Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. XIX, Ed. 1939, 454 p.

 

 

 

Prefazione. 2

CAPO I. 3

Epicedi 3

CAPO II. 12

Come si arrivò al processo ordinario. 12

CAPO III. 17

Dal processo ordinario torinese al decreto romano della venerabilità. 17

CAPO IV. 25

Dai processi apostolici fino al decreto sull'eroicità delle virtù. 25

CAPO V. 34

I miracoli per la beatificazione. 34

CAPO VI. 43

Decreto del Tuto”. 43

CAPO VII. 48

Solenne ricognizione del corpo. 48

CAPO VIII. 52

La beatificazione a Roma. 52

CAPO IX. 68

La traslazione del corpo. 68

CAPO X. 82

Echi della beatificazione nella parola del Santo Padre Pio XI. 82

CAPO XI. 92

Riassunzione della Causa. 92

CAPO XII. 98

Il "Tuto"  e i Concistori. 98

CAPO XIII. 105

La canonizzazione. 105

CAPO XIV. 117

A Roma dopo la canonizzazione. 117

CAPO XV. 127

Echi della canonizzazione nella parola dei Papa. 127

CAPO XVI. 133

Festa della canonizzazione a Torino. 133

CAPO XVII. 140

Di alcune dimostrazioni particolari. 140

CAPO XVIII. 151

Nel cinquantenario della morte. 151

APPENDICE DI DOCUMENTI. 159

DOCUMETNI E FATTI ANTERIORI. 180

 

 

 

Prefazione

 

 

                Questo volume è destinato più ai posteri che ai contemporanei. Gran Parte delle cose in esso narrate noi tutti, chi più chi meno, le abbiamo vissute o le abbiamo apprese sufficientemente per mezzo della stampa. Le vicende della causa, le feste della beatificazione, il trionfo della canonizzazione sono ancora presenti alla memoria e al cuore di ognuno. Anche le circostanze che distinsero le celebrazioni del cinquantenario della morte, sono abbastanza note. Si è creduto nondimeno utile e opportuno tramandare in un volume a quei che verranno dopo di noi il ricordo degli avvenimenti principali e delle più salienti particolarità che durante mezzo secolo concorsero a formare la glorificazione di Don Bosco.

                Piace tuttora a noi chiamare il nostro Eroe con questo semplice nome, con cui lo chiamammo un tempo e lo udimmo chiamare universalmente. A un nome che ci diceva allora e ci rammenta oggi un mondo di cose e ci ridesta nell'animo un complesso di sentimenti oltremodo cari. Va da sè per altro che col procedere del tempo, dileguandosi tali impressioni man mano che scompaiono coloro che le provano, all'immagine familiare del buon Padre sottentrerà presto e definitivamente la figura luminosa del Santo canonizzato, del quale s'invoca il celeste patrocinio e si ammirano le gesta consacrate dalla storia.

                Già presentemente però il culto di San Giovanni Bosco non la cede per estensione e per intensità al culto dei maggiori Santi che si venerano nella Chiesa, e tutto la prevedere che il tempo, [6] anzichè restringerlo o indebolirlo, lo dilaterà e ingrandirà, tanto esso è radicato nell'anima popolare. E bisogna pure aggiungere che a conseguire tali effetti contribuisce direttamente il Santo medesimo, rispondendo con larghezza d'interventi alle preghiere dei fedeli; infatti da ogni parte della terra si riferiscono grazie numerose ed anche assai straordinarie, ottenute per la sua valida intercessione. Dio che gli affidò una missione mondiale e che visibilmente lo assistette, mentr'egli la andava attuando, continua a sostenere le opere da lui suscitate e passate nelle mani de' suoi figli.

                Anche nella storia Don Bosco ha già preso una posizione cospicua. Possiamo star sicuri che quanto più la distanza permetterà di misurare con lo sguardo la parte eminente da lui rappresentata nella Chiesa e nella società, tanto più grandeggerà agli occhi degli uomini l'altezza della sua poliedrica personalità e la valutazione che bisogna fare della sua azione religiosa e civile. Ne è riprova il fatto che la bibliografia di Don Bosco aumenta di anno in anno con un crescendo che non accenna doversi arrestare tanto presto. Anzi, non siamo che al principio; poichè solo da poco si è cominciato a studiarlo seriamente sotto i suoi vari aspetti. Chi vivrà, vedrà.

                Potrà dar motivo a qualche sorpresa l'osservare come, a differenza di altre Cause di beatificazione e di canonizzazione, quella di Don Bosco sia durata così a lungo. Le Cause di tal genere sono meccanismi a congegno molto complicato. La regolarità e continuità del funzionamento dipende da un'infinità di coefficienti interni ed esterni. Le complicazioni aumentano, quando la vita di un Servo di Dio è stata più complessa. La Causa di Don Bosco, per esempio, non era la Causa di una Teresina del Bambino Gesù, che visse la sua breve vita fra le mura di un chiostro monacale; non era nemmeno la Causa di una Cabrini, la cui vita fu assai movimentata, ma nondimeno abbastanza omogenea. Don Bosco nella sua lunga carriera aveva con la propria attività non solo abbracciato direttamente o indirettamente tutto il mondo sublunare, ma anche trattato con [7] tutto un mondo di persone per tutto un mondo di affari, e questo in tempo di radicali trasformazioni politiche e sociali, che lo forzarono a prendere atteggiamenti sconosciuti in passato e a tentare vie non peranco battute. In una Causa tutto questo forma un groviglio di elementi che vanno districati, vagliati, giudicati. Peggio poi quando a intralciare i procedimenti intervengono ostinate opposizioni, come si verificò purtroppo nella Causa di Don Bosco. Haud ignota loquor.

                La Provvidenza però dispose che al momento opportuno sorgesse un Pontefice, il quale, avendo conosciuto e ammirato Don Bosco, pose termine agli indugi. Pio XI in diciassette anni confermò il culto a 17 Beati, con 42 beatificazioni elevò agli onori degli altari oltre 496 Servi di Dio, con 17 canonizzazioni concesse la suprema glorificazione a 34 Santi. Numero portentoso! Ma la beatificazione e la canonizzazione di Don Bosco furono senza confronto le più laboriose di tutte Ebbene egli non la perdette mai di vista; anzi si sarebbe dello che vi si era santamente appassionato. Non già che intervenisse a turbare la normalità delle procedure per imprimervi rapidità che mal si addicessero alla meticolosa diligenza solita a spiegarsi intorno a pratiche sì delicate; ma si faceva sempre innanzi a rimuovere ostacoli che adducessero inutili temporeggiamenti e soprattutto a far intensificare il lavoro. Se non vi fosse stata l'opera dell'ultimo dei quattro Papi sotto cui si svolse, probabilmente la Causa sarebbe ancora in allo mare.

                Noi intanto, giunti al termine di queste Memorie Biografiche, innalziamo alla Divina Provvidenza, anche in nome di; chi ne gettò le basi, un cordiale inno di ringraziamento, perché abbia disposto che del Santo Provvidenziale una sì doviziosa copia di notizie siasi potuta in tempo raccogliere e fissare per sempre in ben diciannove ponderosi volumi, ai quali, come a sorgente viva, verranno ad attingere i figli d'un Santo Padre, avidi di conoscerne intimamente la vita per imbeversi del suo spirito, e a cui sarà forza che ricorra in avvenire chiunque vorrà parlare o scrivere di Lui senza falsare quello spirito appunto [8] che costantemente lo animò nel fare e - nel patire. Altri farà, ne siamo certi, opera letterariamente più perfetta; ma qui non mirava la nostra fatica. Anzi, se ci è lecito esprimere modestamente un nostro voto, ci augureremmo che nessuno mai si lasciasse vincere dalla tentazione di fare, intorno a San Giovanni Bosco, della letteratura. Non già che a scrittori ben disposti le eroiche virtù e le ardite imprese di Don Bosco non possano offrire alte ispirazioni d'arte; ma ben si sa che cosa quella frase significhi. É tanto bello guardare Don Bosco in se stesso, quale ci si rivela nella sua vita vissuta, senza che occorra agghindarlo con abbellimenti artificiali! Saint Jean Bosco, fu scritto l'anno scorso[1], nous apparail comme un des plus beaux spécimens de la nature humaine vraie qu'ait jamaís transfigurée la gràce. A la fois près de nous et nous faìsant sentir doucement cambien il nous dépasse”.

 

                Torino, 17 gennaio 1939.

 

 

CAPO I.

Epicedi

 

                LA glorificazione postuma di Don Bosco ebbe principio in die obitus o meglio, come possiamo dire oggi, in die, natali; nascendo alla vita gloriosa del cielo, i Santi assurgono pure ai fulgori di una gloria terrena, che non conosce limiti di spazio nè di tempo. Gli ultimi capi del volume antecedente hanno mostrato come la morte aprisse subito a Don Bosco la via dei trionfi; il presente volume ha per iscopo di misurare in tutta la sua altezza questa ascensione luminosa, fissandone sullo schermo della storia i momenti di più vibrante splendore.

                Prenderemo le mosse dai funebri che seguirono la sua deposizione. Mai sulla tomba di un semplice prete erano stati pronunziati sì unanimi elogi in tante parti del mondo come sulla tomba di Don Bosco. Dal Piemonte alla Calabria; dalla Sardegna alla Sicilia, anzi all'isoletta di Pantelleria sperduta giù nelle acque del Mediterraneo; nelle città di Trento, di Gorizia, di Trieste e nella penisola istriana; a Gerusalemme e a Quebec; nelle repubbliche dell'America Meridionale: dove non si ripercosse l'eco dolorosa della sua perdita? E da mille punti della terra si levò unanime un coro immenso di lodi alle sue virtù, alla sua carità, al suo zelo. Due note vibrano insistenti nelle orazioni funebri: la sensazione di avere Don [10] Bosco più vicino che mai per il suo cresciuto potere intercessorio presso Dio, e la previsione sicura che dalla Chiesa egli sarebbe innalzato un giorno all'onore degli altari. Onde l'idea dominante che, se si facevano preghiere espiatorie, ciò era unicamente perchè così imponeva la legge ecclesiastica e così aveva voluto il defunto stesso, ma che egli non ne avesse affatto bisogno. Genialmente si espresse un oratore dicendo non poter essere stato un solo istante allontanato da Dio nell'altra vita colui che aveva avuto con Dio una sì intima unione nell'amore durante la vita presente[2].

                Vogliamo ancora aggiungere che si vide in quella circostanza che cosa fosse e quanto valesse l'Associazione dei Cooperatori. Se si eccettuano i luoghi dove sorgevano case salesiane, che ai Cooperatori dei dintorni servirono di richiamo, furono essi dappertutto i promotori e gli organizzatori di uffici funebri svoltisi con la massima solennità dinanzi a folle numerose e accompagnati ordinariamente dalle pubbliche lodi dell'estinto; nel che spiccava da parte degli associati un animoso spirito di corpo, indizio evidente che non si trattava di semplici parate, ma che erano vere manifestazioni di vitalità della pia istituzione, tanto amata e curata da Don Bosco. Dinanzi a tale spettacolo non si può non ammirare la corrente di devota simpatia venuta a crearsi fra il benefico apostolo della gioventù e la falange de' suoi benefattori.

                Nella nostra rapida e necessariamente limitata rassegna noi ci soffermeremo soltanto nei luoghi, dai quali è pervenuto alcun che di più significativo intorno alla figura dell'uomo e del santo. Inoltre chi lo vide, chi gli parlò, chi usò con lui avrà la preferenza su gli altri, che nessun contributo personale potevano recare alla conoscenza del Servo di Dio. Per procedere con ordine seguiremo a zig - zag una linea geografica che va serpeggiando da Torino a Valparaiso. [11]

 

 

NELLE TRE GRANDI CHIESE DI DON BOSCO.

 

                Fra le chiese edificate da Don Bosco tre furono maggiori delle altre e monumentali: le due torinesi di Maria Ausiliatrice e di S. Giovanni Evangelista e quella del Sacro Cuore a Roma. In esse i funebri riti rivestirono particolare carattere; il che diede agli oratori l'occasione di guardare più da vicino la persona e l'opera del grande trapassato.

                La chiesa di S. Giovanni fu designata per il funerale di settima. Avrebbe dovuto prendervi la parola monsignor Cagliero, se un'indisposizione non glie l'avesse impedito. Lo sostituì Don Bonetti che senza tessere propriamente un elogio funebre intrattenne l'uditorio come si soleva fare nelle conferenze salesiane; poichè s'intendeva che il suo discorso fosse l'annua conferenza ai Cooperatori per la festa di San Francesco di Sales. Egli non poteva essere più felice nella scelta del tema, ed era certo assai ben preparato per trattarlo a dovere. Adattò infatti a Don Bosco l'affermazione che San Paolo francamente faceva di se stesso, scrivendo ai Cristiani di Corinto[3]: Omnibus omnia factus, ut omnes faceret salvos. L'importanza di tale accomodamento risiede in questo, che nel breve giro di quel periodo vediamo definito Don Bosco: l'uomo fattosi tutto a tutti per salvare tutti. Le esistenze grandi ed efficaci sono sempre une; a unità si riduce la loro attività anche multiforme. Solo a questa condizione l'energia di un uomo si spende utilmente, se non si disperda nelle molte cose. Don Bosco volle essere un salvatore di anime. Visse coerente a sì apostolico programma, a null'altro aspirando, di null'altro curandosi, dovunque fosse, con chiunque trattasse, a qualunque impresa mettesse mano. Verso quell'unico punto si polarizzarono da lui pensieri, parole, opere. Là insomma è da cercare la sintesi di tutta la sua straordinaria e svariatissima potenza di lavoro. [12]

                Nella chiesa di Maria Ausiliatrice due funerali di trigesima chiamarono a mesto tributo di venerazione e di riconoscenza prima i Cooperatori e le Cooperatrici e poi gli ex - allievi dell'Oratorio.

                Chi dovesse più degnamente dire di Don Bosco nella prima solennissima celebrazione, si era affacciato alla mente dei Superiori fin dai giorni che corsero fra la morte e la tumulazione. Il 4 febbraio Don Rua, monsignor Cagliero, Don Durando e Don Bonetti si presentarono al cardinale Alimonda, tornato appena in sede da un luogo di cura, per chiedergli consiglio sull'affare della successione; quindi Monsignore a nome del Capitolo Superiore lo pregò che volesse recitare l'elogi o funebre nell'occasione della trigesima. L'Eminentissimo da principio tentò di schermirsi, dicendo che avrebbe sofferto troppo, che anzi per la soverchia commozione non avrebbe potuto parlare a lungo. Bellamente gli si rispose che se mai il discorso si sarebbe stampato e pubblicato nel giorno medesimo, affinchè fosse letto invece che udito, oppure ne avrebbe dato lettura pubblica qualche altro; in ogni caso la Congregazione sarebbe andata gloriosa di conservare un sì prezioso documento di chi tanta stima e amore professava per il suo fondatore. Il Cardinale nella sua bontà promise di dettare l'orazione. Ma quello che gli era parso impossibile nell'angoscia del recente lutto, divenne in seguito possibile per il benefico effetto del tempo. Insieme con l'ingegno ci mise tutto il suo grande e nobilissimo cuore[4]. Esordiva ex abrupto così.

 

                Lo so che io non posso più contemplare l'amico, non posso più vedere il vostro benefattore, o poveri, il vostro padre, o sacerdoti. La sua dolce sembianza mi è scomparsa dagli occhi il sudario della morte lo involse. Dio forse userà amorosi riguardi al corpo di lui; [13] la terra gli tornerà benigna, gli si presterà a mo' di guanciale alla stanca testa. Si, speratelo, o figli: quella benedetta salma sarà come tutto un fiore incorruttibile.

                Comunque debba essere, il sepolcro ci ha divorato l'amico, il benefattore; il padre. Io non miro più a me dinanzi, come solevo spesso osservarlo in questi cari luoghi, il Sacerdote Giovanni Bosco.

                Ma Dio non ci diede il cuore solo per piangere; ci diede cuore, mente, fantasia per surrogare al pianto il soave conforto, ci diede una potenza meravigliosa di riparazione, quella di ricostruire nelle nostre idee, nella nostra immaginazione e nel nostro affetto il simulacro delle persone che non sono più, di rivestirle, di ricolorarle come se fossero cosa viva, riportandocele sotto allo sguardo.

                lo voglio dunque vedere l'amico, il benefattore, il padre, vedere e salutare Giovanni Bosco. Senza questa visione mi sentirei troppo mesto e desolato nel mondo.

                Vi confesso che dovrò rivederlo con maggiore riverenza. La morte, io non so, nel rapircelo, nel celarlo, lo cinse quasi di un'aureola. Lo vedrò pertanto con più di rispetto che non prima, ma sempre col medesimo affetto tenero, sempre col medesimo cuore innamorato.

                E sentite, o cari. Io voglio vedere Don Bosco tra voi, ma non affatto rinchiuso qui. Da questo luogo sento il bisogno di vederlo a guardare al di fuori, spingere gli occhi lontano, guardare insomma là dove ha trovato voi; andare là di persona, colà operare e parlare, dove vi ha steso la mano ed ha parlato a voi, dove ha raccolto tanti numeri di figliuoli.

 

                L'oratore, per dirla con una frase usata da Pio XI dopo un discorso del cardinale Pacelli su S. Vincenzo de Paoli, dimostrò che Don Bosco fu un divinizzatore del suo secolo, poichè ne elevò a Dio le tendenze, i bisogni, le imprese.

                Il secolo XIX era il secolo della pedagogia; ma la sua pedagogia s'ispirava a sola affezione naturale, che è ristretta e debole, o veniva regolata solo dalla scienza, che è piena di pregiudizi. Don Bosco nell'affezione naturale introdusse a guida l'elemento religioso, nella scienza la carità. Con questa Egli esercitò sui giovani un predominio tale, che rubava i cuori, trasformava gli spiriti nel rapimento della virtù e illuminava gl'intelletti con l'apprendimento del sapere. La religione invigoriva la natura e la carità perfezionava la scienza. Così Don Bosco divinizzò la pedagogia del secolo.

                Il secolo XIX era il secolo del lavoro e dei lavoranti. [14] Ma gli operai governati con i principi di una scienza che abborre la religione, si avviavano tortamente e preparavano la rivoluzione sociale. Invece gli artigiani di Don Bosco, nobilitando il lavoro con la bontà della vita cristiana, crescevano virtuosi e amanti dell'ordine. Così Don Bosco divinizzò la professione degli operai.

                Il secolo XIX fu il secolo delle associazioni: le associazioni riempivano il mondo, accelerando il ritmo del movimento sociale. Ma era movimento cieco, febbrile, perturbatore e minaccevole. Don Bosco lanciò sul mondo le sue tre associazioni di Salesiani, di Suore e di Cooperatori, che, salde sulle basi dei principi eterni, irradiano benefici influssi nella parte maggiormente operosa del civile consorzio. Così Don Bosco divinizzò l'opera delle associazioni.

                Il secolo XIX fu il secolo delle imprese coloniali. Corre gran divario fra gli uomini mandati dal secolo agenti incolte e barbare, ed i Missionari Salesiani. I laici portatori della civiltà vanno in luoghi sicuri, nelle selvatiche tribù scambiano merci, procurano agli indigeni agi materiali, ma non tolgono i vizi della stirpe, mirando solo a sfruttarne le risorse; i Missionari affrontano pericoli, portano qual segno d'incivilimento la croce, tutto soffrono per salvare le anime. Così Don Bosco divinizzò l'opera della cultura fra le genti selvagge.

                Virtù animatrice di Don Bosco era la carità, che a tutto si piega, a tutte le possibilità di bene crede, tutto dall'alto spera, tutto sopporta.

                Questa è l'ossatura della poderosa orazione[5]. Due passi vi si leggono, che hanno valore di autorevole testimonianza personale. Il primo riguarda una delle doti più caratteristiche di Don Bosco, la sua calma inalterabile. “Ho stupito anch'io spesse volte, dice il Cardinale[6], nel considerare il moral carattere di Don Bosco, sempre tranquillo, sempre [15] uguale a sè, vuoi nelle gioie, vuoi nelle pene, sempre imperturbabile. Ma io stupii rilevando il grado di perfezione cui era giunto (cosa malagevole!), non istupii perchè ignorassi il principio donde la perfezione l'aveva attinta. Era imperturbabile in mezzo al mondo perchè si era tutto gettato in braccio a Dio”. L'altro rilievo si riferisce a un secondo aspetto notevolissimo nella vita di Don Bosco, al suo atteggiamento verso il Papa. Sua Eminenza proclamava[7]: “Tenne ognora il Papa in cima dei suoi pensieri, lo ebbe caro come la pupilla degli occhi suoi: delizia e tesoro di Pio IX che tante volte lo benediceva in Vaticano, delizia e venerazione di Leone XIII che ripeteva sopra il suo capo la benedizione apostolica, Don Bosco in tutto che fece, in tutto che scrisse, mirò fedelmente a condursi come più era in amore del Vicario di Gesù Cristo [ ... ]. Quando sul finire dell'anno, caduto su le coltrici del fatal morbo, Don Bosco aveva intorno il trepido stuolo de' suoi figliuoli e aveva pure intorno a sè il compianto degli ammiratori e degli amici, a me fu un veemente affetto, una legge di visitarlo. Dovevo partire per Roma, ma non potevo a Roma recarmi senza prima veder lui, senza raccogliere il saluto e la voce de' suoi desiderii. Due volte stetti alla sponda del letto: ma l'ultima, il 26 dicembre, egli affannato e rifinito, con accento fioco e pieno intanto della sua anima, stringendomi la mano, m'incaricò di protestare a Leone XIII: Aver esso amato sempre, ubbidito come figlio il Sommo Pontefice; la sua Congregazione essere tutta agli ordini della Santa Sede. In quelle parole il venerabile Uomo mi apriva il suo testamento. Che dico aprire? L'intera sua vita privata e pubblica è nota all'universo qual testamento papale”.

