo anno non corrisponde al loro zelo ben grande; ma spero che la prova di questo anno farà aumentare gli alunni. Nè i predetti due maestri giovano solo al Seminario colle loro lezioni, ma servono eziandio di edificazione col loro buon esempio a tutta la città e desidero per questa ragione che anche il Giacomuzzi sia presto promosso agli ordini [492] sacri: qualora V. S. creda parlarne a D. Bosco, io sono dispostissimo ad ordinarlo.

 

                Gradisca i sensi di mia sincera riconoscenza, mentre con tutta stima mi sottoscrivo

 

                Di V. S. Rev.ma

Aff.mo in G. G.

Luigi Card. Bilio

Vesc. di Sabina.

 

                Ritorniamo in Piemonte. A Trinità presso Mondovì il commendator Dupraz e la sua consorte mossero cielo e terra per avere i figli di Don Bosco nel paese della loro villeggia tura estiva. Vi si prevedevano contrarietà da parte sia delle Autorità civili che della popolazione, piuttosto fredda nelle pratiche religiose. Ottenuto pertanto il cordiale con senso del Vescovo, Don Bosco disegnava di andarvi, ma di procedere a rilento: prima un semplice oratorio festivo, poi aggiungervi un po' di scuola fino ad avere scuole regolari, infine dar ricovero a qualche fanciullo dei più necessitosi e così gradatamente venir creando un ospizio, senza che da principio nulla avesse a trapelare. Gli esordi furono abbastanza promettenti; ma il proseguimento non fu lieto. La casa venne aperta nel mese di novembre, dentro un locale ceduto in uso dal Commendatore e sotto la direzione di Don Luigi Guanella. Don Bosco andò in compagnia di Don Durando a inaugurare l'oratorio festivo. Egli vi si mostrava sì e Do contento. Giunto colà alla vigilia ed entrato nella casa, dopo qualche istante di cerimoniosi complimenti da parte dei signori, cavò fuori dal sacco il berretto da stanza e disse: - Allora, mi metto il berretto in capo. - Con le quali parole volle significare che per dare cominciamento all'opera sua egli doveva farsi padrone della casa.

 

                L'opera sembrava nata sotto buona stella. Verso la metà di dicembre, quelle scuole Dupraz, com'erasi convenuto di chiamarle, avevano tre classi diurne con centoventi allievi, i più poveri del paese, dagli otto ai sedici anni, e tre classi serali per gli adulti. Questi ultimi toccavano il centinaio, tripartiti, secondo l'età: dai 16 ai 20 anni, dai 20 ai 30 e [493] dai 30 ai 50. L'oratorio festivo radunava non meno di due cento ragazzi[191]. Peccato che un'opera così bene avviata non abbia avuto lunga vita! Don Bosco, in una delle sue visite, durante un ricevimento in casa del Commendatore, gettò là l'osservazione che le offerte date di cuore facevano fiorire le sue opere. Il mònito andava all'intelligente signora, eccessivamente attaccata alle sue sostanze; ma essa fece orecchie da mercante. Tale atteggiamento fu il precipuo motivo che dopo tre anni la casa si dovette chiudere. E poichè è molto probabile che ce ne manchi altrove l'occasione propizia, offriremo qui ai nostri lettori l'importante lettera scritta dal Beato a Don Guanella nell'aprile del '77 per dargli norme di direzione.

 

                Car.mo D. Luigi,

 

                Ho più volte ricevute sue lettere e ne ho sempre provato piacere. Io ringrazio il Signore che in brevissimo tempo ci abbia aiutato a fare quello che si è fatto e che spero sarà di più in avvenire.

 

                Non potendola vedere e parlare sovente, qui le darò alcune regole che sono solito a dare ai Direttori delle case nostre.

 

                1° Vegliare sulla moralità dei Salesiani e sopra gli allievi l'oro ,affidati. Procurare di chiamarli una volta al mese al rendiconto e che ognuno faccia l'esercizio della buona morte una volta al mese.

 

                2° Age quod agis. Tutti gli altri affari sono secondari dimenticando le cose eterne; inoltre occuparsi a perfezionare le cose, gli affari nostri, le persone ed aiutarle quanto è possibile nelle pene e nelle malattie.

 

                3° Costituire l'amministrazione materiale in modo che ogni casa viva da sè, anzi se è possibile inviare anche qualche aiuto alla Casa Madre che deve sostenere tante spese per sostenere il corpo della Congregazione.

 

                4° Preparare le prediche, scriverle, aiutare i salesiani ne' loro studi, somministrando o indicando i libri opportuni.

 

                5° Leggere, meditare, praticare e fare che gli altri pratichino le regole della Congregazione.

 

                Faccia quello che può per dare seguito ed esecuzione a questi amichevoli suggerimenti. Saluti caramente nel Signore tutti i salesiani nostri, cioè Traversino, Deppert, Lidovani e Boassi.

 

                Preghino tutti per me che sarò sempre in Gesù C.

 

                Torino, 10-4-1877.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [494]

 

                Termineremo il capo narrando di un'altra impresa assai più grandiosa, ma destinata anch'essa a rimanere in tronco, non certo per difetto di buon volere da parte del nostro Beato, che anzi vi dedicò le sue migliori sollecitudini.

 

                La fiducia di Pio IX si posò su Don Bosco per un'opera di riforma che gli stava sommamente a cuore e che richiedeva carità, pazienza e tatto. Per trattarne come l'importanza del negozio consigliava, il Papa fece chiaramente intendere a Don Bosco, che lo desiderava a Roma. Infatti, consegnando al cardinale Bilio le lire cinquemila da rimettersi a lui per le spese della prossima spedizione missionaria, aveva aggiunto sorridendo: - Se viene Don Bosco, ditegli che io gli pagherò le spese del viaggio. - Il Servo di Dio capì e non esitò un istante, ma decise senz'altro di accompagnare i Missionari a Roma[192].

 

                Or ecco il midollo dell'affare. Nel '57 il cremonese Cipriano Pezzini per onorare l'Immacolata Concezione a breve distanza dalla definizione dogmatica, ideò 'un Istituto religioso laicale, detto dei Fratelli Ospedalieri di Maria Santissima Immacolata Terziari Cappuccini o più semplicemente e più comunemente Concettini, i quali avessero per iscopo l'assistenza degli infermi degenti in ospedali. Ma chi veramente diede forma all'istituzione fu in seguito un fratel Monti, che più avanti incontreremo. Il Pontefice dell'Immacolata li degnò della sua speciale benevolenza e protezione. L'Istituto nel suo esordire fiorì; ma col tempo turbamenti interni ne avevano ridotto notevolmente il numero dei membri e pendeva la minaccia di un esodo pressochè generale dei rimanenti. Nel '76 questi sommavano appena a cinquanta, divisi in tre case: quarantadue a Roma presso l'ospedale di Santo Spirito, dove il Papa aveva fabbricato loro una bella abitazione; tre a Orte, e cinque a Civita Castellana. La direzione spirituale dei Fratelli era fino dal nascere dell'Istituto [495] nelle mani dei Cappuccini; ora però l'esperienza aveva dimostrato in questo la necessità di un cambiamento, anzi di parecchi cambiamenti anche in altro, Il Santo Padre pensò che l'uomo ad hoc fosse Don Bosco; onde al cardinal Bilio ordinò di scrivergli che farebbe a Sua Santità cosa gratissima, se egli assumesse quanto prima tale incarico o venendo personalmente per pochi giorni a Roma o mandandovi qualche soggetto capace della sua Congregazione. Il Servo di Dio, oltrechè per secondare meglio il desiderio del Papa, stabilì di andare egli stesso a Roma anche per conoscere de visu come stessero realmente le cose. Riferendone al Capitolo Superiore il 5 novembre, non omise di rilevare qual grande passo la Congregazione facesse per effetto di questa sovrana degnazione del Romano Pontefice. - E' vero però, soggiunse tosto, che ora il numero dei nostri preti è assai ristretto. Se si potrà sospendere la decisione del Santo Padre, lo faremo; se poi egli comanderà, noi risponderemo: Siamo suoi umili servitori; sarà nostra gloria poterle obbedire, anche con grave incomodo, fino all'ultimo suo desiderio. -

                Andò dunque a Roma con i Missionari. Il Papa, avutolo a sè, gli disse: - lo desidero che voi vi prendiate cura dei Concettini, che hanno una missione sublime e possono aiutare assai gli ammalati a fare una buona morte. Ma voi non dovete o riformare o correggere, ma creare o meglio immedesimare le Costituzioni dei Concettini con quelle dei Salesiani -[193]. Docile, come sempre, alla voce del Vicario di Gesù Cristo, egli chiese solamente in grazia che Sua Santità si degnasse di dargli in iscritto il suo pensiero per meditarlo e meglio eseguirlo.

 

                Intanto non perdette tempo. Conferì più volte con monsignor Luigi Fiorani, Commendatore di Santo Spirito[194] [496] e Protettore dell'Istituto, da lui informandosi sullo stato dell'Istituto stesso, sui precedenti del medesimo e sopra le sue Costituzioni, approvate per un quinquennio in via d'esperimento. Formatasi in quelle conferenze una sufficiente idea di ciò che poteva farsi per corrispondere ai voleri del Papa, compilò con Monsignore questo memoriale da umiliarsi al Santo Padre, affidandolo per la presentazione al detto Prelato, giacchè egli doveva partire da Roma.

 

                L'istituto dei Fratelli Ospedalieri di Maria SS. Immacolata Terziari Cappuccini, va oggi a ricevere un nuovo impulso nel suo spirito, e nelle sue opere di carità dalle paterne cure della Vostra Santità, che di suo moto proprio si è degnata di volerlo affidato alla direzione dei Sacerdoti della Congregazione Salesiana di Torino, ed a questo aggregato. Il Superiore Generale della stessa Congregazione Sacerdote Giovanni Bosco dalla Santità sua onorato dell'incarico di effettuare questo cambiamento, ed indirizzarlo al miglior bene dell'Istituto, e dello scopo a cui è diretto, si è subito posto di concerto col sottoscritto commendatore di S. Spirito secondo gli ordini ricevuti da Vostra Santità. Si sono tenuti insieme varii congressi, ed il suddetto Superiore Generale essendo stato pienamente informato dello stato attuale dell'Istituto, e di tutti i suoi precedenti, ed avendo anche studiato le attuali Costituzioni approvate già in linea di esperimento, ha potuto formarsi una sufficiente idea di ciò che può farsi in senso di corrispondere ai Sovrani Voleri, e per stabilire le basi implora per ora dalla Santità Vostra le seguenti facoltà, cioè:

 

                1° Di modificare, e ridurre le attuali costituzioni dei Fratelli Concettini secondo lo spirito di quelle della Congregazione Salesiana, salvo sempre lo scopo, e il fine a cui è diretto l'Istituto degli stessi Concettini.

 

                2° Di stabilire la vita comune, come è prescritto dall'Articolo 1° del capo V°.

 

                3° Di fissare un regolare noviziato nel quale debbano sperimentarsi i Fratelli postulanti prima di passare alla vita attiva negli Ospedali.

 

                4° Di poter stabilire la vita dei Fratelli in modo, che fra le varie loro occupazioni di carità a pro degli Infermi, possano inalterabilmente adempiere le pratiche di pietà secondo il capo III delle medesime Costituzioni.

 

                Di Santo Spirito in Sassia, soppresso da Pio IX. L'ospedale di Santo Spirito fu fondato da Innocenzo III nel 1200 e rimase per molto tempo il più grande ospedale del mondo. Sorge nei pressi del Vaticano, sulla riva destra del Tevere. [497]

 

                5° Di servirsi di queste facoltà andando sempre d'intesa con una persona di fiducia di V. Santità e che prega sia a quest'effetto nominata.

 

                Tutto ciò s'implora dal detto Superiore Generale, e riconoscendosi essere il tutto conducente al fine voluto dalla Santità Vostra, il sottoscritto Commendatore di S. Spirito propone a Vostra Santità, ,che si degni di concedere le suddette facoltà per ora richieste, e nominare la persona colla quale il detto Superiore debba andare d'intesa nell'eseguire l'incarico affidatogli.

 

                Luigi Fiorani

 

                Il memoriale fu presentato al Santo Padre il 14 novembre; il 17 gli tenne dietro un Rescritto che, mentre rispondeva al desiderio espresso da Don Bosco nell'udienza accennata sopra, accordava tutte le chieste facoltà. L'originale, secondo gli ordini di Sua Santità, venne trasmesso alla Congregazione dei Vescovi, e Regolari per intelligenza e norma; a Don Bosco ne fu data comunicazione ufficiale da monsignor Fiorani nei termini seguenti: “La Santità di Nostro Signore si è benignamente degnata di concedere al Sacerdote Giovanni Bosco tutte le suddette facoltà, delle quali farà uso con intesa del sottoscritto Commendatore di Santo Spirito come Protettore dell'Istituto: derogando perciò in questa parte a tutto che di contrario possa contenersi negli Statuti dei Fratelli Ospedalieri approvati in via di esperimento ed in qualunque altra precedente disposizione. Luigi Fiorani Commendatore di S. Spirito”. in ordine all'ultimo articolo delle concesse facoltà il Santo Padre significò che Don Bosco poteva intendersi con monsignor Fiorani, ma che se egli desiderasse inoltre anche qualche altra persona ecclesiastica, l'avrebbe a sua richiesta nominata.

 

                Il Beato Don Bosco ricevette queste comunicazioni, quando fu di ritorno a Torino, donde in una sua lettera del 18 novembre scrisse fra l'altro al Papa: “Intanto io mi sono data sollecitudine di leggere le Regole dei Concettini che trovai molto affini con quelle della Congregazione Salesiana e con poche modificazioni si possono immedesimare le une [498] colle altre. Cagiona forse qualche difficoltà il condurre i Concettini alla pratica del voto di povertà ed alla vita comune, che sta descritta nelle loro Costituzioni, ma colla pazienza e coi santi consigli di Vostra Beatitudine spero giungeremo a conseguir lo scopo. La Santità Vostra degnavasi di esprimere il desiderio che questa pia impresa fosse tradotta in atto quanto prima. Ben con ragione, perchè quei religiosi, sebbene di grande buon volere, senza un noviziato che eserciti gli allievi intorno alle Costituzioni, e sul modo di osservarle, eserciteranno un mestiere che ignorando non hanno che imperfettamente imparato. Anzi, ogni ritardo può tornare dannoso al loro medesimo istituto. Avrei bisogno che Vostra Santità permettesse che monsignor Fiorani diami cenno del numero dei Concettini; delle case ove prestano servizio e di altro che concerne al loro stato morale e materiale, unicamente per mia norma. A quest'uopo io sono pronto ad eseguire in qualunque momento i santi voleri di V. B. ed è generale consolazione tra i Salesiani pel riflesso che quel benevolo e benemerito Pontefice, che a buon diritto chiamiamo fondatore e sostenitore della nostra umile Congregazione, sia quello stesso che alla medesima apra il primo asilo nella città di Roma. La Santità Vostra si degni di compatire la figliale confidenza con cui scrivo, e di permettere che per facilitare la lettura di quanto scrivo mi serva del mio segretario”.

 

                Fece pervenire questa lettera a mezzo di monsignor Fiorani, al quale unitamente inviò uno schema di articoli preliminari, che servissero di base ai successivi lavori. Il Papa lesse la lettera in presenza di Monsignore e poi la fece leggere a lui; vide lo schema, lo lodò e fu soddisfattissimo del suo zelo in quell'opera, di cui Sua Santità si dava tanto pensiero.

 

                Lo schema di Don Bosco, che lo concepiva come un'aggiunta da farsi alle Costituzioni dei Concettini, era questo. [499]

 

                Appendice alle Costituzioni dei Fratelli Ospedalieri di Maria SS. Immacolata detti Concettini.

 

                Lo stato attuale degli Ordini Religiosi non permettendo più ai RR. PP. Cappuccini di tener la direzione dei F. Ospedalieri siccome con zelo hanno fatto per molti anni, Sua Santità si è degnata d'affidare tale uffizio al Superiore della Congregazione Salesiana. Affinchè poi tra i due istituti possa regnare l'unità di comando, di spirito e di amministrazione, fondamento delle comunità religiose, la medesima S. S. con rescritto (17 novembre 1876) accordava al Sacerdote Giovanni Bosco:

 

                1° Di modificare e ridurre le attuali Costituzioni dei Fratelli Concettini, secondo lo spirito di quelle della Congregazione Salesiana, salvo sempre lo scopo, ed il fine a cui è diretto l'Istituto degli stessi Concettini.

 

                2° Di stabilire la vita comune, come è prescritto nell'Articolo 10 del capo V.

 

                3° Di fissare un regolare noviziato, nel quale debbano sperimentarsi i Fratelli postulanti, prima di passare alla vita attiva negli Ospedali.

 

                4° Di poter stabilire la vita dei Fratelli in modo che fra le varie occupazioni, di carità a pro degli Infermi, possano inalterabilmente adempiere le pratiche di pietà secondo il Capo III delle medesime Costituzioni.

 

                5° Di servirsi di queste facoltà andando sempre d'intesa con una persona di fiducia di Sua Santità e che prega sia a questo effetto nominata.

 

                Siccome somigliante lavoro richiede un tempo per la sua effettuazione e più ancora per le incombenze che devono compiersi presso la S. Sede, e da altro lato stando sommamente a cuore a S. S. che i due istituti si trovino quanto prima in una posizione stabile e normale, si mettono ora per base le seguenti disposizioni:

 

                1° L'istituto dei Concettini cessa di appartenere al Terz'ordine di S. Francesco d'Assisi e di essere diretto nello spirito dal RR. PP. Cappuccini ed invece è perpetuamente affiliato alla Società di S. Francesco di Sales in Torino.

 

                2° la direzione spirituale dei fratelli Concettini tanto professi che novizii, è perpetuamente affidata ai Sacerdoti della detta Congregazione Salesiana da nominarsi a quest'effetto dal Rettor Maggiore della stessa Congregazione.

 

                3° L'uffizio di Superior Generale dei Concettini sarà tenuto dal Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana, il quale potrà anche nominare un suo rappresentante fra i Salesiani residenti in Roma.

 

                4° Il Superiore della Congregazione Salesiana provvederà tutto quello che occorrerà ai Concettini sia nello stato di sanità, sia nei casi di malattia. Ma poichè ambedue gl'istituti non possiedono cosa alcuna [500] in comune, così la loro sussistenza è interamente affidata alla Divina Provvidenza quotidiana, al lavoro dei Religiosi, e alla carità inesauribile del S. Padre, che di questi due Istituti è sempre stato insigne benefattore spirituale e temporale.

 

                5° Tutti i Concettini sono considerati, come sono di fatti, veri Cooperatori Salesiani; perciò possono godere di tutte le grazie spirituali e delle Indulgenze che il Sommo Pontefice ha concesso ai Salesiani ed ai Cooperatori Salesiani con molti Brevi, e specialmente con quello in data 9 maggio 1876.

 

                6° Il Superiore della Congregazione Salesiana invierà un numero sufficiente dì sacerdoti secondo il bisogno, tanto nella Casa di Noviziato, quanto nelle Case già affidate ai Concettini, ma in modo che la parte materiale e disciplinare sia sempre affidata ad un Fratello Concettino.

 

                7° Nella Casa di Noviziato sarà pure scelto un Fratello Concettino che avrà l'assistenza dei novizii; procurerà che sieno istruiti nella Religione, nell'osservanza delle loro Costituzioni, e nelle regole di buona creanza: darà eziandio il parere quando un Confratello possa ammettersi alla professione religiosa, e considerarsi abbastanza istruito nei suoi doveri, e presentare morale sicurezza che nel suo uffizio egli promuoverà la gloria di Dio ed il bene delle anime.

 

                8° La distribuzione delle cariche, l'accettazione, l'ammissione al Noviziato ed alla professione religiosa appartiene al Superiore della Congregazione Salesiana, ma sempre col parere del Direttore e del Prefetto ovvero Economo Concettino della Casa in cui dimora il postulante.

 

                Questi otto articoli sono definitivamente stabiliti purchè S. S. si degni di dare ai medesimi la suprema sua sanzione. Vi sono poi parecchie cose contenute nel Rescritto del 17 novembre 1876, che tendono ad uniformare le Costituzioni dei Concettini con quelle dei Salesiani. Ciò si sta facendo ed appena il lavoro sarà compiuto verrà presentato alla Santa Sede perchè sia esaminato, modificato, come sembrerà più opportuno alla gloria di Dio.

 

                Questa conformazione dei due Istituti sarà fatta di pieno accordo e col consenso di S. E. Mons. Fiorani, Commendatore di Santo Spirito, affinchè egli possa essere così in grado di rendere intesa Sua Santità, che tanto si degna interessarsi per la prosperità di questi due Istituti.

 

                Don Bosco studiò ben bene per un mese e più le Regole dei Concettini; ma, mentre studiava, pensò che fosse utile avere per alcuni giorni nell'Oratorio o il Superiore dei Concettini o un altro Concettino idoneo a informarsi sul luogo circa lo spirito della Congregazione Salesiana. Non c'era bisogno [501] di dire che la presenza di un tal religioso giovava pure a lui, che doveva aver bisogno di molte informazioni. Monsignor Fiorani, conosciuto il desiderio di Don Bosco, fece partire da Roma fratel Gregorio da Jenne, ex-superiore. “Ho preferito questo, scrisse il 23 novembre, perchè il Superiore attuale è per salute in permesso fuori di Roma, e perchè il detto Fr. Gregorio ha molto impegno per l'Istituto, ed assai buona volontà di cooperare; ed essendo già stato Superiore, è ben informato di tutto”. Il Santo Padre approvò l'andata dell'ex-superiore.

 

                Al Concettino monsignor Fiorani diede per Don Bosco una lettera in cui, risposto ad alcune osservazioni fattegli da lui sul locale destinato ad abitazione dei Salesiani, gli dava qualche schiarimento circa cose dette nel foglio presentato al Papa. “Nella sua lettera al Santo Padre ho letto che teme vi sia qualche difficoltà nel condurre i Concettini alla pratica, del voto di povertà ed alla vita comune come sta descritta nelle loro Costituzioni. Ma credo che non troverà in atto questa difficoltà, perchè le Costituzioni non indussero una novità, ma dichiararono ciò che da venti anni in fatto si praticava da essi; nè gli stessi Concettini fecero alcun rimarco in questo -punto, ma furono contentissimi di tutto, e tutto sarebbe andato bene, senza quei nuovi accidenti che guastarono tutto, e mi trovo di averle già accennato. Ciò però non toglie affatto che Vostra Paternità possa modificare come crede meglio per la immedesimazione delle regole Salesiane, salvo sempre lo scopo ed il fine dell'Istituto. Desidererei però che ai Concettini fosse conservato tanto il loro nome che ricorda Maria Santissima Immacolata sotto cui specialmente militano, ed il principio dell'Istituto, all'epoca della: definizione del dogma, quanto il loro attuale abito, anche per non dar troppo nell'occhio con variazioni esterne alle attuali Autorità dell'Ospedale. Sento ancora che desidera di conoscere bene lo stato materiale delle case ed Ospedali dove lavorano i religiosi, il loro numero, e se [502] tutti, gli uffizi sono coperti. In questa parte meglio di un ragguaglio scritto sarà informato pienamente a voce dal detto fr. Gregorio, di cui potrà fidarsi interamente. Come sentirà i Concettini che erano in sufficiente numero ed andavano crescendo, nel momento presente sono ridotti a ben pochi, essendone partiti molti in seguito dei suddetti incidenti avvenuti. E come ora ho appreso, nel dicembre sarebbero partiti quasi tutti per una nuova disposizione che a mia insaputa andava a prendere chi attualmente li regolava. Oggi questa non ha; più luogo, ma confesso che l'idea del Santo Padre di rivolgersi a Lei ed alla sua Congregazione è stata una vera ispirazione di Dio che non ha voluto permettere la totale dispersione di questo. Istituto e, come spero, lo farà invece accrescere e fiorire nel suo vero spirito”.

 

                Fratel Gregorio giunse a Torino il 26 novembre. Ancor giovane e pieno di vita, sembrava persona assennata e prudente. Il giorno appresso egli era in udienza da Don Bosco, quando entrarono i membri del Capitolo Superiore. Il Beato disse al Concettino: - Il punto principale da mettere sott'occhi ai suoi confratelli è questo, che siano persuasi che noi, tutto quello che possiamo fare per loro bene, lo facciamo molto volentieri; che non si cerca di annientare il loro Istituto, ma di conservarlo, perfezionarlo, farlo crescere. Qualunque cosa disponga il Santo Padre a questo riguardo, stiano pur persuasi che non avremo altra mira se non quella di secondare le sue intenzioni. Noi non vogliamo introdurre novità, ma solo consolidare quello che già è stabilito. - Dopo di che il religioso si ritirò.

 

                Apertasi la seduta del Capitolo, Don Bosco fece un'ampia esposizione sull'affare. Giacchè le sue parole furono raccolte[195], invece di cavarne fuori una nostra narrazione, preferiamo che i lettori odano Don Bosco stesso. Egli avrebbe dunque parlato così: - Il gran male dei Concettini si è che [503] non ebbero mai un noviziato regolare. Ne han le regole, e mi paiono bellissime; ma non le eseguirono mai. Entrarono ed entrano individui, i quali ab antico avevano cancrena sulla coscienza, ed essi, purchè abbiano un attestato di buona condotta dai parroci, li accettano. E’ impossibile che una Congregazione così fatta possa andare avanti. Noi qui potevamo far senza di un noviziato regolare, perchè non si riceveva mai nessuno esterno, ma sempre giovani già conosciuti bene da vari anni e cresciuti, si può dire, sotto i nostri occhi; ma anche tra noi ora cominciano a venire forestieri, e quindi la necessità anche per noi di mettere un noviziato regolare, senza cui non si potrebbe più andare avanti.

 

                - Ora la gran cosa che essi temono, è che noi andiamo là e li facciamo Salesiani, distruggendo il loro Istituto; perciò domandano che sia conservata la loro autonomia assoluta, coi loro superiori indipendenti: in fin dei conti vorrebbero che noi non avessimo da essere altro che superiori nominali e quasi direi loro cappellani. A questo li istigano i Cappuccini, dicendo loro: Adesso non volete più noi; ebbene, ecco, verrà Don Bosco, e voi, che non volete essere Francescani, sarete costretti a farvi Salesiani. Egli vi farà rigar diritto, metterà regole nuove, ecc. E questo ce lo dice monsignor Fiorani ed i Concettini stessi lo notano nella lettera che indirizzano a questo loro confratello, dandogli autorità di trattare con me. Io risposi che si lascia loro l'autonomia, solo che abbiamo noi autorità assoluta nelle cose di direzione, amministrative e morali.

 

                - Ma e dunque che cosa ci lascia? mi hanno chiesto.

 

                - Lo scopo dell'Istituto, l'abito, il nome, ecc.

 

                - La questione ne' suoi veri termini sta qui. I Cappuccini che ne avevano la direzione, non andavano loro a, genio, ci furono fatti veramente spiacevoli perchè si voleva costringerli a non essere più Concettini, ma Cappuccini. Quindi anche ultimamente essi, di nuovo e in corpo, fecero ricorso al Papa, protestando contro l'oppressione e rimettendosi nelle sue mani, [504] con la preghiera che desse loro una direzione a suo Piacimento, ma in modo che fosse assicurata la stabilità e floridezza dell'Ordine. Il Santo Padre ora ha rimesso tutto nelle mani nostre, perchè io cercassi il miglior mezzo che mi paresse possibile per aggiustare le cose. Io ho pensato tanto, ho Pregato e poi ho steso una memoria che servisse di base fondamentale a quanto mi pareva da fare, e l'ho spedita al Santo Padre, il quale ne fu assai contento, l'approvò e mi. mandò a dire che andassi pure avanti su quelle basi. Anzi monsignor Fiorani mi scrive che il Santo Padre, letto il piano da me fatto, lo passò a lui, che è il protettore dell'Istituto dicendogli: - Leggete che capolavoro! Io non poteva aspettarmi di più. - La cosa dunque è per noi quasi conchiusa, senza però che i Concettini ne sappiano ancor nulla. Adesso si deve trovare il modo più conveniente di agire per eccettuare il disegno con soddisfazione di ambe le parti. La memoria da me mandata al Santo Padre è, per dir così, uno svolgimento di questo principio: “I Concettini accettino le nostre Regole e le osservino integralmente; il Superiore Generale dei Salesiani sia anche il loro Superiore” Per essi poi si farà un'appendice al Regolamento nostro, in cui si diano le norme per la buona direzione degli ospedali.

 

                - Tuttavia per questa sera è inutile che procediamo più oltre su quest'argomento, perchè tanto non si può venir ancora a nessuna conclusione. Quando si farà un po' di luce, allora ci raduneremo nuovamente e vedremo il da farsi. Il motivo che tiene i Concettini così alieni da una direzione non propria, sembra che derivi da una molla segreta d'interesse. Col voto di povertà hanno anche quarantacinque franchi al mese a testa da disporre a loro piacimento e temono a buon diritto che questo peculio venga loro tolto. -

 

                Nel corso dei colloqui col Concettino Don Bosco elaborò un secondo schema di articoli fondamentali, parte desunti dallo schema antecedente e parte nuovi e lo mandò a monsignor Fiorani, pregandolo di presentarlo al Santo Padre. [505] Appendice alle Costituzioni dei Fratelli Ospedalieri di Maria SS. Immacolata, detti Concettini.

 

                Le Costituzioni dei Fratelli Concettini che oggi trovansi approvate ad quinquennium in via di esperimento, ferme restando in massima, saranno osservate colle seguenti modificazioni.

 

                1° L'Istituto dei Concettini cessa di appartenere al Terz'ordine di S. Francesco d'Assisi e di essere diretto nello spirito dai RR. PP. Cappuccini ed invece è perpetuamente affigliato alla Società di S. Francesco di Sales eretta in Torino.

 

                2° La direzione spirituale dei Fratelli Concettini tanto professi che novizii è perpetuamente affidata ai Sacerdoti della detta Congregazione Salesiana, da nominarsi a questo effetto dal Rettor Maggiore della stessa Congregazione.

 

                Oltre poi a queste disposizioni perpetue, si osserverà per ora quanto segue fino a nuove disposizioni della S. Sede.

 

                1° L'Uffizio di Superiore Generale dei Concettini sarà tenuto dal Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana, il quale potrà anche nominare un suo rappresentante fra i Salesiani residenti in Roma.

 

                2° Nella Casa Madre di S. Spirito risiederanno due sacerdoti Salesiani, uno dei quali sarà il confessore e Direttore dei Concettini e l'altro col titolo di Rettore Economo dirigerà il Superiore Concettino ed in genere tutto ciò che riguarda l'amministrazione temporale dell'intero Istituto e la parte disciplinare.

 

                3° Nella Casa di Noviziato si nomineranno egualmente due altri Sacerdoti Salesiani uno Confessore e Direttore dei Novizi, e l'altro per la direzione dell'andamento domestico.

 

                4° Gli offici dei fratelli Concettini in Roma per ora sono limitati come segue: Nella Casa Madre vi sarà: io Il Superiore della Casa; 20 Il suo Vicario; 3 o Tre consiglieri. La Casa di Noviziato è sotto le dipendenze del Rettor della Casa. Continuerà anche ad essere un superiore negli ospedali di Orte e Civita Castellana, ove risiedono i Concettini. Tutti questi Officiali Concettini hanno voto consultivo, ove sono chiamati a dare il loro parere. La durata degli Offici èdi un triennio.

 

                5° Il Superiore della Casa Madre è scelto dal Rettor Maggiore,, sopra una terna formata dal voto di tutti i Concettini professi residenti in Roma. Il Superiore potrà scegliere il suo Vicario. Tutti gli altri uffici di Consigliere, di Maestro di Novizii e di Superiore per i Concettini residenti in Orte, e Civita Castellana sono di nomina assoluta del Rettore Maggiore.

 

                6° L'ammissione dei Novizii ed il loro rinvio prima della professione compete esclusivamente al Salesiano Rettore della Casa di Noviziato.

 

                7° La facoltà di espellere i Concettini professi dopo che si fossero resi inutili le ammonizioni e le correzioni, compete esclusivamente al Rettor Economo della Casa Madre. [506] 8° Il Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana ha piena facoltà di prescrivere le pratiche di pietà da osservarsi dai Concettini, di modificare in qualche”. parte il loro vestiario, di regolare e migliorare il loro vitto ed in genere di dare quelle disposizioni che crederà più convenienti al buon andamento dell'Istituto. ed allo scopo cui tende, sì nella parte spirituale che nella temporale.

 

                9° I quattro sacerdoti Salesiani dipendono dal Rettor Maggiore. ed a lui o chi per esso, debbono render conto dei loro offici. Però restando sempre ferma in Monsignor Commendatore di S. Spirito la qualifica di Protettore dell'Istituto, i Salesiani stessi, specialmente se richiesti, lo renderanno informato circa l'andamento dell'Istituto e sua amministrazione, affinchè possa così essere in grado di renderne intesa sua Santità che tanto si degna di interessarsi per la prosperità dell'istituto.

 

                Questa presentazione fu fatta il 12 dicembre. Dell'udienza Monsignore informò Don Bosco due giorni dopo e Don Bosco ne riferì al Capitolo Superiore il 17. Trarremo dalla cronaca di Don Barberis anche questa relazione. Don Bosco disse:

 

                - E’ partito da una settimana quel Concettino che stette con noi. Ora monsignor Fiorani mi scrive una bella lettera, che in sostanza dice così: “Andai da Sua Santità e mi disse che è molto contento dei progetti di V. S. a riguardo dei Concettini; che tuttavia in qualche punto avrebbe idee sue proprie, che espresse a me affinchè gliele comunicassi; questo però non si può fare che a voce. Sua Santità La invita a Roma per concludere il tutto; non venga solo, ma si conduca già un prete per prendere subito la direzione dell'Ospedale di Santo Spirito”. Io ho già pensato molto, riflettuto, pregato; ora non si tratta più che di eseguire, essendo il Santo Padre che parla. Ho già risposto che partirò al principio di gennaio, che andrò con un prete e che ci prepariamo a sentire i pareri di Sua Santità e ad eseguirli. Non si tratta dunque di andar là per proporre, ma per eseguire quanto ci sarà suggerito. L'unica difficoltà è questa: chi potrò condurre a Roma come direttore? Io ho già scritto a Lanzo, ho parlato con Don Lemoyne; il suo prefetto Don Scappini pare attissimo a questo uffizio: è molto attivo, ha bei modi, e poi abbiamo [507] assolutamente bisogno di un prete a Roma, che ci faccia, quasi direi, da Procuratore generale. Così stabiliremo subito la Provincia romana. Con Don Lemoyne siamo già d'accordo sul modo di aggiustare le cose lassù. Io partirei ai primi di gennaio e mi fermerei a Roma finchè tutto non sia interamente sistemato, perchè non voglio in questo lasciar le cose a metà; e quindi prima o dopo la festa di S. Francesco andrei in Liguria, in Francia e a Marsiglia. All'Ospedale di Santo Spirito mi chiedono solamente un prete con un cameriere, dicendo che per il Direttore o Cappellano vi sono due sole camere. Vedrò pure da quali sentimenti sia animata la Commissione direttrice di quell'Ospedale. Se possiamo rendercela benevola attirandola a noi, non due, ma cinquanta camere può mettere a nostra disposizione. E poi là vedremo anche meglio quale sia l'intenzione del Santo Padre. Questo è da guardare prima di fare qualsiasi passo: poichè non si va a discutere o a suggerire, ma ad ascoltare per poi operare. -

 

                Dunque, ricapitolando, fin qui tutto piace al Santo Padre, tutto va bene secondo monsignor Fiorani, nè altro occorre fuorchè un breve colloquio per finire d'intendersi; intanto Don Bosco può condurre seco un sacerdote, che assuma subito la direzione dei Concettini: le cose procedono chiare e lisce come olio. Viceversa, giunto che Don Bosco sarà a Roma nel gennaio del '77 con un sacerdote salesiano per la direzione dei Concettini, il chiaro si farà torbo e quello che scorreva liscio, urterà in intoppi di vario genere. Ma per ora non vogliamo spingerci oltre il '76[196]; vedremo l'epilogo nel volume tredicesimo.

 

                L'attività di questo anno svegliò qualche timore nell'animo dei più intimi amici di Don Bosco. Non erano troppe le cose che egli abbracciava simultaneamente? Il padre Secondo [508] Franco della Compagnia di Gesù, che era stimatissimo in Torino e voleva molto bene a Don Bosco, un giorno andò a visitarlo con l'intenzione di manifestargli il dubbio, che l'aprire tante case nuove ogni anno potesse recare gravi inconvenienti alla sua Congregazione. Il Servo di Dio, appena se lo vide dinanzi, lo guardò con il sorriso che per solito gli errava sulle labbra in certi momenti speciali e senza dargli tempo di aprir bocca gli spiegò i forti motivi che lo costringevano ad intraprendere nuove fondazioni, sicchè il suo interlocutore rimase là maravigliato e senza parola, persuaso che Don Bosco gli avesse letto nel cuore. Narrando poi a Don Francesia il fatto, conchiudeva: - Proprio come accadde a S. Ignazio di Loyola! –

 

 

CAPO XVIII. Partenza della seconda spedizione di Missionari.

 

                La partenza di ventitrè[197] Missionari della seconda spedizione era fissata per il 7 novembre. Il Beato Don Bosco ne diffuse largamente la notizia, diramando una circolare, che in quello stile pacato tutto proprio del Servo di Dio, se pur accenna di volo ai bisogni “pel corredo e pel viaggio”, non lascia però trapelare la menoma ansietà o preoccupazione di carattere materiale.

 

                ORATORIO SALESIANO

                Torino, 4 novembre 1876.

                Via Cottolengo N, 32.

 

                Benemerito Signore,

 

                Con grande mia consolazione ho l'onore di partecipare alla S. V. Benemerita che la funzione per la partenza dei nostri Missionari per l'America avrà luogo martedì a sera nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. [510]

 

                Alle ore cinque si comincierà col Vespro, cui terrà dietro un sermoncino di opportunità. Data poscia la Benedizione col Venerabile, invocando l'aiuto dell'Augusta Madre di Dio, si darà la benedizione pei viaggiatori. L'addio fraterno metterà fine alla pia funzione.

 

                Alle sette uscendo dalla chiesa i Missionari si recheranno direttamente alla stazione ferroviaria alla volta di Roma.

 

                La partenza da Genova è fissata pel mattino del quattordici corrente mese.

 

                Mancano ancora parecchie cose pel corredo e pel viaggio, e perciò la questua che in quella occasione si farà nella Chiesa sarà per questo scopo.

 

                La S. V. farà a tutti un gran piacere, se onorerà di sua presenza questa funzione; intanto pregandole ogni bene dal Cielo godo assai di professarmi

 

                Di V. S. B.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

                In una seduta capitolare del 5 novembre fra le deliberazioni prese riguardo alla cerimonia della partenza si stabilì di porgere rispettoso invito a Monsignor Arcivescovo, perchè si degnasse di venir a dare la benedizione; Don Durando ebbe l'incarico di fare quel passo. Ma nel caso che Monsignore non 1 potesse intervenire, Don Bosco gli disse di chiedere che permettesse ai Missionari di andare almeno a visitarlo prima di partire. L'esito fu quale si presagiva; onde i Missionari la mattina del 7 alle dieci e mezza si recarono in Episcopio, dove Sua Eccellenza cortesemente li ricevette e diede loro un ricordo. Per la benedizione fu invitato monsignor Anglesio, Superiore del Cottolengo.

 

                Quel mattino i giovani fecero, come l'anno innanzi, l'esercizio della buona morte; poi gli studenti ebbero vacanza tutto il giorno e gli artigiani nel pomeriggio. Il pranzo dei Missionari, rallegrato dalla musica e dalla presenza di ragguardevoli invitati, fu ritardato alle tre. Verso le cinque la folla gremiva ogni angolo della chiesa. Assistevano tutti gli alunni dell'Oratorio. Alle cinque ecco sfilare dalla sacrestia i Missionari, portarsi nel presbitero e inginocchiarsi nel lunghissimo banco per loro preparato. I preti e i chierici avevano mantello e [511] cappello alla spagnuola. Vespro, discorso di Don Bosco, mottetto, Tantum ergo in musica, benedizione col Santissimo Sacramento, Itinerarium clericorum, abbraccio e addio ai Confratelli schierati presso i gradini dell'altare, partenza difilata giù per il mezzo della chiesa e via sulle carrozze alla stazione, tutto come abbiamo già descritto nel volume undecimo: vi si ripeterono le scene commoventi dell'anno innanzi. Dell'abbraccio fraterno scrisse un giornale[198]: “Descrivere questa scena sublime è cosa impossibile. Lo può solo comprendere chi sappia che cosa vuol dire vivere molti anni insieme e poi separarsi coll'idea di non doversi forse rivedere mai più su questa terra”. Arrivarono alla stazione giusto un minuto prima che partisse il treno. Là si unirono ai Missionari i Salesiani destinati ad Ariccia e parte di quelli che dovevano andare ad Albano. Dice laconicamente la cronachina di Doli Lazzero: “Li accompagnava tutti il caro sig. D. Bosco”. Egli aveva poc'anzi parlato così dinanzi al folto uditorio di Maria Ausiliatrice, indirizzandosi particolarmente ai giovani e ai confratelli.

 

                Un anno fa a questi giorni, o amati figli, da questa medesima Chiesa di Maria Ausiliatrice, partiva una prima schiera di Missionari Salesiani diretti alla Repubblica Argentina, per catechizzare ed evangelizzare quei popoli, ed anche farsi strada per giungere alle tribù dei Pampas e dei Patagoni, tribù selvagge e feroci quant'altre mai Noi assistemmo a questa partenza salutandoli fra le lagrime dell'addio e la commozione, o meglio la consolazione per l'opera che si andava ad incominciare.

 

                Da questo medesimo pulpito si volgevano loro affettuose parole di incoraggiamento e di commiato, ricordando come essi non facessero altro che obbedire a quelle parole che il Divin Salvatore diceva agli Apostoli: Euntes in mundum universum praedicate evangelium omni creaturae e così essi seguitassero precisamente l'opera apostolica. Nello stesso tempo si diceva loro: - Voi partite, ma non sarete soli; noi vi accompagneremo sempre, col pensiero e colla preghiera; altri e poi altri vi seguiranno nella vostra nobile impresa, e vi saranno compagni, e se ve ne sarà di bisogno, siamo tutti pronti a partire, [512] per andare a raggiungervi nel campo evangelico che la Provvidenza Divina ci sta preparando.

                Quanto allora si diceva come pio desiderio, ora si va traducendo in realtà. Ed ecco che in questo momento mi vedo qui avanti un umile drappello, una piccola schiera di Salesiani che, animati dagli stessi pensieri, che i primi partiti nutrivano, sono ansiosi di recarsi al più presto possibile a rinforzare le file dei loro compagni.

 

                In questa sera, essendomi io proposto di tenere un breve sermoncino, lascerò assolutamente da parte tutti gli argomenti atti a trarre le lagrime da chi parla e da chi ascolta, e che in questa circostanza m'impedirebbero di continuare il discorso. E neppure in questo momento, o cari figli, io giudico opportuno di suggerirvi regole di vita e di prudenza, che possono sembrare utili per coloro che vanno in quelle remote regioni.

 

                Io intendo di esporvi solamente due pensieri. Il primo pensiero riguarda ciò che fecero quei nostri dieci compagni, dopo quella memoranda sera nella quale, alla presenza di Gesù Sacramentato, dinanzi all'immagine di Maria, ci diedero il fraterno addio. Ve ne darò un cenno affinchè si veda come straordinariamente grande sia il bene che si può fare; e come coloro che sono animati da vero zelo per la salute delle anime, siano benedetti e protetti dal Signore, e dagli uomini rispettati ed amati.

 

                Il secondo pensiero si è di additare la messe che Dio ci tien preparata nell'America del Sud. Le cose da farsi in quelle regioni sono molte; il bene da compiersi, grandissimo; il campo, molto vasto. Voi dunque potete continuare sempre più l'opera degli Apostoli, lavorando alacremente nella vigna del Signore.

 

                Amatissimi figli, ascoltate: Dio vi vede, Dio vi ascolta perciò a Lui solo sia onore e gloria. Se qualche cosa si riferisce alle nostre povere persone, come umili strumenti di cui Egli si volle servire, noi diremo sempre: Dalla grazia di Dio fu fatto questo, e perciò a Lui solo sia reso l'onore e la gloria: soli Deo honor et gloria!

 

                Andati prima a Roma per prendere la benedizione dal Santo Padre, ebbero dal Vicario di Gesù Cristo la più cordiale accoglienza, e da Lui ricevuta la missione, ritornati a Torino, ripartiti di qui l'11 di novembre, il giorno 14 da Genova prendevano il mare per alla volta della Repubblica Argentina. Dopo un lungo e felice viaggio, le cui particolarità sono descritte in libro apposito per chi bramasse fame lettura, approdarono a Buenos Aires. Quivi trovarono accoglienze così straordinarie, che appena avrebbero potuto aspettarsi dai più grandi amici, specialmente da quel pio e dotto Arcivescovo che li tratta come un padre amoroso i figli. Sparsa la voce del loro arrivo, subito si mossero molti, e specialmente gli Italiani, i quali, in numero grandissimo vennero loro incontro per ossequiarli e per pregarli che si fermassero in detta città a prender cura delle loro famiglie e dei [513] loro connazionali. I Missionari erano decisi di portarsi tutti a S. Nicolás de los Arroyos per lavorare in quella vigna, che pareva dover essere dissodata per la prima; ma tante furono le istanze di quei di Buenos Aires, e tanto il bisogno che quivi si scorse di predicatori evangelici, che si dovette contentarli e dividere in due schiere quel personale: e tre si fermarono a Buenos Aires.

 

                Giova qui ripetere che lo scopo di questa Missione era di venire in aiuto morale agli Italiani abitanti in gran numero l'America del Sud, e fare novella prova di avvicinarci ai selvaggi delle Pampas e della Patagonia. Non pochi antichi giovani dell'Oratorio che avevano preso stanza in quella città e nei paesi di provincia, venivano con vero entusiasmo, ansiosi di vedere i loro compagni di mestiere, di studio e di trastulli.

 

                Perciò a Buenos Aires ci offersero subito la direzione della Chiesa dedicata alla Madre della misericordia, detta altramente la Chiesa degli Italiani, e Don Cagliero cominciò immediatamente un corso di predicazione, facendo la novena del Santo Natale. Fu grande il frutto, e la gente correva ad ascoltarlo fin da venti o trenta leghe lontano. La Chiesa era sempre stipata sia alle prediche italiane che alle spagnole, alternate  mattino e sera. Molte ore del giorno erano consacrate alle confessioni e non potendosi ascoltare tutti gli uomini che si presentavano per l'angustia del luogo e del tempo, si dovette, passata la festa del Santo Natale, continuare l'ottava a predicare ed a confessare. Nè questa frequenza cessò; anzi pare che vada continuamente aumentando, tanto che si domandano altri ed altri missionari, perchè non abbiano a soccombere dalle fatiche coloro che presentemente sono là.

 

                Intanto gli altri sette continuarono il loro viaggio sino a S. Nicolás, distante dalla capitale ventiquattro ore di vapore fluviale, dove credevano, secondo le intelligenze, di trovare il collegio colla sua Chiesa preparato per ricevere un centinaio di giovani; invece l'Opera era solo incominciata e non vi era locale che per sei od otto giovani. Ma i Salesiani non si turbarono. Aiutati anche da buone persone di quei luoghi si misero essi stessi all'Opera. Bello era il vedere come nello stesso tempo che incominciavano a fare scuola, ciascuno diventasse maestro di quanto era da farsi. Essi stessi lavoravano da impresario, da capomastro, da muratore, da fabbro ferraio e da falegname. Procedette alacremente quel lavoro.

 

                Di mano in mano che eravi pronto un bugigattolo o una sala, era tostamente occupato, e le accettazioni di giovani erano continue. Credereste? Nello spazio di sei mesi, quella costruzione giunse al punto da rendere il collegio capace di contenere un cento trenta allievi; e vi sono, e dànno le più soddisfacenti prove di studio, di moralità e di disciplina. E i giovani appartengono alle più cospicue famiglie.

 

                Mentre si incominciarono le scuole elementari e classiche, in. S. Nicolàs [514] si aperse ancora una Chiesa pubblica con oratorio festivo; ed anche qui tanta fu l'abbondanza della messe, che i Salesiani recatisi colà si trovarono in troppo piccol numero e tosto supplicarono che si mandassero nuovi compagni.

 

                S. Nicolás è posta sui confini della provincia di Buenos Aires, a poca distanza dai selvaggi e volle il Signore che fra i tanti giovani i quali fecero domanda di entrare in collegio, ve ne fossero alcuni delle famiglie dei selvaggi. Questo era il compimento di uno dei più ardenti nostri desideri, recandoci in quelle lontanissime regioni; cioè .di farei strada poco alla volta, per penetrare fino nelle regioni dei selvaggi. Questa strada or pare fatta, poichè, allevati questi giovinetti selvaggi nella religione Cristiana, andranno essi stessi ad insegnare la fede in Gesù Cristo a quelle tribù dalle quali vennero, e si vedrà effettuato il progetto dei selvaggi evangelizzatori dei medesimi selvaggi.

 

                Intanto che in Buenos Aires e a S. Nicolás si lavorava a questo modo, si sparse in America la notizia dell'arrivo dei Salesiani. I bisogni spirituali in quelle regioni essendo immensi, ed i mezzi per provvedervi pochissimi, da tutte le parti si volsero a Don Cagliero, Superiore dei Salesiani, per ottenere Missionari, per aprire scuole serali, oratori festivi, ricoveri per i ragazzi poveri, collegi, piccoli seminarii. Ciò prima fu da più città della medesima Repubblica, come da Córdova, da Mendoza; poi da alcune città del Chilì, dove le trattative sono già molto inoltrate per tre città. In Santiago, capitale di quest'altra Repubblica, ci si offre una Chiesa pubblica, una casa d'arti e mestieri, un collegio ed Oratori festivi; il simile accade a Valparaiso ed alla Concezione, che è l'ultima città del Chili verso i selvaggi, ove ci offrono la direzione del piccolo seminario. Nulla più manca se non che i Missionari si rechino sul posto: speriamo nella Divina Provvidenza, che questi si potranno avere, e quanto prima faremo una nuova e terza spedizione.

 

                Ma intanto in Montevideo si vede l'urgenza di muovere in soccorso della gioventù. A questa la città capitale della Repubblica dell'Uruguay, popolatissima provincia, dove però non vi è nè seminario, nè collegio cattolico, nè un sol chierico in tutta la Repubblica, senza speranza di averne in avvenire. Il Vicario Apostolico monsignor Vera si rivolse supplichevole a D. Cagliero, che vedesse modo di mettere un collegio salesiano in quella capitale. Dopo lunghe trattative e dopo superate molte difficoltà ed opposizioni, messe su proprio dal demonio, si potè conchiudere l'affare, perchè varie distinte e benevoli persone cristiane (chè anche là ve ne sono), adocchiato un magnifico edifizio, che poteva servire all'uopo, in un sobborgo delizioso della città, detto Villa Colon, lo comperarono e regalarono ai nostri col solo obbligo di ricevere, istruire ed educare i giovani che la Provvidenza ci manderebbe. Ed ecco, che una parte dei Missionari che ora partono, sono appunto destinati ad aprire quel collegio, unico cattolico in detta [515] Repubblica, che fu chiamato Collegio Pio, per ricordare il passaggio che di là fece il gran Pontefice Pio IX, quando nel 1823 si recava nel Chilì come incaricato dalla S. Sede.

 

                In questo momento poi in cui io vi parlo, altro gran fatto, o si compì, o sta per compiersi. I selvaggi della Patagonia, uomini feroci e che finora non permisero a nessun Europeo di penetrare nelle loro terre, avendo udito parlare di Missionari, il cui unico scopo si è di educare la gioventù, istruire e soccorrere i bisognosi, si persuasero anch'essi che tali uomini farebbero del bene e non del male alle loro tribù e mandarono ad invitare Don Cagliero. Cosa mirabile! Mentre a Dolores, che da una parte è l'ultima città. un po' incivilita della Repubblica Argentina, si sta per aprire una casa, da un'altra, a Patagónes o Carmen, che è già proprio in mezzo ai selvaggi, ma dove i bianchi paiono ancora al sicuro, si offerse a noi quest'ultima parrocchia. E intanto due Cacichi, fra i più potenti capi di selvaggi, mandarono a chiamare Missionari salesiani, assicurando che non riceverebbero da loro nocumento di sorta, ed anzi che tutti ascolterebbero volentieri la religione che loro verrebbe annunziata. E fino dal fondo della Patagonia, da Santa Cruz e da Punta Arenas, che è nel mezzo dello stretto di Magellano, si chiedono i Missionari salesiani.

 

                Mentre tutte queste cose si trattavano, in Buenos Aires stesso si vide la necessità di aprire nuove case. In un angolo abbandonato di questa città, detto la Bocca del diavolo, con migliaia e migliaia di abitanti Italiani, una Chiesa era necessaria, una parrocchia eziandio bisognava erigere in un sobborgo, e più di tutto apparve il bisogno di aprire anche una casa per arti e mestieri ai poveri fanciulli abbandonati e prendersi anche la cura di altre chiese.

 

                Posto che i bisogni sono così grandi e così svariati, visto che i dieci primi Missionari non bastavano a tanto lavoro, si pensò di spedirne altri. Don Cagliero da principio ne domandava sei, poi dieci, poi venti, poi non meno di ventiquattro. lo son certo, che se ritardavasi ancora un poco questa spedizione, avremmo ricevute altre lettere in cui si sarebbe dimostrato l'estremo bisogno che altri ed altri partano per quelle terre. A un grido continuo che si eleva verso l'Europa e ci dice: - Veniteci in aiuto; mandate degli operai!

                Voi dunque, o novelli Missionari, partite per quelle regioni, divisi in vari drappelli. Una parte dirigerà in Buenos Aires stessa la casa di artigiani che si sta per aprire, e da qui innanzi i ragazzi abbandonati e pericolanti avranno un ricovero ed un asilo sicuro, sia contro le miserie della vita corporale, sia contro l'aria pestifera del secolo, e potranno senza detrimento dell'anima imparare quell'arte o mestiere che darà loro un pane onorato per tutta la vita. Ed è per questo che oltre gli ecclesiastici vanno eziandio i capi d'arte. Qui si dovranno anche aprire oratori e giardini di ricreazione pei fanciulli nei giorni festivi e amministrare una popolatissima parrocchia d'Italiani. [516] Una parte si reca a Montevideo ad impiantarvi un collegio veramente cattolico, dove la scienza possa impararsi, conservando l'innocenza della vita e la purità dei costumi. Abbiamo fondata speranza che questo collegio, benedetto in modo tutto speciale dal Santo Padre, abbia a produrre tanti buoni frutti, e chi sa che varie pianticelle non possano ben presto trapiantarsi e collocarsi nel Santuario, e che quella vasta Repubblica non debba più lamentarsi di non aver nessun chierico.

 

                Una parte si reca a rinforzar le file di quelli che già lavorano a S. Nicolás, poichè quel collegio e quegli oratori sono cresciuti a tanto, che coloro i quali presentemente colà lavorano, sono affatto insufficienti. E qui pure vi è terra da coltivare, bestiami da utilizzare, artigiani da istruire, che domandano in mille modi la mano e la perizia di uomini coraggiosi, disinteressati, di fermi propositi e capaci di far sacrifizi.

 

                Una quarta parte poi andrà, seguendo la voce del Signore, in quei luoghi in cui se ne vedrà maggior bisogno, specialmente in predicazioni straordinarie, cercando di farsi strada tra i Pamperos ed i Patágoni, poichè prima che là arriviate, o cari figliuoli, io sono persuaso che già siansi concluse varie trattazioni a questo riguardo: quindi che non si aspetti altro che qualche soggetto adattato per mettersi a capo di questa evangelizzazione di selvaggi.

 

                Ora tuttavia manca una cosa. Oh sì! manca una cosa prima di recarvi in quelle lontanissime terre. E che cosa manca? Manca di andare a Roma, prendere la speciale benedizione del Sommo Gerarca della Chiesa, del Vicario di Gesù Cristo. Manca che noi andiamo a prostrarci ai piedi di questo nostro incomparabile Benefattore, e ne ascoltiamo ed eseguiamo i cenni.

 

                Sì! Chiamo Pio IX nostro incomparabile Benefattore, poichè bisogna che sappiate, miei carissimi giovani, bisogna che lo sappiano tutti, come Pio IX ci ami in un modo tutto straordinario, e non lasci passare la più piccola occasione per benedirci e soccorrerci. Qui bisognerebbe che io vi dicessi chi è il Papa, chi è Pio IX, ma la voce non regge, il cuore si commuove troppo al pensare alla bontà del Pontefice dell'Immacolata, a quella viva immagine di Gesù Cristo. Ancora di questi giorni, allorquando seppe il nostro estremo bisogno di preparare il corredo per i Missionari e le grandi strettezze in cui ci trovavamo, cercò quanto eravi di valore nel suo tavolino, e trovate 5000 lire, le consegnò immediatamente al Cardinal Bilio che le mandasse, aggiungendo: - Dite a D. Bosco che questa sarà poca cosa rispetto ai suoi bisogni, ma che è quanto in questo momento un buon padre possiede e tutto dà ai suoi diletti figli. Il Signore non lascerà di provvedere quanto ancora lor manca. - Ecco perchè io diceva e ripeto a tutti, di benedire, di amare questo nostro insigne Benefattore, il Papa, e di pregare per Lui. Noi adunque ci prostreremo ai [517] suoi piedi, lo ringrazieremo e gli diremo: - Santo Padre! siamo i vostri amati figliuoli! Benediteci. - Da Lui. benedetti, partite pure, o miei figliuoli.

 

                Ed è a voi che ora dovrei rivolgermi, o Missionari della pace, e darvi alcuni ricordi. Ma quali ricordi io vi darò? In parte li ebbero già i Missionari che partirono prima di voi e sono scritti; li avete letti, ed avrete comodità di leggerli. Altri ricordi ho già dati in particolare a ciascuno, per ciò che privatamente vi riguarda. Ora quale altro ricordo ci vorrà?

 

                Voi siete sicuri essere il Signore che vi domanda questo sacrifizio. Siete sicuri che le fatiche intraprese in quei luoghi, è il Signore che le vuole. E’ proprio il Signore che v'invia. Che cosa si vuole di più? E che sia il Signore che vi chiama, ne abbiamo tanti e così dichiarati segni, che non se ne può dubitare. No, non temete! Il Signore e la Vergine Santissima vi prenderanno essi stessi per mano e vi condurranno dove maggiore è il bisogno e dov'è maggiore il bene che potrete fare.

 

                Tutti troverete il vostro posto, poichè vi è bisogno di chierici che facciano scuola, assistano, catechizzino; vi è bisogno di secolari che facciano le commissioni, tengano conti: e vi è bisogno di camerieri, di portinai, di giardinieri, di pastori che custodiscano le pecore, di falegnami, ferrai, che tutto facciano ove tutto manca. State tranquilli, troverete tutti la parte vostra.

 

                Non abbiate paura: d'altronde là non andate più come la prima volta alla ventura, senza conoscere nessuno, o senza sapere in quale casa sarete accolti. Là troverete già dei fratelli che vi accoglieranno benevolmente. Troverete una casa preparata, un letto, una tavola, un pane.

 

                Io nutro ferma fiducia che più presto o più tardi, noi tutti ci potremo rivedere. Di pochi giorni è la distanza di qui all'Argentina. Ma se per caso avvenisse che con qualcuno non ci potessimo più rivedere su questa terra, oh! non mancherà per questo che dopo questi giorni di vita, non possiamo ancor rivederci. Staremo poi per sempre uniti nel cielo!

 

                Nel viaggio da Torino a Roma toccò ai nostri passeggeri un solo incidente degno di nota. Terminava allora a Pisa il dominio ferroviario dell'Alta Italia; onde per proseguire bisognava munirsi di nuovi biglietti. Don Bodrato ricevette l'ordine di presentare a chi di ragione il biglietto collettivo consumato e staccarne un altro fino a Roma. Fattosi dunque allo sportello, sentì che ci volevano 593 lire. Don Bosco, atteso un po' inutilmente il suo ritorno nella sala e ben sapendo [518] che egli non aveva quattrini, andò a vedere; ma, udito l'ammontare, “si portò dolcemente una mano alla fronte e col suo risolino in bocca” disse: - Come facciamo? Io non ho che cinquecento lire. - Intanto fruga nella tasca a destra, fruga in quella a sinistra, volta e rivolta il portafoglio, lo scuote riverso sullo sporto davanti all'usciolo, allargandone tutti i ripostigli; ma non cade proprio nulla. Don Bodrato lo imita con miglior fortuna; infatti ne vede cascare una sessantina di lire. Don Lasagna, vista la mala parata, va attorno a far raccolta da tutti i borsellini dei compagni e ritorna con trentadue lire. Don Bodrato trionfante aggiunge le due sommette alla somma di Don Bosco; ma nella fretta ha contato male; mancano ancora quattro lire. - Se non le trova, gli dice freddamente il bigliettaio, partono i suoi compagni e lei resta qui. - Intanto la voce della loro miseria si era sparsa. senza che nessuno si commovesse al tristo caso. Il capostazione stava per dare il segnale della partenza. Che fare? Don Bosco “nella sua calma e sempre ridendo”[199] disse qualche parola al capostazione, che non volle sentire. Finalmente, rifrugando in altra tasca, ecco venir fuori un portamonete sfuggito prima alle ricerche e scaturirne le provvidenziali quattro lire, ma in monetine d'argento dell'antico governo. Meno male che non si fecero difficoltà a riceverle. E' proprio vero che non ogni male viene per nuocere. I Missionarii fino allora erano rimasti a terra, in attesa degli eventi; onde nel frattempo i viaggiatori avevano invaso e riempito tutte le carrozze. Fu dunque giocoforza attaccarne in fretta e furia una appositamente per essi, che ebbero la soddisfazione di occuparla da soli. Spuntava il giorno, e, padroni così del vapore, poterono tutti liberamente recitare ad alta voce in comune le orazioni del mattino; poterono poi i sacerdoti cominciare insieme a coro il divino ufficio, mentre gli altri canterellavano laudi sacre. Con questi e simili [519] amminicoli si studiarono anche d'ingannare certi stimoli dello stomaco, aguzzati più che calmati da scarsi bocconi di pane acquistati per via con i pochi soldi, a qualcuno rimasti in fondo alle tasche; cosicchè arrivarono a Roma senza un centesimo e con un formidabile appetito. Alla stazione Don Sala aspettava il grosso della comitiva con due omnibus per menarli alla Trinità dei pellegrini, e il caro signor Sigismondi prese con sè Don Bosco e lo condusse a casa sua, circondandolo delle più delicate attenzioni.

 

                Si erano appena rifocillati da un digiuno di ventiquattro ore, quando una lieta notizia li fece andare in visibilio: il Papa, il Papa Pio IX li avrebbe ricevuti in udienza subito il giorno appresso! Non istavano più nella pelle. Alle dodici del 9 si trovavano schierati a semicerchio nella sala vicina a quella, dove Sua Santità soleva fare i ricevimenti privati, quand'ecco apparire il Santo Padre, accompagnato dagli Eminentissimi Asquini, Caterini, Franchi e Di Pietro e da molti Prelati, Vescovi e Arcivescovi. - Ecco, disse con accento paterno, ecco un drappello di Salesiani, che vanno in America. Dio vi benedica, figliuoli miei, e la Santa Vergine vi protegga. - In quel momento, sospinti dall'affetto e immaginandosi di poter fare come all'Oratorio, tutti si slanciarono verso il Papa per baciargli la mano. - No, no, fece sorridendo il Pontefice, servate ordinem. Io farò il giro, e ognuno potrà appagare la sua devozione.

                Cominciò dal capo della spedizione. - Questi, o Santo Padre, disse Don Bosco, è il sacerdote Bodrato, capo di questa novella spedizione. Costoro che seguono, partono con lui per Buenos Aires.

 

                - Buenos Aires, osservò il Santo Padre, è una buona città, dove io sono stato nel 1823. Vi è un Vescovo molto zelante. Dio vi accompagni dappertutto.

 

                - Costoro sono destinati per S. Nicolás e sono guidati dal sacerdote Remotti. Quel collegio è divenuto assai numeroso ed è sommamente necessario che il personale vi sia aumentato. [520] - S. Nicolás de los Arroyos, riprese il Santo Padre, è una città, dove sono passato. Colà trovansi molti Italiani. Avrete molto da fare. E’ però l'ultima città verso i selvaggi. Ci vorrà molta pazienza e molta prudenza.

 

                - Questo terzo drappello, guidato dal professore Don Luigi Lasagna, si fermerà a Montevideo, capitale dell'Uruguay. In quella città non vi è nè Seminario, nè Vescovo ordinario, nè clero. A Villa Colón sarà aperto un collegio, che Vostra Santità vorrà gradire sia chiamato Collegio Pio.

 

                - Sì, rispose con ilarità, va bene. Sono stato in questa città; ho veduto quei luoghi. Vi sono molti Italiani, la cui figliuolanza ha bisogno assai di educazione cristiana e di sana istruzione. Molta messe, molta messe!

 

                - Questi ultimi sono destinati per Albano.

 

                - Anche in Albano troverete messe copiosa; ma la popolazione è assai buona e religiosa; potrete esercitarvi il vostro zelo e la vostra carità con profitto. Dio vi accompagni!

                Compiuto il giro e detta a ognuno qualche parola nell'atto che dava la mano a baciare, si portò di nuovo accanto ai Cardinali e, agitando con la sinistra giovenilmente il suo bastoncino, indirizzò ai Missionari queste parole: - Mi fa piacere questa nuova spedizione di Salesiani. Dio vi benedica e la Santa Vergine vi protegga. Col santo aiuto divino voi farete gran bene. Si racconta di S. Francesco Solano che abbia percorsa a piedi tutta l'America da una parte all'altra. Questo noti può essere avvenuto naturalmente. Credo che gli Angeli del Signore lo abbiano portato per un sì lungo e faticoso cammino, Io non dico che voi dobbiate percorrere da una parte all'altra l'America; quello che vi posso assicurare si è che con l'aiuto di Dio voi potrete fare un gran bene. E chi sa quanto possano essere estesi i luoghi, copiosa la messe che Dio vi va preparando? Studiate soltanto di corrispondere alle amorevoli cure della Provvidenza divina e poi non dubitate che le vostre fatiche produrranno molti frutti. Prego Dio che vi conceda fermezza nei buoni propositi. Dio [521] vi benedica tutti, ed il vostro Angelo Custode vi accompagni per via, per mare, sul lavoro e sempre. Dio benedica voi, la vostra missione, quelli che già sono in America; benedica il Vescovo di Buenos Aires, il Vicario Apostolico di Montevideo; benedica tutti i vostri parenti, amici e benefattori. Benedico poi le vostre medaglie, corone e crocifissi e prego Dio che vi benedica nel tempo e vi renda un giorno tutti felici nella beata eternità. - Quindi concedette l'apostolica benedizione con l'indulgenza plenaria a tutti i parenti, affini e consanguinei dei Missionari fino al terzo grado inclusivamente. Il Papa, allorchè terminò di parlare, apparve visibilmente commosso; poi, spianato il volto alla solita sua ilarità, in mezzo ai personaggi del seguito, passò in un'altra sala. I Missionari stavano là estatici e imparadisati, come gli Apostoli, quando videro scomparire Gesù fra le nubi dell'Ascensione.

 

                Don Bosco fu ricevuto di nuovo in udienza privata il giorno 10. Abbiamo sott'occhio la consueta cartolina, che gli servì di promemoria delle cose da chiedere al Papa. Erano quattro: “1° La Sig. Marianna Mazé domanda al S. Padre di poter qualche volta prendere una piccola bibita prima di fare la Comunione. 2° Casi della Penitenzieria pel Canonico Molinari. 3° Facoltà di confessare durante il viaggio dei Missionari. 4° Lettere test[imoniali] dispensando disputate”. Posteriormente segnò accanto alle prime tre petizioni il rispettivo esito. Concessa la facoltà alla Mazé, “purchè sia una sola bibita”; “facoltà innovata” al canonico Molinari di assolvere da casi papali; facoltà accordata ai Missionari di confessare durante “tutto il viaggio”. Nell'ultima il Beato chiedeva la dispensa dall'esigere le lettere testimoniali per aspiranti, a cui i Vescovi ricusassero di rilasciarle. A questa non troviamo nota marginale; ma infine si legge: “Tutto vivae vocis oraculo, die 10 Novembris 1876”. Che questo “tutto” si riferisca anche a ciò e quale valore gli si debba attribuire, si vedrà chiaramente fra breve. [522] Oggetto principale dell'udienza fu l'affare dei Concettini; ma non ci è possibile saperne più di quanto si arguisce dalle cose narrate nel capo precedente. Il Papa gli diede anche un incarico. In piazza Mastai, di là dell'attuale ponte Garibaldi, non lungi dal vecchio castello degli Anguillara da noi accennato sopra, Pio IX faceva costruire una casa che servisse per il noviziato dei Concettini. Per questo il Papa gli aveva detto di andarla a vedere. La fabbrica sorgeva poco lungi dalla sopra menzionata chiesa di santa Bonosa; donde la voce che questa chiesa dovesse venir affidata a Don Bosco. Il Beato, andatovi poco prima di lasciar Roma, ne riferì in questi termini al Papa[200]: “Credo pure mio dovere di dare breve cenno della visita fatta alla casa di Piazza Mastai, una delle molte opere che V. B. va ogni giorno adempiendo. Io l'ho trovava adattata allo scopo, e vi ho semplicemente notate alcune cose di poca entità che a me parvero utili a coloro che l'andranno ad abitare. Sarà capace di accogliere da 25 a 30 persone. Il Sig. Ingegnere dice che coll'anno saranno ultimati i lavori dei muratori; ci vorrà ancora qualche po' di tempo per asciugare ed essere mobiliata”.

 

                Altro d'importante non ci resterebbe a dire del brevissimo soggiorno di Don Bosco a Roma, se non fosse di una sua lettera a Don Barberis, scrittagli dopo l'udienza privata e mentre lo occupavano molto le conferenze con monsignor Fiorani per le cose dei Concettini.

 

                Bisogna prima conoscere perchè Don Bosco la scrisse. Appena partito lui dall'Oratorio, il Capitolo particolare della casa introdusse un cambiamento provvisorio. La scuola serale di canto vi si faceva dopo cena; negli altri collegi non si imitava in questo l'Oratorio, ma la si faceva prima di cena e, dicevasi, con maggior profitto. Alla proposta di far così anche nell'Oratorio, Don Bosco in un primo tempo non aveva dissentito; ma, venuto il novembre, si era mostrato contrario alla novità per quell'anno scolastico. Egli riteneva che giovasse [523] alla moralità tenere i giovani raccolti e occupati in quell'ora, in cui la sorveglianza riusciva difficile, essendo notte. Tuttavia i Superiori dell'Oratorio pensarono di fare la prova per un mese. Don Barberis, fautore egli pure dell'innovazione, a cose fatte ne scrisse a Don Bosco, che gli rispose con la seguente lettera, nella quale gli parla di quella e di parecchie altre cose, com'era suo costume.

 

                Carissimo D. Barberis

 

                1° Tu od altri comunicate alla Signorina Lorenzina Mazé: Facta facultate eius matri aliquid bibendi ante communionem.