                Passarono pochi giorni, e la medesima chiesa vedeva raccolti intorno al tumulo del Padre i figli primogeniti. Ad essi chi poteva dire acconce parole se non un loro fratello? Le disse il canonico Ballesio, prevosto di Moncalieri. Rare volte [16] un discorso di occasione fu meglio intonato alla qualità degli uditori. Dall'ampio panorama precedente la visuale si restrinse all'àmbito dell'Oratorio. Ma quale magica rievocazione cinematografica! É una delle cose più originali e più gustose che siansi scritte su Don Bosco. L'oratore lo ritrasse nella sua vita intima in mezzo a' suoi giovani, nel confessionale, in chiesa, in iscuola, in refettorio, nei laboratori, nella ricreazione, al passeggio[8]. A un certo punto quattro volte egli si rivolse la domanda: “Chi fu Don Bosco in mezzo a noi?”. E, rispose mostrando come per i suoi Don Bosco fosse l'uomo di Dio e della religione; maestro e guida nell'amare la gioventù e condurla al bene; l'uomo del disinteresse; uomo d'ingegno e di genio. La prima risposta contiene questo tratto[9]: “Ah quella religiosa sua amabilità quante vittime ha strappate al vizio e quanti ha guadagnati all'onore e alla virtù! Certo per moltissimi di noi Egli fu l'Angelo della ecclesiastica vocazione. Ed in tempi di reazione violentemente irreligiosa, di scoramento nei buoni e di trionfale audacia nei tristi, dall'Oratorio di Don Bosco uscirono a centinaia i coltivatori del mistico campo evengelico. Don Bosco aveva l'amore, direi, istintivo dei santi per la Chiesa e pel Papa. Sue erano le loro gioie, suoi i loro dolori. Ed a questi nobili sensi educava i suoi figli, ottenendo che franchi ed a visiera alzata praticassero la religione”.

                A Roma nella chiesa del Sacro Cuore l'elogio fu pronunciato dal Vescovo di Fossano, monsignor Manacorda, che per Don Bosco vivo aveva avuto quasi un culto. La sua tesi fu che Don Bosco con l'aiuto della grazia preparò se stesso a compiere i disegni della Provvidenza e con la potenza della carità si manifestò grande benefattore del popolo cristiano[10]. Ecco una pagina degna di restare[11]. “Come la mente di lui [17] penetrava ed il cuore con la potenza della carità traeva, svolgendosi in attrazione irresistibile, così l'occhio esercitava insieme le potenze della mente e del cuore. Egli con uno sguardo misurato, calmo, improntato a serenità s'impossessava del pensiero altrui e con la stessa forza, quando lo voleva, era egli stesso compreso; non occorreva di più per intendersi. Spesso un accento, un motto, un sorriso accompagnato dallo sguardo fisso valeva una domanda, una rispo­sta, un invito, un discorso intero. Si direbbe che per Don Bosco la parola era poco men che un di più: tanto lo spirito ne lo aveva investito che per comunicarsi pareva non sentisse bisogno del sussidio di quella. I suoi sensi e tutte le sue membra procedevano nel modo più perfetto subordinati alla ragione; il suo corpo effettivamente era servo all'anima, e la sua vita nascosta in Dio si svolgeva nel pensiero e nell'amore. Don Bosco era pensiero e amore. Le sorprese, le precipitazioni, il moto violento non hanno vestigia nella vita del nostro Don Bosco; tutto in lui è calma inalterabile; il portamento sempre uniforme; le stesse sue sollecitudini si attuavano nella quiete perfetta. Egli sapeva gettare nel seno del Signore le sue ansietà e n'aveva sostegno, sicuro che Dio non permette che il giusto ondeggi in eterno”[12].

                A questo discorso toccò una fortuna impensata. Dato alle stampe, cadde sotto gli occhi di Leone XIII. Ora avvenne che, partecipando un giorno il Vescovo a una pubblica udienza ma tenendosi in disparte per non essere notato, il Papa lo ravvisò, se lo fece appressare e gli disse d'aver letto il suo discorso, essergli piaciuto e pensarla egli pure come lui. Monsignore giudicò che il Santo Padre alludesse all'opinione, ivi manifestata, che Don Bosco si avviasse alla glorificazione dei Santi. [18]

 

IN ALTRE CHIESE D'ITALIA.

 

                Città e villaggi in gran numero per tutta l'Italia suffragarono con pompa l'anima di Don Bosco nell'occasione della trigesima; il Bollettino ne diede notizia in due lunghe rassegne per ordine alfabetico dal maggio 1888 al gennaio 1889, ma l'elenco è ben lontano da essere completo. Raccogliamo qualche voce più notevole fra quelle tramandateci.

                Un altro ex - allievo dei tempi eroici dell'Oratorio, il teologo Piano, curato della Gran Madre di Dio in Torino, parlò a S. Benigno Canavese, nella monumentale chiesa erettavi dal Cardinale delle Lanze[13]. Egli era entrato nell'Oratorio fin dal 1854. “Eravamo allora circa un centinaio di ragazzi, disse, a cui Don Bosco doveva provvedere il vitto ed a tanti anche il vestito”. Terminatovi il ginnasio, passò al seminario di Chieri diciotto anni dopo che vi era stato Don Bosco, del quale attesta che vi “risonava ancor viva la memoria”. In una delle sue assidue visite al Servo di Dio ebbe un incontro, il cui ricordo gli suggerì l'argomento dell'elogio. Era entrato nella camera del Santo, mentre terminava di dare udienza a due signore francesi, che accomiatandosi ricevettero dalle sue mani in dono un'immagine di Maria Ausiliatrice. Con la familiarità che la presenza di Don Bosco ispirava a' suoi figli, il teologo gli domandò lui pure per sè un'immagine; anzi, presane senz'altro una dal suo scrittoio, gliela pose davanti, pregandolo di scrivervi sopra un motto. Don Bosco vi scrisse: Esto mitis et patiens et Dominus Iesus dabit tibi velle et posse. Cor tuum sit constanter super parvulos et egenos[14]. Ragionò dunque dell'umiltà dolce e paziente di Don Bosco e del suo amore per la gioventù povera.

                Discorrendo dell’umiltà, riferì come non molto tempo prima, trovandosi con un dotto e santo Vescovo del Piemonte, [19] l'avesse udito esclamare: - Bisogna dire che Don Bosco sia ben umile, se potè ottenere tanta benedizione sulle sue opere! - Da quell'umiltà Don Piano faceva derivare la fiduciosa sua imperturbabilità e la sua calma perfetta nelle circostanze anche più difficili. Al qual proposito narrava: “Era, l'anno 1855, e Don Bosco aiutato da quel generoso benefattore che era il cavalier Cotta, stava erigendo la seconda parte del fabbricato, che doveva unire la prima casa con la chiesetta di 8. Francesco; quando un giorno, erano circa le tre pomeridiane, si sentì un gran rumore. Che è stato? Sono i volti tutti della casa che crollano. Ben grande fu lo spavento di noi giovani, ma più grande fu l'afflizione che provammo pel dolore che senza dubbio avrebbe trafitto il cuore del nostro Padre. Ma ci siamo altamente ingannati. Arrivato appena a casa Don Bosco, noi gli fummo attorno a dargli la triste notizia. Credete voi che il sembiante di Don Bosco si sia menomamente alterato? No. Sollevando gli occhi al cielo: - Deo gratias, disse. Grazie a voi, o mio Dio, che il danno sia stato solo materiale. - E poi, rivolgendosi a noi: - Se voi sarete buoni, Iddio ci concederà di rifare tutto. - Così fu”.

                Nel parlare dell'amore di Don Bosco per la gioventù, uscì in questa digressione: “Qui mi sia lecito di esprimere un desiderio. Quando vedo il ritratto di Don Bosco, mi sento al cuore una pena di non vedere attorno anche i suoi giovanetti. - Ma come? vo pensando tra me e me. Don Bosco non è chiamato Padre da migliaia di giovanetti? Non è tra essi che consumò la sua vita? Non furono essi i prediletti del suo cuore? Non fu questa la missione che ebbe dal Buon Dio, e che egli compì così esattamente? Perchè dunque il padre senza i figli? - L'avete veduto una sol volta o per le scale o nei cortili o per le strade senza il corteggio di molti giovanetti? Come il Venerabile Giuseppe Benedetto Cottolengo si ritrae circondato dai poveri, così il nostro Don Bosco si ritragga circondato dai ragazzi, onde meglio apparisca qual [20] sia stato il movente di tutta la sua vita. Io non posso concepirlo diversamente”.

                Una diocesi che doveva sentirsi particolarmente in obbligo di rendere a Don Bosco testimonianza di ammirazione devota e riconoscente era quella di Casale Monferrato. Don Bosco vi aveva aperto a Mirabello il suo primo collegio fuori di Torino, collegio trasportato poi a Borgo S. Martino nello stesso circondario, dove fioriva per serietà di studi e copia di vocazioni ecclesiastiche. Molti sacerdoti diocesani si gloriavano di essere usciti dalle scuole di Don Bosco. La celebrazione più grandiosa si fece nel capoluogo; la bella chiesa vescovile di S. Filippo parve la più rispondente allo scopo. Interprete dei comuni sentimenti fu il prevosto di Rosignano, monsignor Bonelli, che aveva conosciuto bene Don Bosco[15]. Da quel pulpito, sul quale Don Bosco era salito due volte, il dire dell'oratore si effuse semplice e piano come soleva essere la parola del Santo. Egli ne tratteggiò l'opera in rapporto alla speciale missione ricevuta da Dio e accompagnata con doni opportuni[16]. Il giornale cattolico[17], descritta la cerimonia e detto del discorso, conchiudeva: “Con la salma di Don Bosco fu deposta nella bara una pergamena. In questa si legge: Ossa lacrimate, riposate in pace, finchè non venga a risvegliarvi il suono dell'angelica tromba. No! io credo che quelle ossa non aspetteranno quel suono per levarsi dal sepolcro. Se l'affetto non ci fa velo alla mente, abbiamo la cara fiducia che la Chiesa comporrà quelle ossa nell'altare di Maria Ausiliatrice, ed il nome di Don Bosco sarà registrato nel catalogo dei Santi”.

                Nella chiesa del collegio salesiano di Mogliano Veneto il canonico Cherubin additò in Don Bosco l'Angelo della Provvidenza e il più grande personaggio del suo tempo[18]. “Umile e generoso, diss'egli, non fallì ai disegni della Provvidenza, [21] che anzi si fece di essa testimonio inconfutabile, ambasciatore fedele, ministro operosissimo, angelo quanto può essere un uomo, e solo, stremato d'ogni aiuto terreno entra in un campo sconfinato, dove la messe è inesauribile, intraprendente come un eroe, ' pronto come un martire al sacrificio, totalmente abbandonandosi alla Provvidenza”.

                “Salvare la gioventù, e per la gioventù il mondo” fu il pensiero prevalente di Don Bosco; ecco il tema svolto da Don Antonio Rampazzo a Padova nella chiesa del Carmine[19].

                Un elevato discorso lesse il Vescovo di Sarzana monsignor Rossi nella collegiata de La Spezia. Don Bosco, educatore dei poveri figli del popolo, trionfando sull'orgoglio della filosofia umanitaria e sulla vacuità de' suoi sistemi pedagogici, fece risplendere la sapienza e la virtù educativa della Chiesa[20]. Nello sviluppare largamente questo suo assunto, egli ebbe alcuni tocchi di penna così luminosi che saranno gustati anche ora, anzi sempre. Tale l'apostrofe ai prati di Valdocco[21]: “Prati di Valdocco prima deserti e solitari ed ora coperti di edifici, e popolati di migliaia di giovanetti modesti, laboriosi e pii; prima muti e silenziosi, ora risonanti dello strepito delle officine intrecciato col canto delle lodi di Dio, e come avrei potuto non parlare di voi tessendo l'elogio dell'uomo che associando al vostro il suo nome vi ha consacrato all'immortalità? Non vi ho io forse visitato nei giorni della mia vita? Non mi son io sentito l'anima inondata di pensieri santi, pregando sotto la cupola di Maria Ausiliatrice, che addita di lontano e protegge con la sua ombra grave e solenne i miracoli della carità di Don Bosco? Non ho io forse visto a morire il sorriso beffardo sulle labbra del razionalista e del miscredente costretti a darsi per vinti e a riconoscere che la carità la vince sulla scienza e che il balsamo ristoratore delle piaghe sociali assai più che dalle accademie sgorga dall'altare? [22]

                L'uomo che vi ha reso celebri non è più, ma voi sarete sempre la prova e la manifestazione del suo spirito, e quanti vorranno dedicarsi a far del bene ai poveri figli del popolo, verranno a domandare a voi l'ispirazione dei santi ardimenti, l'eroismo del sacrificio e l'amore dell'oscurità dopo la pienezza del riuscimento”.

                Un rilievo giustissimo è il seguente[22]: “La morte nel rapirci le sue sembianze ha sparso una nuova luce sui fasti della sua vita e ha tolto gli ultimi veli che ci impedivano di conoscerlo interamente. Lui vivo, l'opera sua era in gran parte nascosta e come soffocata dalla gloria del suo nome; ora invece si manifesta tutta intera qual è, vale a dire una Istituzione vigorosa che sussiste per propria virtù e, animata dallo spirito che egli ha saputo infonderle, seguiterà non solo, ma ingrandirà la sua missione e con nuove forme di carità secondo il bisogno dei tempi accrescerà la gloria e i meriti del suo fondatore”. In quest'altro passo è la valutazione della parte sostenuta da Don Bosco nel mondo[23]: “Io per me penso, anzi tengo per certo che l'apparizione di Don Bosco nell'ultima metà del nostro secolo è un raggio luminoso, un benigno risguardo del pietoso Iddio, che in mezzo alle tenebre addensate della falsa filosofia intorno ai veri princìpi dell'educazione popolare ha Indicato la via da seguirsi per guarire i mali che affliggono la società e scongiurare quelli per avventura anche più gravi che la minacciano. Questa via non è altro che l'insegnamento popolare del Catechismo impartito con quella benevolenza dolce e pia che può tanto nell'animo dei fanciulli, abbellito con quelle sante industrie di canti, di feste, di adunanze, di armonie divote che avvolgono il fanciullo come in un'atmosfera di santità, che lo fanno amare la Religione, associando al Catechismo le più care ricordanze, e lasciano nel cuore dei giovani delle impressioni di fede che non si cancellano più”. [23]

                Il Vescovo pose fine al ragionamento con - una sua geniale idea[24]. “lo non sono artista, disse, ma se lo fossi e avessi l'incarico di tramandare ai posteri con un monumento la memoria di questo mirabile prete, eccovi quale sarebbe il mio concetto. Mettere in alto la Croce che è l'emblema della educazione cristiana, perchè è l'emblema divino del sacrificio; ai suoi lati, a destra Maria Ausiliatrice che fu sempre dopo Gesù il principale appoggio di Don Bosco; a sinistra il Salesio, dal quale ricopiò la dolcezza e intitolò l'Istituto. Ai piedi della Croce lui ritto il grand'uomo che si tiene con una mano al divin tronco e chiama coll'altra i giovani all'ombra dell'albero riparatore. Alla base del monumento poi il giovanetto Garelli in atto d'incidere sul ricordevole marmo le parole già scritte in tutti i cuori: A Don Bosco la Religione e la Patria riconoscenti”.

                Monsignor Giusti, che aveva dato sì cordiale ospitalità a Don Bosco nel suo palazzo vescovile di Arezzo, accorse volonteroso a Firenze per sostituire nel pontificale L'Arcivescovo infermo. Il celebre letterato Padre Mauro Ricci, Generale delle Scuole Pie, compose per la circostanza cinque belle epigrafi[25] e il Vescovo titolare di Oropo, monsignor Velluti - Zatti dei duchi di S. Clemente, fiorentino e affezionatissimo a Don Bosco, magnificando il Servo di Dio nella sua vita e nelle sue opere, fece udire un elogio funebre pieno di sentimento[26]. La chiesa di S. Firenze, nella quale Don Bosco aveva tenuto due volte la conferenza ai Cooperatori, si designava da sè per la cerimonia. Ecco dove l'oratore ravvisava i segni rivelatori della santità in Don Bosco (4): “Contemplo la grande figura del Bosco e nell'operato da Lui ritrovo la dolce e simpatica fisonomia della santità. Infatti quell'intreccio mirabile di forza e di mansuetudine, di prudenza e di semplicità, di coraggio e di timidezza; quello accoppiamento [24] di glorie e di umiliazione; di protezione di amici e di guerra implacabile di nemici; quella mancanza assoluta di danaro e quella ricchezza sì facilmente cumulata per fare il bene, mi rammentano la vita dei Santi”. Sulla sua opera educativa notava[27]: “Amò i giovani con tutto lo slancio e la forza ed il sacrificio de l'amore cristiano; fu inarrivabile nell'arte di educarli, e nemico del troppo e del poco, come il suo celeste Patrono, li guidava per quella media via, che sola conduce a virtù. Fu d'idee larghe e di cuore magnanimo e nemico delle pedanterie di coloro che amano le cose regolate sempre dall'archipendolo e dal compasso”.

                A Catania nella chiesa di S. Filippo Neri si celebrò l'anniversario. Parlò Don Piccollo, prendendo argomento dall'amore operoso di Don Bosco per la gioventù[28].

                Del discorso stampato Don Piccollo mandò una copia all'ex - provveditore Rho, suo cugino, quel provveditore Rho che tanto filo da torcere aveva dato a Don Bosco nel 1879. Il vecchio funzionario gradì l'omaggio e nel ringraziarlo fece un rilievo storico e una dichiarazione personale[29]. Lamentato che nel discorso mancasse un cenno di Don Antonio Cinzano compaesano loro e uno dei primi maestri di Don Bosco, proseguiva: “Il teologo Cinzano, parroco e vicario foraneo a Castelnuovo, coltivò sempre con amore gli studi letterari ed era singolarmente versato nelle lettere latine, di cui possedeva l'intiera collezione dei classici e, quel che è più, la leggeva, anzi la studiava quando era già maturo d'anni: ed io mi ricordo che si gloriava di aver avuto a suo discepolo Don Bosco e qualche altro suo parrocchiano a cui prodigava le sue cure nelle vacanze autunnali, anche quando era chierico. E fu appunto nella casa parrocchiale di Castelnuovo che io conobbi Don Bosco verso il 1840 insieme con Don Febbraro parroco d'Orbassano, Don Allora oggi defunto ed [25] altri, coi quali mantenni poi sempre relazioni di sincera amicizia”. Ed ecco aperta la via per dire che la sua amicizia con Don Bosco non era cessata nemmeno durante e dopo quelle tali vicende; ma se questo fu possibile, ne va attribuito il merito a Don Bosco, la cui carità non veniva meno neanche nelle più dure controversie e in seguito quel che era stato, era stato, egli non ci pensava più. Il medesimo Rho terminava così la sua lettera: “Voglia Iddio che l'ardente carità cristiana da cui era animato il compianto Don Bosco perduri ne' suoi discepoli ad onore e gloria del loro fondatore. É questo il voto sincero di un vecchio amico di quell'uomo, a cui il nostro paese e l'intiero mondo cristiano debbono eterna gratitudine”

 

IN FRANCIA E NELLA SPAGNA.

 

                Nella Spagna e assai più in Francia era stato largo il compianto per la morte di Don Bosco, come ne fanno fede moltissime lettere. In entrambe le nazioni non mancarono onoranze funebri  anche dove non esistevano collegi salesiani.

                Il Vescovo di Nizza all'annuncio della morte di Don Bosco esclamò: - Che perdita! che dolore per i suoi figli e per noi tutti! - Nizza infatti era piena del ricordo di lui. Ogni anno verso il febbraio o il marzo cooperatori e amici andavano domandando quand'egli sarebbe ritornato, lo aspettavano con impazienza e ne salutavano con gioia l'arrivo. Ma ormai purtroppo non avrebbero più avuto “la consolazione di rivedere quel volto così dolce, così modesto, così venerando che rifletteva tanto bene i lineamenti del divin Maestro; non sarebbero più accorsi a cercare da lui quegli incoraggiamenti e quegli aiuti spirituali che erano come irradiazione spontanea della sua persona”. Questa rievocazione strappò le lacrime a coloro che ascoltarono l'elogio funebre letto da monsignor Fabre, vicario generale, nella cappella del Patronage alla presenza dei Vescovo. Egli tratteggiò elegantemente [26] la grandezza dell'opera, le qualità dell'Uomo le capacità de' suoi eredi[30]

                Tre testimonianze personali egli rese alla memoria di Don Bosco. Testimonianza della sua umiltà: “In lui l'umiltà regnava sovrana. Non era possibile vederlo senza riceverne una profonda impressione”. Testimonianza del suo dominio di sè: “Si saran notate la serenità e la tranquillità profonde che formavano il suo stato abituale e si rivelavano così bene nelle parole, nell'atteggiamento, in tutto il suo esteriore. Chi avrebbe mai sospettato che un uomo dall'aspetto così calino avesse tante preoccupazioni? [ ... ] Ecco, a parer mio, il suggello di un'anima veramente eletta, interamente fissa in Dio e quindi superiore alle difficoltà della vita”. Testimonianza della maniera da lui tenuta nel dare le udienze: “Nelle udienze quotidiane e continue chi colse mai in lui la minima impazienza od anche solo un'ombra di fretta? Riceveva grandi e piccoli con eguale bontà. Ascoltava quanto gli si diceva senza mostrare di accorgersi della folla che attendeva nell'anticamera. Vedendo l'attenzione che portava a ognuno e la libertà che lasciava a tutti di esporre le cose loro, avreste detto che non avesse altro da fare che badare a voi. É questa la caratteristica, delle anime che esercitano un impero assoluto sopra di sè, ed era questo che gli guadagnava i cuori”.

                Parigi sempre memore onorò Don Bosco nell'aristocratica chiesa della Maddalena. A Marsiglia in quella di S. Giuseppe, la chiesa di Don Bosco, la dimostrazione non poteva essere più cordiale e più trionfale a un tempo.

                Anche per la Spagna ci limiteremo a pochi luoghi. Nel collegio di Utrera fece un vero panegirico di Don Bosco il santo Vescovo di. Malaga, monsignor Spinola, poi Cardinale; ma non ci è stato possibile avere un esemplare del suo discorso, che fu dato alle stampe. A Barcellona, oltre al solennissimo funerale celebrato nella chiesa di Belém, santificata già dalla [27] presenza del Servo di Dio, si tenne una imponente tornata accademica, della quale rimane degno ricordo in una lussuosa monografia[31]. Promossero la riunione i signori dell'Associazione Cattolica, che nel 1886 aveva iscritto Don Bosco fra i suoi membri onorari. Alla fine il Vescovo monsignor Catalá fece palese il suo pensiero sul commemorato. Egli vedeva in Don Bosco la gloria dell'umanità, perchè a vantaggio di essa aveva sacrificato la vita intera; la gloria dei sacerdoti, perchè nelle parole, negli scritti e nelle opere si era mostrato pieno dello spirito di Gesù Cristo, la gloria della Chiesa e di tutti gli Ordini religiosi, avendone posseduto perfettamente lo spirito e le virtù. “Figli miei, furono le ultime parole del Prelato, oggi abbiamo onorato la memoria di un grand'Uomo; domani innalzeremo una chiesa a un gran Santo”.

                Una commemorazione scientifica ebbe luogo nell'Università di Madrid. Vi lesse una conferenza il deputato Lastres, giurista di grido, che aveva trattato con Don Bosco per affidare a' suoi figli la direzione di una casa correzionale e che, pur non essendosi trovato un terreno d'intesa, serbava venerazione per il Servo di Dio. Egli promoveva una legislazione carceraria socialmente vantaggiosa allo Stato. Di lì trasse il suo argomento[32]. Vi narrava come e perchè fosse andata a vuoto l'accennata proposta. Noi ne abbiamo parlato ampiamente nel volume diciassettesimo[33]. Il conferenziere ne prese l'occasione per esaltare il sistema educativo dei Salesiani, da lui osservato in atto a Torino e a Sarriá. Diceva fra l'altro: “Il giovane che frequenta l'oratorio festivo salesiano e la scuola serale o vive nel collegio, vede nel collegio, vede nel sacerdote un padre amoroso, pieno di abnegazione; nulla v'incontra che lo mortifichi o lo urti, nulla che [28] abbia carattere di repressione o violenza; così il frutto dell'educazione si ottiene quasi senza che l'educando se ne accorga”. Questo, secondo lui, è un prodigio operato da due grandi forze, che sono amore e fede. Ecco la sua conclusione: “Per il cattolico credente Don Bosco fu un eletto del cielo, un santo, come diceva la gente a Torino vedendo passare la sua salma. Chi non condivide queste idee, non potrà negare che fu un insigne filantropo, pieno di abnegazione. Per gli uni e per gli altri, e spero per l'Università oggi e per tutta la Spagna domani, sarà Don Bosco un uomo straordinario, la cui vita laboriosa, ricca d'incomparabili servizi a' suoi simili, gli dà diritto all'immortalità”.

 

NELL'AMERICA MERIDIONALE.

 

                Solamente nel Brasile i Salesiani ebbero tosto notizia che ritennero sicura sulla morte di Don Bosco; invece quei dell'Uruguay, dell'Argentina e del Cile s'illusero ancora per un mese che le sue condizioni continuassero a migliorare, come avevano appreso verso la fine di gennaio da lettera partita da Torino nella prima metà del mese. È vero che Vescovi e altri personaggi, stando ai giornali, fecero subito le condoglianze ai Superiori dei vari luoghi; ma i Confratelli, che per le ragioni esposte nel volume precedente non avevano ricevuto alcuna comunicazione ufficiale, vivevano tranquilli nella persuasione che l'annuncio della stampa locale ripetesse una fandonia spacciata già altre volte in passato. Finalmente ai primi di marzo lettere torinesi portarono loro la dolorosa certezza della grande sventura.

                Nel Brasile al contrario l'Arcivescovo di Rio de Janeiro, trovando nei Salesiani della sua diocesi la medesima incredulità, provocò l'8 febbraio da monsignor Cagliero un telegramma, dal quale si apprese il vero[34]. Tuttavia, alle prime [29] notizie, aveva già scritto a Nictheroy una lettera che, mentre sarebbe dovuta essere di condoglianza, era insieme di congratulazione. Egli contemplava ormai Don Bosco fra i celesti comprensori[35].

                Ma non si limitò a così poco. Sappiamo quale acceso affetto per Don Bosco gl'infiammasse il cuore. A suo tempo si recò dai Salesiani per presiedere alla funzione di suffragio e pronunciare un discorso. La durò per ben due ore e un quarto. La facondia che gli era naturale, toccò a volte sotto l'impulso dell'amore e del dolore le altezze dell'eloquenza, piangendo più volte e facendo piangere. L'uditorio, come preso da irresistibile incanto, stette là ad ascoltarlo dal principio alla fine senza dar segno di sazietà e di noia. Tolto per motto l'omnibus omnia, fece vedere come Don Bosco avesse saputo andare incontro a tutte le nuove esigenze e necessità del suo secolo.

                Nella capitale dell'Uruguay il vescovo Veregui volle che nulla si risparmiasse perchè Don Bosco fosse degnamente commemorato nella sua cattedrale. Che alto concetto egli avesse del Servo di Dio è attestato in una sua lettera a Don Rua, scritta quando colà correva come certa la notizia della morte[36].

                L'Arcivescovo di Buenos Aires, che non aveva mai dimenticato i giorni vissuti con Don Bosco in Italia, non sapeva indursi a piangerne la morte, rimirandolo egli pure già coronato di gloria nel cielo donde si sarebbe fatto protettore più valido de' suoi figli e delle sue istituzioni. Si mise pertanto a disposizione dei Salesiani per onorarne la memoria[37]; ma i Salesiani, fissi nella loro idea, non ne fecero nulla fino a marzo. Allora nella chiesa di S. Carlo il canonico De Casas, lieto d'aver potuto “stringere la mano, com'ei disse, a quell'angelo visibile, a quel modello di candore, che per un dono della santità rapiva i cuori”, entusiasmò la moltitudine con una rievocazione immaginosa della carità di Don Bosco. [30]

                Forse un giorno si stenterà a credere quale trasporto si avesse a quei tempi per Don Bosco in tutto il Cile. I Cileni ne avevano dato una prova anche nelle accoglienze fatte l'anno innanzi a monsignor Cagliero. Commosso Don Bosco per tali notizie, aveva scritto nella sua ultima lettera a Don Jara: “É necessario che i miei poveri figli suppliscano con i loro sforzi alla scarsità del numero, per pagare in parte la nostra gratitudine al Cile”.

                Non vi fu città principale che non ne celebrasse i funebri, decorati da discorsi dei più valorosi oratori sacri. A Talca, dov'erasi aperta di recente una casa salesiana, il 26 aprile Don Giuseppe Barrios, fondatore di una famiglia religiosa per i bisogni della gioventù cilena, e guarito allora allora da una infermità dopo preghiere innalzate a Don Bosco, facendo l'elogio del Servo di Dio, sembrò un santo che esaltasse un altro santo, come scrisse un giornale del paese[38].

                Ma per solennità riportarono la palma le funebri onoranze della capitale; a Valparaiso non se ne ricordavano di maggiori. Don Raimondo Jara vi spiegò tutta la sua non comune valentia oratoria[39]. Già ospite dell'Oratorio, aveva predicato a Roma durante le feste per la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore. “Oh quanto è dolce cosa, esclamò egli nell'esordio, l'aver conosciuto questo venerabile sacerdote!”. Poi con tono infocato proseguì: “Ah Don Bosco, Don Bosco! Perchè mi tradiste a Torino e a Roma? Perchè fuoco eravate nelle parole, raggi di luce negli occhi e calore nelle mani, quando la vostra vita stava per ispegnersi? Perchè mi lusingavate col dirmi che saremo sempre amici, se in segreto stavate già scrivendo la vostra dipartita dalla terra? Perchè mi raccomandaste che al mio ritorno in patria aiutassi i vostri figli e parlassi delle vostre opere, se sapevate già che la mia prima parola doveva essere per parlare bensì delle vostre opere, ma irrigando di lacrime il vostro sepolcro? Perchè [31] non mi diceste che il vostro abbraccio di commiato era per l'eternità e la vostra benedizione l'ultima in questo mondo?”.

                Egli, scorrendo la vita di Don Bosco, additò in lui il più grande eroe della carità nel secolo XIX. Verso la fine[40] descrisse così a vivi colori il suo primo incontro con Don Bosco: “O sera avventurata del 3 marzo 1887, in cui per la prima volta giunsi ai piedi di quell'uomo straordinario, mai più non mi cadrai dalla memoria. Mi pare ancora di vederlo... Seduto sulla sua seggiola, sotto il peso di gravissimi acciacchi, le mani incrocicchiate al petto, dolcissimo lo sguardo, ineffabile il sorriso delle sue labbra e il suo accento... oh il suo accento!... non so che avesse, soltanto so che gli uomini non parlano mai così. Parlava adagio e molto piano; le sue parole erano pioggia che refrigera e fuoco che infiamma. Le sue mani stentavano ad alzarsi per benedire, stanche del porgere limosina al poverello e dal rasciugare all'infelice il pianto...”.

                Toccati quindi con voce fioca gli ultimi istanti del morente e accennato di volo al trionfo della sua sepoltura, si rivolse ai figli di lui, specialmente a quelli d'America animandoli a calcare coraggiosamente le orme del loro fondatore nella missione di educare cristianamente i figli del popolo.

 

                Questa saltuaria escursione dietro le più immediate ripercussioni della morte di Don Bosco nel mondo basta a documentare quanto fosse alta l'universale opinione intorno alla grandezza dell'uomo e alla santità del Servo di Dio. Il suo nome stava assumendo nella Chiesa il valore di un'apologia. Già nell'agosto del 1890 al Congresso Eucaristico di Anversa un oratore, a chi avesse detto non essere più possibili nel secolo XIX prodigi di sacerdoti come in altri tempi, consigliava di rispondere: - Ricordatevi di Don Bosco.

 

                 (2) Pag. 103.

 

 

CAPO II.

Come si arrivò al processo ordinario.

 

                DA ventiquattro ore appena i resti mortali di Don Bosco riposavano nella pace della cripta di Valsalice,  quando nell'Oratorio il Capitolo Superiore, adunatosi sotto la presidenza di Don Rua, prese a occu­parsi dell'eventualità di dover presto promuovere la Causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio. La fama di santità che l'aveva largamente circondato in vita, dava corpo ognor più consistente alla diffusa opinione che senza dubbio e senza indugio la Chiesa l'avrebbe innalzato agli onori degli altari; anzi autorevolissimi Prelati non solo si mo­stravano del medesimo parere, ma sollecitavano i Superiori della Congregazione ad affrettare i preparativi per il giorno non lontano, in cui fossero da cominciare i processi. Mosso da queste considerazioni il Direttore spirituale D. Bonetti prospettò ai Capitolari il caso, leggendo loro per intanto due decreti emanati da Urbano VIII sulla procedura da seguire riguardo ai fedeli morti in fama di santità. Lo scopo era di prenderne esatta conoscenza a fine d'evitare tempestivamente che si facesse o si lasciasse fare alcun che contro le disposi­zioni ivi contenute. Si stabilì dunque di farne norma di condotta, sicchè qualora piacesse a Dio di glorificare su questa terra il santo fondatore, nulla sorgesse a ostacolare o a in­tralciare l'andamento della Causa. La precauzione più urgente [33] doveva essere di escludere dovunque atti che mirassero a favorire il culto del Servo di Dio.

                Il giorno dopo questa seduta Don Rua annunciò al Capitolo che il cardinale Parocchi, vicario di Sua Santità e protettore dei Salesiani, consigliava di fare senz'altro pratiche presso l'Arcivescovo di Torino, perchè si desse principio agli atti preparatorii del processo. Con la stessa data dell'8 febbraio Don Rua in una circolare ai Direttori disponeva i suffragi, che da tutte le case si dovevano fare una volta tanto od anche in ogni anniversario; il che non gl'impediva di soggiungere per gli anniversari la clausola: «Finchè, come speriamo, la Chiesa pronuncerà il suo infallibile giudizio, dichiarandolo Venerabile».

                Recatosi poi a Roma il 9 dello stesso mese, il cardinale Parocchi lo indirizzò a Monsignor Caprara, promotore della fede presso la Sacra Congregazione dei Riti, affinchè da lui avesse schiarimenti precisi sul modo d'impostare la causa. Il Prelato nel 1887, indicando a un suo amico Don Bosco, aveva detto: - Ecco là uno del quale si farà la causa, e a me toccherà di fare l'avvocato del diavolo. - Allora probabilmente non immaginava che il pronostico fosse così prossimo all'avveramento. Egli con vero interesse fornì a Don Rua particolari istruzioni su tutto, esibendosi per qualunque bisogno anche in seguito. Le norme ricevute giovarono grandemente a Don Rua, che in affare di tanta novità per lui non avrebbe potuto trovare direttive più sicure. Monsignore insistette molto sull'opportunità di raccogliere il maggior numero di dati intorno a miracoli e grazie ottenuti dopo la morte del Servo di Dio e di corredarli con tutti i migliori documenti possibili[41]. Il Cardinale infine gli raccomandò caldamente di mettere presto in iscritto quanto riguardava la vita di Don Bosco. Nell'udienza di congedo le sue ultime parole furono: - Le raccomando la Causa di Don Bosco. [34]

                Ritornato che fu, Don Rua fece relazione al Capitolo di quanto aveva udito a Roma; onde su proposta di Don Durando venne affidato a Don Bonetti l'incarico di redigere con l'aiuto di Don Berto un riassunto dei fatti e delle virtù di Don Bosco, invitando a riferire tutti coloro che avessero notizie importanti da comunicare. Per agevolare la ricerca si decise di spedire alle case una circolare, con cui richiedere che ogni Salesiano dicesse tutte le cose di cui fosse stato testimonio, e di pubblicare sul Bollettino un avviso per pregare quanti avessero autografi, a inviare o gli originali o copie autenticate. Invece di scrivere una circolare apposita ai Confratelli Don Rua nella sua prima lettera di Rettor Maggiore li esortò caldamente a scrivere e a mandare tutto quello che sapessero di particolare sui fatti della vita di Don Bosco, sulle sue virtù teologali, cardinali e morali, su doni suoi soprannaturali, su guarigioni o profezie o visioni e simili. Metteva però sull'avviso i relatori, ricordando loro che potevano essere poi chiamati a confermare con giuramento le cose riferite; usassero quindi la massima fedeltà ed esattezza[42].

                Intanto non passava quasi giorno che non pervenissero a Torino relazioni di grazie e di guarigioni straordinarie, ottenutesi dai divoti con preghiere fatte a Don Bosco o per contatto di oggetti a lui appartenuti. Era poi sorprendente il plebiscito mondiale proclamante la santità del Servo di Dio, nè poche erano le insistenze di personaggi anche molto ragguardevoli, perchè non s'indugiasse a intraprendere la causa della sua beatificazione. Dinanzi a un complesso così imponente di circostanze Don Rua stimò di dover agire.

                Le Cause di beatificazione hanno due fasi distinte, che si svolgono in due tempi successivi. La prima parte incombe alla diocesi, dove il Servo di Dio ha consumato il corso della sua vita, ed è preparazione alla seconda, che viene trattata a Roma dinanzi alla Sacra Congregazione dei Riti. In un primo [35] periodo della prima fase si ha il processo che si dice ordinario o diocesano o informativo; in un secondo periodo ha luogo un nuovo processo, detto apostolico. La differenza sostanziale fra i due processi è che uno si apre e si svolge per mandato e autorità dell'Ordinario diocesano, l'altro per delegazione della Santa Sede. Ora, poichè il Vescovo è il giudice ordinario nella sua diocesi, a lui bisogna avanzare l'istanza d'introduzione della Causa, ed egli giudica anzitutto se la Causa voluta abbia o no buon fondamento. A tenore delle norme indirizzate agli Ordinari il 12 marzo 1631 dalla Sacra Congregazione dei Riti per ordine di Urbano VIII, il favorevole giudizio del Vescovo dipende principalmente dalla condizione, che il Servo di Dio appaia circondato dalla fama di santità, massime se confermata da miracoli.

                Il primo passo dunque da fare consisteva nel presentare all'Arcivescovo di Torino una petizione, affinchè si degnasse di ordinare il cominciamento del processo diocesano. Tale petizione, a tenore del Diritto Canonico, può partire da qualunque fedele, da qualunque istituto religioso, capitolo, diocesi o comunità. Benchè l'Arcivescovo avesse facoltà di decidere indipendentemente da altri, tuttavia Don Rua credette di agevolare il cammino assicurandosi anzitutto l'appoggio degli Ordinari diocesani del Piemonte e della Liguria, come quelli che di Don Bosco avevano una più diretta conoscenza. Quindi il 16 luglio 1889 spedì loro una lettera comune, pregandoli di manifestare a lui o all'Arcivescovo il proprio avviso. Accludeva insieme copia dell'istanza  che intendeva di umiliare al cardinale Alimonda, non appena venisse il momento opportuno. Si dichiarava pronto a inserire nella supplica quelle modificazioni o aggiunte che piacesse alle Eccellenze Loro di suggerire. Egli terminava così: “Confido che la E. V. per la grata memoria che conserva del compianto nostro Don Bosco, per il benefico influsso che le sue opere di carità e di zelo esercitarono anche in cotesta Diocesi, e [36] specialmente pel vivo desiderio che ha di propagare la gloria di Dio e la edificazione dei fedeli, cooperando all'onore di questo suo Servo, vorrà essermi largo de' suoi consigli e del suo aiuto e fin d'ora ne la ringrazio cordialmente”.

                Nella stessa lettera Don Rua aveva accennato a guarigioni che, umanamente parlando, portavano il carattere del miracolo. Un mese dopo, cioè il 16 agosto, ne presentò a ogni Vescovo alcune più attendibili, riservandosi di produrne ancora altre ai giudici delegandi sull'eventuale processo diocesano, affinchè fossero da quelli raccolte nella forma giuridica, come elementi giovevoli alla Causa, quando fosse da introdursi a Roma.

                Non di tutte le risposte conosciamo il contenuto; fra quelle che sono in nostra mano, alcune esprimono apprezzamenti degni di particolare rilievo. L'Arcivescovo di Genova, monsignor Magnasco (25 luglio): “In questi tempi sì tristi la sua memoria è una vera gloria della Chiesa”. Il Vescovo di Alessandria monsignor Salvay (II agosto): “Amico antico di quest'insigne mio coetaneo, dal quale fui più volte onorato di preziose visite, ed ammiratore costante della sua eminente virtù e delle sue grandiose opere di carità e di zelo, che lo facevano già da gran tempo proclamare gran Servo di Dio, anzi Santo, non posso non altamente encomiare detto proposito dei Sacerdoti Salesiani, figli fortunati di tanto Padre, e non unire di tutto cuore le mie più umili preghiere alle loro presso l'Em. V., perchè, giudicandolo opportuno, voglia, a gloria di Dio, a nuovo ornamento della Chiesa Cattolica, ed ove sia per piacere al Signore, come si spera, a glorificazione del Sac. Don Giovanni Bosco, accordare ai benemeritissimi Ricorrenti la grazia che saranno per implorare”. Il Vescovo di Novara monsignor Riccardi (15 agosto): “L'origine singolarmente provvidenziale delle opere create da Don Bosco; il loro rapido sviluppo, dapprima a Torino ed in Piemonte, poi in Italia ed in Europa ed anche fuori; lo spirito di carità veramente cattolica che animava Don Bosco [37] e che egli seppe mirabilmente trasfondere in tutti i suoi cooperatori; la vita di perseverante sacrificio che egli condusse e le altre esimie doti di cui diede prove manifeste, sono argomenti validissimi per arguire il grado eminente di virtù di quell'anima privilegiata, ed ampiamente giustificano la fama di santità che lo circondava in vita, che l'accompagnò in morte e che non pure perdura ma si accrebbe dopo il suo trapasso. A me pare, che quel tal carattere di fede assoluta in Dio e d'infuocato amore del prossimo ammirato nei Santi più insigni per eroismo di carità e per apostolico zelo, siasi mostrato sempre luminoso in Don Bosco, e di Lui debba dirsi che fece un bene immenso e che lo fece nel modo in cui, siccome appare dalla loro vita, lo facevano i Santi”. Il santo Vescovo di Susa monsignor Rosaz (22 agosto): “Il concetto di santità in che era ed è tenuto Don Bosco, parmi d'incontestabile notorietà [ ... ]. Parmi che Don Bosco sia di quegli uomini privilegiati, che Dio suscita per opporli alle nuove forme, alle nuove manifestazioni del male, e che Egli abbia mirabilmente corrisposto alla missione commessagli da Dio verso il prossimo, ed in modo particolare verso la gioventù, traendola con zelo e sante industrie a Gesti Cristo. La sua beatificazione, che a Dio piaccia non ritardare, porrà in gloriosa luce un gran modello agli educatori, secondo l'esigenza di questi tempi, e un protettore del Clero e di tutti”.

                Incoraggiato da si autorevoli commendatizie, Don Rua, nel secondo anniversario della morte di Don Bosco, presentò all'Arcivescovo la domanda. Questa non aveva forma personale. Nella prima settimana del settembre antecedente si era tenuto a Valsalice il quinto Capitolo generale. Orbene i suoi componenti prima di separarsi approvarono e sottoscrissero una petizione redatta per ordine di Don Rua, ed era quella appunto, di cui dicevamo avere Don Rua comunicata copia ai Vescovi subalpini e liguri. Noli avendovi i Prelati trovato nulla da cambiare, il 31 gennaio 1890 fu dal medesimo Don Rua mandata all'Arcivescovo con una [38] sua lettera di accompagnamento, nella quale si leggevano i seguenti periodi:

 

                Si compie oggi l'anno secondo dalla morte del Servo di Dio Don Giovanni Bosco, ed io aderendo al consiglio di rispettabili persone giudico propizia l'occasione di presentare alla Em. V. la qui unita supplica dei principali Superiori della Congregazione di S. Francesco di Sales.

                In essa si fa umile domanda alla Em. V. per la costruzione del processo diocesano sopra la vita e sopra le virtù del prelodato Servo di Dio, e sulle guarigioni miracolose, che dopo la sua morte diconsi operate da Dio per sua intercessione.

                La Em. V. tempo fa confidava come avesse intenzione di parlare di detto processo in una prossima adunanza dei Vescovi. Sarei lietissimo che le ragioni addotte in questa supplica fossero tolte ad esame in tale Consesso, perchè comunque si risolvesse poi la cosa potremmo sempre dire ai presenti e agli avvenire che la grave risoluzione fu presa a nonna della cristiana prudenza.