 

                2° Al Canonico Professore Molinari rinnovata la facoltà dei casi Papali.

 

                3° Dispensa illimitata delle lettere testimoniali.

 

                4° Facoltà illimitata di confessare ai missionarii durante tutto il loro viaggio.

 

                Haec omnia vivae vocis oraculo sub 10 novembris 1876.

 

                5° Riguardo a Daniele chiericando, rimetto tutto al benevolo D. Rua.

 

                6° Non era mia intenzione che si sciogliesse la scuola di fuoco: tanto più che eravamo intesi con D. Durando e con Zemo di portarla alla sua perfezione. E’ vero che si fa a Sampierdarena, ma almeno una classe sia a Torino, per molte ragioni.

 

                7° Avete fatto bene a portare la scuola serale prima di cena durante la mia assenza, perchè io non l'avrei permessa, come aveva già fatto l'anno scorso. Manca '1 gat, i rat a balo.

 

                8° Il Santo Padre ha dato una benedizione generale a tutta la Congregazione Salesiana: ma una speciale agli ascritti, dei quali io feci tanti elogi; un'altra cosa ancora a tutti gli aspiranti con queste parole: - Dio vi benedica, o tenere pianticelle; crescete, ma crescete per fare un gran frutto nella vigna del Signore. -

 

                9° I Missionarii sono tutti allegri ed in buona sanità. Partono domani (sabato) alle 10 mattino. Io partirò domenica all'ora medesima con D. Sala.

 

                10° Le cose nostre sono in. ottimo stato qui a Roma. Evviva Roma! Ma ne parleremo a Torino.

 

                11° Saluta D. Tonella, D. Capelletti, D. Porani, D. Santucci, per cui ho dimandato una speciale benedizione.

 

                Saluta anche D. Rua, D. Lazzero, D. Bertello, Botto il cuoco e D. Berto. Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia. Così sia.

 

                Roma, 10-11-1876.

Aff.mo in G. C.

Sac. G. Bosco. [524]

 

                Questa lettera ha bisogno di qualche altro commento, che faremo seguendone punto per punto il contenuto. 1° Lorenzina Mazé era la nipote dell'Arcivescovo Gastaldi, della quale nel volume undecimo abbiamo riportata l'interessante deposizione al processo apostolico. La concessione però qui accennata era da comunicarsi a lei, ma non per lei, bensì per la sua madre, sorella dell'Arcivescovo. 2° Il canonico Molinari, professore di teologia nell'Università di Torino, fu tra i primi amici dell'Oratorio. Assiduo nel venirvi a fare lezione della sua disciplina ai chierici salesiani, ebbe per questo i suoi fastidi: pure si diceva pronto a rinunziare al canonicato e all'insegnamento in seminario, piuttostochè lasciare l'Oratorio senza scuola di teologia. 3° Grossa faccenda questa delle lettere testimoniali! I Vescovi, nonostante la Bolla del '48 sullo stato dei regolari, non sempre le davano volentieri. Parecchi Ordini religiosi avevano già ottenuto un più o meno largo privilegio di esenzione; Don Bosco pure ne godeva per i giovani, che facevano gli studi nei collegi salesiani. Allora il Papa glielo allargò, togliendone ogni limite. Bisognò contentarsi di averlo vivae vocis oraculo, perchè per rescritto sarebbe stato vano sperarlo, essendo un disfare quello che nel '48 la Chiesa medesima aveva stabilito.

 

                Per norma dei Superiori del Capitolo Don Bosco scrisse, e ne conserviamo l'autografo, le seguenti “Avvertenze. 1° Tutti i giovani educati nelle nostre case sono esenti dalle Lettere Testimoniali. Concessione fatta vivae vocis oraculo del S. P. Pio IX. - 2° Pei secolari non si richiedono le Lettere Testimoniali, ma solo per color che volessero essere accolti come chierici o come preti. Si consultino gli autori. - 3° Nell'udienza ottenuta dal Nostro S. Padre li 10 novembre 1876 vivae vocis oraculo si ottenne dispensa dalle Lettere Testimoniali per tutti indistintamente”.

 

                Proseguiamo il commento. 4° Nell'altra spedizione questa facoltà era giovata molto ai Missionari per fare del bene alle anime. Oggi questa cosa, come anche la precedente, è regolata [525] dal diritto comune[201]. - 5° L'alunno Giovanni Daniele, dopo la quarta ginnasiale, non aveva mai fatto motto di vocazione; ma ora aveva scritto una lettera a Don Bosco ed anche parlato con Don Barberis, per ottenere di venir accettato in Congregazione. Don Bosco rimise la decisione a Don Rua, che, riflettendo probabilmente su quel “benevolo”, andava a rilento, rimandando la cosa da un giorno all'altro. Tornato Don Bosco da Roma, il giovane gli scrisse di bel nuovo. Allora Don Bosco passò la faccenda a Don Barberis, che lo accettò “issofatto” al noviziato. La ragione che teneva in forse Don Bosco e Don Rua era che il Dianiele, rimandato in parecchie materie negli esami finali e ricaduto in greco negli esami di riparazione, doveva ripetere la classe, come appunto stava facendo. Egli figura quale ascritto chierico nei due catalogi del '77 e del '78; poi il suo nome scompare. - 6° Della scuola di fuoco e delle sue vicende abbiamo ragionato abbastanza altrove[202], sorpassando anche i limiti dell'anno 1875. - 7° Il proverbio piemontese corrisponde all'italiano: “Quando non c'è la gatta, i sorci ballano”. la significazione è ovvia. Don Barberis qui tempera annotando: “Questo, scritto in una lettera non tutta seria, non significava punto rimprovero, e al suo giungere a Torino non ne parlò più”. - 10° Le “cose nostre... a Roma” sono le pratiche per i Concettini, l'offerta di una casa da parte del Papa, le disposizioni degli animi nelle alte sfere. - 11° I nominati erano preti venuti di fresco all'Oratorio; vi facevano il noviziato.

 

                La delicatezza di Don Bosco spicca in queste piccole attenzioni.

 

                Partiti i Missionari da Roma, Don Bosco in poche righe diede parecchi ragguagli a Don Rua, facendogli intendere senza dirlo tutta la soddisfazione dell'animo suo. [526]

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Missionari partiti alla volta di S. Pierdarena, io partirò dimani all'ora stessa dieci mattino.

 

                Le cose andarono tutte bene. Oggi devo visitar la casa, che il S. Padre intende di mettere a nostra disposizione. Martedì, a Dio piacendo. sarò a Torino; ne avrai lettera da Genova. D. Sala partirà con me. Le cose ad Albano, ad Ariccia, a Magliano sono tutte sistemate e ben avviate. Vale in Domino e valedic. Amen.

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco.

 

                A Sampierdarena i Missionari furono ricevuti e trattati fraternamente; canti, suoni, poesie, nulla si trascurò per tenerli allegri: perciò non finivano di ringraziare quel Direttore Don Albera che, degno figlio di Don Bosco, imitasse così bene il Padre. Ci vollero due buone giornate a espletare le pratiche necessarie per l'imbarco e a mettere in ordine i bagagli. Don Bosco li accompagnava dappertutto. “Povero Don Bosco! esclamava Don Bodrato, scrivendo a Don Barberis. Sono otto giorni che viaggia e pena senza riposo”.

 

                I partenti si divisero là in due gruppi. Quelli destinati a Buenos Aires s'imbarcarono a Genova il 14 con a capo Don Bodrato, mentre gli altri destinati a Montevideo partirono più tardi per Bordeaux guidati da Don Lasagna. I primi erano quattordici. Il Servo di Dio, andato con loro fino a bordo del Savoie, rivide il capitario Guiraud, che gli usò un mondo di gentilezze e gli parlò del bellissimo viaggio dell'anno innanzi con gli altri della prima spedizione. Visitò minutamente le cabine di tutti, per assicurarsi che non mancava niente del necessario; fece quindi al capitano le più tenere raccomandazioni. Un venditore di bibbie protestanti, che, intrufolatosi là sopra, cominciava ad attaccar briga con Don Bosco, venne subito espulso per ordine severo del capitano. Per incoraggiare i suoi figli il Beato accettò l'invito del medesimo e fece con essi la colazione, rivolgendo la parola or all'uno or all'altro. Due ore stette a bordo. Venuto il momento della separazione, [527] radunatili intorno a sè e rinnovata loro la raccomandazione di lavorare unicamente per la gloria di Dio e la salvezza delle anime e per il trionfo della Chiesa e della santa religione cattolica apostolica romana, li benedisse dicendo- - Andate, non temete, Dio è con voi, Maria vi proteggerà. - Quando scese, lo seguirono con l'occhio e col cuore fino a che scomparve dalla vista. Alle due pomeridiane, il vapore salpava alla volta di Marsiglia. Appena rientrato in casa, Don Bosco scrisse a Don Rua:

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Dà il danaro in oro a Rossi, che, lo porterà pel viaggio di Bordeaux; gli altri sono a bordo, dove ho fatto il dejeuné con loro. Sono rassegnati, due lagrime e poi allegri; partiranno alle due da Genova. Mandano un caro saluto a tutti i loro fratelli e amici dell'Oratorio. Scriveranno da Marsiglia. Io sarò a Torino venerdì, si Dominus dederit, e andrò a pranzo da D. Vallauri[203]. Faglielo sapere e se puoi vieni anche tu. Tutto a maggior gloria di Dio. Amen.

 

                Sampierdarena, 14-11-76.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                Viaggiavano con i Missionari 5 passeggeri di prima classe, 22 di seconda e 700 di terza, dei quali ultimi 400 erano napoletani; altri poi salirono a Marsiglia e a Barcellona, sicchè nella gran traversata si contavano a bordo 30 passeggeri di prima classe, 42 di seconda e 1100 di terza. I nostri avevano pienissima libertà di celebrare, confessare, predicare, far il catechismo, e se ne servirono largamente e senza farsi pregare; poichè, esplorato il paese, si divisero i clienti, mettendosi con zelo all'opera dell'apostolato. I coadiutori attiravano particolarmente l'attenzione dei profani, molti dei quali a poco a poco presero a imitarli nelle pratiche religiose.

 

                Il drappello di Montevideo dovette imbarcarsi a Bordeaux, perchè i passaggi loro. concessi dall'Uruguay erano stati contrattati con la Compagnia del Pacifico, avente la sua sede [528] centrale presso quel porto[204]. Don Bosco li accompagno alla stazione di Sampierdarena la mattina del 16 e, mentre si aspettava l'arrivo del treno, sforzandosi di mostrarsi allegro e faceto, discorreva amorevolmente con loro, dava avvisi opportuni e infine di gran cuore li benedisse. Fu una scena commovente vederli così inginocchiati nella sala, con gli occhi pieni di lacrime. Baciatagli la mano e staccatisi da lui, fecero appena in tempo a raggiungere i loro posti, che il treno già si metteva in moto. Pernottarono a Nizza, donde ripigliarono il viaggio il dì appresso[205]

 

                A Bordeaux li aspettava una ben brutta sorpresa. Si credevano di dover partire il 20 col piroscafo Poitou; questo invece al loro arrivo era già salpato. Si accomodarono alla meglio in un Hotel Toulouse; ma qui le loro finanze si assottigliavano in misura inquietante, e fu savio consiglio cercar alloggio altrove, tanto più che non sapevano per quanto tempo sarebbero rimasti ivi sulle spese. Caritatevoli persone s'interessarono della loro sorte, massime il Presidente della Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli e il Vescovo ausiliare. Grazie al loro intervento i cinque ecclesiastici trovarono posto nel Seminario maggiore, due coadiutori dai Passionisti e altri tre dal Carmelitani. In tutt'e tre i luoghi si videro circondati da vera benevolenza. Il 24, festa di S. Giovanni della Croce, furono tutti invitati a pranzo dai Carmelitani; anzi Don Lasagna. vi cantò la messa, con l'assistenza del Vescovo ausiliare[206]. Dovettero soggiornare a Bordeaux fino ai 2 di dicembre. Quante brighe per tòr di mezzo tutti gl'impedimenti! [529]

 

                Finalmente s'imbarcarono sul grande piroscafo inglese Iberia. Ma le loro peripezie non erano terminate; di lì a poco dovettero provare che cosa sia una violentissima burrasca in alto mare.

 

                Don Bosco si trattenne a Sampierdarena fino al 17. Nei giorni che fu là, scrisse a Don Cagliero due lettere ricche di notizie.

 

                D. Cagliero Car.mo,

 

                1° Oggi 14 novembre sul vapore Savoie partono quattordici Salesiani alla volta della Repubblica Argentina da Genova. Gli altri dieci partiranno da Bordeaux il giorno venti per Montevideo, dove giungeranno il 19 dicembre.

 

                2° In numero sei Salesiani con numero sei suore di Maria Ausiliatrice partiranno pel prossimo Aprile e andranno a S. Nicolás. Due di queste suore sono le sorelle Borgna, nate e vissute in America, e parlano lo spagnuolo quale lingua famigliare.

 

                3° Dalla nota del personale che ti darà D. Bodrato, potrai vedere come tu possa fame distribuzione.

 

                4° Nell'anno prossimo 1877 avrai quattro che ivi possono essere ammessi agli ordini sacri. A suo tempo, se occorre dispensa di età, il Santo Padre dispensa pei Salesiani oltre 20 mesi. Ricordatevi che abbiamo l'extra tempus.

 

                5° Fra le cose da tenersi di vista sarà una casa o luogo per un noviziato ed uno studentato. Fa' tutto quello che puoi per avere qualche Indio da educarsi nel senso di vocazione ecclesiastica. Se farà bisogno, ti manderò un buon maestro di novizi.

 

                6° Trasporto generale di parroci e viceparroci a venire in Congregazione. I preti che vanno in questa spedizione sono già tutti abbondantemente rimpiazzati.

 

                7° La tua lettera del 9 ottobre mi giunse poche ore prima della partenza del Savoie.

 

                8° Il S. Padre offre 5 mila fr. pei Missionarii, ne aggiunse poi mille in oro, perchè al suo invito andai anch'io a Roma. Il Ministro degli Esteri ne diede mille con vivo rincrescimento di non poter far di più. L'è mei ch'un pugn an t'jeui[207], come dice Gianduia.

 

                9° Si fecero stampare i diplomi[208] in lingua Spagnuola ed Italiana: raccomanda che si promuovano i Cooperatori, ben inteso colla dovuta prudenza; mandami a suo tempo il catalogo dei medesimi.

 

                10° Magliano, Albano, Ariccia hanno già i Salesiani. Il S. Padre [530] vuol che andiamo in Roma per opera sua e ci fa fare, ov'è presso che ultimata, una casa dove potremo cominciare. Ti saranno detti i particolari dai Missionarii.

 

                11° Ho definitivamente accettato il Vicariato delle Indie, ecc., andremo nel 1878. Il S. Padre mi disse di cominciare a disporre per quello che sembrami da scegliersi per Vescovo della nuova Missione.

 

                12° Abbiamo 136 novizi. Se tu ritardi un poco a, venire, troverai un mondo nuovo. Sarebbe possibile senza turbare la politica americana, che tu possa venire in Europa nel prossimo 1877?

 

                13° Questa spedizione ci ha ingolfati fino al collo, ma Dio ci aiuta e ci caveremo. La cambiale dei 9 mila non è ancor giunta.

 

                14° Ti sarà presentato un pagherò di lire 1755, che tu pagherai, e sono per completare il pagamento dei passaggi.

 

                15° Le altre cose ti saranno raccontate dai cari confratelli che vi vengono a visitare.

 

                16° Nel consegnare il personale in ciascuna casa, procura che i soci di quella siano raccolti e si leggano i ricordi dell'anno scorso con qualche parola.

 

                17° Il personale è distribuito, ma tu puoi modificarlo secondo il bisogno.

 

                18° Procura di mandarmi la nota dei Salesiani di ciascuna casa, degli ascritti e degli aspiranti.

 

                19° Forse non potrà scrivere a Monsignor Ceccarelli, ma gli dirai che ho parlato di Lui al S. Padre e che quel qui pro quo sarà aggiustato nel prossimo inverno, quando ritornerò a Roma. Chi sa se Egli sappia qualche cosa di Inglese?

 

                Saluta i miei figli da parte mia, e tanto ad essi che ai nostri conoscenti, amici e benefattori farai i miei ossequiosi saluti, come se te li nominassi ad uno ad uno.

 

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

                S. Pierdarena, 14 novembre 1876.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Caris.mo D. Cagliero,

 

                Ultime notizie. La cambiale dei fr. 9 mila non fu ricevuta finora. Parroco a Buenos Aires pro interim può fare D. Bourlot, assai esercitato nel sacro ministero.

 

                Intanto io preparo la partenza delle suore con Salesiani per marzo o circa, a meno che mi dii altri ordini.

 

                Al Cardinale Antonelli successe il Cardinale Simeoni nunzio a Madrid, nostro intimo amico e mio corrispondente famigliare. D. Lasagna parte[209] in questo momento alla volta di Bordeaux, e da lui [531] avrai notizie di Roma. Oltre ai passaggi, da Montevideo giunse anche una cambiale di fr. 1535 in oro; non basta, ma a l'è sempre mei ch'un pugn an t'jeui. Fu l'imbroglio dei bagagli che non poterono più partire per Bordeaux[210] e quindi dobbiamo aggiustarci col Savoie, e colle Monache della Misericordia che partiranno col Lavarello il 1° dicembre prossimo. Il Sig. Comm. Gazzolo (ajassin)[211] accompagna i Salesiani fino a Bordeaux, perchè voglio assicurarmi, per quanto è possibile, che le cose vadano.

 

                Il S. Padre vagheggia i Pampas e la Patagonia ed è pronto ad aiutarci anche con mezzi materiali, se sarà d'uopo. Del resto ci scriveremo. I son mes ciuc[212], ma niente importa, Dio ci aiuta, ed ogni cosa procede in modo che i profani direbbero, che ha del favoloso, e noi diciamo che ha del prodigioso: Dio ci continui la sua grazia, perchè ci conserviamo sempre più degni dei suoi favori.

 

                Un saluto speciale al Dottor Espinosa e al P. Baccino. Ossequia il Marchese Spinola[213] e digli che noi abbiamo fatto speciali preghiere nella Chiesa di Maria Ausiliatrice in suffragio dell'anima di suo padre.

 

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

                S. Pierd'Arena, 16 9bre 76. Ore 4 pomeridiane,

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

Durante il viaggio di ritorno, non sappiamo bene se nel tratto da Roma a Genova o da Genova a Torino, il povero Don Bosco soffriva d'un forte mal di capo, mentre avrebbe avuto bisogno di occupare quel tempo in cose d'importanza. A tal vista Don Sala, che gli era a fianco, lo pregò con tutta semplicità e sincerità di cedere a lui il suo male. Ebbene, gli rispose Don Bosco, se ne hai desiderio, sia pure. Incontanente Don Sala si sentì dolere forte forte il capo; ma Don Bosco si trovò del tutto libero.

 

                Nell'Oratorio l'ansietà di aver notizie dei Missionari teneva in orgasmo i giovani e i confratelli. Don Bosco soddisfece alla generale curiosità nella “buona notte” del 17.[532]

Montato sul pulpitino, prima sembrò voler menare un po' il can per l'aia; ma lo faceva a ragion veduta, per rendere più viva l'aspettazione e l'attenzione.

 

                Ma perchè altre volte godendo un sì bel fresco là fuori sotto i portici, vi siete chiusi tutti qui dentro a dire le orazioni in questo parlatorio e serrati l'uno addosso all'altro in modo da soffocarne? chi sarebbe capace a darmene spiegazione? Qualcheduno mi risponde: - Fintantochè si tratta di un po' di fresco va bene; ma quando questo fresco si cambia in freddo, allora è un altro paio di maniche e mi dà fastidio. -

                Eh là, prendasi in pazienza anche un po' di freddo, quantunque non sia ancor tanto rigido, mentre spero che tale non diverrà. E poi qui non fa niente freddo, chè siamo difesi da muraglie spesse. In refettorio, col numero, la minestra, attaccati ad una buona bottiglia (di vino bianco bianco: disse una voce in mezzo ad un lieve riso dei vicini), allora vi riscaldate abbastanza e subito. E quando siete in letto vi riscaldate anche? Ah sì che vi riscaldate, e di ciò son contento, perchè desidero che abbiate tutto il necessario per non soffrire mai. E se poi tuttavia si avesse a sentire qualche colpo di vento, qualche incomodo di stagione, siamo abbastanza cristiani da farne un'offerta al Signore. Ma passiamo ad un altro argomento che sarà più interessante. Io ho accompagnato i Missionari a Roma ed anche ho potuto parlare varie volte al Sommo Pontefice. Egli mi ha domandato notizie di tutto e di tutti ed io ne l'ho informato; gli ho detto il numero di quelli che indossarono l'abito ecclesiastico e di altri che non l'hanno ancora indossato, ma che sono anche molto buoni. Gli ho detto che siete tutti, chi più chi meno, vicini a S. Luigi in santità. Allora m'interrogò il Santo Padre:

 

                - Ma fra i vostri giovani, non ve ne sono degli indomabili?

 

                - Oh questo no, gli risposi. Degli indomabili veramente non ce ne sono, ma dei buoni come S. Luigi sì.

 

                - Spiegatevi meglio; io non vi capisco, disse il Papa.

 

                - Sì, replicai; fra i miei giovani vi sono molti S. Luigi; ma io, S. Padre, conto quello che sono e quello che hanno volontà di essere.

 

                - Ora capisco! disse il Santo Padre sorridendo; e poi continuò: Dite ai vostri giovani che su di loro io ho le mie speranze; che io do loro l'apostolica benedizione con tutto l'affetto del mio cuore. -

 

                Ed io ora la benedizione ve la porto e ve la do da parte sua.

                Da Roma ho accompagnato i Missionari fino a Genova; ci siamo fermati qualche giorno a Sampierdarena, dove quei dell'Ospizio nostro ci hanno trattati con tutta la cortesia possibile. E là quanti imbrogli vi erano! A chi mancava qualche formalità nel passaporto, a chi cappello o mantellina, a chi camicie od altro; chi si lamentava [533] di non trovare una valigia, di aver lasciato libri a Torino; c'era insomma un guazzabuglio tra questi Missionari da non potersi descrivere: si affaccendavano, e non sapevano più quello che si facevano. Si potè però aggiustar tutto.

 

                Durante il viaggio ciascuno era contento ed ora s'indirizzavano a vicenda la parola, ora tenevano ragionamento con Don Bosco. Erano tutti allegri nell'andare al bastimento, ove io li accompagnai. la nave vista da lontano sembrava un mucchio di legno; ma quando si è dentro, sembra di essere in un paese con tutte le comodità. M i disse il comandante che vi erano 1200 persone. I viaggiatori di terza classe, per non parlare di quelli della quarta che sono agnelli, vitelli, buoi, galline ecc., da mangiare ne hanno da star bene e non possono lagnarsi. Ecco ciò che loro si passa; caffè o the al mattino; minestra, pietanza, e frutta agli altri pasti, e ciascuno ne ha finchè vuole; per dormire hanno un lungo camerone e ciascuno ha un copertone da coprirsi e nient'altro. Chi vuole dormire si avviluppa come può in quella coperta, si mette da un lato, e, quando sente che le ossa si lamentano un poco, si volta sull'altro fianco, e così fino al mattino.

 

                Quelli però di seconda e prima classe stanno meglio; hanno i loro letti in camerini lunghi un metro e mezzo, ma quattro o cinque l'uno sopra l'altro come una scansia, e perciò quello che è di sopra quando va a dormire deve usare riguardi, e quando è sopra essere discreto (risa universali). Dico che deve usare riguardi, perchè se non fa bene attenzione, può mettere il piede sul capo o sulla faccia di quello che gli è di sotto. Quello però che è da notarsi si è che la modestia vi è osservata più che in qualunque altro luogo: ciascuno ha le sue coperte, copertoni, tendoni, ecc. Al mattino vi è ogni comodità di lavarsi, pulirsi. Ai nostri sei preti ho procurato di far dare un appartamentino separato, dove non sono disturbati. A tavola poi quelli di seconda classe (e fra questi sei dei nostri, non trovandosi più posto in prima classe) hanno un po' più di quei di terza; caffè o the al mattino, in cui, se vogliono, possono bagnare un crostone, e poi due o tre qualità di frutta. Al déjeuné minestra, vino, carne, tre pietanze, tre o quattro qualità di frutta; alla sera poi al pranzo hanno il doppio. Lungo il giorno sono a loro disposizione frutta, bibite, bicchierini di ogni sorta, e tutto ciò che loro fa bisogno. Quelli di prima classe ne hanno fin troppo da mangiare, e se si mettessero in un canestro tutti gli avanzi del pranzo e si mandassero qui all'Oratorio, credo che ce ne sarebbe da far stare allegri e soddisfarne molti. Il refettorio è abbastanza spazioso, tutto tappezzato, e ogni volta che si cambia pietanza si muta anche il tondo e la forchetta, ecc. Mi ricordo che c'era Adamo[214], [534] il quale vedendo tanta magnificenza, diceva: - E, questi tappeti non si sporcano con questi scarponi? - E poi vedendosi servito di tutto punto esclamava: - Ma io voglio lavorare; se non faccio qualche cosa divento ammalato. - E poi a pranzo si lamentava: - Perchè mi cangiano la forchetta che ho già adoperata? Questo è proprio perchè hanno tempo da perdere e acqua in abbondanza.

 

                - Eh già, rispondeva il cameriere, questa forchetta è già usata. -

 

                Oltre l'abbondanza d'ogni cosa per la vita materiale, hanno i nostri Missionari comodità gli uni di dir la santa Messa, gli altri di ascoltarla e far la santa Comunione. Quindi vedete che non mancano di nulla.

 

                Fin qui tutti erano allegri; ma quando venne il momento di dirci: Buon viaggio! Addio! Buon giorno! Stia bene! allora ciascuno divenne pallido in faccia, poi livido, e poi ruppe in lagrime. - Don Bosco, la sua benedizione! esclamarono tutti, gettandosi in ginocchio.

 

                Ed io loro la diedi tutto commosso e dissi; - Coraggio; offriamo a Dio questo distacco, e partite. -

Ma chi voleva dirmi ancora una cosa, chi un'altra, e non finivano più. Quello però in che furono tutti d'accordo nel ripetermi, si è: - Dica a tutti, e specialmente ai nostri compagni dell'Oratorio, che noi andiamo in America di nostra spontanea volontà e non sforzati; e col consenso dei nostri Superiori. Siamo noi che abbiamo fatta domanda di partire. Noi andiamo non per capriccio, ma coll'unico scopo di far la volontà del Signore, e per salvare l'anima nostra e quella del prossimo. Incoraggi i nostri giovani a seguirci, se Dio li chiama a questo stato. Là aspetteremo quelli che vorranno venirci ad aiutare. - Poi ci separammo. Una parte s'imbarcò a Genova come ho detto. Gli altri in numero di dieci salirono in ferrovia, passarono il Moncenisio e questa notte continuano il viaggio per Bordeaux. Quivi dopo domani si imbarcheranno per Montevideo.

 

                Io avrei ancora molti episodii da raccontarvi, e di Sampierdarena e del bastimento, ma per non stancarvi e non dir tutto questa sera, ve ne racconterò alcuni dei principali domenica ventura[215].

 

                Il primo pensiero che il Servo di Dio ebbe appena giunto in Torino fu d'inviare al Papa una lettera, che potè scrivere solamente il giorno dopo. Noi l'abbiamo in massima parte citata qui sopra. Ora fa al caso nostro riportarne l'esordio: “Appena giunto a Torino, prima di ogni altra cosa debbo compiere gli atti di vivo ringraziamento da parte mia e da parte [535] dei Missionari Salesiani. Pieni essi della più grande consolazione per. aver avuto l'alto onore di ossequiare il Vicario di Gesù Cristo e ricevere la benedizione apostolica, partirono giubilanti alla volta dell'America del Sud, assicurando che ovunque andranno proclameranno la bontà e la clemenza del Supremo Gerarca della Chiesa, professandosi in ogni caso figli divoti della S. Chiesa, pronti ove farà d'uopo a dare anche la vita per la santa cattolica religione, sola che possa condurre l'uomo a salvamento”.

 

                A Roma la brevità del tempo e il molto da fare avevano impedito a Don Bosco di chiedere per lì nuovi Missionari le facoltà concesse nel '75 a quei della prima spedizione e implicite nella dichiarazione ufficiale della loro qualità di Missionari apostolici.. Ci pensò qualche settimana dopo il suo ritorno e ne scrisse a monsignor Ludovico Jacobini, segretario della, Sacra Congregazione di Propaganda. Domandò insieme arredi e utensili sacri per le chiese aperte e da aprire in America.

 

                Eccellenza Rev.ma,

 

                Alcune settimane or sono, avendo chiesto a S. E. il Cardinale Prefetto di Propaganda, chi potessi pregare pel disbrigo, e per lo spaccio degli affari che riguardano ai Missionari Salesiani in America, la prelodata Eminenza degnavasi di nominarmi la E. V. facendomi sperare che ci avrebbe prestato questo importante servizio e che avrebbe col medesimo Eminentissimo conferito ove ne fosse necessario. Questa è la ragione per cui fo capo a V. E. riponendo la mia confidenza nella nota di lei bontà. Due cose presentemente mi occorrono. L'anno scorso furono concesse le facoltà di Missionari Apostolici a dieci Salesiani che partirono per la Repubblica Argentina. Ora occorrerebbero le medesime facoltà per ventiquattro, che sono già partiti alla volta dell'Uruguay, della stessa Repubblica Argentina e della Patagonia. Ma per non rinnovare sempre lo stesso lavoro a questa benemerita Congregazione di Propaganda, supplico che sia concessa la facoltà generale in virtù della quale tutti i Salesiani che partiranno per le Missioni estere, possano godere dei favori e grazie spirituali che soglionsi concedere ai Missionari apostolici.

 

                L'altra preghiera è la seguente. In questo momento i nostri Missionari devono aprire, mobiliare e funzionare cinque chiese. Una a Montevideo, tre a Buenos Aires, una a S. Nicolás de Los Arroyos, [536] dove sta aperto un collegio per preparare operai evangelici pei Pampas e pei Patagoni.

 

                Io La supplico a volerci concedere alcuni arredi di chiesa, come sarebbero messali, antifonarii, graduali, libri spagnuoli od inglesi, calici, pissidi e simili, di cui potesse disporre la Propaganda Fide, e di cui l'Eminentissimo Franchi mi aveva già dato speranza. Il mio procuratore generale nella persona del Signor Sigismondi Alessandro abita casa propria via Sistina 104: egli è nostro insigne benefattore, che all'uopo si presenterà per qualunque commissione, e farà anche fronte alle spese, che per avventura potessero occorrere.

 

                Ecco, Eccellenza Reverendissima, un lavoro di più per Lei: io non posso, come vorrei, dimostrare la mia riconoscenza, ma l'assicuro che fin d'ora tutti i Salesiani faranno speciali preghiere per Lei, affinchè Dio buono La colmi di sue celesti benedizioni, Le conceda lunghi anni di vita felice, e a suo tempo La rimeriti col premio dei giusti in cielo.

 

                Colla massima stima e gratitudine ho l'alto onore di potermi professare della E. V. Rev.ma

 

Obblig.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Servo di Dio che seguiva col pensiero i suoi figli, mentre solcavano l'Oceano, scrisse nuovamente a Don Cagliero.

 

                D. Cagliero cariss.mo,

 

                1° Per tua tranquillità ti scrivo che la carovana di Montevideo non potè partire al 20; o meglio quel vapore non è della stessa società, perciò devono dimorare a Bordeaux fino al 2 dicembre per giungere a Montevideo il 29, altri dicono il 26, invece del 19.

 

                2° Queste notizie ti saranno portate dalle Suore della Misericordia; esse hanno pure una parte di equipaggio che i nostri non poterono imbarcare pel Savoie.

 

                3° Fai bene a studiare l'Inglese, ma collo Spagnuolo e poco per volta e per andare nelle Indie, eh ... ?

 

                4° Il S. Padre con apposito decreto ha messo tutta l'armata dei Concettini sotto alla nostra autorità per fame altrettanti Salesiani. E’ una impresa nuova nella Chiesa. Vedremo che ne riuscirà.

 

                5° Ascolta la bella storia. Sei preti vanno in America; sei altri preti entrarono nella Congregazione. Sette Chierici partono con quelli, e sette Chierici domandano di entrare, e ci sono di fatto dodici Coadiutori che devono andare in America, ad Albano, alla Trinità; dodici nuovi coadiutori assai zelanti fecero domanda e furono accolti tra noi. Vedi come Dio guida le cose nostre? [537]

                6° Tratterò della compra del terreno del Sig. Console Gazzolo, che assai desidera di venderlo. Ma è conchiusa la convenzione per la Chiesa de los Italianos? Ti noto che l'astro del Comm. Gazzolo si vada alquanto oscurando. Sembrava molto luminoso (1)[216].

 

                7° E’ nell'Oratorio D. Reyne, Curato di Castelletto sopra Ticino. Egli smania di andarti a raggiungere. Dice che per ogni bisogno bancario ti puoi dirigere ad un suo discepolo, Sig. Pollinini, Banchiere in Buenos Aires. Promette grandi cose.

 

                8° In questo momento ho in camera il Superiore Generale dei Concettini, inviato qua dal Papa per trattare dell'ardua impresa di fusione. Vedremo.

 

                9° Io tengo preparate sei Suore, sei Salesiani per la primavera, e se occorre li spedirò; altrimenti rimarranno al loro nido.

 

                10° E’ morta Madama Mazé: giovedì faremo solenne funerale.

 

                Altre cose le saprai dai nostri Confratelli, Riceverai dieci milioni di saluti chiusi in un sacco, che tu avrai provenienti da mille parti.

 

                Dio ci benedica a tutti, o caro D. Cagliero, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 30-11-76.

Aff.mo amico

S. G. Bosco.

 

                PS. Speciali saluti al Sig. Dott. Edoardo Carranza, ed al Marchese Spinola.

 

                Quei di Montevideo non fecero nemmeno per mare un viaggio piacevole; se la videro brutta specialmente nei pressi del Golfo di Guascogna, sì violenta e ostinata tempesta ne squassò per quattro giorni la nave. La descrizione del fortunale spedita da Lisbona fu comunicata ai giovani, che in luogo di spaventarsi s'accesero di mirabile ardore per le Missioni. La navigazione durò diciotto giorni. Ansiosamente aspettati, i figli di Don Bosco furono accolti a braccia aperte dal Vicario Apostolico monsignor Vera[217], dalle autorità ecclesiastiche e civili e dai primari signori della città. Ma non era nella capitale della repubblica la loro meta: Villa Colón, secondochè abbiamo narrato sopra, li attendeva. Vi trovarono appena disegnata la città, che da poi sorse e s'ingrandì;  [538] tutte le vie ampie, lunghe e diritte mettevano capo alla periferia del collegio. Formavano questo vari corpi di fabbrica, svolgentisi intorno alla non grande chiesa di stile gotico. Le pareti interne tanto della chiesa che della casa erano soltanto arricciate e imbiancate: del resto, non ornamenti nè mobili di sorta. Erbacce e spinai alti più d'un metro ingombravano il terreno, spingendosi fino a piè dei muri. Ce ne volle del tempo e della fatica per pulire, ornare, ammobiliare e adattare, qua demolendo, là fabbricando, perchè quell'insieme di edifizi pigliasse le sembianze di un istituto educativo! All'arrivo dei Salesiani, Don Cagliero, Don Tomatis e il capo falegname Scavini, venuti da Buenos Aires parecchie settimane avanti, vi lavoravano indefessamente; ma restava ancora molto da fare. Appena si potè dar principio, si fecero cantare i giornali di Montevideo e di altre città. Nel breve giro di un mese i giovani convittori raggiunsero il centinaio. Furono aperte le scuole elementari, il ginnasio inferiore, la preparatoria al liceo. Lezioni di canto e di pianoforte diedero modo di presto celebrare solenni funzioni sacre e tenere belle accademie. Don Lasagna vi riprodusse l'andamento del collegio di Alassio, donde egli veniva. Gli alunni studiavano, obbedivano, amavano la pietà; i parenti che di frequente li visitavano, portavano per ogni dove l'espressione della propria soddisfazione. Il livore settario tentò bene di sfogarsi con attacchi calunniosi sui giornali; ma si dovettero fare i conti con un atleta gagliardo Don Lasagna parlava e scriveva con tanta efficacia, che gli avversari ammutolirono. I giovani con i loro splendidi risultati fecero il resto. Così la fama dell'istituto risonò per tutta la repubblica, favorendone quell'incremento che nulla mai valse a rallentare. Oggi il Collegio Pio[218] di Villa Colón, così denominato da Don [539] Bosco a testimonianza perenne di gratitudine verso l'immortale Pio IX, si è ingrandito, si è circondato di terreni messi a giardino, a parco e a vigna, si è arricchito di un osservatorio completo, è divenuto insomma un focolare di cultura nella repubblica, anche la chiesa, dedicata a Maria Ausiliatrice, si è cambiata in un santuario nazionale.

 

                I Missionari dell'Argentina toccarono la capitale del Brasile il 6 dicembre, dopo un viaggio felicissimo. Scesi a terra, visitarono, come già quei che li avevano preceduti l'anno prima, monsignor Lacerda, Vescovo di Rio de Janeiro e gli presentarono i cordiali ossequi di Don Bosco. Quel degnissimo Pastore li abbracciò tenerissimamente; poi, sentendo che anch'essi andavano a Buenos Aires: - Sempre a Buenos Aires? chiese con accento d'angoscia. Io ho nella mia diocesi più di quaranta vastissime parrocchie senza un prete: lì sì nasce, si vive, si muore, Dio sa come. E loro perchè vanno tutti a Buenos Aires?... Ma ditemi come debbo fare per avere qualcuno di voi!... Io vagheggiava in questa città un istituto di artigianelli; ma il Governo non vuol frati... Il Signore m'ispirò di chiamare i Salesiani, che unicamente possono essere accolti qui, sia perchè addetti all'istruzione della gioventù povera, sia perchè il loro fondatore ebbe il santo l'astuto, il provvidenziale pensiero di non dare a' suoi figli nessun distintivo che li differenziasse dai preti secolari. - Don Bodrato lo confortò, promettendogli che per Rio de Janeiro sarebbe passato Don Cagliero, col quale avrebbe potuto intavolare trattative. - Ella dice bene, gli rispose il Vescovo; ma intanto io comincio a parlare con chi mi è presente, il quale, come Don Cagliero, dovrà certamente scrivere al Superiore Generale dei Salesiani, e così guadagno tempo. - Li voleva a pranzo; ma essi doveva-no trovarsi a bordo. Li vide andar via col pianto nell'anima.

 

                A Montevideo, dove presero terra l'11 dicembre, fatti segno a squisita gentilezza da quel Vicario Apostolico, ebbero appena il tempo di consegnare alcuni bagagli per Villa [540] Colón. La mattina  del 12 erano dinanzi a Buenos Aires. Avvertirono tosto un vaporino che filava rapidissimo verso il Savoie. Ecco sul ponte profilarsi due figure di preti: da ultimo ravvisarono in essi Don Cagliero e Don Fagnano. Salirono entrambi a bordo. Momento di vera commozione! Ma per ventiquattro lunghe ore a nessuno dei passeggeri fu possibile lo sbarco. La città di Buenos Aires non aveva allora il suo magnifico porto odierno: i grossi bastimenti si fermavano al largo, a dieci miglia circa di distanza dal lido. Lo sbarco si faceva su vaporini, dai quali poi si trasbordava su palischermi, che soli potevano giungere a riva. Ma per tutta questa manovra bisognava che nel Golfo della Plata le acque stessero calme: se si mettevano in agitazione, le ondate impedivano gli approdi. E così avvenne quel giorno.

 

                La mattina del 13, allo scalo, gli amici di Don Cagliero attendevano con impazienza i nuovi arrivati. Indi visite molte e accoglienze grandi per tutta la settimana. L'Arcivescovo monsignor Aneiros manifestò il suo ardente desiderio di vedere Don Bosco e l'Oratorio; e che non fossero solamente parole, lo vedremo nel prossimo volume. Licenziandoli disse: - Con dispiacere io non posso scrivere al vostro Superiore in questi giorni, perchè debbo partire per il Paraguay; ma ciò che non posso fare adesso, lo farò poi. Intanto, se voi scriverete, ditegli che io vi voglio bene, perchè voi dovete essere la salute e la fortuna di questa città e di questa mia vasta diocesi. Ditegli che io vi concedo tutte le facoltà e privilegi che sono in mio potere[219]. - Grandi cose si aspettavano dai Salesiani: indicibile stima li circondava da parte d'ogni classe dei cittadini. La storia può già dire che le aspettazioni non andarono deluse.

 

                Don Chiala, quando ammalò, aveva terminato di preparare per le Letture Cattoliche un voluminoso fascicolo missionario, che uscì postumo per i due mesi di ottobre e novembre. [541] Premesso un cenno storico sulla Missione Salesiana, vi fa seguire una lunga serie di lettere dei Missionari[220]. Queste lettere erano già comparse nella maggior parte sull'Unità Cattolica, per opera del medesimo Don Chiala, che però le aveva alquanto rimaneggiate; qui ne aggiunse di nuove e v'inserì nuove particolarità conosciute dopo la prima pubblicazione. Il volume si chiude con un'appendice di documenti. In questo lavoro bisogna badare soprattutto allo scopo, e lo scopo di Don Bosco nell'affidarlo all'autore fu duplice: anzitutto far ammirare la Provvidenza di Dio che sovente si serve di umili strumenti per eseguire i suoi adorabili disegni; in secondo luogo dare una soddisfazione a quanti avevano concorso alla prima spedizione e muovere altri ad aiutare con la preghiera e con mezzi materiali gli operai evangelici.

 

 

CAPO XIX. Molestie giornalistiche.

 

 

                Sebbene, guardate da noi a distanza, le noie dei giornali sembrino in genere cose di poca entità, realmente tuttavia a chi toccò di doverle subire non fu punto così. Anche questa sorte di tribolazione afflisse Don Bosco fin verso il termine della sua vita. E' vero che non ne rimase mai menomamente scalfita la sua riputazione e che anzi si avverò sempre il proverbio che chi sputa in alto gli ricasca sulla faccia; ma certo, e come prete e come padre di tanta e tale famiglia, dalla maldicenza stampata egli si sentiva ferito nel fondo dell'anima.

 

                Andando per ordine cronologico, rivedremo prima le bucce a un periodicuccio umoristico, che si pubblicava a Torino ogni martedì, giovedì e venerdì. Intitolato Il Ficcanaso, bene o male, ma piuttosto male che bene esercitava il mestier suo d'impicciarsi nelle faccende altrui. Com'è naturale per simile genia d'intriganti, gli toccavano non rari infortuni sul lavoro, cioè a dire sequestri, processi, soppressioni; ma. questi casi alla fin fine si risolvevano in segnalati vantaggi, perchè gli procacciavan notorietà e gli acuivano intorno la curiosità del pubblico. Purtroppo era volterriano lo spirito, di cui si faceva bello; ma quarti buttano gli scrupoli dietro le spalle, quando si tratta di fogli umoristici, come se la voglia di ridacchiare giustifichi il darsi a sì detestabili letture! [543] E difatto questo fogliaccio vantava una tiratura da disgradare altre pubblicazioni periodiche di vero merito, e l'esserne portato in giro con nome, cognome e tutto il resto, era come un tempo il venir tirato per città a coda di cavallo.

 

                Nel '76 questo giornalaccio in una delle solite peripezie dovette sospendere le pubblicazioni; ma le ripigliò ben presto nel giorno sacro a San Giuseppe. Or ecco che, appena risorto, diede a intendere abbastanza chiaramente che nel rinnovato programma, entrava il proposito di bersagliare Don Bosco; infatti nel breve giro di pochi mesi lo prese di mira tre volte. A modo suo spiattellò ai lettori la malvagia intenzione; poichè finse di avergli mandato dopo la sua rinascita un “cordiale saluto” e d'averne avuto in cortese risposta che a fine di “corrispondere degnamente alla sua gentilezza”, egli si proponeva di divenirne per il futuro “collaboratore straordinario  e “compagno d'armi”. Poi annunziava che la collaborazione sarebbe cominciata col narrare “una lunga storia dell'eredità Succi”; donde sarcasticamente si riprometteva che egli “con soavità di stile” e “con squisita dolcezza” sacerdotale avrebbe parlato di molti pezzi grossi, avvocati, procuratori, amministratori, tutti immischiati in non sapremmo quale losca faccenda. A nome del pubblico il direttore ringraziava “commosso di tanto favore” e aspettava ansiosamente “la storia di quella eredità”.

 

                Insinuazione maligna e null'altro; ma che afflisse amaramente il cuore caritatevole di Don Bosco. L'avvocato Luigi Succi, rapito da morte improvvisa nei primi giorni dell'anno innanzi, aveva lasciato il Servo di Dio in un brutto impiccio. Presso una Banca Don Bosco gli aveva prestato garanzia per il ritiro di lire quarantamila, e l'aveva fatto ben volentieri, sia perchè lo sapeva assai facoltoso, sebbene in quel momento non gli bastasse il numerario che aveva alla mano, sia perchè gli si sentiva obbligato a motivo di molti suoi benefizi. Giustizia voleva che gli eredi soddisfacessero essi all'impegno del defunto; ma, annaspando cavilli, si tirarono in [544] dietro. Don Bosco dunque si vide in obbligo di far onore alla sua firma. Quanto poi e come l'avidità altrui siasi armeggiata intorno a quell'eredità, non importa a noi di sapere; basti dire qui che l'intenzione di colpire obliquamente Don Bosco nella riputazione, quasi avesse tenuto il sacco a grosse ruberie, non andò oltre quella subdola, ma inafferrabile insinuazione generica, sufficiente per altro ad accattargli discredito presso tanti lettori, che non erano in grado di conoscere tutto il retroscena nè di appurar il vero.

 

                Il foglio torinese tornò a ingerirsi nelle faccende di Don Bosco un mese e mezzo dopo. Nel frattempo un clamoroso provvedimento fiscale l'avrebbe ridotto al silenzio, se non fosse ricomparso con altro titolo. Dal suo primo numero di Maggio si denominò La Lanterna del Ficcanaso; quanto al resto, nulla di mutato. In quei giorni Don Bosco trovavasi a Roma. Nel numero 2 dell'anno 1, 6-7 maggio, lo attaccò in due articoli, da cui estrarremo il succo del contenuto, buttando la scorza villana e blasfema del linguaggio. Il primo articolo s'intitolava: “Don Bosco a Roma”. Vi si faceva una confusione di quelle, in cui cadono i giornalisti profani, quando scrivono di cose ecclesiastiche. Nel giornalismo non si era avuto sentore della sospensione di Don Bosco, tanta era stata la riserbatezza del Servo di Dio. Ora si spacciava la peregrina notizia che Don Bosco era stato allora sospeso addirittura a divinis e che per questo era corso a Roma. Per tre motivi, a detta del giornale, Monsignor Arcivescovo l'avrebbe sospeso dalla celebrazione della Messa: io Perchè aveva troppe aderenze a Roma; 20 perchè, valendosi di questo vantaggio, cercava di sottrarsi all'autorità del suo Pastore; 39 perchè turbava le coscienze dei fedeli per estorquerne eredità. E l'articolista rappresentava Don Bosco a Roma lavorante “di schiena e di braccia” per liberarsi dalla pena canonica inflittagli dal suo Ordinario diocesano ed ironicamente conchiudeva: “Stavolta Monsignor Arcivescovo ha fatto una cosa a dovere e glie ne va data laude... Vedremo [545] chi sarà più potente, se Don Bosco o monsignor Gastaldi”. Quanto veleno!

 

                Il secondo articolo intitolato “Fanatismo loiolesco” ha una parte centrale, che risponde perfettamente al vero; noi la riprodurremo tal quale è, omettendo la cornice dei commenti che, travisando i fatti, dicono villanie a Don Bosco e traggono in inganno gl'ignari lettori. Vi si narra dunque: “Tempo fa, tre messeri si presentano alla tipografia di San Francesco e chiedono di far pubblicare un opuscolo. Tutti sanno che la tipografia cammina per conto di Don Bosco. Questi accetta la commissione, fa i suoi patti, ritira il manoscritto. Tre giorni dopo i committenti si recano a vedere a qual punto fosse il libercolo. - Signori miei, loro dice Don Bosco, io domando mille scuse, uccidetemi se lo volete, ma ho abbruciato il manoscritto: e questa inspirazione mi venne da Dominedio. - E perchè? gli si chiese. - Perchè quello scritto non parlava troppo bene del nostro amatissimo arcivescovo -”. Altro che “opuscolo” o “libercolo”! Un manoscritto di mille pagine almeno. Altro che “non parlar troppo bene”! Vi si tesseva una biografia tale dell'Arcivescovo, che il volume avrebbe fornito un esemplare perfetto di libello infamatorio. Alla fine l'estensore dell'articolo confessava di non comprendere come mai i tre autori del distrutto manoscritto non avessero ricorso ai tribunali. La spiegazione era molto semplice: Don Bosco ne aveva placata l'auri sacra fames.

 

                Un terzo assalto e con due attacchi simultanei venne dato da quelle colonne pochi giorni dopo nel numero del 9-10 maggio: attacchi mascherati entrambi, ma l'uno in un senso e l'altro in un altro. Il primo attacco non rivelerebbe l'obbiettivo reale, se non fosse del titolo che lo discopre, e il titolo dice così: “Cose di Bra, ossia Un allievo di Don Bosco”. L'allievo sarebbe un “Don P., parroco a Bra”; la fattispecie una captazione d'eredità. Ma Don Bosco non aveva nessun suo allievo parroco a Bra; se pure non si volle dare alla parola [546] “allievo” una scelleratissima significazione: discepolo e seguace nell' arte di captare eredità.

 

                Il secondo attacco muove apparentemente contro Don Bosco, ma in realtà puntando contro l'Arcivescovo. Si rifrigge con nuove empietà la gran notizia della sospensione a divinis; se ne ricantano i supposti motivi; di nuovo ci si aggiunge che moventi della grave misura fossero segreta gelosia del punitore e spietata concorrenza del punito in dare la caccia alle eredità. In fondo in fondo, come si vede, è sempre la medesima calunnia, la cui enormezza stessa la rendeva incredibile a chi conosceva il calunniato. Ma la calunnia conturba anche il saggio, come dice la Scrittura, quando pure non giunga sempre ad abbattere la forza del suo cuore[221]. Grave motivo di afflizione era poi al Servo di Dio il vedere come con queste arti diaboliche si cercasse di renderlo inviso agli occhi di quel popolo, in mezzo a cui egli doveva esercitare il suo apostolato.

 

                E fra il popolo aveva pure larga diffusione un altro giornalucolo umoristico, che già conosciamo dal volume precedente, il Fischietto, fattosi di nuovo a schizzar veleno contro Don Bosco e contro l'Arcivescovo nel suo numero 62 del 2 maggio. Un “Fra Giocondo”, nè frate nè giocondo, intingendo la penna nell'inchiostro dei volterriani ritardatari, e bestemmiando come un Turco, vorrebbe oracolare sulle misteriose origini dello “screzio fra questi due grandi personaggi, oramai noto a tutti” e di “antica data”. Facciamo grazia ai lettori degli spropositi sulla sospensione e delle insinuazioni simili a quelle vedute poc'anzi. Una novità si offre qui in pascolo ai lettori: Don Bosco penserebbe sul serio a levar le tende dalle rive della Dora per andarle a piantare sulla riviera ligure. Tanto si argomentava dalla festa celebratasi il 18 maggio a Sampierdarena in onore di Don Bosco reduce da Roma. Il Cittadino di Genova, dandone la notizia, accennava [547] a “una specie di accademia di amor figliale, tenuta con soave solennità in un'ampia sala del nuovo e bellissimo caseggiato sorto come per incanto mercè il concorso generoso di vari benefattori”. Su quello stelloncino di cronaca locale si ricamava l'informazione che Don Bosco, perseguitato a Torino, avesse pensato di cercare più tranquillo soggiorno in Liguria. Ma se questa partenza poteva far comodo ai nemici della Chiesa, che sembravano lavorare in combutta per iscalzarne il credito e forzarlo a cambiar aria, non entrava punto nei disegni della divina Provvidenza.

 

                Una briga d'altra natura infastidì Don Bosco attraverso i giornali. L'inaugurazione della ferrovia di Lanzo, facendo parlare di lui più che egli non avrebbe voluto, gli arrecò quel disturbo. Bisogna ricordare il momento politico, caratterizzato dal recente passaggio del governo dalle mani dei conservatori a quelle dei democratici. I giornali di partito s'impadronirono dell'avvenimento lancese per rappresentarlo ognuno secondo il colore delle proprie tendenze. Ma la parte ivi rappresentata da Don Bosco fu guardata generalmente con simpatia tanto dagli organi di sinistra e di destra, quanto dai così detti indipendenti, che, come l'Unità Cattolica, professavano di non voler essere nè destri nè sinistri. La questione del settore parlamentare si faceva poi ogni dì più scottante, perchè si buccinava di prossime elezioni politiche. La concordia generale in presentare sotto luce favorevole il gesto di Don Bosco era segno che anche in quella congiuntura egli aveva tenuto fede al suo grande principio:  In politica, io non sono di nessuno. Tuttavia proprio da questo unanime consenso doveva scappar fuori una dissonanza.

 

                E’ bene leggere prima gli encomi. L'Unità Cattolica dell'8 agosto riferiva: “Al Collegio convitto dei Padri Salesiani era stato preparato sotto il portico elegantemente addobbato un bel rinfresco di vini bianchi e di vermouth per tutta l'immensa comitiva. La banda dei giovanetti di Don Bosco accompagnava una bella cantata d'occasione eseguita pure [548] dagli allievi dei Salesiani, riscuotendo i più vivi applausi. I tre Ministri e il Prefetto visitarono il Collegio e ne fecero i più sentiti elogi”. L'Emporio Popolare, di principii cattolici anch'esso, il 7 agosto aveva detto: “Debbo dire che lo stabilimento di Don Bosco ha avuto l'ammirazione di tutti e i più vivi e sentiti complimenti da tutti e tre i Ministri e dal Prefetto della Provincia. Bisogna dire che li merita sotto ogni rapporto, imperocchè è un'istituzione magnifica e perfetta”. La Nuova Torino, foglio industriale, non certo clericale, nello stesso giorno pubblicava: “Si fece una passeggiata fino al Collegio di Don Bosco. Quivi si trovava questo sacerdote, che accolse i visitatori cavalièrement e s'intrattenne a parlare a lungo coi Ministri Nicotera e Zanardelli”. Perfino la Gazzetta del Popolo il 7 agosto scrisse: “Al Collegio convitto era stato apparecchiato per cura del Municipio un bel rinfresco di vini bianchi e vermouth a profusione. Gli allievi del Convitto fecero una simpatica cantata e riscossero sinceri applausi”. Nonostante le reticenze, non certo fortuite, questo poco era molto, data la pretofobia del foglio torinese che allora portava quel titolo.

 

                La stonatura che dicevamo, trasse origine da un organo ministeriale, il Bersagliere di Roma, che più degli altri confratelli abbondò in commenti laudativi. Il passo discusso era questo, che si leggeva nel numero del 9 agosto: “S'entra nel magnifico Collegio di Don Bosco, del miracoloso Don Bosco, che ha l'abilità di mantenere nei suoi varii istituti novemila fanciulli! E i fanciulli salutano con battimani e viva i Ministri. E Don Bosco è là in persona e stringe la mano a Zanardelli, a Nicotera, a Depretis. Sotto l'ampio colonnato che fronteggia una bella corona di monti cinerei il Don Bosco fa venire il vermouth ghiacciato. Eccellente! I fanciulli cantano, il concerto dei fanciulli stessi suona, e drappelli di questi fanciulli fanno gli esercizi militari. Non c'è prete che tenga. Qui l'educazione è maschia e il fanciullo si fa di macigno! In un momento dato, Don Bosco è il re della festa e [549] siede in mezzo a Nicotera, a Zanardelli, al Presidente del Consiglio. Il più meravigliato di tutti è l'onorevole Zanardelli; si vede che non crede agli occhi suoi. Ma è così. Il miracoloso sacerdote che al vederlo pare un servo di sagrestia, accompagna sino al piazzale il Presidente del Consiglio. I due personaggi si stringono la mano, si fanno i complimenti con inchini e con parole di cordialità”.

 

                A questo punto saltò fuori la politica a guastar l'armonia. Una corrispondenza romana dell'Unità Cattolica, scritta in quel giorno stesso e pubblicata nel numero dell'11 diceva: “Il [Nicotera] recossi nelle provincie settentrionali, che dicevansi la cittadella dei destri, ad accalappiare i minchioni, col fare il santusse con Don Bosco ed al Cottolengo, e il monarchico con Vittorio Emanuele... Bisogna leggere il Bersagliere di stamane, che è l'organo del barone napoletano, per trovarvi l'eco della divozione del proprio padrone; egli ce lo descrive che scende dal treno inaugurale di Lanzo e assiste alla sua benedizione, e poi si allinea col pio corteggio dietro il chierichetto portante la croce astile, egli che ieri solamente ha proibite tutte le processioni religiose, e quindi si sprofondò in complimenti a Don Bosco, il miracoloso sacerdote, e via via un mondo di simili sguaiatezze, che metterebbero nausea ad uno stomaco di bronzo”.

 

                Passò una settimana, ed ecco sul medesimo giornale comparire il 17 agosto un articolo, in cui lo scrivente, professandosi “figlio affezionatissimo del sig. D. Bosco”, si diceva “assai mortificato dei mal composti elogi” prodigatigli dal giornale romano; laonde nel timore che altri ne ricevesse “una sinistra impressione sul conto dell'amatissimo suo benefattore”, dichiarava “esagerato” quello scritto, contenendo esso “poco di esatto” e “molto di falso”. Indi scagionava Don Bosco dalla possibile accusa d'aver sprecato i denari “in profani addobbi, in rinfreschi di vini per le Eccellenze Loro e comitiva”. Ben altro uso egli avrebbe fatto delle “dodicimila lire spese dal Municipio pel famoso déjeuner!”. [550] Infine conchiudeva: “Se poi il signor D. Bosco nella sua squisita gentilezza abbia stretto la mano ai signori Ministri, io non so, perchè non mi trovavo presente; ma se così fu, sarebbe almeno desiderabile che le Loro Eccellenze gli si mostrassero non meno cortesi, e quindi gli porgessero potente la mano ad impartire a un numero ognor più grande di fanciulli quella saggia educazione, che non può mancare di essere maschia, perchè sinceramente cattolica”. Fin qui la malaugurata corrispondenza romana.

 

                Non è chi non vegga quanto d'inopportuno vi fosse in questa povera pubblicazione; ma peggiore dell'articolo fu il cappello premessovi dal redattore del giornale: “Assai di buon grado pubblichiamo la seguente lettera che ci scrive un Salesiano, relativa agli elogi del Bersagliere sul conto di Don Bosco, a cui noi avremmo augurato pel giorno 6 di agosto una di quelle momentanee malattie, che in simili circostanze colgono sempre molto opportunamente i diplomatici, compresi anche i Nunzii Pontifici”. Il direttore del giornale teologo Margotti che si trovava fuori di Torino, appena ritornato corse a far le scuse a Don Bosco, protestandogli che nulla sapeva prima che quelle righe venissero stampate. Perciò nel numero del 23 agosto, profittando di un'occasione, inserì la seguente noterella: “L'Unità Cattolica è sempre piena d'affetto e di venerazione per Don Bosco, e sa che in ogni suo operare lo muove. solo la gloria di Dio, l'amore alla Chiesa ed al Papa e il desiderio di guadagnar anime a Gesù Cristo. Noi ci riputeremo fortunatissimi ogni qualvolta potremo favorire col nostro giornale le sue veramente apostoliche fatiche”.

 

                Conviene per altro notare che il disgraziato articolo, sebbene firmato “Un Salesiano”, era stato scritto, a quanto pare, da Don Giuseppe Persi, ospite dell'Oratorio come predicatore, ma non salesiano. Per dire tutto aggiungeremo che quello stringere la mano ai Ministri, messo ripetutamente in rilievo dall'organo ministeriale, urtò i nervi a qualcuno[222]. [551] Ma nessuna legge divina od umana vietava a Don Bosco dì fare quel che fece. In fin dei conti si trattava colà di Ministri del legittimo Sovrano; Zanardelli poi rappresentava il Principe Amedeo, che sarebbe dovuto intervenire, ma non intervenne, realmente impedito da una malattia diplomatica, secondochè appare dalla stampa di opposizione. Nè si può onestamente asserire che quella festa abbia avuto alcunchè di antireligioso. D'altro canto poteva Don Bosco rifiutarsi di aprire il suo collegio, con pericolo di gravissimi danni? E accettato l'invito, non doveva fare accoglienze. che fossero convenienti? A malattie diplomatiche egli non sarebbe mai ricorso, per non lasciare nelle peste i suoi giovani Salesiani, esposti a un incontro, nel quale soltanto la sua prudenza avrebbe saputo tener fronte a interrogazioni imprevedute, imbarazzanti e compromettenti.

 

                Di quello sconclusionato articolo Don Bosco si mostrò assai scontento, e ne aveva ben donde. A chi ignorasse com'egli non fosse mai entrato in polemiche su giornali, poteva facilmente venir da pensare che lo scrittore avesse fatto la cosa per suo ordine e sotto la sua ispirazione, mentr'egli vi era assolutamente estraneo. Del polemizzare sui giornali egli ribadì allora un suo principio: - E’ questa la maniera di perpetuare i fastidi; si finisce sempre col malcontento di tutt'e due le parti; si fanno diventar grosse cose in se stesse piccolissime, e si palesa a tutto il mondo quello che dovrebbe restar segreto[223]. - Anzi in quel caso volle abbondare in precauzioni; poichè, per tagliar corto con le chiacchiere, non permise nemmeno che si desse alle stampe la poesia composta per l'occasione da Don Lemoyne e musicata dal Dogliani. Troppa diceva essere già stata la pubblicità sui fatti [552] di Lanzo, troppe interpretazioni essersene date dai giornali; allora pertanto che si cominciava a tacere, non essere affatto conveniente tornar a gettare esca nel fuoco; tanto più che lo stampare la poesia poteva confermare la falsa opinione che quel ricevimento avesse avuto da parte sua carattere ufficiale e intendimenti politici.

 

                Anche l'empio Secolo di Milano si occupò di Don Bosco in quest'anno. Erasi sparsa la voce che egli disegnasse di aprire un collegio sulle amene pendici di Cassine, comune del circondario di Alessandria. Ma la cosa non andava a genio a qualche anonimo settario, che sfogò il proprio malumore sulle colonne del giornale milanese. La popolazione cassinese invece, profondamente indignata, rispose per le rime all'importuno, trasmettendo al giornale una protesta con una fila lunghissima di sottoscrizioni. Poi volle dar pure a Don Bosco una prova tangibile dei propri sentimenti; a tal fine gli spedì un indirizzo, firmato da 1184 persone e accompagnato da una lettera del medico locale. Don Bosco fece visitare il fabbricato che si aveva intenzione di vendergli; ma due difficoltà vi si riscontrarono, perchè i Salesiani potessero andarvi. L'area del terreno latistante, essendo troppo limitata, non concedeva spazio sufficiente per i cortili interni; poi si prevedevano complicazioni per l'acquisto della casa che si sarebbe dovuta trasformare in collegio[224]. Perciò dopo uno scambio infruttuoso di corrispondenza tutto fu messo in tacere.

 

                Non garbava neppure a tutti che i Salesiani prendessero stanza nei Castelli Romani; quindi su due fogli liberali di Roma, La Libertà e La Capitale, videro la luce due corrispondenze da Albano che nella seconda metà di ottobre lanciavano il grido d'allarme, arzigogolando intorno al motivo di moda in Roma dopo il '70, intorno cioè a Bianchi e a Neri, come vi si distinguevano le due aristocrazie, secondo [553] dochè accettavano i fatti compiuti o si tenevano in disparte. Il cardinal Di Pietro sulle prime ne rimase male; presto nondimeno si rasserenò, quando vide che era stato solo fuoco di paglia. E’ probabile che venisse dall'alto una parola efficace: il ricordo di Lanzo era ancora abbastanza recente. Nè andò guarì che si avverarono i pronostici di persona amica: “I fanatici non diranno che V. S. è bianca, ed i Bianchi non troveranno nera la umanità e beneficenza cristiana”[225].

 

 

 

CAPO XX. Principio di anno scolastico e fine di anno civile.

 

                La riposante parola del Beato Don Bosco riempirà per buona parte le pagine di quest'ultimo capo. La ricaviamo da fonti manoscritte, che si conservano nei nostri archivi.

 

                L'anno scolastico si apriva allora generalmente dopo la festa dei Santi; ma Don Bosco voleva che i suoi si trovassero nell'Oratorio un paio di settimane avanti quella solennità. La sera del 20 ottobre, essendo presenti tutti i nuovi e due terzi dei vecchi, Don Bosco nella “buona notte” esortò tutti quanti a mettere in ordine la loro coscienza.

 

                Ho piacere di rivedervi dopo qualche tempo di separazione, di vedervi tutti sani ed in sì buon numero, quantunque non siano ancora arrivati tutti. Lodo quelli che vennero con precisione al tempo stabilito, e maggiormente quelli che anticiparono il loro ritorno. Essi furono favoriti dal buon tempo, mentre quelli che vollero aspettare ancora un pochettino, un giorno, fino a quest'oggi, ebbero un tempo cattivo e sembra che voglia continuare.

 

                Ora, quale sarà la vostra prima occupazione nell'Oratorio?

 

                Sapete voi che cosa fa un viaggiatore, appena ritorna da qualche viaggio? La primi cosa che fa, si è di osservare il suo vestito, se ha qualche zacchera o di polvere o di fango o di altro, e poi dà mano alla spazzola, e toglie via ad una ad una queste zacchere finchè le sue vestimenta sieno tutte pulite, e se fosse caduto in un pantano, bisogna che faccia il bucato. Così pure dovete fare voi adesso, che ritornate [555] dal viaggio delle vacanze: osservate un poco il vestito della vostra coscienza, se è tutto ben pulito, se non ha alcuna macchia. Se mai vi trovaste qualche piccola zacchera, prendete subito la spazzola della confessione, e toglietela via; e se vi trovaste qualche zaccherone dei più grossi, per carità, togliete via anche questo!

 

                Può essere che alcuno di voi durante il tempo in cui è stato in vacanze, non abbia lordato di alcuna macchia, anche piccola, l'anima sua; ma ditemi un po', vi è alcuno fra di voi che possa dire: - Io, mentre sono stato alle vacanze, fui più buono che quando era all'Oratorio? Ho fatto progressi nella virtù? - No, no! Non ho mai udito alcuno dirmi questo. Anzi, moltissimi deplorano il tempo che hanno passato alle vacanze. Chi dice: - Un mio amico, mio malgrado, mi ha fatto mangiar carne di venerdì. - Chi soggiunge: - Un mio parente mi ha fatto mangiare più del bisogno, mi ha fatto bere più del necessario: quei tali compagni mi hanno fatto udire discorsi osceni: quel vicino mi ha fatto leggere un libro cattivo, mi ha condotto a fare una passeggiata, nella quale ho veduto cose brutte. - Insomma non si può dire il danno che apportano a certuni le vacanze.

 

                Ma ora che siete di nuovo ritornati qui all'Oratorio, guardate di mettere in sesto le cose dell'anima vostra, facendo una buona confessione ed una santa Comunione; e teniamoci sempre preparati, acciocchè in qualunque momento il Signore ci voglia chiamare a sè, noi possiamo essere disposti ad andare a Lui. Buona notte.

 

                Tornò a parlare due sere dopo. In quei giorni di attesa le ore di lezione erano poche; perciò fece loro una calda esortazione a occupar bene il tempo. Gli premeva pure che, messo in tacere il dialetto, si parlasse da tutti in italiano.

 

                Adesso non si può ancora avere un orario regolare, perchè un certo numero di giovani, per qualche giusto motivo. non ritornò ancora dalle vacanze. Domani però incominceranno le scuole, quantunque non così rigorosamente come in altri tempi; nondimeno vi sarà scuola mattino e sera, perchè possiate occupare il tempo ripassando le materie che avete studiate negli anni scorsi. Ho già trovato alcuni giovani diligenti, fra i quali uno mi disse: “Io ho già ripassata tutta la grammatica. - Un altro: - Io ho già tradotto qualche po' di latino. - Un terzo: - Io ho già studiati tutti i Precetti di quarta. - Questa è già, per così dire, una cuccagna che sarà di grandissima utilità lungo il corso dell'anno.

 

                Aspetteremo a fare l'apertura delle scuole dopo la festa dei Santi, quando tutti saranno ritornati.

 

                 (1) Intende i Precetti di retorica o di letteratura, come allora si diceva. ??? [556] Allora ci raduneremo tutti insieme in Chiesa, faremo l'esercizio di buona morte, canteremo il Veni Creator, si darà la benedizione col Santissimo Sacramento, come si faceva negli anni scorsi, pregando il Signore che ci faccia passare un buon anno.

 

                Ma la cosa che vi raccomando più specialmente in questa occasione, si è che non perdiate tempo. Ah, quanti a metà dell'anno si dolgono di aver perduto tempo! Allora ad essi rincresce aver preso un voto cattivo all'esame semestrale e non sanno come fare per redimere i mesi che hanno sciupati nell'ozio. Vogliono sacrificare le ore di ricreazione sui libri, levarsi dal letto prima della campana per studiare, benchè sia proibito, perchè tutti secondo la regola debbono riposarsi e fare la ricreazione; cercano di studiare di notte, e ciò è causa della rovina della loro sanità. Non avrebbero a soffrire tante ansietà, se si fossero messi di buona voglia fin da principio.

 

                Mi ricordo che specialmente l'anno scorso si doveva invigilare molto, affinchè ciascuno non facesse più di quello che poteva. Quindi assistenza in ricreazione, assistenza di notte, perchè non avvenissero spropositi. Occupate adunque bene adesso le vostre giornate in principio dell'anno, sicchè nessuno abbia a lamentarsi d'aver perduto un minuto di tempo. Ricordatevi che un sol minuto di tempo è un prezioso tesoro, vale un infinito, vale quanto Dio stesso, dice S. Agostino, perchè in questo piccolo ritaglio di tempo si può fare un'opera buona, e così acquistar Dio e guadagnarsi il paradiso.

 

                Domani comincia la novena di tutti i Santi: ciascuno procuri di farla bene, e si proponga per quest'anno, queste due cose: una, di fuggire ogni sorta di peccato; l'altra, di evitare ogni sorta di pensieri e discorsi contro la santa virtù della modestia. Tale proponimento duri non solo per quest'anno, ma anche per i seguenti e per sempre. Se poi per questa novena volete una pratica, un fioretto che sia adattato a voi ed anche che serva per tutto il mese, anzi per tutto il corso dell'anno, io vi do questa cosa da fare. Astenetevi dal dire anche una parola sola in dialetto piemontese. E’ un fioretto che sembra di nessuna utilità, ma vi sarà di grande giovamento nell'imparare bene la lingua italiana. Si bandisca adunque da voi, e non si senta mai pronunziare da alcuno una sola parola in piemontese. Parlate, giuocate, lavorate, mangiate, bevete, dormite, tutto in italiano. (Risa universali). E se in questa notte, alcuno si mettesse a russare, russi in italiano. (Altre risa). Questo fioretto non richiede penitenze astruse, od altro sacrifizio che sia incomodo: ci vuol solo un poco di sorveglianza sopra se stessi. Se a qualcheduno sembrerà molto difficile, tanto maggiore sarà la ricompensa che gli sarà preparata in cielo. Il Signore Vi benedica, e buona notte a tutti.