                Alla supplica unisco per copia conforme due relazioni di guarigioni, che a fede umana sembrano miracolose, redatte da Monsignor Basilio Leto dopo aver udito personalmente i testimonii oculari, da lui stesso sottoscritte e autenticate da cotesta Curia Arcivescovile.

 

                Le due guarigioni miracolose erano quelle delle torinesi signore Dellavalle e Piovano, narrate da noi nel penultimo capo del volume diciottesimo.

                La supplica dei Capitolari metteva in evidenza come si verificassero nel caso le condizioni volute dalla Santa Sede, perchè si potesse procedere all'atto invocato e accennava ai motivi impellenti che spingevano ad accelerare i tempi.

 

                               Eminenza Reverend.ma,

 

                I sottoscritti Sacerdoti della Congregazione Salesiana raccolti a Valsalice in Capitolo Generale a norma delle loro Costituzioni, colgono la propizia occasione per pregare umilmente l'Em. V. R.ma, che, usando delle facoltà dall'Apostolica Sede lasciate agli Ordinarii, voglia degnarsi di cominciare il Processo Diocesano sulla fama di santità, sulle virtù e sui miracoli del Servo di Dio Don Giovanni Bosco, morto in questa città il 31 gennaio dell'anno 1888 e qui sepolto; processo richiesto per la introduzione della causa di sua Beatificazione a Roma.

                Nel domandare all'Em. V. la costruzione di questo Processo, [39] noi ci appoggiamo specialmente alle seguenti considerazioni, delle quali l'Em. V. farà quel conto, che nella sua saviezza giudicherà nel Signore.

 

                I° Il Sac. Don Giov. Bosco in tutto il corso di sua vita ha dato prove di una virtù eminente, quale Urbano VIII nella lettera circolare, fatta dalla S. Congregazione dei Riti indirizzare ai Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi in data del 12 Marzo 1631, esige, perchè gli Ordinari debbano addivenire alla composizione del Processo Diocesano (V. LAMB., De serv. Dei Beatif., lib. II, cap. 43, n. 10). Di questa virtù eminente fanno fede migliaia di persone, che lo hanno conosciuto e praticato; ne fanno fede eziandio le molte e grandi opere di religione e di carità utilissime alla Chiesa, alle quali con uno zelo veramente apostolico il Servo di Dio ha dato vita e sviluppo in tempi difficilissimi. Tali sono fra le altre la fondazione della Pia Società di S. Francesco di Sales, le Missioni Estere estese sino agli ultimi confini della terra; più di un centinaio di collegi, Ospizi ed Oratori festivi impiantati per la cristiana educazione della gioventù di ambo i sessi; migliaia di Sacerdoti dati alla Chiesa, specialmente del Piemonte, in tempi che più ne scarseggiava; tali eziandio i molti scritti da lui composti e dati alle stampe a sostegno delle verità cattoliche, nonchè le numerose cappelle e magnifiche Chiese, erette dalle fondamenta e inaugurate al divin culto; e più altre gesta private e pubbliche ben note all'Em. V. R.ma.

 

                2° Il prelodato Servo di Dio era arricchito di doni soprannaturali, e lo dimostrò più volte, predicendo avvenimenti privati e pubblici, che umanamente non si potevano prevedere e che successero nel tempo e colle circostanze da lui prenunciate; lo dimostrò ancora scrutando e svelando il segreto delle coscienze, e sanando malati da vicino e da lontano col solo benedirli.

 

                3° Per le sue eccellenti virtù, per le sue grandiose opere di zelo e di carità, pei suoi non ordinari carismi, godè presso il popolo gran fama di santità in vita, la quale non venne meno dopo sua morte, che anzi accrebbe vie maggiormente, come dimostrano le persone innumerevoli, che privatamente si raccomandano alla sua intercessione e le frequenti visite dei fedeli al suo sepolcro, presso il quale noi siam raccolti.

 

                4° Dopo la morte del Servo di Dio molte persone afflitte per gravi disastri, oppure gravemente ammalate e dichiarate anche incurabili, essendosi raccomandate alla sua intercessione, ne ricevettero sollievo e guarigione istantaneamente o in brevissimo tempo, e domandano che le loro attestazioni siano ricevute giuridicamente.

 

                5° Benedetto XIV, nell'Opera: De Servorum Dei beatificatione [40] et Beatorum Canonizatione, nota in più luoghi l'utilità che, poste le condizioni sopra indicate, si costruisca il Processo Diocesano dum testes de visu supersunt; e segnatamente nel Decreto generale in data 23 aprile 1741, in occasione della causa del Venerabile Servo di Dio Francesco Caracciolo (ora Santo), disapprova che il Processo Ordinario per colpevole negligenza sia dilazionato sino a che  non restino più testes de visu (lib. III, cap. 30, n. 24 e 25). Ora nel caso del Sacerdote Giov. Bosco, il pericolo che i testimoni oculari vadano deperendo è evidente, perchè essendo morto nella grave età di 73 anni, i compagni e conoscenti dei primordii di sua vita ancora superstiti sono più pochi, e di qui a qualche tempo o Mancheranno affatto, oppure per vecchiaia saranno ridotti all'impossibilità di presentarsi a deporre giuridicamente.

 

                6° Per le grandi e svariate opere del Servo di Dio, pei tempi difficili in cui visse, e per le questioni e contraddizioni, a cui andò anche soggetto può darsi che sorgano dubbi e incertezze nel portar giudizio sopra fatti e detti, che gli sono attribuiti. Se questi fatti e detti si prendono giuridicamente ad esame mentre sono ancora in vita i testimoni, che  vi hanno assistito o preso parte, sarà molto più facile scoprire e mettere in chiara luce la verità, facilitando in pari tempo il còmpito ai giudici futuri nel Processi apostolici.

 

                7° Senza Apostolica dispensa, prima che si aprano gli atti del Processo Ordinario e si introduca la causa di Beatificazione a Roma, deve trascorrere un decennio, devono poscia intervenire lettere postulatorie dei Vescovi al Papa, deve farsi la ricerca e la revisione degli scritti attribuiti al Servo di Dio (la qual ricerca e revisione, stante i molti suoi manoscritti ancora inediti e moltissime operette già pubblicate può esigere un tempo anche lungo); quindi pare conveniente che si cominci al più presto possibile il Processo Diocesano lasciato in piena libertà dell'Ordinario, affinchè il tempo, che rimarrà dopo la sua presentazione a Roma, possa essere meglio impiegato nelle altre pratiche necessarie.

 

                8° Di parecchi Servi di Dio defunti a memoria nostra con fama di santità, si cominciò poco dopo la loro morte il Processo Diocesano; così fra gli altri si praticò infatti pel Ven. Giovanni Vianney, Curato d'Ars, pel P. Bernardo Clausi e pel P. Lodovico da Casoria.

 

                Noi speriamo che la Em. V. vorrà accogliere benignamente questa nostra domanda. La nostra speranza è animata dal vedere che anche i Rev.mi Vescovi del Piemonte e della Liguria, i quali furono in grado di ben conoscere le virtù eminenti e le grandi opere del Servo di Dio, sono del nostro avviso, e nutrono lo stesso desiderio, come l'Em. V. può rilevare dalle lettere che le presentiamo.

                Pregando pertanto Iddio che la illumini sul da farsi, c'inchiniamo [41] riverenti al bacio della Sacra Porpora, e siamo e saremo sempre lieti di poterci professare colla più alta stima e colla più profonda venerazione

                Dell'Em. V. R.ma

                Torino, 6 Settembre 1889.

 

Umil.mi e Obb.mi figli in G. C.

 (seguono 49 firme).

 

                Il Cardinale rispose l'8 febbraio, dicendo d'aver preso in esame la supplica, facendosi dovere d'assicurare che ne avrebbe tenuto il debito conto e riservandosi di dare le disposizioni che sarebbero del caso. Egli, pur potendo fare tutto da sè, non credette di accingervisi da solo. La sua umiltà gli dettava così. D'altro canto i Superiori non si nascondevano il pericolo che qualche Vescovo, ritenendo prematura la pratica, desse parere contrario, e questo creasse difficoltà e rinvii. Il momento propizio per la consultazione si presentò tre mesi dopo. Ai primi di maggio i Vescovi delle due province ecclesiastiche di Torino e di Vercelli convennero presso il Cardinale per affari di grande rilievo. Erano in venti e tene-vano le adunanze nel palazzo arcivescovile. Il giorno 8, interpellati in piena assemblea, risposero ad unanimità essere opportuno dar principio al processo diocesano; anzi parecchi, fra i quali i monsignori Manacorda e Richelmy, fecero i piú alti elogi del Servo di Dio. Da quel punto per il Cardinale fu cosa decisa di accogliere la domanda dei Salesiani e di darle immediatamente corso.

                Mentre questo accadeva a Torino, i due che all'inizio della pratica dovevano sostenere la parte principale, erano assenti da più d'un mese. Don Rua, visitate le case della Francia e quella di Londra, si trovava allora nel Belgio per porre la pietra fondamentale della casa di Liegi, accettata da Don Bosco due mesi circa prima di morire; e Don Bonetti, compiuta la visita in Sicilia, si aggirava per l'Italia centrale. Entrambi non furono di ritorno se non nell'imminenza della festa di Maria Ausiliatrice, che nel 1890 si celebrò ai 3 di [42] giugno; ma non si perdette tempo. Alla vigilia e nel giorno della solennità, mentre dentro e fuori del santuario i fedeli a migliaia innalzavano preci e voti alla Madonna di Don Bosco, dall'Oratorio e dalla Curia si espletarono rapidamente gli atti preliminari.

                Il primo atto preliminare consistette nella nomina del Postulatore, il cui ufficio è di promuovere gli atti della Causa, provvedere a tutte le spese necessarie, presentare i nomi dei testimoni da escutere e tutti i documenti riferentisi alla Causa, curare la stesura degli Articoli, sui quali i testimoni debbono essere interrogati e consegnarli al Promotore della fede. La funzione di Postulatore spettava di diritto a Don Rua, come ad attore della Causa; ma l'attore che non possa disimpegnare personalmente quella parte, ha facoltà di scegliersi uno che lo sostituisca. Egli dunque emanò mandato di procura a Don Bonetti, autorizzandolo pure a designarsi per ogni evenienza un vicepostulatore presso qualsiasi altra Curia[43].

                Don Bonetti, in possesso della procura, procedette tosto, il giorno 3, al secondo atto preliminare, presentando all'Arcivescovo domanda formale per l'iniziamento del processo informativo[44]. Sua Eminenza accettò l'istanza e con rescritto dello stesso giorno costituì il tribunale, intimando la prima sessione per il dì appresso. E questo fu il terzo atto preliminare.

                Il tribunale risultò così formato:

 

                Can. BARTOIOMEO ROETTI, Vic. gen., giudice delegato.

                Can. STANISLAO GAZZELLI, giudice aggiunto.

                Can. LUIGI NASI, giudice aggiunto.

                Can. MICHELE, SORASIO, promotore della fede.

                Teol. MAURO ROCCHETTI, attuario.

                Sig. PIETRO AGHEMO, cursore. [43]

                Richiedendosi pure due testes instrumentarii, che con la loro firma testificassero sulla validità degli atti, furono designati monsignor Forcheri e Don Diverio.

                Tutto compreso dell'importanza e gravità del negozio, Don Rua tre giorni dopo ne informava ufficialmente la Congregazione, ordinando speciali preghiere quotidiane per implorare gli aiuti del Cielo; raccomandava poi di rendere efficaci le comuni implorazioni mediante una condotta costantemente virtuosa. “Facciamo tutti vedere, scriveva, che non siamo alunni indegni di un Maestro, del quale la Chiesa giudicò di cominciare così presto la Causa di beatificazione”.

                Alla prima sessione presiedette il Cardinale. Invocato lo Spirito Santo con la recita del Veni Creator e letta la istanza del Postulatore e il decreto dell'Ordinario che la accettava e nominava i giudici, si passò al giuramento prescritto. Giurò, per primo il Cardinale tacto pectore; quindi il delegato, gli aggiunti, il fiscale o promotore della fede, l'attuario e il cursore.

                Essi giurarono non solo di compiere l'ufficio loro con fedeltà e diligenza, ma anche di osservare il segreto sia sulle domande che si sarebbero fatte ai testimoni che sulle deposizioni dei medesimi. I violatori avrebbero incorso ipso facto la scomunica riservata specialissimo modo al Papa. L'obbligo del segreto doveva durare fino alla pubblicazione del processo, che sarebbe avvenuto dopo l'esame di tutti i testimoni.

                Ciascuno sottoscrisse il giuramento prestato. Poi, datasi lettura del verbale, il cancelliere consegnò gli atti all'attuario che gliene rilasciò ricevuta. Prima di sciogliere l'adunanza, il Cardinale disse alcune parole. Rilevata l'importanza dell'affare, a cui sì era posto mano, e accennato al giuramento di attendervi col dovuto impegno, esortò a pregare, affinchè per intercessione della Santissima Vergine tutto si compiesse a maggior gloria di Dio e a decoro della santa Chiesa.

                La seconda sessione, presieduta ancora dal Cardinale, si tenne ai 27 di giugno. Don Bonetti presentò al tribunale [44] gli Articoli. Si indica con questo titolo un breve e chiaro prospetto della vita, delle virtù, delle opere e dei miracoli del Servo di Dio, il tutto in forma di piccoli paragrafi numerati ed espressi non in modo definitivo, ma come elementi da sottoporsi a esame. Costituiscono la base fondamentale della Causa e debbono essere provati veri per mezzo delle testimonianze. Vi si segue un ordine prestabilito: vita e opere, virtù teologali, virtù cardinali, virtù morali (povertà, umiltà, castità), eroismo delle virtù in genere, doni soprannaturali, fama di santità in vita, morte preziosa, funerali e sepoltura, fama di santità dopo morte, miracoli dopo morte. Gli Articoli presentati per Don Bosco erano in numero di 807. Il Postulatore presentò inoltre una prima nota di testimoni da escutere, riservandosi la facoltà di presentarne altri all'occorrenza. Prestò infine il così detto iuramentum calumniae, giurò cioè non solo di dire la verità, ma di non usare inganno nè frode e di non corrompere i giudici[45].

                Con questa sessione il processo ordinario era definitivamente impostato.

 

 

CAPO III.

Dal processo ordinario torinese al decreto romano della venerabilità.

 

                CÒMPITO precipuo del processo ordinario è d'inquisire sulla fama di santità, sulle virtù in genere e sui miracoli del Servo di Dio. Il tribunale, costituito come abbiamo detto sopra, incominciò i suoi lavori il 23 luglio 1890 col ricevere il giuramento dei testimoni indotti dal Postulatore e di altri citati d'ufficio. Tutti giurarono di dire la verità e di osservare il segreto sopra le domande loro fatte e le risposte da essi date, sotto pena di spergiuro e di scomunica specialissimo modo riservata al Papa.

                Vennero chiamate a deporre, com'era prescritto, persone convissute col Servo di Dio, che o avevano visto con i propri occhi la pratica delle virtù o ne avevano sentito parlare da testimoni oculari. In capo a tutti figuravano i Monsignori Bertagna e Cagliero e i Servi di Dio Don Rua e Teologo Murialdo. Nel corso del processo se ne aggiunsero poi altri, sicchè alla fine risultarono interrogati 32 testi e 13 contesti, i quali ultimi sono quelli invitati a testificare insieme con un teste ufficiale sopra qualche punto particolare.

                Finito l'esame di Monsignor Bertagna, i giudici sospesero le adunanze, chi per le ferie, chi per sue occupazioni; poi il canonico Gazzelli, avvicinandosi l'inverno, divenne sofferente e il canonico Nasi fece una caduta con frattura di una [46] gamba. Inoltre il canonico Roetti, creato Superiore della Piccola Casa del Cottolengo, non aveva più tempo di attendere al processo. Allora per consiglio di Monsignor Caprara e col consenso del canonico Sorasio, avvocato fiscale, il Cardinale scrisse fra il gennaio e il febbraio del 1891 alla Sacra Congregazione dei Riti, perchè Monsignor Segretario volesse supplicare il Santo Padre di concedere alcune facoltà speciali per facilitare il disbrigo del processo. Una di, queste facoltà era di poter eleggere giudici anche non dignitari nè laureati e in numero maggiore, sicchè, venendo a mancare uno, si avesse subito modo di supplirlo con un altro. In questo modo sarebbe stato possibile spesseggiare nelle sessioni.

                Monsignor Caprara si prese egli stesso l'assunto di parlarne al Papa il 16 febbraio; ma contrariamente alle speranze comuni il Papa, pur non disapprovando il celere cominciamento del processo, non giudicò allora opportuno accondiscendere per la ragione che la Causa veniva a troppo breve distanza dalla morte del Servo di Dio; non dovervi la Santa Sede entrare così presto; vi entrerebbe, occorrendo, in progresso di tempo; non essere quindi la concessione delle chieste facoltà negata, ma differita. Monsignore intanto suggerì il da farsi per poter proseguire: i giudici prima eletti rinunciassero al mandato e il Cardinale Arcivescovo ne eleggesse altri laureati, come esigevano le prescrizioni ecclesiastiche.

                Così fu fatto e le sedute si ripresero il 9 aprile. Il Gazzelli, giudice aggiunto, sottentrò come giudice, delegato al Roetti, cedendo il suo posto al canonico Molinari, e il canonico Ramello sostituì il Nasi; venne anche nominato un terzo giudice nella persona del canonico Pechenino. Ma sopravvennero presto due gravi contrattempi, quali furono la morte del Cardinale Alimonda e quella del Postulatore Don Bonetti, accadute rispettivamente nel maggio e nel giugno dello stesso anno 1891. Il Gazzelli, eletto Vicario Capitolare e godendo perciò dell'autorità ordinaria, diede tosto le disposizioni, perchè il processo continuasse. Egli nondimeno, nella prima seduta [47] tenutasi il 22 giugno sotto la sua presidenza, creò nuovo giudice delegato il Molinari. Quanto al Postulatore, Don Rua provvide chiamandovi Don Domenico Belmonte, Prefetto generale della Pia Società.

                Si tirò avanti così per due anni, finchè cessò di vivere il Molinari e rinunciarono il Gazzelli e il Ramello; onde il 9 novembre 1893 dal novello Arcivescovo Davide dei Conti Riccardi fu eletto giudice delegato il canonico Morozzo della Rocca e giudice aggiunto il Teologo Alasia.

                L'esame dei testimoni proseguì lungo e laborioso. Le infinite vicende avute da Don Bosco nella sua vita e le molteplici sue relazioni imponevano indagini numerose e complicate; nessuna meraviglia quindi se questo processo si protrasse per circa sette anni, chiudendosi il I° aprile 1897 nell'Oratorio Salesiano alla presenza di Monsignor Riccardi. Ricordando questa settennale fatica, Don Rua scrisse in una sua circolare, dell'8 agosto 1907: “I giudici diedero prova di molta dottrina nel raccogliere le deposizioni di molti testimoni, e cosa degna di essere ben considerata, lungi dall'essere annoiati dalla lunghezza e gravità del lavoro, se ne mostravano ogni giorno più entusiasmati”.

                Le sedute del tribunale furono 562. Le deposizioni riempirono in 22 volumi 5178 pagine di carta protocollo. Quelle di Don Rua e di Don Berto vi avevano una parte preponderante, il primo per la durata e l'intimità della convivenza con Don Bosco, il secondo per le tante contestazioni a cui dovette far fronte circa i fatti soprannaturali e le controversie col Gastaldi. Di tutto l'enorme incartamento si fece una copia autentica che, chiusa in una cassa di legno suggellata, venne consegnata alla Sacra Congregazione dei Riti, la quale doveva esaminare se si fosse svolto con tutta regolarità il processo ordinario informativo ed eventualmente proporre al Santo Padre l'introduzione della Causa mediante il processo apostolico.

                Ma l'esame di una Causa non può avere inizio, se prima [48] non venga nominato un Cardinale, cui incomba il dovere di studiarla e di riferire nelle Congregazioni destinate a discuterla. Quel Cardinale prende il nome di Ponente ossia relatore della Causa. La sua nomina è riservata al Papa. Per la Causa di Don Bosco, Leone XIII designò come Ponente il Cardinale Parocchi. Ci voleva poi un Postulatore che avesse domicilio fisso in Roma; al quale ufficio fu proposto e accettato dalla Cancelleria della Congregazione dei Riti Don Cesare Cagliero, Procuratore generale della Pia Società. Don Belmonte cambiò il suo titolo in quello di Vicepostulatore. Una parte rilevantissima è riservata al Promotore Generale della Fede presso la medesima Congregazione. Nel linguaggio comune lo si suole chiamare avvocato del diavolo, quasi facesse le parti del diavolo cercando di contestare la santità. Egli infatti deve sollevare obiezioni sia contro le testimonianze addotte sia contro le virtù e la fama di santità. Il suo ufficio corrisponde a quello del procuratore del Re nelle cause criminali. In realtà la denominazione popolare non gli conviene, perchè egli fa una parte che è tutto il contrario, essendo suo còmpito di mettere in luce tutte le difficoltà, e tutte le obiezioni, dette animadversiones, perchè vengano risolte dalla Postulazione, sicchè non rimanga il menomo dubbio. Infine si richiedono l'opera di un Avvocato, al quale affidare il patrocinio della Causa, e l'assistenza di un Procuratore che lavori con l'Avvocato.

                Prima che si potesse cominciare a Roma lo studio dell'incartamento torinese, bisognava ricercare ed esaminare tutti gli scritti attribuiti al Servo di Dio, editi o inediti che fossero: trattati, opuscoli, prediche, poesie, lettere, senza distinzione di autografi o di scritti vergati da mano altrui sotto suo dettato o di scritture in qualunque modo pubblicate per suo comando. Sarebbe tempo perso andare avanti nella Causa, se poi dovesse constare che gli scritti contengono cose contrarie alla purità della dottrina in fatto di fede e morale. Per la ricerca erasi decretato che fossero stabiliti vari centri; [49] ma poi a rendere più spedita la Causa i centri furono ridotti a uno solo, a quello cioè dove il Servo di Dio aveva avuto la sua abituale dimora. Morto nel 1898 Monsignor Riccardi, il suo successore Monsignor Agostino Richelmy per incarico della Santa Sede emanò il 25 ottobre di quell'anno un'ordinanza, nella quale “in virtù di santa obbedienza e sotto la comminazione delle consuete censure” ingiungeva a tutti i fedeli dell'Archidiocesi la consegna di detti scritti, che fossero da essi posseduti. Tale consegna si facesse a Sua Eccellenza o al Rettor Maggiore dei Salesiani o al proprio parroco. Inoltre chiunque conoscesse conservarsi scritti di Don Bosco presso qualche famiglia o in qualche archivio o biblioteca, denunciasse la cosa all'Arcivescovo o al parroco. Anche Don Rua, nella sua qualità di Superiore Generale della Pia Società, prescrisse in una sua circolare a tutti i Salesiani di mandargli subito qualsiasi scritto del Servo di Dio.

                Per l'adempimento di queste obbligazioni era stato fissato il termine di due mesi; ma la requisizione durava ancora da circa due anni, quando per non far ritardare troppo l'introduzione della Causa, fu stabilito che s'inviasse a Roma la parte già raccolta e controllata, affinchè presso la Congregazione dei Riti se ne cominciasse tosto l'esame. Erano stampe e manoscritti divisi così in nove categorie: I° Storici e scientifici (6). - 2° Catechistici e polemici (19). - 3° Biografici (17). 4° Vite di Santi (8). - 5° Vite di Sommi Pontefici da San Pietro a San Melchiade inclusivamente (20). - 6° Mariani (9). - 7° Ascetici (8). -8° Scritti ameni (5). - 9° Alcuni manoscritti intorno ai medesimi argomenti (17). - In un secondo invio si aggiunsero altri scrittarelli assai numerosi: lettere private, circolari di vario genere, documenti indirizzati alla Santa Sede o a Cardinali, opuscoli in difesa delle scuole salesiane, il Regolamento delle case con l'appendice sul sistema preventivo, convenzioni stipulate con diverse persone, pratiche o progetti per l'apertura di case salesiane, poesiole, prediche, sunti o abozzi di prediche fatte, argomenti [50] e tracce di prediche udite. Le sole copie delle corrispondenze private richiesero 1420 pagine in carta protocollo. Queste e altre copie venivano eseguite da Don Berto, archivista della Congregazione. La spedizione di tanto materiale fu fatta dall'allora Cardinale Richelmy, previo il così detto processiculus diligentiarum.

                Va sotto questa denominazione un'indagine giuridica avente per oggetto di verificare se si sia posta ogni diligenza nella ricerca degli scritti e se le copie relative rispondono esattamente agli originali. L'Arcivescovo a cui per3 delegazione della Santa Sede spettava tale investigazione come a giudice apostolico delegato, nominò il 5 giugno 1900, con l'approvazione di Roma, un subdelegato, istituendo l'apposito tribunale. Per luogo delle sedute Sua Eminenza designò l'Oratorio salesiano, dove dal 10 giugno 1900 al 30 gennaio 1901 si tennero A adunanze. Dei verbali stesi volta per volta fu rimessa copia autentica alla Congregazione dei Riti.

                Nel corso di questi lavori vennero a mancare per morte il Postulatore e il Vicepostulatore, al primo dei quali succedette Don Giovanni Marenco, nuovo Procuratore generale, e al secondo il nuovo Prefetto generale Don Filippo Rinaldi.

                A questo punto, alla chiusura cioè del processo informativo, quando sopravvivono testimoni oculari, urge affrettare il processo apostolico, ne pereant in causa probationes, vale a dire affinchè per morte di essi testimoni o per altri motivi non vadano perdute le loro preziose testimonianze. Perciò il Postulatore Don Marenco inoltrò subito la domanda che si procedesse sollecitamente alla spedizione delle così dette litterae remissoriales. Con esse il Papa ordina che una Causa sia introdotta presso la Congregazione dei Riti, la quale ne intraprende l'esame per addivenire agli ulteriori processi auctoritate apostolica. Ma perchè il Papa dia e sottoscriva tale ordine sono necessarie prima quattro cose: ultimare l'esame a Roma degli scritti, fare presso l'Ordinario il processo de [51] non cultu, preparare la positio e raccogliere le litterae postulatoriae.

                Diciamo anzitutto di queste ultime. Alla preghiera degli attori per ottenere le Remissoriali bisogna che se ne aggiungano altre d'illustri personaggi, come Cardinali, Vescovi, Principi secolari, Superiori d'Ordini religiosi, Capitoli di Canonici, pii sodalizi; il che si fa per mezzo di lettere chiamate postulatorie, indirizzate al Papa per il tramite del Postulatore. In esse si supplica vivamente il Santo Padre che si degni esaudire i voti di tanti fedeli, segnando al più presto di propria mano la commissione ossia l'ordine dell'introduzione della Causa, e vi si allegano i motivi che inducono a umiliare tale domanda. Diramato pertanto in lungo e in largo l'invito a scrivere siffatte lettere, nel biennio 1902 e 1903 il Postulatore ne ricevette 341, di Cui 23 da Eminentissimi Cardinali. Presentate al Santo Padre, furono restituite dalla Congregazione dei Riti al Postulatore, perchè, passandole al Procuratore della Causa, procurasse la stampa di una sessantina fra le più importanti.

                Le lettere non si stampano sole, ma fanno parte della Positio, preparata dall'Avvocato che ha il patrocinio della causa. Tale posizione risulta composta di altri due elementi di maggiore importanza, che sono un Summarium e un'Informatìo. L'avvocato Morani per mezzo del Procuratore Melandri fece anzitutto estrarre dal processo ordinario e stampare le deposizioni dei testi, raggruppate sotto i distinti titoli delle virtù teologali, cardinali e morali, dei voti religiosi, della fama di santità in vita e dopo morte, del decesso coi funerali e la sepoltura e dei miracoli e grazie che si attribuivano all'intercessione di Don Bosco. Siffatta compilazione è appunto il sommario, nei margini del quale si devono apporre postille latine indicanti quello che dice ivi il teste. Mentre il Procuratore attendeva a ciò, l'Avvocato stese l'informazione, composta di due parti, che erano una narrazione compendiosa della vita di Don Bosco, seguita dalla dimostrazione [52] che egli aveva esercitato le virtù in grado eroico e che di lì aveva avuto origine la sua fama di santità.

                Una terza prescrizione preliminare ingiunge che un tribunale costituito dall'Ordinario indaghi, se siasi osservato il decreto di Urbano VIII, il quale proibisce di prestare culto pubblico ecclesiastico a un Servo di Dio morto in fama di santità. Questo processo si fa dalla Curia nel cui territorio si trova la tomba, perchè specialmente presso la tomba i fedeli manifestano un culto verso i Servi di Dio. Il tribunale visita, oltre il sepolcro, la camera dove il Servo di Dio morì e qualunque altro luogo dove si possa sospettare che esista qualche segno di culto. Lo stato delle cose deve constare da prove testimoniali giudicamente raccolte. Bastano quattro testimoni, due dei quali citati d'ufficio. Il notaio descrive tutto nei verbali del processo, dei quali una copia firmata e suggellata si spedisce a Roma. Il processo fu di brevissima durata; tutto ebbe termine il 4 giugno 1904.

                Assai tempo richiese l'esame dei molti scritti, quarto lavoro preparatorio. Spetta al Cardinale Ponente affidare questo esame a Teologi Censori della Congregazione dei Riti. Lo affidò loro il Cardinale Parocchi; ma, morto lui nel 1903, ricevette i loro voti il Cardinale Tripepi, nominato Ponente dal Successore di Leone XIII. Un gruppo notevole di documenti riguardava le controversie fra Don Bosco e l'Arcivescovo Gastaldi. Pio X, uditane la relazione da Monsignor Verde, Promotore della fede, e considerato il carattere peculiare di essi, dispose che se ne facesse una revisione a parte. Per quanto concerneva la censura teologica, quelli come tutti gli altri scritti erano impeccabili; ma, data la qualità dei fatti in se stessi e la dignità delle persone interessate, apparve necessaria una trattazione esauriente per quanto potesse riflettere la discussione delle virtù. Fu dunque compilato un apposito processicolo segreto, affinchè si rendesse possibile e insieme agevole emettere un sicuro e imparziale giudizio sul contegno tenuto dal Servo di Dio [53] in sì lunga, ardua e spiacevole discordia. Il Consultore chiamato a redigere il suo votum pro veritate, stese una limpida relazione, in cui le ragioni della verità e della giustizia venivano poste in piena evidenza. Conchiudendo egli coscienziosamente dichiarava che dall'esame attento e ponderato di tutte le vertenze non si poteva rettamente desumere nulla che dovesse ritenersi come un grave impedimento a procedere ad ulteriora, nulla che minacciasse di ostacolare in seguito la normale discussione delle virtù eroiche di Don Bosco. Ciò fatto, il 22 agosto 1906 fu emanato il decreto di approvazione degli scritti.

                Era continuato intanto lo studio del Promotore della fede per trarre da tutto il materiale riferentesi alla Causa le sue animadversiones ossia obiezioni contro la legittimità delle prove e contro le virtù e la fama di santità. Le difficoltà da lui accampate vennero date alle stampe, e l'Avvocato vi contrappose pure per le stampe le sue risposte, sciogliendo quelle in modo che non rimanessero più dubbi nè oscurità. Quindi informazione, sommario, obiezioni e risposte, legati in un solo volume, quarantacinque giorni prima della data stabilita per la discussione si distribuirono, com'è prescritto, al Cardinale Ponente, al Cardinale Prefetto, a tutti i Cardinali e Prelati officiali della Sacra Congregazione dei Riti, al Segretario, al Promotore e Sottopromotore generale della fede. Finalmente il 23 luglio 1907, dopo tante altre formalità che qui non occorre descrivere, il Ponente Cardinale Vives y Tuto, succeduto al defunto Tripepi, propose nella Congregazione ordinaria il dubbio se fosse o no da sottoscrivere la Commissione ossia il mandato per l'introduzione della Causa. Udita la sua relazione, Cardinali e Consultori diedero voto favorevole, subordinatamente al beneplacito di Sua Santità. L'indomani il Santo Padre Pio X firmò la Commissione. Questa firma papale presenta la particolarità che viene segnata con placet e il nome di battesimo; nel caso nostro: Placel. Josephus. Ciò fatto, il Segretario dei Riti Monsignor [54] Panìci stese il decreto, che venne pubblicato con affissione alle porte delle chiese e riportato nel Bollettino degli Acta Apostolicae Sedis. Eccone il testo tradotto:

 

                 Dio, autore e reggitore supremo dell'umana famiglia, come in altri tempi, così pure nei nostri, col provvedere con particolare sollecitudine ai mali della società cristiana, venendole in aiuto con opportuni presidii e rimedi per mezzo di uomini eletti, insigni per luminsa e operosa virtù, i quali sembrano far tutti partecipi del loro spirito salutare e vitale e del loro ardore.

                Tra costoro, nel secolo testè trascorso, la Divina Provvidenza inviò a presidio e ornamento della sua Chiesa il sacerdote Giovanni Bosco che seguendo le orine dei santi Giuseppe Calasanzio, Vincenzo de' Paoli, Giovanni Battista de La Salle e di altri della stessa virtù e grandezza, prodigandosi tutto a tutti per tutti far salvi si dedicò interamente, con la Pia Società Salesiana, che egli stesso fondò e con altre varie opere, a condurre gli uomini all'eterna salvezza e specialmente ad educare e istruire i giovani nella religione, avviarli agli studi o alle arti.

                Il Servo di Dio nacque a Murialdo presso Castelnuovo d'Asti, da probi e pii genitori, Luigi e Margherita Occhiena, il 16 agosto 1815. Rimasto orfano del padre all'età di tre anni, crebbe sotto le amorose e vigili cure della vedova madre che dava ai figli luminoso esempio d'amore al lavoro, serietà e virtù. Fanciulletto, vivendo in casa e carissimo, si procurava il vitto attendendo al lavoro dei campi.

                A dieci anni dimostrando egli ingegno e memoria, incominciò a studiare sotto la guida del cappellano del suo paese, Don Calosso, che lo ebbe ospite e alunno gradito. Poco dopo, mortogli il maestro, ritornò al lavoro dei campi e alla pastorizia, attendendovi per qualche tempo, senza tuttavia abbandonare del tutto gli studi, finchè la pia genitrice, assecondando il desiderio del figlio, prese a mandarlo ogni giorno a Castelnuovo, distante dieci chilometri, ove, frequentando assiduamente le scuoli comunali, apprendeva al tempo stesso dal parroco del luogo i primi elementi della lingua latina.

                Trasferitosi poi a Chieri, vi percorse tutte le cinque classi del ginnasio, facendosi molto onore e riportando parecchi premi, mentre aveva cura di confermare i compagni buoni nella virtù e ricondurre i deviati sul retto sentiero. A tale scopo Giovanni, in determinati giorni ed ore, chiamava i giovani a riunioni che chiamò dell'allegria, e li tratteneva con divertimenti innocenti e adatti all'età, alternati con pratiche di pietà: tra i frutti di questa sua attività giovanile fu la conversione alla fede cattolica di un giovane israelita, la quale suscitò grande letizia tra i compagni.

                Un tal genere di vita e di occupazioni deve considerarsi come [55] la preparazione ad un più nobile stato, nella cui scelta essendo il Servo di Dio incerto, gli vennero opportunamente in aiuto il parroco di Castelnuovo, Rev. Cinzano, e specialmente il Venerabile Cafasso, i cui consigli ed esempi prese da allora a seguire.

                Volgendo l'anno 1834, ventesimo della sua età, vestì in Castelnuovo, nella chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo, nella festa titolare, l'abito clericale; e in quell'occasione scrisse alcuni salutari propositi e li lesse innanzi all'immagine di Maria Vergine, con la ferma volontà di mantenersi ad essi fedele.

                Per mezzo dello stesso Ven. Cafasso, entrò nel Seminario Arcivescovile di Chieri, dove per sei anni attese allo studio della filosofia e della teologia, riportando ogni anno un premio speciale. Si applicò pure allo studio della storia ecclesiastica, e della lingua greca, ebraica e francese, e di altre discipline. Fu per lui cagione di grande letizia l'avere ottenuto dai superiori, insieme con alcuni compagni più ferventi, tra i quali Luigi Comollo, degno di menzione e lode, di potersi accostare più volte alla settimana alla sacra mensa, contro il costume del tempo. Intanto, tra le mura del Seminario di Chieri, continuava presso i fanciulli e i giovani, così interni che esterni, l'apostolato incominciato a Murialdo e Castelnuovo

                Presi gli Ordini del suddiaconato e diaconato, pochi giorni prima di essere promosso al sacerdozio, formulò e mise in iscritto nuovi e più precisi propositi per l'avvenire. Ordinato sacerdote, disse la sua prima Messa a Torino nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, la seconda nella chiesa della Consolata, la terza e quarta a Chieri, e nel giorno del Corpus Domini a Castelnuovo con gran concorso di popolo. La sera, nel tornare a casa, passando per il luogo ove un tempo aveva avuto il presentimento del suo apostolato tra i fanciulli, rende grazie a Dio e gli rende lode col salmo 112: Laudate pueri Dominum. La pia Margherita, nel ricevere con gioia e materno affetto il suo Giovanni sacerdote, lo esorta a meditare e imitare Gesù che ha tanto patito per noi, e altro non chiede al figlio se non che preghi per lei e la ricordi sempre nella santa Messa.

                Nell'estate 1841 si portò a Torino ove, per consiglio e sotto la guida del Ven. Cafasso, attese per tre anni allo studio della teologia morale e della sacra eloquenza e al tempo stesso esercitò il ministero sacerdotale anche nelle carceri e negli ospedali. Per educare poi i fanciulli abbandonati e i giovani, prese a radunarli nei dì festivi in chiese, oratorii e altri luoghi. Sorte molte difficoltà e ostacoli e alla fine con l'aiuto di Dio superatili, si rifugiò come in porto in una casa del borgo di Valdocco presso Torino.

                La quale casa, o piuttosto spelonca, trasformata nel corso di una sola settimana in decente edificio lo stesso Servo di Dio, con la debita autorizzazione, benedisse solennemente e dedicò a Dio Ottimo Massimo in onore di San Fracesco di Sales la domenica 12 aprile del 1846. [56]

                L'Arcivescovo di Torino arricchì questo oratorio e il suo Rettore di molti privilegi e lo stesso Re Carlo Alberto lo prese sotto la sua protezione.

                Successivamente aprì altri due oratorii, uno dedicato a San Luigi Gonzaga, l'altro all'Angelo Custode, nei quali si contavano cinquecento e più giovani. Fondò anche scuole diurne, notturne e domenicali per l'istruzione dei giovani artigiani, e, crescendo sempre il numero degli scolari, scelse ed istruì parecchi, perchè negli oratorii e nelle scuole facessero da maestri.

                Nell'aprile del 1847, tocco dalla miseria e dalla sciagura di alcuni giovanetti, li ospitò a braccia aperte in una casetta che aveva presa in affitto accanto all'Oratorio ed ove abitava con la madre, con l'aiuto della quale provvedeva quanto era necessario all'educazione e al nutrimento di essi. A questa umile casa risale il principio dell'Ospizio chiamato di S. Francesco di Sales, che nel 1851 contava trenta gio­vinetti ospitati, e nel 1860, ingrandita la casa, quattrocento, e nel 1870 ottocento.

                                Da principio collocava questi giovani nei laboratori della città ad imparare ed esercitarsi in vari mestieri; e in questi laboratori si recava spesso e si informava del modo di comportarsi dei suoi giovani, e dei loro profitto. In seguito, meglio provvedendo ai loro costumi e alla loro pietà, aprì fin dal 1865 i laboratori nell'Ospizio stesso. Quelli tra essi che si distinguessero per maggior ingegno e virtù e che giudicava idonei, avviava allo studio delle lettere e delle scienze. Egli fu il loro maestro, finchè trovò cooperatori tra professori ecclesiastici e teologi, quando il Seminario diocesano fu chiuso e l'Arcivescovo di Torino Franzoni esiliato. Ia storia dell'Oratorio e dell'Ospizio fino all'anno 1870 annoverò molti sacerdoti usciti dal proprio seno, che, incaricati di sacri uffici, furono molto utili all'archidiocesi torinese e ad altre diocesi della regione piemontese.

                Nell'educare i giovani Giovanni Bosco, avendo presente la divina sentenza Initium sapientiae timor Domini, seguì il metodo della cura, vigilanza e carità preventiva; e al tempo stesso procurò che, senza mai cessare d'essere occupati, i giovani s'intrattenessero in adatti e onesti giuochi; e per questo introdusse nelle scuole popolari la ginnastica e gli esercizi musicali.

                Affinchè l'opera eretta per il bene della gioventù con l'andar del tempo, non sparisse, ma rimanesse stabile, il Servo di Dio, preso consiglio da uomini prudenti e dallo stesso Ven. Cafasso, ed anche con il concorso, dato a viva voce, del Romano Pontefice Pio IX, fondò in Torino nel 1859 la Società Salesiana e per designazione di tutti i Capitolari ne tenne la direzione col titolo di Rettor Maggiore. La Società, cresciuta e propagatasi di giorno in giorno, fu dalla Sede Apostolica nell'anno 1864 lodata e commendata e nell'anno 1869, con decreto del I° marzo, approvata e confermata. [57] Frattanto, avendo il pio sacerdote Domenico Pestarino, che aveva costituito con fanciulle del suo paese Mornese, nella diocesi di Acqui, una Congregazione detta delle Figlie di Maria alla quale fu aggiunto successivamente il titolo di Ausiliatrice,  Giovanni, pregato da lui, l'accolse come a titolo di adozione filiale, e morto nel 1872 il fondatore, vi pose a capo uno dei confratelli salesiani. Così la famiglia religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice fu ritenuta come un secondo Ordine dell'Istituto Salesiano, al quale si aggiunse poco dopo, quale terzo Ordine, la Pia Unione dei cooperatori dell'uno e dell'altro sesso, approvata il 9 maggio 1876 dalla Sede Apostolica e arricchita di privilegi e indulgenze.

                Seguirono il Bollettino Salesiano e le Letture Cattoliche, storiche, letterarie e popolari, anche per le scuole, per promuovere ed accrescere insieme con la sana dottrina l'unione e la carità fra tutti i confratelli e tener lontane le insidie e gli errori dei malvagi e degli eretici.

                Finalmente sono da ricordare le Missioni propagate e fiorenti nelle regioni d'Europa e d'America; l'Opera, detta volgarmente Figli di Maria, intesa a coltivare le vocazioni ecclesiastiche degli adulti con le sue cinquanta e più case; molte chiese decoratissime erette in diverse regioni, tra le quali primeggiano la chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino e il tempio parrocchiale romano al Castro Pretorio, edificato a richiesta di Leone XIII, e dedicato, col vasto Ospizio provveduto di varie scuole letterarie e professionali, al Sacro Cuore di Gesù.

                Non mancarono al Servo di Dio angustie e contraddizioni, che, con l'aiuto di Dio, superò con animo ossequiente e singolare pazienza e fortezza: tuttavia, stroncato da tali afflizioni e dalle assidue fatiche, il giorno 20 dicembre 1887 fu colpito dal male che durò quasi quaranta giorni, gradatamente aggravandosi. Confortato dai Sacramenti della Chiesa, a quanti andavano a trovarlo dava adatti e salutari consigli, e pregava i suoi intimi RR. Rua e Cagliero di comunicare ai Salesiani le sue ultime esortazioni. Al Cardinale Alimonda, Arcivescovo di Torino, raccomandò caldamente sè morente e la sua Congregazione. Dal Cardinale Richard, Arcivescovo di Parigi, che tornava da Roma nella sua diocesi, ottenne di essere benedetto a patto che egli stesso benedicesse a sua volta l'Arcivescovo Parigino con tutti i suoi diocesani: ciò che egli fece, obbediente.

                Durante la malattia, ricevette santamente quasi ogni giorno la divina Eucaristia e per l'ultima volta il giorno di San Francesco di Sales. Andava ripetendo: Fiat voluntas tua - In manus tuas, Domine - Maria Mater gratiae - Diligite inimicos vestros - Quaerite regnum Dei - Alter alterius onera portate - Exemplum bonorum operum. Il 31 gennaio 1888, al primo mattino, udendo il segno della campana, salutò la Beatissima Vergine esclamando Viva Maria, e poco dopo, circa le ore cinque, alla presenza dei Superiori e dei principali alunni di tutta la Società che accompagnavano con lagrime e preghiere il [58] transito del loro amato Fondatore e Maestro, Giovanni Bosco si addormentò piamente nel Signore.