 

                La novena dei Santi gli suggerì l'argomento per la sera del 27. Il richiamo ai tempi di Domenico Savio e il confronto [557] con quelli d'allora è fatto da lui con molta semplicità ed efficacia.

 

                La novena dei Santi va avanti; tuttavia non mi sono ancora accorto che siate diventati molto buoni. Non dico che non vi sia stato ancora qualche miglioramento, ma miracoli vedo che non se ne sono fatti. Mi ricordo di alcuni giovani, come Savio Domenico, Magone, Besucco ed altri, che queste novene le facevano con un impegno, con un fervore straordinario. Non si poteva desiderare di più. Non voglio dire adesso che si facciano male; dei buoni ce ne sono, ma quel tale slancio non c'è. Allora vi era un ardore universale: avevamo sessanta o settanta giovani e si facevano ogni mattina sessanta o settanta comunioni. Ma da che cosa proviene questo? direte voi. Proviene forse da quel povero Don Bosco che non parli più ai suoi giovani e che non sappia forse più farsi capire come una volta, o da voi che non l'intendiate o non lo vogliate più capire, come lo intendevano gli antichi giovanetti? Provenga ciò da una parte, provenga dall'altra, provenga un poco da tutt'e due, adesso non lo voglio sapere. Ma quello che deve avere maggiore importanza si è, che vi facciate buoni. C'è ancora tempo. Avete mai viste le fascine messe così l'una sopra l'altra? Se una viene ad accendersi, si scaldano e si accendono tutte a vicenda. Così potete fare voi. In questa novena l'uno serva d'incitamento all'altro per fare il bene. All'accendersi di un zolfanello può prendere fiamma un pagliaio e fare un gran falò. Così basterebbe uno che avesse buona voglia di farsi santo, per infiammare gli altri col buono esempio, e coi santi consigli. E se vi metteste tutti in questo impegno? Oh quale fortuna!

 

                Ciascuno pensi al paradiso, dove chi ha dei fratelli, chi delle sorelle, chi degli amici o dei compagni, chi dei Superiori o degli inferiori, chi il padre, la madre, i quali godono il premio delle loro virtù. Essi erano di carne ed ossa come siamo noi, e forse non si trovarono come noi lontani dai pericoli, non ebbero come noi comodità di praticare la religione, come noi ogni facilità di purificare la propria coscienza. E se essi si fecero santi, perchè non potremo farci anche noi?

 

                E che cosa ci vuole? La grazia di Dio e nient'altro. Ed io vi assicuro che il Signore la sua grazia ce la dà. Che cosa ci manca? Un poco di buona volontà. E se non l'avete questa buona volontà, se non potete metterla da voi, domandatela al Signore, domandatela con istanza ed Egli ve la metterà. E se poi non bastassero le preghiere vostre, rivolgetevi ai Santi, che in questo tempo sono disposti a favorirvi in tutto e specialmente a Maria Santissima. Dite loro che dimandino per voi un ardente amore divino, un amore costante, e il Signore, se a voi non lo concede per le vostre preghiere, a voi non potrà negarlo per le preghiere di tanti Santi.

 

                E buona notte. [558] I fatti della Congregazione si svolgevano sotto gli occhi di tutti, sicchè anche i giovani vedevano e s'interessavano d'ogni cosa, come avviene fra membri d'una stessa famiglia. Così la partenza di Salesiani per varie destinazioni formò il tema nella “buona notte” del 29, in cui Don Bosco seppe profittare della circostanza per insinuare il pensiero della vocazione. Gettò pure là in pubblico una parola sopra una conferenza generale, che intendeva tenere ai Soci; il che fece non solo per avvertire questi ultimi, ma anche per invogliare certi giovani dei più grandicelli a chiedere d'intervenirvi.

 

                Poche ore fa vi è stata una partenza di Salesiani per Roma. Non sono ancora quelli che debbono andare in America, ma coloro che vanno per istabilire un piccolo collegio in una cittadina presso Roma, che si chiama Albano, proprio ai piedi del monte sulle cui pendici si trovava una volta Alba Longa anteriore e contemporanea a Roma.

 

                Domenica ventura vi sarà di nuovo la partenza di un'altra piccola spedizione per istabilire un secondo piccolo collegio ad Ariccia, e di là andranno a far scuola in un seminario della Sabina nella città di Magliano. Finalmente una terza partenza di tre o quattro per fondare una casa a Trinità al fine di questa settimana o al principio dell'altra. Noi intanto preghiamo, come siamo soliti a fare in simili circostanze, per quelli che si sono messi in viaggio stasera e che fino a domani alle due pomeridiane forse non saranno a Roma:

 

                Intanto vi dirò che essendo noi nella novena di tutti i Santi, non bisogna che lasciamo trascorrere nessuno di questi giorni, senza pregare per quelli che- dovranno andare in America. Anche i sacerdoti li raccomandino nella santa Messa. I nostri Missionari questa volta partiranno in numero di 24 e non so se tutti in una volta. Ma la differenza di tempo sarà di una o di due settimane al più.

 

                Adesso che vanno via i più grandi, bisognerebbe che gli altri più piccoli crescessero ed occupassero il loro posto, divenuti altrettanti apostoli. Bisognerebbe che le pagnottelle che si fanno qui sotto la protezione di Maria Ausiliatrice facessero crescere volta per volta un metro ogni giovane, allorchè ne mangia una, e così venissero tutti grandi in un sol tratto. (Tutti ridono).

 

                Ma confidiamo nella Divina Provvidenza e spero che coll'aiuto suo a poco a poco si farà anche questo: che cioè voi diventiate buoni Missionari da convertire tutta la terra. Intanto avverto che domani a sera forse alle cinque e mezza, come mi hanno detto, vi sarà una conferenza per quelli della Congregazione e lo dico qui in pubblico perchè tutti lo sappiano. [559] Teniamoci sempre col Signore il quale è quello che guida ogni nostra azione e diportiamoci in modo che egli non abbia a rimproverarci nel giorno in cui verrà a giudicare tutti gli uomini.

 

                In questa novena dei Santi nessuno lasci passare un giorno, senza dimandare a Dio qualche grazia. Specialmente cerchiamo di guadagnare quelle indulgenze plenarie che si possono lucrare in questi giorni; e non si dimentichino le anime del purgatorio: le anime di quelli che abitarono qui con noi in questi stessi luoghi, di quelli che si divertirono con noi in questi stessi cortili, che ebbero lo stesso maestro. Chi poi non avesse più a questo mondo i genitori, o un fratello, od altri parenti, non sia così sbadato da dimenticarli. Duplice è il guadagno che si ricava dalle preghiere che si fanno per le anime del purgatorio: si sollevano in primo luogo queste poverette dalle loro pene, e poi grandissimo è il merito che ci procuriamo e che il Signore si prepara a contraccambiarci, quando andremo a trovarlo. Buona notte.

 

                L'annunziata conferenza del 30 ottobre aveva per iscopo di preparare convenientemente gli animi dei professi, degli ascritti e degli aspiranti a cominciare bene il nuovo anno scolastico. Si trovarono ad ascoltare il buon Padre duecento e ventotto persone. Il suo dire si protrasse dalle cinque e mezza alle sette: argomento, la vocazione. Assicurati tutti i presenti che Dio li voleva in quello stato, ragionò dei pericoli di perdere la vocazione andando in patria. Da tempo, come abbiamo veduto sopra, gli stava a cuore di eliminare interamente tali andate; ma voleva raggiungere lo scopo per via di persuasione. Si è detto abbastanza altrove, con quanta cautela gli convenisse procedere per dare consistenza alla regolarità della vita religiosa fra i suoi. Sempre in tema di vocazione, raccomandò il vivere ritirato, toccò dei voti religiosi e animò alla confidenza nel proprio confessore.

 

                Quando si sono fatti gli esercizi spirituali in Lanzo si trattò di molte cose: della Congregazione, della vocazione, dei voti di castità, povertà, obbedienza. Questi esercizi si sono fatti non solo con mia soddisfazione, ma anche di coloro che, dettandoli, cooperarono alla buona riuscita, e di quelli che vennero a farli. Fui molto contento sia pel numero che v'intervenne, sia pel modo con cui si fecero, sia per quelli che emisero i voti, e per coloro che si preparano ad emetterli per l'anno venturo. [560] Ora io vengo ad inaugurare l'anno, non l'anno scolastico, che comincerà lunedì della seguente settimana, se non si potrà cominciare in questa, ma l'anno Salesiano, anno memorando per l'ampliamento della Congregazione in Italia, nella Repubblica Argentina, e in Francia a Nizza. In quest'anno si aprirono ben 21 case. Ieri solamente partirono alcuni nostri confratelli per Ariccia e Magliano vicino a Roma, i quali forse in questo momento stesso saranno ai piedi del Santo Padre ad invocare per noi l'apostolica benedizione. Altri partiranno fra breve per Albano, luogo anch'esso vicino a Roma; e speriamo che quest'anno non sarà inferiore per frutto all'anno passato.

 

                Ma per fare opere grandi bisogna che seguiamo fedelmente la nostra vocazione.

 

                Qui si tratta di dare un addio al mondo e molti l'hanno già fatto col vestire l'abito chiericale, il quale di per sè rappresenta la rinunzia al mondo ed ai suoi allettamenti. Molti desiderano di entrare nella Congregazione come secolari, ma tutti collo scopo principale di salvare l'anima propria. Questa retta intenzione ci assicura che siamo sulla retta La Bando ai dubbi. Quanto a tutti voi che siete qui radunati, se mi chiederete se tutti siete destinati a stare nella Congregazione di S. Francesco di Sales, credo di potervi dire di sì.

 

                Sì, voi tutti siete chiamati alla Congregazione Salesiana, allo stato ecclesiastico e allo stato religioso.

 

                E posso accertarvi in nome del Signore che tutti quelli che già fecero professione sono assolutamente chiamati, sia perchè prima di accettarli volli conoscerli bene e se li accettai è segno certo che li credetti adattati alla grande impresa. D'altronde il Superiore è obbligato sotto pena di colpa grave a non accettare quei tali che non crede chiamati.

 

                E gli ascritti che sono solamente ascritti od aspiranti? Io credo di poter dire anche lo stesso.

 

                - E come?

 

                - Ditemi su: io leggo nella Santa Scrittura che tutto il mondo è posto nella malignità; non esservi in questo che concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita. Ora il Signore vuole che ci salviamo, vuole che pensiamo all'eternità, che amiamo solamente Lui. Il mondo non è un grande ostacolo a questo amore?

 

                - Certamente.

 

                - Farà dunque bene o male chi la rompe col mondo di un colpo e si ritira a pensare a Dio?

 

                - E chi ne dubita? fa bene.

 

                - Voi l'avete rotta?

 

                - Sì! -

                Che cosa fa dunque colui che entra in Congregazione? - Fa secondo il desiderio di Gesù Cristo, fa la volontà di Dio! E l'averci Dio condotti qui, l'essere noi qui venuti, non indica forse averci egli stesso [561] aperta questa via di salute? L'aver noi inclinazione a questa vita dei Salesiani non è un segno di vocazione? Chi ce l'ha infuso? Omne datum optimum et omne donum Perfectum desursum est, descendens a Patre luminum. Tutto ciò che vi fu dato di ottimo ed ogni dono perfetto viene dall'alto, scendendo dal Padre dei Lumi. Dunque la vostra vocazione viene da Dio.

 

                Ma se venisse qualche occasione che faccia decidere diversamente? In questo caso lo stesso Superiore, se vedesse in qualcuno venir meno la vocazione, è tenuto ad avvertirlo. lo sarei il primo a dirgli: Tu non sei chiamato allo stato religioso e se vi rimani, la tua eterna salute è in pericolo! Allora ci metteremo tutti e due d'accordo per cercare un'occupazione che sia più propizia alla salute dell'anima sua, e se facesse d'uopo, mi darei sollecitudine di trovargli un posto fuori della Congregazione. Ma fintanto che questo segnale non apparisce, dice S. Tomaso, uno deve perseverare nello stato che ha abbracciato. Manete in vocatione, qua vocati estis, dice anche S. Paolo.

 

                Ma tanti dicono: - Stando in Congregazione non si può nemmeno andare a casa a trovare i parenti, gli amici! - Che parenti? che amici? Questi sono quelli dai quali ci dobbiamo maggiormente guardare in fatto di vocazione. Diceva S. Alfonso: Parentes hostes animae sunt. F. anche quelli che sono bene intenzionati, molte volte coi loro consigli mettono innanzi le più gravi difficoltà a chi vuol darsi tutto a Dio. - Noi abbiamo fatto tanto per te, ora è giusto che tu ci aiuti, e poi sta scritto: Onora il padre e la madre. - S. Tomaso risponde, che nelle cose di vocazione i genitori non se ne intendono e sono i nostri nemici. In negotio vocationis parentes amici non sunt, sed inimici. E ciò disse spiegando quel testo del Vangelo: Inimici hominis domestici eius. Quei di casa per lo più cercano, quae sua sunt, non quae Iesu Christi. Parlano delle convenienze terrene, pensano e aspirano alle comodità della terra.

 

                Verrà un parente a trovare un religioso e gli dice: - Oh, perchè stare qui? Potresti venire a casa con tuo padre, con tua madre che ti amano tanto; nel paese potresti cercare un impiego più agiato; ed anche in diocesi non si potrebbe fare del bene egualmente? - Ed altre siffatte ciarle che si ascoltano anche da persone di stima e di buona fede, ma che non s'intendono di vocazione. Ma che casa? che casa? A casa ci sono andato anch'io, ci sono stato un giorno o due, ho fatto quello che aveva da fare e poi sono tornato all'Oratorio. E mi dicono i parenti: - Potresti stare un po' di più; anche qui ci sono giovani che hanno bisogno di educazione! - Ma io rispondo: - Il mio obbligo mi chiama all'Oratorio. Se qui ci sono giovani bisognosi di educazione, supplirò in qualche altro modo, anche per mezzo altrui; ma io debbo stare dove il Signore mi ha posto! -

                In questo caso dobbiamo fare come il Divin Salvatore, quando, in giovane età di dodici anni, era stato smarrito dalla sua Madre [562] Maria e dal vecchio Giuseppe, suo padre putativo. Forse non lo amavano essi di tutto cuore? Quanto lo cercarono! Quanto lo piansero! E quando alla fine dei tre giorni lo rinvennero nel tempio, gli dissero: - E perchè ti sei fatto cercar tanto? Non sai che dolenti ti cercavamo? - E Gesù loro rispose: - perchè mi cercavate? Non sapevate quale era la volontà del Padre mio? Quid me quaerebatis? Nesciebatis, quia in iis, quae Patris mei sunt, oportet me esse? - Così noi dobbiamo rispondere a chi volesse distaccarci dallo stato, dal luogo, nel quale il Signore ci vuole. - Non sapete che io debbo fare la volontà del mio Padre Celeste? Non sapete che io debbo pensare alle cose che riguardano alla maggior gloria di Dio e non a mio padre e a mia madre? - Maria Santissima tacque, dice il Vangelo, a questa risposta e si ricordò bene di queste parole per poterle meditare.

 

                Un giorno predicava Gesù ad una moltitudine di popolo e lo vennero a trovare sua madre e i suoi fratelli, ossia cugini, per parlargli ed egli non badava loro. Maria Santissima non lo potè avvicinare e lo fece avvertire. Allora qualcuno tirandolo pel mantello gli disse: Mater tua et fratres tui quaerunt te. - Ma chi è mia madre, i miei parenti? - E, stese le mani sulla turba che lo attorniava, esclamò: - Vi dico in verità, che coloro i quali odono la parola di Dio e la praticano, costoro sono mia madre e miei fratelli. “Modo eloquentissimo questo per indicare come chi si mette alla sequela di Gesù Cristo, debba distaccarsi dai genitori.

 

                E poi, io direi a certuni: perchè talora pensare allo stato dal quale il Signore ci ha tratti fuori per sua misericordia? Dite un po', o miei cari figliuoli! Qui non siamo più lontani da certe occasioni di peccare che tanto abbondano nel mondo?

 

                - Ah, sì!

 

                - Dunque, se vogliamo un posto più lontano dal peccato, cerchiamo l'Oratorio.

 

                - Qui cado ancora in certi disordini, in cui cadevo quando era nel mondo?

 

                - Ah, no!

 

                - Dunque cerchiamo questo posto ritirato, lontano dalle cattive compagnie.

 

                - Qui non ho maggior comodità di praticare il bene, di fare delle visite in Chiesa, di passar mezz'ora in meditazione, di accostarmi ai santi Sacramenti?

 

                - Oh sì!

 

                - Dunque, se vogliamo salvar l'anima nostra, allontanarla dai pericoli, portiamoci alla nostra Congregazione, che è un posto ritirato affatto e difeso dal mondo e il sito più opportuno per assicurarci la vita eterna. -

                Ma quando si è nella Congregazione bisogna guardarsi dal perdere la vocazione, dal ritrarre il piede dalla via incominciata. [563] - E si può perdere la vocazione? - si chiederà. Sicuro che si può perdere, rispondo. La vocazione è una perla preziosa. E’ la perla del Vangelo: un uomo la cerca, la trova e per comprarla vende quanto ha. Se alcuno ha una perla, un diamante, per non perderla la tiene bene custodita. Se chi ha questa bella margherita, si appressasse al lido del mare e la gettasse nei flutti, oppure se la mettesse sotto i piedi e la calpestasse inzaccherandola, e per essere così piccola la facesse penetrare tra la s'abbia o le zolle: oppure la lanciasse dentro ad una profonda pozzanghera, ove si perdesse giù nel fango, questa brillante pietra preziosa andrebbe perduta, e di lui più nessuno si curerebbe, perchè ha perduta colpevolmente la propria ricchezza. Così dobbiamo procurare di tener cara la nostra vocazione, la quale è chiamata dai Santi Padri: la perla che sta nascosta nella religione e che si trova nel. religioso che osserva bene le sue Regole. Saremmo oggetto di sdegno a Dio, se ne facessimo getto, perchè sarebbe un disprezzar il tesoro più prezioso.

 

                Dobbiamo anche amare molto la vita ritirata. Non solo non far getto della nostra perla, ma guardarci dall'esporla in faccia al mondo, ma tenerla ben custodita per non smarrirla. Se uno avesse una moneta d'argento o d'oro di grande valore e andasse in mezzo alla piazza e si mettesse a gridare: - Oh guardate la bella cosa che ho io! - subito qualche farabutto o tiraborse cercherebbe di farla sua. Ma se egli non dice niente a nessuno e se la nasconde gelosamente dentro agli abiti, nessuno lo sa e buona notte. Egli non corre più pericolo di perdere quel suo tesoretto. Depraedari desiderat, qui thesaurum publice portat in via. Così dobbiamo fare noi: tenere bene custodita questa nostra vocazione religiosa, affinchè il demonio, che non cerca altro che la nostra rovina, non abbia campo a farcela perdere. Non domandar consiglio qua e là, non manifestarla a chi potrebbe distoglierci. Bisognerebbe perfin nasconderla talora agli stessi parenti, se fosse possibile, specialmente quando si tratta di prendere la nostra deliberazione, perchè inimici hominis domestici eius. Ma soprattutto non essere mondani e amanti delle affezioni sensibili e di casa.

 

                Alcune parole io voglio ancora farvi sentire sul voto di povertà.

 

                - Mah!... mah!... alcuno direbbe; io starei volentieri nella Congregazione, se avessi una camera un po' meglio aggiustata, se avessi una occupazione più di mio gusto, ecc.. ecc. - Ma ditemi: agli esercizi spirituali che voto avete fatto? Il voto di povertà. E a chi non piacerebbe essere povero in questa maniera, cioè che non gli manchi nulla? Questo sarebbe un beffare il Signore. Alcuni si gloriano di essere poveri. - Oh, io ho fatto il voto di povertà! - Ma venendo agli effetti di questa povertà, non ne vogliono saper nulla. Alcune volte il vino non sarà molto buono, sarà un poco adacquato; e non si ha pazienza, non si vuole sopportare questa mortificazione. - Ma se non fosse adacquato, sarebbe più buono, dicono. - Lo concedo; ma se vogliamo [564] essere poveri, bisogna pure che patiamo qualche astinenza. Un povero che avesse sempre da bere vino, anche mediocremente buono, si stimerebbe fortunato. Deh! non siamo di quelli che amano la povertà in parole, ma non amano i compagni della povertà.

 

                Riguardo al voto d'obbedienza. - Ma c'è quell'altro Superiore, che non mi può vedere; quando sa che mi piace una cosa, non me la dà, e quando sa che un'altra cosa mi dispiace, lo fa a bella posta a comandarmela. - E non avete fatto il voto d'ubbidienza? Ora voi, facendo questo voto, avete sacrificato al Signore la vostra volontà e quindi dovete fare tutto ciò che il Superiore vi comanda. Vi piace? Va bene. Vi dispiace? è contro genio e disgustoso? Va meglio ancora; ci facciamo maggiori meriti dinanzi a Dio. Ma non dobbiamo fare l'ubbidienza col muso lungo come fanno alcuni; dobbiamo fare tutto volentieri con faccia allegra, sapendo che quello che ci comandano i Superiori, è lo stesso come se lo comandasse il Signore. Guardate, vale più una buona colazione fatta per ubbidienza, che qualunque mortificazione fatta di proprio capriccio. Alcuna volta un Superiore comanda una cosa ad uno ed egli la fa solamente per metà; il Superiore viene a vedere e la trova nè fatta nè da fare, e si contrista, e pensa tutta la notte in che modo dovrà porvi rimedio, ed il povero Direttore con tanti affari che ha per la mano, deve raccogliere lì tutto il suo pensiero, per causa di un signorino che ha voluto fare di propria testa.

 

                Il terzo voto che avete fatto è quello della castità. Oh quanto è bella questa virtù! Vorrei impiegare delle giornate intiere per parlarvi di questa, ma vedo che me ne manca il tempo. -Oh se i Salesiani potessero tutti osservarla monda da ogni più piccola macchia! E' questa la virtù più vaga, più splendida ed insieme la più delicata di tutte. E' così facile perderla, se non si adoperano i mezzi necessari per conservarla! A così facile macchiarla, se non si mettono in pratica quelle precauzioni, che i Superiori e le Regole suggeriscono! Noi dobbiamo porre ogni studio per conservarci puri e santi al cospetto di Dio. Attenti alla prima auretta di tentazione, mortificatevi in certi tratti un po' sensibili, siate riserbati in certe parole un po' sconvenienti, abborrite da certe amicizie un po' geniali, da certi libri un po' fantastici. E poi non dare libertà al sensi, e se il demonio approfittandosi di qualche momento che noi oziamo, di qualche precauzione trascurata, di qualche imprudenza commessa per aver trasgredito le Regole, ci muove contro un assalto improvviso, non lasciamoci smuovere, non rinunziamo alla nostra gloria con dire: - Una sol volta! Lo farò questa volta sola. E’ da tanto tempo che si resiste! Poi rimedierò. - Ah! Ah! Abyssus abyssum invocat.

 

                E se taluno si fosse lasciato sopraffare dal demonio? Attenti, non fare il primo passo falso dopo quella miseria. E' un gran passo falso e molto fatale, quello di coloro i quali, se loro capita qualche disgrazia, [565] cambiamo confessore. Io non trovo altra cosa che faccia più male, perchè qui non si tratta solamente di ricevere l'assoluzione, ma si tratta di direzione. Qualunque confessore potrà darvi l'assoluzione, ma come volete che vi possa dirigere colui, al quale narrate solo le cose ordinarie e se vi è qualche cosa più grave non gliela narrate? Qual giudizio potrà dare di certe mancanze, che, non sapendo altro, potrà giudicar leggere e pur son causa di ciò che voi nascondete? Quali mezzi spirituali potrà darvi, quali consigli suggerirvi, se credendovi quali voi dite, crederà scrupolo ciò che è consenso, sbadataggine ciò che è conseguenza di quello che non sa? Che direste di un ammalato che scopra al medico ordinario parte solamente della sua malattia, ma dove sta il cancro, la vera piaga, non dice nulla? Dice di un po' di stanchezza dalla quale si sente spossato, di un po' di mal di testa; ma della gran febbre avuta ieri tace? Il medico darà qualche medicina pagliativa, ma domani ritornerà la febbre e l'ammalato va all'altro mondo. Ah, sentite! La più gran medicina per guarire in questi casi, il gran ritegno per non fare ulteriori cadute è confessarsi dal confessore ordinario.

 

                Del resto io vorrei che tutti voi altri, giovani, chierici e preti non passaste un giorno solo, senza domandare in modo speciale al Signore la grazia di poter conservare questa bella virtù e singolarmente dopo la santa Comunione o la santa Messa. Chiederla sempre come la grazia più grande. Domandandola con tanta insistenza, mentre abbiamo in noi Gesù Sacramentato, quasi mi pare di poter dire che il Corpo di Gesù, che il Sangue di Gesù, si incorpora in noi, si mescola col nostro sangue e nulla di disordinato potrà in noi accadere.

 

                Degna di particolar rilievo è la “buona notte” del dì dei Morti. Annunziata finalmente la ripresa regolare delle lezioni, presenta e illustra ai suoi giovani i tre articoli fondamentali del suo programma educativo: fuga del peccato, frequente confessione, frequente comunione. Intorno alla frequenza dei Sacramenti è bello vedere con che pacata semplicità e in che termini perentori enunzi, quale sia stato sempre su questo punto, allora molto delicato, il suo modo di pensare.

 

                Debbo darvi alcune notizie. Domani comincerà l'orario regolare. Alcuni già si lamentavano: - Troppa ricreazione, troppe passeggiate, poco studio! - Domani adunque saranno contentati tutti. Però del tempo di ricreazione ve ne resta ancora in abbondanza ed in questo tempo ciascuno si diverta pure. [566] Ma non basta che cominci l'orario regolare. Ricordatevi del perchè siete qui venuti: per studiare. Dunque bisogna studiare. Dal canto mio studierò la mia parte, voi studiate la vostra. Quindi cominciando da domani mettere tutto l'impegno possibile nella fuga dell'ozio e nella fuga del peccato, due cose necessarie per imparare. Se sapeste quanto è prezioso il tempo! Dicono i savi che il tempo è un tesoro; quindi chi perde un minuto di tempo, perde una parte di questo tesoro. Bisogna perciò metterci fin da principio con buona volontà, acciocchè alla fine dell'anno non abbiamo a lamentarci del tempo perduto.

 

                Tuttavia, sappiate che la vera sapienza viene solo dal Signore: e il fuggir l'ozio e occupare bene il tempo a nulla gioverebbe, se teneste indosso il peccato. Initium sapientiae timor Domini. Perciò dobbiamo prima di tutto aggiustar bene la nostra coscienza. Sapientia non introibit in animam malevolam et non habitabit in corpore subdito peccatis. Questo motto era scritto in un cartello appeso nello studio; non so se ci sia ancora, ma se non c'è più, Don Durando ne faccia attaccare un altro.

 

                E qui ripeterò sempre il medesimo avviso che sono solito a dare ,al principio dell'anno: Frequente confessione e frequente comunione.

 

                Quanto alla frequente confessione, io non sto a fissarvi il giorno preciso: i Santi Padri dicono, chi ogni settimana, chi ogni quindici giorni od una volta al mese. S. Ambrogio, S. Agostino vanno d'accordo nel dire: ogni otto giorni. lo per mia parte non vi do nessun consiglio speciale; solo vi dirò che andiate dal confessore, quando la coscienza vi duole di qualche peccato. Alcuno può stare otto, dieci giorni senza cadere in nessuna colpa, altri quindici ed altri anche venti. Ma alcuno può solamente stare tre o quattro giorni e poi cade subito in peccato: e costui si accosti ancor più frequentemente alla santa confessione, a meno che siano inezie da nulla. Il catechismo dice di accostarsi una volta al mese od ogni quindici giorni. S. Filippo Neri diceva e raccomandava di confessarsi ogni settimana. Così praticava S. Luigi. Ora chi vuol poco pensare alla sua anima, vada una volta al mese; chi vuoi salvarla, ma non sì sente tanto ardente, vada ogni quindici giorni; chi poi volesse arrivare alla perfezione, vada ogni settimana. Di più no, eccettochè uno avesse qualche cosa che gli pesasse stilla coscienza.

 

                Quanto alla frequente comunione, io non voglio prescrivervi il tempo, ma voglio però raccontarvi un fatterello. Prima però guardiamo l'orologio, che l'ora noli sia troppo tarda... Son solamente le nove e otto minuti. Ciò che voglio dirvi sono fatti che si raccontano in cinque minuti. Vi era un cotal uomo solito ad andarsi a confessate da S. Vincenzo de' Paoli, ma non gli piaceva frequentare questo confessore, perchè gli ordinava la frequente comunione ed insisteva perchè andasse più volte fra la settimana. Questo tale, stanco [567] di quell'esigenza, pensò di cambiar confessore e di andare da un altro. Trovatolo gli disse: - Sappia che io era solito ad andare da Padre Vincenzo; ma mi ordinò la comunione quasi tutti i giorni. A me ciò non piace e sono venuto da lei per ricevere il suo consiglio. -

 

                Quel confessore, non badando forse al male che faceva, gli rispose: - Hai ragione, figliuol mio. A che tanta frequenza? Comincia dal poco. Basta accostarvisi una volta la settimana. -

                Passato un po' di tempo, consigliò al suo penitente di accostarsi solo una volta ogni quindici giorn. per la ragione che avrebbe potuto prepararsi meglio. Finalmente progredendo sempre nel suo falso sistema di direzione, non so per qual motivo, forse perchè lo vedeva cadere negli stessi difetti, o forse perchè non lo credesse far abbastanza acquisto di virtù, finì con dirgli di comunicarsi una volta al mese.

 

                Il povero uomo seguiva questi consigli. E che ne avvenne? Dapprima in poco tempo lasciò del tutto la comunione e andava solamente a confessarsi. Quindi cominciò a frequentare i teatri, poi i festini, i balli, e gli altri trattenimenti geniali. Finì con dare un addio alla confessione, e abbandonarsi a una vita licenziosa.

 

                Ma passato qualche tempo nei disordini, non sentendosi più contento come prima e poi agitato dai rimorsi delle sue colpe, fece ritorno a S. Vincenzo e gli disse: - Va male, Padre Vincenzo, va male!

 

                - E perchè, gli rispose S. Vincenzo, o figlio mio, non mi siete più venuto a trovare?

 

                Perchè mi venne in uggia la frequente comunione e volli cambiar confessore per andarvi più di rado. Ma vedo che, lasciando la comunione, lascio anche la pietà, divento peggiore, ed ho finito per non più andarmi a confessare. Perciò d'ora in avanti voglio seguire il. suo consiglio ed accostarmi di frequente alla santa comunione.

E si confessò da S. Vincenzo, fece le sue cose bene, cominciò una buona vita, a poco a poco frequentò sempre più i sacramenti e ridivenne la pia persona che era prima.

 

                Io vi raccomando la medesima cosa. Tutti hanno bisogno della comunione: i buoni per mantenersi buoni e i cattivi per farsi buoni; e così acquisterete quella vera sapienza che viene dal Signore. Adunque vi ripeto: fuga dall'ozio, fuga dal peccato, frequente confessione, frequente comunione. E buona sera.

 

                Sul principio di ogni anno scolastico gli educatori sagaci sono dolorosamente costretti a toccare con mano, che le vacanze fanno sempre le loro vittime. Sono giovani, che le male compagnie o altre pericolose occasioni hanno purtroppo trasformati da quelli di prima; perciò, se si vuol prevenire lo scandalo e incutere un salutare timore nei non bene intenzionati, [568] bisogna far violenza al proprio cuore e dare qualche esempio solenne. Tale profilassi entrava nel metodo di Don Bosco; infatti durante il mese di novembre furono mandati via dall'Oratorio tre fra i più alti della quinta ginnasiale, nella qual classe si manifestavano sintomi poco incoraggianti. Con quante suppliche non tentarono gl'incauti di far revocare la sentenza! Uno, da Palazzolo sull'Olio, dopo aver parlato con Don Bosco, andò a gettarsi ai piedi del buon vicedirettore Don Lazzero, nelle cui mani era stata messa la decisione. Pregò, scongiurò che lo tenesse come studente, come artigiano, come famiglio o servo di casa, protestando di essere pronto a tutto che volessero i Superiori, pur di rimanere nell'Oratorio. Quante lacrime versò, quante ragioni mise in campo per commuovere il Superiore! Poi scese dal Prefetto esterno Don Bologna a rinnovare con lui la scena. Visto che sembrava sinceramente pentito, si finì con mandarlo a Lanzo. Un secondo, da Trinità, partì, ma ritornò di lì a pochi giorni coi genitori, e furon pianti e alti guai. Il padre, persona savia e colta, andava quasi fuor del senno a vedersi il figlio espulso a quell'età e corse pericolo di ammalare, perchè rifiutava di prender cibo. La compassione prevalse, ma il giovane fu mandato a Borgo S. Martino, previo avviso a quel Direttore sui precedenti. Il terzo, da Busca, rimasto un po' a casa e scritte inutilmente. alcune lettere, ricomparve mezzo disperato in compagnia de' suoi. Gli venne concesso di andare ad Alassio, ma a patto che non vi fosse diminuzione di retta. Soltanto le circostanze speciali, in cui versavano quei poveretti, consigliarono siffatti temperamenti ad una regola, che si soleva applicare con rigore.

 

                Don Bosco non si lasciava mai talmente assorbire dalle cure dell'Oratorio nè dalle molte preoccupazioni, che non pensasse anche alle altre case. Infatti il 21 novembre andò a visitare il collegio di Borgo S. Martino, dove assistette alla festa del Titolare San Carlo, trasferita al 23. Il 4 dicembre visitò il collegio di Lanzo, ritornandone alla vigilia dell'Immacolata. [569] Ivi ebbe un sogno “diverso dal solito”, lo dirà Don Lazzero nelle sue noterelle di cronaca, quando l'avrà udito raccontare. Il 12 dello stesso mese il Beato fu a Trinità, per la visita di quella piccola casa aperta di fresco.

 

                Una lettera della fine di novembre ce lo mostra pieno di premure per la casa del Torrione a Vallecrosia.

 

                Mio caro D. Cibrario,

 

                Ho ricevuto la tua lettera e quella del Prof. D. Boido e mi fate piacere a darmi notizie come sono. Ciò servirà di norma.

 

                D. Rua si occuperà e quanto prima avrete un maestro in aiuto. lo partirò per la Liguria subito dopo il SS. Natale e farò una stazione non precipitosa al Torrione. La Signorina Letizia sarà accolta in Mornese in qualunque momento colla sua sorellina[226]. Per quanto riguarda all'interesse si lasci tutto a me ed al Sig. Papà Lavagnino. Berremo una delle sue stupende bottiglie e dopo ogni affare sarà sistemato. Di' a Mons. Viale che accenda il fuoco per fabbricare la Chiesa del Torrione; io porterò un poco di Bosco[227].

 

                Rincresce assai la malattia di Mons. Vescovo. Questa casa prega per Lui e speriamo che nella rispettabile sua età Dio ce lo voglia ancora conservare. Da parte mia salutami le nostre Suore, i Signori Lavagnino e a tutti comunicherai una speciale benedizione da parte del Santo Padre. Amen.

 

                Credimi in G. C.

 

                Torino, 29-11-1876

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                A Don Bosco, sempre sollecito di cercar sussidi da ogni parte per le necessità dell'Oratorio, i frequenti viaggi fecero sentire la convenienza di riottenere le. passate agevolezze ferroviarie tanto per sè che per i giovani. Onde scrisse per il duplice scopo una lettera al Ministro dei Lavori Pubblici e un'altra al Direttore Generale delle ferrovie. A Sua Eccellenza Zanardelli diceva: [570]

 

                Eccellenza,

 

                Ricorro alla F. V. per un affare che concerne esclusivamente al bisogno della classe più bisognosa dei popolo.

 

                Per cercare oblazioni con cui mantenere questi ricoverati, che sono più migliaia, per andarli a prendere o condurli alla rispettiva patria sulla ferrovia, mi trovo nella necessità di spendere non poco danaro, che sarebbe il pane quotidiano pei medesimi.

 

                Nei tempi passati, quando le ferrovie erano amministrate dallo Stato, il governo concedeva i trasporti gratuiti per me e per una persona che mi accompagnava; per i giovani poi concedeva posti semigratuiti per tutti; e totalmente gratuiti per quelli che erano inviati dalle Autorità Governative.

 

                Ma questi favori essendo ora stati tolti intieramente, supplico che almeno sia concesso un biglietto di favore per me e per un compagno per le ferrovie d'Italia, per così provvedere ad un bisogno che si fa ognor più sentire tra il crescente numero di fanciulli pericolanti ed abbandonati.

 

                Posso assicurare la E. V. che il benefizio implorato cade tutto in vantaggio di quei giovanetti, che non aiutati efficacemente corrono la via dei pericoli e sono in procinto di dare lagnanze alle pubbliche autorità, e forse di essere condotti ai luoghi di detenzione e di punizione.

 

                Persuaso che la E. V. si degnerà di prendere in benigna considerazione quanto ho sopra esposto, prego Dio che La renda felice, mentre ho l'alto, onore di professarmi.

 

                Della E. V.

 

                Torino, 4 dicembre 1876.

Umili.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Della lettera al Direttore Generale delle ferrovie ci è rimasto solamente questo abbozzo, che il segretario doveva mettere in pulito, completandolo con le formole d'uso.

 

                Chiarissimo Sig. Commendatore,

 

                La benemerita Direzione delle Ferrovie dell'A. I., tenendo conto di quanto facciamo pei fanciulli bisognosi o abbandonati, appartenenti ad agenti o impiegati ferroviarii, suole concedere l'abbonamento gratuito sopra le linee che non sono proprietà dello Stato, pagando la sola imposta governativa.

 

                Spero che la S. V. Chiaris.ma vorrà continuarmi il medesimo caritatevole favore; anzi, attese le speciali strettezze di questo Istituto, e la moltitudine dei ragazzi ivi accolti, la pregherei di estendere [571] questo favore sopra tutta la Rete dell'Alta Italia. Qualora però non si potesse ciò ottenere, accetto con gratitudine il benefizio degli altri anni, assicurando, come in passato, di sempre far buona accoglienza a quei giovanetti che da qualunque membro di cotesta Direzione mi venissero raccomandati...

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ripigliamo il filo delle cose dell'Oratorio. Il Beato volle annunziare egli stesso a tutta la comunità il cominciamento della novena in preparazione alla festa dell'Immacolata. Per la seconda volta fece menzione di Domenico Savio; ma ora adoperò una vivezza notevole di espressione e completò un particolare biografico da lui molto brevemente accennato nella Vita. Dice ivi Don Bosco al capo XVII: “Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio di divozione verso Maria Santissima. Nè lasciavasi sfuggire occasione alcuna a fine di tributarle qualche omaggio. L'anno 1854 il supremo Gerarca della Chiesa definiva dogma i fede l'Immacolato Concepimento di Maria. Il. Savio desiderava ardentemente di rendere tra di noi vivo e durevole il pensiero di questo augusto titolo della Chiesa dato alla Regina del cielo. - Io desidererei, soleva dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perchè temo che mi manchi il tempo -”. Indi il Biografo passa a narrare della Compagnia dell'Immacolata Concezione, dal Savio ideata e formata. Della stessa solennità Don Bosco aveva scritto al capo VIII: “Il Savio era uno di quelli che sentivasi ardere dal desiderio di celebrarla santamente. Scrisse egli nove fioretti, ovvero nove atti di virtù da praticarsi, estraendone a sorte uno per giorno. Si preparò e fece con piacere dell'animo suo la confessione generale, e si accostò ai santi Sacramenti col massimo raccoglimento”. Ecco dunque come parlò la sera del 28 novembre.

 

                Domani incomincia la novena dell'Immacolata Concezione, ed avrei desiderio che si facesse da voi coi maggiore impegno possibile. Mattino e sera, udite sempre cantare: “Sia benedetta la Santa Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria Madre di Dio”. E’ [572] questa una preghiera che fanno i fedeli in onore di Maria Santissima; ma la Chiesa, per glorificare il suo Immacolato Concepimento, stabilì ,ma solennità, la cui novena noi tutti cominceremo domani e come spero che vorrà il Signore, compiremo, non senza aver ricevuto qualche grazia straordinaria.

 

                Io mi ricordo ancora, come se fosse adesso, quel volto ilare, angelico di Savio Domenico, tanto docile, tanto buono! Egli mi venne innanzi il giorno prima della novena dell'Immacolata Concezione e tenne con me un dialogo che è scritto nella sua vita, ma più in breve, che molti avran già letto e che gli altri hanno comodità di leggere. Quel dialogo fu molto lungo. Egli mi disse: - Io so che la Madonna concede grandi grazie a chi fa bene le sue novene.

 

                - E tu che cosa vuoi fare per la Madonna in questa novena? io gli domandai.

 

                - Io vorrei fare molte cose.

 

                - E quali sarebbero?

 

                - Prima di tutto io voglio fare una confessione generale della mia vita per tenere ben preparata l'anima mia. In secondo luogo voglio procurare di eseguire esattamente i fioretti, che per ogni giorno della novena si daranno la sera precedente. E poi vorrei regolarmi in tutto questo tempo in modo da poter fare la mia comunione ogni mattina. - E tacque, ma come uno che non ha ancor finito il suo discorso.

 

                - D'altro non hai più niente? io ripresi.

 

                - Sì: ho ancora qualche cosa.

 

                - E quale è questa cosa?

 

                - Voglio fare una guerra micidiale al peccato mortale.

 

                - E altro?

 

                - Voglio pregar tanto e tanto Maria Santissima ed il Signore, di farmi piuttosto morire che lasciarmi cadere in un peccato veniale contro la modestia. -

                Mi diede poi un biglietto nel quale stava scritto: “Io voglio per prima cosa fare una confessione generale, poi pregare la Vergine Immacolata che mi conservi senza macchia, sicchè possa tutti i giorni accostarmi alla santa Comunione e che mi faccia morire piuttosto che io abbia a cadere in peccato mortale”. E mantenne le sue promesse, poichè Maria Santissima lo aiutava. Ed egli, o miei cari figliuoli, era della vostra età, era di carne e di ossa come noi, aveva le medesime cattive inclinazioni come tutti noi, stava in questi stessi luoghi, era stato educato nel medesimo Oratorio come voi, studiava nello stesso studio e nelle stesse scuole, dormiva nelle vostre camerate, mangiava lo stesso pane che mangiate voi; solamente era un po' più buono di noi e ci lasciò un buon esempio.

 

                Con ciò non voglio ora dire che abbiate tutti da fare la confessione generale. No; questo non lo voglio dire. Ma se alcuno ne avesse [573] di bisogno, se si ricordasse di qualche peccato che non ha ancora confessato nella vita trascorsa, io lo esorto ad andarsi a confessare; e se questa fosse colpa grave, allora è obbligato a cominciare dall'ultima confessione ben fatta e via via confessare tutti i peccati e confessati e non confessati fino al tempo presente. Alcuno si lamenta che ha da dir sempre le medesime disubbidienze, le stesse ire mal represse, le stesse perdite di tempo, gli stessi pensieri cattivi non subito scacciati, le stesse facezie ed anche discorsi ed opere. Insomma confessioni e peccati, peccati e confessioni. Osservi un poco costui la sua vita dopo l'ultima confessione che ha fatto. Si è già ottenuto qualche profitto? L'albero si conosce dal frutto che dà. Se si accorge di aver fatto qualche profitto, continui a progredire nel bene; ma se non ha fatto alcun profitto, riconosca che le confessioni che non fanno frutto, non sono buone; che la colpa viene da lui medesimo, e cerchi di emendarsi, rivedendo bene la propria coscienza, facendo una confessione generale e poi mettendosi con tutto l'impegno a far meglio per l'avvenire.

 

                Tuttavia sarebbe una cosa ben fatta che, se non tutti, molti almeno facessero questa confessione generale. Qui avrei molto da dire intorno alle disposizioni ed al modo di farla, ma io sono solito a riassumere ogni cosa in queste parole: - Supponi di trovarti all'ultimo istante di tua vita e dimmi un po': allora che cosa intenderesti di fare? Esaminati di tutte le tue colpe commesse, come se ti trovassi nell'agonia, vicino a rendere conto al Signore di tutte le tue azioni, e poi fa' pure la tua confessione. -

                Sono persuaso che la maggior parte di voi fa le sue cose bene; ma vorrei insistere presso alcuni pochi, affinchè si mettano anch'essi con tutto l'impegno possibile a far confessioni veramente buone.

 

                In conclusione, ecco le sole due cose che vi suggerisco per questa novena: una buona confessione; e poi fare ogni giorno la santa comunione se non sacramentale, almeno spirituale, che consiste in un vivo desiderio di ricevere Gesù Cristo nel nostro cuore. Buona notte.

 

                Una parola speciale andò a dire agli artigiani nel corso della novena, la sera del 3 dicembre, rievocando omai per la terza volta il ricordo di Domenico Savio. Le sue parole per animarli a far bene la novena debbono aver sortito buon effetto, poichè Don Lazzero nella sua smilza cronachetta scrive sotto l'8 dicembre: “Don Bosco si mostrò molto soddisfatto degli artigiani. Contribuì una visita che egli fece loro durante la novena”. [574] Adesso non potrete più lamentarvi che Don Bosco non vi venga a trovare. Voi credete che io parli tutte le sere agli studenti; non è così; da agosto in qua sono andato due volte. E poi un'altra scusa: ed è che suona la campana per le orazioni, quando noi abbiamo ancor da terminare la cena, e non c'è più tempo a venir fin qui. E poi avete Don Rua e Don Branda, che sanno dirvene delle bianche e delle rosse.

 

                Ma se io non vengo a trovar voi, e voi venite a trovar me! Gli studenti sanno venirmi a trovare in sacrestia, e son contento che vengono anche alcuni artigiani: ma in questo gli studenti vi mangiano in insalata, come dicono qui in Valdocco. Ebbene voi fate questa vendetta: - Don Bosco non vuole venire a trovar noi? E noi sapremo andare a trovar lui! -

 

                Una cosa che voleva dirvi si è, che siamo nella novena dell'Immacolata Concezione, e dico a voi quello che ho già detto agli studenti il primo giorno della novena: che tutti dopo questa festa, procurino di aver bene aggiustate le cose dell'anima propria. Se qualcheduno avesse qualche sconcerto spirituale, qualche imbroglio da aggiustare, non lasci passare questa occasione della festa dell'Immacolata, se non vuol mettere l'anima sua in pericolo di dannarsi. Non voglio dire con ciò che tutti dobbiate fare la confessione generale; non è questo; anzi a chi l'avesse già fatta, non conviene neppure che la rifaccia; ma tutti facciano una confessione secondo il bisogno della propria coscienza. Avrebbe bisogno di una confessione generale chi, andandosi a confessare, confessasse sempre le medesime colpe. Uno va e si confessa di una bugia, e sempre tutte le volte che va si accusa di bugie; ogni volta che si confessa ha sempre da accusarsi di disturbi in chiesa, di disubbidienze o mancanze di rispetto agli assistenti, di discorsi cattivi, di scherzi e facezie scandalose, di male abitudini. E queste confessioni saranno sempre ben fatte? Io rispondo colle parole del Vangelo. Dai frutti si conosce la pianta. Se però le confessioni non fanno frutto, c'è molto a temere che, se non sono sacrileghe, siano almeno nulle. Bisognerà allora scandagliare il proprio cuore e cercarvene la ragione, se v'è mancanza di esame, di dolore o di altro; e fatta quindi una buona confessione, troncare ogni legame che ci possa tenere avvinti al demonio.

 

                Vi è un altro caso, in cui uno dovrebbe fare la confessione generale, e si è quando uno per disgrazia avesse taciuto deliberatamente un peccato mortale in confessione, e l'altra volta appresso che andò a confessarsi l'avesse ancora tralasciato e così avesse lasciato passare Pasqua, Natale, Corpus Domini e anni intieri con una serie continua di confessioni malfatte. Io ciò non suppongo di alcuno di voi;. ma se costui vi fosse, non lasci passare questa festa senza mettere in buono stato la sua coscienza, se non vuol correre pericolo di dannarsi eternamente. Vada, e si confessi della colpa taciuta, rifaccia tutte le altre susseguenti confessioni, e cominci una vita novella. [575] Savio Domenico venne da me la vigilia della novena dell'Immacolata Concezione, e mi disse: - Io vorrei far bene questa novena.

 

                - Ed io sono contento che tu la faccia bene, gli risposi.

 

                - E che cosa dovrei fare?

 

                - Guarda; adempi bene tutte le pratiche di pietà.

 

                - Va bene, ma io vorrei fare altro, replicò Savio.

 

                - Accòstati più frequentemente alla santa comunione.

 

                - Anche questo spero di farlo, e coll'aiuto del Signore spero di accostarmi tutti i giorni; ma vorrei fare altro ancora.

 

                - E che cosa vorresti fare per la Madonna?

 

                - Voglio fare una confessione generale e poi rinnovare alla Madonna quella promessa già tante volte ripetuta di non mai dare uno sguardo, o di non tenere, un benchè minimo pensiero contro la virtù della purità. -

                Se Savio Domenico era osservante in tutto, in questo lo era al sommo. Fece la sua confessione generale con grande edificazione di tutti quelli che lo videro.

 

                Guardate anche voi di fare bene, per quanto potete, questa novena sull'esempio di Savio Domenico. E' dunque necessario che dobbiate far tutti la confessione generale? No, come ho già detto in principio; non voglio questo; se però qualcheduno ne avesse bisogno, non lasci passare l'occasione di questa bella festa. E se alcuno il giorno dell'Immacolata non potesse ancora aggiustare bene le cose della sua coscienza, venga pure negli altri giorni appresso fino a domenica, che io mi troverò sempre pronto a riceverlo in sacrestia. Ma per carità, non vi sia alcuno che distolga gli altri dalla confessione i

 

                Un'altra cosa che voleva dirvi, si è che tutti vi vogliate bene tra di voi, che vi amiate per farvi del bene a vicenda, per darvi buon esempio, per darvi dei buoni consigli. Ma non mai e poi mai vi siano di quelle amicizie che pur troppo si fanno per darsi scandalo a vicenda, per fare discorsi cattivi, per essere assassini dell'anima uno dell'altro. Tali appunto sono coloro che vanno insieme per fare del male, per fare rubarizii come per lo appunto ho sentito accadere da qualche tempo, con mio gran dispiacere. Si ruba in giardino, in refettorio, in cucina; e persino l'infermiere deve star bene attento che non gli portino via ciò che tiene in conserva per gli ammalati. Si vendettero persino degli asciugamani, delle camicie, sicuramente rubate. Siamo dunque in casa di ladri? Furono già mandati via dall'Oratorio alcuni per queste cose. Non è ch'io adesso dubiti di alcuno di voi, ma è solo per avvertire o prevenire chi ne avesse di bisogno.

 

                Ancora un'altra cosa e poi vi lascio. Voi dite sempre di voler bene a Don Bosco, ma questo amore si tratta di dimostrarlo coi fatti. Se vi interrogano: - Vuoi tu bene a Don Bosco?

 

                - Non ne dubiti! - rispondete subito. Ma è forse questo che vuole Don Bosco? No, no! Ecco quali sono gli amici di D. Bosco, questi [576] e nessun altro: Tutti coloro che con lui si adoperano per salvare la propria anima. Questi sono e non altri i veri amici di Don Bosco. Se Don Bosco tanto si affatica per salvare le vostre anime, che pure non sono sue, bisognerà bene che voi vi mettiate con impegno a cooperare alla salute della vostra anima, di cui Don Bosco è responsabile davanti al Signore. Io intanto pregherò sempre il Signore e la Beata Vergine che vi conduca tutti in paradiso. Buona notte.

 

                Dopo la festa dell'Immacolata vi fu una piccola novità, che porse a Don Bosco l'occasione di far udire la sua cara parola. Il gran numero degli ascritti obbligò a procurar loro una nuova sala di studio, che fosse molto più capace dell'altra. In essa fu collocata una bella statua di Maria Santissima. Per l'inaugurazione dell'aula e per la benedizione della sacra immagine i novizi prepararono un'accademiola, a cui invitarono anche Don Bosco. Egli non solo accolse di buon grado l'invito, ma volle che si radunassero ivi a conferenza generale tutti i Soci salesiani dell'Oratorio. La sera pertanto della domenica io dicembre circa duecento persone stavano raccolte nello studio del noviziato, dinanzi alla Madonna, ritta sotto un bel padiglione e tutta circondata di lumi e di fiori. Era la prima festicciuola che i novizi facevano di loro iniziativa; onde sul volto di tutti brillava la più viva gioia. Entrato Don Bosco e invocato lo Spirito Santo, i cantori eseguirono un inno di occasione; quindi il Servo di Dio, indossate cotta e stola, benedisse con le preci rituali la statua. Ciò fatto, si assise presso l'altarino eretto dinanzi al simulacro della Beata Vergine e parlò così:

 

                Noi non siamo più ragazzi, ma siamo in una scuola di filosofi e sappiamo che io adesso non ho benedetta la Madonna, ma un oggetto rappresentante la Madonna. Sappiamo pure che rispettando questa statua noi intendiamo di ossequiare Maria Vergine, che da questa statua è rappresentata. Il mondo ci giudica male e specialmente i protestanti sono avversi a queste pratiche che tacciano d'idolatria, e per confutarci ci presentano quel testo della sacra Bibbia: Tu non ti farai nè immagine nè statua. Ma noi non siamo gonzi da bere acqua per caffè; così pure abbiamo la facoltà di intendere e giudicare. [577] Noi poniamo il principio: Adorerai un Dio solo: e con questo vengono esclusi tutti gli altri. Posta questa base, che cosa possono ancora obbiettare i Protestanti?

 

                Come dunque dovremo interpretare quel passo della Sacra Scrittura? S'interpreta così: Non ti farai nè statua, nè immagine di animali o di altro per adorarla. Ecco: per adorarla: che non è venerare nè rispettare.

 

                L'adorazione che si chiama con una voce greca latría, che vale culto supremo, supremo servizio, famulato, è il servizio che prestiamo a Dio solo.

 

                Invece il rispetto che usiamo ai Santi che dicesi in greco dulía, servizio, come dulos, servo, è un servizio, un ossequio che non è per niente adorazione, perchè sappiamo che i Santi furono uomini come noi e che noi pure possiamo farci santi.

 

                Il culto poi che prestiamo a Maria Vergine, che è la Madre di Dio, la Regina del cielo, la più potente delle creature, si chiama in greco iperdulía, che vale servizio superiore.

 

                A Dio solo dunque culto di latria o di adorazione e noti ad alcun altro; e se si dice talvolta di adorare. un angelo, questa frase non si deve prendere nel suo vero senso letterale, ma sibbene come indicante ossequio, venerazione; ma non mai per adorazione.

 

                E poi per rispondere ai protestanti colla loro Bibbia, non si trovano nelle sacre Scritture esempi di statue? Sì che se ne trovano. Domandiamo ai protestanti: - Là nel tempio di Salomone, proprio nel Santuario del Signore, a destra e a sinistra che cosa vi era? - Ah già, vi erano due cherubini. - E chi ve li aveva posti? Forse gli idolatri? o non piuttosto Salomone stesso per ordine del Signore? Dunque se ciò fu comandato da Dio stesso, non è per niente contrario alla legge del Signore. A queste ragioni i protestanti restano imbarazzati, e non sanno rispondere altro fuorchè: - Non ci aveva mai badato. -

                E, come dice S. Paolo, queste immagini sono necessarie all'uomo, che tende sempre al materiale, per ravvivare la sua fede. Egli non potrebbe durare costante in una religione astrusa, senza figure e immagini. Il Cristiano dice sempre: “Ecco la Santa Vergine, ecco il tale Santo. “E con questo non intende già che il legno, la materia sia veramente la Vergine Santissima o il tal Santo; capaci di ascoltarlo e di aiutarlo, sibbene che è un oggetto che li rappresenta e li ricorda.

 

                Ora, riguardo a noi, veniamo a ciò che abbiamo ora fatto. Io sono contento di questa festicciuola e desidererei che di simili se ne facessero molte in altri siti.

 

                E che cosa dovremo conchiudere dalla benedizione della statua, dalle preghiere fatte, da questa conferenza?

 

                Ah, io avrei tante altre cose a dirvi della protezione speciale di Maria verso di noi, verso le nostre case! Ella siamo certi che ci guarda, [578] che c'invita ad imitarla. Essa vuole che noi corrispondiamo, che la seguitiamo per la via splendida, ornata di gigli. E conservandoci sotto la sua protezione, qual vantaggio ne ricaviamo? Se saranno soltanto parole, essa non ci terrà fra i suoi figliuoli; ma se sono opere, se proprio di cuore siamo suoi divoti, è certo che andremo a vederla in Paradiso eternamente con lei beati.

 

                Il Signore volle far vedere in questi tempi così depravati che nel Santissimo Sacramento vi è il suo Corpo, che Maria Vergine è la Regina del Cielo, l'Immacolata sua Genitrice, e che essa è onnipotente per mezzo del suo Divin Figlio. E’ per Essa che esiste e prospera la nostra Congregazione. lo vi supplico adunque di raccomandare a tutti prima l'adorazione a Gesù Sacramentato e poi l'ossequio a Maria Santissima. Promovete questa divozione, che farà del gran bene. Riguardo alla vocazione, Maria Vergine aiuta molto: ed uno che da solo fa poco, coll'aiuto di Maria fa molto. Non starò qui a portare esempi, ma io conobbi vocazioni o dubbie o intieramente sbagliate, il che è una grande sventura, le quali coll'intercessione di Maria furono messe intieramente a posto.

 

                Fra gli altri non è gran tempo che uno, legato da quattro anni negli Ordini sacri, teneva una vita pessima, era proprio nell'anticamera dell'inferno. Venne costui da Don Bosco e gli confidò intieramente ogni cosa. Don Bosco gli disse: - Lasciamo da parte la teologia, la morale, la mistica, l'ascetica:, rispondimi sinceramente: hai divozione a Maria?

 

                - Veramente. mi rispose egli, non ci ho mai pensato sul serio.

 

                - Allora di' tre Ave Maria mattina e sera; e sovente, ma specialmente nei pericoli, questa giaculatoria: Maria, Auxilium Chrístianorum, ora pro me. -

                Promise di farlo e se n'andò. Alcuni anni dopo ci trovammo a caso ed egli fu molto contento di vedermi e mi palesò come da quel giorno che mi aveva confidato la sua coscienza, fosse vissuto sempre col cuore tranquillo: “Lei ha un buon mezzo, mi disse, per far guarire. Raccomandi sempre la divozione alla Madonna. Specialmente ai principianti nel servizio di Dio inculchi di raccomandarsi alla Madonna per essere liberati dai pericoli.

                Ognuno infatti coll'aiuto di Maria può tutto, da essa ottiene qualunque favore. E’ l'onnipotente per grazia, e noi dobbiamo invocarla ad ogni istante, e ci darà la forza necessaria per vincere tutti i nemici delle nostre anime.

 

                Voi spero che avrete rispetto a questa statua, ed eviterete ogni burla, ogni discorso, ogni lettura che possa dispiacere alla nostra Madre Maria e al Divin suo Figliuolo. Così Maria Santissima vi apporterà grazie e benedizioni, che io di tutto cuore vi auguro.

 

                Io intanto mi raccomando anche a voi che diciate a Maria Santissima che voglia aiutare Don Bosco, il quale ha molto da fare, ed è [579] responsabile delle vostre anime e della sua davanti al Signore. Nella divozione di Maria Santissima vivremo, io spero, e morremo tutti santamente e andremo a godere eternamente con lei in cielo.

 

                Finita la conferenza e deposti i sacri indumenti, Don Bosco andò a sedersi in mezzo ai Superiori di fronte all'altare improvvisato e assistette alla piccola accademia. Era presente anche il Fratello Concettino, che doveva ripartire per Roma il giorno dopo. Ripetutosi l'inno, furono lette prose e poesie in latino, in italiano, in francese e in tedesco. Un gruppo di chierici cantò l'Ave Maria in cinese, insegnata loro da un ex-alunno delle scuole apostoliche di Torino. Prima di uscire Don Bosco fece una visita minuta alla sala, dove il suo occhio indagatore, a cui nulla sfuggiva, trovò che le fiamme del gas non erano distribuite bene e disse come bisognava disporle, perchè la luce arrivasse sufficiente in ogni parte.

 

                Si solevano dare ogni settimana i voti di condotta anche ai chierici; Don Bosco sul principio dell'anno se li faceva portare in camera e li esaminava. Questi voti si ricominciarono a dare otto giorni dopo la cerimonia sopra descritta. Non erano tutti soddisfacenti. Don Bosco stesso avvisò coloro, che non avevano riportato l'optime, e lo fece con una sola paroletta dopo la confessione: - Guarda, hai un voto scadente di condotta per questo e per quel motivo. Procura di emendarti. - L'impressione fu straordinaria. I poveretti che ricevevano tali ammonizioni, correvano piangendo dal maestro Don Barberis, per averne più completa spiegazione.

 

                Nell'anno scolastico 1875-76 la scuola di filosofia ai chierici aveva lasciato alquanto a desiderare[228]; perciò, quando si trattava di scegliere un nuovo professore, il Beato pose gli occhi sul giovane teologo Agostino Richelmy, futuro Cardinale Arcivescovo di Torino, a lui molto affezionato sin da fanciullo., Non appagato in questo suo desiderio, lo richiese dell'istruzione domenicale ai ragazzi dell'Oratorio festivo di [580] san Luigi, il quale era rimasto senza l'opera di Don Guanella. Nella lettera scrittagli, il cenno alle dimensioni della chiesa mirava a eliminare l'eventuale difficoltà proveniente dagli organi vocali del predicatore, che furono sempre deboli.

 

                Car.mo T. Richelmy,

 

                Giacchè non posso averti per la scuola di filosofia, fa almeno in modo di aiutarmi nella predicazione nell'Oratorio di S. Luigi. La chiesa non è tanto spaziosa. Una breve istruzione, anche un solo esempio un po' corredato di moralità può bastare.

 

                D. Durando darà schiarimenti, prega per questo povero, che ti sarà sempre in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nella mente di Don Bosco stava fitto il sogno di Lanzo; aveva detto di volerlo raccontare, ma non subito, perchè gli faceva troppo pena. Se ne videro però gli effetti. Don Bosco era venuto a conoscere tutti i disordini dell'Oratorio e tutti gli autori di essi. Mandò a chiamare in sua camera i caporioni, che erano due, un artigiano e uno studente, dicendo di essi che erano veri demoni.

 

                Per primo fu introdotto l'artigiano. Don Bosco gli disse. - Guarda, ho bisogno che tu mi lasci parlate e che non m'interrompa. Dopo dirai sì o no. Tu da sei mesi non ti sei più confessato. Dopo la tua ultima confessione è avvenuto questo e questo, nel tal tempo, nel tal luogo, con il tal dei tali. - E su questo tono proseguì per dieci minuti senza un attimo d'interruzione. Poi conchiuse: - Ora discòlpati. E’ vero o non è vero? - Il giovane esterrefatto rispose: - Qui non si tratta di discolpa; quello che ha detto, è tutto vero. - Rimasto un istante silenzioso, continuò: - Io non ho altro a dire, se non che sono gravissimamente colpevole. Se mi vuol perdonare e tenere ancora in casa, stia certo che vedrà in me un cambiamento assoluto; se vuole mandarmi via, io non mi posso lagnare. - E siccome Don Bosco lasciava dire [581] e taceva, il giovane pure tacque e di bel nuovo stette in silenzio alcuni istanti; poi all'improvviso, scoppiando in pianto e gettandosi in ginocchio ai piedi di Don Bosco, soggiunse: - Ah sì, mi perdoni! Io aveva proprio bisogno di questo colpo; purtroppo non istavo bene con Dio. Anche volendomi cacciar di casa, permetta almeno che prima io aggiusti le cose della mia coscienza e non mi mandi via così... Ma no! Mi usi questa carità, faccia la prova di tenermi ancora, e vedrà se non riparerò al male che ho fatto nell'Oratorio col mio scandalo! - Don Bosco gli rispose: - Quando hai cominciato a parlare, io vedendo che solo riconoscevi il male e promettevi emendazione, mostrandoti pronto a stare qui o ad andartene via, temeva che fosse un inganno del demonio e che non avresti perseverato. Ora invece che vedo la tua buona volontà di aggiustare le cose dell'anima tua e di riparare col buon esempio lo scandalo, io non ho difficoltà a esaudire le tue preghiere. Per ora fermati pure con noi. -

                Fu poi la volta dello studente, al quale Don Bosco disse: - Tu, cominciando dal tal tempo, hai fatto un gran male nella casa. L'unico scampo che ti resta per ottenere che io ti perdoni, si è che tu mi racconti per filo e per segno tutto quello che hai fatto, e che non mi nasconda nulla. - Quel disgraziato manifestò i suoi disordini, ma solo per metà, e parecchie cose più gravi non disse. Don Bosco gli mosse qualche osservazione; ma poichè il giovane cercava di scusarsi con la menzogna, Don Bosco, troncato il discorso, lo licenziò e spedì un biglietto a Don Lazzero, dicendogli che la mattina seguente lo facesse partire dall'Oratorio.

 

                Molti altri furono chiamati da Don Bosco segretamente in sua camera. Simili rivelazioni quanto bene facevano! Talora l'inaspettata lezione trasformava di punto in bianco l'individuo. Tutta la comunità poi, conoscendo che l'occhio del Superiore penetrava nei più riposti segreti, era tenuta meravigliosamente in freno.

 

                Dopo questi prodromi i più si aspettavano che Don Bosco [582] raccontasse presto qualche cosa di straordinario; perciò la sera del 20 dicembre, quando si presentò a dare la “buona notte” si credette che quello fosse il momento. Ma no, non disse ancor nulla. Parlò piuttosto a lungo. Prima fece la presentazione solenne, per quanto in termini un po' faceti, di Don Lazzero come vicedirettore dell'Oratorio, ufficio tenuto già da Don Rua, ma ultimamente esercitato di fatto da Don Lazzero. Poi comunicò la novità di un Direttore generale delle Scuole Salesiane nella persona di Don Durando, che cedeva a Don Guidazio la direzione delle scuole dell'Oratorio. Terminò esortando fervidamente i giovani a essere sempre buoni e a fuggire il peccato.

 

                Questa sera ho molte cose importanti da dirvi. Avrei per prima cosa da raccontarvi un bel sogno; ma per non condurre l'ora troppo tardi, ve lo racconterò domani a sera, e si farà in modo che siano presenti anche gli artigiani. Ora voglio dirvi delle cose che non sono sogni, ma realtà. Vi è un poco di cambiamento nella direzione della casa. Adesso Don Bosco ha fatto bancarotta. Don Rua ha già fatto bancarotta, Don Lazzero farà poi anche bancarotta, faremo tutti bancarotta. Finora la prima persona dopo il Direttore Generale, quegli che guidava i primi affari della casa, era Don Rua, Ora Don Rua che non è più tanto buono, ha ceduto il posto a Don Lazzero, perchè egli si trova spesse volte fuori di casa, un po' qui, lui po' là, e non può attendere a tutte le cose qui in casa. Molte volte viene della gente per trovarlo, ed egli non c'è; vi è bisogno di provvedere a qualche urgenza, ed egli non si trova; qualcuno di voi desidera parlargli, ma non ci riesce. Ora ci sarà Don Lazzero, il quale, non scappando tanto da casa potrà adempiere esattamente al suo ufficio. Così Don Rua che è molto buono, attenderà ad altri uffizi, e Don Lazzero che è più buono, occuperà il suo uffizio di Direttore, come già faceva: ma ciò non era ancor pubblicato, e non tutti lo sapevano. Così quelli che avranno bisogno di qualche cosa, andranno da Don Lazzero e lo troveranno, e potrete trattare con lui più liberamente. Un altro cambiamento si fece riguardo all'ispettore delle scuole. Il professore Don Guidazio, che ha ora acquistato un po' di sanità, ma non potrebbe resistere al peso di una scuola regolare, ha forze abbastanza per dirigerne non una, ma tutte, perchè il dirigerle costa minor disagio che farle. Perciò desiderando di occuparsi in vostro vantaggio, avrà l'ufficio di Ispettore, ossia di Direttore di tutte le scuole dell'Oratorio. Finora tenne questo posto Don Durando, il quale è bensì di molta virtù; ma tuttavia non è di tanta virtù, che quando è a Lanzo possa trovarsi [583] qui a Torino, e quando è qui possa trovarsi a Sampierdarena o ad Alassio. Perciò egli sarà Direttore di tutte le scuole della Congregazione, sia perchè in faccia agli esterni egli è più conosciuto, sia perchè altri fa già bene al suo posto qui nell'Oratorio. Tuttavia chi avesse bisogno di un attestato, si rivolga pure a lui. Adunque Guidazio sarà Direttore e anche Superiore riguardo alla disciplina di tutte le scuole ed anche di tutti i chierici, eccetto però quelli che sono sotto la direzione di D. Barberis. Non voglio che vadano a rubargli i merli nella sua gabbia.

 

                Desidero però che costoro siano Superiori non solo di nome, ma anche di fatto, e perciò tutti loro obbediscono e li rispettino real mente come Superiori. Essi poi baderanno ad esercitare diligente mente il loro ufficio. Perciò se avverrà qualche indisciplinatezza nelle scuole, o altro inconveniente, ne domanderò conto non a Don Rua o a Don Durando, ma bensì a Don Lazzero e a Don Guidazio, e quando avverrà qualche disordine nell'Oratorio; o se vedrà che le cose no n procedono bene, mi metterà attorno a D. Lazzero e lo perruccherò[229] finchè basti. Sono essi che debbono saper rendere ragione di quanto può accadere, sia riguardo ai giovani, sia riguardo ai chierici: e non solo essi, ma anche gli altri superiori ed inferiori sono in obbligo di render conto di tutto che potesse accadere di inconveniente per porvi rimedio.

 

                Ed ora veniamo a voi più particolarmente, o miei cari figliuoli. Per quanto bene Si cerchi di fare, degli inconvenienti ne arrivano sempre. So che molti di voi si diportano come veri S. Luigi, ma molti so ancora che non si regolano troppo bene. Solamente ieri ne dovemmo mandar via alcuni, come già saprete. E’ cosa che dispiacque a tutti, e dispiacerà specialmente ai parenti vedersi arrivare a casa il figlio, che non può più essere accettato nè qui nè altrove, perchè saputa la cagione per cui fu cacciato dall'Oratorio, certamente che nessun collegio la vorrà fra i suoi alunni. Ricordatevi in qual modo Dio punì quel disgraziato che fu il primo a peccare contro il sesto comandamento. Ciò si può leggere nella sacra Bibbia. Perciò ciascuno si guardi specialmente dall'immodestia negli atti e nelle parole. Questo è il vizio che maggiormente danneggia la gioventù...

 

                La bontà è anche stimata dagli uomini perversi, benchè essi non la pratichino. Guardate; vi sono dei padri che conosceranno anch'essi di essere cattivi originali, ma vogliono che i loro figliuoli si mantengano o diventino buoni, se non lo fossero, e sono contenti che siano educati nella religione. Vi sono dei padri dati al vino, ubbriaconi veri, ma guai. se sanno che il loro figliuolo mette piede nell'osteria! Egli sarà un giuocatore che giuocherà tutto il suo, ed anche quello che non è suo, ma guai se sorprende il suo figlio a giuocare! Egli sarà sboccato [584] nelle conversazioni, ma guai se sapesse che alla presenza di suo figlio si è detta qualche parola scandalosa! E ciò perchè? Essi sanno quanti gravi danni possano portate questi vizi. Mi ricordo, per recarvi un esempio, di un uomo già avanzato in età, coi capelli bianchi, rispettabilissimo, ma senza religione, che veniva a farmi queste raccomandazioni, non sono molti giorni: - Guardi che il mio figliuolo frequenti le devozioni del collegio, che ascolti le sue messe, che faccia la confessione e la comunione, che si prepari alla cresima, che tenga buona condotta.

 

                - Ma lei, gli dissi, conosce l'importanza di queste cose?

 

                - Ah, sì, la conosco!

 

                - E le mette in pratica?

 

                - E' vero, soggiunse, che io sono cattivo, che sono disgraziato: ma appunto per questo non voglio che mio figlio divenga tale. -

                Allora io gli dissi: - Se ella ha tanta premura che suo figlio le sia educato religiosamente, perchè non vorrà ella stessa divenir tale?

 

                - E' impossibile, mi rispose, almeno per adesso... a questa età... e poi là al paese non ho comodità... Son già tanti anni che faccio la stessa vita, e non posso decidermi... e... poi… poi... chi sa?... forse quando venissi ammalato potrei aggiustare le cose dell'anima mia.

 

                - Ma, io gli soggiunsi, ci sono molti che muoiono per istrada, ed anche mangiando, ed anche scherzando; viene loro un accidente improvviso e passano all'altra vita. Se accadesse anche a lei un caso simile?

 

                - Eh! allora pazienza!

 

                - Pazienza? pazienza? E come fa ad aver pazienza per tutta l'eternità nell'inferno, mentre adesso non ha la pazienza di fare un piccolo sforzo per aggiustare le cose dell'anima sua?

Egli stette muto, ed io cessai di parlare. Un momento dopo (erano in due) egli disse al suo compagno: - Ritiratevi un momento in anticamera, io ho bisogno di parlare con Don Bosco da solo a solo.

                Rimasto in mia camera solo con me, disse: - Sa ella che io era già lì per piangere? Mi ha fatto ricordare la tranquillità che io godeva nel tempo della mia fanciullezza, quando andava a confessarmi e faceva le mie divozioni. Se ella mi insegna il modo di aggiustare le cose di mia coscienza, io le prometto che lo farò. Voglio fare ritorno a Dio.

 

                - Oh, se desidera solamente questo, il modo è subito trovato; faccia una buona confessione ed una santa comunione.

 

                - Ho già provato molte volte, ma io sono un poco lungo: da Natale a Pasqua, da Pasqua a Pentecoste, e via via sono venuto fino ad ora.

 

                - Veda, potrebbe venir qui, se le piace: se non può venir qui all'Oratorio, si fermi in Torino per qualche giorno, vada alla Consolata, ove sono buoni confessori, o nella Chiesa di S. Filippo o al Monte [585] dei Cappuccini; e lo aiuteranno e potrà aggiustare i suoi conti con Dio, e avrà comodità di far bene tutte le altre cose.

 

                - Sì, desidero di aggiustare le cose della mia coscienza; e lo voglio fare; voglio che l'ottava dell'Immacolata sia un giorno memorabile nella mia famiglia. Io da casa le scriverò, e lei dirà pure a mio figlio che è in collegio, che suo padre è di nuovo cristiano come lui. Ma non glielo dica subito adesso, perchè non lo sono ancora. -

E colla grazia di Dio questo uomo mantenne la sua parola e potè divenirlo.

 

                Ho voluto raccontarvi questo fatto perchè conosciate quanto sia difficile sradicare un vizio che abbia messo radici in gioventù, e come i parenti desiderino che i propri figliuoli siano educati nel bene, quantunque talvolta essi sieno cattivi, e riceverebbero dispiacere qualora il proprio figlio fosse scacciato dal collegio. Ma il dispiacere maggiore non è quello che ricevono i parenti, nemmeno quello che soffrono i Superiori, ma è quello che si fa a Dio. Talvolta si potrà nascondere la mancanza ai Superiori. - Don Bosco è là cogli altri Superiori, si potrà dire, e noi veniamo qui in questo angolo e la faremo franca. - Anche in faccia a Dio? Oh, no!

 

                Noi qui nella casa sopportiamo ogni capriccio, ogni fanciullaggine, ogni dispiacere, ma non mai l'offesa a Dio. Uno darà un urto ad un compagno, dirà una parola d'insubordinazione, avrà trascurato i suoi doveri: se si vede che è pentito, non si tiene più conto della mancanza. Ma quando vi entrasse l'offesa di Dio, la seduzione, allora è una piaga che per essere guarita bisogna tagliar via tutto il marcio. Guardatevi adunque dal cagionare questo dispiacere ai vostri Superiori, e specialmente a Dio.

 

                Miei cari figliuoli! Pregate, e in questa bella novena del Santo Natale pensate tutti a farvi santi. Pel fioretto di domani direte di cuore a Gesù Bambino: “Io vi prometto per l'avvenire di amarvi e servirvi con tutto il mio cuore, colla modestia negli occhi e nelle parole”. Buona notte.

 

                Finalmente la sera del 22 dicembre restò memoranda nell'Oratorio. Fu anticipata alquanto l'ora delle preghiere. Convennero nel parlatorio degli studenti anche gli artigiani e tutte le persone di casa. Don Bosco aveva promesso per il giorno innanzi; ma ne era stato impedito. S'immagini l'aspettazione generale! Egli ascese in cattedra, salutato da un entusiastico battimani, come avveniva tutte le volte che dava in questo modo la “buona notte” alla comunità intera. Appena accennò a parlare, si fece il più profondo silenzio. [586] La sera nella quale mi fermai a Lanzo, venuta l'ora del riposo, mi accadde di essere occupato dal seguente sogno. P, un sogno che non ha nulla di relazione cogli altri sogni. Ne ho già raccontato uno quasi simile nel tempo degli esercizi, ma e perchè non vi eravate tutti voi, e perchè molto differente, ho deciso di raccontarvi questo. Sono cose molto strane. Ma voi sapete che coi miei figli io apro tutto il mio cuore; per essi non ho segreti. Fatene quel conto che volete: ma siccome dice S. Paolo, quod bonum est tenete, così se troverete in questo sogno qualche cosa che faccia bene all'anima vostra, approfittatene. Chi non vuol credere, non mi creda, ciò non importa niente; ma nessuno metta mai in ridicolo le cose che sono per dire. Vi prego ancora di non volerle raccontare ad altri che non siano della casa e neppure scriverne fuori. Ai sogni si può dare l'importanza che i sogni si meritano, e coloro che non conoscono la nostra intimità, potrebbero pronunziare un giudizio erroneo e chiamare le cose con nome diverso dal loro proprio. Non sanno che siete i miei figli e che io a voi dico tutto quello che so, e alcune volte anche quello che non so (risa generali). Ma ciò che manifesta un padre ai suoi amati figliuoli per loro bene, deve stare lì tra padre e figliuoli, e non più oltre. Ed anche per un'altra ragione. Per lo più, raccontandosi fuori il sogno, o si travisa il fatto, o se ne racconta solo una parte non capita; e da ciò nasce danno e il mondo disprezzerebbe ciò che non deve essere disprezzato.

 

                Bisogna che sappiate che i sogni si fanno dormendo. Dunque la notte del 6 di dicembre, mentre era in mia camera, senza saper bene, se leggessi o girassi qua e là per la camera, ovvero fossi già in letto, entrai nel sognare.

 

                In un momento mi sembrò di essere sopra un piccolo rialzo di terra o collina, sulle sponde di una pianura immensa, i cui confini l'occhio non poteva raggiungere. Si perdeva nell'immensità. Era tutta cerulea come un mare in piena calma, ma quello che io vedevo non era acqua. Sembrava come un terso lucente cristallo. Sotto i miei piedi, dietro di me ed ai lati, vedeva una regione configurata come quelle di un littorale in riva all'oceano.

 

                Quella pianura era divisa da larghi e giganteschi viali in vastissimi giardini, di bellezza inenarrabile, tutti scompartiti in boschetti, praterie, ed aiuole di fiori, di forme e colori diversi. Nessuna fra le nostre piante può darci un'idea di quelle, benchè in qualche modo si vedesse una somiglianza. Le erbe, i fiori, gli alberi, le frutta erano vaghissime e di singolare aspetto. Le foglie erano. d'oro, i tronchi e i gambi di diamante e il resto corrispondeva a questa ricchezza. Non potevansi contare le differenti specie: ed ogni specie ed ogni individuo splendeva di una propria luce. Io vedeva in mezzo a quei giardini e in tutta l'estensione della pianura innumerevoli edifizi di un ordine, vaghezza, armonia, magnificenza, vastità così straordinaria, che nella [587] costruzione di uno di questi, sembrava non dovessero bastare tutti i tesori della terra. Io diceva fra me stesso: - Se i miei giovani avessero una sola di queste case, oh come godrebbero, come sarebbero felici e vi starebbero volentieri! - Così io pensava, potendo vedere quei palazzi solamente all'esterno. Quanto maggiore non doveva essere la magnificenza interna!

 

                Mentre meravigliava di tante stupende cose che ornavano quei giardini, ecco diffondersi una musica dolcissima, e di così grata e soave armonia, che io non posso dame un'idea adeguata. Quelle di Don Cagliero e di Dogliani non hanno nulla di musicale poste in confronto di quella. Erano centomila strumenti e tutti davano un suono differente l'uno dall'altro e tutti i suoni possibili svolgevano per l'aria le loro onde sonore. A questi si univano i cori dei cantori.

 

                Vidi allora una moltitudine di gente che si trovava in quei giardini e si divertiva allegra e contenta. Chi suonava e chi cantava. Ogni voce, ogni nota faceva l'effetto come una riunione di mille strumenti, tutti diversi l'uno dall'altro. Contemporaneamente si udivano i vari gradi della scala armonica, dal più basso al più alto, che si possano immaginare, ma tutti in perfetto accordo. Ah! per descrivere quest'armonia non bastano paragoni umani.

 

                Si vedeva dalle facce di quei felici abitatori, che i cantanti non provavano solamente un piacere straordinario di cantare, ma sentivano nello stesso tempo immenso gaudio nell'udire cantar gli altri. E quanto più uno cantava, più gli si accendeva il desiderio di cantare, e quanto più ascoltava tanto più desiderava di ascoltare. Ecco il loro cantico: Salus, honor, gloria Deo Patri Omnipotenti... Auctor saeculi, qui erat, qui est, qui venturus est iudicare vivos et mortuos in saecula saeculorum.

 

                Mentre estatico ascoltava questa celeste armonia, ecco apparire una quantità immensa di giovani, dei quali moltissimi io conosceva ed erano stati nell'Oratorio e negli altri nostri collegi; ma di essi la maggior parte mi era ignota affatto. Quella folla sterminata veniva verso di me. Alla loro testa si avanzava Savio Domenico, e subito dopo di lui procedevano D. Alasonatti, D. Chiala, D. Giulitto e molti, e molti altri chierici e preti, ciascuno guidando una squadra di giovani.

 

                Interrogava me stesso: - Dormo o son sveglio? - E batteva le mani una contro dell'altra e mi toccava il petto, per accertarmi essere una realtà quanto io vedeva. Giunta tutta quella folla innanzi a me, si fermò alla distanza di otto o dieci passi. Allora brillò un lampo di luce più viva, cessò la musica e si fece un profondo silenzio. Tutti quei giovani erano pieni di gioia grandissima, che loro traspariva dagli occhi, e sul loro volto si vedeva la pace di una felicità perfetta. Mi guardavano con un dolce sorriso sul labbro e comprava che volessero parlare; ma non parlavano. [588] Savio Domenico si avanzò solo di qualche passo ancora e si fermò così vicino a me, che se io avessi stesa la mano, l'avrei certamente toccato. Taceva, guardandomi esso pure sorridente. Come era bello! Le sue vesti erano al tutto singolari. La tonaca candidissima che scendevagli fino ai piedi era trapuntata di diamanti, e d'oro tutta intessuta. Un'ampia fascia rossa cingeva i suoi fianchi, ricamata così di gemme preziose che una quasi toccava l'altra; e intrecciandosi nel disegno meraviglioso, presentavano tale bellezza di colori, che io nel vederli mi sentiva trasportare fuori dei sensi per l'ammirazione. Dal collo gli pendeva un monile di fiori pellegrini ma non naturali: sembrava che le foglie fossero di diamanti uniti insieme su gambi d'oro e così tutto il resto. Questi fiori risplendevano di una luce sovrumana, più viva di quella del sole, che in quell'istante brillava in tutto lo splendore di un mattino di primavera; e riflettevano i loro raggi su quel viso candido e rubicondo in una maniera, indescrivibile; e così l'illuminavano che non si potevano neppur ben distinguere le loro varie specie. Il capo aveva cinto di una corona di rose. La capigliatura scendevagli ondeggiante giù per le spalle e gli dava un aspetto così bello, così affettuoso, così attraente che sembrava... sembrava... un angelo!

 

                Don Bosco nel pronunziare queste ultime parole sembrava che facesse tino sforzo per trovare espressioni adattate; e le finì con un gesto indescrivibile, e un tono di voce che scosse tutti; era come uno che sia spossato dallo sforzo di trovare i termini per svelare a pieno la sua idea. Dopo breve pausa proseguì:

 

                Anche le persone di tutti gli altri risplendevano di luce. Erano vestiti in vario modo, e sempre stupendo; chi più, chi meno ricco; chi in una, chi in altra foggia; chi di un colore dominante, chi di un altro; e quelle vesti diverse avevano un significato che nessuno saprebbe comprendere. Ma tutti avevano i fianchi cinti con eguale fascia rossa.

 

                Io continuava ad osservare e pensava: . Che cosa vuol dire questo?... Come ho fatto a venire in questo luogo? . E non sapeva ove mi fossi. Fuori di me, tutto tremante per riverenza, non osava andare avanti. Anche tutti gli altri continuavano a rimaner silenziosi. Finalmente Savio Domenico aperse la bocca: . Perchè tu stai lì muto e quasi annichilito? Non sei tu quell'uomo che una volta di nulla ti spaventavi, ma affrontavi intrepido le calunnie, le persecuzioni, i nemici e le angustie e pericoli di ogni fatta? Dov'è il tuo coraggio? Perchè non parli? .

                Io risposi a stento quasi balbettando: . Non so che cosa dire. Sei tu dunque Savio Domenico? [589] - Sono io! Non mi riconosci più?

 

                - E come va che ti trovi qui? - io replicai sempre confuso.

 

                E Savio affettuosamente: - Son venuto per parlarti! Tante volte ci siamo parlati sulla terra! Non ti ricordi quanto un giorno tu mi amavi? Quante volte tu mi hai dati numerosi pegni di amicizia e mi hai usato tanti tratti di benevolenza! E questo tuo vivo amore non era da me corrisposto? Era tanto grande la mia confidenza in te! Perchè dunque sei così sgomentato? Perchè dunque tu tremi? Orsù fammi qualche interrogazione!

                Allora io mi feci animo e gli dissi: - Io tremo, perchè non so ove mi sia.

 

                - Sei nel luogo della felicità, mi rispose Savio, ove si godono tutte le gioie, tutte le delizie.

 

                - E' questo adunque il premio dei giusti?

 

                - No, no! qui siamo in un luogo dove non si godono i beni eterni, ma invece dove, benchè grandi, si hanno solamente beni temporali.

 

                - Sono dunque naturali tutte. queste cose?

 

                - Sì; abbellite però dalla potenza di Dio.

 

                - E a me pareva, io esclamai, che questo fosse il paradiso!

 

                - No, no, noi rispose Savio. Nessun occhio mortale può vedere le bellezze eterne.

 

                - E queste musiche, io continuava, sono le armonie che godete in paradiso?

 

                - No, no, e sempre no!

 

                - Sono suoni naturali?

 

                - Sì, sono suoni naturali. perfezionati dall'onnipotenza di Dio.

 

                - E questa luce che supera la luce del sole, è luce soprannaturale? E' luce di paradiso?

 

                - E' luce naturale, ravvivata però e perfezionata dall'onnipotenza di Dio.

 

                - E non si potrebbe vedere un poco di luce soprannaturale?

 

                - Non si può vedere da alcuno senza che sia giunto a vedere Iddio sicut est. Il minimo raggio di quella luce farebbe morire un uomo all'istante, poichè non è sostenibile dalle forze dei sensi umani.

 

                - E si potrebbe avere una luce naturale ancor più bella di questa?

 

                - Oh se tu sapessi! Se vedessi solamente un raggio di luce naturale portata ad un grado superiore a questo, tu ne rimarresti fuori di te.

 

                - E non si può vedere almeno un raggio di questa luce che tu dici?

 

                - Sì che si può vedere; avrai la prova di ciò che io dico; apri gli occhi.

 

                - Li ho aperti, io risposi.

 

                - Sta' attento e guarda là in fondo al mare di cristallo. -

                Guardai in su e nello stesso tempo comparve d'improvviso nel [590] cielo ad una immensa distanza un'istantanea striscia di luce, sottilissima come un filo, ma così splendente, così penetrante che i miei occhi non poterono resistere. M chiusi e mandai un grido tale da svegliare D. Lemoyne (qui presente) che dormiva nella camera vicina. Spaventato, mi domandò al mattino che cosa mi fosse accaduto nella notte, da essere stato così agitato. Quel filo di luce era cento milioni di volte più chiaro del sole, e col suo fulgore basterebbe ad illuminare tutto l'universo creato.

 

                Dopo qualche istante apersi gli occhi e dimandai a Savio Domenico: - Che cosa è questo? Non è forse un raggio divino? -

                Savio rispose: - Non è luce soprannaturale, benchè in confronto della luce del mondo così sia superiore in fulgidezza. A questa niente altro che luce naturale resa più viva in tale modo dalla potenza di Dio. Se una zona immensa di luce, simile a quella striscia vista là in fondo, fasciasse tutto il mondo, non ti darebbe ancora un'idea degli splendori del paradiso.

 

                - E voi che cosa godete adunque in paradiso?

 

                - Eh, sì!... dirtelo è cosa impossibile. Quello che si gode in paradiso, non vi è uomo mortale che possa saperlo, finchè non sia uscito di vita e riunito al suo Creatore. Si gode Iddio! Ecco tutto. -

                Io intanto, essendomi pienamente riavuto dal mio primo sbalordimento, era assorto nel contemplare la bellezza di Savio Domenico e gli chiesi con franchezza: - Perchè hai un vestito così bianco e smagliante? -

                Savio tacque senza dar segno di voler rispondere. Il coro ripigliò allora la sua armonia, accompagnato dal suono di tutti gli strumenti, e cantò: Ipsi habuerunt lumbos praecinctos et dealbaverunt stolas suas in sanguine Agni.

 

                - E perchè, interrogai ancora finita quella musica, perchè quella fascia rossa ai tuoi fianchi? -

                Savio neppure questa volta rispose, anzi fe' come segno di non voler rispondere.

 

                E allora D. Alasonatti da solo si mise a cantare: Virgines enim sunt et sequuntur Agnum quocumque ierit.

 

                Allora io intesi come quella fascia rossa, color di sangue, fosse simbolo dei grandi sacrifizi fatti, dei violenti sforzi e quasi del martirio sofferto per conservare la virtù della purità: e come per mantenersi casto al cospetto del Signore, fosse stato pronto a dare la vita, se le circostanze così avessero portato: era anche simbolo delle penitenze che mondano l'anima dalle colpe. La bianchezza poi e splendore della veste, significano l'innocenza battesimale conservata.

 

                Io intanto attratto da quei canti e contemplando tutte quelle falangi di giovani celestiali schierati dietro a Savio Domenico, gli domandai: - E chi sono coloro che ti stanno attorno?... E come va che voi siete tutti così splendenti? io ripetei agli altri. - Savio continuava [591] a tacere e tutti quei giovani si posero a cantare: Hi sunt sicut Angeli Dei in caelo. Io intanto notava come Savio sembrasse avere la preminenza su quella moltitudine che era dietro a lui un dieci passi, quasi in rispettosa distanza e: - Dimmi, o Savio: tu sei il più giovane fra i molti che ti seguono e fra quelli che morirono nelle nostre case: perchè dunque vai così innanzi ad essi e li precedi? perchè tu parli e gli altri tacciono?

 

                - Io sono il più vecchio di tutti questi.

 

                - Ma no, io replicai; altri molti sono di te più avanti negli anni.

 

                - Io sono, il più antico dell'Oratorio, ripetè Savio Domenico, perchè sono stato il primo a lasciare il mondo e ad andare nell'altra vita. E poi legatione Dei fungor! -

                Questa risposta mi indicava il motivo di quella apparizione. Era l'ambasciatore di Dio. - Dunque, io dissi, parliamo ora di quelle cose che più in questo istante ci importano.

 

                - Sì, e fa' presto a domandarmi ciò che desideri ancora sapere. Le ore passano e potrebbe finire il tempo che mi è concesso per parlarti e non potresti più vedermi.

 

                - Io credo che tu abbia qualche cosa di somma importanza da comunicarmi.

 

                - Che cosa debbo dirti io, miserella creatura? disse Savio in atto di umiltà profonda, dall'alto ho ricevuta la missione di parlarti.

 

                Per questo che sono venuto.

 

                - Dunque, io esclamai, parlami del passato, del presente, dell'avvenire del nostro Oratorio. Dimmi qualche cosa dei miei cari figliuoli, parlami della mia Congregazione.

 

                - Riguardo a questa avrei molte cose a dirti.

 

                - Palesami dunque ciò che sai: dimmi del passato.

 

                Savio: - Il passato cade tutto sopra di te.

 

                Ed io: - Ne ho fatta qualcheduna delle mie?

 

                Savio: - Quanto al passato ti dico che la tua Congregazione ha già fatto molto del bene. Vedi laggiù quel numero sterminato di giovani?

 

                - Li vedo, risposi. Oh quanti! e come sono felici!

 

                Ed egli: - Guarda; che cosa sta scritto all'entrata di quel giardino?

 

                - Vedo: sta scritto Giardino Salesiano.

 

                - Or bene, continuò Savio; furono tutti Salesiani, o furono educati sotto di te, o con te ebbero qualche relazione, da te salvati o dai tuoi preti, o chierici, o altri che da te furono posti sulla via della loro vocazione. Númerali, se puoi! Ma sarebbero cento milioni di volte più numerosi, se tu avessi avuto maggior fede e confidenza nel Signore. -

 

                Io sospirai con un gemito. Non seppi che cosa rispondere a questo rimprovero e proponeva tra me stesso: Guarderò di avere per l'avvenire questa fede e questa confidenza. Poi dissi: - E il presente? - [592] Savio mi mostrò un magnifico mazzo di fiori che teneva fra le mani. Vi erano rose, viole, girasoli, genziane, gigli, semprevive o perpetue e in mezzo ai fiori spighe di grano. Me lo porse e mi disse: - Osserva!

 

                - Vedo... ma non capisco niente, io risposi.

 

                - Questo mazzolino presentalo ai tuoi figli, perchè possano offrirlo al Signore quando sia venuto il momento; fa' che tutti l'abbiano, che non vi sia alcuno che ne sia privo e che nessuno loro lo tolga. Con questo sta' sicuro che ne avranno abbastanza per essere felici.

 

                - Ma che cosa significa questo mazzo di fiori?

 

                - Prendi la Teologia, mi rispose: essa te lo dirà, te ne darà spiegazione.

 

                Ed io: - Ma la Teologia l'ho studiata e non saprei come ricavare da essa ciò che tu mi presenti.

 

                Savio: - Sei obbligato strettamente a saper queste cose.

 

                - Orsù, cavami dall'ansietà, dammi la spiegazione.

 

                Savio: - Vedi adunque questi fiori? Rappresentano le virtù che più piacciono al Signore.

 

                - E quali sono?

 

                Savio: - La rosa è simbolo della carità, la viola dell'umiltà, il girasole dell'obbedienza, la genziana della penitenza e della mortificazione, le spighe della comunione frequente; il giglio indica quella bella virtù della quale sta scritto: Erunt sicut Angeli Dei in caelo: la castità. E la sempreviva o perpetua significa che tutte queste virtù devono durare sempre: la perseveranza.

 

                - Or bene, mio caro Savio, io gli domandai, dimmi: tu che hai praticate queste virtù in vita, quale cosa più ti consolò in punto di morte?

 

                - Quale sembra a te che possa essere? rispose Savio.

 

                - Forse l'aver conservata la bella virtù della purità?

 

                - Eh no; non è questo solo.

 

                - Forse ti rallegrò l'aver la coscienza tranquilla?

 

                - E’ già una buona cosa, ma non è ancor la migliore.

 

                - Sarà stato adunque tuo conforto la speranza del paradiso? Neppure!

 

                - Dunque, sarà l'aver fatto tesoro di molte opere buone?

 

                - No, no.

 

                - Quale adunque fu il tuo conforto in quell'ultima ora? -- Così gli dissi con aria supplichevole, imbarazzato dal non riuscire ad indovinare il suo pensiero.

 

                - E Savio: - Ecco: ciò che più mi confortò in punto di morte fu l'assistenza della potente ed amabile Madre del Salvatore! E questo dillo ai tuoi figli! Che non si dimentichino di pregarla finchè sono in vita. Ma fa' presto, se vuoi ch'io possa ancora risponderti.

 

                - E pel futuro che cosa mi dici?

 

                - Nell'avvenire, l'anno prossimo venturo 1877 avrai da provare [593] un grande dolore. Sei più due fra coloro che ti sono più cari saranno da Dio chiamati all'eternità. Ma consòlati: saranno trapiantati da questo campo del mondo nei giardini del paradiso. Saranno incoronati. Non temere però; il Signore ti aiuterà e ti darà altri figli anche buoni.

 

                - Pazienza! E per ciò che riguarda la Congregazione?

 

                - Riguardo alla Congregazione sappi che Iddio ti prepara grandi cose. Per essa l'anno venturo sorgerà un'aurora di gloria così splendida che illuminerà come un lampo i quattro angoli del mondo, dall'oriente all'occidente, dal mezzodì al settentrione. Grande gloria è per lei preparata. Ma tu procura che il carro sul quale sta il Signore, non sia trascinato dai tuoi fuori delle guide e del sentiero. Se i tuoi preti sapranno così condurlo ed essere degni della loro alta missione, l'avvenire sarà splendidissimo ed apporterà salute ad una infinità di persone. Ad una condizione però: che i tuoi figli siano divoti della Beata Vergine e sappiano conservare la virtù della castità, che tanto piace agli occhi di Dio, per l'universalità della Casa.

 

                - Ora io vorrei, soggiunsi, che tu mi dicessi qualche cosa della Chiesa in genere.

 

                - I destini della Chiesa sono nelle mani di Dio Creatore. Ciò che è stabilito nei suoi infiniti decreti non posso rivelartelo. Egli riserva unicamente per sè tali arcani e nessuno degli spiriti creati può esserne partecipe.

 

                - E di Pio IX?

 

                - Ciò che posso dirti si è che il Pastore della Chiesa non avrà più da combattere a lungo su questa terra. Poche sono le battaglie che deve ancor vincere. Fra poco sarà tolto di seggio e il Signore gli darà la meritata mercede. Il resto si sa. La Chiesa non perisce. Hai qualche altra cosa da domandarmi?

 

                - E in quanto a me? io gli chiesi.

 

                - Oh se sapessi quante vicende hai ancora da sostenere!... Ma sbrigati che è più poco il tempo che mi è concesso per parlarti.

                Allora con slancio io tesi le mani per afferrare quel santo figliuolo, ma le sue mani sembravano aeree e nulla strinsi.

 

                - Folle! che cosa fai adesso? mi disse Savio sorridendo.

 

                - Ho paura che tu mi fugga, esclamai Ma tu non sei qui col corpo?

 

                - No, col corpo. Lo riprenderò un giorno.

 

                - Ma cosa sono queste tue sembianze? Se io vedo proprio in te la figura di Savio Domenico!

 

                - Vedi, ci diceva, quando l'anima è separata dal corpo e con permissione di Dio si fa vedere a qualche mortale, conserva la sua forma ed apparenza esterna, con tutte le fattezze del corpo stesso, come quando viveva sulla terra, e così, sebbene grandemente abbellite, le conserva finchè a lui non sia riunita nel giorno del giudizio universale. Allora lo terrà seco in paradiso. Perciò ora ti sembra che [594] io abbia mani, piedi, capo, ma tu non potresti fermarmi essendo io puro spirito. E’ questa forma esterna che mi ti fa conoscere[230].

 

                - Ho inteso, io ripresi. Ascoltami. Ancora una risposta. I miei giovani sono tutti sulla buona via per salvarsi? Dimmi qualche cosa, perchè io possa dirigerli bene.

 

                - Riguardo ai figli che la Provvidenza Divina ti ha affidati, si possono dividere in tre classi. Vedi queste tre note? (e me ne porgeva una). Osservale. -

                Io guardai la prima nota. Sopra di essa era scritto Invulnerati: cioè coloro che il demonio non aveva potuto ferire; che non hanno macchiata la loro innocenza di colpa alcuna. Erano in gran numero questi sani, e li vidi tutti. Molti di essi io già li conosceva; molti era la prima volta che li vedeva, e forse dovranno venire all'Oratorio negli anni futuri. Camminavano diritti per uno stretto sentiero, non ostante che fossero continuamente fatti bersaglio alle saette e ai colpi di spade e di lancie che partivano da ogni parte. Queste armi che formavano come siepe lungo le due sponde della via, li combattevano e li molestavano senza ferirli.

 

                Allora Savio mi diede la seconda nota. Eravi scritto sopra: Vulnerati: cioè coloro che erano stati in disgrazia di Dio, ma ora risorti in piedi, avevano curate le loro ferite, essendosi pentiti e confessati. Erano costoro in numero maggiore dei primi e avevano riportate le ferite sul sentiero della loro vita, dai nemici che facevano siepe al loro viaggio. Lessi la nota dei loro nomi e tutti li vidi. Molti andavano curvi e scoraggiati.

 

                Savio aveva ancora in mano la terza nota. Sopra questa eravi l'epigrafe: Lassati in via iniquitatis. Vi erano scritti i nomi di tutti quelli che si trovano in disgrazia di Dio. Era impaziente di conoscere quel segreto: quindi stesi la mano. Ma Savio mi disse con vivacità: - No; aspetta un momento e ascolta. Se apri questo foglio, tale ne uscirà un fetore. che nè tu nè io potremmo sopportarlo. Gli angioli debbono ritirarsi stomacati e inorriditi per questo, e lo stesso Spirito Santo sente ribrezzo della puzza orribile del peccato.

 

                - Ma come, io osservava, ciò può essere, se Dio e gli angioli sono impassibili? Come possono sentire il puzzo della materia?

 

                - Sì, perchè quanto più le creature sono buone e pure, tanto più si avvicinano agli spiriti celesti: al contrario quanto più uno è cattivo, disonesto e sozzo, tanto più si allontana da Dio e dagli angeli, i quali da lui si ritraggono, divenuto per loro oggetto di schifo e di nausea. - Quindi mi diede la nota, e: - Prendila pure, mi disse, aprila e sàppine fame profitto per i tuoi giovani: ma ricòrdati sempre del [595] mazzolino che ti ho dato: fa' che tutti l'abbiano e lo conservino. Ciò detto, dopo avermi data la noto, si ritirò in mezzo ai suoi compagni, quasi in atto di fuggire.

 

                Apersi la nota. Non vidi alcun nome, ma all'istante mi furono presentati in un colpo d'occhio tutti gli individui scritti in quella, come se io vedessi proprio in realtà le persone stesse. Tutti lì vidi e con amarezza. La maggior parte io li conosceva e appartenevano a questo Oratorio ed agli altri collegi. Vidi pure molti che in mezzo ai compagni figurano come buoni, anzi alcuni che compariscono ottimi e tali non sono. Ma nell'atto di aprir quella carta, si sparse intorno un tale fetore che era insopportabile. Fui subito assalito da dolori acerbissimi di capo e di sforzi di vomiti tali che temeva morirne. Intanto l'acre si fece oscuro, in esso sparve la visione, e nulla più vidi di quel meraviglioso spettacolo. Nello stesso tempo guizzò un fulmine e rimbombò un colpo di tuono così forte e terribile, che mi svegliai tutto spaventato.

 

                Quell'odore penetrò in tutte le pareti, s'infiltrò nelle vesti, di modo che molti giorni dopo mi pareva di sentire ancora quella pestilenza. Tanto è puzzolente agli occhi di Dio perfino il nome del vizioso! Ancora presentemente, appena mi ritorna alla memoria quella puzza, mi vengono i brividi, mi sento soffocare e lo stomaco viene eccitato al vomito.

 

                Là a Lanzo ove io mi trovava, ho incominciato ad interrogare l'uno e l'altro, ho avvertito parecchi giovani ed ho scoperto che quel sogno non mi aveva ingannato. E' dunque una grazia del Signore che mi fece conoscere lo stato dell'anima di ciascuno; ma io però di questo non dirò nulla in pubblico. Qui ci sarebbero molte spiegazioni da fare, ma queste le riserbo per altra sera. Ora non mi resta più che di augurarvi la buona notte. -

 

                Quel vedere nel sogno dati per cattivi certi giovani che passavano per i migliori della casa, aveva messo Don Bosco in sospetto che si trattasse di un'illusione. Ecco perchè era venuto chiamando precedentemente parecchi ad audiendum verbum: voleva assicurarsi bene intorno alla natura del sogno. Per lo stesso motivo rimandò di quindici giorni il racconto. Quando fu ben certo che la cosa veniva dall'alto, parlò. Altre conferme le avrebbe arrecate il tempo, mercè l'avveramento delle predizioni udite.

 

                La prima predizione, ed era la più importante, riguardava il numero dei cari figliuoli, che sarebbero morti nel '77, distinti in due gruppi: sei più due. Ora i registri della prefettura [596] esterna dell'Oratorio pongono la croce, solito segno di decesso, accanto ai nomi di sei giovani e di due chierici [231]. La seconda predizione annunciava per la Società Salesiana nel 77 un'aurora così splendida, che avrebbe illuminato i quattro angoli del mondo; infatti si levò in quell'anno sull'orizzonte della Chiesa l'associazione dei Cooperatori Salesiani e spuntò il Bollettino Salesiano, due istituzioni che dovevano portare da un capo all'altro della terra la conoscenza e la pratica dello spirito di Don Bosco. La terza predizione toccava la non lontana fine del Papa Pio IX, che difatti cessò di vivere quattordici mesi dopo il sogno. L'ultima predizione sonò amara per il Beato: “Oh se sapessi, quante vicende hai ancora da sostenere!”. E realmente nel restante della sua vita, che durò ancora undici anni e due mesi, lotte e fatiche e sacrifizi si avvicendarono per lui senza tregua fino all'estremo respiro.

 

                Reggeva il commissariato di pubblica sicurezza a Borgo Dora un signore, che aveva parecchie conoscenze nell'Oratorio. Egli udì del sogno e lo colpì il vaticinio degli otto morituri. Stette in osservazione durante tutto il '77, per vedere quanto vi fosse di vero. Alla notizia dell'ottavo caso, capitato proprio nell'ultimo giorno dell'anno, disse addio al mondo, si fece salesiano e lavorò molto non solo in Italia, ma anche in America. Fu Don Angelo Piccono, il cui nome sopravvive ancora nella memoria di molti.

 

                Nella vigilia di Natale, sempre con l'intento di dare al noviziato una vita e una fisionomia propria, distinta da tutto il resto della casa, fu attuata l'idea di assegnargli un refettorio [597] a sè. I novizi dunque presero possesso del luogo loro destinato, provvedendovi pure da sè per turno al servizio delle mense. Quel separarsi dai professi e specialmente l'andar lontano da Don Bosco non passò senza dispiacere; ma Don Bosco era insuperabile nell'arte di far eseguire con entusiasmo cose sgradevoli. L'annunzio dell'emigrazione dato in forma amena, la novità stessa del fatto, le tavole messe pulitamente con utensili nuovi, i chierici di servizio con i loro grembiali candidi sulla veste nera, la dispensa dalla pubblica lettura,' tutto contribuì a diffondere una nota allegra fra i trasmigrati.

 

                Il Servo di Dio, secondo il consueto, cantò la Messa della mezzanotte. Un decreto dell'Autorità superiore in data del 21 accordante il permesso di quella cerimonia imponeva l'obbligo di celebrarla undequaque ianuis clausis. Quell'undequaque che vuol dire da ogni parte, mise in serio imbarazzo il buon vicedirettore. Tale avverbio ingiungeva di chiudere anche le porte della chiesa che davano nell'interno dello stabilimento? E allora come vi entravano gl'invitati? Scrisse a Don Bosco un biglietto, in cui gli diceva: “Favorisca leggere le ultime righe di questo decreto, per vedere se quel undequaque ianuis clausis colpisce anche noi, che lasciamo l'entrata ai forestieri pel cortile interno, e se domani andando là possa interrogare il segretario Arcivescovile”. Con un tratto di penna Don Bosco lo liberò dagli scrupoli. Gli rinviò il suo biglietto, scrivendovi in margine: “Entreremo tutti dal campanile”.

 

                Alla sera il Servo di Dio ricevette la professione perpetua da quattro preti e da un chierico e la triennale da due chierici[232], essendo presenti tutti gli ascritti e i professi della casa; poi prese la parola, esordendo in questo modo.

 

                Dopo questa funzione io soglio dire alcune parole in proposito. Ora, mentre si facevano i voti, mi correvano vari pensieri per la mente. Abbiamo qui quattro sacerdoti che vengono da lontani paesi [598] e che sono entrati nella Congregazione. Questo fatto mi suggeriva il primo pensiero, quello cioè che si lesse in refettorio riguardo a Noè, quando Iddio gli manifestò che avrebbe sterminato il genere umano e che egli si preparasse un'arca nella quale trovar rifugio. Ora Noè ci presenta l'immagine di colui che vedendo nel mondo tanti pericoli, pensa di cercarsi un luogo di scampo per liberarsene, e per rompere ogni relazione con quelli, i quali a questi pericoli vanno pazzamente incontro.

 

                Di coloro che vogliono fuggire il mondo è similmente figura Lot, che lascia le perverse città e si ritira sui monti. Lo stesso deve dirsi di Elia, che perseguitato dai nemici fugge nei deserti a vivere stentatamente, piuttosto che stare con gente pessima quale era Gezabele e i suoi fautori. Tutti questi fatti indicano i pericoli che vi sono nel mondo, e che per essere salvi da essi è preparata da Dio la vita religiosa.

 

                Premesso questo, divise la sua conferenza in due parti[233]. Nella prima parte, ricordato essere suo costume, quando invitava alcuno a entrare nella Congregazione, massime se adulto, promettergli. pane, lavoro e paradiso, si accinse a spiegare graficamente la cosa, prendendo i nuovi professi quasi per mano e introducendoli nella casa salesiana, cioè nella Congregazione. Disse che li avrebbe condotti a vedere la Casa Madre, perchè poi tutte le case le avrebbero trovate come questa.

 

                In primo luogo li fece entrare dalla porteria, ricevuti con belle maniere dal portinaio salesiano, che definì un gran tesoro per una casa di educazione; li presentò al prefetto degli esterni e li menò in direzione, ritraendo loro al vivo l'amabilità e la paternità propria di chi esercitava tali uffici. Di là sopra fece osservare i cortili popolati di ragazzi, che in compagnia dei loro assistenti si divertivano in modo vario a loro piacimento. Poi li accompagnò nelle scuole e nello studio, spiegando quale metodo si usasse per avviare gli alunni [599] all'adempimento dei propri doveri. Lo stesso fece vedere nei laboratori, specificando le incombenze dei capi e degli assi stenti. - Ecco, diceva, come si lavora da tutti questi sacerdoti, chierici e coadiutori, con uno stesso spirito e con l'unico scopo di salvare le anime. - Additò quindi là in alto, nel centro dell'Oratorio, la sua cameretta, dove li invitò a visitarlo spesso per manifestargli le loro impressioni, esporgli i loro dubbi e sentire una parola da amico.

 

                Dopo volse il passo all'oratorio festivo. Ivi gran movimento di giovani e di adulti, che accorrevano ne i giorni festivi a compiere i loro doveri religiosi; ivi tutto un sapiente ordinamento di scuole catechistiche, di giuochi, di pratiche religiose; ivi Don Bosco appariva proprio nel suo centro.

 

                Di là scese nei refettori, dove con paterna semplicità disse loro che assaggiassero il Pane di Don Bosco, pane ch'ei chiamò della divina Provvidenza, somministrato mediante la carità di tanti buoni Cooperatori e dai Salesiani diviso con i loro poveri giovanetti, studenti e artigiani.

 

                Esposte così le due prime parti dell'enunciato suo programma, pane e lavoro, quasi stringendosi in più intimo colloquio con i suoi, disse con atto di viva compiacenza:- Dopo tutto quello che abbiamo veduto, ci resta ancora meglio non solo da vedere, ma da gustare: il paradiso.-

 

                L'uditorio sospeso e curioso aspettava di udire quale fosse il paradiso inteso allora da Don Bosco. Era il santuario di Maria Ausiliatrice! E lo rappresentò in modo, da svegliare in essi non solo ammirazione, ma vero gaudio. Bellamente li introdusse dalla porta del fondo, su su, fino davanti all'altare di Gesù Sacramentato e al quadro della Madonna. Parlò delle solenni funzioni, della divozione di tanti giovani e fedeli, delle musiche e dei canti, della frequenza ai sacramenti, delle visite al Tabernacolo e al trono dell'Ausiliatrice. Arrivato a questo punto, domandò: - E tutto questo non vi pare proprio un bel preludio del paradiso? -

                Conchiuse così la prima parte: - Queste medesime cose [600] voi le troverete in tutte le nostre case e chiese. Dappertutto avrete pane, lavoro e paradiso. Vi capiterà fors'anche, come agli Ebrei nel deserto, d'incontrare acque amare, cioè disgusti, malattie, prove difficili, tentazioni; ebbene, ricorrete al rimedio indicato da Mosè: mettete nelle acque amare il legno che ha la proprietà di addolcirle, voglio dire il legno della Croce, ossia la memoria della Passione di Gesù e del suo divino Sacrifizio, che si rinnova quotidianamente sui nostri altari. -

                Compiuto il giro immaginario per tutta la casa, ritornò sul concetto del lavoro, che sviscerò più a fondo. Detto pertanto che la nostra è vita attiva, vita operosa, proseguì:

 

                A questo riguardo S. Ambrogio che toglie dalla Storia sacra e profana i fatti da applicare alla vita religiosa, fa una bella similitudine, prendendola dalle api, e credo che questo Santo abbia studiato bene Virgilio, o almeno lo abbia letto più volte. Egli incomincia: L'ape sa scegliere il suo tempo. Sa quando ha da uscire o da ritirarsi. Quando piove, ovvero tuona, o scoppia la tempesta, insomma quando fa cattivo tempo, le api non escono dai loro alveari, ma vi stanno dentro ben chiuse; e quando per avventura la pioggia o il turbine le sorprendesse in campagna, fuggono all'alveare, e se non avessero tempo ad arrivarvi per la lontananza e l'imminenza del pericolo, si riparano al più presto che possono in luogo sicuro, sotto una rupe, nel cavo di un tronco, o sotto le frondi di un albero folto.

 

                Ciò che le api fanno per istinto, voi fatelo per obbedienza, e ciò sia norma da seguire anche nelle altre cose. Con questa obbedienza qual bene immenso potremmo fare per noi e per gli altri!

 

                Un religioso che vuole uscire, se sente i rumori del mondo, allora non deve uscire. Se tu hai lasciato il secolo, ritornandovi tu ti trovi in pericolo. Così se noi ci trovassimo pel mondo e l'anima nostra corresse qualche rischio, se possiamo, ritiriamoci subito nell'alveare, nella nostra casa: o almeno cambiamo abitazione o conversazione o modi di fare per lasciare, appena ne abbiamo tempo, qualunque cosa, per volare in sito di sicurezza.

 

                S. Ambrogio prosegue: Voi che volete farvi religiosi osservate le api, quando hanno preso possesso degli alveari che il contadino ha loro preparati. Sono composti di assi nudi, ed essi ne fanno un'abitazione ordinata. Sanno che vi è una pianta con una scorza sottilissima che dà un sugo, ed esse volano e ne estraggono una sostanza amarissima attaccaticcia. Quindi ritornano, e di questa sostanza [601] spalmano tutto intorno l'alveare, e non vi lasciano buco di sorta. Vi sono bensì all'entrata molti buchi, ma questi riducono poi tutti in un solo, e tutte debbono passare per questo, entrando e uscendo. Così operano sia perchè quelli che sono di fuori non possano osservare quello che si fa là entro, sia perchè gli animaletti corroditori tentando di entrare in quella abitazione siano respinti dall'amarezza di quella sostanza, come pure gli insetti che vorrebbero mangiarsi il miele: e se il falegname avesse messo del vetro per poter vedere dentro, esse lo ungono con quel sugo, per cui non si può più vedere.

 

                Voi religiosi turate le finestre, sicchè non possiate più vedere il mondo. Imitate l'ape che da quell'albero ricava quel sugo amaro. L'albero per noi è la croce, da cui possiamo prendere fortezza con pregare e meditare. A Gesù siano rivolti tutti i nostri desideri. Questo ritiro, è vero, non è un passatempo, ha le sue amarezze, costa dei sacrifizi. Ma questo sugo della croce è come quello dell'ape, il quale impedisce agli insetti nocivi e nemici di entrare nell'alveare. Questi insetti tarlando il legno, se potessero entrare, cercano di uccidere l'ape e di mangiarle il miele; ma toccato quel sugo amaro, o muoiono o non possono più muoversi. Anche noi vinceremo i nostri nemici tenendoci, alla croce: ma non basta prenderla solamente in mano e baciarla; bisogna portarla. Abbiamo tutti la croce, e chi comanda, e chi obbedisce; ciò vuol dire sopportare i pesi inerenti al nostro ufficio; saper sopportare privazioni e mortificazioni. Ovunque poi vi sono amarezze da soffrire, che si chiamano mortificazione dei sensi, e da queste usciremo vincitori, dando un'occhiata a Gesù crocifisso.

 

                Notate quello che dice S. Ambrogio. Queste api in qualunque numero si trovino nell'alveare, hanno un solo passaggio anche a costo di dover certe volte aspettare.

 

                Così noi nelle nostre case dobbiamo avere un solo passaggio, anche materiale, una sola porta per uscire. Si sappia chi sia uscito, perchè nessuno cada in cose indebite. Questa suggezione quanto è salutare! Ed anche pel lato materiale si ricava un grande vantaggio dall'esservi una sola uscita. Se vi sono più porte, non si sa se il tale sia dentro o sia fuori. Si va a chiamare da una parte, e vien risposto: - Andate a vedere da quell'altra. - Si va, e si riceve un'eguale risposta. Se invece vi ha una porta sola, il portinaio nota tutti quelli che escono, e all'opportunità sa darne conto; quindi, se il Superiore avesse bisogno di dare una disposizione, non deve angustiarsi a cercare invano.

 

                Ma la cosa più importante si è che il demonio tenta d'insinuarsi per ridurre un religioso allo stato di prima. Voi sapete che quanto più uno cerca di staccarsi dal mondo e vuole lasciarlo affatto, tanto più il demonio cerca di attaccare il suo cuore alle cose terrene e di trarlo fuori dal luogo di religione. [602] Entra il demonio in qualsiasi Congregazione, adocchia uno e pensa: - Egli si trova in mezzo ai compagni che col loro buon esempio lo edificano; è guardato dai Superiori che lo sorvegliano, fortificato da tante pratiche di pietà. Se io potessi fargliene una! se uscisse un poco!

 

                E il demonio non penserebbe forse di ucciderlo subito nell'anima? Oh no, non lo uccide subito, perchè vuole spingerlo a poco a poco senza spaventarlo. Il diavolo che è molto logico, non pensa già a suggerirci al primo attacco di portarci in mezzo a compagnie pericolose e a discorsi cattivi; oh no! Ma pensa solo a farci uscire da questo luogo di sicurezza. E poi fuori ci saranno persone che parleran male della Congregazione o della stessa Religione, ci saran ciarlatani che fanno atti indecenti, funambole al certo non modestamente vestite, buontemponi che ostentano la loro felicità nel mangiare e nel bere, e tante altre cose, per cui la vostra castità sarà danneggiata.

 

                Un religioso amante di novità esce senza bisogno dalla sua casa. Ebbene, qui uno dice spropositi contro la moralità; altrove un'immagine, una fotografia che si offrono ai suoi sguardi; e l'immagine gli resta impressa, la porta sempre con sè, lo accompagna di giorno e di notte. Resisterà, ma lo spirito si raffredda, gli viene la voglia di divagarsi, di uscire e quindi di andare a passare qualche tempo a casa. E finisce con cadere. miseramente. Gli esempi di ogni tempo ci fanno sperimentare che quando il demonio può far uscire uno indebitamente, lo vince. E Satana non manca di suggerire pretesti: è così abile nell'arte d'insinuarsi!

 

                - Andiamo qualche giorno a casa, c'è quel parente che mi aspetta, dice uno. La farò la mia meditazione, la mia lettura spirituale, reciterò le mie preghiere e sarò fedele alle altre pratiche di pietà, come se fossi in Congregazione. -

                Sì? Va pure nel secolo con questo pensiero, e vedrai. Vorrei sapere quanti di quelli che vanno a casa loro osservino fedelmente questo proponimento. Simile cosa è già accaduta a tanti altri; non credevano alle mie parole, vollero provare, e conobbero a proprie spese che cosa è il mondo. Si va, si incomincia a vedere, a parlare: poi la bottiglia, il giuoco, poi divertimenti d'altro genere; quindi il mangiare e la gola. Mettetevi nell'occasione! Riuscirete a schivare i suoi lacci? Ah! uno resterà morto; e se non morto, almeno ferito. Se ne riesce illeso, la stimi pure una grazia eccezionale, che il Signore gli ha fatta. Ah! costui si rifugi presto nel suo chiostro, qui nella casa dove egli ha fatto i voti, e il demonio non avrà più tanto agio per tentarlo; qui vi sono buoni compagni, qui occupazione per ogni genere di persone e per ogni abilità e tutte fonti di merito immenso presso Dio.

 

                E per proseguire a parlarvi più a lungo delle api, continuerò a ripetervi ciò che dice S. Ambrogio; perchè se io avessi un poco di tempo vorrei fare un libro apposta, che paragonasse alla vita delle api la vita del religioso. Quando una di esse è in campagna ed ha fame, [603] prende di quello che ha raccolto per cibarsene? No, giammai! Essa osserva la regola; quando abbia terminato di raccogliere tutto quello che ha potuto, torna all'alveare, ed entra per quell'unico foro, per cui passano tutte le altre. E allora prende forse cibo? No: essa aspetta il cenno della regina, senza il comando della quale non fanno mai nulla, affinchè venga un'altra ape che fa l'ufficio di scaricarle del peso, e attende con pazienza finchè l'altra colla, sua paletta abbia preso ciò che essa ha raccolto e l'abbia riposto. E tante volte si vedono api lì così cariche, che non ne possono più, e a stento stanno in piedi, tutte affamate, eppure aspettano. Quando fu scaricata del suo far dello, si ciba solo di quelle bricciole che la compagna ha lasciate per terra nel portar via quella roba che pure essa stessa ha raccolta. Poi va a riposare, ed un'altra viene al suo posto, e così lavorano tutte, tutte fanno la loto parte per accrescere il patrimonio comune. Vanno vengono, e nessuna domanda conto all'altra del fatto suo. Tutte hanno la loro occupazione.

 

                Quanto diversamente fanno certuni riguardo alla regola ed all'economia del cibo! Quante volte ci si offre il mezzo di fare entrare un chiodo nell'uscio della cucina o della dispensa, e, siccome dentro vi è tino piuttosto buono, contiamo di fare quanto vogliamo, oppure entriamo a rubacchiare in giardino insalata o frutta! Eh no: non va bene. Questi gravi inconvenienti si devono evitare a tutta possa. Se quest'oggi si permetterà ai chierici, domani si permetterà anche ai giovani, i quali così vedendo diportarsi gli assistenti, li imiteranno senz'altro.

 

                Le api osservano anche l'ora della levata. Tante volte al mattino sentite dentro all'alveare un ronzìo che vi dice essere le api già deste: ma non escono ancora. Altre volte le vedete in lunga fila attaccate l'una all'altra che fanno catena, ma si guardano bene di uscire, prima del cenno della regina. Quando poi la licenza è data, escono tutte in folla per andare al lavoro. Se però una uscisse prima del segnale, la notano, e alla sera quando ritorna, i giudici la fermano sull'entrata, la prendono, fanno il loro atto di giustizia, poi la morsicano nelle ali e la uccidono. Vedete, per una sola disubbidienza! Vanno a dormire nel medesimo tempo. Solo alla sera non si tien conto se qualcuna viene più tardi, perchè questo non dipende da loro, ma dalle distanze, o dal non aver trovato subito quel tanto da portare a casa.

 

                E noi pratichiamo tale obbedienza nello stare al cenno della campana?

 

                Nessuna delle api si muove, se non agli ordini della regina. Quando crescono in numero troppo grande, sicchè non possono più star tutte insieme, affinchè non avvengano disordini, la regina ne separa molte dalle compagne, crea loro una nuova regina, e sembra dica: - Avete qui imparato a vivere, a farvi una casa, i buchi, il miele, la cera; ora servitevi di ciò che avete imparato. Saremo sempre amici, sempre [604] d'accordo, ma procuriamo di non essere d'impedimento le une alle altre. Non veniteci a disturbare, e noi non verremo a disturbar voi. - E dice alla nuova regina: - Va', guida i tuoi a cercar fortuna. E quelle se ne partono tutte insieme e vanno in qualche albero vuoto od in altri alveari loro preparati, e fondano il loro regno. E la regina novella che ha cercato la sua sede, regna e dà gli ordini.

 

                Tale e quale come le nostre spedizioni di Missionari.

 

                Ma quello ancora che si osserva nelle api si è, che esse non lavorano d'inverno, e non vanno a raccogliere, perchè non vi sono fiori, ma si riposano e stanno tutte raccolte, si dispongono per lavorare con alacrità nella primavera.

 

                Così noi dobbiamo star qui raccolti, e alla primavera della vita usciremo poi, e faremo gran frutto. Ritiratezza e preparazione. Prepariamoci a combattere le tentazioni, le discordie, le risse e le altre passioni che solo colla ritiratezza si vincono. Ed è per questo, che tra noi prima di emettere i voti, si fanno alcuni giorni di esercizi spirituali per disporci alle solenni promesse da farsi a Dio e ad osservarle poi esattamente.

 

                Militia est vita hominis super terram. Militare è combattere per vincere i nemici spirituali: combatte il soldato col ferire ed ammazzare, il religioso col fuggire per salvarsi. Noi, lasciato il secolo, dobbiamo combattere, fuggendo luoghi e persone, e qualunque cosa presenti pericoli per l'anima. Ma i religiosi fanno come i militari, benchè diversi, i loro esercizi di preparazione.

 

                Stando ritirati in tempo utile, si acquistano scienza a virtù. Chi si prepara affronta i pericoli e li vince. Resosi forte collo studio, colla meditazione, coi sacramenti, colle vi ' site in chiesa, a vincere i sensi, uscirà dall'alveare, andrà nel luogo a lui fissato e raccoglierà mani poli nel campo del Signore. Ma non esca, se non ha speranza di vin cere. Ma chi ha fatto quanto sta in sè per prepararsi, ed ha ricevuto l'ordine dal Superiore, possiede questa speranza, e vada pure in mezzo a qualunque pericolo; non cadrà più. Per promuovere la gloria di Dio passerà sopra gli aspidi e gli scorpioni e non cadrà, perchè sarà sostenuto dalla mano del Signore.

 

                Noi dobbiamo ancora prendere esempio dalle api nel lavorare. Esse di giorno lavorano tutte indefessamente, e vanno di siepe in siepe, di fiore in fiore, qua e là anche per miglia e miglia, finchè non ritornano a casa colla loro provvigione. Arrivate che sono all'alveare separano il miele dalla cera, mettono il miele in un posto, la cera in un n altro, e tornano al lavoro.

 

                E quando ve ne sono di quelle pigre, che vogliono solamente cibarsi dei sudori altrui, e non vogliono lavorare, i giudici pronunciano la sentenza, e quindi ne succedono poi quei combattimenti che si vedono tante volte fra le api. Tutto l'esercito va loro attorno: ed una la punge di dietro; ella si volta per vendicarsi, ed un'altra che l'aspetta [605] la morde in un'ala, un'altra nell'altra ala, e non potendo essa più volare, le compagne la fanno andar giù dall'alveare. E fa poi compassione tante volte il vedere delle api stramazzate a terra che non possono più sollevarsi in aria, e sono schiacciate dalle persone che passano. Nell'alveare si lasciano solamente quelle che possono lavorare e lavorano volentieri.

 

                Qui sono i differenti uffizi: uno lava i piatti, un altro fa il cuoco: un terzo invece ha studiato, e predica e confessa o fa scuola. Chi scopa, chi assiste. Chi non può faticare prega, e dà consiglio agli altri. Ciascuno fa la sua parte: e faccia bene il suo ufficio, e ogni cosa andrà prosperamente. Dice S. Paolo. Obedite praepositis vestris et subiacete eis, non in quello che piace a voi, ma in quello che piace al Superiore.

 

                Mi ricordo di un mio antico compagno che lavava i piatti come un giorno li lavavo io, e diceva di me: - Egli si è dato agli studi: ora è prete, si fa onore, è rispettato, ed io sempre qui allo stesso punto, sempre un lavapiatti, a pian terreno. Non l'invidio, ma!...

 

                - Ma tu fa' quello che spetta a te, qualunque lavoro sia. Pensi tu forse che Don Bosco avrà maggior premio?

 

                - Oh egli confessa, dice messa, si fa dei meriti!...

 

                - Ma dimmi: acquista più meriti un confessore a confessare tutta la mattina, o un altro a lavare le scodelle? Non vi è differenza. La Congregazione è formata tanto dall'uno come dall'altro. Se non ci fossi tu. ciò che tu fai, lo dovrebbe fare quel prete. Siamo tutti uguali, e tutto è di tutti. Uno farà una cosa, l'altro ne farà un'altra: ma siccome formiamo corpo per la gloria di Dio, e lavoriamo tutti per lo stesso fine, ogni azione è giudicata da Dio collo stesso peso e colla stessa misura. Il merito adunque è eguale, poichè cui plus datum est, plus requiretur ab eo. Ed a quel tale che esercita un ufficio basso, Iddio domanderà conto come uno, mentre all'altro domanderà come dieci. Se vi potrebbe essere differenza, sarebbe in ciò, che il merito maggiore sarebbe sempre annesso alla maggiore umiltà di condizione.

 

                Volete che ci assicuriamo di fare anche noi cosa che certamente ridondi a gloria di Dio? Adempiamo quegli uffizi che lungo il giorno ci vengono assegnati.

 

                Uno lava i piatti; va bene. Sarà in cucina; tanto meglio. Un altro ha fatto degli studi e avrà molto ingegno: bene, andrà a predicare. Costui non avrà tanto buona voce; starà a confessare. Un altro farà scuola, un altro farà l'assistente. Uno non è buono a nulla di tutto ciò; scoperà la casa; c'è bisogno anche di questo. Questo tale sarà infermiccio, non potrà lavorare; ebbene darà agli altri esempio colla sua pazienza, darà buoni consigli a coloro che vanno a trovarlo, e farà la sua parte in questo modo. In una casa come la nostra, di quante varietà di occupazioni vi è bisogno! E ciascuno farà la cosa che è capace di fare.

 

                E nessuno dica: - Questo lavoro potrebbe farlo un altro: io ho [606] già molte occupazioni. - No: se uno è buono a farlo, lo faccia. Non perdiamo il merito, e non ci spaventino certe difficoltà che sembrano montagne e invece sono nebbie. - Ma c'è quel Superiore, dirà taluno, quell'assistente che non mi può vedere, censura sempre la mia condotta! - Miei cari, è un mezzo di più per farci dei meriti; senza la pazienza non possiamo farci santi.

 

                Dunque per essere allontanati e difesi da ogni pericolo, non cerchiamo pretesti per ritornare mi mezzo al mondo, ma stiamocene lontani.

 

                - Ma ciò che mi venne affidato supera le mie forze.

 

                - Se supera le tue forze, esponilo modestamente ai Superiori, e farai quello che ti diranno: ma se supera solo le forze della tua volontà, se è solo per un po' di polvere che ti dà negli occhi, allora bisogna costringere la volontà, bisogna fare quel lavoro e farlo come si deve.

 

                - Ma quel tale, dirà taluno, ha una camera da sè, io sono nella camerata comune ...; insomma io bramerei una distinzione.

 

                - Sei qui per fare vita particolare o vita comune?

 

                - Vita comune, mi risponderà.

 

                - Ebbene, contèntati della vita comune. Vi è un solo Superiore, il quale è responsabile di quello che si fa o si deve, fare. Eseguiamo adunque ognuno il nostro dovere.

 

                Un'altra cosa che ho da raccomandarvi, si è, di aiutarvi vicendevolmente nel lavoro. Non dir mai: - Tocca a quell'altro, non tocca a me. - Si vede talvolta qualche disordine che si potrebbe e dovrebbe impedire; e manca l'assistente. Non si stia indifferenti coi pretesto che noi non siamo incaricati della sorveglianza, ma si dica invece: - Ora l'assistente sono io. -

                Qualunque volta si possa impedire un male anche materiale, si faccia. Si eviti ogni spreco di roba, sia di cibo, sia di vesti o di altri oggetti che abbiamo in uso. Vivendo in comune dobbiamo aver vicendevolmente cura di ogni cosa appartenente alla Congregazione.

 

                Ma soprattutto badiamo a impedire il male morale, i disordini di qualsivoglia sorta, sia tra i giovani che tra di noi medesimi. Colla sola concordia in questo, si può progredire, e rendere innocui i membri pericolosi. Si sa che il tale ha un libro cattivo. Tu che vuoi essere religioso, non solo non devi cooperare a tenerlo, a nasconderlo, ma cerca di averlo questo libro, prendilo e brucialo. Se ne possono impedire delle risse, delle combriccole, degli scandali! Talvolta i nuovi venuti, specialmente se adulti, si trovano soli, ed hanno bisogno di un amico, e se uno li consiglia per tempo, loro può fare molto bene. Si promuovano le pratiche di pietà, le nostre Compagnie, e non mai si cerchi di biasimarle. Il biasimo può fare un gran danno in colui che l'ascolta, anche nelle cose di studio e intorno alle disposizioni dei Superiori. Se si avesse qualche giusta osservazione da fare, si vada da chi di ragione, ma non mai parlarne fra i compagni. [607] Impariamo insomma dalle api a lavorare con buona volontà.

 

                Vi dissi molte cose, le quali tutte sono dirette ad animarci nelle nostre solite occupazioni, in questo giorno in cui Dio volle che a lui si consacrassero sette suoi servi, pronti ad ogni cosa per il suo servizio.

 

                Animiamoci adunque tutti insieme a fare la sua santa volontà, che è quella del Superiore, aiutiamoci a vicenda a correggerci dei nostri difetti e a sopportare quelli degli altri, facendo in modo di camminar tutti per la buona strada. Se qualcuno di voi fosse in pericolo, si avvisi: ciascuno deve dargli il suo appoggio per procurargli qualche vantaggio.

 

                E noi facendoci sempre migliori a questa scuola d'amore formeremo un cuor solo unito a quello di Gesù Cristo, fino agli ultimi momenti di nostra vita, quando arriveremo a lui per non lasciarlo mai più.

 

                La memorabile conferenza durò un'ora e mezza; ma quel tempo, assicura Don Vespignani, passò come un lampo.

 

                Fra gli auguri natalizi Don Bosco ne indirizzò di specialissimi al cardinal Giovanni Simeoni, scelto dal Santo Padre a suo Segretario di Stato pochi giorni dopo la morte dell'Eminentissimo Antonelli. Il Beato lo conosceva già molto bene[234]. Dalla prontezza e dal tenore della risposta è lecito arguire quanto Sua Eminenza avesse gradito il gentile pensiero[235].

 

                Ed eccoci al termine dell'anno civile. E’ del 31 dicembre questa letterina a Don Cagliero.

 

                Carissimo D. Cagliero,

 

                Non ho ancora potuto parlare col Console Gazzolo pel suo terreno. Io spero che desidera di venderlo quanto prima. N'avrai risposta pel quindici del prossimo Gennaio[236].

 

                La altre cose le saprai da altri.

 

                Lunedì vado di nuovo a Roma chiamato dal Santo Padre. Molte cose si attendono, e la Cong. va in modo favoloso o meglio portata dalla mano del Signore.

 

                Casa Corsi, Fassati, Radicati, Appiani e mille altri ti mandano affettuosi saluti.

 

                Saluta i nostri cari e credimi in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [608]

 

                Nell'ultima sera dell'anno il Servo di Dio diede la “buona notte” a tutta la comunità adunata dopo le orazioni. Asceso il pulpitino, salutò i suoi figli dicendo: - Buon fine e buon capo d'anno! - A cui: - Grazie! - risposero tutti ad una voce. Ristabilitosi il silenzio, venne a dare la strenna per l'anno nuovo: Regolarci sempre in maniera che, in qualunque ora la morte tenga, ci trovi sempre apparecchiati. Fece precedere e seguire a questo santo consiglio una doppia serie di considerazioni, attinte da ricordi domestici, da cose del giorno, da insegnamenti dell'esperienza e dalla parola di Dio.

 

                Buon fine e buon capo d'anno! Sono le parole che in questi giorni maggiormente volano di bocca in bocca. Sono le parole comuni; ma, se ci pensiamo sopra attentamente, ci danno da meditare. Questa notte l'anno 1876 passa nell'oblio dei secoli eterni, e del 1876 non. sarà più niente; non ritornerà mai più. Verranno altri 76: verrà il 1976, il 2076, ma il 1876 non verrà mai più.

 

                E come è passato quest'anno ? Se si è fatto bene, questo bene ci resterà per sempre; se si è fatto male, anche il male resterà.

 

                Ma non si può rimediare? No, non si può rimediare. Si potrà far bene per l'avvenire, e Iddio, in riguardo al bene posteriore, potrà non considerare il male fatto prima; ma il tempo perduto, come sarebbe quello nel quale si fosse fatto male all'anima, non si può ricuperare mai più. Buon fine e buon capo d’anno! D'incominciarlo abbiamo qualche certezza: ma non siamo sicuri di finirlo l'anno venturo. Qualcheduno potrebbe aggiungere per complimento l'augurio del buon termine anche dell'anno nuovo; ma non vi è nessuno così abbondante di cuore da prometterlo. Chi lo assicura che non possa morire in quell'anno? Quest'anno ci siamo; un altr'anno molti non ci saran più.

 

                L'anno scorso nell'ultima sera, secondo il solito di tutti gli anni; vi dava alcuni avvisi e vi predissi che alcuni, i quali allora mi ascoltavano, sarebbero in questo stesso anno passati all'eternità. Io non son profeta e non era profezia; tuttavia morirono Don Piacentino, Don Chiala ed altri ancora (Massa e Vigliocco, ripeterono sottovoce i giovani), anche fra gli studenti, che nel momento più non ricordo. E noi pregheremo per essi, come anche per quelli che morirono prima.

 

                E quest'anno non ne morrà alcuno? Questa è una profezia che chiunque può fare. Stasera ci siamo qui tutti e può essere che alcuno di noi domani non ci si trovi più. Certamente che in quest'anno qualcuno morrà. Io non sono profeta, l'ho già detto in principio; ma giudicando secondo il calcolo degli uomini, non si può fare a meno di crederlo. Noi qui siamo 800 circa e calcolando il tre per cento, dovrebbero [609] essere coloro che moriranno 8 x 3 = 24. Ma la morte forse rispetterà la vostra età giovanile, perchè non avete voglia di morire. Ma ciò vuol dire che non morrà alcuno? Oh no! La morte è come la falce. Fenum est vita hominis. Sapete come fa il falciatore? Quando vede che in generale il fieno è giunto a maturità, vi getta entro la falce. Fra quest'erba ve n'è di quella già quasi secca, altra è verde ed ha raggiunta la sua altezza: ma altra è più bassa, altra più ancora, che è appena germogliata. La falce avrà riguardo a quest'ultima? No! Essa dà i suoi colpi e va avanti. Taglia tutto senza riguardo. Così fa la morte. Vi sarà un vecchio con capelli e barba bianca, e lo prende e lo caccia nell'eternità; ve ne sarà uno colla barba e i capelli neri, e prende anche questo; ve ne sarà un altro che non ha ancora la barba, ed anche il fanciulletto che non sa ancor parlare, e tutti, tutti all'eternità. La morte non guarda in faccia a nessuno: quest'anno potrebbe toccare a me, come a qualsiasi di voi. Speriamo che non saremo ventiquattro; ma quindici, dieci oppure otto certamente dovranno partire. Teniamoci preparati per fare bene questo passo. L'anno che passa è un anno di più verso l'eternità o per sempre felice o per sempre infelice. Ecco dunque l'augurio o, dirò meglio, il consiglio che io vi do: regolarci sempre in maniera che, in qualunque ora la morte venga, ci trovi sempre apparecchiati.

 

                Questo consiglio lo divido in due parti: la prima riguarda il modo di fuggire la morte. Sapete che cosa è che spinge il cavallo al galoppo? E' lo sperone del cavaliere. Il cavallo, sentendosi pungere nei fianchi, si slancia più che può alla corsa. Così è della morte. Sapete che cosa è che vi spinge addosso con maggior velocità la morte? E' il peccato che è per la morte come lo sperone del cavallo. Stimulus mortis peccatum est, dice S. Paolo. Adunque, perchè la morte non venga a trovarci tanto presto, guardiamo di schivare il peccato quanto possiamo, e, se ci accadesse la disgrazia di commetterlo, andiamoci subito a confessare.

 

                Chi è in grazia di Dio, chi non ha colpa alcuna, chi ha la coscienza tranquilla, alla sera va a letto, prega, si addormenta senza badare a quello che sarà di lui. Se il Signore se lo piglia, buon viaggio, va all'eternità senza timore. Ma immaginatevi un po' uno che abbia il peccato sulla coscienza, che senta i rimorsi che lo straziano. Va a letto inquieto e pensa: Oggi ci sei, domani forse non ci sarai più. Si addormenta, ma è agitato. La notte si avanza: ei si sveglia di soprassalto e la fantasia turbata gli fa dire: Se, mentre tutti dormono, vedessi laggiù in fondo al dormitorio uno spettro brutto brutto, uno scheletro colle ossa senza polpa, col cervello rosicchiato dai vermi, colle occhiaie vuote! Egli travagliato dai rimorsi trema dalla paura. E mentre sta lì in letto, vedesse avanzare verso di lui quella bruttaccia, la quale si fermasse ai piedi del suo letto e gli dicesse; Vieni con me! (brrrrrrrr... risa universali). Egli risponderebbe: Ma ora non ne ho ancor [610] voglia di morire... lasciare i parenti, gli amici, i superiori... e poi domani... in questo dormitorio, quale spavento!... Ora non sono disposto.