                Appena si diffuse la notizia della morte, tutta la città fu immersa nel dolore e nel lutto. Una moltitudine di cittadini e forestieri accorse a visitare la salina vestita degli abiti sacerdotali ed esposta al pubblico nella chiesa di S. Francesco di Sales, dove furono celebrate solenni esequie. La salma trasportata e ricevuta con gran pompa nel Collegio delle Missioni aperto da poco tempo in Valsalice, ebbe ivi conveniente sepoltura.

                Intanto la fama di santità, che il Servo di Dio si era acquistata in vita, andò tanto crescendo dopo la morte, che istruito su di essa il Processo Ordinario, fu poi trasmesso alla Sacra Congregazione dei Riti. Quando poi ogni cosa fu pronta, e fatta la revisione degli scritti, non v'era più nulla che impedisse un ulteriore procedimento, ad istanza del Rev. Giovanni Battista Marenco, Procuratore e Postulatore generale della Congregazione Salesiana, e attese le lettere postulatorie di alcuni Eminentissimi Cardinali di S. R. Chiesa, di molti Rev.mi Vescovi nonchè Capitoli Cattedrali e Superiori d'Ordini Religiosi, l'Em.mo Sig. Cardinale Giuseppe Calasanzio Vives y Tuto Ponente ossia Relatore di questa Causa, nella Congregazione ordinaria dei Sacri Riti tenuta nel Vaticano nel giorno sotto segnato, propose per la discussione il dubbio seguente: Se debba essere firmata la Commissione d'Introduzione della Causa, nel caso e all'effetto di cui si tratta. Gli Em.mi e Rev.mi Padri preposti ai Sacri Riti, dopo la relazione fatta dallo stesso Em.mo Ponente, sentito a voce e per iscritto il R. Alessandro Verde Promotore della Fede, ed esaminata ogni cosa diligentemente, ritennero che si dovesse rispondere affermativamente doversi cioè firmare la Commissione, se piacesse a Sua Santità. 23 luglio 1907.

                Avendo poi il sottoscritto Cardinale, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti riferito al Santo Padre Pio X quanto sopra, Sua Santità, ratificando la sentenza della medesima Sacra Congregazione, si degnò di firmare di sua mano la Commissione dell'Introduzione della Causa del Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco, sacerdote, Fondatore della Pia Società Salesiana, il giorno 28 dello stesso mese ed anno.

 

Serafino Card. CRETONI

Prefetto della S. C. dei Riti.

 

                Diomede Panici

                Arcivescovo di Laodicea

                Segretario della S. C. dei Riti.

 

                Dopo questo decreto la Causa era introdotta, cioè accettata dalla Santa Sede per lo svolgimento di essa fino alla [59] canonizzazione. Per effetto del medesimo nessuna autorità ecclesiastica poteva più fare atti circa la Causa senza il permesso della Congregazione dei Riti. Al Servo di Dio dopo l'introduzione della Causa spettava il titolo di Venerabile, che non importa permesso di culto pubblico[46]. Il successore del Venerabile, interprete del sentimento comune, appena ebbe la comunicazione ufficiale del decreto, sciolse un inno di giubilo, scrivendo il 6 agosto a tutti i carissimi figli della Congregazione:

 

                Don Bosco è Venerabile! Questa è la fausta novella che da tanti anni noi sospiravamo e che finalmente sull'ali del telegrafo ci giunse la sera del 24 Luglio testè trascorso. Questo è il felice annuncio che ripetuto in tutte le lingue per mezzo dei giornali ha rallegrato il cuore di innumerevoli amici ed ammiratori di Don Bosco. Sono sicuro che per quanto remota possa essere la dimora di molti nostri Missionari, anche in quegli sterminati deserti dell'America li raggiunse la notizia di questo giocondissimo avvenimento. Tuttavia non volli darvene ufficiale comunicazione prima di poter leggere coi miei occhi il Decreto della Sacra Congregazione dei Riti e baciare con trasporto di gioia la firma dell'Augusto Pontefice Pio X che si degnò confermare il voto. E questa ineffabile consolazione mi fu concessa in questi ultimi giorni, quando il nostro carissimo Procuratore Generale, Don Giovanni Marenco, il quale ebbe tanta parte nel condurre a buon fine la pratica, venne in persona a portarci il prezioso documento.

                Don Bosco è Venerabile! Quando mi toccò notificare con mano tremante a tutta la famiglia salesiana la morte di Don Bosco, io scri­veva che quell'annuncio era il più doloroso che avessi mai dato o potessi dare in vita mia; ora invece la notizia della Venerabilità di Don Bosco è la più dolce e soave che io possa darvi prima di scendere nella tomba. A questo pensiero un inno di gioia e di ringraziamento erompe dal mio petto. Se vedemmo per tanti anni il nostro buon pa­dre accasciato sotto il peso di indicibili pene, sacrifici e persecuzioni, com'è consolante vedere la Chiesa Cattolica intenta a lavorare per la glorificazione di lui anche in faccia al mondo! Se mai ci avesse sor­preso qualche dubbio che la nostra Pia Società fosse l'opera di Dio, ora il nostro spirito può riposare tranquillo dal momento che la Chiesa col suo ineffabile magistero chiama Venerabile il nostro Fondatore. Quanto dobbiamo essere grati al Sommo Pontefice Pio X, che si degnò [60] proporre la Causa dì Don Bosco allo studio della S. Congregazione molto più presto che non si soglia fare pur trattandosi di personaggi morti in odore dì santità! Il Cardinal Vives y Tuto, Ponente della Causa di Don Bosco, porgendo le sue congratulazioni alla Pia Società Salesiana per la Venerabilità di Don Bosco parlò di lui in modo da strapparci le lacrime dì gioia e da farei stimare come uno specialissimo favore della Provvidenza l'essere suoi figliuoli. In questi giorni poi ci piovono da ogni parte lettere di congratulazione di ragguardevolissime persone che partecipano alla gioia della famiglia salesiana, Di tutto sia resa gloria a Dio, a Maria SS. Ausiliatrice; tomi ogni cosa a glorificazione di Don Bosco e si avveri la parola del Vangelo che chi si umila sarà esaltato: quí se humiliat, axaltabitur.

 

L'accenno al Cardinale Vives y Tuto vuole un chiarimento. Sua Eminenza, poche ore dopo l'udienza del Papa al Cardinale Cretoni, si recò personalmente al Sacro Cuore per fare ai Salesiani le congratulazioni più cordiali. “Io non venni soltanto, disse all'Ispettore Don Conelli, per rallegrarmi con la Congregazione, ma per raccogliermi a pregare nel tempio da Don Bosco eretto al Sacro Cuore e in quel tempio raccomandarmi a Lui come a celeste Patrono. Sono felicissimo di aver dovuto studiare a fondo la vita di Don Bosco, perchè ho potuto conoscere che egli fu un gran Santo. Già, quando si vede una Congregazione che fa veramente bene (e tale è sicuramente la loro), si può sempre dire con ragione: In fondo e alla radice vi è sicuramente un Santo. Ma io l'ho toccato con mano in questi giorni studiando la vita di Don Bosco, loro Fondatore. Che celesti carismi! Si potrebbe dire che Iddio, quasi in un cinematografo continuo, gli manifestasse il futuro della sua Congregazione, dei suoi figli ed alunni. Ma oltre ai celesti carismi, che tesori dì virtù! Un amore alla Madonna che eguaglia quello dei più grandi Santi, un amore alla Passione che gli soffocava il petto, le virtù religiose tutte in grado perfetto; e, qual contrassegno infallibile di santità, era straordinario nell'ordinario, sicchè nulla trapelava all'esterno nella sua vita comune. Veda, ho studiato assai la vita di Don Bosco, e la sua figura mi appare sempre più provvidenziale. La notte di lunedì passato, all'una e mezzo, io stavo [61] ancora studiando per la discussione di martedì mattina: vi erano otto Cardinali: riuscì favorevolissima: e creda che l'introdursi della Causa di beatificazione a soli diciannove anni dalla morte, con una vita che ha rapporti con tanti, è già prodigioso [ ... ]. La notizia del decreto interessa il mondo intero e deve apportare grazie straordinarie a tutti, secondo il proprio stato ed io per me mi sono eletto Don Bosco a mio patrono speciale”. Tale fu la sostanza del colloquio di Sua Eminenza[47].

                Il decreto del 24 luglio 1907 faceva cadere le gramaglie dalla tomba del Servo di Dio, snodava le lingue a magnificare le sue naturali e soprannaturali grandezze e incitava all'imitazione de' suoi esempi. Parve che anche il Cielo volesse ratificare l'atto. Suor Giovanna Lenci, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, teneva il letto da circa due anni, affetta da tumore all'utero. I medici non davano speranza di guarigione. Piena di fiducia nell'intercessione del Servo di Dio, intraprese una novena in suo onore, terminandola proprio il 23 luglio 1907, giorno in cui si trattava dell'introduzione della Causa davanti alla Congregazione dei Riti. Orbene quella stessa mattina, non reggendo più allo strazio del male, si pose sul petto una reliquia di Don Bosco. Assopitasi per un po' di tempo quando aperse gli occhi, vide presso la sponda del letto il Servo di Dio, che le fe' cenno di alzarsi e disparve. Si alzò difatti perfettamente guarita. Nel dì medesimo si recò al santuario di Maria Ausiliatrice e l'indomani pellegrinò a Valsalice. Mentre scriviamo, fa parte della comunità religiosa di Foglizzo.

                L'entusiasmo suscitato dal decreto si tradusse in molteplici e calorose dimostrazioni, specialmente nei luoghi dov'erano opere salesiane. Non si ha memoria che per nessun altro Venerabile si sia diffusa nel mondo tanta esultanza, si siano fatte tante feste, siansi rese così solenni azioni di grazie. [62]

                Nell'Oratorio di Valdocco fu scelto per la celebrazione il 30 gennaio 1908, vigilia del ventesimo anniversario della morte. Torino vi partecipò con tutte le sue migliori rappresentanze. Parlò, col beneplacito della Santa Sede, il Cardinale Maffi, Arcivescovo di Pisa, interpretando con nobile eloquenza i sentimenti della città che vantava e vanta Don Bosco come suo. Egli, togliendo argomento dal motto scritturale Ut palma florebil, fece vedere quanto s'assomigliasse al fiorire della palma il fiorire di Don Bosco sia nella vita che nelle opere. Una cosa egli stimò necessario notare per sè e per tutti. Rapiti dal giganteggiare di queste opere, molti, troppi si arrestano quasi nell'incanto esterno di esse nè sanno penetrarne abbastanza l'intima vitalità. “Troppe volte, diss'egli, ci fermiamo a contemplare un volto roseo e non pensiamo al cuore che pulsa per colorirlo: ammiriamo il petalo che si apre, l'arancio che s'indora, e non pensiamo alle radici pallide e nascoste, che con ansia di madre strappano al terreno la vita! La ragione, la forza dello sviluppo delle opere salesiane era nel crescere e nel palpitare dell'anima di Don Bosco: la palma si dilatava nelle foglie, perchè pura e copiosa era la linfa che di dentro l'inondava: il secreto delle sue creazioni e delle sue conquiste stava nella sua carità e nella sua virtù. Non entro nei misteri della grazia e nella economia delle sue manifestazioni: ma questo vorrei ora dedurre: le opere di religione e di carità di Don Bosco sono sgorgate dalla santità, prima e con somma cura da lui coltivata nell'anima sua”.

                L'eminente oratore che nell'ottobre del 1883 aveva visto Don Bosco nel teatro ordinario della sua azione, così descrisse quello che aveva osservato: “Dopo aver ricevuto da lui una parola e una benedizione, io lo vidi in un angolo dell'Ausiliatrice, su povera seggiola, circondato di bambini, ascoltare, dire, mandare a ricevere Gesù. Lo vidi amare, lo vidi amato, tutto a tutti pur di dare Dio a tutti e tutti a Dio, e quasi naturale e spontanea cosa allora giudicai il sorgere qui di anime apostoliche ed eroiche; e gli operai che nel lavoro lo [63] dano il Signore, e i giovani che nell'officina e nella scuola curano gelosi il loro candore, e i sacerdoti che ad una volta sono claustrali e secolari, condiscepoli e maestri, scrittori e tipografi, letterati coi Classici latini e italiani, e popolari colle Letture Cattoliche, musici ed architetti, e per le lontane regioni missionarie ancora pronti sempre e dovunque a quanto carità comanda; queste forme, queste creazioni d'uomini non mi meravigliarono: tale la pianta, tali i rami”.

                Guardando poi nell'avvenire e auspicando la pienezza del giorno, del quale era spuntata l'aurora annunciatrice, intravvide per Torino l'apoteosi di un ritorno che nessuno avrebbe potuto descrivere e in cui si sarebbe pianto di gioia non solo nelle case salesiane, ma su tutta la terra. Come l'animo presago gli divinò, così realmente avvenne.

 

 

CAPO IV.

Dai processi apostolici fino al decreto sull'eroicità delle virtù.

 

                DUE sono i processi che per autorità apostolica si fanno presso le Curie vescovili. Il primo è sulle virtù in specie del Servo di Dio, e questo consta di due parti. Nella prima che chiamasi incoativa si ricevono le sole testimonianze dei vecchi o degli ammalati, e perciò si dice anche processo ne pereant probaliones. Esaurito l'esame di siffatti testimoni, il processo viene chiuso e conservato in Curia fino a quando dalla Sacra Congregazione dei Riti venga l'ordine di fare la seconda parte detta continuativa. In questa si possono esaminare testi di ogni età e condizione e ricevere tutti i documenti che il Postulatore volesse esibire. - Terminata questa seconda parte, se ne fa la copia e tutto unito, cioè prima e seconda parte, si porta alla Sacra Congregazione dei Riti. Però non si passa al processo continuativo se non dopo che siasi fatto un altro processo apostolico super fama sanctitatis in genere, indagandone l'origine, l'estensione e il perdurare; il qual processo pure si trascrive, perchè la copia serva a Roma per la discussione del dubbio sulla fama della santità in genere.

                Sono cose che si fa presto a dire, ma la cui esecuzione è condotta con una procedura meticolosamente minuziosa, la quale porta via una somma considerevole di tempo e talvolta [65] dà luogo a sorprese. Qui non possiamo fare se non una rapida cronistoria dei processi apostolici, toccando unicamente i punti più culminanti.

                Il 4 aprile 1908 dietro richiesta del Postulatore furono spedite da Roma all'Arcivescovo di Torino le litterae remissoriales perchè facesse iniziare il processo incoativo, non prima però che fosse terminato nell'Urbe l'esame del processo ordinario de non cultu; il quale esame ebbe il suo epilogo mediante l'approvazione da parte della sezione rotale della Sacra Congregazione dei Riti il 23 giugno e la ratifica del Santo Padre l'8 luglio. Espletate quindi tutte le formalità secondarie, il 21 maggio 1909 dal Vicepostulatore Don Rinaldi venne presentata al Cardinale Richelmy, Arcivescovo di Torino, formale domanda che volesse dare esecuzione alle Remissoriali. Sua Eminenza tre giorni dopo costituì il tribunale, che invitò a radunarsi il 28. Le sessioni regolari presero tosto a svolgersi senza notevoli intervalli. 1 testimoni citati erano dodici. Secondo la prassi il processo incoativo non dura più di due anni; ma nel caso nostro la necessità di udire altri nove testi obbligò a chiedere una proroga, accordata dalla Sacra Congregazione il 13 gennaio 1911. Nel frattempo Don Marenco, creato Vescovo di Massa Carrara, aveva ceduto l'ufficio di Procuratore e di Postulatore a Don Dante Munerati.

                S'andò avanti così ancora per alcuni mesi, dopo i quali il tribunale di Torino si accinse al processo sulla fama di santità in genere. Questo si compiè in tempo relativamente breve perchè già il 9 gennaio 1913 potè essere rimesso a Roma, dove la Sacra Congregazione dei Riti il 17 seguente lo aperse e ne intraprese la revisione. L'anno appresso mori il Cardinale Ponente Vives y Tuto, a cui Pio X diede per successore il Cardinale Ferrata; ma questi pure sopravvisse meno di un anno, e Benedetto XV deputò a tale ufficio il Cardinale Vico, che il 13 e 14 luglio 1915 condusse finalmente all'approvazione e alla ratifica del processo incoativo.

A nuova domanda del Postulatore la Sacra Congregazione [66] il 2 agosto concesse le Remissoriali per la parte continuativa del processo apostolico. L'espletamento delle relative pratiche non permise di convocare a Torino la prima sessione se non il 12 febbraio 1916. In poco più di un anno furono escussi i diciannove testimoni citati. Chiuso così il processo apostolico sulle virtù in specie e durante la trascrizione degli atti, il tribunale eseguì, a tenore delle leggi ecclesiastiche, la ricognizione canonica della salma.

                La cerimonia fu compiuta dal 13 al 15 ottobre 1917 - I membri del tribunale si recarono più volte in quei giorni a Valsalice, dove li attendevano, oltre alcuni ufficiali sanitari del Municipio, i due medici periti Peynetti e Velasco. La relazione del primo ci somministra i dati, che qui esponiamo. Estratta dal loculo sepolcrale la bara e apertane la cassa esterna di legno[48], si trovò la seconda cassa avariata dall'umidità ma ben chiusa e con i sigilli intatti. Toltone il coperchio, apparve quello della terza cassa di zinco, assai guasto e in parte scomparso per una causa che risaliva a tredici anni addietro. Nel 1904 il corpo di Don Bosco, con l'autorizzazione dell'autorità civile e alla presenza del Cardinale Richelmy, era stato esumato in forma segretissima, sia per osservare in quale stato si trovasse il contenente e il contenuto, sia per appagare la pietà dei componenti il decimo Capitolo generale della Società radunati a Valsalice e desiderosi di rivedere le sembianze del loro Padre. Orbene allora uno dei medici municipali aveva voluto versare dentro la terza cassa una sovrabbondante soluzione di bicloruro di mercurio, la cui azione corrosiva aveva intaccato il metallo.

                Rimosso del tutto il coperchio di zinco, “invece del comune fetore cadaverico, scrive il Peynetti, si percepì un odore sui generis, punto sgradevole, direi quasi di grato profumo”. La salma si vedeva mummificata. Il capo leggermente volto a sinistra era coperto completamente dalla pelle quasi [67] annerita con i capelli ben conservati; sotto le palpebre ancora con ciglia e sopracciglia gli occhi erano consumati; la bocca aperta mostrava le gengive retratte, infissi ancora tre denti superiori e cinque inferiori ed essiccate le apparenti parti molli, ma non lasciava vedere la lingua; il naso ben conservato aveva la punta alquanto piegata a sinistra: così pure integro appariva il padiglione di entrambe le orecchie. Nel collo intatto si scorgeva la laringe sporgente e ricoperta de' suoi tegumenti. Le braccia stavano distese lungo il corpo con le mani pur ricoperte della pelle annerita, integre le dita e aderenti le unghie. Il corpo e gli arti superiori e inferiori erano avvolti negli indumenti: pianeta, camice, veste talare, calze, scarpe, tutto assai bene conservato, ma puranco inzuppato di sublimato corrosivo.

                L'opera di ricognizione, cominciata il sabato 13 e sospesa la domenica, ebbe termine il lunedì. Richiuse le casse e sigillate, il feretro venne ricollocato nel suo loculo, in attesa di altra ricognizione molto più solenne. D'ogni cosa si redasse apposito istrumento.

                Finita la sovraccennata trascrizione, l'incartamento fu trasmesso a Roma il 26 novembre 1918. Con questo finivano il loro còmpito essenziale i giudici ecclesiastici di Torino.

                Del tribunale torinese dicemmo nel capo secondo quanto ci parve sufficiente a dare un'idea della sua costituzione; ma delle successive modificazioni non si è più creduto necessario informare volta per volta i lettori. Non è però da tacere che col mutare dei membri non patì mai mutamento la diligente attività, alla quale rese omaggio il Rettor Maggiore Don Albera, scrivendo il 22 febbraio 1918 ai Salesiani: “Crederei di mancare a uno stretto dovere se non tributassi un ben meritato elogio e un largo attestato di riconoscenza, a nome dell'intera nostra Congregazione, ai Reverendissimi Membri del Tribunale Ecclesiastico, che per tanti anni s'imposero incredibili sacrifici per condurre a buon fine un sì [68] lungo e sì faticoso processo. Nessun compenso potrebbe essere pari al loro merito”.

                La Congregazione dei Riti aperse il 6 dicembre 1918 quegli atti, la cui revisione durò fino al io luglio dell'anno dopo. Principiò allora l'esame sulla validità del processo ordinario e del processo apostolico. A giudicare di questa validità convennero l'8 giugno 1920 i Cardinali e i Consultori della Sacra Congregazione, che, udita la relazione del Cardinale Ponente, si pronunciarono in senso favorevole. L'indomani Sua Santità ratificò il giudizio e approvò il rescritto analogo

                Ma qui sorse un incaglio ad arrestare bruscamente l'andamento delle cose. Bisogna sapere che in tutta la Causa di Don Bosco fu, se così è lecito esprimerci, vero avvocato del diavolo il Canonico Colomiatti, avvocato fiscale della Curia arcivescovile di Torino. Devoto alla memoria del suo Arcivescovo Gastaldi e persuaso, com'era stato sempre, che delle note divergenze il torto stesse tutto dalla parte di Don Bosco, non si dava requie per far trionfare la sua tesi, moltiplicando sforzi che miravano a spingere la Causa in un vicolo cieco. Non l'aveva punto scosso il supplemento d'esame su gli scritti di Don Bosco riferentisi a quelle relazioni, esame risoltosi nella magnifica sentenza che conosciamo. Dominato dalla sua idea fissa, mentre s'istruiva il processo apostolico nella Curia di Torino, aveva presentato alla Congregazione dei Riti un plico, nel quale si contenevano deposizioni contrarie sugli scritti già fuor di questione e sulla vita del Servo di Dio; inoltre era andato a confermarle oralmente in Roma e ad aggiungerne di nuove. La Congregazione trasmise tutto al Cardinale Richelmy, con le seguenti istruzioni del Segretario: “Dal contenuto delle deposizioni è facile rilevare, quanto sia necessario che il Tribunale, il quale inquisisce sulle virtù del Venerabile Don Bosco, si faccia ad investigare altresì sulla portata dei fatti asseriti dal R.mo Can. Mons. Colomiatti. E perciò sarà bene che Vostra Eminenza comunichi al Tribunale ecclesiastico, già costituito, il suddetto plico, affinché [69] a) ne faccia oggetto di studio speciale, interrogando all'uopo quei testimoni che crederà opportuno, e richiamando anche coloro che già deposero; b) indaghi intorno alle persone, dalle quali il Rev. mo Can. Mons. Colomiatti apprese i fatti che narra; se sono viventi, vengano chiamati d'ufficio; se morti, si ricerchi chi fossero, di che indole, se avessero animosità contro il Venerabile Don Bosco, e per quali ragioni. In calce all'indicato plico si trovano pure inseriti, in copia autentica, alcuni documenti, da me rinvenuti in questa Segreteria. Come poi di leggieri si comprende, occorre che il risultato di tutte queste indagini da farsi venga raccolto e trascritto in un processicolo a parte, il quale condotto che sarà a termine senza essere prosciolto dal segreto, dovrà trasmettersi, insieme col processo Apostolico sopra le virtù in specie, a questa Sacra Congregazione”.