 

                E quella si avanzasse sempre col ferro adunco e gli dicesse: Non importa niente. Ora si deve lasciar tutto, parenti, amici; per te cessa il dormitorio, per te cessa il domani. Porterai con te ciò che ti sei preparato. Hac nocte animam tuam repetent a te. Ibis in domum aeternitatis tuae.

 

                E' quello che dico di uno può accadere a molti. Solamente ieri, per portarvi un esempio, il Dottor Cav. Savio dopo cena si sentì un po' di disturbo. Andato a letto, qualcuno verso mezzanotte andò a vedere se avesse bisogno di qualche cosa: e fu trovato morto nel letto, Era morto senza Sacramenti, senz'aver più tempo, a pensare alle cose dell'anima sua. Era già all'eternità. Per buona fortuna quella sera aveva dette le orazioni cogli altri della casa, e fuori del solito, egli stesso aveva fatte recitare alla famiglia le litanie della Beata Vergine. Perciò speriamo che la Madonna lo abbia aiutato al gran passaggio. Gli anni passano e la morte viene e molti di voi, che ora sono qui tutti robusti e sani, un altro anno non ci saranno più.

 

                Dunque, ritornando al nostro argomento, per fuggire la morte più lungamente che si può, fuggiamo il peccato e specialmente quello contro la virtù della modestia, che è quello che più di ogni altro affretta la morte, e del quale intendeva parlare lo Spirito Santo quando disse: Stimulus mortis peccatum est.

 

                La seconda parte del mio consiglio riguarda il modo di tenerci preparati. Proponiamo di passare quest'anno che stiamo per incominciare, come vorremmo aver passato quello che stiamo per finire. Si adempia con diligenza ogni nostro dovere. Con diligenza, cioè con amore, perchè la parola diligenza viene dal verbo diligere, amare. Sarà, per esempio, un calzolaio, un legatore, un maestro,. un assistente, uno studente; faccia il suo uffizio con allegrezza, con amore ed egli si terrà preparato, qualora fosse il caso, a morire. Il Signore premia l'obbediente. Ma queste sono cose materiali, e come lo indica lo stesso nome materiali, riguardano solamente la materia, il corpo, che presto presto dovrà finire. Quello in cui si deve usare molto maggior diligenza sono le pratiche di pietà. Andiamo. frequentemente a confessarci, di spesso alla santa comunione, che è quella che deve aiutarci in tutto il corso della vita: facciamo, per quanto possiamo, opere buone, adempiendo tutti i nostri doveri e visitando il Santissimo Sacramento in chiesa. Soprattutto siamo divoti di Maria Santissima, preghiamola sovente e di cuore, ed Essa ci proteggerà. Queste pratiche si adempiano con amore ed ilarità. Hilarem datorem diligit Deus. Il Signore ama che quello che si fa per lui, si faccia con allegrezza. Così facendo formeremo fra tutti un cuor solo per amare il Signore.

 

                Voi dimanderete: - E così facendo, la morte non ci toccherà? - [611] Oh sì! morremo lo stesso, ma la nostra sarà la morte del giusto, il quale teme la morte perchè è l'adito ad un passo così fatale, da cui dipende l'eternità: momentum, a quo pendet aeternitas; teme perchè va in luoghi sconosciuti, perchè deve presentarsi innanzi ad un Dio così grande; teme per la. giustizia di Dio che trova macchie negli angioli: ma spera nella sua misericordia, spera che, se ha commesso qualche colpa, gli sarà già perdonata.

 

                Così fuggendo il peccato, facendo con diligenza, cioè con amore ogni nostro dovere sì temporale che spirituale, quando verrà quel momento in cui dovremo lasciar questa terra, ci troveremo bene apparecchiati, ricchi di meriti: quando verrà la morte non ci farà paura, ma ci ispirerà confidenza e il Signore ci riceverà nella sua misericordia. Quest'oggi ci siamo; un altro mese io stesso o qualcuno di voi non ci sarà più!

 

                Buon fine, buon capo d'anno e buona notte a tutti.

 

                Nel calcolare il numero di coloro che potevano morire durante il '77, Don Bosco sembra non ricordare più la predizione di “sei più due”. Come nelle previsioni riguardanti l'opera sua egli tirava innanzi a guisa di chi nulla sapesse, usando tutti i mezzi umani per raggiungere i fini voluti e rimettendo alla Provvidenza la guida degli eventi, così nelle predizioni che fece in gran numero, non vi tornava più sopra, a meno che altri non ve lo provocasse. Tuttavia, dopo aver detto “quindici, dieci”, soggiunse: “oppure otto certamente”. Non si espresse con asseveranza, è vero, ma pur così l'espressione ci sembra notevole.

 

                Basti anche a questo volume l'operato di un anno solo. Prima però di levare momentaneamente la penna dal nostro lavoro, vorremmo mettere bene in guardia ogni lettore dal pericolo di fermarsi a una visione unilaterale dell'operato di Don Bosco. La sua attività esteriore, trionfatrice di molteplici contrarietà e ostacoli, non è che un lato della sua figura, quello che dà più fortemente nell'occhio; ma un altro lato importantissimo sta nascosto allo sguardo degli osservatori superficiali, quello che fa il santo. Ce lo dica un uomo che al suo tempo godette autorità e credito. Il padre Mauro Ricci, Generale delle Scuole Pie, conobbe di persona Don Bosco [612] a Firenze; presentatogli dalla marchesa Enrichetta Nerli, larga benefattrice del Servo di Dio. Il contegno di lui “così semplice, senza paroloni, senza esagerazioni, com'egli fosse un uomo dei più comuni”lo edificò al sommo. In seguito amava mettere in rilievo il contrasto fra l'umiltà della sua condizione e la nobiltà della mente, con cui s'innalzò “a speranze e a disegni così grandi da parer difficili a un imperatore”. Ma poi, fattosi a cercare com'egli preparasse e compiesse tanto bene, scrisse: “Meditando davanti al Crocifisso, di lì attinse la scintilla potente a restaurare tanti danni religiosi e morali, a restaurarli con istituzioni perenni, che avevano in sè la forza di estendersi per tutto il mondo... Oggi si spiegano tante cose dandone la colpa all'ambiente, ma l'ambiente Don Bosco lo cercò da sè, e furono le ispirazioni di Dio”[237]. [613] APPENDICE DI DOCUMENTI [614] AVVERTENZA.

 

                A taluni lettori ha fatto specie vedere tante linee punteggiate nell'Appendice del volume precedente a pp. 553-5 e a pp.558-9. Nel primo caso i puntini tengono il posto delle domande fatte alla teste dal tribunale ecclesiastico e nel Summarium espresse in latino: la deposizione della teste è integra. Quanto all'altro caso, si tratta di circa due pagine che si credette meglio sopprimere, perchè contenevano su uomini e cose apprezzamenti personali del prelato poco opportune e non concernenti per nulla Don Bosco. Siccome poi la soppressione fu eseguita quando non solo il volume era già stampato, ma la composizione tipografica sciolta, così per non dover ricomporre e ristampare anche le segnature che venivano dopo, invece di accostare le parti rimaste della lettera, si colmarono i vuoti con l'espediente dei puntini. [615] 1.

 

Testo di convenzione a Buenos Aires.

 

ACCORDO.

 

                Tra l'autorità Ecclesiastica di Buenos-Ayres e la Confraternita Italiana di Maria Mater Misericordiae coi Padri Salesiani di Torino:

 

ARTICOLO 1°.

 

                L'Autorità Ecclesiastica di Buenos-Ayres, rappresentata da S. F. Rev.ma Monsignor Federico Aneyros Arcivescovo, e la Confraternita Italiana di M. Mater Misericordiae, rappresentata dal suo Consiglio e Presidente Signor Romulo Finocchio, a maggior gloria di Dio ed a bene delle anime e specialmente della Confraternita, concedono in perpetuo l'uso, la direzione e l'amministrazione della Chiesa di N. S. della Misericordia ai Reverendi Padri Salesiani, rappresentati dal Sig. Dr. D. Giovanni Cagliero teologo e Delegato Procuratore del Superior Generale il Sig. Don Giovanni Bosco residente in Torino, affinchè col loro numero, zelo, opera e consiglio sia assicurato ed ottenuto quel bene, pel quale fu costrutta la Chiesa ed eretta la Confraternita.

 

ARTICOLO 2°.

 

                La Chiesa non essendo di assoluta proprietà dei PP. Salesiani, sì bene conservata al culto di Dio e della Vergine pel bene dei fedeli e della Confraternita, potrà essere da loro migliorata, non però deteriorata, nè commutata, alienata o destinata ad altro uso; perciò l'Autorità Ecclesiastica e la Confraternita avranno diritto a reclamare contro l'infrazione del presente articolo.

 

ARTICOLO 3°.

 

                La Confraternita degli Italiani eretta e stabilita nella Chiesa di N. S. della Misericordia, conserverà la proprietà assoluta di tutti [616] gli oggetti che le appartengono; conserverà la direzione dei suoi statuti, ed avrà la libera amministrazione delle mensualità, annualità ed altre offerte fatte alla stessa Confraternita, dai confratelli e da altre pie persone.

 

ARTICOLO 4°.

 

                Il fondo ed ogni altra rendita o provento della Confraternita, saranno impiegati a benefizio della Chiesa e della stessa Confraternita, vale a dire: provvedere cera per le sacre. funzioni, comperare paramenta ed altri arredi sacri, per migliorare la Chiesa, destinare suffragi all'Anima dei Confratelli, ed a solennizzare colla maggior pompa possibile la festa patronale di N. S. della Misericordia.

 

ARTICOLO 5°.

 

                I Reverendi Padri Salesiani si assumeranno la manutenzione della Chiesa e della sacristia con tutti i pesi annessi, e sarà loro impegno di promuovere il culto e la devozione alla SS. Vergine, e provvedere la Chiesa di un numero di messe corrispondente al bisogno della circostante popolazione, e di farvi le sacre funzioni con' quel decoro, zelo, e sollecitudine che esigono la Casa di Dio ed il bene delle anime.

 

ARTICOLO 6°.

 

                Uno di loro sarà destinato Cappellano della Confraternita, il quale presiederà a tutte le adunanze ordinarie e straordinarie dei Confratelli, egli sarà come il loro direttore, consigliere e Padre. Avrà cura speciale di loro quando fossero infermi, ai quali prodigherà tutti quei conforti che la carità e la religione suggeriscono.

 

                Questo caritatevole ufficio i Padri lo disimpegneranno solidariamente.

 

ARTICOLO 7°.

 

                In tutte le domeniche ed altre feste di precetto, al mattino dopo la recita dell'Ufficio della E. Vergine, sarà destinata una messa a comodità dei Confratelli. Alla sera dopo i Vespri uno dei Padri farà l'istruzione ed altro sermone in italiano, dopo il quale si impartirà la benedizione del SS. Sacramento.

 

ARTICOLO 8°.

 

                Gli Italiani residenti in Buenos-Aires, saranno cura ed oggetto speciale dei PP. Salesiani, i quali perciò ai loro fratelli nazionali prodigheranno le prime sollecitudini del loro ministero Sacerdotale.

 

ARTICOLO 9°.

 

                Essendo scopo principale di loro, la educazione civile, morale e religiosa dei fanciulli, eglino si prenderanno cura particolare dei [617] fanciulli Italiani, catechizzandoli, istruendoli e dirigendoli nei loro doveri di buon Cristiano e di buon cittadino.

 

ARTICOLO 10°.

 

                Qualora i RR. PP. per gravi e giusti motivi dovessero abbandonare la direzione e l'amministrazione della Chiesa, dovranno lasciare intatte tutte le migliorie fatte alla medesima.

 

2.

 

Primo programma di Collegio in America.

 

COLEGIO SAN NICOLAS DE LOS ARROYOS.

                Esta ab abierto en esta Ciudad, sobre la barranca del rio, a siete cuadras de la plaza principal, un Colegio de niños, fundado por una Comisión Popular, con los medios que los Exmos. Gobiernos de la Nación y de la Provincia y el pueblo principalmente Arroyero le han proporcionado, dirijido por la Sociedad Educacionista de San. Fran­cisco de Sales, con el objeto de dar una sólida educación moral, reli­giosa, científica, literaria y comercial, a los que deseen prepararse al estudio de las facultades universitarias. Las mejoras introducidas en el local, y el número crecido de los profesores ponen al Colegio en estado de recibir hasta cien pupilos.

 

REGLAMENTO DE ESTUDIOS PARA EL AÑO 1877.

                1°. Cinco son las clases que se frecuentarán este año: dos clases elementales y tres de estudios preparatorios.

                2°. En la clase Elemental Inferior se enseñará: Lectura, Dictado, Caligrafía„Aritmética, Catecismo, Historia Sagrada y Ejercicios de com­posición.

                3°. En la Clase Elemental Superior: Gramática castellana, Arit­mética, Catecismo, Historia sagrada, Geografía, Historia argentina, Caligrafía y Ejercicios de composición.

                4°. En la Escuela de primer año de estudios preparatorios se enseñará: Gramática castellana, Caligrafía, Aritmética aplicada, Geo­grafía, Latin, Francés y Catecismo, Historia Antigua y, Sagrada.

                5°. En la Escuela del segundo año de estudios preparatorios se enseñará: Gramática castellana, latina, francesa, Aritmética razonada, Geometría práctica, Teneduría de libros, Historia y Geografia de la America; Catecismo razonado y Ejercicios de composición.

                6°. En .la clase del tercer año preparatorio se enseñará. Algebra y trigonometría rectilinea, Geometría razonada, Teneduría de libros, Lite­ratura castellana, Gramática francesa, latina, Ejercicios de composición, [618] Historia griega y romana, Geografía Particular de Europa, Asia, Africa, Oceanía, y Catecismo. razonado.

                7°. Habrá lecciones de música vocal e instrumental cada día para los pupilos y medios pupilos y para estos y los externos tres lee­ciones de gimnástica en la semana:

                8° Los pupilos, medios pupilos y externos que desearan aprender á tocar, algun instrumento musical, tendrán en el colegio; profesores. que podrán llenarese deseo.

 

CONDICIONES PARA LOS PUPILOS.

 

                1°. El que desee ingresar en el u Colegio San Nicolás como pu-' pilo, debe presentar la partida de bautismo, el certificado médico de que ha  sido vacunado, el certificado de buenas costumbres y del estudio que ha cursado.

                2°. No se admiten pupilos que no tengan 7 años de edad, o que hayan pasado de los 14.

                3°. Debe el interesado satisfacer una mensualidad de cuatrocien­tos pesos moneda corriente por trimestres anticipados por cada alumno.

                4°. Los pupilos tienen derecho al desayuno, comida, merienda y cena, siendo el desayuno de thé, leche y pan; la comida de una sopa, dos platos y postres, con vino y pan; merienda de pan, y la cena de una sopa, un plato y postres, con vino y pan.

                5°. El. que pasé algunos días de un mes en el Colegio debe pa­gar toda la mensualidad.

                6°. Les pupilos no pueden gastar por sí solos el dinero que re­ciban de sus padres, tutores, párientes, 6 amigos; el Sr. Director del Colegio recibirá el  dinero y lo gastará debidamente para el pupilo.

                7°. Se pagarán cien pesos anuales por el gasto de tinta, tinteros, luz en la sala de .estudio, dormitorio etc.

                8° Los gastos de médico, botica, peluquero, libros y objetos de Escuela están a cargo del pupilo.

                9°. Los parientes, de los alumnos qué no tengan domicilio en San Nicolás deben hacerse representar por un apoderado.

                10°. El traje del pupilo para paseo es uniforme según el modelo que tiene el Sr. Director del Colegio.

                11°. Para el Colegio cada alumno tendrá dos trajes del modelo y forma que sus señores padres deséen. ,

                12°. pupilo se proveerá de una cama de hierro, larga metro 1,70, y ancha metro 0,70, mesa de noche, seis sábanas, seis fundas, doce camisas, doce calzoncillos, doce pañuelos, seis servilletas, seis  corbatas; un colchón, dos escobillas, tres pares de botines, seis toa­llas: y dos cubiertas blancas para cama y todo llevará el número que el Sr. Director designará a cada alumno. [619] CONDICIONES, PARA LOS MEDIOS PUPILOS Y EXTERNOS.

                1°. El medio pupilo se uniformará a las condiciones 1ª y 2ª del pupilo..              

                2°. El medio pupilo tendrá el mismo desayuno y comida que el - pupilo,

                3°. La mensualidad del medio pupilo es de doscientos cincuenta pesos m.

                4°. En los meses de Febrero, Marzo, Abril, Mayo, Setiembre, Octubre, N y Dicembre, el medio pupilo entrará en el Co­legio de las 7 a  las 7½ de la mañana y regresará á su casa á las 6 ½ de la tarde. l n los neses de Junio, julio y Agosto su entrada será de las 7 I, á las 8 de la mañana y saldrá á las 5 de la tarde.

                5°. El coche del colegio con un Padre o encargado traerá al medio pupilo de la casa al colegio y del colegio á su casa, y por este ser­vicio se cobrará treinta y cinco pesos mensuales.

                6°. El medio pupilo necesita una servilleta con el número de orden que designará el Sr. Director á cada medio pupilo.

                7°. El externo se uniformará a las condiciones de los pupilos seña-ladas en los numeros 1, 2, y 5 y si quiere el coche pagará: cincuenta pesos mensuales.

                8°. La mensualidad para el externo que cursa las clases elemen­tales es de cincuenta pesos moneda corriente, y de ochenta pesos si cursa las clases de estudios preparatorios.

                9°. El medio pupilo y el externo deben asistir á lasfunciones re-ligiosas del colegio que se celebrarán los días Domingos y fiestas de guardar.

                10°. El medio pupilo y el externo deben observar el Reglamento, del colegio en las horas que queden en el Establecimiento.

 

ADVLERTENCIAS.

 

                1°. No se permite salida alguna á los pupilos, exceptuado el día desanto de sus, padres ó tutores, 6 por causa de enfermedad de estos 6 de aquellos, y el primer jueves del mes, cuando en el mes anterior se haya portado bien.

                2°. Solamente el jueves y domingo de cada semana se permiten las visitas á los alumnos,'desde la 1 á las 3 de la tardé.

                3°. Todos los meses, los padres, tutores ó interesados tendrán un estado del pupilo, medio pupilo o esterno; qué les informará minucio- samente de la conduta de estos.;

                4. En los meses de vacaciones se permitirá la salida de los pu­pilos por aquel tiempo que sus padres, tutores o interesados desearen.

                5°. Para los alumnos que se queden en el Colegio en las vacaciones, habrá, además de los ejercicios de gimnástica, ,música vocal e instru- mental, paseos, y otros ejercicios agradables para desarrollar las facultades [620] fisicas, morales e intelectuales de los niños, una clase diaria para adelantarlos en sus estudios.

                6°. Las peticiones para ser admitidos al Colegio se dirigirán al señor Director del  Colegio San Nicolás  Dr. D. José Fagnano, al señor Dr. D. Juan Cagliero o al señor Dr, D. Pedro B. Ceccarelli Cura y Vicario de San Nicolás.

 

                San Nicolás, Enero de 1877.

JOSE' FAGNANO

Director.

 

3.

 

Lettera del sig. Gazzolo a Don Bosco.

 

                Rev.mo P. Generale D. G. B. Bosco ed Amico Carissimo,

 

                Se sempre scrivo come posso, oggi lo fo peggio, perchè in questo benedetto paese si ha sempre da fare, si va sempre in fretta quando anche sembri che si faccia nulla, perciò mi perdonerà tutti i generi di errori in questa compresi.

 

                In risposta alla sua carissima dei (senza data), dirò che riguardo alla decorazione dei SS. M. e Lazzaro, la notizia che Ella mi dà è cosa vecchia, anzi io l'avrei avuta già da tempo se mi fossi contentato con la semplice di cavaliere; ma desiderando io la commenda di tale ordine e sapendo che si può essere elevati a tale grado qualora non si abbia la nomina di cavaliere, e sapendo anche che il cavalierato impedisce il passo alla commenda perchè si esigono nuovi meriti e molti anni, perchè così è prescritta la scala, perciò ho lavorato onde non essere fatto cavaliere di tale ordine, basato anche sulla promessa del Comm. Avv. Deputato Boselli per….. e questa appoggiata da un impiegato del Ministero, amico dei nostri amici Dottori.

                Pechenino e Bacchialoni, i quali si impegnarono a mio favore.

 

                Da tutto lo sin qui detto, Ella vede che è cosa vecchia e indipendente da ciò che di buona volontà abbia [fatto] Don Bosco a mio favore.

 

                Giacchè V. Rev.ma mi dice che le dica in confidenza ciò che vi sia di pro e di contro, eccomi ad ubbidirla. Il Dott. Ceccarelli è rimasto un poco sorpreso; forse si aspettava qualche titolo Pontificio: io nei primi giorni dopo il nostro arrivo ho sofferto molto, perchè temevo non so che; però Iddio mi diè forza, tanto dissi e tanto feci da persuaderlo che Don Bosco non era un ingrato e che perciò avrebbe ottenuto ciò che desiderava.

 

                Fin qui abbiamo parlato delle foglie, andiamo adesso ad occuparci dell'albero e dei frutti.

 

                Come Ella saprà, fummo magnificamente ricevuti dal Benitez, dal Ceccarelli, dall'Arcivescovo, Segretario, Vicario Generale, Clero [621] e popolo. I giornali d'ogni colore salutarono tutti rispettosi il nostro arrivo; otto giorni dopo partimmo per San Nicolás, restando in questa i Rev. Cagliero, Baccino e Belmonte a funzionare la Chiesa di N. S. della Misericordia, da me fondata ed eretta, e davvero che già sono convinti che certe storie che io contava loro a Varazze[238] ed a Torino, sono proprio storia... e non già esagerazioni come loro sembrava in allora, così lo confessano.

 

                Il lavoro è molto, gli operai pochi e poltroni, sicchè i nostri due rimasti qui si ammazzano dal troppo lavoro, senza riposo.

 

                Il Rev. Don Baccino nei primi giorni fece una pesca eccellente; il primo pesce che prese era 36 libre, e lo ha venduto in 416 franchi in oro; - voglio dire di un uomo il quale da 36 anni che non si confessava e per la grazia ricevuta regalò alla Madonna la somma sopracitata; il secondo era un pesce simile di questo, ma che dico? io forse mi propongo dire tutto? impossibile, non sarebbe sufficiente una risma di carta ed un mese di tempo.

 

                Questa Missione Dio la benedice, Preti e Monache battagliano, ed hanno continui trionfi, fanno qui le funzioni di S. Paolo, fanno anche quello di angioli, che dal Cielo inviati vennero a liberare un popolo dalle catene d'averno.

 

                Ma dove vado io? Ah! se vedessero i Confratelli e gli amici d'Italia quanto bene qui fanno i Salesiani e le Suore della Misericordia... Oh! se vedessero quanti e bei trionfi, piangerebbero meco di consolazione. Viva Dio! Don Bosco ha di che consolarsi, ha di che gloriarsi davvero.

 

                Non finirei più... Finisco perchè giunsero persone e sono nella sala ad aspettarmi. Domani andiamo con D. Cagliero e la Superiora delle Misericordiose a San Nicolás de los Arroyos, per il cui viaggio ho ottenuto per tutti il passaggio di prima classe sul vapore ed anche sulla ferrovia; il Governo me li ha concessi gratis e mi ha promesso che darà sempre in avvenire ai Salesiani i citati passaggi di prima classe gratis, sicchè possono passeggiare per urbis et orbis quando vogliono. Altre cose spero di ottenere, ecc.

 

                Dacchè sono qui, ho goduto poca salute, il clima mi ha trattato male, il caldo mi umiliò, però oggi va meglio, e cammino, parlo sempre e dovunque di D. Bosco e dei suoi degnissimi Figli e lascio innamorato di essi chi mi ascolta.

 

                Spero ci vedremo presto, forse partirò di qui, se Dio vuole, il 20 Marzo p. v.

 

                Mi rallegro dell'apertura della Casa di Nizza.

 

                I miei saluti ai Rev.di D. Francesia, D. Rua, D. Durando, Pechenino, Bacchialoni dott., D. Albera, D. Lemoyne, D. Sala, D. Savio, [622] ed a tutti gli altri suoi Figli, e Figlie di. Mornese; - mi raccomando alle orazioni di tutti e mi ripeto suo dev.mo ed aff.mo servo

 

                Buenos-Ayres, 15 Gennaio 1876.

Gio. B. Gazzolo.

 

4.

 

Lettera dei sig. Gazzolo a Don Bosco.

 

                Rev.mo Padre Generale Sig. D. G. B. Bosco,

 

                Scrissi a lei cinque giorni fa in risposta alla sua lettera.

 

                Oggi scrivo di nuovo per dirle varie cose che credo bene ch'Ella le sappia.

 

                Per fare il viaggio da Buenos-Ayres a questa Casa, fra l'andata ed il ritorno, sono necessarie 200 lire italiane, noi però l'abbiamo fatto gratis, perchè io ho fatto i passi dovuti a fine di ottenere, come ottenni dal Governo il passaggio di andata e ritorno per me, D. Cagliero e due monache[239]. Dopo un viaggio il più bello e pittoresco che dar si possa per i distinti fiumi, pittura delle pitture, meraviglia delle meraviglie della natura, dopo 20 ore di viaggio, giunsimo in questa il 17 corrente, alle 6 del mattino, ricevuti al molo da uno stuolo dei più eletti cittadini.

 

                Un sontuoso banchetto ci diedero alla sera di detto giorno, al quale presero parte i Salesi tutti qui presenti, tutta la Commissione, il Parroco Ceccarelli col suo Clero; il sottoscritto, etc. etc.

 

                Vari i brindisi che si fecero, ringraziando Gazzolo di ciò che aveva fatto, ed altri ai Salesi; il Ceccarelli ed io ne fecimo alla degna Congregazione ed a D. Bosco. Taccio il resto per non essere troppo lungo, e nella fiducia che i suoi Figli daranno a V. S. Rev.ma i dettagli di ogni cosa.

 

                Credo un dovere di coscienza dirle che il Dott. Ceccarelli venne a bella posta con un vaporino dalla distanza di 15 miglia, a riceverci, che se la intese colla dogana per tutto ciò che portarono i suoi Figli, che tenne le vetture a due cavalli sufficienti per tutti e tutto il giorno alla disposizione dei suoi Figli, che per otto giorni li accompagnò in vettura in tutte le parti ove fosse necessario, che poscia li portò seco a questa, tenendoli tutti seco in casa sua, e trattandoli come principi, etc...

 

                Il Cagliero stesso è l'unico che dorme dal Benitez, ma colazione, pranzo, cena, e tutto quanto loro abbisogna lo hanno dal Ceccarelli [623], il quale ci tratta da principi. Non posso descrivere a parole tutto ciò che fece e fa a riguardo dei Salesi detto Dott. Ceccarelli.

 

                Questo Dottore che ha 34 anni ne dimostra più di 44. Pare un vecchio, ciò è dovuto al suo zelo e costante laboriosità.

 

                Ho letto sui fogli la morte del Vescovo di Piacenza, a me sembra che sarebbe il caso che D. Bosco proponesse al Santo Padre per detto Vescovato, il Dott. Ceccarelli, degno e degnissimo protetto dei Salesi, uomo di virtù e di lettere, amatissimo qui da tutti e fondatore di tante belle opere, come quelle delle Monache della Misericordia qui, delle Dame della Carità, di giornali Cattolici ed altre pie e sante cose. Questo passo farebbe diventare padroni della Parrocchia e del Paese i suoi Figli, ed avrebbero in Italia, nella sua persona, un protettore indefesso ed un Figlio affezionatissimo.

 

                Ci pensi, D. Bosco, e ricordi che tutti i sacrifizi detti e non detti, furono tutti a spese del Ceccarelli. Ci pensi, poichè io credo sia giunta l'ora di premiare tanta virtù e di dare alla Congregazione un nuovo e deciso Protettore.

 

                I miei saluti a tutti i Confratelli ed amici, ed Ella mi creda

 

                San Nicolás, 20 Gennaio 1876.

suo dev.mo ed aff.mo servo

Giov. Batt. Gazzolo.

 

5.

 

Promemoria al Ministro degli Esteri Melegari.

 

                Roma, 16 Marzo 1876.

 

                Se mai la E. V. giudicasse di fare esaminare la convenienza di una colonia Italiana nella Patagonia, mi fo lecito di notare per sommi capi, quanto ho avuto l'onore di esporre verbalmente. Si dovrebbe:

 

                1° Non pensare ai Pampas, perchè, essendo all'est e all'ovest confinanti con governi stabiliti, si possono subito trovare delle rimostranze e delle opposizioni.

 

                2° Nemmeno a ponente della Patagonia, perchè la Repubblica del Chili leva pretese nella Rada dell'Oceano del Sud fino a Punta Arenas sullo stretto di Magellano, dove havvi una piccola colonia di Europei con un governatore.

 

                3° Si avrebbe un campo totalmente sicuro dal Rio Negro fino allo stretto Magellanico. Cioè la costa della Patagonia verso l'Atlantico, dal grado 40 al grado 50. Qui non vi è abitazione, nè porto, nè governo che abbia alcun diritto.

 

                4° Sarebbe da preferirsi la rada che è circa al grado 45 come quella che corrisponde alquanto al clima Italiano.

 

                5° Se il governo non urta colle suscettibilità della R. Argentina, [624] non ha niente a temere dalla parte dei selvaggi, che sono nell'interno del continente e poi non si avventurano contro ai fucili ed ai cannoni.

 

                6° Al governo non tornerebbe forse grave spesa, e questa in breve sarebbe compensata dai bestiami, dai legnami, dai frutti degli alberi e dalla fertilità del suolo. Non dovrebbe essere una colonia di deportazione, ma invece raccoglierebbe la sterminata quantità di Italiani che presentemente conducono vita stentata negli Stati del Chilì, della R. Argentina, dell'Uruguay, del Paraguay etc. Io sono persuaso che alla notizia di una colonia dove avrebbero lingua, costumi, governo italiano, costoro si raccoglierebbero colà assai volentieri, sia per coltivare le campagne, sia per esercitare la pastorizia.

 

                8° I Salesiani continuerebbero i loro studi sopra i Patagoni, assicurerebbero le scuole, aprirebbero ospizi, eserciterebbero culto religioso per tutti gli abitanti delle Colonia, e colla massima cautela e prudenza, si diffonderebbero nelle tribù dei Selvaggi.

 

                Forse questi miei pensieri non sono altro che un po' di poesia, ma Vostra E. saprà darmi benigno compatimento ed apprezzare il mio buon volere di giovare alla povera umanità.

 

Umil.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

6.

 

Lettera del Card. Antonelli a Don Bosco.

 

                Ill.mo Signore,

 

                Il pensiero del S. Padre si porta quotidianamente sull'abbandono in cui vengono lasciati molti figli del popolo, ed il suo animo si affligge nel vedere quali e quanti mali ne derivino alla morale pubblica ed alla Religione. Quindi è che si compiace grandemente di ogni opera e d'ogni impresa, diretta a porre un argine al male esistente e ad impedire ch'esso prenda radice là dove, per la Dio mercè, non si riscontra.

 

                Reso pertanto consapevole del divisamento in cui è cotesta Conferenza di S. Vincenso de' Paoli, di ampliare il locale già esistente a tal uopo, e di procurare così che altri giovani derelitti godano di questo beneficio, ha accolto benignamente la istanza umiliata dalla Conferenza stessa al Pontificio Suo Trono, e le ha elargito la somma di franchi duemila.

 

                Faccio seguito doveroso a questo atto di carità, rimettendo qui acclusi due biglietti della Banca di Francia, del valore di Mille Franchi ciascuno, e con sensi di distinta stima mi confermo

 

D. V. S. Ill,ma Servitore

G. C. Antonelli. [625] 7.

 

7.

 

Conferenza di Don Bosco ai Salesiani.

 

                Messis multa, operarii pauci.

 

                Un giorno il Divin Salvatore, passeggiando per le campagne vicino alla città di Samaria, volgendo lo sguardo attorno, e per le pianure e per le valli vedendo che la messe in ogni luogo era molto copiosa, invitò i suoi Apostoli a ricreare anch'essi a oro vista a q e ridente aspetto delle campagne. Ma subito s'accorsero che, malgrado la quantità della messe, non vi era nessuno che ne raccogliesse le biade. Allora Egli, certo alludendo a qualche cosa di ben superiore, voltosi agli Apostoli disse loro: Messis quidem multa, operarii autem pauci; è bensì molta la messe, ma vedete come sono pochi gli operai.

 

                Questo è il grido straziante che in ogni tempo fecero sentire la Chiesa ed i popoli: la messe è molta, ma pochi gli operai.

 

                Il Divin Salvatore, e voi lo capite a sufficienza, per campo o vigna che gli stava attorno, intendeva parlare della Chiesa e di tutti gli uomini del mondo; la messe da farsi consiste nella salvezza delle anime, tutte le anime devono essere raccolte nel granaio del Signore. Oh quanto copiosa è questa messe! quanti milioni d'uomini sono su questa terra! quanto lavoro sarebbe ancora a farsi per ottenere che tutti si salvino! Ma operarii autem pauci; gli operai sono pochi. Per operai che lavorano nella vigna del Signore s'intendono tutti e oro che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime. E notate bene che per operai qui non s'intendono solo, come alcuno può credere, i Sacerdoti, Predicatori, e. Confessori. Questi certo più di proposito son posti a lavorare e più direttamente s'affaticano a raccoglier messe; ma essi non sono soli, nè essi basterebbero. Operai sono tutti quelli che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime; come operai nel campo non sono soltanto quelli che raccolgono il grano, ma tutti gli altri.

 

                Guardate in un campo quanta varietà di operai. Vi è chi ara, chi dissoda la terra, altri che colla zappa l'aggiusta, chi col rastrello o randello rompe le zolle e le appiana. altri getta la semente, altri la copre; chi ' toglie poi l'erba cattiva, la zizzania, il loglio, la veccia, chi sarchia, chi taglia, chi sradica; altri poi innaffia a tempo opportuno e rincalza; altri invece miete e fa manipoli e covoni e biche, e chi carica sul carro e chi conduce; chi stende, chi batte il grano, chi separa il grano dalla paglia, altri lo avvaccia, lo spurga, lo vaglia, lo mette nei sacchi, lo porta al molino e qui da vari si, rende in farina; poi chi la buratta, chi l'impasta, chi l'inforna... Vedete, miei cari, quanta varietà di operai si richiede prima che la messe possa riuscire al suo scopo, a ridursi cioè in pane eletto del Paradiso. [626] Come nel campo, così nella Chiesa c'è bisogno d'ogni sorta di operai; ma proprio di tutti i generi; non c'è uno il quale possa dire: - Io, benchè tenga una condotta irreprensibile, non sarò buono a niente nel lavorare a maggior gloria di Dio. - No, non si dica così da nessuno: tutti possono in qualche modo far qualche cosa.

 

                Gli operai sono pochi. Oh, se si potessero avere tanti Sacerdoti da mandare in ogni regione della terra, in ogni città, paese, villaggio. campagna e convertire il mondo! Ma tanti sacerdoti è impossibile averli; bisogna dunque che vi siano anche altri. Poi i sacerdoti come potrebbero essere liberi nel loro ministero, se non avessero chi loro cuoce il pane e le vivande? se avessero a farsi da sè le scarpe e gli abiti ?

 

                Il sacerdote ha necessità di essere coadiuvato, ed io credo di non essere in errore se asserisco che quanti siete qui, e preti, e studenti e artigiani e coadiutori, tutti, tutti, potete essere veri operai evangelici a fare del bene nella vigna del Signore.

 

                E come? In molti modi.

 

                Tutti, ad esempio, potete pregare. Certo non c'è chi far questo non possa. Oh! vedete: tutti dunque potete fare la parte principale di cui parla Dio Salvatore in questo luogo, poichè, dopo di aver detto che pochi sono gli operai, soggiunge: Pregate adunque il padrone della messe che mandi gli operai nella messe sua; rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam.

 

                La preghiera fa violenza al cuore di Dio; Dio è in certo qual modo obbligato a mandarli. Preghiamolo per i nostri paesi; preghiamolo per i paesi lontani; preghiamolo per i bisogni delle nostre famiglie de delle nostre città, e preghiamolo per coloro che sono ancora avvolti nelle tenebre dell'idolatria, della superstizione, dell'eresia.

 

                Oh! tutti preghiamo di vero cuore, preghiamo molto il Padrone della messe.

 

                Una cosa che si può anche fare da tutti ed è di massima utilità ed è un vero lavoro nella vigna del Signore, si è il dare buon esempio. Oh, quanto bene si può fare in questo modo! Buon esempio colle parole, incoraggiando gli altri al bene, dando avvisi, buoni consigli. Qui c'è uno che è in dubbio di sua vocazione; là c'è un altro che è in procinto di prendere una risoluzione che gli arrecherà poi danno sempre; ebbene costoro, se sono consigliati, confortati nel bene, quanto non ne potranno avvantaggiare! Molte volte basta una sola parola per far sì che uno stia o si metta sulla buona strada.

 

                S. Paolo diceva ai fedeli che cercassero di essere lucerna lucens et ardens. Oh, se proprio si vedesse in noi questa luce! Se tutti restassero edificati dalle nostre parole ed opere! Se ci fosse quella carità infiammata che ci fa tenere in non cale ogni cosa, purchè possiamo fare del bene ai nostri fratelli, se ci fosse proprio quella castità perfetta che fa riportar vittoria su tutti gli altri vizi, se ci fosse proprio [627] quella mansuetudine che ci attira il cuore degli altri; oh io credo che tutto il mondo resterebbe attirato nelle nostre reti.

 

                Altra cosa che tutti possono fare si è la frequenza nelle cose di religione, nelle pratiche di pietà, nel prender parte a tutte le cose che possono promuovere la maggior gloria di Dio o la salvezza delle anime; il parlar bene della Chiesa, dei Ministri della Religione, del Papa in special modo, delle disposizioni ecclesiastiche. Queste sono cose che chiunque può fare dal più grande al più piccolo di voi; e tra noi qui in Casa, il parlar bene dei Superiori, della Congregazione, della Casa, degli apprestamenti.

 

                Ma non basta. Una cosa che tutti possono fare si è di aiutare ad estirpare le erbe cattive, la zizzania, il loglio, la gramigna, la veccia ed ogni altra erba che non faccia elle recar del male. Voglio dire che quando c'è qualche scandalo, non si tolleri: ma chi è nel caso di poterlo togliere lui, lo tolga, e adoperi ogni mezzo per farlo cessare; chi non può, non stia neghittoso, ma ne parli a chi di ragione e se non basta una volta, ne parli due e tre e più, ma che lo scandalo si tolga. Tutti potete, sentendo qualcuno lamentarsi degli apprestamenti di tavola, correggerlo; vi sarà chi desidera di uscire senza permesso o chi si lamenta perchè non può uscire; tutti potete animarlo, incoraggiarlo, consigliarlo a pazienza.

 

                Una gran cosa poi si è estirpare la zizzania, cioè lo scandalo col parlare. Avviene molte volte elle vi è qualche disordine in casa ed i Superiori non lo sanno e perciò non possono porvi rimedio; è di assoluta necessità che voi ne parliate, li rendiate consapevoli del male: voi vi trovate a contatto con costoro, mentre i Superiori stanno lontano.

 

                Altro modo di estirpare la zizzania si è la correzione fraterna. Avviene, e mentre si è qui, e mentre si è in casa dei genitori al proprio paese, che i nostri amici, inavvertentemente, in nostra presenza tengono discorsi non dicevoli ad un giovane cristiano, scrivono lettere servendosi di frasi non cristiane o di espressioni elle possono suscitare la nostra ira o cattivi pensieri. -

 

                Ebbene si risponda a quel tale con bei modi: - Vedi, tu dici così e così; ma osserva che queste parole non stanno bene in bocca ad un cristiano. Io so che tu mi sei amico e scrivesti questo senza avvedertene; ma appunto perchè amico, io credo che tu noti ti offenderai se ti correggo in questo o quello. - Oppure: - Abbimi per iscusato, ma io non posso accettare queste proposte che tu mi fai, le quali non sono conformi alla vita che deve tenere un giovane cristiano.

                Molte volte qualche correzione amichevole così fatta produce nel cuore dei compagni e fratelli l'effetto di più prediche, ed avviene elle si mettono a servir Dio o per lo meno ad amare di più la religione, solo perchè trovano questa cortesia di modi in chi sanno elle pratica la religione. [628] E pur troppo varie volte avviene che coi genitori stessi bisogna usare questa carità di istruirli, correggerli, riprenderli. Si usi fortezza, si faccia anche questo, si faccia coraggiosamente; ma nel modo si usi proprio tutta quella carità, quell'amorevolezza, quella mansuetudine che avrebbe usato san Francesco di Sales trovandosi nel nostro caso.

 

                Tutti questi e mille altri sono i modi che ciascuno, sia prete, sia chierico, sia laico, di qualunque età o condizione, può usare lavorando nella vigna del Signore, Vedete adunque che attorno alla messe evangelica tutti possono lavorare in molti e vari modi, solo che ciascuno sia zelante dell'onor di Dio e della salvezza delle anime.

 

                Adesso qualcuno domanderà: - Ma, signor Don Bosco, a che cosa vuol Ella alludere con questo? Che cosa intende Ella di dirci? Per quale motivo ci manifestò queste cose stasera?

                Oh, miei cari! Quel grido: Operarii autem pauci non si faceva solo sentire nei tempi antichi, nei secoli scorsi, ma a noi, a noi in questi tempi nostri si fa sentire imperioso più che mai. Alla Congregazione Salesiana cresce di giorno in giorno così smisuratamente la messe, che, quasi direi, non si sa più da qual parte incominciare, o come regolarsi nel lavoro. Sì è per questo che io vorrei vedervi tutti e presto buoni operai nella vigna del Signore!

 

                Le domande di collegi, di case, di Missioni vengono in numero straordinario sia dai nostri paesi qui in Italia, sia dalla Francia, sia dalle altre regioni estere. Dall'Algeria, dall'Egitto, dalla Nigrizia in Africa, dall'Arabia. dall'India, dalla Cina e dal Giappone in Asia, dall'Australia, dalla Repubblica Argentina, dal Paraguay, da Gibilterra e si può dire da tutta l'America, si fanno domande di aprire nuove case; poichè dappertutto vi è una scarsità tale di operai evangelici elle spaventa chi osserva il tanto bene che si potrebbe fare e che si deve lasciare indietro per mancanza di Missionari. Dalla Repubblica Argentina poi abbiamo notizie strazianti da D. Cagliero. Là per lo più quando vanno a confessarsi non si domanda: - Da quanto tempo è che non vi siete più confessato? - Ma si dice: Vi siete già confessato qualche volta? - E , non di rado capita di avere uomini e donne sui trenta o quarant'anni, elle non si sono mai confessati. E questo avviene non per odio alle cose di chiesa o di confessione, ma perchè non ebbero mai possibilità di farlo. E figuratevi quanti, oli quanti si troveranno in punto di morte e desidererebbero per lo meno allora avere liti prete a cui confessare le proprie colpe ed averne l'assoluzione, ma neppure questo non è loro concesso, perchè raramente trovano il sacerdote elle possa soddisfarli!

 

                Non è però mio scopo d'invitarvi ad andare in luoghi così lontani; questo si può fare da vari, ma non da tutti, sia perchè il bisogno è anche tanto urgente qui, sia perchè per varie cagioni non tutti coloro elle si sentono chiamati alla Congregazione Salesiana, sarebbero [629] disposti a recarsi in così lontane regioni. Ma in vista di tanti bisogni, di tanta mancanza di operai evangelici, notando che tutti voi, chi in Un modo, chi in un altro, potete lavorare nella vigna del Signore, potrei io stare queto e non manifestarvi il segreto desiderio del mio cuore?

 

                Oh si che desidererei di vedervi tutti slanciati a lavorare come tanti Apostoli! A questo tendono tutti i miei pensieri, tutte le mie cure, tutte le mie fatiche. Si è per questo elle si accelerano gli studi, si dà ogni comodità affinchè si possa far presto ad indossare l'abito ecclesiastico, si imprendono scuole particolari.

 

                E come in vista di tanti e sì pressanti bisogni potrei tacere. Potrei io mentre da ogni parte ci chiamano (e par proprio la voce di Dio che si manifesti per bocca di tanti), ritirarmi? E dopo i manifesti segni della Divina Provvidenza, che tanto grandi cose vuol operare per mezzo dei Salesiani, stare muto e non cercare di aumentare il numero degli operai evangelici?

 

                Ora ho ancora una cosa da dirvi, ed è la più importante. Nel mentre che io invito tutti voi a stare costanti, od a farvi iscrivere nella Congregazione Salesiana, non voglio che chi non ha la vocazione cerchi di entrarvi. Io vedo il gran bene elle possiamo fare, vi espongo come sia grande la messe che sta davanti ai nostri occhi, come abbisogni di molti coltivatori la vigna del Signore, affinchè coloro che si sentono un'interna voce elle dica: - Tu nella Congregazione potrai fare più facilmente la salute dell'anima tua e la salute delle anime del prossimo, - sappiano come stanno le cose, ed abbiano comodità di farsi inscrivere; mentre intendo che tutti gli altri secondino la propria vocazione.

 

                Quello che voglio e quello su cui tanto insisto si è che, dovunque uno sia, sia proprio come sì legge là nel vangelo: Lucerna lucens et ardens. Io non sono contrario ad un giovane che voglia andare in seminario e farsi prete nel secolo; quello che io voglio, e su cui insisto ed insisterò sempre finchè avrò fiato e voce, si è che colui il quale si fa chierico sia santo chierico, come colui che si fa prete sia un santo prete. Si è, che colui il quale vuol partecipare dell'eredità del Signore abbracciando lo stato ecclesiastico, non s'impigli in cose secolaresche, ma attenda solo a salvar delle anime. Questo io domando: che tutti, ma specialmente l'ecclesiastico sia luce che illumini tutti coloro che lo circondano e non tenebre che ingannano chi lo segue.

 

                Ma questa luce non si manifesti solo in parole: venga alle opere. Ciascuno procuri di ornarsi il cuore di quella carità, che fa dare la vita per salvare le anime; la quale fa sì che non si guardi a nessun interesse corporale quando si tratta di fare del bene, e proprio dire con San Paolo che gl'interessi mondani e le cose di questa terra teneva come sozzure, per far lucri d'anime a Gesù Cristo: omnia arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam.

 

                Bisogna che nessuno si lasci dominare dalla gola, dall'intemperanza [630] che è quella che miseramente mena a naufragio tanta gioventù, e diciamolo pure, tanti ecclesiastici. Bisogna che si sappia moderare e mortificare specialmente nel vino colui che desidera lavorare con frutto nella vigna del Signore, in qualunque stato si trovi.

 

                Vero operaio evangelico, dovunque si trovi, è colui che prende parte volentieri alle pratiche di religione, le promuove, le rende solenni. Se c'è una novena, essi ne sono contenti, fanno essi qualche pratica speciale, invitano altri a farne.

 

                Per essere vero operaio evangelico, bisogna non perder tempo, ma lavorare, chi da una parte, chi da un'altra, chi tra gli studi, tra le assistenze e le cattedre, chi tra le cose materiali, chi tra i pulpiti e confessionali, chi tra uffizi e prefetture; ma si tenga bene a mente che il tempo è prezioso e che chi lo perde o non si sforza di utilizzarlo bene, non sarà mai un buon operaio evangelico.

 

                Ecco, miei cari figliuoli, le cose che vi ho esposte per divenire buoni operai evangelici. Oh se queste cose esattamente si praticassero da noi! Volgiamo un po' uno sguardo attorno: si praticano esse nella nostra Congregazione? Oh se io potessi un po' dire che veramente queste cose ci sono, e sono praticate esattamente, me fortunato, io potrei veramente andarne superbo! Oh se i Salesiani mettessero veramente in pratica la religione nel modo che la intendeva S. Francesco di Sales, con quello zelo che aveva lui, diretto da quella carità che aveva lui, moderato da quella mansuetudine che aveva lui, sì che potrei andarne veramente superbo e vi sarebbe motivo a sperare un bene stragrande nel mondo! Anzi io vorrei dire che il mondo verrebbe dietro a noi e noi c'impadroniremmo di lui.

 

                Ancora una cosa, che io credo di una importanza veramente straordinaria e che bisogna che cerchiamo proprio che ci sia in noi ora e che si conservi sempre. Quest'è l'amor fraterno. Credetelo: il vincolo che tiene unite le Società, le Congregazioni, è l'amor fraterno. Io credo di poterlo chiamare il perno su cui si aggirano le Congregazioni ecclesiastiche. Ma a che grado dovrebbe esso ascendere? Iddio Salvatore ce lo disse: Diligite alterutrum sicut et ego dilexi vos; amatevi a vicenda, nel modo, con quella misura con cui io ho amato voi. E nelle sacre Scritture, spesso ci si ripete che ci amiamo molto.

 

                Ma quest'amore per essere come si richiede, dev'essere tale, che il bene di uno sia bene di tutti, ed il male di uno sia male di tutti. Bisogna che ci sosteniamo a vicenda, e che non mai uno biasimi quello che l'altro fa; non mai si abbia un po' d'invidia. - A quel tale quella carica, a me invece no. Quel tale è il più ben visto, mentre io non ho nessuno che mi guardi. Ecco, se c'è qualche cosa di bello e di buono, bisogna che capiti a quel tale, mentre a me nessuno pensa. - No, bando a queste invidie; il bene di uno dev'essere bene di tutti; il male di uno poi anche il male di tutti. C'è qualcuno che sia perseguitato? Bisogna che ci figuriamo perseguitati tutti, e compatirlo [631] e aiutarlo. C'è qualcuno malato? Essere malcontenti, come se lo fossimo noi. Promuovere poi insieme d'accordo le cose buone, l'iniziativa venga da chi si vuole. E si sa bene che non tutti hanno la stessa capacità, gli stessi studi, gli stessi mezzi.

 

                Adunque, grande amor fraterno! Se faremo così, sapete che ne avverrà? Ne avverrà ciò che avvenne nella Chiesa. Alcuni erano apostoli, ma oltre agli apostoli, vi erano i settantadue discepoli, poi vi erano i diaconi, vi erano i cooperatori evangelici; ma tutti costoro lavoravano d'accordo, tutti uniti con grande amor fraterno, e perciò riuscirono a quello che riuscirono, a cambiar la faccia al mondo. Così noi, dovunque siam posti, in qualunque maniera siamo adoperati, purchè possiamo salvare delle anime ed in cima a tutte possiamo salvare l'anima nostra, e noi ne abbiamo abbastanza.

 

                Ma tutte queste cose non si ottengono, se non a prezzo di grandi sacrifizi, nè senza patire qualche cosa. Senza grandi fatiche non si può arrivare a grandi cose; per questo noi dobbiamo essere pronti a tutto. Sì, ciascuno si faccia ascrivere alla Congregazione Salesiana, ma dica: - Io voglio mettermi per questa via col solo motivo di salvar delle anime; ben inteso, volendo anche salvarne delle altre, voglio innanzi tutto salvare la mia. Questo non si può ottenere senza sacrifizi? Ebbene io sono pronto a fare qualunque sacrifizio. Voglio pormi alla sequela di Gesù Crocifisso; se Esso muore in croce; patendo orribili dolori, io che voglio essere suo seguace devo mostrarmi pronto a qualunque patimento, fosse pure di morire in croce con Lui. -

                D'altronde, guardate, nel Vangelo si trova scritto: Beati i tribolati, e non mai: Beati coloro che se la godono. Tocca dunque soffrire qualche cosa? Beato me, così potrò più da vicino seguire le orine del Divin Redentore. I gaudenti di questo mondo godono per un momento, e poi dei loro godimenti ne avranno ben poco, anzi nulla, peggio che nulla e per tutta l'eternità. I tribolati invece patiscono bensì qualche cosa, ma questo durerà poco ed ogni patimento loro sarà cambiato in gemma preziosa lassù in Cielo e li consolerà per tutti i secoli.

 

                Io finisco con quel detto di S. Paolo: Vos delectat magnitudo praemiorum? non vos deterreat magnitudo laborum. Vi diletta il pensiero della grande ricompensa del Paradiso? Non vi spaventate, se dovrete soffrire qualche cosa su questa terra.

 

8.

 

Conferenza letta da Don Bosco nell'Arcadia.

 

                Chi ha l'alto onore di parlare alla vostra presenza, Rispettabili Signori, è un umile Sacerdote, che venuto a Roma, per sua buona ventura e senza alcun suo merito, fu annoverato fra gli Arcadi, ed ora è incaricato di leggere una prosa, che possa servire d'introduzione all'Arcadica radunanza di questo Venerdì Santo. [632] La eleganza del dire, la forbitezza dello stile, che sogliono brillare in quest'aula scientifica, mi hanno messo in non lieve apprensione, essendo io abituato a parlare, leggere, scrivere pel popolo, e specialmente per l'idiota gioventù. Mi sono tuttavia fatto animo ad accondiscendere, pensando che la forbita penna dei miei Colleghi, mi si permetta questo vocabolo. supplirà in abbondanza all'insufficienza mia.

 

                Ma la Passione del Redentore di cui devesi trattare, essendo argomento vasto assai, è mestieri di restringerlo ad alcuni punti determinati. Pertanto io non toccherò la parte ascetica, nè la parte oratoria, che appartengono ai sacri: non parlerò dell'Archeologia, che si rimette alle lunghe elucubrazioni dei dotti; neppure dei personaggi nominati nel racconto evangelico della Passione del Signore, perciocchè questa è materia propria dei commentatori biblici e degli Scrittori di Storia Ecclesiastica. Ometto pure quanto è avvenuto del Salvatore prima della sua salita al Calvario, e sceglierò sol tanto quello che diciannove secoli fa, presso a poco nell'ora in cui noi siamo qui raccolti, si compiè sopra quel monte di Redenzione. Vale a dire le Sette parole proferite da Gesù in Croce. Qui pure, o Signori, di buon grado affido la sublimità dei concetti, gli slanci poetici alla valentia dei miei Colleghi, ed io mi terrò ad una semplice esposizione storico-letteraria quale parmi si convenga agli uditori che in questo avventuroso momento mi onorano. Se la pochezza del mio lavoro non vi porge ragione di applaudire, vi darà certo motivo di esercitare la vostra bontà e di compatire.

 

                Dopo mille strapazzi e tormenti, sottoposto a spietata flagellazione, coronato di spine, condannato alla ignominiosa morte di Croce l'amabilissimo Salvatore, con grande spasimo, portò l'istrumento del suo supplizio fino sul Golgota.

 

                Golgota o Calvario significa monte di Teschi, che alcuni vogliono così chiamato, perchè quivi erano condotti i giustiziati a scontare la pena dei misfatti commessi. Ma Tertulliano, Orgigene, S. Epifanio, S. Gio. Grisostomo, ed Agostino opinano quel monte essere appellato Golgota da Adamo ivi sepolto; e che per un tratto di Provvidenza Divina venisse fatto il fosso della Croce dove era il teschio di lui, e così l'autore del primo peccato fosse pure il primo ad essere lavato dal sangue di chi moriva per la salvezza del genere umano.

 

                S. Girolamo nella lettera a Marcella si esprime così: In hoc loco et habitasse dicitur, et mortuus esse Adam. Unde et locus in quo crucifixus est, Dominus Noster, Calvaria appellatur, scilicet quod ibi sit primi hominis Calvaria condita, ut secundus Adam et sanguis de cruce stillans primi Adam et iacentis protoplasti peccata dilueret.

 

                Nei libri santi era predetto che il Messia doveva essere elevato in croce, come Mosè innalzò il serpente nel deserto in liberazione dei morsi velenosi, da cui erano feriti gli Ebrei (S. Gio. C. III). Sicut [633] Moyses, dice Cristo, exaItavit serpentem in deserto, ita oportet exaltari Filium hominis.

 

                Inalberata quindi la Croce, elevata sopra di essa la Sacratissima Persona di Gesù, confittovi con acutissimi chiodi, i soldati, i Principi, gli Anziani degli Ebrei, in luogo di conoscere il comun Salvatore in Colui che avevano crocifisso, si fecero a burlarlo, a disprezzarlo in tutte guise. - Ha salvato gli altri, andavano dicendo, e non può salvare se stesso. Se è il Cristo predetto da Dio discenda presentemente dalla croce; se Dio lo ama, lo liberi adesso. Se tu sei suo Figlio, discendi dalla croce; se Re dei Giudei, salva te stesso, giacchè hai detto che distruggi il tempio di Dio ed in tre giorni lo riedifichi: pretendi salvare gli altri e non salvi te stesso. - Questi ed altri simili insulti lanciava la moltitudine contro a Gesù pendente in croce. Tutti gli elementi della natura volevano certamente vendicare gli oltraggi del Creatore. Il Salvatore avrebbe potuto far cadere estinti tutti i suoi oltraggiatori, come caddero tramortiti al principio della sua passione; aprire la terra per inghiottirli vivi, come fu di Datan ed Abiron; farli inabissare nell'acqua, come nel Diluvio; incenerirli, come gli abitanti di Sodoma e di Gomorra. Ma il tempo in cui Gesù pendeva in croce era di misericordia; perciò a tanti insulti non rispose, se non colla clemenza e col perdono. Ed appunto la prima parola profferita dalla Croce fu indirizzata al suo Padre Celeste, a fine di implorare misericordia a quelli che l'oltraggiavano. - Padre mio, egli dice, perdonate a questi miei crocifissori, perchè non sanno quello che fanno. Jesus autem dicebat: Pater dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt (Luca, Cap. XXIII).

                L'Angelico S. Tommaso fa qui due domande: (3° Parte. quest. XLVII): Utrum Christi persecutores eum agnoverint, et utrum peccatum Christum crucifigentium fuerit gravissimum.

 

                Alla prima, se i Crocifissori l'abbiano conosciuto, risponde che i Maggiori, cioè i Principi, gli Scribi, i Dottori della legge avevano certamente chiara cognizione del Salvatore, ma non gli vollero prestare fede e tutto pervertirono in cattivo senso.

 

                Onde nel Vangelo dice (S. Giov., Cap. XV): Si non venissem et locutus eis non fuissem, peccatum non haberent: nunc autem, excusationem non habent de peccato suo. Inoltre i Maggiori, essendo istruiti nelle scienze dei Libri Santi, dovevano conoscere le profezie, che si andavano compiendo, i miracoli che Gesù aveva operato, le virtù eroiche esercitate, quindi la ignoranza loro non poteva scusarli, perchè affettata; anzi rendevali maggiormente colpevoli.

 

                Riguardo poi ai Minori, cioè al minuto popolo, che non conosceva e non intendeva le Scritture, per la sua ignoranza si rese assai meno colpevole. In questo senso S. Pietro compativa gli Ebrei dicendo: - Io so che quanto operaste contro il Salvatore, il faceste per ignoranza, come fecero i vostri antenati (Atti Ap. c. III). - [634] Da ciò conseguita la risposta al secondo quesito, che il peccato dei Crocifissori fu gravissimo pei Maggiori, gravissimo nei Giudei Minori, ma assai diminuito dalla loro ignoranza. Perciò la preghiera di Gesù all'Eterno Padre non fu per i Maggiori, che si mostravano ostinati, ma pei Minori, pe' Gentili che lo crocifissero, resi in qualche modo scusabili dalla loro ignoranza.

 

                Il Venerabile Beda precede S. Tommaso nello stesso senso, dicendo: Pro illis rogat, qui nescierunt quid facerent, zelum Dei habentes, sed non juxta scientiam. Multo magis fuit excusabile peccatum Gentilium, per quorum manus crucifixus est.

 

                Seconda Parola. Gli Ebrei per coprire d'infamia il Salvatore, e, secondo la predizione del Profeta, saturarlo d'obbrobrii, vollero che due insigni facinorosi fossero ai suoi fianchi crocifissi, affinchè comparendo loro uguale nella pena, pari pure ne fosse giudicata la colpa e l'infamia.

 

                Sembra che da principio ambidue i ladroni insultassero il Salvatore, ma uno di loro tocco dalla divina grazia, rimproverò il compagno dicendo: - Neppure tu temi Iddio, trovandoti colpito dalla stessa condannazione? Noi peraltro paghiamo il fio dei nostri misfatti, e ce lo meritiamo, ma costui non ha fatto alcun male. - E voltosi a Gesù diceva: - O Signore! Ricordatevi di me quando sarete nel vostro regno. - Gesù rispose: - Oggi sarai meco in Paradiso.

                Et dicebat ad Jesum: Domine, memento mei cum veneris in regnum tuum. Et dixit illi Jesus Hodie mecum eris in Paradiso[240].

 

                I sacri interpreti dimandano, se la parola Paradiso debba intendersi del Paradiso terrestre, del Paradiso celeste, o del Limbo. La comune opinione intende del Paradiso celeste. Ma se in quel giorno il Salvatore non salì al Cielo, bensì discese al Limbo, come si compiè la promessa: Oggi sarai meco in Paradiso?

 

                Il dotto Esichio di Gerusalemme interpreta il testo evangelico, aggiungendo una virgola dopo hodie, sicchè il senso ne sarebbe questo: Oggi ti dico: Tu sarai meco in Paradiso. Ma più semplice è la spiegazione di S. Agostino, che dice, il Salvatore avere parlato non come uomo, ma come Dio. Dimodochè oggi nella bocca di Dio non ha limite di tempo. Più chiaro ancora lo spiega S. Tommaso dicendo: Illud Verbum Domini hodie est intelligendum non de Paradiso terrestri corporeo, sed de Paradiso spirituali, in quo esse dicuntur quicumque divina gloria perfruuntur. Unde latro quidem cum Christo ad infernum descendit, ut cum Christo esset, quia dictum est ei: Mecum eris in Paradiso; sed praemio in Paradiso fuit, quia ibi divinitate Christi fruebatur sicut et alii Sancti (Parte 3a, Quest. 52). [635] Terza Parola. Il Salvatore aveva concesso il perdono ed assicurato il Paradiso al buon Ladrone, quando volgendo lo sguardo sopra gli astanti, i suoi occhi si scontrarono con quelli dell'amatissima sua Madre. Erano tutti fuggiti i suoi parenti ed amici, eransi dispersi gli Apostoli. Ella sola qual donna forte, accompagnata da Giovanni, quasi resa insensibile al dolore dall'affetto materno, intrepida assisteva il Figlio in croce, restando il suo Cuore veramente trafitto da pungente spada, come sta scritto nel Vangelo: Et tuam ipsius animam pertransibit gladius.

 

                Gesù adunque avendo rimirata la Madre e vicino a Lei il discepolo prediletto, dice alla. Madre sua: - O Donna, ecco il Figlio tuo. - Di poi dice al Discepolo: - Ecco la Madre tua. - E da quel momento Giovanni la ricevette per Madre.

 

                Si suole dimandare perchè la Santissima Vergine sia qui chiamata Donna e non Madre.

 

                Il Crisostomo ci ammaestra che Maria fu chiamata Donna, affinchè non fosse di troppo amareggiato il Cuore di Lei, chiamandola col tenero nome di Madre. S. Bernardo aggiunge che la chiama donna per rammentarle che Essa era quella Donna forte, la quale in quel momento col suo piede Immacolato schiacciava il capo del Serpente insidiatore.

 

                S. Giovanni seguì fedelmente il desiderio di Gesù e prese di Maria cura veramente figliale. La tenne in sua casa, finchè dimorò in Palestina, seco la condusse in Efeso, e come Figlio affettuoso l'assistette fino agli ultimi momenti di vita.

 

                In S. Giovanni la Chiesa ravvisa tutto il genere umano dimodochè la SS. Vergine in ricevere S. Giovanni per figlio divenne Madre di tutti i Cristiani, come insegna S. Bernardino: Qui est discipulus Christi est etiam Virginis Filius.

 

                Quarta Parola. La quarta parlata del Salvatore in Croce viene espressa così in S. Matteo (Cap, XXVII): Et circa horam nonam clamavit Jesus voce magna dicens: Eli, Eli, Lamma sabacthani? Parole che dallo stesso Vangelo sono interpretate: Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? Mio Dio, mio Dio, perchè ini avete abbandonato?

 

                Queste voci sono Siriache, perciocchè questa lingua che è un misto di Caldaico e di Ebraico, era molto parlata dagli Ebrei dopo il ritorno dalla schiavitù Babilonica. Ma pare che non siano state intese, perchè gli astanti credettero che chiamasse Elia in suo aiuto. Chi fossero poi questi astanti non si conosce chiaramente. Alcuni li reputano Romani, i quali ignorando la lingua Ebraica credevano avesse chiamato Elia in suo soccorso. Ma si osserva elle se i Romani non sapevano l'Ebriaco, nemmeno avevano notizia di Elia. Altri sono di parere che fossero Ellenisti, cioè Ebrei abitanti nell'Egitto, dove assai era diffusa la lingua Greca. Costoro ignoravano l'Ebraico, [636] ma conoscevano Elia. Pare peraltro preferibile l'opinione che dice essere Ebrei, i quali intendevano benissimo l'Ebraico, ma fingevano di non capirlo per così burlare G. C.

 

                Intorno a questa parola è opportunissimo di notare l'empia interpretazione che ne danno Calvino ed i moderni increduli.

 

                In quel momento, dicono essi, Cristo provò tutte le pene dei dannati, e quelle parole segnano un atto di disperazione. Orrenda bestemmia! Dice Benedetto XIV: “Se Cristo si disperò in croce, come potè placare l'ira divina, che era lo scopo della celeste sua Missione? Come potè tosto aggiungere le altre affettuose parole al Celeste Padre, Pater in manus tuas commendo Spiritum meum, parole elle dimostrano la piena sua rassegnazione e confidenza ai voleri del Cielo?”. Onde le parole del Salvatore non vennero da impazienza, nè da diffidenza, nè vollero significare l'umanità abbandonata dalla Divinità, perchè, dice il Nazianzeno, quod semel assumpsit, nunquam dimisit; neppure indicano elle Egli sia stato privato della benevolenza del suo Eterno Padre. Quelle parole adunque furono dette per significare l'atrocità dei dolori che pativa, per iscontare i delitti degli uomini, parole elle rendevano palesi le interne afflizioni,. alle quali Dio abbandonollo per isconto delle nostre colpe, di cui erasi fatto reo.

 

                Gran Dio, esclama S. Leone, quanto mai sono terribili gli effetti della tua giustizia! Se con tanto rigore sono punite le iniquità sopra gl'innocenti, che ne sarà dell'uomo che le ha commesse e più volte commesse?! (Serm. De Passione D.).

 

                Quinta Parola. Come la prima colpa fu peccato di gola, così il Divin Salvatore volle scancellarlo col sensibilissimo patimento della sete. Ed ecco la quinta parola di Gesù in Croce.

 

                L'addolorato Redentore pendeva tuttora in croce, e il sangue sparso, le fatiche di ogni genere sostenute, avevano prostrato il suo adorabilissimo Corpo da provare di fatto ardentissima sete. - Postea, dice S. Giovanni (Capo XIX), sciens Jesus quia omnia consummata sunt, ut consummaretur Scriptura, dixit: Sitio. Vas ergo erat positum aceto plenum. Illi autem spongiam plenam aceto, hyssopo circumponentes, obtulerunt ori eius. Nicolò di Lira, parlando di questa sete, dice: Tantum laboraverat et sanguinem emiserat, quod corpus eius erat dessiccatum et adustum, el propter hoc sitiebat supra modum.

 

                S. Agostino ravvisa un mistero nella sete di Cristo. Gesù ha sete, egli dice, ma sete della nostra felicità, della nostra salute, della nostra beatitudine Sitit gaudium vestrum. Il Nazianzeno dice che Gesù ha sete per invitar noi ad avere sete di Lui, e ci risolviamo ad amarlo: Sitit sitiri Deus. Ha sete delle nostre anime, e vorrebbe patir di più a fine di facilitarci la via della salvezza. Sitio; sitit maiora tormenta[241]. [637] Sesta Parola. La sesta volta che Gesù parlò dalla Croce è così descritta da S. Giovanni (Cap. XIX): Cum ergo accepisset Jesus acetum, dixit: Consummatum est. Avendo Gesù gustato l'aceto che gli si offriva, disse: E’ consumato. E' consumato il sangue che doveva spargere per la redenzione degli uomini. Sono consumate, ovvero compiute, le profezie che predissero i miei patimenti. Completae sunt Scripturae, scrive S. Leone, non est amplius quod insaniam populi furentis expectem: nihil minus pertuli, quam me passurum esse praedixi. (Serm. de Passione).

 

                Sono compiute le figure, i simboli e quello che vaticinò Davide intorno alla mia sete ed all'amara bevanda che mi sarebbe porta, Dederunt in escam meam fel et in siti mea potaverunt me aceto.

 

                Consummatum est. E' consumata la barbarie dei miei persecutori: il mistero della Redenzione del mondo è compiuto. Consummatum est.

 

                Settima Parola. Gesù Salvatore dopo aver perdonato ai suoi nemici, usata misericordia al buon ladrone, stabilita l'augustissima sua Madre per madre nostra, provata ardentissima sete, consumato il Mistero della Redenzione, finalmente con gran voce raccomandò il suo spirito al Padre celeste, ed esclamò: Padre mio, nelle vostre mani raccomando il mio spirito. Et clamans voce magna Jesus ait: Pater, in manus tuas commendo Spiritum meum. Et haec dicens, expiravit. (Luca XXVII).

 

                I sacri commentatori osservano che un uomo così esausto di sangue, così sfinito di forze e sul punto di mandare l'ultimo respiro, non poteva naturalmente emettere cotanta gagliarda voce: perciò Cornelio Alapide vuole che gridasse per forza soprannaturale, che la Divinità gli somministrava. Altri con S. Tommaso affermano che G. C. per dimostrare che la Passione non gli levava violentemente l'anima, conservò la natura umana nella sua forza, elle perciò moriva volontariamente, come disse il Profeta: Oblatus est, quia ispe voluit. Ma ognuno conviene essere vero miracolo elle un uomo agonizzante abbia potuto con tale gagliarda voce esclamare.

 

                S. Bonaventura insegna che questo grido è quello di cui S. Paolo parla agli Ebrei: Cum clamore magno et lacrimis offerens. Colle lacrime dimostrò la sua umanità, colla gagliardia di voce dimostrò la sua divinità. Lo stesso asserisce il Card. Ugone: Veritas humanitatis et virtus divinitatis ostenditur.

 

                In fine S. Atanasio insegna che Gesù con quella gran voce ci raccomandò tutti all'Eterno Padre e tutti ci chiamò a seguirlo nei patimenti, perchè possiamo tutti un giorno andarlo a raggiungere nella sua gloria. In eo clamore omnes apud Patrem deponit. L'Angelico san Tommaso si fa a questo proposito questa dimanda: Se i patimenti mente col loro Diacono e Suddiacono, succhiano il Sangue di G. G. colla fistola, per rappresentare la canna sopra cui fu imposta la spugna d'aceto offerta a G. C, mentre pendeva dalla Croce. [638] che Gesù sostenne nella sua Passione e Morte siano stati gravi assai: Utrum dolor Passionis Christi fuerit maior omnibus doloribus. E risponde, che i dolori, cui fu sottoposta l'umanità  di Cristo, furono gravissimi sotto ogni rapporto. Egli patì assai per cagione delle donne, perciocchè le ancelle hanno accusato Pietro, che di poi lo negò; da parte degli uomini, dei Principi, dei Sacerdoti, degli anziani, del popolo: per parte de' suoi stessi famigliari ed amici, essendo stato tradito da Giuda, negato da Pietro, abbandonato da tutti i suoi Apostoli; patì nella fama per le orrende bestemmie profferite contro di lui, nell'onore e nella gloria per le irrisioni e contumelie; patì nel corpo per le ferite e pei flagelli, nella testa per le spine, nelle mani e nei piedi da pungenti chiodi trafitti, nella faccia per gli schiaffi e per gli sputi, a segno che non vi era parte del sacratissimo suo corpo che non avesse un dolore speciale, come di lui fu predetto: A planta pedis usque ad verticem capitis non est in eo sanitas.

 

                I dolori dell'animo furono pure gravissimi. Patì una tristezza mortale che lo ridusse al sudor di sangue, soffrì poi pei peccati di tutto il genere umano: per quelli degli Ebrei e degli altri che ebbero parte nella sua morte; per lo scandalo che ricevettero i suoi discepoli.

 

                Lo stesso Angelico Dottore avverte eziandio che il Salvatore nel suo corpo essendo di forma perfettissima, il senso del tatto in lui era parimenti sensibilissimo, quindi atrocissimo il dolore.

 

                Finalmente G. C., essendosi volontariamente assoggettato a quella dolorosa Passione per liberare gli uomini dal peccato, ne assunse tutta la gravità; perciò la pena doveva essere proporzionata al frutto che ne doveva derivare; per conseguenza i suoi dolori non potevano essere più gravi: Non est dolor sicut dolor meus.

 

                Come Gesù mandò l'ultimo respiro, tutti gli elementi rimasero commossi e sconcertati, prendendo in certo modo anch'essi parte ai patimenti del loro Creatore. La chiara luce del giorno scomparve e le tenebre coprirono tutta la faccia della terra dal mezzogiorno alle tre pomeridiane. Oscurato così il sole, apparvero le stelle come in piena notte. Et facta hora sexta, scrive S. Marco (Cap. XV), tenebrae factae sunt per totam terram. Et obscuratus est sol (Cap. XXII), aggiunge S. Luca. A sexta autem hora, dice S. Matteo (Cap. XXVII), tenebrae factae sunt super universam terram usque ad horam nonam.

 

                Tale oscuramento del sole avvenne in tempo in cui vi era plenilunio, perciò non poteva succedere senza un gran miracolo. Ma si dimanda se quelle tenebre abbiano solamente coperta la terra in Giudea, oppure abbiano oscurato e circondato tutto il globo. t comune sentenza che le tenebre abbiano coperto tutto il globo. Tale è il senso letterale del Vangelo: Et tenebrae factae sunt in universam terram (S. Luca).

 

                Ciò conferma S. Dionigi Areopagita nella sua lettera a S. Policarpo, dove parla a lungo di questo oscuramento e lo dice avvenuto [639] in modo soprannaturale, quando egli dimorava in Eliopoli, città di Egitto. Anzi lo stesso S. Dionigi vedendo un'eclisse in tempo, in cui non poteva naturalmente avvenire, ebbe ad esclamare: Aut Deus naturae patitur aut mundi machina dissolvitur (Brev. 9. Ott.).

 

                Ancora più chiare sono le parole di Flegonte, liberto dell'Imperatore Adriano, che nella sua storia parla così: Quarto anno Olympiadis centesimae secundae, che corrisponde all'anno in cui morì il Salvatore, magna et excelsa inter omnes, quae ante eam acciderunt, defectio solis facta. Dies hora sexta ita in tenebrosam noctem versus, ut stellae in caelo visae sint terraeque motus in Bithinia Niceae urbis multas aedes subvertit.

 

                Si legge pure nella Storia della China, elle in quel medesimo tempo un'eclisse straordinaria oscurò il sole in quelle lontane regioni, a segno che l'Imperatore Quamvuzio ne fu gravemente turbato (Storia della China di Adriano Gresfonio).

 

                Queste autorità della Storia profana concorrono a confermare l'esposizione dei libri santi, che l'eclisse avvenuta alla morte del Salvatore siasi difatto estesa a tutta la superficie della terra. Tenebrae factae sunt super universam terram. (S. Matt. XXVII).

 

                Altro pubblico prodigio avvenne alla morte di Gesù per la rottura del velo del Tempio, che senza essere tocco da mano d'uomo si squarciò istantaneamente in due parti da capo a fonda. Et ecce velum templi scissum est in duas partes a summo usque deorsum (Matt. 15).

 

                Due erano i veli, ossia le grandi cortine del tempio; uno separava il Santuario dal Santo dei Santi, che era luogo riservato al solo Sommo Sacerdote, che ci entrava una sola volta all'anno. L'altro velo separava il Santuario, dove erano i Sacerdoti, dall'atrio in cui si raccoglieva il popolo.

 

                Il vangelo non dice se tutti due i veli, o soltanto uno siasi squarciato, e, se solamente uno, quale ne sia. Cornelio a Lapide (al C. 27 di S. Matt.), Natale Alessandro e Calmet chiamano comune l'opinione che dice solamente un velo siasi squarciato, e questo fu il velo dal Santo dei Santi. che soleva appellarsi velo per eccellenza.

 

                Gesù Cristo, dice Calmet nella lettera agli Ebrei, in qualità di Sommo e Grande Sacerdote ci aprì il cammino del Santuario attraverso del velo, ossia colla sua Passione, mostrando che il cammino del Cielo restò aperto per la morte di Cristo, che le ombre della legge si sono dissipate, e che il vero e grande Sacerdote secondo l'Ordine di Melchisedec era entrato nell'interiore del Tempio, per liberare tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato (Agli Ebrei, C. 10).

 

                All'oscuramento del sole e alla rottura del velo segue un terzo prodigio, per cui tremarono i monti, si spaccarono le pietre, si aprirono le tombe, e parecchi morti ritornati a vita comparvero a molti nella stessa città di Gerusalemme. Et terra mota est et petrae scissae sunt, et monumenta aperta sunt; et multa corpora sactorum qui dormierant, [640] surrexerunt. Et exeuntes de monumentis post resurrectionem Eius venerunt in sanctam civitatem et apparuerunt multis (Matt. C. XXVII).

 

                Si vuole dimandare se il miracolo della risurrezione di molti sia solamente avvenuto nella Giudea, o eziandio in altre parti del mondo.

 

                Origene è di parere che solo nella Giudea o al più nella terra della Giudea sia succeduto questo miracolo; ma il Baronio, il Calmet e molti altri ammettono tale prodigio avvenuto anche fuori della Giudea. Di fatto nel Vangelo non apparendo alcun limite di luogo, devesi intendere generale, palesandosi vieppiù l'Onnipotenza di Dio. Corrobora tale asserzione il fatto di Flegonte che dimorando nella Bitinia fu testimonio tanto dell'eclisse, quanto del terremoto, che rovinò parecchi edifizi nella città di Nicea.

 

                Il grande ed erudito Benedetto XIV accenna ad un quarto prodigio non registrato nel Vangelo, ma nella Storia profana.

 

                Credo non vi riesca discaro udirlo quale sta scritto in Plutarco nel libro della Cessazione dei Miracoli. Un certo Tamo, egli dice, viaggiava dall'Egitto verso all'Italia sopra una nave carica di merci e di viaggiatori. Giunto presso alle isole Curzolari, sul farsi della notte si levò un gagliardo vento che sbattendo qua e là il naviglio, metteva tutti in gran pericolo. Quando all'improvviso calmaronsi i venti, cessò la burrasca, e fattosi profondo silenzio si udì una voce sconosciuta che chiamò due volte Tamo. Esso non osava farsi vedere, soltanto alla terza chiamata uscì di mezzo alla moltitudine; ed allora la voce continuò: - Tamo, quando sarai arrivato al porto di Pelade annunzia con gran voce che è morto il Gran Pana. - Giunto a Pelade, i venti nuovamente si calmarono e Tamo potè ad alta voce annunziare la morte del Gran Pana, ossia del Padre di tutti gli uomini, l'autore di tutta la natura. Finiva appena di parlare che si udirono strida e sospiri di molti che piangevano la detta morte.

 

                Pervenuta quella notizia a Roma, l'Imperatore Tiberio volle udirla raccontare dallo stesso Tamo.

 

                Il prelodato Benedetto XIV crede che quei pianti fossero gemiti degli Spiriti maligni, che per la morte del Salvatore vedevansi annientata la loro potenza.

 

                Il Tillemont (nota 37a sopra la vita di G. C.), il Card. Baronio (All'anno 34°), Natale Alessandro, 1° secolo (Capo 1°), Eusebio di Cesarea, il Card. Goti ammettono questo miracolo, aggiungendo che simili fatti raccolti dalla Storia profana hanno molta autorità per confermare le verità e i fatti de' Libri Santi.

 

                Esposti così i fatti avvenuti mentre Gesù pendeva sul Calvario in Croce, è mestieri di venire ad una conclusione che a noi sia opportuna e come Cristiani e come Cattolici.

 

                Come Cristiani, o Rispettabili Signori, non dobbiamo giammai dimenticare che Cristo Salvatore si procacciò il sublime posto di gloria alla destra del Celeste Padre ed un nome che è sopra tutti i Nomi; [641] ma ciò ottenne colla sua lunga, dolorosa Passione e Morte. Se noi desideriamo di andare in Cielo al possesso della gloria che Egli ci comperò a cotanto caro prezzo e che tiene preparato per tutti i redenti, dobbiamo seguirlo nei patimenti sopra la terra. Qui vult gaudere cum Christo, oportet pati cum Christo.

 

                Come Cattolici poi teniamo fisso nella mente, che vi è un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, un solo G. C. morto per tutti. Noi tutti perciò dobbiamo riporre in Lui tutta la nostra fiducia, credere in Lui, sperare in Lui, perchè Egli solo colla sua Passione e Morte ci ha fatti figli di Dio, suoi fratelli, membri dello stesso suo corpo, eredi dei medesimi tesori del Cielo.

 

                Concedeteci, o Signore, prega S. Chiesa, che partecipando dei meriti del corpo e del sangue sacrificato sulla Croce meritiamo di essere annoverati fra i vostri membri: Ut inter eius membra numeremur, cuius corpori communicamus et sanguini (Sab. della 3a Set. di Quar.).

 

                Divenuti membri del Sacratissimo Corpo di Gesù, dobbiamo tenerci a Lui strettamente uniti, non in astratto, ma in concreto, nel credere e nell'operare. Di tutti i Credenti, continua S. Chiesa, non vi abbia che una sola fede, che regni nella nostra mente, ed un solo spirito di pietà che guidi le nostre azioni. Ut una sit fides mentium et pietas actionum (Feria 5a post. P.).

 

                L'unità di fede che è fondamento del Cattolicismo, l'unità nel bene operare cotanto raccomandata nei Libri Santi, predicata da G. C. e dagli Apostoli, inculcata. in tutti i tempi da quelli che lo Spirito Santo pose a reggere la chiesa di Dio, è quella che in questo momento raccomando a me, raccomando a Voi, venerati Signori. Ad esempio dei fedeli della Chiesa primitiva, facciamo anche noi un cuor solo, un'anima sola per iscongiurare i gravi pericoli da cui siamo circondati. Ma come al tempo della vita mortale del Salvatore gli Apostoli raccoglievansi intorno a Lui come a centro sicuro, e maestro infallibile: come dopo di Lui i veri credenti per non errare si tennero strettamente uniti con Pietro e coi suoi successori nel governo della Chiesa; così noi tutti schierati intorno al degno successore di Pietro, intorno al grande, al coraggioso Vicario di Gesù Cristo, al forte all'incomparabile Pio IX. In ogni dubbio, in ogni pericolo, ricorriamo a Lui, come ad àncora di salvezza, come ad oracolo infallibile. Nè mai alcuno dimentichi che in questo portentoso Pontefice sta il fondamento, il centro d'ogni verità, la salvezza del mondo. Chiunque raccoglie con lui, edifica fino al Cielo; chi non edifica con lui, disperde e distrugge fino all'abisso. Qui mecum non colligit, disperdit.

 

                Se mai in questo momento la mia voce potesse giungere fino a quell'Angelo Consolatore: Beatissimo Padre, vorrei dire, ascoltate e gradite le parole di un figlio povero, ma a Voi affezionatissimo. Noi [642] vogliamo assicurarci la via che ci conduca al possedimento della vera felicità, perciò tutti ci raccogliamo intorno a Voi, come Padre Amoroso, e Maestro Infallibile.

 

                Le vostre parole saranno guida ai nostri passi, norma delle nostre azioni. I vostri pensieri, i vostri scritti verranno raccolti colla massima venerazione, e con viva sollecitudine diffusi nelle nostre famiglie, fra i nostri parenti, fra i nostri amici e se fia possibile, per tutto il mondo.

 

                Le vostre gioie saranno pur quelle dei vostri figli, e le vostre pene, e le vostre spine saranno parimenti con noi divise. E come torna a gloria del soldato che in campo di battaglia muore pel suo Sovrano, così sarà il più bel giorno, di nostra vita, quando per Voi, o Beatissimo Padre, potessimo dare sostanza e vita, perchè morendo per voi abbiamo sicura caparra di morire per quel Dio, che corona i momentanei patimenti della terra cogli eterni godimenti del Cielo.

 

9.

 

Lettera dell'Arcivescovo di Torino al Papa.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Con questa lettera io espongo a V. S. l'intenzione e il desiderio di ritirarmi da questo posto di Arcivescovo di Torino, ove le difficoltà sono dieci volte più gravi e numerose di quanto mi aspettava, e per vincere le quali mi mancano le forze mentali, fisiche e pecuniarie. Più mi inoltro e più mi mancano i mezzi di compiere siccome sarebbe a desiderarsi i miei doveri, sentendomi l'Autorità decrescere e scemarsi in mano mia. Mi sono messo con tutta la volontà di fare il bene e scemare il male che come diocesano di Torino vi deplorava, ma le mie intenzioni ed i miei sforzi ebbero ed hanno dei cattivi interpreti, i quali mi presentano a V. S. come un amministratore di questa vasta Archidiocesi non degno di fiducia, sì piuttosto di biasimo. Non temo un esame anche scrupoloso di ciascuna delle mie operazioni come Arcivescovo, ma non posso reggermi contro ripetuti e pertinaci assalti delle male lingue e delle penne ancor peggiori.

 

                Mi sta a fianco un Ecclesiastico il quale, se ha fatto e fa del gran bene alla mia Diocesi, in un modo, ha recato e reca alla mia amministrazione del gran male collo sparlare di me dentro a questa Diocesi ed ai Vescovi circonvicini. Essendo esso. per acquistare nuovi privilegi, io desidero non avere più con esso altri conflitti. Per una parte combattuto continuamente dai miscredenti e dagli increduli e dai falsi liberali e dai cattivi ecclesiastici, mi accorgo apertamente per l'altra parte che nel centro dell'Autorità ecclesiastica non si ha in me la confidenza che mi è indispensabile al compimento dei miei [643] doveri in questi tristissimi tempi in cui lo spirito di vertigine e di rivolta ha invaso anche una parte del Clero.

 

                Io quindi amerei di ritirarmi a passare gli ultimi anni della mia vita in apparecchiarmi quietamente al giudizio di Dio.

                Torino, 3 aprile 1876.

 

10.

 

Promemoria di Don Bosco al Card. Franchi.

 

                Promemoria di un progetto per la promulgazione del Vangelo nella Patagonia umilmente presentato a S. E. Rev.ma il Card. Franchi Prefetto della S. Congregazione di Prop. Fide.

 

                Eminenza Reverendissima

 

                Come figlio affezionato ed ubbidiente alla S. Sede, espongo alla E. V. Rev.ma un progetto che in questi tempi parmi si possa effettuare a benefizio di una vasta regione, forse l'unica in cui finora il Vangelo non abbia ancora potuto far sentire i misericordiosi effetti della Fede in Gesù Cristo.

 

                Questa regione è nota sotto al nome di Pampas e Patagonia o terre Magellaniche nell'America del Sud. Essa è compresa tra il mare delle Indie e il Pacifico e si estende dal grado 42 al 60 e se a questa si uniscono le isole vicine viene a formare un continente maggiore di quello di Europa. Trent'anni dopo Cristoforo Colombo, i celebri viaggiatori Cabotto e Magellano ne fecero conoscere l'esistenza, ma non ci poterono penetrare. Dopo di loro varii coraggiosi. Evangelici operai ne fecero prova in diverse epoche e alcuni lavorano ancora presentemente, ma i loro sforzi e i loro progressi furono momentanei. Il nome di Gesù risuonò fino al grado 45, ma di nuovo quelli dovettero retrocedere e limitarsi agli attuali confini della Repubblica Argentina e del Chili. La Patagonia adunque sia per la vasta superficie e la scarsezza degli abitanti, sia per l'indole feroce e statura gigantesca dei medesimi, sia ancora per la crudezza del clima (il caldo sta dai 6 agli otto centigradi) si poterono ottenere pochi vantaggi e la geografia annovera quella vastissima regione fra quelle, in cui nè cristianesimo, nè civiltà potè finora penetrare, nè alcuna autorità civile od ecclesiastica vi potè estendere la sua influenza o il suo impero.

 

                In questi ultimi tempi apparvero alcuni albori di speranza e di Misericordia Divina, dacchè varie città. parecchi paesi della Repubblica Argentina, fondati in vicinanza dei selvaggi iniziarono con essi quasi insensibilmente alcune relazioni, a segno che talvolta si possono avvicinare, parlare ed anche esercitare qualche promiscuo [644] commercio. Chi tenne dietro a tali avvenimenti sociali, giudicò che una prova potrebbe tentarsi. con probabilità di frutto spirituale.

 

                Alcuni anni addietro si trattarono col Cardinale Bernabò di gloriosa memoria, vari progetti, che pure vennero esposti al S. Padre. Uno fra gli altri parve preferibile, che S. S. benedisse e ne incoraggiò la prova.

 

                Il progetto che parve doversi preferire consisteva nello stabilire ricoveri, collegi, convitti e case di educazione sui confini selvaggi. Iniziate relazioni coi figli tornerebbe facile comunicare coi parenti e quindi poco a poco farsi strada in mezzo alle loro selvagge tribù. Avuta pertanto la benedizione del S. Padre, mi sono messo in relazione col pio Comm. Gio. Batt. Gazzolo Console Argentino in Savona e per di lui opera si trattò coll'Arcivescovo di Buenos Aires, col presidente della Repubblica Argentina e col Municipio di S. Nicolás de Los Arroyos; dopo due anni di trattative si conchiuse che dieci Salesiani colà si recassero per consacrarsi a quel nuovo genere di missioni, aprendo un Ospizio in Buenos Aires come luogo centrale, ed un Collegio a S. Nicolás. Questa città, non essendo che 60 leghe distante dai selvaggi, darebbe campo ai Salesiani di studiare la lingua, la storia, i costumi di quei popoli, e forse preparare tra gli stessi allievi qualche Missionario indigeno, che potesse servire come di guida tra selvaggi.

 

OSPIZIO IN BUENOS AYRES.

 

                Stabilita la partenza dei Salesiani, questi si diedero con alacrità allo studio della lingua, della storia, e de' costumi di que' paesi. Preparato quindi il necessario corredo pel culto religioso, pel personale, e pel suppellettile di camera e scuola, si recarono a Roma per avere così la benedizione, la Missione e gli opportuni consigli dal Vicario di G. C. Muniti poscia dalla E. V. Rev.ma delle facoltà di missionarii Apostolici, il giorno 14 Novembre 1875 partirono per l'America e il 14 del susseguente Dicembre giunsero nella Capitale della Repubblica Argentina. Avevano seco un breve del S. Padre con una Commendatizia del Card. Prefetto della Sacra Congregazione degli affari Ecclesiastici, pel che furono accolti con molta benevolenza dalle autorità civili ed ecclesiastiche. Dei Salesiani tre rimasero nel mentovato ospizio e Chiesa di Mater Misericordiae, per occuparsi direttamente dei molti Italiani colà stanziati. In questa città si occupano ad ascoltare le confessioni, a predicare e poterono già aprire tre oratorii festivi sui tre principali punti della Città.

 

COLLEGIO DI S. NICOLAS.

 

                Gli altri sette religiosi andarono a S. Nicolás, dove quel Municipio offeriva un locale piccolo, ma sufficiente a poter dare cominciamento ad un Collegio. [645] Coll'aiuto di alcuni caritatevoli cittadini vennero ultimati i lavori, fu ampliato il locale, fornito di suppellettile ed ora conta già cinquanta convittori, e cinquanta semiconvittori, che la deficienza di sito costringe a passare la notte nella rispettiva famiglia o in case private. Il Collegio è detto di S. Nicolás, per non toccare certe suscettibilità nazionali, ma è un vero seminario ossia collegio per le Missioni tra i Selvaggi. Da questo collegio si ottennero dei consolanti risultati. Le scuole sono regolarmente attivate, la disciplina totalmente religiosa è osservata. Tra gli allievi indigeni sette dei più grandicelli dimandano di abbracciare lo stato ecclesiastico per andare, dicono essi, a convertire i loro parenti tuttora selvaggi. Alcuni allievi sono figli di genitori che poc'anzi vivevano nei Pampas, altri vengono di là per vedere i loro figli trattando qualche poco coi Maestri e coi Direttori dei medesimi. Così ricavo da lettere ricevute pochi giorni sono da S. Nicolás. Ora si tratta di aprire altre case di educazione in siti più vicini alle tribù selvagge, ma affinchè tali opere possano sostenersi, progredire e ottenere i sospirati frutti, ci vogliono uomini, ci vogliono mezzi materiali. E l'evangelizzazione tra selvaggi appartenendo alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, ricorro umilmente all'E. V. che ne è degnissimo Prefetto, supplicandola a venirmi in aiuto coll'opera e col consiglio.

 

COSE PIU' NECESSARIE.

 

                La Messe è copiosa in ogni parte, gli allievi abbondano: per altro sono indispensabili edifizi e persone. Per impedire poi che gli attuali Missionarii non restino oppressi dal lavoro, è mestieri di spedire al più presto possibile non meno di dieci religiosi, per sostenere le opere cominciate e tentare qualche nuovo passo verso la Patagonia. Le spese finora incontrate, (di circa 100000 franchi) vennero con isforzo sostenute dalla Congregazione Salesiana aiutata localmente da qualche pio argentino, ma un privato non può reggere a tale impresa; ed io supplico l'E. V.:

 

                1° A voler prendere questa missione in benevola considerazione, dare tutte quelle regole e quei consigli che la E. V. nella sua illuminata saviezza reputa poter coadiuvare al morale vantaggio di quei selvaggi.

 

                2° Degnarsi venire in aiuto materiale alle scuole attivate in Torino pe' Missionarii destinati alla Patagonia e per quelli cui l'E. V. credesse di affidare una missione nelle Indie siccome ebbe la bontà di manifestare, per sostenere le spese di viaggio e quelle che occorrono pel collegio aperto in S. Nicolás, per le case e per gli ospizi da aprirsi secondo il progetto sopra notato.

 

                3° Di stabilire una Prefettura Apostolica la quale possa all'uopo esercitare l'autorità Ecclesiastica sopra dei Pampas e dei Patagoni, che per ora non appartengono ad alcun ordinario Diocesano [646] nè ad alcun regime di governo civile. Esposto così l'umile progetto, sottopongo tutto all'alta prudenza della E. V. pronto ad accettare preventivamente e seguire qualunque modificazione e variazione Ella giudicasse opportuna.

 

                Desidero solamente di impiegare gli ultimi giorni di mia vita per questa missione che mi sembra della maggior gloria di Dio e di vantaggio alle anime; la E. V. mi aiuti in quello che può, specialmente colla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi inchinare e professare

della E. V. Rev.ma

                Roma, 10 Maggio 1876.

Sac. Bosco Gio.

 

11.

 

Privilegi dell'”extra tempora”.

 

                Joannes Bosco Sacerdos ad Sanctitatis Tuae pedes provolutus humillime pro Salesiana Congregatione exponit.

                Sanctitas Tua, Beatissime Pater, sub die 10 octobris anni 1875 dignabatur declarare omnes Congregationis domos ab Ordinariorum .  iurisdictione et visitatione exemptos esse quoad disciplinam et materiale regimen. Quae ut licite et absque anxietate fiant, alia humiliter postulantur, quae ad maiorem Dei gloriam valde conferre censentur et quibus Congregano Missionis, Passionistae, Redemptoristaē, Oblati B. M. V. caeterique religiosi et Congregationum Ecclesiasticarum socii generatim gaudent. Praecipua et in primis necessaria haec sunt

                I. Superiores alicuius domos Congregationis omnia munia Paroecialia exercere possint erga omnes habitatores domus. Hinc omnes Salesiani Presbyteri ad audiendas Sacramentales Confessiones iam in aliqua Dioecesi approbati sola Superioris dēputatione sociorum aliorumque de familia Confessiones excipere possint. Iidem  Confessarii socios secum iter habentes absolvere possint etiam extra Dioecesim, in qua extat domos, praecipue cum ad exteras Missiones pro- ficiscantur.

                S. Pius V Bulla Ad immarcescibidem, Benedictus XIV pro Piis Operariis Brevi 24 Mai 1741, Clemens XIV Brevi Supremi Agostolatus pro Psssionistis

                II. Habita ratione temporum et magnae, penuriae Sácerdotum, praecipue eorum, qui ad exteras Missiones mittendi essent, Clerici Salesiani, dummodo necessariis praediti sint requisitis, extra tempora a sacris Canonibus statuta Ordines tum minores tura maiores acripere possint, servatis servandis etiam quoad interstitia, cuius dispensatio semper ad Episcopum ordinantem spectabit. [647] Gregorius XIII Brevi Plura inter, tandem pro Congr. Missionis Pius IX (quem Deus diutissime incolumem servet) Brevi Religiosas familias 13 Mai 1859.

 

                Ex audientia Ss.mi diei 21 aprilis 1876 Sanctas Sua benigne annuit precibus derogans etiam contrariis rescriptis et resolutionibus et solum quoad tempus mandavit, ut pro facultatibus postulatis ut supra, quoad illas in Italia exercendas cohibeatur ad triennium et quoad reliquas extra Italiam ad quinquennium.

                Aeneas Sbarretti, Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium Secretarius.

 

12.

 

Dispensa dalle testimoniali

 

                Nell'udienza ottenuta da S. S., il Sommo Pontefice Pio PP. IX a richiesta del sottoscritto, 3 maggio 1876, vivae vocis oraculo ha concesso che tutti i giovani che percorrono la carriera degli studi o sono per altre ragioni tenuti, o educati nelle Case, Convitti. Collegi della Congregazione Salesiana; qualora a tempo opportuno desiderassero ascriversi e diventar membri della medesima Congregazione, siano dispensati dalle testimoniali prescritte dal Decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari del 25 febbraio 1848.

                Ciò per norma della nostra Società Salesiana.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nell'udienza poi del io Novembre 1876 parimente vivae vocis oraculo la sopraddetta dispensa dal SS.mo N. S. Pio PP. IX venne estesa indistintamente a tutti quelli che desiderassero entrare nella Congregazione Salesiana.

 

                Roma, 3 maggio 1876.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Di questa benevola concessione ossia di questo insigne atto di Clemenza di Sua Santità se ne diede comunicazione all'autorevole Sacra Congregazione dei VV. e RR. in data 16 Dicembre 1876 con lettera diretta a Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Card. Prefetto di questa Sacra Congregazione e con altra lettera di Gennaio anno corrente 1877 consegnata nelle mani di S. Ecc.za Monsignor Segretario della stessa rispettabile Sacra Congregazione, che la depose nell'incarto della Pia Società Salesiana.

 

Sac. Gio. Bosco. [648]

 

13.

 

Consegna delle onorificenze.

 

                S. Nicolas, 18 agosto 1876.

 

                GRAZIOSA FESTA.

 

                Martedì sera una numerosa radunanza assistette nel collegio di S. Nicolás agli esercizi letterari, ginnastici e musicali che per la prima volta eseguivano in pubblico gli alunni. La festa ebbe luogo per dare maggior risalto alla consegna del Breve e Diploma spediti dal S. Padre Pio IX, per cui venne conferito il grado di commendatore dell'Ordine di S. Gregorio Magno al signor Don Francesco Benitez e di Cameriere di S. Santità al nostro Parroco dottor Ceccarelli, premiando in questo modo le opere e la sollecitudine che questi signori prestarono per l'impianto del Collegio di S. Nicolás che tutti già conosciamo.

 

                Gli onori concessi a questi signori non possono essere meglio a proposito, giacchè il disinteresse dell'uno e la perseveranza dell'altro hanno avuto questo risultato, che noi vediamo il Collegio già attivato, e si può dire che senza di loro sarebbero stati per avventura isteriliti i sacrifizi fatti a questo fine dai nostri concittadini.

 

                La funzione ebbe principio alle tre della sera; si cantarono i vespri, poscia vi fu un eloquente discorso sull'Assunzione della Beata Vergine. Dalla cappella si passò nel cortile, e cominciarono tosto gli esercizi letterari con un dialogo molto bene sostenuto fra i giovani Labrande e Ibarre, i quali dimostrarono che tanto al signor Benitez, quanto al dottor Ceccarelli ben si convenivano i titoli onorifici loro spediti da S. S. il Papa.

 

                Allora si avanzarono sei giovanetti e loro presentarono in due bacili i titoli mentovati. Quattro o cinque altri recitarono in seguito composizioni poetiche affettuose con una incantevole declamazione.

 

                Il giovanetto Alfonso eseguì un grazioso pezzo musicale sul pianoforte, e quindi un altro accompagnato dal professore Molinari.

 

                Si presentarono otto altri ancora e sostennero un dialogo animato in quattro idiomi, latino, francese, italiano e spagnuolo, il cui contenuto era: quale delle scienze umane procuri più felicità all'uomo e a quale debba egli dare la preferenza ne' suoi studi.

 

                Divisi poi in quattro sezioni, i cento e venti alunni diedero principio agli esercizi di ginnastica diretti dal professor Tomatis, e se l'assemblea rimase soddisfatta degli esercizi letterari, non lo fu meno al vedere le difficili evoluzioni militari che eseguirono ed i voli che fecero sul passovolante. [649] Alle cinque e mezzo della sera ebbe fine la bellissima funzione: giacchè i convenuti faranno conoscere meglio di noi a chi non vi ha assistito i rapidi progressi che in tutti i rami van facendo gli alunni del collegio di S. Nicolás e la savia direzione che in esso si osserva.

 

                (Trad. da El Progreso).

 

14.

 

Mons. Masnini a Mons. Gastaldi.

 

Curia Vescovile

Di Casale Monferrato

 

                Eccellenza Ill.ma e Rev.ma,

 

                Non avendo avuto il bene di essere stato ricevuto dell'E. V. Rev.ma nell'ultima mia gita che feci costì sulla fine dello scorso Maggio, era mia intenzione appena ritornato a Casale di scrivere subito a Lei. Ecc.mo Monsignore, onde mettere in chiaro il contegno che io tenni nel fare le funzioni di Maria Ausiliatrice che provocarono alcune lettere alquanto pungenti, scritte in di Lei nome e in nome proprio dal di Lei Secretario. Se le molteplici mie occupazioni dei passati giorni non mi hanno permesso di effettuare detto mio divisamento mi permetta, Ecc.za. R.ma, di farle umilmente osservare, ad onore della verità ed in risposta alle suddette lettere, che stanno in mia mano, quanto segue:

 

                Io venni a Torino coll'ultimo convoglio (10 3/4) del giorno 23 dietro speciale e ripetuto invito ricevuto due giorni prima, e quantunque fossi conosciutissimo nella Chiesa ove ho celebrato, e da un buon numero di Parrochi e Clero di codesta città, pure aveva con me tutti quei ricapiti che si addicono ad un Sacerdote in perfetta regola, sebbene extradiocesano. Che all'indomani del mio arrivo interrogato cosa si dovesse fare ed usare nelle funzioni per la mia persona, dissi apertamente che non voleva la ben minima distinzione e che mi sarei recato in Chiesa ed all'Altare come un prete qualunque; ed infatti mi son vestito in Sacrestia insieme agli altri e tutte le S. Funzioni vennero fatte a seconda delle S. Rubriche. Anzi, fedele all'ordine dato come, sopra, feci allontanare il giovanetto vestito da Chierico che portava la palmatoria; quindi è falso che io in dette funzioni, portava il zucchetto, ed è pur falso che vicino o dietro di me teneva un Cappellano vestito in nero, pronto a provarlo con mille testimoni. [650] Da questo Ella vede, Ecc.za Rev.ma, il bisogno di avere referendari che abbiano buona vista e più ancora siano fedeli nel riportare. In quanto poi al vestiario che io portava (compresa la berretta) è quello che io posso portare abitualmente in Roma e fuori, è quello che vien prescritto quando si deve presentarsi al S. Padre, ed è pure consigliato dalla convenienza quando si fa visita a qualche dignità come Arcivescovo, ecc.; è quel vestito che Ella mi vide in più occasioni, e che usai colla massima riservatezza quando mi sono recato ultimamente a Torino.

 

                In quanto poi all'osservazione del di Lei Signor Secretario in rapporto alle prerogative come sopra di cui sono forniti vari Ecclesiastici di  codesta Archidiocesi, rifletto brevemente quanto segue: O dette prerogative sono inerenti alla dignità occupata dall'Ecclesiastico nei Capitoli, ecc., ed in allora le prerogative in discorso si riducono ad un semplice titolo senza distinzione, di sorta; o le medesime vennero date dal S. Padre per speciale degnazione o benevolenza, in allora il non portar distintivo, tanto nelle funzioni che fuori, è perchè gli stessi o non se ne curano o non vogliono far spese a tale riguardo; del resto questi ultimi Ecclesiastici possono liberamente usare i loro distintivi come ho veduto in molte città ed ultimamente a Piacenza nelle feste Centenarie del B. Gregorio ed ingresso in quella Sede del mio buon amico e compagno di Seminario Mons. Scalabrini, senza che i nove Vescovi colà intervenuti facessero la benchè minima osservazione; anzi Mons. Scalabrini era il primo ad usarmi tali riguardi nella sua Parrocchia quando mi recavo a Como; con pienissima approvazione di Mons. Carsana, Vescovo di detta città. Infine, non posso prestar fede a quanto asserisce il prelodato di Lei Secretario, che la mia apparizione colle divise diede ampia materia di chiacchiere agli Ecclesiastici e Secolari Torinesi, perchè tutti quei Sacerdoti e Secolari che ho veduti ed avvicinati nella Chiesa di Maria Ausiliatrice seppero apprezzare nei debiti modi e la semplice mia qualità di Famigliare Pontificio ed il mio intervento a dette Feste: un altro motivo pel quale non accetto detta gratuita osservazione si è, che crederei di fare un torto agli Ecclesiastici e Secolari di Torino (ex-capitale ed insigne città) se li mettessi al disotto di Casale ed altre piccole città e borgate in cose che non sono del tutto nuove, e godo che anche a' miei Superiori e Colleghi di Curia non fecero alcuna impressione le lettere sopraccennate, avendo essi a prima vista intravveduta la vera ed unica causa che le promossero.

 

                Spero che l'Ecc.za V. Rev.ma accoglierà di buon animo la suddetta mia giustificazione e depurazione dei fatti accollati alla povera mia persona; del resto procurerò per l'avvenire di non essere cagione di dispiaceri di sorta, tanto più che ho sempre nutrito la massima venerazione al carattere ed Autorità Vescovile e conservato speciale stima ed affetto all'E. V. Rev.ma. [651] Colla dolce speranza di essere esaudito, La prego di conservarmi la di Lei benevolenza, mentre coi sensi della più alta considerazione e filiale affetto passo a ripetermi

dell'Ecc. V. Ill.ma e Rev.ma

 

                Casale Monferrato, li 8 Giugno 1876.

 

Dev.mo Oss.mo Servitore

Can. Masnini Santo Giuseppe D. V.

 

                PS. Spero che l'Eccellenza V. Rev.ma sarà stata informata che mi presentai per ben tre volte al di Lei Episcopio.

 

15.

 

Facoltà di ricevere un'abiura.

 

                His litteris concedimus ad Revd. D. D. Sacerdoti Joanni Bosco Superiori Congr. S. Francisci Salesii Taurinen., et Sacerdoti ab eo delegando, dummodo suae Congregationis membro professo, facul tatem recipiendi in Ecclesia Catholica Wìllelmum Hadson natum Londini die 18 Junii anno 1855 e parentibus protestantibus et in secta protestantium institutum, praemissa confessione suorum peccatorum,  abiuratione errorum, Baptismo sub conditione collato sine caeremoniis, postea sacramentali absolutione donandum.

 

                Cuius quidem rei scriptum testimonium a Sacerdote, qui hunc iuvenem recipit in Ecclesia subscriptum et a D. Joanne Bosco vel eius Delegato quoque subscriptum ad Nostram Curiam mittetur.

 

                Dat. Aug. Taur., die 4 Junii 1876.

+ Laurentius Arc.pus.

A. Alasia Secr.ius.

 

16.

 

Lettera dell'ing. Antonelli a Don Bosco.

 

                Illustris.mo. Rev.mo Signor D. Bosco,

 

                Israel Levi attuale presidente della amministrazione Israelitica di Torino, allo stato in cui si trova l'arruffata vertenza del loro tempio, non crede poterla invitare a far dimanda di prezzo per la cessione dell'edifizio, ma sibbene si presterebbe a presentare un'offerta che venisse fatta da V. S. per mezzo mio.

 

                Dal lungo colloquio tenuto ieri, coll'intervento anche di mio figlio ingegnere abbiamo potuto convincerci che l'offerta per essere accettata [652] a fronte di altre combinazioni, vorrebbe essere di lire due cento cinquantamila. Io credo che l'affare sarebbe sempre conveniente, stante il generoso concorso del Municipio, ultimandolo esternamente secondo il mio disegno.

 

                Se la V. S. Reverendissima vorrà meco esaminare l'entità del fabbricato sul luogo, onde attingere i criteri della vera convenienza per l'uso cui verrebbe destinato, si compiaccia scrivermi che mi farò grato dovere di accompagnarla, pronto sempre a prestarmi in tutto ciò, cui potrò contribuire a tale scopo reputandomi assai pago di vedere l'opra mia utilizzata da chi tanto si presta per l'educazione della gioventù.

 

                Voglia aggradire i sensi di alta stima con cui mi pregio di essere

 

                Della S. V. Rev.ma

 

                Torino, 12 Settembre 1876.

 

Devot.mo Servo

Prof. Alessandro Antonelli.

 

17.

 

Il tempio israelitico di Torino.

 

                Nel 1862, la Comunità israelitica di Torino votò l'edificazione di un tempio grandiosissimo, il quale, non ancora terminato, costa 900000 lire, e ciò malgrado la protesta e le serie obbiezioni di una forte minoranza. Tale concetto è contrario allo spirito della religione ebraica; giacchè dessa, fondata sul rammarico della distrutta nazionalità e sulla aspettazione del Messia, che deve ricostituirla, è coniata alla doppia impronta del lutto e del provvisorio, e nello stato d'embrione, in cui si trova, non ammette un culto esteriore. E' contrario alla ragione. Per soddisfare il capriccio di un'infima minoranza, senza fede, si fa del più sontuoso e più splendido edifizio di Torino una sinagoga, non senza offendere il sentimento religioso e la dignità dell'immensa popolazione cattolica. E' contrario infine all'interesse degli Israeliti istessi. Infatti da una parte le spese fatte pel tempio in questione oltrepassano fin d'ora di molto le previsioni, e dall'altra parte i mezzi per sopperirvi diminuirono, in seguito all'emigrazione di molti ebrei ricchi.

 

                In tali circostanze la suddetta Comunità decise, se non riesce un ultimo tentativo fatto presso i contribuenti, onde ottenere da essi 250.000 lire per terminar quel monumento, modificandone però il disegno, in modo da renderlo meno gigantesco, decise, dico, di venderlo ad un individuo, ad un prezzo derisorio. Tal contratto sarebbe una follia ed una profanazione. Il miglior partito, che converrebbe d'adottare, sarebbe quello di cederlo, mediante un correspettivo, al culto [653] cattolico, perchè ne faccia una bella chiesa. A tal destinazione il disegno di Antonelli, poco dissimile da quello di Santa Maria del fiore a Firenze, e che fu da questo imitato, sarebbe perfettamente appropriato. La religione ebraica è madre della religione cattolica, e niente è più naturale che una madre faccia una cessione alla propria figlia. Ogni 15 anni, ed a misura che la popolazione si accresce, si costruisce una nuova chiesa. In questi ultimi tempi se ne edificarono tre, una delle quali senza costo si spesa, avendo la Barolo a questo intento legato centinaia di migliaia di lire. Egli è adunque probabile che fra dieci anni si pensi a costruirne un'altra, per la quale si dovrebbe spendere l'ammontare del prezzo d'acquisto del tempio israelitico.

 

(Unità Cattolica, 29 sett. 1876).

 

18.

 

Lettera dal Chubut.

 

                Reverendo Signor Giovanni Cagliero, Buenos-Aires.

 

                Li 20 gennaio giunsi in questa Colonia gallense del Chubut e in correlazione colla mia promessa eccole ciò che posso dirle, come preliminare, intorno a questa Colonia e fiume che la bagna.

 

                Il Chubut (pronunzi Ciubut) è fiume di terzo o quarto ordine e quest'anno le sue acque vi corrono più basse 80 centimetri che negli anni scorsi in corrispondenti stagioni; e ciò può dipendere dalle poche nevi che siano sulle Cordigliere, al piede delle quali il fiume ha origine o da alcuno dei suoi affluenti che abbia deviato corso e si perda nelle arene o sabbie, od in lagune o laghi. Queste sono mie induzioni e, come è naturale, possono andar errate; ma subito che le circostanze della Colonia me lo permetteranno, ed abbia i mezzi di trasporto, intraprenderò un viaggio di esplorazione del fiume sino alla sua origine, e, se mi sarà permesso, ne farò pubblica narrazione pel mezzo della stampa.

 

                Lungo il corso di questo fiume, o allo sbocco di alcuno dei suoi affluenti vi devono essere terre adatte per istabilirvi Colonie ed il trovarle è una delle mie principali aspirazioni.

 

                Il Chubut sbocca, per approssimazione, in latitudine 43°, 20' Sud e 65° longitudine del meridiano di Greenwich; e scarica, attualmente, 27 metri cubi di acqua per minuto secondo. Il suo sbocco è largo circa 100 metri, ed ecco come viene formato. Supponga in una costa un'apertura di 300 metri e che una linea di scogli cretacei (in ispagnuolo: tosca), di formazione marittima, la sbarri, e che questa linea di scogli, dai due suoi estremi, vada gradatamente abbassandosi sino a formare in un dato punto un concavo al livello del fondo del mare; in quel [654] punto passa la massa principale delle acque del Chubut, cioè, quello è il suo sbocco. A bassa marea vi rimangono da 30 a 40 centimetri di acqua, e ad alta marea ordinaria ve ne sono 200, ed al plenilunio e novilunio (alta marea) ve ne sono 250; quando poi soffiano venti forti dall'Este ve ne sono sino a 400, ma in tale circostanza non si può entrare nel fiume, perchè ovunque sul suo sbocco, frange. Da ciò ne segue che il fiume è di difficilissimo ingresso e che solo bastimenti di 100 a 150 tonnellate di portata vi possono entrare, ma sempre con grande pericolo, perocchè nessuna terra fa ridosso a questo sbocco di fiume.

 

                La profondità delle acque nel fiume è poca, ed a bassa marea, in certi punti può essere guadato anche dai fanciulli; quindi il fiume non è navigabile. Le maree vi sono sensibili pel tratto di circa lo miglia.

 

                Ben ogni cosa considerata, risulta, che il fiume Chubut non potrà mai essere il porto, della Colonia che vi è stabilita, nè di quelle che vi si potrebbero stabilire, e per conseguenza la sola Bahia Nueva è il suo naturale porto. Bahia Nueva rimane a 32 miglia geografiche a tramontana della Colonia, e fra di esse vi è deserto, sabbie, arene, ciottoli, arbusti sterposi e non acqua potabile. Bahia Nueva è un ottimo porto, o più propriamente detto, Golfo.

 

                Il villaggio detto Freranson, punto principale della Colonia, è distante 7 miglia dalla bocca del fiume, e da quel punto a 34 miglia in avanti, lunghesso il fiume, havvi terra vegetale, su una larghezza media di 5 miglia; e questa larghezza è terminata da colline di 80 a 100 metri di altezza, formate da detriti diluviali; su questo piano è la Colonia gallense del Chubut. Al di là, verso ponente, è la Cordigliera, pel tratto di 40 e più miglia, vi sono pietre e massi diluviali od erratici e quindi, mi si dice, terre fertili, ed acque potabili, scavandovi pozzi; mentrechè sul piano, ove è stabilita la Colonia, dai pozzi altro non si estrae che acqua salmastra.

 

                Alle scaturigini del fiume, cioè ai piedi dei contrafforti della Cordigliera, vi è terra fertilissima ed è occupata da indigeni della famiglia dei Pampas. Verso la metà di Febbraio, 41 individui di quel popolo o tribù, erano qui assieme al loro Capo (Cachique) di nome Foiel, all'oggetto di vendervi pelli di guanaco e di volpe. Questa gente è semicivilizzata e parmi che sfugga da crimini di sangue. Ho rappresentato al Cachique quali erano le benevoli intenzioni del Governo Argentino a loro riguardo, e gli domandai se avrebbe accolto volentieri Missionari Cattolici nelle sue terre, ed egli mi rispose che sì. Questa tribù è numerosa ed inclina a cessare da vita nomade. Dalle loro terre alla Colonia del Chubut impiegarono 13 giorni. che a ragione di 20 miglia per giorno sono 260 miglia cioè son site veramente al piede della Cordigliera, come dichiararono. Molti di essi parlano la lingua spagnuola e si cibano, relativamente parlando, bene. [655] Abbiamo qui a 50 ovvero 60 miglia dalla Colonia una tribù nomade di popolo patagone-pampa. Il loro Capo è un certo Ciquecian ed è un'ottima persona. Guadagnando l'animo di questo Capo, si potrebbero fare molte cose. E’caritatevole e già soccorse di viveri la Colonia Gallense. Vengano due dei loro Padri, e faremo meraviglie, ed il Chubut sarà conquistato alla Fede ed alla Civiltà dai discendenti, o stirpe dello Scopritore del Nuovo Mondo. Coraggio e Fede e vinceremo.

 

                Il Governo è propenso; Madama la Sig.ra Consorte del Presidente è arcicattolica, può molto aiutarci, ed anche il distintissimo Signor Juan Dillon, Commissario Generale d'immigrazione ecc.. Altresì, la legge di immigrazione, all'articolo 103 così si spiega:  El Poder Ejecutivo procurará por todos los medios posibles el establecimiento en las Secciones, de las tribus Indíjenas, creando misiones para traerlas gradualmente á la vida civilisada, auxiliándolas en la forma que crean más conveniente y estableciéndolas por familias en lotes de cien hectareas, á medida que vayan manifestando aptitudes para el trabajo”.

 

                Insomma, com'Ella vede, tutto è propizio, ed a loro pure è propizio il tempo per distinguersi come Società nuova, o Nuova Congregazione; e dimostrino coi fatti che la Società di San Francesco di Sales, auscipe della stessa il caritatevole Rev. D. Bosco, seppe in pochi anni redimere a civiltà la tribù fra il Desiderato, il Chubut ed il Rio Negro.

 

                Gli abitanti della Colonia Gallense sono di religione protestante e di 4 sètte. Hanno 4 ministri su 800 persone, ed hanno spirito metafisico ed incline alle controversie teologiche; piuttosto pigri ma pazienti sino allo stoicismo ad onta che in essi vi sia un orgoglio di stirpe che dovrebbe scuoterli dal loro letargo, ma che non ne vengono scossi perchè la loro intelligenza non è valente, essendo essi di una delle razze inferiori che popolano l'Europa: la loro storia ne è una apodittica dimostrazione; erano antropofagi (legga C. di Cesare).

 

                Questa mia lettera la mando aperta al prefato Sig. Don Juan Dillon, affinchè ne prenda conoscenza, ed Ella abbia occasione di porsi in relazione con questo distinto gentiluomo, ottimo cattolico.

 

                Se Ella avesse a scrivermi, rimetta le sue lettere al predetto Signor Dillon ed egli me le farà pervenire.

 

                Gradisca porgere i miei omaggi ai Sig.ri suoi Confratelli; ed augurandomi di presto stringere la mano ad alcuni di loro, con ogni osservanza mi professo

 

                Di V. S. Rev.ma

 

                Chubut 1° Marzo 1876.

Devotissimo Servo

Antonio Oneto.

 

                PS. - In verità avrei gran piacere se alcuno di loro venisse. Per mia parte farò ogni mio possibile per agevolare loro la via e la Missione.

                               Eiusdem. [656] 19.

 

Lettera di Don Cagliero al sig. Gazzolo.

 

                Carissimo Signore ed Amico,

 

                Ho ricevuto la sua lettera dei 13 del p. Febbraio, il cui oggetto era la compra-vendita dei latistanti suoi terreni a N. S. della Misericordia. Lei conosce il mio carattere piuttosto faceto più o meno in tutte le cose; ma trattandosi di un assunto serio, quale abbiamo tra mano, non è mio costume il celiare anche trovandomi in tempo di carnevale[242].

 

                La base del contratto per questa compra, non sono io che l'ho fatta, perchè incompetente ed estraneo in questa materia. Chiamai a diversi più o meno pratici, e per essere più sul buon terreno e fare una proposta equa e giusta, pregai Francesco Basso suo inquilino, a dirmi il prezzo dei due terreni; mi rispose da galantuomo: No, io non vorrei essere imparziale. Perciò egli stesso si portò da un suo conoscente ingegnere e pubblico estimatore del Municipio, il quale informatosi dei terreni e del sito centrale in cui si trovano, disse valere essi, da più o meno, un novanta mila p. m. c. (pesos moneta corrente)[243].

 

                Io poi senza neanche conoscere questo individuo, ho preso la base e la mandai a Torino; essendo mio proposito di pagare i terreni quello che valgono; e se l'estimo fosse stato di 150, o 200 mila p. m . c., è fé de caballero, che avrei mandato a Torino questa base su cui trattare. Naturalmente io non pretendo che V. S. stia all'estimo che ho fatto fare io, e sarei ridicolo in questo caso; dico però che marciai sopra il terreno della base comune nei contratti di compra-vendita.

 

                E V. S. non farebbe altrimenti in caso volesse comperare una casa od un terreno, si informerebbe cioè dai periti dell'arte per fare una proposta qualsiasi. Questo semplicemente per dire che non mi trovava in Carnevale, quando mandai la offerta a Torino.

 

                E necessariamente bisogna partire dalla base di un estimo di periti per sapere ciò che valgono al presente i terreni e migliorie, se desidera che facciamo, contratto.

 

                V. S. domandi il giudizio di un perito di sua confidenza, ed allora con ragione potrà stabilire il prezzo di vendita. V. S. parte da una base incongrua, cioè di quello che valevano e gli hanno offerto nel 1872; ed io convengo come tutti convengono, che allora e terreni e case se valevano cento, ora valgono solamente cinquanta. [657] V. S. pone come prezzo di valore le contribuzioni dirette, non badando che i pesi gravitano sui frutti e mai sul capitale; e vuol dire che le contribuzioni dirette si pagarono col frutto del alquiles. Che se V. S. fu defraudata dai suoi inquilini e non ha potuto cobrar gli arretrati valutabili in otto mila franchi, il compratore non ci ha nulla a vedere, qualunque esso siasi. Questo credito V. S. sa quanto lo posso sapere io, vale più o meno secondo la probabilità maggiore o minore di riscossione; cioè vale cinque, se cinque sono i gradi di probabilità di esigerli, e vale anche niente questo credito, se non v'ha alcuna probabilità di poterlo esigere. Sottopongo al criterio di qual siasi queste mie osservazioni e sto garante di tutto.

 

                Un caso: - La Signora Dna Vittoria Zopiola ha tre case che confinano col suo terreno Calle Solis, sono in fila, case signorili, di cui una la affittiamo noi, e la abitiamo, e sono di 24 Vs. di fronte per 50 di fondo e ce le propose tutte tre per lo stesso prezzo che V. S. ci propose per i suoi terreni.

 

                Altro: - In Calle S. Juan, una casa per la Escuela de artes y oficios, di 24 Vs. di fronte per 60 di fondo, bella e ricca di saloni e stanze ce la venderebbero per 400 mila p. m. c., essendone costati 6oo mila E questo per dire che non può essere base di contratto quello che ha costato od in altro tempo ha valuto; sino la que vale... e D. Bosco le darà sempre questo prezzo; tutto quello che i terreni valgono.

 

                A noi i terreni sono utili, necessari no. D. Francesco Basso per affittarmi la sua casa elesse ragioni per due anni che ancora durano, secondo la contrata vigente con V. S.; voleva approfittare più o meno di questa sua utilità, che secondo lui era necessità, e lo abbiamo lasciato nella sua buona fede. Le migliorie introdotte dal Basso nel suo terreno non ascendono alla somma che V. S. si immagina per certo; basta vederle ad occhio nudo; le migliorie, poi, dall'altra parte non le vedo, solo so che vi è... e quindi nè stanze, nè pareti, nè cinta; nulla vi è, che io sappia, che possa chiamarsi col nome di migliorie. Se l'inquilino sia poi obbligato a farle può essere; ma è certo che al presente non vi è nulla; il terreno è completamente vacío.

 

                Conchiudendo adunque, posto che siamo ancora in tempo, e sia di sua convenienza il vendere terreni in questo tempo che si incontrano barato, faccia fare un estimo per suo conto e chiami, e noi dalla base presa per offrirle il prezzo consabido, partiremo per venire ad un giusto accordo, e ci troverà sempre ragionevoli.

 

                Mando copia di questa lettera a Torino, affinchè possa, dato il caso, conferenziare con D. Bosco, o chi per esso, sopra le mie osservazioni, pronto a ritirarle quando non si trovassero ragionevoli.

 

                Mi saluti caramente la sua famiglia e mi creda suo

                Buenos-Aires, 20-3-77.

 

Aff.mo

D. Cagliero. [658]

 

20.

 

Basi di convenzione a Buenos Aires.

 

                La Società di S. Vincenzo de' Paoli e la Società di S. Francesco di Sales convengono in aprire in Buenos Aires una casa per poveri fanciulli con lo scopo di educarli, istruirli ed avviarli ad un mestiere, dando loro alloggio, vitto e vestito.

 

ARTICOLO 1°.

 

                La Società di S. Vincenzo de Paoli, col capitale che ha disponibile. di 100 mila franchi, concorre a provvedere casa, mobiglio ed utensili pei laboratorii e per tutto l'impianto del nuovo stabilimento nonchè i passaggi pei Salesiani da Europa in America. E la Società Salesiana provvederà i Direttori, Maestri, Assistenti ed ogni altra persona di servizio.

 

ARTICOLO 2°.

 

                I Soci di S. Vincenzo de Paoli avranno il diritto di proporre 30 ragazzi, scelti tra le famiglie da loro soccorse, e pei quali si impegnerà in avvenire a cercare soccorsi presso caritatevoli persone. E sopra di questi avranno essi una specie di patronato.

 

ARTICOLO 3°.

 

                I Salesiani, affidati in tutto alla Divina Provvidenza, potranno ammettere nel nuovo Istituto quanti alunni crederanno e potranno aver luogo, con facoltà di ampliare il locale, ceduto per maggiore garanzia e stabilità dell'Opera, alla Congregazione, rappresentata da alcuni suoi individui col titolo di proprietario.

 

ARTICOLO 4°.

 

                La Direzione e l'Amministrazione dell'Istituto, nonchè la disciplina morale, scolastica e professionale degli alunni è affidata al Signor Direttore, il quale dirige l'andamento dell'Opera a norma del Metodo e Costituzioni Salesiane.

 

ARTICOLO 5°.

 

                Il Presidente della Società di S. Vincenzo nel proporre i suoi protetti per l'accettazione nell'Istituto, procurerà che essi abbiano i requisiti voluti dal Regolamento generalmente in vigore nelle Case Salesiane. [659]

 

ARTICOLO 6°.

 

                Il Signor Direttore come responsabile del buon ordine della Casa, potrà licenziare dall'Istituto qualsiasi alunno che siasi reso colpevole di gravi insubordinazioni o di cattiva condotta morale.

 

21.

 

Facoltà di aprire un noviziato nella Repubblica Argentina.

 

                Ex Audientia  SS.  Diei 6 Iulii 1876.

                Sanctissimus D. N. Plus Divina Providentia PP. IX, referente infrascriptio de Propaganda Fide Cardinali Praefecto, precibus annuente, Bosco Superioris Institut$ Oratorii S. Francisci Sales erecti pro Missionibus ad exteros, facultatem eidem benigne constituendi alterum Novitiatum praedicti Instituti in Republica Argentina, de consensu tamen Ordidarii Dioecesani loca, dummodo regularis inibi vigeat observantia, sufiiciens familia religiosa habeatur ut obtineri possit ea Novitiorum observantia, sen probatio quae necessaria est ad dignoscendam eorum vocationem, atque ea lege ut locos praefato Novitiatui adsignandus ab ea parte Conventos in quo degunt professi sit segregatus atque distinctus, que servatis de iure servandis.

Datum Romae ex Aed. Reverendae S. C. die et anno supradicto.

                Gratis quoeumque titulo.

            A. Card. Franchi, Praefectus

 

22.

 

Due lettere di Don R. Yeregui a Don Cagliero.

 

                R.P. de mi especial consideración,

                Desde el momento que pasó vuestra Reverencia con sus compañeros por esta ciudad y supimos, por la conversación que tuvo con mi hermano el Sr. Cura de la Matriz, que sería factible el establecimiento de los PP. Salesianos en esta República del Uruguay nos hemos apresurados a practicar diligencias para que esa posibilidad se convierta en realidad.

                Para ello nos han movido los hermosísimos antecedentes que tenemos de là Congregación a que V. R. pertenece, unidos al deseo de llenar una necesidad urgentísima y grave que existe en esta República. Me refiero a la educación de la juventud. [660] Grande es en'verdad la necesidad del establecimiento de Colegios qué, a la vez de proporcionar a la juventud uña sólida y completa educación según. las diversas carreras a que sé encamine, la formen a la virtud por la enseñanza y la práctica de los deberes católicos.

                Existe en el Departamento de Montevideo, a un cuarto de hora de distancia en ferrocarril, en el centro de-una población nueva y de verdadero porvenir, un edificio construido expresamente para Colegio, con una, Iglesia pública unida al mismo Colegio. Los proprietarios de ese Colegio, queriendo establecer en él una educación sólida y católica, desearían que la Congregación de los PP. Salesianos aceptase la donación, que, bajo muy. buenas condiciones, hacen del estable- . cimiento y terrenos. sitos en la misma población.

                Excuso encarecer a V. R. el mucho bien que reportaria la juventud de este país del establecimiento de los PP. Salesianos; que estoy persuadido serian pronto llamados á establecerse en otros puntos.

                El St. Obispo y Vicario Apostólico de esta República, cuyo secretario. soy, se interesa vivamente en que se realice este pensamiento y me encarga diga a V. R. que no sólo vería con mucho gusto el establecimiento y propagación, de los PP. Salesianos en está República,  sino que por su parte les dispensaría toda la protección que le fuera posible.

                Considero a V. R. muy recargado de atenciones; sin embargo en nombre del bien de la juventud católica de esta República y con el deseo de que con la demora no se malogre tan buen pensamiento, me atrevo a pedir a V. R. que haciendo un pequeño paréntesis a sus ocupaciones venga lo más pronto que le sea posible a Montevideo a fin de enterarse de todo, ver el local y edificio y resolver lo que juzgue conveniente.

                Según entiendo V. R. ha de pasar por acá dentro de algunos meses, pero creo que sería conveniente antes su presencia en esta, pues que en la actualidad podrían obtenerse ventajas que acaso no se consigan después; y por otra parte la demora creo que malograría el éxito dé uña fundación tan útil para el país y de tanta importancia para el bien de la Religión.Quiera V. R. aceptarlas expresiones de mi especial consideración y ordene a este s. s. s.

 

                Montevideo, Enero 7 de 1876.

Rafael Yeregui

 

                R. P. Juan Cagliero, Superior de los PP. Salesianos en S. Nicolás de los Arroyos.

 

                R. P.

                Recibí su estimada, fecha 22 de enero, -p. p,do en la que me da la grata noticia de que acepta la invitación para el establecimiento de los PP. Salesianos en este vicariato. [661] El establecimiento que se ofrece en donación es un colegio con iglesia; pública, construido en la Villa Colón, a distancia de un cuarto de hora en ferrocarril desde Montevideo. La posición es excelente.

                Se hace necesario que V. R. se tome la molestia dé venir a Monte lo más pronto posible, para conferenciar con las personas interesadas en esta donación; pues están muy bien dispuestos los Sres, que intervienen en este asunto.

                No me ha sido posible escribirle antes por cuanto había necésidad de allanar algunas dificultades que había de por medio.

                Sin mas me repito de V. R. a. s. s.

                Montevideo, Febrero 24 de 1876

Rafael Yeregui.

 

23.

 

Lettera di Don Bosco al Vescovo di Concepción.

                Vir Excellentissime,

                Ignotus homo tibi verba facturus, praestantissime praesul, veniam tibi petere debeo atque rogare ut sermonem meum clementer accipias atque patienter animadvertas. Scito ergo Divina Providentia facturo esse, ut religiosi viri, quibus Salesianum nomen est, Argentinam Rempublicam peterent, Evangelium Christi praedicaturi. Brevi temporis lapsu, opitulante Deo, quinque domus vel hospitia pro Christiaua adolescentulorum educatione adaperta sunt. Pauperiores puelli hic praesertim excipiuntur, aluntur, atque ad humaniores litteras et artes. diversimode deducuntur.

                His missionariis nunc praecipue est in animo experimentum facere ad Evangeíium inter Patagones et Barbaros sive Pampas annue.

                tiandum.

                Montevideo; Buenos Aires, Sanctus Nicolaus dé los Arroyos, Doloses jan vident Salesiana Hospitia. Evangelizatio per modum hospitiorum, pro juvenibus derelictis via tuta atque valde proficua videtur: quam, si tibi placet, ad Occidentales Patagonorum plagas experiri vellem. De hoc animi proposito jan verba feci cum Clementissimo ac Benevolentissimo Pontifice Nostro Pio IX, ,qui toto corde rem laudat atque commendat, sed ante omnia consilium tuum nec non judicium valde nobis est necessarium. Nam tua Dioecesis cum n extremis, meridionalibus partibus Chilenae Reipublicae posita sit, de rei oppor opportunitate tu quam maxime judicare valebis.

                Ideo humiliter in Domino deprecor, ut mihi dicas:

                I° Si huiusmodi rei exitus probabilis et opportunus videatur. Si atlïrmative dices, adde quo in loco haec hospitia sunt aperienda. [662]

                2° Si Gubernium sive Reipublicae Chilenae'auctoritas huic operi favorem praebitura,"et cum opus fuerit, auxilium suum etiam datura. Quo in casu itidem rogo te ut res auctoritati patefacias ab eadernque concursus postules.,

                3° Quaenam in Republica sit lingua communis et quem sermgnem prae aliis tecum esse adhibendum desideras, Ut an autem aliquantisper negotium agnoscas, dicam: Sum Superior Gene Generalis, licet indignus, Salesianae Congregationis, quae tamen Congregatio votorum  simplicfürn ab Ecclesia est approbata. Plures domos, plures Eccle-sias et hospitia in Italia et alibi nobiá Deus concredidit. '

                Si tu indulgeuti animo mecum ègeris, et propositum uc nostrum in actum deducendum esse judicaveris, dic mihi, quaeso, et omnia Romano Pontifici patefaciam; postea, quidquid opus fuerit, annuntiabo. Nos omnes hie Deum Optimum Maximum oramus pro te et pro Dioecesi quam Deus tibi regendam tradidit. Tu: vexò ductus amore jesu Christi Domini i Nostri Sanctam benedictionem tuam.mihf et fìliis meis impertiri dignare. Vale.

                Augustae Taurinorum in Italia

                Die 29 Julii 1876.

Humilis serves tuus

JOANNES BOSCO Sacerdos.

 

                PS. Si quid forte mihi esset respondendum, epistola dirigatur: 

                Al Sac Gio. Bosco.

                Italia, Torino.

 

24.

Leffera del sig. Benitez a Don Bosco.

 

                Quae tibi nunc mitto, Reverendissime Pater, Longinqua ex terra suscipe verba mea.

                Domino Joanni Baptfstae Bosco salutem in Christo Jesu.

                Denuo valeas opto propter amorem filiorum tuorum, memorum tui supra littóra Argentini fluminis, super qduos rorem gratiae caelestis descende e cognovimus.

                Audivi te magna cum laude suscepisse litteras meas decembris ultimi: quamvis, ut mihi videtur, a merito abessent et tantummodo sinceritas earum acceptabilis foret.

                Gratissimum est votum tuum, ut nos videamus et alloquamur in hac peregrinatione. Auspice Deo, possibile quidem : si autem spes nostra transferenda esset pbst obitum, mallem retinere calceamenta tua tamquam pallium E liae. [663] Habebis imaginem servitoris tui nati anno MDCCXCVII die XXIX Januarii Promissio photographi adimplebit assertum.

                Deus misereatur nostri et benedicat nobis.

                Bonis-Auris, Nonis Aprilis MDCCCLXXVI

Josephus Franciscus Benitez.

 

25.

Approvazione diocesana

delle Costituzioni per le Figlie di M. A.

 

                Josephus Maria Soi: dra Dei ae Sanctae Apostolicae Sedis gratia Episcopus Aguensis etc.

 

                Miserimis hiece temporibus, quibus consiliorum evangelicorum  professio tam impiis ac innumeris mgdis praepedttur, ipsaque juvenum um ac puellarum christiana educatio aut prorsus negligitur aut séeleste corrumpitur, nulla plane res optatior atque jucundior nobis , offerri poterat, quam sacra in hac Dioecesi erigenda Domus, quae puellìs Deo mancipandis januas aperiret; cujus ope educationi christ anae filiarum populi opportune consu1eretur.

                Quapropter vix conscii effetti de proposito ab Admo. Reverendo D. Sacerdote joanne Bosco Taurrinensi Piae Societatis Salesianae Superiore, concepto, instituendi nempe in' hac Dioecesi, loco Moro-nisii, Congregationem Filiarum Mariae Auxiliatricis ad eum fine in, ut m ipsarn omnes illae puellae convenirent, quae tum propriae spiri perfectioni vacate, tum proaimorum salutem, filias populi praesertim christiane edocendo, promovere intederent. Nos libenti animo enascentis Instituti Constitutiones, quibus regeretur, ad experimen tum probavimus, illudque gratiis et favoribus auximus.

                Quurn vVero Institutum hujusmodi Filiarum Mariac Auxiliatricis jan, Deo favente, sub praedfctarum Constitutionum regimine, adeo feliciter creverit, ut centum quinquaginta puellis ditetur vel eidem ad-scriptis, vel proxime adscribendis, ac praeterea Filiarum Mariae Auxiliatricis Domus gynaeceum agat filiabus populi instituendis ae in Christi doctrina instituendis, tum ipsae foemineae scholae pagi Mo-ronisiensis sub filiarum Mariae Auxiliatricis disciplina in dies auge-antur et fioreant; hinc ut novum hoc ac perutile, judicio quiden nostro. Institutum, meliori modo promoveatur, ejusdem Constitutiones jampridem idem: datas ac iterum' nobis siubiectas, praesentibus litteris, tamquam ad Dei gloriam et animarum salutem procurandam, et adaugendam fdoneas, firmius ac stabilius probamus ac confirmamus, ea innixi potestate, quam  igená dat praxis hoc inducta fine ut Congregationes [664] ad experimentum aliqúod dé iis súmendum prius inchoentur, quam Sanctae Sedis absoluto subiciantur judicio, ab eaque . plenissima potestate cum. ipsarum regulis definiantur.

                Hoc vero dum facimùs, potestatem tamen Nobis ac Successoribus Nostris explicite reservatam volumus, variandi nempe, ubi et quoties id expedire videbitur. Constitutiones ipsas, quas in praesens próbamus et confirmamus.

                Jam reliquum est, ut Congregationem Filiarum Mariae Auxilia-tricis ejusdemque singula mémbra paternae benevolentiae :ac charitati ommum Bpiscoporum, in quorum Dioecesi vel jam operantur, vel in postérum sunt operatura, commendemus.

                Praesens Decretum una cum Constitutionibus p aelaudiatis ac praesentibus litteris confirmatis, in Curia nostra Dpiscopali asservabitur.

                Datum Aquis die 23 januarii 1876.

† JOSEPH MARIA Ep.us

Sac. FRANCISCUS BERTA Secr.

 

26.

Decreto per l'apertura di una casa

delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Valdocco.

 

                Viso memoriali Nobis ab admodum Rev.do Sacerdote Joanne Baptista Bosco Dioecesano Nostro, Fundatore et Rectore Congrega­tionis. Salesianae, die 22 huïùs mensis Martii, quod in Archivio Curiae Nostrae asservari praecipimus; et in quo rogámur de Nostro bene­placito ad hoc, ut in hac urbe, in parte Suburbii Duriae, quae dicitur Valdócco, non longe ab aédibus in quibus residet dieta Congregatio Salesiana, apériantur Scholae pro puellis illorum locorum et haé committantur cùrae foemfnarum religiosarum súb titulo filia­rum S. Mariae Ausiliatricis, quorum praecipua domus est in loco Mornisii (Mornese) Dioecesis Aquensis; Nos, etsi de his foeminis reli­giosis, quorum institutio refertur ad annum millesimùm octigente­simum septuagesimum secundum, hucusque nullam certam notìtiam habúerimùs, attamen fidentes in. singulari prudentia, qua insignitur Excell.mus ac Rev.mus D. D. Joseph Sciándra Episcopus Aquensis, qui consensum suum praestitit institutioni Congregationis harum reli­giosarum foeminarum, in Sua Dioecesi, et eis non dubia signa dedit protectionis suae, consensum quoque damus ad boe, ut d ctae Scholae in dicto loco hisce rehgiosis foeminis committantur: eisque Benedi­tionem Nostram impertimur, ut reapse et uberrimo cum fructu ad Dei gloriam et animarum salutem ópus suum aggrediantur et perficiant [665] Declaramus vero Nos per praesentes litteras dictam Congregationem in Nostra Dioecesi nondum approbare, neque esse approbaturos quousque per sufficiens experimentum, quid in Domino hac in re statuendum sit, Nos ipsi perspexerimus.

 

                Concedimus vero admodum Rev.do D.no Rectori Congregationis Salesianae, ut ipsi liceat ad harum religiosarum foeminarum. Confessiones excipiendas destinare, quos de Sacerdotibus professis Congregationis Suae ipse magis idoneos in Domino judicaverit.

 

                Taurinorum Augustae die Martii 1876.

 

 LAURENTIUS Achiepiscopus

Can.cus CAVIASSI, Pro-Cancellarius.

 

27.

 

Lettera a Don Bosco per affari di Mornese.