                Il tribunale torinese, investito dall'Arcivescovo del mandato, aperse l'indagine, attendendovi con scrupolosa diligenza. Il risultato non poteva essere più favorevole alla Causa. Tuttavia, facendosi a Roma l'esame dei processi di Torino, sembrò che su questo punto sussistessero tuttora dubbi da chiarire; onde la Sacra Congregazione il 16 ottobre 1921 ordinò nuove investigazioni che servissero a illuminare meglio le menti dei Cardinali nell'atto di dare il loro voto sulla validità dei processi medesimi. Allestito il materiale occorrente, quelle difficoltà particolari furono discusse in diverse tornate, finchè il 4 luglio 1922 i Cardinali e i Consultori radunati in sessione ordinaria ne ricevettero minuto ragguaglio. La conclusione fu che, essendosi osservate esattamente le norme procedurali prescritte dal Codice di Diritto canonico e le altre istruzioni date dalla Sacra Congregazione dei Riti al tribunale delegato, i processi vennero dichiarati validi quanto alla forma; potersi quindi procedere ad ulteriora, cioè alla discussione del merito. Si era giunti così all'ultima fase della Causa, alla vigilia cioè delle tre grandi Congregazioni dette antipreparatoria, preparatoria e generale. [70]

                Diciamo alla vigilia per modo di dire, perchè vi si doveva mandare innanzi una lunga preparazione; basti sapere infatti che a queste Congregazioni precede un triplice studio. Avendo esse per oggetto di pronunciare dopo mature discussioni il voto sulla pratica delle virtù in grado eroico, bisogna in primo luogo che l'Avvocato della Causa prepari e faccia stampare un sommario delle deposizioni di tutti i processi, ordinandovi in distinti capitoli quanto occorre per provare la legittimità e l'importanza delle prove testimoniali, per illustrare la vita e le opere del Servo di Dio, per dimostrare tutte e singole le virtù teologali, cardinali e annesse esercitate in grado eroico, e la legittimità e fermezza della fama di santità fondata sull'eroismo delle virtù e accresciuta da grazie e miracoli impetrati a intercessione del Servo di Dio. A tutto questo lavoro l'Avvocato premette l'informazione generale e particolare circa le prove giuridiche e circa tutte le virtù. Secondariamente il Promotore Generale della Fede forma le sue obiezioni contro la legittimità delle prove e contro le virtù. Infine l'Avvocato risponde a tutte queste obiezioni, dissipando ogni difficoltà in modo che svanisca qualsiasi dubbio.

                Mentre fervevano questi studi, sedeva dal febbraio 1922 sulla cattedra di San Pietro il Pontefice, a cui la Provvidenza riserbava la gioia di portare Don Bosco agli onori degli altari. La gioia diciamo, perchè Pio XI, avendo, ancor giovane sacerdote, conosciuto e compreso il Servo di Dio[49], nutriva la più alta stima delle sue virtù, ne ammirava grandemente le opere e, come i fatti rivelarono da poi, anelava in cuor suo di potergli cingere la fronte con il nimbo dei Beati e l'aureola dei Santi. In quale concetto egli lo tenesse l'aveva dato già a divedere il 25 giugno 1922. Ricevendo in quel giorno i superiori e gli alunni dell'ospizio salesiano del Sacro Cuore, recatisi a rendergli omaggio, aveva rivolto loro questo paterno discorso: [71] Noi siamo, o cari fra i più cari figli in Gesù Cristo, cari a noi particolarmente come erano cari a Lui, Nostro divino modello, cari come germi del futuro e speranze dell'avvenire - noi siamo tra i più antichi - dico antico per me, e non per voi che di antichità non siete ancora consapevoli - noi siamo con profonda compiacenza tra i più antichi amici personali del Venerabile Don Bosco. Lo abbiamo visto questo vostro glorioso Padre e Benefattore, lo abbiamo visto con gli occhi nostri. Siamo stati cuore a cuore vicini a lui. È stato tra noi non breve e non volgare scambio di idee, di pensieri, di considerazioni. Lo abbiamo visto questo grande gigante e propugnatore dell'educazione cristiana, lo abbiamo osservato in quel modesto posto ch'egli si dava tra i suoi, e che era pure un così eminente posto di comando, vasto come il mondo, e quanto vasto altrettanto benefico. Siamo perciò ammiratori entusiasti dell'opera di Don Bosco, e siamo felici di averlo conosciuto e di aver potuto aiutare per divina grazia col modestissimo nostro concorso l'opera sua. Quest'opera abbiamo vista ancora in Italia, in Galizia, in Polonia, dai Carpazi al Baltico, ed abbiamo veduto i figli di quel Grande tutti consacrati all'opera di Lui così santa, così grande, così benefica.

                É perciò con particolare consolazione che ci ritroviamo in mezzo a voi oggi, un'altra volta dopo quella che il vostro piccolo interprete così felicemente rievocava, nella quale avemmo la consolazione di constatare i vostri profitti scolastici e di porgere di nostra mano ai più degni la più ambita ricompensa.

                L'animo nostro si apre a voi e vi saluta e vi felicita e si felicita di rivedervi e vi avvolge di una grande benedizione, di quella benedizione che, per mezzo del vostro interprete, voi avete domandata. É una benedizione che avvolge voi tutti qui presenti e tutti quelli che voi volete rappresentare e vogliono essere da voi rappresentati; tutti voi, ex - allievi e Soci del Circolo, che rappresentate il frutto completamente maturo, il fiore pienamente sbocciato dell'opera di Don Bosco; tutti voi interni ed esterni alunni del Collegio Sacro Cuore, e specialmente voi, orfani di guerra, che, per la vostra sventura siete i prediletti del Cuor di Gesù e che  perciò siete anche i più cari e i più prediletti al nostro cuore che, con tale benedizione, vorrebbe compensarvi della vostra sventura; tutti voi, bravi giovani Esploratori; tutti voi, che con i concerti vocali ed istrumentali avete voluto ornare questa adunanza. Voi tutti avvolge la benedizione nostra; ma sopra di voi e prima di voi essa va a coloro che della vostra educazione si occupano con particolare affetto; a coloro che, nel nome di Gesù e del Suo Servo Venerabile Don Giovanni Bosco, vengono educando la vostra giovane vita ai principii della cristiana educazione, e così vi porgono un dono e un tesoro, del quale non vi basterà la vita ad apprezzarne la preziosità, e del quale, ogni giorno, ogni ora, vi si farà più solidamente sentire l'immenso ed inestimabile valore. [72]

                Ci è impossibile vedere voi senza guardare al grande spettacolo, che sorge e si spiega dietro di voi, di migliaia, di centinaia di migliaia, di milioni ormai, di giovani, di uomini fatti, in tutte le posizioni sociali, in tutte le più svariate condizioni della vita, che alle sorgenti del Venerabile Don Bosco hanno attinto i tesori della cristiana educazione. Tale spettacolo magnifico è il monumento più grande e più glorioso che si possa elevare al vostro Padre e di fronte al quale ogni altro monumento materiale è piccola e povera cosa.

                In questa ampiezza di vedute è bello sentirei all'unisono con un'altra solenne festa, che oggi stesso si celebra a Torino in onore di quell'onore della famiglia Salesiana che è il Cardinale Cagliero. Ringraziamo Iddio di averci concesso di portare il contributo della nostra compiacenza particolare e del nostro paterno affetto verso un così generoso campione dell'opera Salesiana che - per quello che egli fece e per la generosità che in essa spiegò - fu veramente opera di missionario e di rigenerazione cristiana e civile di tutta una vasta plaga del mondo.

                E siamo lieti da lungi di vedergli sedere accanto la figura benemerita del Padre Francesia, così velata di modestia e pure così schietta e solida gloria della famiglia di Don Bosco.

                Ci è pertanto particolarmente gradito di effondere le benedizioni nostre nella bellezza di quest'ora su di voi tutti, Salesiani ed alunni vicini e lontani. Che lo Spirito di Dio scenda sopra di voi e stabilisca in voi la sua dimora e vi dia tutte le grazie e tutti i favori suoi. Esso suggelli in voi alunni quell'inestimabile beneficio della cristiana educazione, che venite ricevendo od avete ricevuto sotto la guida dei figli di Don Bosco. Che questo tesoro rimanga in voi, e maturi e porti sempre più abbondanti i frutti dei quali è inesauribile sorgente. E questa divina benedizione vi accompagni in tutti i passi della vostra vita, di quella vita che a voi tutti, piccoli o grandi, si apre ancora quasi inesplorata, e consacri ogni vostro degno sentimento, e specialmente l'impegno e il proposito di conservare in voi inviolati i beni della cristiana educazione e di propagarne il beneficio con l'esempio della fedeltà generosa ed animosa a Gesù Cristo, alla Sua Santa Fede, alla Santa Chiesa, alla Santa Sede. Questo fu infatti il privilegio, del quale il Ven. Don Bosco vi ha lasciato lo splendido ed eloquentissimo esempio, che Noi stessi abbiamo potuto leggere e sentire nel suo cuore, quando potevamo constatare, come, al disopra di ogni gloria, egli poneva quella di essere il fedele servitore di Gesù Cristo, della Sua Chiesa, del Suo Vicario!

 

                In quel medesimo anno successe al defunto Don Albera nel governo della Società Don Filippo Rinaldi, che cedette a Don Stefano Trione il suo ufficio di Vicepostulatore. Sul [73] principio poi del 1924 avvenne pure il cambiamento del Postulatore; giacchè, essendo stato Don Munerati eletto Vescovo di Volterra, sottentrò a lui il nuovo Procuratore Don Francesco Tomasetti, a cui doveva toccare la sorte di reggere il timone della grande Causa fino al trionfale ingresso nel porto.

                Gli studi anzidetti si prolungarono fino al 1925 inoltrato. Soltanto allora fu pronta la nuova posizione che ne risultò e che comprendeva l'informatio, il summarium, le animadversiones, la responsio e i voti dei teologi revisori degli scritti, il tutto stampato e legato in un volumone di mille e più ampie pagine. Ne venne distribuita una copia a circa cinquanta fra Cardinali, Consultori teologi e Consultori prelati del dicastero dei Riti. Trascorsi quindi quarantacinque giorni dalla fatta distribuzione, tutti i suddetti si radunarono nella Congregazione antipreparatoria, chiamati a rispondere se constasse avere Don Bosco praticato in grado eroico le virtù teologali, cardinali e annesse.

                L'adunanza si tenne il 30 giugno 1925 nel palazzo, com'è costume, del Cardinale Ponente. D'ordinario nell'Antipreparatoria si passa oltre, benchè talune obiezioni non si considerino ancora interamente sciolte; anzi i Consultori talvolta ne, aggiungono ivi delle nuove. Tutte poi le difficoltà superstiti, coordinate dal Promotore Generale della Fede, che era allora Monsignor Salotti, e fatte stampare anonime, si passano all'Avvocato, perchè le studi, vi risponda, formi un'altra posizione, la dia alle stampe e ne presenti una copia ai Cardinali e ai Consultori almeno un mese prima del giorno stabilito per la Congregazione preparatoria.

                La Preparatoria si riunì more solito in Vaticano, nell'aula detta delle Congregazioni, il 30 luglio 1926. Ognuno dei presenti, avendo studiato ulteriormente la Causa, diede lettura dei proprio voto o parere; indi i Consultori uscirono. Rimasti soli i Cardinali con gli Ufficiali dei dicastero il Cardinale Ponente fece la sua relazione sulle virtù e sulle difficoltà [74] sciolte o non sciolte. Spetta ai Porporati decidere se si possa andare avanti o si debba invece indire un'altra Congregazione preparatoria per uno studio più profondo di qualche difficoltà. Per la Causa di Don Bosco gli Eminentissimi stimarono necessaria una seconda Preparatoria sulle virtù eroiche per finire di abbattere alcune obiezioni[50]. Perciò vi fu un'alia nova positio con le aliae novae animadversiones del Promotore generale della Fede, e con un'alia nova responsio dell'Avvocato per un ulteriore studio dei Cardinali e dei Consultori. Finalmente nella seconda Preparatoria, indetta per il 18 dicembre 1926, i Porporati diedero voto favorevole circa lo prosecuzione della Causa.

                Era così spianata la via all'ultima discussione da farsi nella Congregazione generale, presente il Pontefice e con l'intervento dei Cardinali e dei Consultori. Vi si richiede allora una novissima positio con novissimae animadversiones e relativa responsio. La solenne assemblea ebbe luogo l'8 febbraio 1927. In essa, esaurita la discussione, Cardinali e Consultori avevano voto puramente consultivo e solo al Papa spettava la definitiva deliberazione. Pio XI, uditi i voti ad unanimità favorevoli, prese alcuni giorni per riflettere e pregare; dopo di che manifestò la sua decisione, ordinando di emettere il decreto sull'eroismo delle virtù da pubblicarsi il 20 seguente, domenica di Sessagesima.

Questa pubblicazione si fece nella forma consueta, alla presenza del Santo Padre e della sua Corte. La cerimonia rivestì una solennità insolita. Un pubblico numerosissimo gremiva la vasta aula concistoriale del Palazzo Apostolico. Vi parteciparono Superiori della Pia Società e Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, stuoli di Salesiani e di Suore, [75] rappresentanze di Cooperatori e di ex - allievi, deputazioni diocesane di Torino e di Asti, personaggi di vario grado e forestieri di passaggio a Roma. Come il Papa si fu assiso in trono, Monsignor Mariani, Segretario dei Riti, appressatosi ai gradini e ottenuto dal Santo Padre il consenso, lesse il decreto, del quale ecco la traduzione:

 

                Ben difficilmente si potrebbe dire a parole o misurare quanto siasi reso benemerito della religione e di ogni forma dell'umana civiltà, quanto decoro abbia apportato alla Chiesa Cattolica, quanti e quali eccellenti atti ed esempi di virtù abbia lasciato ai posteri il Veri. Servo di Dio Don Giovanni Bosco, che si mostrò degno Ministro e imitatore di Colui che di se stesso diceva: Sono venuto a portare il fuoco sopra la terra e che altro posso volere se non che si accenda? (LUC., XII, 89). Che se poi si vorrà mettere a confronto la mancanza di mezzi da cui il Servo di Dio era senza interruzione afflitto e le contrarietà che continuamente sofferse, colla larghezza delle sue imprese e i benefici arrecati all'umano genere, si dovrà ammirare in lui non soltanto il sacerdote acceso di zelo apostolico, ma l'inviato da Dio per venire in aiuto specialmente ai bisogni della gioventù, e non si potrà far a meno di richiamare alla mente il detto del Divin Maestro: Il regno dei cieli è simile al grano di senapa... che è bensì la più minuta di tutte le sementi, ma cresciuta che sia è maggiore di tutti i legumi e diventa albero, dimodochè gli uccelli del cielo vanno a posarsi tra i suoi rami. (MATTH., XIII, 31, 32).

                Giovanni Bosco nacque nella borgata di Murialdo presso Castelnuovo d'Asti, e i suoi genitori, non ricchi ma stimati per probità di vita, vivevano del lavoro dei campi. Non ancora uscito dall'infanzia perdette il padre, ma dalla madre superstite fu cori ogni cura istruito nei primi principii della religione cristiana.

                Fin dai primordi della vita e negli anni della fanciullezza pareva naturalmente fatto per cose grandi e meravigliose; poichè manifestava tal ricchezza di doti speciali di animo e di corpo che, a qualunque parte si fosse rivolto, dava chiaro segno di grande e straordinaria riuscita. Fin dalla prima giovinezza cominciò a sentire il desiderio di consacrarne interamente il fiore alla gloria di Dio; ma gli mancavano i mezzi per poter attendere agli studi occorrenti. Dotato di ingegno penetrante, di memoria pronta, riuscì facilmente ad accaparrarsi la benevolenza di generosi benefattori che gli spianarono la via agli studi. Trascorse con lode tutte le classi ginnasiali, entrò nel Seminario Vescovile di Chieri, dove attese con ogni impegno allo studio della Filosofia e della Teologia. E ritenuto degno delle sacre ordinazioni, appena consacrato sacerdote fu subito nominato coadiutore parrocchiale, officio nel quale diede saggio di tanta attività e tanto ardore [76] di zelo da raccoglierne in breve frutti abbondanti. Ma l'animo suo era soprattutto angustiato per la quasi completa noncuranza, a quei tempi, della cristiana educazione della gioventù; e desiderosissimo di rimediare a così grande deficienza, consacrò le sue maggiori cure e assidue fatiche soprattutto a quei fanciulli che non avevano nessuno che pensasse a loro, e si diede in ogni maniera ad assisterli, istruirli e proteggerli. E perchè non avesse in seguito a mancare alla gioventù un retto e opportuno avviamento, ritenne che fosse ottimo provvedimento l'istituire una famiglia religiosa che a ciò interamente si dedicasse.

                E un tal disegno pensò che con ogni diligenza e senza indugio si dovesse mettere in atto, e decise di consacrare tutti i doni di cui Dio l'aveva arricchito, a quest'opera sublime, a gloria del suo nome divino e per la salute delle anime. Opera veramente singolare di religione e di pietà, che da sola basta a rivelare il carattere dell'esimio sacerdote e la santità della sua vita! Poichè un'opera tale richiede fatiche immani, disagi, viaggi, una vita insomma di ardua operosità. Ma per quanto mancassero i mezzi necessari, e le privazioni tribolassero la nascente Società, e difficoltà e contraddizioni sorgessero da ogni parte, nondimeno il Venerabile Servo di Dio, implorando l'altrui carità, riuscì a provvedere quanto era necessario. Sotto l'aggravio di tante spese mai si perdette d'animo. Di molte cose aveva bisogno la Pia Società da lui formata, senza le quali non avrebbe potuto durare e tanto meno propagarsi. E assai spesso i mezzi mancavano! Che faceva egli allora? Esponeva ingenuamente i gravi bisogni della sua Società alle persone facoltose per averne generoso aiuto, senza però violentare mai la libertà della loro volontà con importune insistenze.

                Le doti e gli accorgimenti atti a formare l'ottimo precettore, sia quelli che vengono dalla natura, sia quelli che coll'esperienza si acquistano, nel Ven. Servo di Dio tutti meravigliosamente si raccoglievano. La sua parola blanda arrivava all'animo, dei giovanetti e degli alunni, li accoglieva con benevolenza patema, li ricreava con ameni discorsi, a meraviglia li addestrava alla virtù e alla pietà, come fa un padre amorevolissimo che accoglie ognuno con eguale affetto, che di ognuno ha cura particolare, che di ognuno si attira l'affezione, che tutti, uno a uno, lega a sè col dolce vincolo dell'amore.

                Tutto era soavità in lui, nè le basse voglie pareva avessero in lui radice alcuna. Scaturiva dalle sue parole una efficacia non conosciuta e quasi divina che schiariva le tenebre della mente, muoveva i cuori e li adescava all'osservanza dei precetti evangelici. Compose anche e diffuse numerosi scritti atti ad istruire la mente e a infervorare gli animi nella pietà. E così il Venerabile si dimostrava degno sacerdote di Dio, le cui labbra custodiscono la scienza, per ammaestrare gli ignoranti e scuotere i tiepidi.

                Nè cessò un momento solo dall'attendere a questo santissimo [77] impegno di dilatare e perfezionare la società da lui fondata; che anzi si diè cura di aggiungerne una seconda, che chiamò delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che si pigliasse cura delle giovinette. L'una e l'altra pose sotto la protezione di San Francesco di Sales, che egli s'era scelto a Patrono e di cui era particolarmente divoto.

                E per la stabilità e lo sviluppo delle due famiglie non solo sostenne molte fatiche, ma affrontò coraggiosamente le più difficili prove, e con animo paziente tollerò numerose molestie che venivano di là donde avrebbe potuto attendere invece valido appoggio. E oltre a ciò rivolse l'animo e le forze anche alle genti barbare e selvagge sparse per le terre più lontane e quasi inabitabili, perchè potessero partecipare agli stessi benefici.

                Guidato da quella sapienza che arriva con forza da una estremità all'altra e ogni cosa dispone con soavità (Sap., VIII, I) vide tutte le opere sue, che aveva intrapreso non per accumular guadagni e gloria umana, ma per la gloria di Dio e la salute delle anime, coronate di prospero successo, fra lo stupore di tutti e anche di coloro che volevano ignorare o sminuire la virtù di chi le compiva. Così il nome del sacerdote Giovanni Bosco acquistò tanta rinomanza che non vi è quasi luogo nel mondo dove esso non sia conosciuto e venerato.

                Dopo la sua beata morte, avvenuta l'ultimo di gennaio 1888 nel settantesimo terzo anno dell'età sua, più chiara brillò la fama di santità di sì grande uomo nella comune estimazione dei popoli, cosicchè appena quattro anni dopo già si pensò seriamente a procurargli gli onori degli altari. Per la qual cosa nella Curia Ecclesiastica di Torino si istruirono accuratamente i processi secondo le norme del diritto, sulla sua vita e sulle sue opere: quindi terminati i singoli giudizi che le nostre leggi strettamente stabiliscono di premettere, si incominciò l'esame formale delle sue virtù, il quale fu compiuto in quattro sessioni, osservando accuratamente quella lodevole severità che a tali gravissimi giudizi conferisce maggiore fede ed autorità.