 

                Don Bosco Reverend.mo,

 

                Apriti, o ciel! griderà la S. V. al vederle arrivare questa mia lettera. E veramente ha ragione e mi accorgo anch'io di mancare tante volte al rispetto che merita; ma in primis et ante omnia deve V. S. sapere che se non Le scrivo, egli è perchè temo di venirla a seccare; secondariamente perchè V. S. è tanto occupata che al postutto scrivendole La disturberei certamente. Ma non creda che io abbia messo Don Bosco nel dimenticatoio, perchè me ne ricordo giorno e notte e fin quando dormo. Lo sa qui Don Costamagna che mi ha sempre sui piedi come la scopa.

 

                Terminato l'esordio, entro in materia.

 

                Ha da sapere adunque che qui si buccina che V. S. cede al Vescovo d'Acqui il locale, dove son le monache e io grido: Ben fatto! Questa gente non merita più le grazie di Don Bosco, perchè se ne rende indegna col suo contegno. Si dice che giorni sono Le mandarono un memoriale, perchè V. S. non faccia loro questo torto; ma ritenga, o Don Bosco, che, fatte poche eccezioni, quello scritto è firmato da gente capace a tradirlo alla prima occasione.

 

                Si buccina inoltre che V. S. sarebbe intenzionata di piantare la famiglia a Gavi, e io grido: Ben fatto! Prima di tutto la popolazione di Gavi e per educazione e per schiettezza e per cuore va avanti a Mornese; anzi dà a questo 90 punti su cento. La voce soltanto di tale sua deliberazione destò un vivo entusiasmo e moltissime persone sono disposte ad aiutarlo nella costruzione della casa.

 

                Come consigliere del Comune di Gavi posso prometterle (sic) le scuole municipali di Gavi, e in un tempo non tanto lontano la direzione dell'asilo infantile. [666] Debbo anche dirle che si progetta (sic) di fare un tronco di strada ferrata da Gavi ad Arquata, e fu nominato l'ingegnere per fare gli studi.

 

                Aggiungo da ultimo che ho già trovato l'area fabbricabile vicino alla città un tirar di pietra. Per dettagli si rivolga a Don Costamagna. Mancandomi il tempo debbo chiudere. Preghi per me e mi creda

 

                Mornese, 3 luglio '76.

 

Suo devot.mo.

Not. Traverso.

 

                Dica un'Ave Maria alla Madonna che mi faccia guarire, perchè non sto bene no.

 

28.

 

Due altre lettere di Don R. Yeregui a Don Cagliero.

 

                Mi amigo:

                Esperando poder darle buenas noticias respecto a los pasajes no le he escrito antes; pero hoy que tengo su estimada debo contestarle. Recién a. principios de la última semana supe por el Sr. Fynn que no era posible arreglar' el asunto de los pasajes ni con la Compañia Francesa, ni con la de Lavarello vista de esto he practicado nuevas instancias con el Sr. Gobernador quien me ha prometido arreglar el asunto o contribuir con una cantidad para los pasajes. Acaso hoy obtenga la contestación, definitiva.

                Como V. R. comprende no es de despreciar la cooperación del Gobierno en este asunto, principalmente en -las actuales críticas circunstancias.

                Aunque algo he hecho respecto' a preparar' los elementos vece- ' sanos para la Instalación del Colegio, sin embargo creo conveniente arreglar ante todo el asunto de los pasajes.

                Estas contradicciones lejos de' desanimarme me animan, pues" comprendo como le he dicho -antes que esta es Obra de Dios y por consiguiente, bueno es que vaya sellada con el sello de las contrariaJades:

                Creo que el viaje del Sr. Buxarco será en todo este mes, pero me ha dicho que ignora el día, pues que, terminados algunos asuntos que le detienen, aprovechará la partida del primer vapor para irse. Puede mandarme las cartas de que me habla, pues es -bueno que las tenga, Si hoy sé'algo definitivo sobre los pasajes, se lo comunicaré inmediatamente. Me encomiendo a sus oraciones -

                Montevideo, Octubre 2, 1876.

                Rafael Yeregui. [667] Rvdo. P. Juan Cagliero, Buenos Aires

                Mi amigo:

                Oportunamente recibí su estimada, fecha 6 del corriente. Oportunamente ontentación le diré que, con esta fecha escribo al P. Bosco envi la orden del agente de los vapores del Pacífico en Monte

                Video e de Burdeos, pava que dé diez pasajes de primera enuno de los vapores  que parten de 11 para esta.

                Bas, que el P. Bosco se ponga en comunicación con dicho agente de saber el día que han de partir los PP. de Burdeos.

                Los p, dados o la orden del P. Bosco.

                Juntamente la mando una letra de X.330 francos para los gastos de viaje a Burdeos. No mando más porque no puedo. Para énviar he rascado el fonido.

                Ahora ocupamos con Don Peliz Buxarco, D. Juan Jackson y el Sr, de arreglar lo necesario para la instalación. No le prometo cosas, pero hemos de hacer lo posible por que la máquina marche, que es nuestra. misión. Yo le avisaré el momento de enviarnos el hermano carpintero y el otro auxiliar.

                Nuestro Gobernador el Sr. Latorre es el que con la mejor buena voluntad me arregló el asunto pasajes.     . No olvide de ir arreglando definitivamente el programar que ha de imprimirse': Procure hacer .todo lo posible por visitarnos pronto para ver lo' que ha de hacerse en Colón,.

                No descuide de mandar las, cartas que debe llevar el Sr. Buxarco. Terminaré haciéndole una pregunta suelta: ¿Con qué cantidad mensual y por cuánto tiempo debería contarse para sostener y dar ' vida a una Escuela dé Artes y Oficios?

                Nada tengo hecho a ese respecto, pero deseo tener algunos datos. Contra mi costumbre he sido demasiado extenso en esa carta. Encomiéndeme en sus oraciones y mande a s. s. y. a.

                Montevideo, Octubre 10, 1876.

Rafael Yeregui

 

29.

 

Lettera dell'Arcivescovo di Buenos Aires a Don Bosco.

 

                Sr, Dn. Juan Bosco, Superior General de los Padres Salesianos, Rvdmo: Padre General,

 

                Tuve el gusto de recibirla carta de V. Rema de fecha 27 de Abril y quedo muy grato por el interés que V. Re.ma muestra por mi persona y por el bien de esta Arquidiócesis. [668] Me he alegrado mucho al saber la distinción con que el Santo Padre ha honrado al Sr. Dn. Juan F. Benitez que tanto ha hecho y hace por el Colegio de San Nicolás y también por el título de Ca' marero Secreto conferido al Sr. Ceccarelli.

                No puedo menos de encarecer el celo que V.. Rema muestra por la conversión de los infieles de la Patagonia. La escasez dé los recursos con que contamos, tanto más ahora que él Gobierno no nos pasa los fondos que antes acostumbrada, unido a la gran distancia que hay de aquellas regiones a esta Capital hace que no podamos ocuparnos de esas Misiones. Sin embargo en el verano pienso hacer la visita del Curato de Patagones, situado al Norte de la Patagonia y pienso llevar, para que me ayuden en la Misión, al P. Superior Don Juan Cagliero y a algún otra de los Padres. Una vez allí' veremos lo que se puede hacer.

                Cada vez estoy más satisfecho de sus Padres. Puede decirse que en la Iglesia que tienen en esta ciudad es una, Misión diaria que nunca-acaba; tantas son las personas qué concurren y la frecuencia de Sacramentos en grandes y chicos, muchos de los cuales son de Primera Comunión.

                Doy las gracias a Vtra. Re.ma por las noticias que me da del Santo Padre de cuya importante salud nos felicitamos.

                Quiera, V. Rema recomendar en sus santos Sacrificios y oraciones a mi y a esta Arquidiócesis y ordene.

                Buenos Aires, julio 1° de 1876.

 

Federico, Arzobispo de Buenos Aires.

 

30.

 

Lettera del Sig. Benitez a Don Bosco.

 

                Viva Jesus!

 

                Señor D. Juan Bautista Bosco, Presbiteyo, Fundator y Presidente de la Congregación del Oratorio de S. Francisco de Sales.

 

                Muy respetable y amado amigo mio en Nuestro Señor Jesucristo, El anuncio que U. S. me hacía desde Roma en 22 de Abril, fue confirmada por su estimada de I ° de Julio datada en Turín; acompañada del Breve, apostólico, de N. Santíssimo Padre el Papa Pio IX tan honorífico, tan benevolo y obligante. Estas preciosas letras fueron recibidas y leidas el día de la Asunción en el Colegio Salesiano de esta ciudad.

                He sentido confusión al verme ensalzado más allá de lo que me [669] rezco: pero no puedo menos de agradecer con toda mi alma á Nuestro Gran Pontífice esta singular muestra de su paternal bondad; que reanima mis esfuerzos, hasta concebir esperanzas que la situación de este P no autoriza. Digo esto por los proyectos de establecer casas para de niñas.

                Cori con la adorable providencia de Dios que hace llover para 1 y los pecadores, y que con débiles instrumentos eje cuca cosas.

                Así os adelantar admirablemente las obras del colegio, aunque los m son limitados.

                Nuestro Señor conserve a U. S. para la prosperidad del instituto y bien de la ï Iglesia, mientras tengo el placer de saludarle con cariñoso aprecio récio. S. S.

                Colegio Salesiano en San Nicolás de los Arroyos, Setiembre 3 de 1876.

JOSÉ FRANCISCO BENITEZ.

 

31.

 

Anniversario perpetuo per Emanuele Callori.

 

                Pel fu Sig. Emanuele Secondogenito del Sig. Conte Federico Callori Provana Balliani di Vignale.

 

                La Sig. Contessa Carlotta Callori Sambuy, col consenso e col concorso del pio suo consorte, Ill.mo Sig. Conte Callori Provana Balliani, pel vivo desiderio di conservare grata e religiosa memoria del compianto suo figlio Emanuele, rapito da immatura morte all'affetto de' suoi genitori in età appena di anni 24, ha deliberato di dare un servizio religioso anniversario da compiersi ogni anno nella Chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice dì questa città, nel giorno del suo decesso ed in suffragio dell'anima dell'amato figlio, se mai ne avesse ancora bisogno prima di essere ricevuto agli eterni gaudi del Cielo.

 

                A tale fine conviene col Sacerdote Bosco Giovanni Direttore di questa chiesa, che:

 

                1° Questo funerale o servizio religioso debba compiersi ogni anno all'11 giugno, giorno in cui munito di tutti i conforti di nostra santa cattolica religione spirava placidamente nel bacio del Signore. Se il rito della Chiesa non lo permettesse, si farebbe nel primo giorno successivo non impedito.

 

                2° Vi sarà Messa cantata solenne con Diacono, Suddiacono e Chierici; i giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, faranno la loro Comunione, reciteranno il Rosario con altre preghiere che essi so no fare in simili sacre funzioni. [670]

                3° In quel giorno si celebreranno pure dodici Messe lette in suffragio dell'anima del defunto.

 

                4° Per le spese occorrenti nel funerale, nella Messa solenne e celebrazione delle Messe, Comunioni, preghiere, la Contessa sopramentovata offre una rendita annua di franchi cento cinquanta, che debbono servire in perpetuo al pio scopo.

 

                Il Sacerdote Giovanni Bosco, come superiore della Congregazione di S. Francesco di Sales, e direttore della Chiesa, accetta tale proposta e si obbliga per sè, e suoi eredi successori nella Congregazione, di compiere questo servizio religioso nel giorno e nel modo sopraindicato, e ne farà tenere apposita tabella affissa nella Sacrestia della Chiesa, che ricordi in perpetuo l'obbligazione assunta verso il defunto Emanuele Callori.

 

                Dato in Torino, 16 Giugno 1876.

 

32.

 

Buoni uffici dei teologo Belasio.

 

a) Lettera del teol. Belasio a Mons. Gastaldi.

 

                W. G. e M. SS. Imm.

 

                Eccellenza,

 

                La sua esaltazione mette una gran distanza tra la E. V. Rev.ma e l'antico amico di cuore. Ma la immaginazione divora il tempo e il cuore varca la distanza quando lo spinge l'affetto ad una persona che ama tanto.

 

                Mi trovai al contatto di due Personaggi che sono forse quelli che più stimo nel mondo. Ed Ella, pur mi volesse sgridare, ha da farmi la carità di tollerarmi confidente. Perdoni adunque leggendo: e quel che ho fatto e quello che desidero si faccia.

 

                Dopo il colloquio che ebbi l'onore di tenere colla V. E. Rev.ma in proposito delle relazioni con D. Bosco, mi sono fatto premura di recarmi a S. Martino dove potei liberamente conferire col medesimo. Egli si mostrò ansioso di sapere o almeno, come Egli diceva, di avere una qualche idea di ciò che la E. V. aveva ragione di lagnarsi del suo contegno. Ebbene: colla mia schiettezza ho dovuto fargli intendere che La si credeva di non veder abbastanza rispettata la sua Autorità, e che non doveva comparire Ella come l'esecutrice della volontà di D. Bosco; che alfine non doveva essere come il suo Vicario chi era posto dal Signore a reggere la sua Chiesa.

 

                A questa mia esposizione si mostrò assai dolente D. Bosco: possibile noto le sue precise parole  che nascano tali dubbi tra [671] persone che vogliono la sola gloria di Dio! Io, no, no, non farò mai per la Diocesi Torinese e per il mio Arcivescovo, cosa che possa recar disturbo. e molto meno dispiaceri al mio Arcivescovo. Solo vi prego di osservare che essendo io il Superiore di una Congregazione definitivamente approvata, la quale prende ogni giorno maggiore sviluppo, debbo anche io adoperarmi per consolidarla, e per mantenere quella autonomia indispensabile per esistere come tutte le Congregazioni religiose. Ah mio caro Belasio - mi diceva con un accento di viva commozione - se si potesse, e se lo potete voi in qualche modo ottenermi di essere in perfetto accordo come sono in perfetta relazione cogli altri Vescovi, coll'Arcivescovo mio, che sa come io lo ami tanto... benedirci il Signore per sempre”.

 

                Gli dissi anche che la E. V. vedeva bene il disegno di chiamarsi d'intorno un'eletta di cooperatori in quella specie di terziariato; ed egli mi rispose: “Ebbene, come è il S. Pontefice a capo di esso, se volesse l'Arcivescovo essere il primo col Papa, questo formerebbe un perfetto accordo, e così finalmente si dovrebbero intendere in tutte le cose, senza persone in mezzo.”. Difatto io credo impossibile per due Persone di così eccelsi meriti, se si parlassero cuore a cuore, non trovarsi in tutte divergenze, in pieno accordo.

 

                Perdoni, perdoni la mia libertà. Mi sgridi, mi rimproveri di audacia, ma si degni ascoltare chi Le vuol essere, e dimanda in grazia di potersi rassegnare colla massima venerazione, baciandole la V.ma Mano,

della E. V. Rev.ma

 

                Sartirana Lomellina, li 5 Luglio 1876.

 

Osserv.mo Umil.mo ed Obbl.mo Servo

T. Belasio Antonio.

 

b) Lettera del medesimo a Don Bosco.

 

                Veneratissimo D. Bosco,

 

                Le mando la lettera dell'Arcivescovo. Esitai se doveva mandargliela: anzi glie la mando con mio dispiacerei! Io avrei aspettato una lettera di maggior benignità...  -Supplico colle lagrime agli occhi di far quel che può davanti al Signore per abbonirlo. La lettera che le mando è mia, e quindi esigo proprio che l'abbruci; non vorrei averla letta neppur io.

 

                Giacchè mi nomina S. Carlo, le voglio ricordare che diede il Gran Santo prova di eroica virtù col tollerare con pazienza le accuse di un Sacerdote di grande considerazione.

 

                Le bacio la mano e la prego di tener in conto di un gran merito per me verso la S. V. di averle mandato questa lettera. [672] M'ottenga da Maria Ausiliatrice il collocamento d'impiego di un mio Nipote: è imminente ed è una delle grazie che le ho raccomandato di ottenermi.

 

                Di V. S. carissima

 

                Sartirana, li 10 luglio.

Oss. aff.mo

Teol. Belasio Maria.

 

c) Lettera di Mons. Gastaldi al teol. Belasio.

 

                Carissimo Sig. Teologo,

 

                Ringrazio V. S. della sua ultima lettera, la quale rileva il suo buon cuore, il vivo desiderio della concordia che ella nutre e lo spirito di zelante Missionario Apostolico, che in lei vive.

 

                Mezzo efficacissimo per riuscire nell'intento della sua lettera è, che ella preghi e faccia pregare e assai, acciò lo Spirito S. diffonda i suoi doni, lumi di mente, santi affetti nel cuore a tutti i Ministri della Chiesa; e questi, purificati e scaldati da esso S. Spirito, non cerchino proprio altro che la gloria di Dio e la salvezza delle anime; chè allora, e solo allora, rimosso ogni spirito di amor proprio e di interesse di corpo, si cercherà solo il bene e si cercherà nel modo debito e ordinato: mentre purtroppo molti oggidì sono sì zelanti del bene, ma lo vogliono operare in un modo diverso da quello ordinato dal nostro divin Redentore, e così operando, producono sì e promuovono molto bene da una parte, per cui essi compariscono quasi nuovi Franceschi, Ignazii, Vincenzi; ma d'altra parte eccitando scissure e promovendo partiti con male intese autonomie, operano anche del gran male

 

                Venendo a D. B. io sono nell'intima persuasione che se questi ai tempi di S. Carlo nella diocesi di Milano avesse tenuta verso di quel S. Arcivescovo la stessa condotta che tenne in Torino, lungi dall'averne avuta tutta quell'approvazione che esso pretenderebbe dall'Arcivescovo di Torino, più d'una volta avrebbe avute gravi rimostranze e una seria e ferma opposizione.

 

                Se esso è quell'uomo di umiltà che deve essere, e sente verso l'Arcivescovo di Torino la riverenza che deve, cominci a darne una prova chiedendo a voce o per lettera venia della lettera inconsiderata che esso D. B. scrisse all'Arcivescovo suddetto, nel marzo (se non erro il 27) 1875. Questa lettera fu mandata alla S. C. dei Vescovi e Regolari; e questi vi trovarono parole che non si dovevano scrivere, imperocchè scrissero al detto Arciv. manifestando il loro rincrescimento per tale lettera, e la speranza che non si sarebbero più ripetute tali cose. Dunque la mancanza di D. B. è certa[244]. [673] D. Bosco riconosca pertanto in primis la sua mancanza, vi ponga rimedio, e dia la sola prova solida della Santità che è quella dell'umiltà. Ma, ripeto, bisogna pregare: abbisognano grazie abbondanti acciò si scoprano le arti di Satana che transformat se in angelum lucis. Mi raccomando quindi alle preghiere di V. S. mentre di tutto cuore, la saluto e colla massima stima sono di V. S. Ill,ma e molto reverenda

 

                Torino, 8 luglio 1876.

aff.mo in G. C.

+ Lorenzo Arciv. di Torino.

 

33.

 

a) I ricordi per le vacanze.

 

                1a FACCIATA.

 

                RICORDI PER UN GIOVANETTO

                CHE DESIDERA

                PASSAR BENE LE VACANZE

 

                2a FACCIATA.

 

                IN OGNI TEMPO: Fuggi i cattivi libri, i cattivi compagni, i cattivi discorsi.

 

                L'ozio è il più grande nemico che devi combattere.

 

                Senza il timor di Dio la scienza diventa stoltezza.

 

                COLLA MAGGIOR FREQUENZA: Accostati ai SS. Sacramenti della Confessione e Comunione.

 

                S. Filippo Neri consigliava ad accostarvisi ogni otto giorni.

 

                OGNI DOMENICA: Ascolta la parola di Dio ed assisti alla altre Sacre funzioni.

 

                OGNI GIORNO: Ascolta, e se puoi servi la santa Messa e fa un po' di lettura spirituale.

 

                MATTINO E SERA: Recita divotamente le tue preghiere.

 

                OGNI MATTINO: Fa una breve meditazione su qualche verità della Fede.

 

                3a FACCIATA.

 

                Multi illorum qui fuerant curiosa sectati, attulerunt libros el combusserunt coram omnibus (Act. Ap., c. 19). [674]

 

                Cum bonos bonus eris, cum perverso perverteris (Ps. 17). Corrumpunt bonos mores colloquia prava (S. Paolo, Ep. I ad Cor., c. I5). .

                Fili, conserva, tempus, et tempus conservabit te (Eecli, 4.). Omnem malitiam docuit otiositas (Eccli., 33).

                Initium sapientiae timor Domini (Ps. 110).

                Initium omnis peccati superbia scribitur (Eecli., io).

                Vani sunt omnes homines, quibus non subest scientia Dei (Sap. 13). Qui manducat meam carnera et bibit meum sanguinem, habet vitam , aeternam (JOAN., c. 6).

                Beati, qui audiunt verbum. Dei et custodiunt illud e. 11). Absque Missae sacrificio tamquam Sodoma et Ghomorra fuissemus a Deo exterminati (Rodriguez).

                Ita libenter devotos et simplices libros legere debemus, sicut altos et profundos (Kemp. de Imit. Christi).

                Deus, Deus meus, ad te de luce vigilo (Ps. 62), Vespertina, oratio ascendat ad te, Domine, et descendat super nos misericordia tua (Eccl. in suis precibus).

                Desolatione  desolata est omnis terra, quia nullus est qui recogitet corde (IER., e. I2).

                In meditatione mea exardescet ignis (PS., 38).

 

                4a FACCIATA.

 

                NB. Ogni allievo al ritorno dalle vacanze dovrà presentare al Direttore degli Studi il certificato di buona condotta del proprio Parroco.

 

b) Lettera per il parroco.

 

                Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

                Raccomandiamo rispettosamente questo nostro allievo alla benevolenza della S. V. Rev.ma facendo umile preghiera di assisterlo in tempo delle vacanze, e nel suo ritorno fra noi fornirlo di un certificato in cui si dichiari:

 

                1° Se nel tempo che passò in patria, si accostò ai SS. Sacramenti della Confessione e Comunione;

 

                2° Se frequentò le funzioni parrocchiali e si prestò a servire la santa Messa;

 

                3° Se non ha frequentato cattivi compagni e non ha altrimenti dato motivi di lamenti sulla sua morale condotta.

 

                Colla speranza di ricevere buone notizie dell'allievo, La ringrazio di tutto cuore, professandomi con particolare stima e riconoscenza

 

                Della S. V. Rev.ma

 

Obb.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [675]

 

34.

 

Distribuzione dell'uva di Don Bosco.

 

                D. Rua poco alla volta porti libretto dei Cooperatori:

 

                Barone Carlo Bianco di Barbania che pranza ad 1 pom.

                Cav. Comm. Saverio Collegno e sua famiglia, ore 6 pom.

                Contessa Daria Collegno.

                Conte Alessandro Collegno.

                Mad. Giusiana.

                Mad. Martinengo - D. Durando.

                Mad. Gilardi e sua famiglia.

                Parroco e vice curato di S. Barbara, pranzano ore 12 merid.

                Michele Scanagatti.

                Can.co Luigi Nasi.

                D. Corsi.

                D. Ghiotti.

                D. Casalegno.

                Cav. Bosio Aleramo pranzano 5.30

                Contessa Bosco Cantono

                Cav. Gius. Arnaldi e sua consorte, 12 merid.

                Sig. Guglielminetti.

                Cav. Marco Gonella.

                Stia Moglie Gonella (forse Rosa) Maineri, ore 5.30

                Barone comm. Gaudenzio Claretta e sua famiglia, ore 6, etc. etc.

                Ved. Delfina Contessa Viancino, ma non quella che è qui presso.

 

35.

 

Estensione di facoltà.

 

                Dilecte Fili, Salutem et Apostolicam Benedictionem. - Exponendum Nobis curavisti tibi esse ad spirituale aegrorum praesertim bonum et commodum in votis, ut, quod pro praecipua Salesianae Congregationis Domo Taurinensi impertiti sumus privilegium habendi Oratorium privatum cum facultate faciendi in eo Sacrum, Sanctissimamque Eucharistiam ministrandi; ad omnes eiusdem Congregationis Domos extendeie de Apostolica Indulgentia velimus. Nos igitur tuis huiusmodi votis obsecundare, omnesque et singulos, quibus hae Litterae Nostrae favent, peculiari benevolentia prosequi volentes, et a quibusvis excommunicationis, et interdicti, aliisque Eclesiasticis sententiis, censuris, et poenis quovis modo; vel quovis [676] de causa latis, si quas forte incurrerint, huius tantum rei gratia absolventes, et absolutos fore censentes, Apostolica Auctoritate Nostra, tenore praesentium, pérpetuum in modum concedimus, ut in omnibus et singulis piis Salesianae Congregationis Domibus, ubique rite existentibus, privatum Oratorium in decenti mansione ab omnibus domesticis usibus libera, ac pro di gnitate exornatá erigi, et in eo sacra supellectili ad id necessaria instructo, Sacrosarìtum Missae Sacrificium per Pcesbyteros eiusdem Congregationis Sodales, vel per alios rite probatos Sacerdotes cum Sodalibus Salesianis conviventes, in ecclesiastici praecepti satisfactionem tum religiosis Salesianis, tum aliis quavis ratione iisdem Domibus piis addictis, ibidemque degentibus valiturum, singulis diebus, vel per annum Sollemnioribus, dummodo nullum ex hac concessione detrimentum Christiano populo obveniat, quod ad implementum praecepti audiendi Missam diebus festis, et caetera serventur, quae ex sacris ritibus servanda praescribuntur, celebrari, et infra eiusdem Sacrifici actionem supradictis omnibus Sanctissima Eucharistia, servatis servandis, ministrari de licentia tamen Moderatoris cuiuscumque ex dictis Domibus libere liciteque possit. Decernentes has Litteras Nostras validas, firmas et efficaces existere et foce, suosque plenarios et integros effectus sortiri et obtinere, dictisque in omnibus et per omnia plenissime. suffragari, sicque in praemissis per quoscumque Iudices Ordinarios et delegatos etiam Causarum Palatii Apostolici Auditores iudicari et definiri debere, ac irritum et inane, si secus super his a quoquam quavis Auctoritate scienter, vel ignoranter contigerit attentari. Non obstantibus in contrarium facientibus quibuscumque.

                Datum Romae-apud S. Petrum sub Aunulo Piscatoris, die XII Septembris MDCCCLXXVI, Pontificatus Nostri Anno trigesimo primo.

                F. Card. ASQUINIUS.

 

36.

Facoltà per chiese ed oralori.

Pius PP. IX.

 

                Dilecte Fili, Salutem et Apostolicam Benedictionem. - Exponendum curavisti Nobis, te in votis habere, ut in singulis ad Salesianam Congregationem pertinentibus Ecclesiis a Presbyteris eiusdem Congregationis Sodalibus Sacrum fieri queat, Sanctissimaque Eucharistia ministrari, nec non Sacrae possint haberi Conciones, et adolescentibus Christiana Catechesis tradi, eiusque rei ergo Apostolicam . veniam a Nobis exposcis. Nos igitur tuis huiusmodi votis obsecundare, ,praefatamque Congregationem peculiari benevolentia prosequi volentes, teque et singulis omnes quibus hae Litterae Nòstrae favent, a [677] quibusvis excommunicationis et interdirti, aliisque Ecclesiasticis sententiis, censuris, et poenis quovis modo, vel quavis de causa latis, si quas forte incurrerint, huius tantum rei gratia absolventes, et absolutos fore censentes, Apostolica Auctoritate Nostra tenore praesentium perpetuo concedimus, ut in singulis Ecclesiis, Oratoriisq publicis ad Salesianam Congregationem rite ac legitime pertinenti nentibus ubique eaedem existant, Sodales memoratae Congregationis rite probati, servatisque ex Ecclesiastica disciplina servandis, Sacrosanctum Missae Sacrifici celebrare et Sanctissimam ministrare fidelibus Eucharistiam, verbum Dei predicare, adolescentibusque Christianam tradere Catechesim de Moderatorum suorum licentia libere liciteque possint et valeant. Apostolica praeterea Auctoritate Nostra, harum Litterarum vi, perpetuum in modum concedimus, atque indulgemus, ut in singulis Salesianae Congregationis Ecclesiis et Oratoriis, dummodo pro dignitate exornata sint sacraque supellectili ad id necessaria instructa, servatis servandis, et sine ullo parochialium iurium detrimento, Augustissimum Eucharistiae Sacramentum asservari, illudque fidelium adorationi solemniter proponi, eoque benedici, servato rituum praescripto, fidelibus libere possit, et licite.

                Praecipimús vero, ut ante tabernaculum, in quo Sacramentum Augustum de more asservatur, lampas diu noctuque, continenter exardescat, illiusque tabernaculi clavis fideliter diligenterque habēndam penes Aedituum semper maneat. Decernentes has Litteras Nostras firmas, validas, et efficaces existere et fore, suosque plenarios et íntegros effectus sortiri et obtinere, dictisque in omnibus et per omnia plenissime suffragari, sicque in praemissis per quoscumque Iudices Ordinarios et delegatos etiam Causarum Palatii Apostolici Auditores iudicari et definiri debere, ac irritum et inane, si secus super bis a quoquam quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigerit atten tari., Non obstantibus in contrarium facientibus quibuscumque.

                Datum Romae apud S. Petrum sub Annulo Piscatoris, die XII Septembris MDCCCLXXVI, Pontificatus Nostri Anno trigesimo primo.

                F. Card. ASQUINIUS.

 

37.

Delegati alla revisione di libri.

 

a) Per le "Letture Cattoliche".

 

                LORENZO GASTALDI

                ARCIVESCOVO DI TORINO

 

                Deleghiamo il molto rev.do Signor Canonico Giustetti a rivedere le opere da pubblicarsi nelle Letture Cattoliche che si stampano nella Tipografia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, con [678] che il Visto solo si metta da Noi o dal Nostro Vicario Generale, Intendiamo che questa facoltà straordinaria duri sino al 1° gen­naio 1877.

                Torino, 27 giugno 1876.

 

† LORENZO Arcivescovo

T. CHIUSO.

 

b) Per la "Biblioteca della Gioventù Italiana.

 

                LORENZO GASTALDI

                ARCIVESCOVO DI TORINO

 

                Con la presente si delega il Signor Canonico Pietro Peiretti Dot­tore Collegiato, a rivedere le opere che dovranno far parte della Bi­blioteca dei Classici Italiani, che saranno presentati dalla Tipografia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, con che però il Visto venga apposto sulle opere da Noi o dal Nostro Vicario dietro il voto del suddetto Sig. Revisore.

                Torino, 28 giugno 1876.

† LORENZO Arcivescovo

T. CHIUSO.

 

38.

Facoltà per la lettura di libri proibiti.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il sacerdote Gio. Bosco umilmente prostrato ai Piedi di V. S., pel bene della Congregazione Salesiana e dei Soci della medesima, supplica che:

                Il Superiore Generale; attesa la tristezza dei tempi, in cui ad ogni momento si vedono ingombre le case e le scuole di giornali e di libri perversi, quindi gli allievi in gran pericolo di perversione, possa concedere a' suoi Religiosi di verificare, esaminare e leggere libri e giornali proibiti, con quei limiti che nei singoli casi saranno giudicati oppórtuni, per togliere i pericoli del male e promuovere la maggior, gloria di Dio.

                Questa facoltà fu concessa da Leone XII, die 11 Julii 1826, pro Soc. Jesu e per comunicazione a tutti gli Ordini Religiosi e Congregazioni Ecclesiastiche. Fu eziandio concessa personalmente al Superiore dei Salesiani ad vitam ed anche di poterla comunicare ad tempus. [679] Feria sexta, die 28 aprilis 1876.

 

                Auctoritate Sanctissimi D. N. Pii PP. IX Nobis commissa, si vera sunt exposita, remittuntur preces arbitrio et conscientiae eiusdem Ora­toris cum facultatibus necessariis et opportunis iuxta superius petita.

                In, quorum fide

F. P. HIERONYMUS PIUS SACCHERI

Ord. Praed.

S. Ind. Congr. a Secretis

 

                Loco sigilli.

 

39.

Lettera dl Mons. Ceccaretli a Don Bosco.

 

                Mio Reverendissimo Padre,

 

                Ricevetti con riconoscenza la Sua del 23 di Aprile scrittami da Roma, latrice della benevolenza di V. S. Rev.ma, e della Clemenza Sovrana del migliore dei Padri a mio riguardo. Sono commosso per gli atti paternali e affatto immeritati del Sommo Pontefice; che mi volle nominare Suo Cameriere Segreto e manifestarmi per mezzo della V. S. Rev.ma la Sua soddisfazione per, quel poco di bene che ho fatto, non che assicurarmi che non mi: dimenticherà. Riconosco che gli onori che mi vengono dal Sommo é sempre caro Pontefice Pio IX, sono dovuti unicamente alla benevolenza della V. S. Rev.ma verso la  povera ed umile mia persona. Accetto con gratitudine eterna siffatta onorificenza, e quantunque sia deciso a non usare di tali distinzioni; tuttavia non viene meno la mia riconoscenza che Le professo.

                Graditissimo mi torna il bel pensiero che ha avuto Sua Santità, di concedermi tutti i privilegi dei RR. PP. Salesiani; avvegnachè abbisogno molto di grazie spirituali e di indulgenze per salvare l'anima mia. Questo fatto mi pone sotto l'obbedienza della V. S. Rev.ma, che può di me disporre come meglio crede nel Signore.

                Perciò la V. S. Rev.ma se conosce che posso essere! utile alla nostra Congregazione, più presto in Italia o in Africa o in Asia che in  America, o come Prelato Q come Sagristano, come Delegato Aposto­lico o come galoppino: ecce ego, mitte me. E' volontà di Dio. che lavori per là propagazione del suo Regno in questo mondo, e come meglio posso farlo, di quello che cercare con :tutto il mio cuore di dissemi­nare la Congregazione Salesiana, la bella opera della V. S. Rev.ma, tante volte approvata, benedetta, raccomandata e applaudita dal Sommo Pontefice?

                Per ottenere ciò è indispensabile che obbedisca al capo perfetta­mente. Non posso obbedire al capo perfettamente se non mi metto nelle sue mani come un vincastro nelle mani del pastorello, indifferente ai luoghi, condizioni, persone, climi, nazioni e posizioni, [680] a ringrazio della buona opinione ché ha di me, ché certo non mi insuperbisce, poichè conoscendo la mia piccolezza mi consiglia `e mi stimola ad essere più buono e a lavorare con maggior impegno nella vigna del Signore.

                Il Collegio di San Nicolás va perfettamente, i Padri Salesiani si portano benissimo e son stimatissimi in città, ed il loro nom ;suona già in tutta l'America del Sud.

                Mi sono preso la libertà di scrivere ed agire nella Repubblica Ar­gentina e fuori di essa. - Nella Repubblica del Chilì vi sono tre bellissimi 'Stabilimenti e .tutti. ben dotati che li voglio pei padri Salesiani: - 1° Gran stabilimento degli Artigianelli nella Capitale. – 2° Chiesa e Collegio di civile condizione in Valparaiso. - 3° Piccolo Seminario nella Diocesi della Concezione. Nella Repubblica Argentina per qualche anno sono s sufficienti i 4 Stabilimenti che hanno, aggiun­tovi un altro o in Tucuman o nel Paraná; perciò è necessario pensare al Chili, l'Italia dell'America del Sud.

                Coll'aiuto di Dio,- mercè le di Lei orazioni spero ottenere i tre Stabilimenti accennati pel 1877.

                Qui tutto va bene. I Padri parlano bene lo spagnuolo; e si sono assuefatti all'aria, clima, costumi, ecc.

                Fagnano è infaticabile, Tomatis intrepido, Cassinis costante, Al­lavena robusto, Mplinari indefesso, Gioia invincibile, Scavini incom­movibile nel lavoro scientifico, manuale e religioso.

                Venendomi la nomina di Cameriere Segreto di S. S. scriverò al Santo Padre e gli dirò tutto; ma come buon Salesiano Lé rimetterò la lettera affinchè Ella la legga e la mandi a Roma.

                I giornali di qui e di Buenos Aires hanno accettato con plauso le nomine fatte da S. S. a favore mio e di Benitez.

                Mi raccomandi al Signore e comandi al San Nicolás, Giugno io, 1876.

 

Suo Devot.mo Figlio in G. C.

PIETRO B. CECCARELLI.

 

4°.

 

Una questione di diritto canonico.

 

a) Lettera del teol. Chiuso a D. Dalmazzo.

 

                Molto Rever. Signore,

 

                S. E. Rev. Monsig. Archivescovo mi incarica di esporre a V. S. essergli vivamente dispiaciuto, che ella abbia commessa un'infrazione alle leggi ecclesiastiche, chiamando a far funzioni e specialmente a predicare nel Collegio Val Salice, senza aver ottenuto il permesso dell'Arcivescovo stesso, un Vescovo di altra Diocesi. [681] Anche senza considerare che questo non è il modo di conciliarsi la benevolenza di Mons. Arcivescovo, le osservo che tale mancanza è tale da non lasciarsi passare senza animadversione, massimamente dopo che un tal punto fu ripetutamente raccomandato al Sig. Superiore dell'Oratorio. Converrà adunque che ella stessa dia a S. E. esposizione del come andò la cosa, e fargliene le scuse.

 

                Con tutta la stima mi dichiaro,

                di V. S. molta rev,

 

                Torino, il 15 luglio 1876.

Devot.mo Servitore

T. Can. Chiuso, Segretario.

 

b) Lettera di Mons. Manacorda al medesimo.

 

                Caris.mo ed Ill.mo Sig. Direttore,

 

                Non si preoccupi dei dispiaceri che mi si possono procurare in conseguenza della Festa di S. Luigi della quale io godo assai anche al presente. Se N. N. che a mo' di Vulcano erutta senza posa, mi scriverà risponderò, mandandolo a scuola di diritto canonico. Gli ricorderò il Tridentino, Bonifazio VIII, Paolo V, Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIV. Trattato De Sacrificio Missae. De Synodo Dioecesana e Bullario. Più il Commentario del Cardinale di Pietra Super. Constitut. Urbani V, ecc.

 

                E basti per non allungarmi in citazioni incontestabili, atte a provare che il Vescovo può innalzare altari e celebrare in qualunque Diocesi senza che petere eius rei veniam ab Episcopo locali teneatur; così rispose la Congregazione del Concilio e così stabilì Clemente XI. His enim casibus licita erit iis (Episcopis) erectio Altaris ad effectum praedictae celebrationis non secus ac in domo propriae ordinariae habitationis. E così avrei fatto io, se non avessi trovato già eretto l'altare in Valsalice.

 

                Nel mio particolare io avrei potuto anche pontificare, senza tema di violate i diritti altrui, chè in un congresso di Vescovi reciprocamente ci siamo autorizzati a pontificare, funzionare, ecc., liberamente in ciascuna Diocesi appartenente ai presenti.

 

                Come mai è caduto in basso il criterio Vescovile! Che puerilità di sentimenti! Solo il liberalismo è capace di tanto. Pazienza!

 

                Stia di buon animo, mio caro; se mi arriverà qualche lettera, gli scriverò una lezione di diritto canonico. Per lei poi non avvi pericolo di sospensione nella Chiesa della Congregazione, non essendo ciò in potere del Vescovo, se prima non fa precedere certe formalità prescritte, ecc. [682] La riverisco e saluto di vero cuore, con tutti i suoi compagni e giovani preghi per me, e mi creda tutto suo in Gesù Cristo

 

                Fossano, li 17 luglio 1876.

 

+ Emiliano Vescovo

 

                PS. Le sarei obbligato se mi mandasse la lettera paternale di cui mi parla.

 

41.

 

Esercizi spirituali per signori Professori e Maestri.

 

                Non pochi rispettabili Professori e Maestri di scuola hanno più volte manifestato desiderio di fare alcuni giorni di spirituali esercizi; ma ciò non poterono effettuare a motivo del laborioso e continuo loro uffizio, che lungo l'anno li tiene occupati. Fu pertanto giudicato opportuno scegliere il tempo delle vacanze per soddisfare a questo sentito bisogno con apposita muta di spirituali esercizi nel Collegio Convitto di Lanzo. Lo spazioso edifizio, la salubrità del clima fanno sperare che a tutti tornerà amena questa dimora. Cominceranno al 7 e termineranno il 12 del p. settembre. Chi volesse prendervi parte ed approfittare della Ferrovia Torino-Ciriè avrebbe qualche agevolezza, e la partenza sarebbe pel convoglio delle 8.30 mattino di quel giorno.

 

                Coloro che desiderassero corrispondere a questo invito sono pregati di trasmettere nome, cognome e dimora con lettera al sottoscritto, affinchè per tempo si possano dare gli opportuni provvedimenti.

 

                Torino, 1874.

Sac. Gio. Bosco.

 

42.

 

Professioni religiose in tutto il 1876[245].

(Da una nota d'archivio).

 

a) Voti triennali.

 

                24 gennaio (Varazze). - 1. Ch. Perucca Giacomo.  2. Coad. Riboldi Giovanni.

 

                17 settembre (Lanzo). - 3. Ch. Zemo Domenico. - 4. Ch. Biancardi Augusto. - 5. Ch. Toselli Felice. - 6. Ch. Varvello Francesco. -

                7. Ch. Ghigliotti Giuseppe. - 8. Ch. Depaoli Alberto. - 9. Ch. Calvi Eusebio. - 10. Ch. Ronza Domenico. - 11. Ch. Ozella Giuliano. - 12. Ch. Pioton Alberto. - 13-. Ch. Passera Ferdinando, [683] 14. Ch. Perrona Paolo. - 15. Ch. Orlandi Luigi. - 16. Ch. Peloso Cesare.

 

                27 settembre (Lanzo). - 18. Ch. Fiocchi Gabriele. - 19. Ch. Arena Francesco. - 20. Ch. Gio. Batt. Gerini. - 21. Ch. Foglino Michele. - 22. Ch. Paseri G. B. - 23. Ch. Torchio Andrea. - 24. Ch. Fumagalli Serafino. - 25. Ch. Giovannetti Michele.  26. Ch. Dellavalle Luigi.  27. Penna Prospero. 28. Coad. Pasquale Francesco. - 29. Coad. Rossi Amilcare. - 30. Coad. Corradi Antonio. - 31. Coad. Pavoni Arnaldo.  32. Coad. Noceti Raffaele. - 33. Coad. Tibaldi Giuseppe.  34. Coad. Lidovani Leone. - 35. Coad. Barberis Giovanni.

 

                25 dicembre (Torino). - 36. Ch. Galletti Antonio. - 37- Ch. Beoletto Giuseppe.

 

b) Voti perpetui.

 

                7 gennaio (Varazze). - 1. Ch. Bensi Giovanni.

 

                28 gennaio (Torino). - 2. Ch. Vota Michele. - 3. Ch. Oberti Ernesto.

 

                30 gennaio (Torino). - 4. Ch. Veronesi Mosè

 

                8 febbraio (Mornese). - 5. Ch. Fassio Michele.

 

                2 settembre (Borgo S. Martino). - 6. Ch. Pavia Giuseppe.

 

                17 settembre (Lanzo). - 7. Ch. Turco Giovanni. - 8. Ch. Cagliero Cesare. - 9. Ch. F. S. - 10. Ch. Calliano Tommaso. - 11. Ch. Pane Carlo. - 12. Ch. Farina Luigi.  13. Ch. Rabagliati Evasio.  14. Ch. Giordano Lorenzo. - 15. Ch. Giordano Agostino. - 16. Ch. Rinaldi Giovanni. - 17. Ch. Ghione Anacleto. - 18. Ch. Giacomuzzi Biagio. - 19. Ch. Fantini Stefano. - 20. Ch. Ghigliotto Francesco. - 21. Ch. Cerruti Cesare. - 22. Ch. Deppert Luigi. - 23. Coad. Dogliani Giuseppe. - 24. Coad. Roggero Antonio. - 25. Coad. Giacardi Giacomo. - 26. Coad. Rossi Giuseppe 2°.

 

                26 settembre (Lanzo). - 27. Ch. Cinzano Giovanni. - 28. Ch. Arnerio Secondo.

 

                27 settembre (Lanzo). - 29. Ch. Rizzo Emilio. - 30. Ch, Becchio Carlo.  3 1. Ch. Torti Luigi.  32. Ch. Grosso Gio. Batt. 33- Ch. Roffredo Francesco.  34. Ch. Daniele Raimondo. - 35. Ch. Scavini Spirito. - 36. Ch. Arata G. B. - 37. Ch. Stra Giuseppe, - 38. Coad. Mondone Bartolomeo. - 39. Coad. Falco Luigi. - 40. Coad. Bologna Luigi. - 41. Coad. Frascarolo Francesco. - 42. Coad. Bassino Giuseppe. - 43. Coad. Viola Giuseppe. - 44. Coad. Palestrino Domenico. - 45. Coad. Martino Gio. Batt. - 46. Coad, Caprioglio Felice [poi Sac.].

 

                6 ottobre (Lanzo). - 47. Sac. Vota Domenico. - 48. Sac. Burlot Maria Stefano. - 49. Ch. Bianchi Giovanni. - 50. Ch. Grigio Vincenzo. - .51. Ch. Trio-ne Stefano. - 52. Ch. Lago Angelo.

 

                25 dicembre (Torino). - 53. Sac. Vespignani Giuseppe. -  [684] 54. Sac. Cappelletti Cesare. - 55. Sac. Tonella Giovanni Battista. - 56. Sac. Porani Alessandro. - 57. Ch. Quirino Camillo.

 

                31 dicembre (Lanzo). - 58. Coad. Juli Giovanni.

 

43.

 

Lettera di Mons. Fratejacci a Don Bosco.

 

                Ven.mo e Car.mo D. Bosco.

 

                Scrivo subito e in tutta fretta, sembrandomi troppo importante per Lei l'oggetto per cui scrivo, e urgente troppo il bisogno di dargliene la notizia, e di averne io poi la manifestazione della di Lei volontà, o per trattare subito l'affare, che ora prendo ad esporle, o per abbandonarlo.

 

                Ecco di che cosa trattasi. Incontrai per caso il Signor Sigismondi, e mi notiziò con mio piacere, che il S. Padre aveva posto a di Lei disposizione la Chiesa di S. Bonosa in Trastevere, vicinissima alle mie orfanelle della casa di S. Giuseppe sulla piazza di S. Rufina, e che ora necessita d'acquistare un qualche locale annesso o vicino a quella Chiesa. Se non vi vuole altro, io franco gli risposi, fate conto che il locale è già pronto, basta a me l'animo di trovarlo subito, e a modo. Mi posi tosto in moto, e rivolgendomi al Signor Principe Forti, primario fra i  possidenti delle Case in Trastevere, e uno dei deputati della pia casa di S. Giuseppe, da me presieduta, a Lui manifestai con impegno tutto questo affare e lo interessai a darmi mano per riuscire nell'intento. Mi sorrise il Signor Pippo alle parole da me pronunciate,. e dopo breve silenzio:  Ella, mi disse, è stata ispirata da Dio a parlarmi oggi di  questo affare, perchè sappia, che due ore fa stava per effettuarsi un affitto dei locali che posseggo accanto a S. Bonosa, e non ho voluto contrattare col Signor Cagiati, perchè io voleva affittarli tutti, ed egli ne voleva una parte. Sappia. che il Municipio di Roma non avendo potuto direttamente da me, perchè non voglio contrattarci, smania per avere tutti questi locali vasti, che posseggo qui attorno, ed ora ha promesso 20.000 lire di senseria a un certo Signor Peretti, se gli riesce di ottenerli per via indiretta. Sappia in fine che il Governo stesso aveva in vista di aprire in questa località un vasto Ospedale per l'uso specialmente d'un Sifilicomio e avrebbe offerta una ricca pigione, per liberarsi di tanti milioni, che gli costa il Sifilicomio di Temi, ove si spediscono da Roma i malati; ma io non ho voluto mai sapere di questi interessi, nè li cerco. La proposta che Ella mi fa di cedere i detti locali a favore di D. Bosco per l'apertura d'una casa d'educazione pei figli del popolo, di cui tanto abbisogna questa popolatissima contrada di Trastevere, è una proposta, io dico, [685] ispirata da Dio, e confaciente in tutto ai desiderii miei, e di tutta la mia famiglia. A riguardo di D. Bosco io non cerco interessi, gli mostrerò il libro d'amministrazione, egli vedrà quanto è l'affitto, benchè tenue, che ho percetto a tutt'oggi da questi locali, e che ora potrei far salire a cifra molto maggiore, ed egli pagherà quello soltanto, nè un soldo di più. Se poi volesse D. Bosco anche comperare tutti i locali, io a di lui riguardo sono dispostissimo a tutto, in vista del bene grande che da ciò può derivare a questa parte di Roma tanto rilevante e pure tanto poco coltivata, e perciò tanto bisognosa di coltura cristiana e civile.

                Animato io da sì buona accoglienza fatta alla mia proposta, chiesi al Signor Pippo in grazia di osservare insieme con lui i locali in discorso. Prendemmo adunque l'appuntamento e alla dimane fummo insieme a S. Bonosa. Questa chiesetta è attigua da una parte ad una casa di Forti compresa fra i locali che le si cederebbero in affitto; ma del resto non vi è che una strada di mezzo fra la chiesa di S. Bonosa e il gruppo di locali di cui trattasi. Con un piccolo arco di congitilizione sarebbe bell'e fatta l'unione tra la chiesa e il resto.

 

                Questi locali, così oggi denominansi perchè destinati magazzini per uso del commercio sono nientemeno che storici, perchè furono già la residenza della nobilissima, e un tempo potente famiglia Anguillara. Costituiscono come quasi un castello tutto a sè, avente a destra a poca distanza la riva del Tevere, a manca la via della Lungaretta, all'Est il palazzo Feroci, anch'essa proprietà del Signor Forti, e all'Ovest la chiesa di S. Agata, e casa dei padri Dottrinari. Campeggia in mezzo, ed è parte dei locali la bella torre Anguillara, fedele custode del nome de' suoi nobili padroni, sulla quale salirono e imperatori, e re, e regine, e principi assai, quando il buon Cavaliere Giuseppe Forti di b. m. vi apprestava lo spettacolo veramente bello, e degno di Roma, del S. Presepio, nella circostanza del S. Natale. Sulla cima di questa torre le lontane montagne, i castelli romani la vista stessa d'una parte di Roma e del letto tortuoso del biondo Tevere, accompagnato dalla scena principale abilmente architettatavi del mistero della nascita di Gesù, dei pastori che lo venerarono, degli Angioli che accorrono dal cielo, della grotta di Betlemme, delle pecorelle elle l'attorniano strette fra le reti, erano qualche cosa non terreno, ma divino e imparadisavano l'animo degli spettatori.

 

                Osservai i detti locali, e vidi ciò che io non avrei mai aspettato in quel luogo di Roma, che non ha affatto sembianza esterna di tanta capacità. Ella immagini un solo dei saloni, ora detti magazzini, che incontrai nel primo o secondo piano della Torre Anguillara è capace di contenere settecento rubbia di grano!

 

                Eppoi che altezza dei soffitti, che solidità di travi, di fabbricato. Le mura larghe a mo' di fortezze. Sono sette, se io non erro, questi saloni che diconsi magazzini che sebbene non tutti della grandezza [686] simile al sopra descritto, sono però ampii abbastanza, e nati fatti allo scopo d'una casa d'educazione, perchè offrono le divisioni belle e fatte per le varie classi degli allievi, e per le scuole diverse d'insegnamento.

 

                Le varie case attorno alla chiesetta di S. Bonosa, forse ora troppo piccola all'uso di numerosa scolaresca, tornerebbero a proposito per ingrandire la stessa Chiesa a suo tempo. Le varie botteghe ora affittate sulla via principale della Lungaretta, riunite con una semplice apertura interna, sembrano un laboratorio fatto apposta per allogarvi gli artigianelli delle varie arti colla rispettiva separazione dell'uno dall'altro mestiere. In fine io credo, se mal non mi appongo, che un locale sì atto al di Lei scopo, sì ampio, e alle condizioni favorevoli, con cui potrebbe ottenersi ora questo, (data la concessione fattagli dal S. Padre della chiesa di S. Bonosa) che segnala il luogo preciso, in cui la Provvidenza, a benefizio di quell'immenso popolo di Trastevere, vuole che si fondi in Roma il di Lei santo Istituto, non sia possibile rinvenirlo nè immaginarlo soltanto, massime nelle attuali circostanze, e nel costo presente delle pigioni. Qui potrebbe vedersi in alto un Collegio almeno di cento chierici tutti benne allogati, senza, dipendenza alcuna dalle più centinaia di artigianelli e studenti che sarebbero anch'essi bene allogati in altri locali indipendenti affatto dal Collegio Ecclesiastico. E un deposito brillante della sua libreria venale non potrebbe qui farsi con tanta comodità? E una tipografia nei tanti locali terreni che vi sono disponibili! In fine qui .Ella avrebbe un castello, già illustre dai suoi fondatori, gli storici Anguillara, che per di Lei opera diverrebbe presto coll'aiuto di Dio una delle fortezze della Chiesa, uno dei baluardi del prossimo Vaticano, e noi vedremmo D. Bosco che dall'alto della Torre da Generale d'armata, da Castellano comanda tutto il presidio, e combatte e vince, e fa sventolare sulla stessa torre le bandiere tolte dopo il combattimento dei vinti nemici. Non lascio, a compimento di questa qualunque relazione, che dalle fabbriche circostanti alla torre che formano l'assieme di questa specie di castello e la sponda nel Tevere, non v'è di mezzo che un giardino, proprietà d'un piccolo possidente, e che con somma facilità potrebbe a tempo e luogo acquistarsi; e avere così un locale al tutto isolato dalla Via principale, ch' è il corso di Trastevere, la Lungaretta, fino alla destra sponda del Tevere.

 

                Io era sul punto di pormi in un vagone, e in tutta fretta correre a Torino per parlarle a proposito su questo affare, tanto lo credo importante al di Lei scopo, ed utile, sotto tutti i rapporti. Ma la mia salute tanto affievolita, e molte altre delicate riflessioni, ch'Ella stessa non saprebbe disapprovare, purchè le conoscesse, me ne hanno dissuaso. Nel partito però, che adottai di scriverle la presente, volli a dì Lei maggiore cognizione di causa, che il Signor Pippo Forti mi copiasse dal suo libro mastro in un foglio il numero dei locali uniti, di cui trattasi, il nome, l'ubicazione, e il saggio attuale d'affitto, al [687] quale solo saggio sarebbero cedute a di Lei favore. L'affitto sarebbe durevole a 10 a 20. a 30 anni, quant'Ella vuole. Essendo tutti questi fondi enfiteutici di diretto dominio di S. Eufemia, pio luogo dipendente dalla S. Sede, sarebbe facilissimo affiancarli ossia averli in dono dal Papa, e colla casa Forti oggi enfiteuta sarebbe facile a comporsi. Questo foglio redatto dal Signor Pippo io l'accludo alla presente, e quando Le piacesse aver sott'occhio il disegno ossia la pianta di tutti i detti locali, ad un suo cenno sarebbe fatta appositamente e spedita alla di Lei direzione o forse lo stesso Signor Pippo o il fratello Camillo si recherebbe in Torino a presentarcela.

 

                Interessa però sommamente, ch'Ella voglia aver la bontà di dirmi in genere sulla proposta un sì o un no, e questo sì o no netto, e prontamente, lasciando poi di trattare con comodo le particolarità. Perciocchè il Signor Forti ha troncato le trattative per l'affitto, specialmente de' magazzini o granai, che in questo mese si rinnovano, a solo di Lei riguardo, ed Ella nè io vorremmo che restassero poi i suoi locali vuoti, ed egli ne avesse il lucro cessante per tutto l'anno. Mi basta il monosillabo sì o no anche per telegrafo.

 

                Io non ho saputo nè potuto fare di più in pro dell'Istituto de' buoni Salesiani che vorrei vedere presto in Roma. Non ho saputo adempiere meglio dal lato mio il desiderio anche Suo, a me più volte esternato, e che perciò è mio egualmente.

 

                Ella gradisca il mio animo la mia vera stima, riconoscenza ed affezione. Non mi defraudi di prontissima risposta, e coi saluti miei, del Signor Forti, di Agnesina, comuni al Professore Durando e a tutti, mi creda tutto suo

 

                Roma, 14 settembre 1876.

Obbl.mo Aff.mo Vic.

Gb.a Canonico Fratejacci

 

44.

 

Per Ariccia e Albano.

 

a) Lettere del principe Chigi a Don Bosco.

 

                Rever.mo Signore Preg.mo,

 

                Sono continuamente pressato dal Municipio di Ariccia, il quale ha vivo desiderio di condurre innanzi le pratiche per i Maestri, dei quali ebbi l'onore di parlarle qui in Roma ed io non posso esimermi dal dovere che mi incombe di rivolgermi alla S. V. onde procurare di combinare definitivamente ciò che ritengo sarebbe sommo bene per la popolazione del sopra nominato paesetto. Ottenutasi l'approvazione dal Provveditore degli studi del licenziamento degli attuali [688] insegnanti, il Municipio avrebbe necessità di conoscere i nomi ed i titoli, oltre le legali patenti, dei Maestri che la S. V. potrebbe destinare ad assumere l'istruzione nelle scuole comunali Ariccine. Il sindaco ritiene esser necessario presentare al Consiglio e quindi alla Prefettura i nomi degli insegnanti che verrebbero fissati ed anche i requisiti dei quali sono forniti: quindi fa istanza per conoscerli.

 

                Devo poi aggiungere che il Municipio pel momento, dico pel momento giacchè in seguito potrebbe migliorarsi la condizione, non può garantire stipendio maggiore di lire 1320 all'anno per amendue i Maestri. A queste lire 1320 forse potrà aggiungersi una straordinaria gratificazione di lire 200; però tale gratificazione è incerta. Totale lire 1520. Si darebbe poi l'alloggio e la libera uffiziatura della Chiesa annessa.

 

                Qualora Ella credesse poter sistemare due sacerdoti i quali pel momento viverebbero con l'onorario sopra enunciato e con la celebrazione di Messe, farebbe opera di somma carità. Nell'anno prossimo poi 1877 o si stipulerebbe al Municipio altro contratto più equo e più corrispondente ai bisogni degli insegnanti, ovvero questi, sperimentata la difficoltà di rimanere in Ariccia colle attuali condizioni, potrebbero abbandonare l'istruzione colà.

 

                Oso pregarla a volersi compiacere dì darmi risposta su tale argomento per me e per il Municipio assai importante.

 

                Il Marchese Patrizi mi assicurò l'altro giorno aver parlato allo zio Cardinale per S. Giovanni della Pigna, ma mi aggiunse che quantunque S. E. fosse molto propenso ad effettuare il di Lei progetto, non si era ancora concretato nulla che meritasse di essere alla S. V. riferito, però sperava bene, e le ne avrebbe scritto.

 

                Il Principe Lancellotti poi mi fece sperare che la piccola Chiesa a Ponte Rotto in Trastevere edificata da Sisto IV, ma della quale ignoro il titolo sarebbe facilmente disponibile. Se Ella crede, che faccia per questa ulteriori indagini, sarò lieto di poterla servire. Con sensi di profondo ossequio, rispettosa stima ed alta considerazione, raccomandomi alle di lei valide preghiere: ho l'onore di dichiararmi

 

                Roma, 31 maggio 1876.

 

Umilis.mo Devot.mo Servo

Mario Chigi.

 

                Illustris.mo Riveritissimo Signore,

 

                La ringrazio della cortese risposta data alla mia nella sua pregiatissima del 4 Giugno, e delle buone intenzioni che gentilmente Ella mostra, di voler coadiuvare l'istruzione cristiana in Ariccia.

 

                Comunicai colà le giuste sue osservazioni e considerazioni e ricevei in replica la lettera, che qui acchiudo, onde la S. V. ne prenda esatta notizia; e si compiaccia poi dirmi se può accudire alle manifestate [689] brame di far conoscere i nomi dei maestri che potrebbe aver disponibili. Da Lancellotti non mi riesce ancora d'aver una definitiva risposta e categorica circa la nota chiesuola.

 

                Solo ho potuto sapere, che annessa a questa non vi è abitazione di sorte alcuna. Peraltro esiste dalla parte opposta della strada e precisamente incontro alla porta della chiesa stessa, una casa semi diruta, la quale, avendo mezzi, potrebbe forse acquistarsi, e riattarsi poi allo scopo.

 

                Sono dolente di non poter dire nulla di più preciso e categorico .sul soggetto delle scuole e su quello della Chiesa: ma come fare? Non dipende da me togliere le incertezze ed i dubbi e le difficoltà esistenti.

 

                Raccomandomi alle di lei preghiere, e pregandola a gradire l'espressione dei sentimenti di mia alta e rispettosa stima, ossequio e considerazione, ho l'onore di dichiararmi

 

                Della S. V.

 

                Roma, 10 Giugno 1876.

 

Devot.mo Umilis.mo Servo

Mario Chigi.

 

                Pregiatis.mo Reverendo Signore,

 

                La ringrazio infinitamente per la gentilezza sua e per le Patenti di Maestri in quella contenute.

 

                Queste sono venute proprio opportunamente, poichè fra pochissimi giorni terremo adunanza consiliare del Municipio, onde concludere quel che avrà a farsi riguardo ai nuovi insegnanti. Spero che la maggioranza, di buone intenzioni, terrà fermo e non si lascerà trascinare da perniciose influenze. Appena strette le trattative, se come spero potranno istringersi, mi darò premura di spedirle le Patenti gentilmente inviatemi.

 

                Ora oso farle ancora una preghiera: di volermi dire se in Piemonte e nella Liguria si permette ai Municipi dalle autorità scolastiche governative di fare contratti per tre o sei anni con la S. V. per avere un numero fisso di Maestri, che è in di lei facoltà di sostituire a piacere durante il tempo del contratto. Ovvero se è richiesto dalla legge che il Municipio riconosca tassativamente il Maestro A. o X. individui particolari, speciali i quali debbono essere riconosciuti legalmente per contratto, e rimanere inamovibili durante il tempo.

 

                Se si potesse, il Municipio di qui amerebbe riconoscere Lei come impresario (mi perdoni il termine) di Maestri per anni sei.

 

                Della Chiesetta in Roma al Ponterotto nulla può concludersi. La casa diruta da me accennata appartiene al Municipio, e non v'è da calcolarvi. Però in Trastevere vi sarebbe la Chiesa di Santa Bonosa situata nel cuore dei Rione, il più travagliato dalla Setta, ed abitato esclusivamente quasi da gente di classe infima. Aderente alla Chiesa vi sarebbe anche abitazione. [690] Il tutto dipendeva da una Confraternita, la quale ora è disciolta: quindi Chiesa e casa annessa sono sotto l'immediata autorità e dipendenza del Cardinale Vicario. Temo siamo nel caso di S. Giovanni della Pigna. Comunque proverò far parlare a S. Eminenza dal di lui nipote e mio amico Patrizi, e per l'una e per l'altra. Avrei molto desiderio di vedere stabiliti in Roma i Sacerdoti di S. Francesco di Sales. Ma... pur troppo certi affari da noi non vanno facilmente nè speditamente.

 

                La prego rammentarsi di me e mia famiglia nelle sue orazioni, e gradire l'espressione dei sentimenti di profondo rispetto, alta stima, e considerazione, coi quali mi professo,

 

                Della S. V.

 

                Ariccia presso Albano Laziale, 24 Giugno 1876.

 

Umilis.mo Dev.mo Obblig.mo Servo

Mario Chigi.

 

b) Lettera di Mons. Latoni e Don Bosco.

 

                Molto Reverendo Signore,

 

                Fu già portato a cognizione della S. V. Molto Reverenda che il Municipio d'Ariccia, Diocesi di Albano, abbia scelto alcuni sacerdoti del di Lei benemerito Istituto, a Maestri di quel comune. A tale comunicazione la lodata S. V. accettando in genere la proposta, osservò:

 

                1° Che per regola dell'istituto non poteva mandare meno di sei, mentre per l'Ariccia si richiedono tre individui soltanto;

 

                2° Che il locale destinato a riceverli appartenendo ai PP. Dottrinari, ed uno di essi tuttora abitandovi con la qualità di Rettore della Chiesa annessa, gli era impossibile accettare senza che prima fosse rimossa tale difficoltà.

 

                Era adunque il caso di fare rispettoso appello a Sua Beatitudine, onde con la suprema Sua Autorità si degnasse, se il giudicasse opportuno, rimuovere le difficoltà suddette.

 

                Il S. Padre, cui sta tanto a cuore la sana istruzione della gioventù, si è degnato derogare per questa volta alla ricordata regola dei di Lei istituto, e perciò autorizza la S. V. Molto Reverenda a mandare solo tre individui o maestri alla terra di Ariccia; ha preso poi le opportune provvidenze perchè quei tre Salesiani siano soli ad abitare il Collegio già dei PP. Dottrinari: e mi ha ordinato di dame, nell'augusto suo nome partecipazione alla prelodata S. V. perchè con tutta sollecitudine si compiaccia aderire ai desideri degli Ariccini, e per essi del Signor Principe di Campagnano D. Mario Chigi. Conosce il S. Padre il disegno dell'Eminentissimo Signor Card. Di Pietro, di avere cioè di Lei Sacerdoti in Albano per accorrere anche ai bisogni [691] della vicinissima Ariccia; ma Sua Beatitudine, checchè possa stabilirsi in appresso, brama, anzi vuole che intanto sia provveduto alle domande degli Ariccini nel modo suindicato.

 

                Esaurito l'incarico di cui Sua Santità si è degnata onorarmi non mi resta che rassegnarle la mia devotissima servitù in attenzione del cortese riscontro.

 

                Di V. S. M. Rev.

 

                Roma, via de Sediari, No 93 - 22 Agosto 1876.

 

Devotissimo Servitore

Vescovo Francesco Latoni

Uditore di Sua Santità.

 

c) Lettera del Card. Di Pietro a Don Bosco.

 

                Illustre e Reverendo Signore,

 

                La Signora Principessa di Campagnano mi disse che aveva richiesto alla S. V. Rev.ma due Soggetti patentati per le scuole elementari di Ariccia. Cosiffatta notizia conduce oggi anche me a rivolgermi a Lei per provvedere ad una parte d'istruzione della gioventù di Albano Laziale, sede del mio Vescovado. Si debbono ivi stabilire le scuole ginnasiali dove dovrebbero accorrere e gli alunni del mio Seminario e gli estranei; per lo che occorrerebbero almeno due Maestri patentati. Laonde pregherei la sua cortesia di deputare qui in Roma persona di sua fiducia per entrare con i Sindaci locali, con me, in preliminari trattative per tale bisogno. A qui ad osservarsi che Albano ed Ariccia sono molto prossimi tra loro perchè divisi da un ponte. di guisa che riuscirebbe molto agevole far dimorare i Sig. Maestri di ambidue i luoghi in un medesimo locale.

 

                Attendo di esser favorito d'un suo riscontro in proposito, mentre mi pregio raffermarmi con tutta stima

 

                Di S. V. I. R.

 

                Roma, 12 Agosto 1876.

Dev.mo Servitore

C. Cardinale Di Pietro

Vesc. di Albano.

 

45.

 

Lettera di Don Daghero a Don Bosco.

 

                M. Rev. Signor D. Bosco,

 

                Faccio il desiderio della S. V. M. Reverenda, scrivendole appena tornato dall'udienza del S.to Padre.

 

                Alla stazione non trovammo persona di conoscenza, e però ricorremmo al signor Sigismondi, che fatte le prime accoglienze, ci condusse [692] all'albergo per refezione, giacchè gli arrivammo improvvisi. D. Sala alloggiò presso di Lui, quei d'Ariccia in casa di quel Signore Innominato che frequenta la famiglia Sigismondi, e noi due dal Segretario del Cardinale Bilio; al quale ci presentammo la sera stessa verso l'Ave Maria, anche improvvisi ma aspettati.

 

                Fu tracontento; parlò molto della Congregazione, de' bisogni della sua diocesi e delle speranze che poneva in noi. Quanto è mai buono!

 

                Oggi era molto occupato, e ci condusse nella sua vettura in Vaticano, dove ci consegnò al suo Decano per farei visitare qualche cosa mentre egli si recava in congregazione. Dove parlò col Cardinale Chigi degli Ariccini. Verso le 11 e 30 il Decano ci conduceva nell'anticamera del Papa, ed a mezzodì Sua Eminenza il Card. Bilio ci andava ad annunziare, recando a Sua Santità la lettera di V. S. M. Reverenda.

 

                Il Santo Padre accompagnato dai Card. Bilio e Mertel con altri Prelati passava da noi verso le 12 e 35 minuti. Entrando:“t Oh! ecco D. Bosco” disse; e ad uno ad uno indirizzò qualche parola di amorevole conforto, mentre gli baciavamo il Piede. Non sì potè parlargli in particolare; spiegava per noi ogni cosa il nostro protettore Card. Bilio. Infine disse: - Benedico voi tutti, i vostri, la Congregazione ed i vostri scolari nell'Opera che imprendete, colle croci e medaglie che recate con voi. - E passò in altra sala benedicendo.

 

                Il buon Cardinale ci condusse per le sale pontificie, e nella propria vettura a casa sua, dove ci attendeva il pranzo.

 

                Alle 2 partono quei di Ariccia, e noi giovedì per Magliano, dove siamo già annunziati. Dopo pranzo il Cardinale stesso ci condurrà a S. Paolo.

 

                Da Ariccia D. Sala scriverà, ed io con più agio, quanto prima.

 

                Con distintissima stima ed affetto

 

                Roma, 31 Ottobre 18.76.

suo aff.mo figlio

Sac. Giuseppe Daghero

 

46.

 

Lettera dei Card. Bilio a Don Bosco.

 

                Caro e Rev.mo D. Bosco,

 

                Profittando dell'occasione che mi offre il ritorno del novello sacerdote D. Faà di Bruno, rispondo sebbene un po' tardi all'ultima sua pregiatissima ed ho il piacere di annunziarle che il S. Padre lietissimo della nuova spedizione di Missionarii Salesiani a Buenos Ayres, ha accolta ben volentieri e senza difficoltà la sua dimanda, consegnandomi, per essere rimesse a Lei, cinquemila lire (lire 5000) [693] che Ella poi mi dirà come debba farle pervenire. La somma, quantunque molto inferiore a quel che le occorre per la spedizione di 2 3 Missionarii, è tuttavia assai notabile, avuto riguardo alle immense spese, di cui al presente più che mai trovasi aggravato il S. Padre.

 

                A questa offerta però ha voluto il S. Padre aggiungere una condizione; la quale, mentre dimostra la grande stima che Egli ha di Lei, e la fiducia che in Lei ripone, le riuscirà, spero, anche più grata dell'offerta medesima.

 

                Ecco di che si tratta. Abbiamo in Roma l'Istituto dei Concettini, fondato non è molti anni, per assistere gli infermi nel grande ospedale di Santo Spirito, come le suore di Carità assistono le inferme Questo Istituto, che già possiede una bella casa fabbricata appositamente dal Santo Padre fin dal suo nascere, fu diretto dai Cappuccini. Or questi non sembrando troppo adatti a siffatta direzione, e l'Istituto abbisognando di migliore sistemazione, il S. Padre ha pensato che l'uomo da ciò sia appunto D. Bosco. Quindi mi ha ordinato di scriverle, che Gli farà cosa gratissima, se Ella piglia quanto prima tale incarico, o venendo Ella stessa per pochi giorni a Roma o mandando qualche soggetto capace della sua Congregazione: e sorridendo soggiunse: “Se viene D. Bosco, ditegli che io gli pagherò le spese del viaggio”. Colle quali parole ha chiaramente manifestato il desiderio della sua personale venuta. Io per me aggiungerò solo che questa mi sembra una bellissima occasione di stabilire una casa di Salesiani a Roma. La prego poi di darmi, se può, una sollecita risposta per informarne Sua Santità.

 

                E i due insegnanti per Magliano? Fino dal dì 20 del mese spirante scrissi al Prof. D. Celestino Durando. Poi non seppi più altro. Che la mia lettera sia andata smarrita o che sia nata qualche difficoltà alla partenza dei Maestri?

 

                Mi raccomandi alla divina Misericordia e mi creda nei SS. CC. di Gesù e di Maria

 

                Roma, 29 Ottobre 1876.

 

Suo affez.mo in G. C.

Luigi Card. Bilio Vescovo di Sabina.

 

                Rev.mo D. Gio. Bosco

                Sup. Gen. dei Salesiani

                Torino.

 

41.

 

Vecchia lettera di un Cappuccino a Don Bosco sui Concettini.

 

                Molto Rev.do Padre, Padrone Colendissimo,

 

                Con mio sommo piacere ho udito che Vostra Signoria Molto Rev.da abbia fondato un Pio Stabilimento per istruirvi i giovani specialmente [694] poveri ed orfani e così allevare alla società, ed alla nostra santa religione individui in ogni maniera utili e Cristiani. Me ne congratulo veramente di cuore, e la prego in pari tempo a voler allevare e presentare anche a me di coteste buone piante, affin di porle in un giardino tanto utile e necessario a tutta l'umanità, di cui son presto ad aggiornarla, onde l'arricchiscano di ottime frutta di sante virtù, e specialmente di carità.

 

                Sono ormai sette anni da che in questo Venerabile Archiospedale sorse sotto gli augustissimi auspicii del felicemente regnante sommo Pontefice Pio IX una nuova Congregazione di fratelli Ospedalieri chiamati Concettini, cioè figli di Maria SS. Immacolata e Terziari di S. Francesco d'Assisi. Essi già hanno ricevuto il Breve di collaudazione dalla stessa prelodata Sua Santità. L'abito loro e cappuccio sono del tutto simili a quei de' Cappuccini colla sola differenza di un colletto, perchè non portano barba, e dei colore che è turchino: portano anche ne' piedi semplici sandali, ma chiusi al di dietro. E' loro assolutamente vietato aspirare al Sacerdozio, mentre pel loro Padre Direttore penserà sempre il Rev.mo P. Generale de' Cappuccini, sotto la cui protezione sono affidati, e da cui i loro Superiori immediatamente dipendono specialmente nello spirito e regolare disciplina. Fanno due anni di Noviziato, e poi i voti semplici di Povertà Ubbidienza Castità ed Ospitalità fino ai dodici anni; e quindi solenni se piacerà al Sommo Pontefice. La loro vita è perfettamente comune; e lo scopo principale, d'inservire e di assistere i poveri infermi in qualunque malattia quantunque contagiosa; e prodigare ai medesimi tutti gli ufficii di carità, anche i più vili, ributtanti ed onerosi. Que' Fratelli poi che o per mancanza d'infermi negli ospedali, o per motivo di respirare alquanto un po' d'aria migliore non prestassero l'opera loro agli ammalati sono sempre obbligati al lavoro, non esclusa la coltivazione della terra, quando ne avranno; ed esercitarsi in altre arti e mestieri, secondo l'inclinazione ed abilità di ciascuno onde procacciarsi il loro necessario vitto e vestito ed essere il meno possibile di aggravio agli ospedali da loro serviti. Quando poi potessero vivere colla propria industria e fatiche, non che con elargizioni di pii Benefattori non solo sarebbero obbligati a servire senza niuna temporale retribuzione, ma più impiegare il superfluo al loro necessario mantenimento a vantaggio degli ospedali medesimi, od in altre opere di carità. Per la Reazione a detto Istituto, come in tutti gli altri ordini regolari si richiedono le fedi di battesimo, cresima, stato libero e di buoni costumi, senza tassa alcuna pecuniaria; è però in libertà del giovane portare quella somma, che può ed a lui piace, la quale, perseverando, sarà incorporata nella Comunità; e viceversa gli sarà restituita, ecc.

 

                Da quanto le ho detto sinora, senza dilungarmi di vantaggio ed elogiare un tale Istituto, V. S. M. Rev.da ben vede quanto esso debba [695] essere caro a Dio, ed a Maria SS. e quanto utile e necessario all'egra languente umanità. Le donne si hanno nelle loro infermità abbondantemente provveduto alle donne medesime... Ma i poveri uomini senza un Istituto di tal fatta sarebbero negli Ospedali sempre abbandonati a vili mercenarii che altra premura d'ordinario non hanno che il proprio interesse, arrischiando per questo spesse volte la vita stessa dei poveri infermi a danno e rovina di non poche famiglie...

 

                Il fine di questa mia lettera l'ha Ella bene compreso; perciò le ripeto, che se in cotesto pio stabilimento vi fossero giovani di buona volontà per la sullodata opera di Dio e che fossero di complessione sana e robusta (il che è necessario), o che fossero nello stabilimento della Santa Memoria del Cottolengo, od altrove, mi farebbe un gran regalo presentandomene. L'età richiesta per detto Istituto è dai 18 ai 28 anni.

 

                La sua carità adunque cocentissima verso Dio e gli uomini son certo che farà di tutto per presentarmi ottimi giovani. In attesa pertanto de' suoi favori la riverisco di cuore e con pienezza di stima ho l'onore di segnarmi

 

                Roma, Ospedale di S. Spirito in Sassia, 9 Marzo 1864.

 

Suo, Um.mo Dev.mo Servo

Padre F. Angelo M. Dal Tufo Cappuccino

Direttore dei fratelli Ospedalieri Concettini.

 

48.

 

Lettera di Don Lasagna a Don Bosco.

 

                Veneratissimo Padre,

 

                Non ebbi cuore di scriverle prima, per non comunicarle inutilmente le nostre ansietà ed i nostri imbarazzi, ma adesso che le cose sono assestate, sento il bisogno di confidare al suo cuore paterno quanto ci avvenne da Genova a Bordeaux, per averne quei consigli e conforti che siamo avvezzi da tanti anni di attingere dal suo labbro. Quando noi dieci ricevemmo la sua benedizione là nella sala della stazione di S. Pier d'Arena, il nostro coraggio parve accrescersi, ravvalorarsi; ma quando il convoglio ci staccò dal suo fianco, o amatissimo Padre, e ci portava lontano, lontano, e forse per sempre da Lei allora si rimase mesti e silenziosi per più ore, lagrimando ciascuno la sfogo del dolore, non per la partenza, che era desiderata e deliberata da lungo tempo, sibbene per la separazione da colui che da tanti anni era nostro padre amoroso, e che forse non avremmo più riveduto su questa terra.

 

                Facemmo breve sosta nel Collegio di Alassio, dove parecchi di [696] noi avevano amici, allievi e superiori. Ma quando i Miei allievi, con tutta la scolaresca del Collegio, raccoltisi in una sala, si diedero a cantare inni e componimenti diversi, allora chi può ridire la commozione che si impossessò di tutti i cuori colà presenti?

 

                A Nizza raggiungemmo i fratelli, che ci precedettero col console Commendatore Gazzolo. Fu allora che mi avvidi di un errore, le cui conseguenze tentai invano di scongiurare; poichè quivi mi accorsi dalle carte consegnatemi che il bastimento non partiva ai 20 come ci avevano assicurato, ma al 18 di novembre. Spedimmo incontanente due telegrammi: uno all'agente del bastimento e l'altro al console argentino in Bordeaux affinchè, se fosse possibile, ci avessero ottenuto dilazione di poche ore alla partenza del battello. Ma quando ponevamo piede in città era ancora caldo il cannone che aveva dato il segnale della partenza ai viaggiatori del Poitou, gran bastimento che doveva trasportarci nelle lontane Americhe.

 

                Il caso era serio assai, e, senza però sgomentarci, preso consiglio dalla necessità, ho immediatamente portata la sua commendatizia al Cardinale Donnet, Arcivescovo di quella Diocesi; ma egli era assente. Siccome avremmo dovuto dimorare quindici giorni in una locanda di una città sconosciuta, mi era balenata l'idea di risalire immediatamente la ferrovia, e correre difilato a Lisbona per terra a fine di prevenire l'arrivo del bastimento e colà imbarcarci. Ma, ponderando il prezzo di quella corsa, lo vidi di gran lunga superiore al denaro che possedeva, quindi ci rassegnammo a fermarci a Bordeaux fino ai due di dicembre. L'Em.mo Cardinale Donnet essendo assente, io non sapeva nè che fare, nè a chi rivolgermi per avere onesta dimora compatibile alle nostre finanze. Ma viva la nostra santa cattolica religione, la cui carità risplende nei suoi seguaci in tutto il mondo! Fu Dio che ci mandò un angelo guidatore, come già lo aveva mandato all'incerto Tobia.

 

                E’ costui uno svelto e nobile giovinotto di Bologna, che a noi si presentò come un angelo consolatore. Entrò egli all'Hotel de Toulouse, e, come se fossimo stati intimi amici, e con mille cordialissime gentilezze si professò pronto ad ogni nostro bisogno, ad ogni nostro cenno. Che Dio lo benedica questo generoso e prode cattolico. Col suo aiuto potemmo trovare asilo per tutti; i preti ed i chierici in Seminario, i coadiutori dai Carmelitani e Passionisti, e tutti siamo trattati con una cortesia e carità che altamente onora il clero ed i cittadini bordigalesi.

 

                Ometto molti fatti, accennando solo alle cose principalissime. Dirigono il gran Seminario nove Padri di San Sulpizio, Congregazione fondata in Francia dal Padre Olier che si occupa unicamente nella educazione del clero. Noi fummo meravigliati dell'eccellente metodo che hanno questi buoni superiori nell'educare e dirigere i chierici. Essi hanno pure il sistema preventivo, come noi; vivono sempre in [697] mezzo ai loro allievi. L'amorevolezza, la sollecitudine, l'assistenza continua ne sono le basi. I chierici poi hanno un esteriore grave, affabile, congiunto ad una signorile educazione.

 

                Sono in numero di 104. In ricreazione ci accerchiano, come farebbero i nostri giovani dell'Oratorio, e pendono delle ore dal nostro labbro, facendosi dire e ridire le cento volte la storia della nostra Congregazione, e quello che si sforzano di fare i Salesiani, il modo con cui avviano la gioventù alla pietà, alla scienza, e più d'uno manifestò il desiderio d'essere salesiano. Si mostrano pure avidissimi di quanto riguarda il Santo Padre, e siccome non potrebbero tutti udire uno solo, essi attorniano i nostri preti e chierici, e li sforzano a far loro racconti in latino, per poterli viemmeglio intendere. Ed è bello vedere qua e là gruppi serrati di chierici dove in uno si parla francese, in uno latino in un altro italiano o spagnuolo.

 

                Il superiore dei Carmelitani non solo ha carità ma fino venerazione pei poveri Salesiani; venne qui al gran Seminario per invitarci tutti a pranzo con lui venerdì scorso, festa del loro Patrono e fondatore, San Giovanni della Croce, e volle ad ogni patto che celebrassimo alla presenza del Vescovo e di molti personaggi.

 

                Ho ottenuto finalmente dall'agente Davis di poter celebrare la Santa Messa sul bastimento

 

                Qui in Seminario viviamo come all'Oratorio in vera comunità, cori orazioni, Messa, meditazione tutti insieme. Siccome la notizia di separarci dagli altri nostri Confratelli giunse tardi, non avemmo più il tempo a portare con noi il corredo già collocato a bordo del Savoie in Genova, e perciò eravamo in penuria d'ogni cosa. Ma, appena si seppe delle nostre privazioni in Bordeaux, molte anime caritatevoli s'impegnarono per noi, ed in un momento signore e signori, chierici e preti ci provvidero pianete, camici, crocifissi, tovaglie, pietra Sacra, messale, ecc.; tutto, tutto, fino le ostie ed una cassa di eccellentissimo vino per la celebrazione del divin Sacrifizio è per nostro speciale bisogno. Non sono sufficienti le parole per esprimere l'immensa nostra gratitudine a tali benefattori.

 

                Oh! se mai potesse vedere di presenza che entusiasmo si è svegliato per noi poveri missionari! I chierici paiono come elettrizzati, e, se potessero diserterebbero dal Seminario per fuggire a Torino od in America sotto le ali di un San Francesco di Sales, che è il Santo più venerato in Francia.

 

                Domani, due dicembre, prenderemo imbarco alla volta dell'America. Siamo tutti pieni di entusiasmo. lo solo sono alquanto sopra pensiero, perchè ricevo notizie in questo momento che sulla costa d' Inghilterra avvennero parecchi naufragi, e che l'Atlantico si mostra alquanto minaccioso anche alla costa della Spagna e del Portogallo.

 

                Ci mettiamo tutti nelle mani della Provvidenza Divina; preghi [698] per noi; e, se mai non potessimo più vederci in terra, faccia Dio di poterci trovare raccolti insieme in quel beato regno, dove si godono tutti i beni. Così sia.

 

                Bordeaux, Dicembre 1876.

 

Affezionatissimo figlio

Sac. Luigi Lasagna.

 

49.

 

Lettera di Mons. Vera a Don Bosco.

 

                Rdo. P. Superior de los PP. Salesianos

 

                Al arribo de los PP. Salesianos a esta Capital de Montevideo me han entregado la carta de V. R. de que fueron portadores. Doi a V. R. las más espresivas gracias por los conceptos que contiene esta carta y tenga la seguridad de haber prestado un servicio importante a este país ordenando la partida de dichos religiosos Hijos de V. R. para que se establecean en él. La casa que poseen es de un porvenir consolador: será un germen de preciosos frutos, maxime estando distinguida, en gran manera honrada con el nombre de Nro. Smo. Padre Pio IX. Este nombre, que lleva anexas las bendiciones del Cielo hará más seguros los ventajosos resultados para la religión y la sociedad que todos esperamos de esta naciente Obra. Ruego V. R. me tenga presente ante Dios.

 

                Enero, 13 del '877.

Jacinto Obispo de Megara

Vico. Apco.

 

50.

 

Indirizzi della popolazione di Cassine.

 

                a) Indirizzo al “Secolo” di Milano

 

                I sottoscritti residenti nel Comune di Cassine, profondamente indegnati per le maligne insinuazioni contenute in una corrispondenza anonima testè inserta nel Giornale Il Secolo di Milano, colla quale si tenderebbe a falsare l'opinione pubblica liberamente pronunciatasi in favore dell'erezione d'un Collegio maschile sotto la direzione di quell'eminente filantropo che è il Molto Rev. Sacerdote D. Bosco, ravvisano opportuno di protestare, siccome colla presente sottoscrizione protestano, contro il falso grido d'allarme lanciato dall'anonimo corrispondente, e di affermare in pari tempo pubblicamente e nella più ampia forma l'universale vivissimo desiderio di vedere finalmente [699] coronata di felice successo la secolare aspirazione della popolazione di Cassine, la quale conscia degli immensi vantaggi morali ed economici che seco trae l'impianto d'un Collegio in paese, ne ha costantemente vagheggiata e propugnata l'idea.

 

                A solenne smentita degli erronei apprezzamenti fatti dall'anonimo articolista, e per dimostrare al Molto Reverendo D. Bosco quali siano i veri sentimenti da cui è animata questa popolazione, verrà al medesimo trasmessa per originale la presente sottoscrizione unitamente ad un indirizzo, nel quale si faranno vivi eccitamenti onde siano appagati i voti di questa popolazione.

 

                Questa, o Cassinesi, sia pure la risposta al troppo zelante apostolo dell'avvenire, il quale essendosi coperto col velo dell'anonimo, ben merita d'essere coperto a sua volta dell'universale disprezzo.

 

                Cassine, 11 Luglio 1876.

 

                b) Indirizzo a Don Bosco.

 

                               Ill.mo e Rev.mo Sig. D. Bosco, Torino.

 

                La popolazione di Cassine vivamente commossa all'annunzio che si stia maturando il progetto di erigere sii queste amene pendici un Istituto di educazione per la gioventù, sotto la direzione e patronato della S. V. Reverendissima, desiderando di esprimere al Generoso ed Illustre Benefattore la propria riconoscenza pel fausto avvenimento, offre alla S. V. Reverendissima quale pegno di imperitura riconoscenza ed a testimonianza dei sentimenti ond'è animata, questo indirizzo coperto da un ragguardevole numero di firme, nella lusinga che ciò possa efficacemente contribuire ad incoraggiare la S. V. Reverendissima a mandare ad effetto il concepito divisamento.

 

                Osano pertanto i sottoscritti sperare di non essere delusi nella loro aspettativa, ben sapendo come oggigiorno l'istruzione e l'educazione siano i precipui fattori del progresso e della civiltà dei popoli.

 

                Cassine, 15 Agosto 1876.

 

                c) Lettera di accompagnamento.

 

                Ill.mo e Rev. Sig. D. Bosco,

 

                D'incarico di mio padre ho l'onore di trasmettere alla S. V. Reverendissima l'unito indirizzo coperto da buon numero di firme allestite in fretta, per dimostrate alla S. V. quanto vivamente sia desiderato l'impianto del Collegio che la S. V. ha in animo di stabilire nel nostro paese. Mi valgo della opportunità che il Signor Arrigo, Professore di Musica ed organista della parrocchia di S. Carlo, si reca [700] in seno alla propria famiglia per farle tenere in modo più sicuro tale indirizzo, mentre io colgo l'occasione favorevole per riprotestarle l'omaggio della mia più alta stima e particolare devozione con cui mi pregio raffermarmi

 

                Di V. S. Rev.ma

 

Devotissimo Ubbidientissimo Servo

Dottore Lorenzo Peveroti

Medico Chirurgo.

 

                d) Lettera a firma di Don Bosco.

 

                Chiarissimo Sig. Dottore,

 

                Assai difficilmente posso esprimere la profonda commozione che la sua lettera e la sottoscrizione dei generosi Cassinesi cagionarono nell'animo mio. Io che ho consacrato tutta la mia vita al bene della gioventù, persuaso che dalla sana educazione di essa dipende la felicità :della nazione; io che mi sento in certo modo trascinato ovunque possa anche poco giovare a questa porzione eletta della civile società, non aveva certamente bisogno di sì nobile eccitamento.

 

                Ora rispondo a V. S. Chiarissima, e per mezzo di V. S. Chiarissima, rispondo a tutti i benemeriti sottoscrittori e a tutti i benevoli Cassinesi, che niente risparmierò, affinchè i comuni desideri siano appagati; e nutro viva fiducia che il progetto sarà tradotto in opera.

 

                Nel locale già visitato, proprietà dei Signori Buzzi, si presentano due difficoltà: l'area ristretta pei cortili interni, e il prezzo alquanto elevato che fissò uno dei periti. Alla prima si spera di provvedere coi buoni uffizi che un pio personaggio scrisse ad una caritatevole signora padrona di un sito latistante. Giova pure sperare che la seconda difficoltà possa essere appianata, tenendosi alla perizia del Dottore Ingegnere Avv. Spezia. Mentre si trattano queste cose io La prego di essermi cortese e manifestare i più vivi sentimenti di gratitudine a tutti i Cassinesi pel prezioso, anzi incomparabile regalo che mi hanno fatto, colla manifestazione dei loro generosi pensieri, di cui porterò in cuor mio gratitudine incancellabile.

 

                Mentre poi prego Dio che a tutti conceda vita felice, reputo a grande onore potermi professare con pienezza di stima

 

                Di V. S, Chiar.ma

 

                Torino 6 Settembre 1876.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco. [701]

 

51.

 

                Lettera dei Card. Simeoni a Don Bosco.

 

                Ill.mo Signore,

 

                Alle congratulazioni direttemi dalla S. V. Ill.ma, per la mia promozione a Segretario di Stato di Sua Santità ed agli augurii che mi ha indirizzato per le imminenti SS. Feste Natalizie di buon grado corrispondo col porgerle sincerissime azioni di grazie.

 

                Per sostenere a maggior possibile vantaggio della Chiesa e della S. Sede il difficile incarico affidatomi, sento il bisogno di una speciale assistenza delle grazie Divine ed ho fiducia che anche la S. V. vorrà colle sue preghiere impetrarmele dal Signore.

 

                Le esprimo intanto tutto il mio gradimento pel cortese ufficio che meco volle praticare e formando anch'io voti per ogni sua felicità, le confermo i sensi della mia distinta stima

 

                Di V. S. Ill.ma

 

                Roma, 29 dicembre 1876.

 

Aff.mo per servirla

Gio. Card. Simeoni.

 

52.

 

MISCELLANEA.

 

                a) Due lettere a Don Pavia, ancora giovane operaio[246].

 

                Car.mo Pavia,

 

                Ho ricevuto la lettera che mi hai scritto e ti ringrazio della buona memoria che conservi di noi. Fatti animo; fatti ricco; ma ricordati che la prima ricchezza e la sola vera ricchezza è il santo timore di Dio.

 

                Sii attento a' tuoi doveri, abbi confidenza a' tuoi padroni, amali e rispettali.

 

                Lavoriamo pel paradiso.

 

                Il Signore ci conservi sempre nella via della virtù, prega per me e credimi tutto tuo

 

                Torino, 29 gennaio 1860.

 

Sac. Bosco G. [702]

 

                Car.mo Pavia,

 

                Tutto bene come hai fatto: Piuttosto qualunque fatica e qualunque patimento che dar mano a chi offende il Signore. Continua ad associarti coi buoni, fuggi i dissipati che fanno cattivi discorsi.

 

                Di' a tuoi compagni che io li amo molto nel Signore; ogni mattino raccomanderà te ed essi al Signore, affinchè esso vi dia la sanità e la sua Santa grazia.

 

                Se tu o qualcheduno d'essi venisse a Torino, venga pure con noi per mangiare e dormire, e intanto ci parleremo anche delle cose dell'anima.

 

                Procura di dare in proprie mani, se puoi, la lettera ivi unita. Riguarda ad un giovane di buona volontà; parlagli e fattelo amico e ne sarai contento. Non dimenticherò l'affare che mi raccomandi. Dio benedica te e i tuoi compagni e credimi tuo sempre di cuore

 

                Torino, 13 luglio 1863.

 

Vostro aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                b) A Don Giacomo Costamagna[247].

 

                Mio caro D. Costamagna,

 

                Piacquero i tuoi auguri, la tua lettera e le espressioni in essa contenute.

 

                Di' al Ch. Campi, Scavini, Vigna, Cravero n. n. Maestro, che non ho più nissuno, che facciano miracoli, e perciò ho bisogno che eglino stessi comincino ad operarne almeno qualcheduno. Ben inteso che l'opera deve cominciare da te.

 

                Non dubitate che non vi dimentichi nella S. Messa; voi siete veramente gaudium meum et corona mea. Io vi porto la più grande affezione e farò sempre quel che posso per vostro bene. Cominciamo in mezzo alle difficoltà; ma siate certi che coll'aiuto di Dio supereremo tutto.

 

                Darai l'unita lettera alle Suore, l'altra al Sig. Traverso.

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Serviamo il Signore con allegria e aiutiamoci colla pazienza, colla preghiera. Amen.

 

                Vi sono in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Ringrazia D. Costamagna e le Suore per l'uva che mi hanno inviato. Era eccellente e ne feci tanti piccoli regali. [703]

 

                c) Alla Marchese Passati.

 

                Stimabil.ma Sig. Marchesa,

 

                Mi rincrescerebbe troppo che V. S. venisse a Torino in tempo di mia assenza, che è dal 18 al 30 agosto. Da questo giorno al 19 settembre, a Dio piacendo, sono qui in famiglia. Se mai Ella dovesse scegliere altro tempo, me lo dica e troverò modo che possiamo almeno trovar tempo da poterci parlare.

 

                Spero che questo mio scritto La troverà. in buona salute ed io prego Dio di tutto cuore che gliela conservi a lunghi anni di vita felice, mentre mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, professandomi con gratitudine e stima grande

 

                Della S. V. Rispett.ma

 

                Torino, 14 agosto 1875.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Se ha occasione, farebbemi cosa grata offrendo i miei rispettosi ossequi al Sig. Cav. Biondi.

 

                d) A un agente delle tasse.

 

                Ill.mo Sig. Agente delle tasse di Villanuova d'Asti,

 

                Sono alcuni anni che i miei parenti a mia insaputa pagano una imposta a mio conto, sopra un fabbricato civile in Murialdo, Borgata di Castelnuovo d'Asti, come è notato nel modello qui unito.

 

                Siccome io non ho mai posseduto, nè presentemente posseggo alcun fabbricato civile in cotesto paese, e quel po' di rustico, negli anni passati abitato da me qualche giorno, è stato fabbricato da mio fratello defunto e quindi proprietà de' suoi figli; così io La prego:

 

                1° Di cancellare dai ruoli tale imposta che gravita sopra un ente non esistente e non imponibile;

 

                2° Quindi rimborsare i pagamenti fatti negli anni trascorsi secondo i ruoli di cotesto ufficio mandamentale.

 

                Unisco un francobollo pel caso di risposta, ed ho l'onore di professarmi

 

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 13 gennaio 1876.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco. [704]

 

                e) Due lettere al Dott. Giovanni Mazzolti Chiari.

 

                Carissimo Sig. Dottore,

 

                Ringrazio il Signore che abbia inspirato in V. S. l'idea di una biblioteca circolante. Non può aversi cosa migliore nei tempi in cui il male si esordisce, si promuove colla stampa.

 

                La difficoltà maggiore è già messa in luce da V. S. Come formarla? di quali persone?, di quali libri?

 

                Dirò il mio debole parere.

 

                Il Comitato sia di persone cattoliche, o che almeno appaiono tali; nè siano state compromesse in faccia le autorità civili od ecclesiastiche.

 

                I libri poi e i giornali non siano nè immorali nè irreligiosi ovvero non sieno all'indice dei libri proibiti dalla Chiesa, nè per regola generale nè per condanna particolare.

 

                Ben di buon grado io le farò pervenire qualunque libro sia nella nostra libreria. Dal catalogo, che le unisco, può averne notizia. In quanto poi ai prezzi non dubiti che avrà speciali agevolezze.

 

                Benedico l'occasione che mi mette in relazione con un uomo cotanto rispettabile, quale è la S. V. Chiaris.ma; me le offro di tutto cuore in cosa che io valga a servirla e pregando Dio a conservarla in buona sanità ed in grazia sua con tutta la sua famiglia, mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi professo

 

                Della S. V. Chiaris.ma

                1° Febbraio 1876.

Umile Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Carissimo Sig. Dottore,

 

                Ho meditato attentamente la sua lettera e le dico coram Domino che se foss'io nel caso accennato mi emanciperei dal comitato di cui è parola. I fiumi ingrossano sempre facendo corso; e quegli articoli che potrebbero avere buona interpretazione da uomo buon cristiano, se la potrà sperare nel caso presente?

 

                Cercherei di promuovere non più un comitato, ma una semplice associazione per la diffusione di buoni libri; farà meno ma si fa come deve farsi e con coscienza. Anzi in questo modo sarebbe separato il lolio dal buon frumento.

 

                Io sarò sempre lieto di poterla giovare in queste sante sue imprese; l'aiuto del cielo non mancherà.

 

                Raccomando me e la mia famiglia di 8000 giovanetti alla carità delle sue preghiere e mi professo con fraterna affezione in G. C.

 

                Torino, 8-2-1876.

 

Umile Servitore

Sac. Giov. Bosco. [705]

 

                f) A Don Pietro Pozzan (Treviso).

 

                Car.mo nel Signore,

 

                Rinnovo quanto già vi dissi di presenza. Andate avanti nello stato ecclesiastico, cui Dio vi chiama. Ma ricordatevi che moltiplicando i consiglieri, moltiplicate i vostri fastidi. Se avete occasione, salutate ed ossequiate Mons. vostro Vescovo.

 

                Dio vi benedica e pregate per me che vi sono in G. C.

 

                Varazze, 8, 3, 76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Non dimenticate la diffusione delle Lett. Catt..

 

                g) Due lettere all'ing. E. Campanella (Genova).

 

                Carissimo Sig. Ingegnere,

 

                Ho interpellato l'avv. Alessio sul noto argomento che come persona di molta pietà ed onestà non esagera certamente cosa alcuna. Egli mi scrive la lettera che credo bene rimettere in sue mani per sua norma.

 

                Io sarò sempre lieto di poterlo servire in qualche cosa, e prego Dio la ricompensi della carità che ci usa in tanti modi.

 

                Preghi anche per me che le sarò sempre in G. C.

                Torino, 2 agosto 1876.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Sotto ai portici dell'Ospizio di Sampierdarena si modificò alquanto il collocamento degli usci, perchè in più arcate si fanno finestre che agevolano l'entrata della luce e forse diminuiscono anche la spesa.

 

                C.mo Sig. Ingegnere,

 

                Oggi soltanto mi è possibile di avere una risposta definitiva dal Cav. Comaschi. Gliela comunico per mio scarico.

 

                Ho altra cosa in vista che entro pochi giorni potrò manifestarle.

 

                Professo tutta la gratitudine pel tanto bene che mi fa. Dio la rimeriti e mi creda in G. C.

 

                Torino, 5-6-76.

 

Sac. G. Bosco. [706]

 

                h) Al Rev. Marco Petitti (Torino).

 

                Car.mo nel Signore,

 

                Mi rincresce che le molte mie occupazioni mi tolgano il tempo a rispondere ai bei quesiti che mi fa; me ne dia compatimento. Le noto solo che colla gente volgare ed ignorante bisogna compatire molto e contentarsi di poco. 1 suoi quesiti sono sciolti da se medesimi, ovvero dalle risposte che aggiunge. Così mi pare.

 

                Dio la benedica e preghi per questo poverello che Le sarà sempre in G. C.

 

                Lanzo, 26 sett. 1876.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                i) Due lettere a Don Rua.

 

                Car.mo D. Rua,

 

                Se avvi qualche cosa di speciale mandalo a Nizza a tutto Lunedì; io ci andrò dimani. Lunedì mattino vado in Acqui donde ritornerà la sera. Martedì a sera, a Dio piacendo farò ritorno ad Lares. Se però troverà qualche cosa da raccogliere, differirò fino a Mercoledì[248].

 

                Qualche cosa ho già raccolto non quanto vorresti tu. Amami nel Signore e credimi in G. C.

 

                Vignale, 6-10-76.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Car.mo D. Rua,

 

                A Dio piacendo domani alle 7,50 di sera sarà a Torino. Se ti trovi alla stazione potremo dirci qualche cosa.

 

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

                Nizza, 18 ott. 76.

 

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

[707]

 

                l) A N. N.

 

                Fili mi,

 

                Nemo ponens manum ad aratrum et respiciens retro aptus est regno Dei. At tu vis retro respicere? Minime sane. Perge quo coepisti; mane in vocatione qua vocatus es. Nostras constitutiones observa, atque eas ad praxim traduc diligenter, et gratia Domini adiuvabit omnibus diebus vitae tuae. Amen.

 

                Ora pro me. Vale in Domino.

 

                Taurini, 29 novembris 1876.

 

Amicus J. Bosco Sac.

 

                m) Due lettere e Mons. Gastaldi.

 

                Eccellenza Rev.ma,

 

                L'antica Cappella, dedicata a S. Luigi Gonzaga presso al Viale del Re, nel 1847, minacciando rovina, si è procurato più conveniente locale nel terreno e nell'edifizio vicino, dove sembra che si possano fare le sacre funzioni, almeno finché siasi potuto effettuare il progetto della Chiesa di S. Giovanni Evangelista.

 

                Affinchè ogni cosa sia eseguita secondo le prescrizioni di Santa Chiesa, il sottoscritto supplica V. E. Rev.ma a voler delegare quella persona, che a lei sembri benvisa, perchè venga a visitare l'edifizio, verificare lo stato delle cose e benedire la nuova Cappella, che la Domenica prossima dovrà surrogare quella dell'attuale Oratorio festivo a favore dei poveri fanciulli di quel quartiere della città di Torino.

 

                Che della grazia

 

                Torino; 15 Marzo 1876.

 

L'umile esponente

Sac. Gio. Bosco.

 

                Concedimus quae in hac charta petuntur et delegamus Oratorem ad visitationem perficiendam.

 

                Taurini, 15 martii 1876.

 

+ Laurentius Arch.pus.

 

                Eccellenza Rev.ma,

 

                Ricevo da Roma l'unita lettera in una busta senza altro scritto, e mi fo premura di trasmetterla alla E. V. Rev.ma

 

                Ne ignoro affatto lo scopo, nè so da quale sacra Congregazione [708] provenga; se però vi fosse qualche cosa che mi riguardasse La prego di farmelo significare.

 

                Colla massima venerazione ho l'onore di professarmi

                Della E. V. Rev,ma

 

                Torino, 9 Dicembre 1876.

 

Umile Servitore

Sac. Gio, Bosco.

 

                n) A N. N. dell'Oratorio.

 

                Mandami tostamente un programma dell'Opera di Maria Aus. col Decreto, o meglio col Breve Pontificio. Saluta Marchisio e digli che stia allegro, che si faccia buono. Ho ricevuto le storie e ne farò distribuzione.

 

                Saluta tutti e ciau. In N. S. G. C. vi sarò sempre

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 



[1] De Servorum Dei Beatificatione, e. XL

[2] Summa theol., p. III, tit. 12, c. 8, § 1

[3] Esercizio di perfezione ecc., p. I, tr. VIII, C. 4,

[4] Cfr. vol. XI, pp. 290-291

[5] Vol. XI, pp. 508-518

[6] Forse allude scherzevolmente a De orat., II, 67-68, dove si discorre di certi motti, con cui gli uomini di spirito dissimulano il vero; ma Cicerone in più luoghi riprova il mentire

[7] Lettera a Don Francesco Dalmazzo, Torino, 21 luglio 1880.

[8] Cfr. vol. XI, c. III

[9] Lettera di Mons. Fratejacci a Don Bosco, 16 gennaio 1876. Non sappiamo per qual capriccio del compilatore, i Sacerdoti Salesiani vi furono detti Preti Salesiani, diversamente da quello che gli si era scritto

[10] Lettera di Mons. Fratejacci a Don BOSCO, 24 dicembre 1875

[11] Regio Provveditore agli studi per la Provincia di Torino. Da studente conobbe Don Bosco nel 1840 (LEMOYNE, Mem., Biogr., vol. 1, pag. 501).

[12] Lett. cit. di mons. Fratejacci

[13] Cfr. vol. XI, c. XXI

[14] Cfr. vol. XI, pag. 129

[15] Era il coadiutore Giovanni Antonio Ferraris, libraio

[16] In calce al Catalogo del 1875 si legge questa nota: “ Pel buon andamento della Congregazione, per conservare l'unità di spirito e seguire l'esempio degli altri istituti religiosi è fissato un direttore o confessore stabile per quelli che appartengono alla Società. In Torino: sac. Giovanni Bosco, supplente sac. Michele Rua. Nelle altre case: il Direttore di ciascuna di esse, supplenti il prefetto, ecc. ”

[17] Nell'Oratorio, i giovani usciti da cena, andavano gli uni in cortile, altri da maestri appositi per un po' di ripetizione alla buona, altri a scuola di canto. Siccome non si mettevano in fila, ci voleva un certo tempo prima che le due ultime categorie si radunassero, il che obbligava ad abbreviare la lezione, perchè all'ora stabilita bisognava smettere. Alla ripetizione partecipavano i più tardigradi.

[18] Can. 530, § I

[19] Cfr. Vol.. XI, c. IV

[20] Lemoyne, Mem. biogr., vol. V, pag. 696

[21] Cfr. vol. XI, pp. 144-5

[22] Il giornale El Catolico Argentino nel numero del 25 dicembre aveva un articolo intitolato“o El presbitero D. Juan Cagliero ”, nel quale si leggeva: “ El domingo pasado predicó en la iglesia Mater Misericordiae este distinguido sacerdote, superior de los Salesianos llegados últimamente de Europa...; es un elocuente orador, de palabra fácil, enérgica y persuasiva. El tema de su discurso fué la benéfica influencia de la religión en el individuo en la familia y en los pueblos y probó así mismo que el catolicismo es la fuente ùnica de la civilización y del progreso ”

[23] App., Doc. 1

[24] Avendo potuto trovare una copia di questo primo vecchio programma, stimiamo utile riprodurlo nell'Appendice (Doc. 2)

[25] Più innanzi dice: “ Fagnano è infaticabile, Tomatis intrepido, Cassinis costante, Allavena robusto, Molinari indefesso, Gioia invincibile, Scavini incommovibile nel lavoro scientifico, manuale e religioso ”

[26] Abbé Jean Bosco, La Jeunesse instruite de la pratique de ses devoirs et des exercices de la piété chrétienne, suivie de l'Office de la Sainte Vierge et des Morts. In-32, pag. 511, Turin, 1876

[27] App., Doc. 3

[28] Lett. 15 gennaio 1876

[29] Lett. 25 dicembre 1875

[30] Questo distintissimo giovane, di Camandona bieltese, vestì l'abito chiericale in un istituto di Biella aperto e diretto da un P. Gurgo filippino, per fornire buoni preti alla diocesi. Fatto sacerdote vi rimase come insegnante di ginnasio superiore e vicedirettore. Degno allievo di Don Bosco e squisitamente dotato da natura, condusse vita esemplarissima. Un fiero morbo ne troncò l'esistenza nel fiore dell'età, dopo tre o quattro anni di sacerdozio. Il Beato, che lo amava assai, fece per mezzo di Don Barberis parecchi vani tentativi di fermarlo con altri suoi compagni nella Congregazione

[31] Don Tomatis era di Trinità

[32] App., Doc. 5

[33] Non è da tacere che ancora nel 1896 Teodoro Herzl, nel suo celebre libro L'Etat juif, Essai d'une solution de la question juive, giudicava non inattuabile il disegno di ottenere dalle grandi Potenze per gli Ebrei “ la souveraineté d'un morceau de la surface terrestre en rapport avec leurs légitimes besoins de peuple ” in Palestina o nell'Argentina. (Cfr. Etudes, 5 agosto 1930, p. 328)

[34] Properzio, Eleg. III, 1

[35] Ps. IX, 34

[36] Semaine Religieuse di Nizza, domenica 27 febbraio 1876

[37] App., Doc. 6

[38] Degli Oblati di Maria Vergine (cfr. vol. XI, pag. 524).

[39] Vol., XI, pag. 428

[40] Lettera a Don Bosco, Nizza, 19 marzo 1876

[41] Lettera all'autore di queste Memorie, Nizza, 5 febbraio 1930

[42] Direttore della Libreria dell'Oratorio

[43] Sono le deliberazioni prese nelle conferenze dei Direttori con i membri del Capitolo Superiore. Tali adunanze erano dette anche Capitoli generali

[44] Dell'affare di S. Secondo si dirà nel vol. XIII

[45] Allude alle difficili pratiche per l'erezione della chiesa di San Giovanni Evangelista, come diremo nel volume XIII. Cfr. vol. XI, p. 493 sgg

[46] App., Doc. 7

[47] Cfr. Vol. XI, p. 241

[48] Si dice in Piemonte di chi nell'arte sua è un guastamestieri. La parola si legge staccando l's dal c

[49] A titolo di curiosità, diamo qui l'elenco e i nomi accademici dei Salesiani fatti arcadi con Don Bosco.

 

1. D. Bonetti = Geriseo Temidense.

2. D. Cagliero = Egisco Sponadico.

3. D. Durando = Mirbauro Ascreo.

4. D. Rua = Tindaro Stinfalico.

5. D. Albera = Vatilio Driopeo.

6. D. Lemoyne = Ersindo Geresteo.

7. D. Cerruti = Mirtale Amieleo.

8. D. Dalmazzo = Celauro Grileo.

9. D. Francesia = Nigazio Pirgense.

10. D. Bertello = Podarce Pleuronio.

11. D. Ronchail = Elcippo Corintio.

12. D. Guidazio = Frammente Alfeiano

13. D. Barberis = Melisso Larisseo.

14. D. Tamietti = Nastone Elesio.

15. D. Vota Dom. = Arclaone Eubeo.

16. D. Daghero = Anceo Pallanzio.

17. D. Rossi Fr. = Etilo Ortigio.

18. D. Monateri = Licofonte Macaonio.

19. D. Scappini = Almindo Cidonio.

20. D. Garino = Fidippo Cidonio.

21. D. Borio = Agastene Pelopideo.

[50] Lett. 5 dicembre 1875

[51] Lett. del medesimo, 9 gennaio 1876

[52] Il modo d'esprimersi del segretario indica chiaramente che Don Bosco non gli fece motto del disgustoso precedente. Il Beato di certe cose non diceva a nessuno nulla più dello stretto necessario. Certe frasi però, da lui dettate, dicevano a Don Rua assai più che non sembrino ora esprimere: “ E' volontà del sig. Don Bosco... Ella disponga... Alla sua prudenza il partito da prendersi ”

[53] Cfr. vol. XII, pag. 435

[54] Lettera di D. Durando a D. Rua, 11 aprile 1876

[55] Lett. cit.

[56] Lettera a D. Rua, 18 aprile 1876

[57] Per altre osservazioni su questo discorso, che si presenta qui nella sua integrità ai lettori (App., Doc. 8), ci permettiamo di rimandare al nostro Don Bosco con Dio, P. II, c. VII

[58] Lett. a D. Rua, 15 aprile 1876

[59] Lett. D. Bologna, 20 aprile 1876.

[60] Pio IX leggeva o si faceva leggere quotidianamente le cose più importanti di questo giornale

[61] Si tratta certamente di trovare un Vescovo per i pontificali nella festa di Maria Ausiliatrice

[62] Sorella del teol. Golzio, compagno di seminario del Servo di Dio. Era morta in quei giorni

[63] Esecutore testamentario

[64] E’ la lettera che facciamo seguire a questa

[65] Del Pechenino, stampati nell'Oratorio

[66] Poichè i membri della nobile famiglia De Maistre furono in stretta ' 'relazione col Beato e i loro nomi ricorrono di frequente nella sua corri­spondenza, mettiamo qui la parte dell'albero genealogico che muove dal celebre antenato a tutti noto.

[67] Lettera del Menghini a Don Bosco, 7 febbraio 1876

[68] Lettera 2 aprile 1876

[69] Lettera di Don Durando a Don Rua, 2 maggio 1876

[70] App., Doc. 9

[71] L'originale è presso il teol. Franchelli di Torino

[72] Cfr. vol. XI, pag. 171

[73] Dice la Crusca: “ Questo nome suol darsi in Toscana a quelli Svizzeri che nella stagione dell'inverno ci vengono a esercitare la loro industria di far bruciate, ballotte, pattona, ecc. ”. Viene forse dal tedesco Putzer, chi pulisce e, in origine, spazzacamino

[74] App., Doc. 10

[75] App. Doc. 11

[76] App. Doc. 12

[77] Le cose furono fatte con bella solennità il 15 agosto con cerimonie religiose e accademia pubblica (App., Doc. 23).

[78] I Piemontesi sono detti Bougianèn, gente che non si muove, ossia, che va adagio nelle cose sue ed è seguace del “ chi va piano, va sano e va lontano ”

[79] Zitella anziana che prima con altre andava a rammendare la biancheria nell'Oratorio e che poi passò a convivere con alcune buone donne allogate presso le Suore e occupate negli stessi lavori

[80] Emanuele Dompè, alunno della quinta, resosi poi salesiano. L'indovinello che segue è uno dei soliti mezzi con cui il Beato obbligava a riflettere e preparava gli animi a qualche suo buon consiglio

[81] Vol. XI, pgg. 212-3

[82] Quelle dei Missionari, rimessegli da Don Rua e rimaneggiate liberamente da Don Chiala per il giornale.

[83] Cfr. vol. XI, App., Doc. 6, 7 e 24

[84] G. VESPIGNANI. Un anno alla scuola del Beato Don Bosco (1876-1877), pag. 60 S. Benigno Canavese, Scuola tip. sal., 1930

[85] Termine piemontese, “ mucchi ”

[86] Il termine “selvaggi” qui e altrove è da intendersi cum granulo salis. Non tutti gli aborigeni nè la maggior parte di essi vivevano allo stato selvaggio o erano tuttora infedeli nella Patagonia. Questo spiega come tanto presto si fossero trovati figli di Patagoni che davano speranza di arrivare al sacerdozio

[87] Monsignor Masnini inviò da Casale pochi giorni dopo le sue giustificazioni (App., Doc. 14)

[88] App. Doc. 15

[89] Unità Cattolica, n. 136, 10 giugno 1876

[90] Cfr. vol. XI, pag. 346

[91] Era il cuoco del collegio, buon uomo, per il quale stava bene il piemontesismo (in questo senso) “ zuccotti ” invece di “ zucchette ”. Prima della soppressione degli Ordini religiosi, era stato laico cappuccino. Egli si vantava di saper fare le zucchette in diciassette maniere diverse; ma di questa scienza sembra che abusasse troppo, preparando zucchette, zucchette e sempre zucchette. Onde malumori in tutti e infine una strage notturna, ma pro bono pacis molto bene autorizzata, delle innocenti cucurbitacee. Si comprende da questo l'intenzione di Don Bosco nel complimento indirizzatogli.

[92] Santità, Scienza, Sanità

[93] Si era nella novena di Pentecoste (4 giugno)

[94] Cronaca di D. Barberis (23 maggio): “ Da Borgo S. Martino venne Giulitto a rappresentare il collegio. E’ suddiacono. Mezzo ammalato e stanco troppo dalle molte fatiche, ora è in assoluto riposo forzato per ordine dei medici e potè senza inconvenienti abbandonare il collegio ”.

[95] Cfr. avanti, pag. 296

[96] App., Doc. 16. L'Unità Cattolica nel numero 226 (29 sett.) pubblicava un articolo di un signore israelita, che, fatta la storia del tempio, ne proponeva ai cattolici l'acquisto (App., Doc. 17). Nel cappello all'articolo il giornale scriveva: “Chi giunge la prima volta in Torino resta altamente e dolorosamente sorpreso di vedere la città del Sacramento e della Vergine Consolatrice dominata da una sinagoga di Ebrei, che levasi arditamente al cielo e sembra sfidarlo come la torre di Babele. Ma quella sinagoga, o tempio israelitico, come lo chiamano, è simile al popolo ebraico che non può nè riaversi, nè morire. Da parecchi anni il famoso edifizio è ridotto a quel punto e non si sa come condurlo a compimento. Da ogni parte insorgono ostacoli, e il tempio resta sempre lì e non si può nè finire, nè distruggere ”

[97] App. Doc., 18

[98] Barberis, La Repubblica Argentina e la Patagonia, p. 114. Torino, Tip. Sal. 1877.

[99] Per le onorificenze pontificie.

[100] Don Riccardo Bazzani da Modena, cappellano dell'ospedale di San Nicolás fondato da mons. Ceccarelli, era tornato in Italia da alcuni mesi. Don Bosco sperava che egli e Don Bodrato potessero guidare la nuova spedizione.

[101] Modo faceto usato in Piemonte per “far fagotto, andarsene via”.

[102] Lett. di Gazzolo a D. Cagliero, 13 febbraio '77 e lett. di D. Cagliero a Gazzolo, 20 marzo '77. App., Doc. 19

[103] Scriviamo sulla testimonianza di Don Giuseppe Vespignani, che vi assistette.

[104] App., Doc. 20.

[105] Cfr. vol. XI, p. 146.

[106] Cfr. avanti, pag. 275.

[107] App., Doc. 21.

[108] App., Doc. 22.

[109] App., Doc. 23. Vi si enumera tra le fondazioni anche quella di Dolores, dove si ebbero richieste reiterate nel corso degli anni, ma non si andò mai. Tale fondazione, tanto caldeggiata da più parti, si poteva allora ritenere sicura come se già fosse.

[110] Questo simpatico vegliardo, così caritatevole verso i Salesiani, nutriva una venerazione profonda per Don Bosco, al quale scrisse un'altra lettera latina sul principio di aprile (App., Doc. 24).

[111] Cron. di D. Barberis, 28 marzo '76.

[112] Vol. XI, c. XV.

[113] Ad Alassio era pressochè pronta la casa, sicchè la fondazione si poteva già considerare in atto.

[114] App., Doc. 25.

[115] Vol. XI, pp. 367-9.

[116] App., Doc. 26.

[117] App., Doc. 27.

[118] Lettera a Don Cagliero, 13 ottobre 1876.

[119] Cronaca di Don Barberis, 12 agosto 1876.

[120] App., Doc. 28.

[121] App. Doc. 29.

[122] Osservatore Romano del 9 agosto; Unità Cattolica del 23.

[123] Nel 1876 la Serbia si ribellò alla Turchia. Fu vinta, ma per l'intervento armato della Russia ottenne la sua piena indipendenza (trattato di Berlino, 1878).

[124] Francesco V, ultimo duca di Modena, morì a Vienna il 20 novembre 1875. Signore di grande religiosità, fu sempre devotissimo a Pio IX.

[125] Lett. del card. Bilio a Don Bosco, 29 ottobre '76.

[126] Vol. XI, cc. III e IV.

[127] Il sig. Benitez ringraziava per l'onorificenza pontificia e aveva un cenno notevole ai “proyectos de establecer casas para educación de niñas”, App., Doc. 30.

[128] Allorchè Don Dalfi era in procinto di lasciare la parrocchia di Casanova per andare a Lanzo, Don Bosco gli scrisse:

 

                Mio caro amico,

 

                Va pure avanti nella tua impresa, il collegio è tutto a tua disposizione. Dal mio canto poi, come Bosco tarlato se posso in qualche modo giovarti, sono tutto per te. Spero che di comune accordo potremo fare qualche cosa.

                Godo poi della notizia intorno alla fatta ed accettata proposta; avanti, Dio farà quello che noi non possiamo.

                Vi sono è vero molte spine, ma tu, con tante chiacchiere, non sei buono a prendere il martello della pazienza e confidenza e romperne la punta?

                A rivederci, caro Vicario di Lanzo. Noi siamo tutti per te, ma tu sarai tutto per noi, non è vero? Dio ci benedica tutti e credimi

 

Aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

                Sulla ferrovia, 12 ottobre '76.

[129] Vuol dire tre bravi soggetti.

[130] Cioè le opere. Il termine gli è suggerito dall'opera di La Boca, pocanzi mentovata.

[131] Sott. “tempo”.

[132] Lett. a Don Bosco, 24 ottobre '76.

[133] Della preparazione s'interessava da Roma anche Don Durando, il quale scrisse a Don Rua in data 18 aprile: “ Di' al Prof. Bonora che ho già preparato una bella corona per ciascuno della compagnia comica latina e quindi procuri di andar avanti con coraggio nelle prove del Phasmatonices ”. Abbiamo trovato in una minuta per il biglietto d'invito i nomi degli attori accanto a quelli dei personaggi. Di quei nomi parecchi ci sono ancora familiari; due almeno dei nominati vivono tuttora.

 

DRAMATIS PERSONAE                                                                      AGENT

 

Chremes, pater Callidori                                                                        Secundus Marchisius

                                                                                              IV clans. gymn. alumnus

Callidorus, filius Chremetis                                                                 Albinus Carmagnola

                                                                                              V clans. gymn. alumnus

Simo, Callidori curator                                                                          Ludovicus Figinius

                                                                                              Philosophiae alumnus

Toxilus, servus domesticus ,                                                                 Joseph Carolius

                                                                                              IV class. gymn. alumnus

Saturio, parasitus                                                                                   Carolus Spattinius

                                                                                              V. clans. gymn. alumnus

Thomas Pentorius                                                                                 Mnesilochus et Pamphiiippus Saturionis gnati

                                                                                              IV clans. gymn. alumnus

Jacobus Gresinus                                                                                  V clans. gymh. alumnus

                                                                                              Dordalus, lanista

Joannes Alessius                                                                                   V clans. gymn. alumnus.

 

L'invito era espresso epigraficamente in questi termini:

ΦΑΣΜΑΤΟΝΙΚΗΣ

SEU

LARVARUM VICTOR

ROSINIANA COMOEDIA

PLAUTINO STILO EXARATA

AGETUR

AB ALUMNIS ASCETERII SALESIANI

CALENDIS IUN.

HORA SECUNDA DE MERIDIE

UT ADSIES ROGO

Jo. Bosco Sac.

[134] L'11 giugno, ottava di Pentecoste, era l'ultimo giorno del tempo pasquale. Questa particolarità e l'assistenza del Beato, unite con altre circostanze, c'inducono a formulare l'ipotesi che Don Bosco annunziasse precisamente questa morte nel sogno da lui narrato la sera del 23 gennaio. Non ci consta che egli abbia assistito altri giovani durante il tempo pasquale, nè che in quel periodo siano morti alunni dell'Oratorio. In tale supposizione la data 26 maggio mostratagli dalla guida nel calendario senz'alcun riferimento preciso, potrebbe indicare il giorno della caduta fatale che causò la morte. Infatti, monsignor Federico Callori, prelato alla corte pontificia e figlio del conte Ranieri, senza che nulla sapesse di tale data, ci scrisse dandoci come cosa certa che il giovane sopravvisse circa quindici giorni. Finora però non ci è riuscito di scoprire da documenti in che giorno preciso egli cadde. Chi sa che altri sia di noi più fortunato? Per questa speranza abbiamo creduto di esprimere qui il nostro dubbio, nel quale ci conferma la circostanza che il morto del sogno non istava all'Oratorio.

[135] App., Doc. 31

[136] Cronaca di Don Barberis, 12 agosto '76.

[137] Vol. XI, pgg. 226, 266-9 e 288-9

[138] Mutiamo i tempi dei verbi sulle bozze, perchè Don Picollo cessò di vivere a Roma l’'8 dicembre 1930.

[139] Cfr. sopra, pag. 109

[140] App., Doc. 32

[141] Cron. di Don Barberis, 16 giugno '76.

[142] Sac.Giuseppe Vespignani Un anno alla scuola del Beato Don Bosco, pag. 29-30, S. Benigno Canavese, Tip. Sal. 1930.

[143] C. III, De adhibendis ad consilium fratribus.

[144] Il miglio piemontese era di due chilometri e mezzo.

[145] Se talvolta Don Rua parlò agli interni di presentare a Don Bosco il “ bocchetto ” nel suo onomastico, intese con la stessa frase una cosa diversa, cioè una corona di sante comunioni.

[146] Romano, direttore della casa di noviziato dei Fratelli a Torino.

[147] Troppo tardi ne abbiamo rinvenuto il manoscritto, sicchè non ci fu possibile tenerne conto nel volume undecimo. Il Fabre, già allievo dell'Oratorio, nel suo esordio parlò di Don Bosco in termini tali, che meritano di essere riferiti. Accennato come avesse accolto “ quasi comando il carissimo invito ”, perchè gli si porgeva occasione solenne di trovarsi ancora una volta fra quelle pareti, soggiungeva: “ Inoltre mi sarebbe parsa ingratitudine rusticana negarmi all'invito di Tale che in otto anni continui mi fu pane alla bocca, scuola alla mente, consiglio ne' dubbi, nelle afflizioni conforto, nei trascorsi indulgenza, nella coscienza guida sicura, in tutto sapiente educatore, amico disinteressato, affettuosissimo padre”.

[148] Nel '76 fu il conte Giuseppe Corbetta.

[149] Per più anni si distribuì ai partenti un foglietto doppio, che conteneva alcuni avvisi e una serie di testi sacri. Si veda in App., Doc. 33, dove ripubblichiamo pure la lettera di accompagnamento da presentare ai parroci.

[150] Lettera a Don Cagliero, 14 novembre '76.

[151] F. Giraudi, L'Oratorio di Don Bosco, pag. 131-2. Torino, S. E. I. Nel ‘76 quando si fece l'ultima vendemmia nel sito primitivo, Don Bosco assente mandò a Don Rua una lunga nota di benefattori, ai quali, in ora debita da lui indicata, si portasse con il libretto dei Cooperatori qualche grappolo delle sue viti. (App., Doc. 34)

[152] Fonti precipue di queste notizie su Don Rua sono la precitata operetta di Don Vespignani e una sua relazioncella manoscritta.

[153] Don Rossi Francesco, consigliere scolastico a Lanzo.

[154] Abbiamo narrato questo disgustoso incidente nel capo XXII del volume XI; ma ci siamo dimenticati di fare ivi un'osservazione. La cosa che allora più acerbamente angustiò il Servo di Dio fu il dubbio che motivo

[155] App., Doc. 35 e 36.

[156] Il modo regolare è conquibus o cumquibus, sottinteso nummis e vuoi dire letteralmente “ con quali mezzi, i mezzi coi quali ” fare alcunchè; ma si adopera in senso di “ denari ”.

[157] Si trattava di una fondazione a Trinità, nel circondario di Mondovì. Don Domenico Bruna fu un così esemplare figlio di Don Bosco, che merita una menzione speciale, e la trascriviamo dalla già citata memoria di Don Picollo, il quale lo conobbe assai da vicino. Enumerando le categorie d'uomini che sarebbero stati inutili o sperduti, se non avessero incontrato Don Bosco che li accolse, li formò e li rese buoni a qualche cosa, giunto alla quarta che egli chiama dei “ rifiutati ”, perchè respinti da altri istituti, reca vari esempi notevolissimi, fra cui il men notevole è ancor quello di Don Bruna. Dice di lui: “Cacciato dal seminario di Torino perchè, facendo le scale, saltava più gradini alla volta e perchè pareva troppo grossolano, sotto Don Bosco diventò professore titolato, adorno di larga e soda cultura, gran lavoratore, un modello di virtù. A Randazzo lasciò, morendo, fama di santità ”. Chi scrive, vissutogli ivi a fianco per nove anni, conferma a pieno questa testimonianza.

[158] Vol. XI, pag. 126.

[159] Lett. di P. Enria a G. Buzzetti, Varazze, 22 dicembre 1871

[160] Cioè, di raggiungere la somma di franchi 30.000 per il compromesso.

[161] Allude alla comunicazione contenuta nella lettera. dal Chubut (pag. 259)

[162] App., Doc. 37 e 38.

[163] Allude a eventuali strascichi di disordini avvenuti nelle ultime elezioni comunali per l'urto di contrarie tendenze politiche.

[164] Per la prima, v. App., Doc. 39. L'altra ci è stata irreperibile.

[165] Don Barberis aveva accompagnato a Lanzo gli ascritti che dovevano fra breve terminare il noviziato.

[166] Vedremo più innanzi di che si trattava.

[167] Al Beato D. Bosco. Numero unico del Collegio di Borgo S. Martino nell'anno della Beatificazione, pag. 23. Casale Monf., Unione Tip. Pop. 1930

[168] G. B. Lemoyne, L'Arca dell'alleanza, pag. 77; S. Pier d'Arena, Tip. Sal., 1879. Da questa relazione apprendiamo che il Beato incontrò e benedisse la graziata solo nell'agosto successivo durante una seconda visita a Lu, della quale andata ignoriamo altri particolari.

[169] App., Doc. 40-

[170] Vol. XI, pag. 78

[171] Cfr sopra, pag. 413. Compiliamo la seguente narrazione su giornali di Torino e documenti d’archivio.

[172] V. sopra, pag. 311

[173] Lett. di Don Pietro Botta, prevosto, a Don Bosco, 8 settembre 1876.

[174] Questa biografia uscì in appendice al fascicolo 303, anno 1878, intitolato: Gli ultimi giorni ed ore di Pio IX. Il conte Cays, allora chierico salesiano e studente di teologia, fungeva da segretario presso la direzione delle Letture Cattoliche.

[175] Cron. di Don Barberis, 11 marzo 1876.

[176] Il fratello è Luigi Chiala, scrittore e uomo politico, creato senatore nel 1892. Pubblicò Lettore edite ed inedite di Camillo Cavour. Morì nel 1904. Saputo che si aveva intenzione di pubblicare una biografia di Cesare, non volle. La madre, che aveva promesso di preparare una Vita del figlio, non ne fece nulla. Don Barberis, ampliando un brevissimo cenno datone da lui stesso in La Repubblica Argentina e la Patagonia (fasc. 291-2 delle Letture Cattoliche, anno 1877), dedicò alla memoria di Don Chiala undici paginette del suo Vademecum degli ascritti salesiani, pgg. 126-137 (S, Benigno Canavese, Tip. Sal., 1901).

[177] V. Memorie biografiche, Vol. V, pag. 798

[178] Il cronista non ci riferisce lo svolgimento di questi concetti, che però si possono vedere dichiarati in un'altra conferenza pubblicata nel volume XI, pgg. 578-9.

[179] Questa confessione, che ci ricorda le parole di S. Francesco di Sales sul suo temperamento bilioso e sui vent'anni di sforzi per domarlo, è quanto mai preziosa per valutare la calma abituale del Servo di Dio anche in tempi e occasioni, in cui sembra impossibile mantenere la quiete.

[180] App., Doc. 41.

[181] Nel corso dell'anno 1876 si fecero nei collegi altre quattro professioni triennali e altre diciotto perpetue. Diamo altrove i nomi di tutti (App., Doc. 42). Parecchi vivono ancora; degli estinti non è spenta interamente la memoria.

[182] Lorenzo Bruno, di Murazzano (Cuneo), medico-chirurgo, fondatore delle Colonie Alpine per fanciulli poveri e malaticci (1831-1890).

[183] La fillossera in Italia fu scoperta solo nel 1879; ma in Francia cominciò prima e se ne parlava molto anche da noi, sebbene con inesattezze derivate da conoscenza incompleta.

[184] Lettere di entrambi a Don Bosco, 9 giugno 1876.

[185] Lett. a Don Bosco. Bologna 3 giugno 1876.

[186] App., Doc. 43.

[187] App., Doc. 44.

[188] Destinati ad Ariccia: sac. Carlo Montiglio, ch. Gaspare Seita, coad. Luigi Falco. - Ad Albano: sac. Giuseppe Monateri, direttore delle due comunità; sac. Gio. Batt. Sammorì, ch. Giuseppe Pavia, ch. Ermenegildo Musso, ch. Giovanni Rinaldi, ch. Stefano Trione, ch. Francesco Varvello. Vi erano pure due ascritti coadiutori: Fiorenzo Bono e Felice Bussa. - A Magliano: sac. Giuseppe Daghero e ch. Biagio Giacomuzzi.

[189] App., Doc. 45.

[190] Questo chierico fu invece sostituito da D. Sammorì.

[191] Unità Cattolica, 1876, num. 296 (22 dic.).

[192] App., Doc. 46.

[193] Lett. di Don Bosco al cardinal Bilio, Torino 29 novembre 1877

[194] Oggi, titolo di un Prelato Romano, a cui è affidata la chiesa di Santo Spirito in Sassia, unita all'ospedale di Santo Spirito. Un tempo era così denominato il gran maestro dell'Ordine ospedaliere dei canonici regolari

[195] Cronaca di Don Barberis, 27 novembre 1876.

[196] In data 9 marzo 1864 Don Bosco dal Cappuccino P. Angelo M. dal Tufo, Direttore allora dei Concettini, aveva ricevuto una lettera molto utile per conoscere un po' più a fondo l'Istituto; la pubblichiamo in App., Doc. 47.

[197] Sacerdoti: 1. D. Bodrato Francesco. - 2. D. Lasagna Luigi - 3. Don Bourlot Stefano. - 4. D. Remotti Taddeo. - 5. D. Fassio Michele - 6. D. Mazzarello Agostino. - Chierici: 7. Scavini Spirito. - 8. Daniele Raimondo. - 9. Rizzo Emilio. - 10. Scagliola Marcellino. - 11. Ghisalbertis Carlo. - 12. Farina Luigi. - 13. Rabagliati Evasio. - Coadiutori: 14. Barberis Giovanni. - 15. Bruna-Antonio. - 16. Bassino Giuseppe. - 17. Viola Giuseppe. - 18. Ceva Giacomo. - 19. Caprioglio Felice. - 20. Tardini Antonio Maria. - 21. Roggero Antonio. - 22. Frascarolo Francesco. - 23. Sappa Pietro. - Talvolta si parlerà di 24; in questo numero s'intendeva compreso quel tal Adamo, di cui abbiamo parlato (pag. 242, n. 2). Vivono ancora D. Fassio, D. Remotti e D. Caprioglio.

[198] Unità Cattolica, 10 novembre 1876.

[199] Le frasi chiuse fra virgolette qui e sopra sono tolte da una lettera di Don Bodrato a Don Barberis, Roma, 9 novembre 1876.

[200] Lett. a Pio IX, Torino, 18 novembre 1876.

[201] Cod. iuris can., 883. Per le testimoniali, 544, §§ 2-6; 545; 2411.

[202] Vol. XI, pp. 55-59 e 69

[203] Cfr. sopra, pag. 414

[204] Cfr. Vol. XI, App., Doc. 24.

[205] Anche questa volta ci dovettero essere di quelli che per motivi di leva non potevano avere il passaporto. Un telegramma del 16 ore 13,36 diceva: “ Bosco, Ospizio S. Gaetano, Sampierdarena. - Amici giunti, felice viaggio, partono domani. Tanti saluti ”. La firma o mal trasmessa o male trascritta o alterata prima, richiama il nome di Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza.

[206] Lett. del signor Gazzolo a Don Bosco, Bordeaux, 22 novembre 1876. Egli accompagnò i Missionari a Bordeaux, fermandosi ivi fino alla loro partenza. V. lettera di Don Lasagna in App., Doc. 48.

[207] Motto piemontese: “ E' meglio che un pugno negli occhi ”.

[208] I diplomi dei Cooperatori.

[209] Ossia, è in viaggio. Forse supponeva che da Nizza proseguisse per Bordeaux la sera stessa dell'arrivo.

[210] Pare che ci sia stato un aumento di spesa per i bagagli, che si dovettero spedire a parte. Cfr. pag. 536.

[211] Ajassin è termine piemontese che vuol dire “ callo”; si usa per significare persona che ci si attacchi ai panni e ci dia noia.

[212]Sono mezzo ubbriaco”. Si suol dire in Piemonte da chi non ha più testa, ossia è come sbalordito per aver troppo affaticato la mente.

[213] Ministro d'Italia presso il governo argentino.

[214] E’ quello dei zuccotti (v. pag. 509). Era un ex-cappuccino frate laico. Giunto in America lasciò i Salesiani e rientrò nel suo ordine. Non fu mai nè professo nè novizio; D. Bosco, sperando di valersene anche in America, lo mandò coi Missionari in soprannumero.

[215] Non abbiamo trovato traccia di una seconda parlata su quest'argomento.

[216] Don Lasagna nel viaggio a Bordeaux aveva cominciato a vederci chiaro.

[217] App., Doc. 49.

[218] Fino dai primordi questo collegio, quantunque dedicato a Pio IX, sempre fu detto semplicemente Collegio Pio, a differenza dell'altro di Buenos Aires, inaugurato dopo la morte del grande Pontefice e chiamato Collegio Pio IX.

[219] Da due lettere di Don Bodrato a Don Bosco, Rio Janeiro 6 dicembre e Buenos Aires 19 dicembre 1876.

[220] Sac. Cesare Chiala. Da Torino alla Repubblica Argentina. Lettere dei Missionari Salesiani. Torino 1876. Tip. e Libr. sal.

[221]Eccles. VII, 8: Calumnia conturbat sapientem et perdet robur cordis illius.

[222]  Così, per esempio, nello stesso numero del 23 agosto un tale che si firmava “ Un sacerdote cattolico apostolico romano ” con trasparentissima allusione diceva: “ stringa chi vuole la mano ai Nicotera ed ai Depretis, ecc. ”.

[223] Cronaca di Don Barberis, 15 agosto 1876. Il cronista ha agglomerato sotto questa data due cose anche di data posteriore

[224] App., Doc. 50.

[225] Lettera del canonico Menghini a Don Bosco, Roma 24 ottobre 1876. Vuol dire: “ Gl'intransigenti non le daranno del liberale e i liberali non la chiameranno intransigente”.

[226] La signorina Letizia Lavagnino fu a Mornese come esercitanda. Essa e la sorella minore Elvira andarono più tardi a Nizza, la prima come postulante e l'altra come educanda. La casa di Vallecrosia ricevette i migliori aiuti dalla famiglia Lavagnino.

[227] Scherza sul doppio senso; bosco, in piemontese italianizzato, significa “legno”

[228] Cfr. vol. XI, pag. 291.

[229] Piemontesismo, per “sgriderò”.

[230] In altri termini vuol dire: “ Quando a voi appare per divino volete un'anima separata dal corpo, essa presenta ai vostri occhi la forma esteriore del corpo che fu già da lei informato, e perciò a te pare che io abbia mani e piedi e capo ecc. ”.

[231] 1. Briatore Giovanni, 1a ginnasiale, num. 93.

2. Strolengo Vittorio, legatore, num. 152.

3. Mazzoglio Stefano, 4a ginnasiale, num. 187.

4. Garola Natale, 4a ginnasiale, num. 388.

5. Bognati Antonio, 5a, ginnasiale, num. 206.

6. Boggiatto Luigi, scopatore, num. 805.

7. Giovannetti Michele, chierico salesiano, num. 553.

8. Becchio Carlo, chierico, num. 248 (morto in famiglia a Murialdo il 31 dic. 1877, ma presente nell'Oratorio durante l'anno scolastico 1876-77).

[232] V. App., Doc. 42.

[233] La prima parte ci è stata conservata in riassunto da Don Vespignani (Un anno alla scuola del Beato Don Bosco, pag. 36-39): egli era uno dei sacerdoti professanti. L'esordio e la seconda parte è in un quaderno di Don Gresino, che per incarico di Don Barberis, prese gli appunti, mentre il Beato parlava. Non si sa perchè abbia omesso la prima parte.

[234] V. Vol. XI, pp. 127-8.

[235] App., Doc.  1.

[236] V. sopra, pag. 656.

[237] Lettera scritta nel maggio del 1898 e pubblicata in Charitas, numero unico per il primo decennio dalla morte del Servo di Dio (Torino, Tip. Sal.).

[238] i missionari erano stati alcun tempo a Varazze con il Gazzolo, che insegnava loro lo spagnuolo.

[239] Sono Suore italiane della Misericordia, delle quali Don Ceccarelli aveva fondata una casa nella sua parrocchia.

[240] Chi desiderasse notizie particolari del nome, patria, del buon Ladrone, se esso debba dirsi martire o Confessore, egli può leggere: Benedetto XIV, De Canoniz. Sanct., L. IV, Parte 2a. C. 12, N. 10).

[241] Mons. Rocca nel suo trattato De solemni communione Summi Pontificis (Tom. 1) dice che i Romani Pontefici, quando celebrano solenne.

[242] Questo dice alludendo a una frase del sig. Gazzolo, il quale aveva giudicata l'offerta di Don Cagliero cosa da carnevale, nel qual tempo allora si era.

[243] Il p. m. c. valeva lire it. 0,45, anteguerra.

[244] Non conosciamo la lettera qui accennata. Il “ rincrescimento ” e la “speranza ” di Roma potevano benissimo riferirsi non al contenuto della lettera, ma al motivo che aveva obbligato a scriverla, motivo che era sperabile non doversi più ripetere. Infatti si ricorderà come il Servo di Dio fosse stato a Roma informato che lettere inviate colà quali documenti di accusa vi avevano ottenuto l'effetto contrario.

[245] I corsivi sono di viventi,

[246] L'originale è presso il Rev. D. Elia, Direttore del Rifugio.

[247] Era direttore della casa delle Suore a Mornese, dove i Salesiani avevano pure le scuole elementari. Le persone qui nominate, come risulta dal catalogo, si trovavano a Mornese nel 1875

[248] Andava in cerca di aiuti per la seconda spedizione di Missionari. Tornò all'Oratorio il mercoledì 19. Si vede anche dalla lettera seguente, datata da Nizza Monferrato.




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