                La Congregazione Antipreparatoria ebbe luogo l'ultimo di luglio 1925 presso l'Eminentissimo Cardinale Antonio Vico, relatore della Causa. Ad essa seguirono due Preparatorie nelle quali specialmente si discussero accuratissimamente i singoli e diversi voti dei giudici. Infine agli 8 corrente febbraio tutta la Sacra Congregazione dei Riti si radunò alla presenza del Santissimo Signor Nostro Pio Papa XI, ed il sullodato Eminentissimo Cardinale propose alla discussione il Dubbio seguente: Se consti delle Virtù Teologali, Fede, Speranza, Carità verso Dio e verso il prossimo, come pure delle Virtù Cardinali Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e virtù annesse, in grado eroico, del Venerabile Servo di Dio Giovanni Bosco, nel caso ed agli effetti di esso? E tutti i presenti, sia gli Eminentissimi Cardinali che i Reverendis­simi Consultori risposero affermativamente all'unanimità; la qual votazione il Santo Padre accolse con lieto animo, tuttavia differì di [78] pronunciare la sentenza decretoria ed esortò gli astanti ad aggiungere in cosa di tanta importanza fervide preghiere per impetrare maggior ricchezza di lumi celesti.

                Avendo poi stabilito di manifestare il suo pensiero, scelse il presente giorno, Domenica di Sessagesima. Pertanto, compiuto il Santo Sacrificio, chiamò a sè l'Eminentissimo Cardinale Antonio Vico, Vescovo di Porto e Santa Rufina, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti e Ponente della Causa, insieme col R. Mons. Salotti, Promotore Generale della Fede, e con me infrascritto segretario, ed alla loro presenza, seduto sul soglio Pontificio, solennemente sancì constare delle Virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il prossimo, come pure delle Virtù Cardinali, Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e delle virtù annesse del Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco, in grado eroico, nel caso ed agli effetti di esso. E comandò che questo decreto fosse pubblicato ed inserito negli atti della Sacra Congregazione dei Riti, addì 20 Febbraio 1927.

 

                Dopo la lettura, si fece avanti al trono Don Tomasetti per rendere al Santo Padre umili e sentite azioni di grazie. Avrebbe dovuto compiere quest'atto il Rettor Maggiore Don Rinaldi; ma un attacco influenzale lo riteneva a Torino. Don Tomasetti, accompagnato dall'Avvocato Monsignor Della Cioppa, dal Procuratore della Causa Commendatore Melandri e dal segretario della postulazione, rivolse al Papa il seguente indirizzo:

 

                               Beatissimo Padre,

 

                La solenne autentica dichiarazione, fatta in nome della Santità Vostra, dell'eroicità delle virtù del nostro Padre e Fondatore, Ven. Don Giovanni Bosco, ha trasformato in certezza la convinzione intima che ne hanno avuto ognora così i figli formati e cresciuti nella famigliare convivenza di lunghi anni al suo fianco, come i figli, più numerosi, che egli ha suscitati in questi quarant'anni dalla sua morte, e affidati ai suoi Successori per continuare a dilatare l'opera sua educatrice in tutto il mondo.

                L'odierna dichiarazione è per noi il favore più segnalato che la Santità Vostra ci abbia fatto, per cui la nostra riconoscenza erompe oggi dai nostri cuori con più vive fiamme di amor filiale verso la Vostra Persona, e di più profondo attaccamento e devozione alla immortale Cattedra di San Pietro.

                Per esprimere meno indegnamente la nostra gratitudine, mi occorrerebbero lo sguardo, il sorriso, la parola e soprattutto il cuore stesso di Don Bosco, che è stato in tutta la sua vita una viva personificazione[79] della riconoscenza. Vorrei avere, in questo momento, tutta la gratitudine che ha albergato nel cuore di Don Bosco verso i Santi Pontefici Pio IX, Leone XIII, e verso tutti quelli che hanno cooperato alle sue Opere, per potere dimostrare in qualche modo la riconoscenza profonda, imperitura che sentiamo e conserveremo sempre verso la Santità Vostra per il Decreto sulle virtù eroiche di Don Bosco, col quale Decreto nel nostro Padre e Fondatore ci viene additato anche il nostro modello.

                L'esemplarità di Don Bosco e delle sue virtù era per noi suoi figli e discepoli, una convinzione che ci eravamo formata per la diuturna convivenza con Lui; ma chi ci assicurava che questa nostra convinzione non fosse causata dal troppo affetto verso Don Bosco? che i metodi da Lui lasciatici, nuovi, ardimentosi per il loro spirito di modernità, sia nell'apostolato educativo della gioventù, come nella pratica della perfezione evangelica, fossero una via sicura da percorrere con animo tranquillo?

                A darci questa sicurezza non bastava certo il consolante fiori mento dei nostri Oratori festivi, Ospizi, Collegi e Missioni; non la voce quasi unanime di Em.mi Principi, Presuli e Pastori d'anime; non il consenso delle civili autorità, prima tacito e poi palese; non il plauso di illustri personaggi e di pressochè tutti i popoli delle varie Nazioni del mondo... La sicurezza ci poteva venire, e ci è venuta, oggi soltanto dalla Santità Vostra.

                Don Bosco educatore industrioso, solerte e magnifico di santità nei suoi figliuoli (quali un Domenico Savio, un Don Michele Rua, un Cardinale Cagliero, un Don Albera, un Don Beltrami, un Don Augusto Czartoryski, una suor Maria Mazzarello, per nominarne qualcuno), è proclamato con l'odierno decreto un eroe cristiano; ci è quindi proposto autorevolmente come il modello sul quale possono e debbono formarsi a vita santa quanti sono e saranno chiamati ad arruolarsi tra gli educatori moderni della gioventù, da lui costituiti in Società, ordinati ed equipaggiati di tutte le anni conformi ai tempi presenti, e necessarie per conseguire lo scopo di essere santi per poter rigenerare e santificare contemporaneamente le crescenti generazioni.

                La vita intima di Don Bosco educatore, quale egli l'ha vissuta prima di consegnarla nei metodi lasciati ai suoi figli, formerà in avvenire la norma precisa per l'attuazione del suo programma della rigenerazione e santificazione giovanile, così nei grandi e piccoli centri civili, come in mezzo alle tribù selvagge, dove, sulle piccole piante vergini e giovani, si può innestare il germe divino della Redenzione con maggiore fiducia di buoni risultati.

                Imitare Don Bosco per riprodurre in noi la sua unione ininterrotta con Dio, la sua inesauribile carità verso il prossimo, la sua prudenza, la sua incrollabile fortezza, l'affabilità che rasserena e fa gioire ogni cuore, la purezza illibata che fa detestare in sommo grado il peccato [80] e sospirare incessantemente alle cose celestiali, è, Beatissimo Padre, la missione che intensificheremo d'ora innanzi, per arrivare più facilmente a seguire l'unico Maestro, Guida e Modello, Gesù Nostro Signore e Redentore.

                A questo mirava il nostro Padre, che  ci lasciò scritto nella stia lettera - testamento: “Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore, Gesù Cristo, non morrà. Egli è sempre nostro Maestro, nostra Guida, nostro Modello!”.

                Con questo proposito d'imitazione costante del Padre Don Bosco, onde arrivare a rivestirci tutti di Gesù Cristo per il giorno della gloria e nell'attesa fiduciosa di un altro Decreto che approvi i miracoli proposti per la Beatificazione del nostro Ven. Fondatore, ripetiamo a Voi, Beatissimo Padre, l'inno di ringraziamento che prorompe dal cuore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice con tutti i loro allievi e alunne, ex allievi ed ex alunne, di ogni parte della terra, e di tutti i Cooperatori e Cooperatrici delle Opere lasciate in retaggio da Don Bosco, i quali e le quali sono tutti qui in ispirito per ricevere l'Apostolica Benedizione, a ravvivare i buoni propositi di santificare le anime nostre.

 

                Il Santo Padre allora, in un discorso pronunciato con visibile contentezza d'animo, tessè così le lodi del Venerabile:

 

                Vi sono, dilettissimi figli, degli uomini suscitati dallo spirito di Dio, nei momenti da Lui prescelti, che trascorrono per il cielo della storia proprio come le grandi meteore attraversano talvolta il cielo substellare. Tali uomini proprio come le grandi meteore che sono talvolta bellissime e talvolta terrificanti - sono di due categorie. Ci sono quelli che passano terrificando, assai più che beneficando, destando la meraviglia, lo spavento, seminando il loro cammino di segni indubitabili di grandezza enorme, di visioni rapide, di audacie incomprensibili quasi, ma pure di rovine e di vittime seminando il cammino.

                Sono di quegli uomini che Dio suscita talvolta - come il gran Côrso diceva di se stesso - come verghe e flagelli per castigare i popoli e i sovrani! Ma vi sono anche altri uomini che vengono per medicare quelle piaghe, per risuscitare la carità e ricostruire su quelle rovine; uomini non meno grandi, anzi più grandi perchè grandi nel bene, grandi nell'amore per l'umanità, grandi nel far bene ai fratelli, nel soccorrere ai loro bisogni; uomini che passano suscitando un'ammirazione vera, un'ammirazione piena di simpatia, di riconoscenza, di benedizioni, proprio come il Redentore degli uomini, l'Uomo - Dio, che passava benedicendo e facendosi benedire; degli uomini il cui nome rimane nei secoli in benedizione.

                Il Ven. Don Bosco appartiene appunto a questa magnifica categoria [81] di uomini scelti in tutta l'umanità, a questi colossi di grandezza benefica, e la sua figura facilmente si ricompone, se all'analisi minuziosa, rigorosa delle sue virtù, quale venne fatta nelle precedenti discussioni lunghe e reiterate, succede la sintesi che riunendone le sparse linee la ricostituisca bella e grande. A una figura, dilettissimi figli, che la Divina Provvidenza improntò dei suoi doni più preziosi: bella figura, che abbiamo sempre apprezzato ed ora, in questo momento, più che mai apprezziamo, riguardandola bene, duplicando e moltiplicando nel ricordo la letizia di quest'ora.

                Noi l'abbiamo veduta da vicino, questa figura, in una visione non breve, in una conversazione non momentanea: una magnifica figura, che l'immensa, l'insondabile umiltà non riusciva a nascondere; una magnifica figura, che pur avvolgendosi tra gli uomini, ed aggirandosi per casa come l'ultimo venuto, come l'ultimo degli ospiti (egli, il suscitatore di tutto), tutti riconoscevano al primo sguardo, al primo approccio tutti riconoscevano come figura di gran lunga dominante e trascinante: una figura completa, una di quelle anime che, per qualunque via si fosse messa, avrebbe certamente lasciato grande traccia di sè, tanto egli era magnificamente attrezzato per la vita.

                Forza, vigoria di mente, calore di cuore, energia di mano, di pensiero, di affetto, di opere, e luminoso e vasto ed alto pensiero, e non comune, anzi superiore di gran lunga alla ordinaria, vigoria di mente e d'ingegno, e Propria anche (cosa generalmente poco nota e poco notata) di quegli ingegni che si potrebbero chiamare ingegni propriamente detti; l'ingegno di colui che avrebbe potuto riuscire il dotto il pensatore, lo scrittore.

                Tanto che - egli stesso ce lo confidava, e non so se ad altri abbia fatto la stessa confidenza; forse la provenienza dallo stesso ambiente di libri lo ha incoraggiato - egli sentì un primo invito nella direzione dei libri, nella direzione delle grandi comprensioni ideali. E ve ne sono i segni superstiti come sparse membra, sparsi elementi - diciamo così - che dimostrano che da un primo concetto avrebbe dovuto assorgere alla composizione di un gran corpo scientifico, di una grande opera scientifica; ve ne sono i segni nei suoi volumi, nei suoi opuscoli, nella sua grande propaganda di stampa. In questa appare la grande, altissima luminosità del suo pensiero, che gli tracciò l'ispirazione di quella grande opera, della quale egli doveva riempiere prima la sua vita e poi il mondo intero; e lì si trova quel primo invito, quella prima tendenza, quella prima forma del suo potente ingegno: le opere di propaganda tipografica e libraria furono proprio le opere della sua predilezione.

                Anche questo noi vedemmo cogli occhi nostri e udimmo dalle labbra sue. Queste opere furono il suo nobile orgoglio. Egli stesso ci diceva: “In queste cose Don Bosco - così egli parlava di sè, sempre in terza persona - in queste cose Don Bosco vuol essere sempre all'avanguardia [82] del progresso”: e parlavamo di opere di stampa e di tipografia.

                La chiave d'oro di quest'aureo, preziosissimo mistero di una grande vita, così feconda, così operosa, di quella stessa invincibile energia di lavoro, di quella stessa indomabile resistenza alla fatica, fatica quotidiana e di tutte le ore - questo pure noi vedemmo - di tutte le ore, da mane a sera, da sera a mane, quando occorreva (e spesso occorreva): il segreto di tutto questo era nel suo cuore, era nell'ardore, nella generosità dei suoi sentimenti.

                E si può dire di lui, e sembrano scritte anche per lui, come per alcuni altri dei più grandi eroi della carità e dell'azione caritativa, quelle magnifiche parole: Dedit ei Dominus latitudinem cordis quasi arenam quae est in littore maris (III Reg., IV, 29). Ecco l'opera sua, che a 40 anni dalla sua morte, veramente è sparsa per tutti i paesi, per tutti i lidi sicut arena quae est in littore maris.

                                Meravigliosa visione, quella che anche per sommi capi si può avere, di una settantina di Ispettorie (come direbbesi: di Province), più di un migliaio di Case, il che vuol dire migliaia e migliaia di Chiese, di Cappelle, di Ospizi, di Scuole, di Collegi, con migliaia, anzi centinaia di migliaia, ma molte centinaia di migliaia di anime avvicinate a Dio, di gioventù raccolta in asili di sicurezza e chiamata al convito della scienza e della prima cristiana educazione.

                Sono i figli della Pia Società Salesiana, sono le Figlie di Maria Ausiliatrice, sono Professi, Novizi e Aspiranti, ormai sedicimila - e forse oggi, nell'ora che parliamo, anche più - operai ed operaie di quest'opera immensa e magnifica.

                E tra questi operai e queste operaie, più di un complessivo migliaio sono alle prime trincee, nei primi approcci al nemico, nelle missioni tra le più lontane, che  guadagnano al regno di Dio nuove Province, il maggior titolo di gloria che  Roma stessa serbava agli antichi trionfatori romani! É all'Episcopato pure ha dato quasi una ventina di Pastori, quali insediati in Diocesi civili e quali sparsi in lontane missioni.

                E cresce il conforto quando si pensa che tutto questo magnifico, questo meraviglioso sviluppo di opere, risale direttamente, immediatamente a lui, che proprio egli continua ad esser il direttore di tutto, non solo il padre lontano, ma l'autore sempre presente, sempre operante nella vivacità perenne dei suoi indirizzi, dei suoi metodi, e soprattutto dei suoi esempi!

                I suoi esempi! la parte per noi, dilettissimi figli, ancora più utile: forse unicamente utile, della grande festa di questo giorno.

                Perchè, è vero, non a tutti è dato godere di questa così larga e meravigliosa abbondanza di doni divini, di questa potente attrezzatura del pensiero, dell'affetto, delle opere; non a tutti è data la stessa misura di grazia, non a tutti è dato seguire quelle vie luminose; ma pure [83] quanto di imitabile per tutti - come fu ben opportunamente rilevato - in quella vita così operosa, così raccolta, così operante e così pregante!

                Questa infatti era una delle più belle caratteristiche di lui, quella cioè di essere presente a tutto, affaccendato in una ressa continua, assillante, di affanni, tra una folla di richieste e consultazioni, ed avere lo spirito sempre altrove: sempre in alto, dove il sereno era imperturbato sempre, dove la calma era sempre dominatrice e sempre sovrana; così che in lui il lavoro era proprio effettiva preghiera, e s'avverava il grande principio della vita cristiana: qui laborat, orat.

                Questa era e deve rimanere la grande gloria dei suoi figli e delle sue figlie. Quanto di meritorio in quella vita dimentica di sè per prodigarsi ai più piccoli, ai più umili, alle meno attraenti, se così si può dire, delle miserie!

                Anche in quella, meraviglia di opere, anche lì, dilettissimi figli, non deve la nostra debolezza trovare, per così dire, una giustificazione a se stessa. Se è vero che non tutti possono letteralmente imitare quella perfezione ed efficacia di opere - poiché troppe volte non è purtroppo vero, cristianamente e sinceramente parlando, che volere è potere, mentre è vero invece che troppe volte non si vuole abbastanza tutto quello che si può; - dalla vita e dalle opere di Don Bosco, questo - dicevamo - possiamo anche noi riconoscere e dedurre: e poichè non tutti possono ciò che vogliono e che vorrebbero, importante è che ciascuno voglia davvero quello che ciascuno può.

         Di quanto si aumenterebbe, dilettissimi figli, il bene delle anime, degli individui, delle famiglie, della società, se proprio tutti facessero quello che ciascuno può; se, nella modesta misura del suo potere, ciascuno volesse ciò che può fare di bene per sè e per gli altri!

                L'esempio di questo grande Servo di Dio sproni tutti quanti a mettersi per quella via, anche se debbono necessariamente rimanere a grande distanza da lui; per quella via, nella quale egli ha sparso tanto bene e tanta luce, tanti fulgidi esempi di cristiana edificazione.

                É con questa visione vicina e lontana che Noi prendiamo la più larga e affettuosa parte alla festa e al gaudio dei buoni Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. E pensiamo a tutti, specialmente a quelle Chiese e a quelle Terre per le quali questo giorno è in particolar modo e per particolare titolo giorno di santa e nobilissima letizia. Pensiamo alla gioia di Torino; pensiamo alla gioia di Asti; pensiamo - e come non pensarvi? - alla gioia di tutti i luoghi, di tutte le parti del mondo, perchè letteralmente non è parte del mondo in cui i figli e le figlie di Don Bosco, le Opere di Don Bosco, sempre vive, sempre in progresso di vita, non continuino a svilupparsi per la via tracciata dalla sua mano, in cui non fiorisca sempre più fresca e feconda la sua imitazione! [84]

                La benedizione apostolica pose fine alla cerimonia. Mentre il Papa, sceso dal trono, rapidamente si ritirava col suo seguito, tutta l'adunanza plaudiva commossa ed entusiasmata. La commozione e l'entusiasmo si comunicarono tosto a tutte le case salesiane, nelle quali con fervido concorso di amici risonarono ben presto alti e solenni i Te Deum del ringraziamento.

                A Torino sulla Rivista Diocesana di marzo l'Arcivescovo Cardinale Gamba, che era stato allievo dell'Oratorio, manifestò con gran calore la gioia sua e dell'Archidiocesi per l'avvenimento, essendo Don Bosco gloria torinese. “Noi, scriveva egli di Don Bosco, possiamo forse meglio di altri apprezzare la sua costante dirittura morale e l'illibata dignità della sua coscienza, che non mai si lasciò travolgere nè piegare. Sorretto da una altissima virtù interna, che è l'essenza della santità, egli passò come un trionfatore, grandeggiando al disopra di tutte le figure di politici e di grandi, che pure sembravano immortali attraverso le vicende di quell’era burrascosa”.

                Si chiudevano con quella giornata trentasette anni di processi fra ordinari e apostolici, nei quali le prove della santità erano state vagliate, a detta del decreto, con “quella lodevole severità che a tali gravissimi giudizi conferisce maggior fede e autorità”.

 

 

CAPO V.

I miracoli per la beatificazione.

 

                CON  il decreto sull'eroismo delle virtù finiva l'opera dell'uomo per arrivare alla beatificazione di Don Bosco e cominciava l'opera di Dio. Una sanzione dall'alto doveva suggellare con prove irrefutabili il giudizio della Chiesa. Queste prove erano i miracoli operati dal Signore per intercessione del Servo di Dio: miracoli ottenuti, ben inteso, dopo la sua morte e per sola sua intercessione.

                Il numero dei miracoli richiesti non è uguale per tutte le Cause. Affinchè un Servo di Dio possa essere dichiarato Beato, ci vogliono due miracoli, se i testimoni esaminati nei processi delle virtù conobbero personalmente il Servo di Dio o ricevettero sicure informazioni da coloro che personalmente lo conobbero; tre, se i testimoni del processo ordinario ebbero del Servo di Dio conoscenza personale e quelli del processo apostolico attinsero le notizie da persone degne di fede; quattro, se le testimonianze dei due processi ordinario e apostolico poggiano sulla tradizione e su documenti. Per Don Bosco dunque la breve distanza dalla morte faceva sì che bastassero due soli miracoli. Fra i molti presunti furono scelti i due che sembravano presentare minori difficoltà a condurne speditamente i processi.

                Prima di narrarli sarà bene esporre per sommi capi attraverso [86] a quale trafila pervengano i miracoli ad avere il riconoscimento canonico da parte della Chiesa. Le cose si svolgono in tre tempi. Anzitutto si fa un processo apostolico nella diocesi dove avvenne il prodigio, che quasi sempre è guarigione da grave malattia. Il Promotore Generale della Fede, ricevuti dal Postulatore gli articoli relativi al caso, fa studiare questo a un medico specialista, richiedendone tutti gli schiarimenti necessari sui sintomi del male, sul suo progresso, sulla sua diagnosi e prognosi; dopo stende gl'interrogatorii da farsi ai testi e ai medici curanti, sicchè nel processo ogni cosa venga affermata con la maggiore chiarezza ed esattezza possibile.

                Il tribunale diocesano si costituisce per autorità apostolica nel modo che l'abbiamo visto formarsi per il processo apostolico delle virtù eroiche. Vi sono tuttavia due particolarità. Una è che fa parte del tribunale anche un perito medico, incaricato di proporre le interrogazioni specifiche da rivolgersi ai testi e di suggerire le forme più convenienti per averne risposte esatte sui sintomi della malattia. Inoltre dopo l'escussione dei testi due altri periti medici, premesso il giuramento di compiere con tutta fedeltà l'incarico, visitano diligentemente la persona sanata e ne verificano lo stato generale di salute allo scopo di accertare se la guarigione sia perfetta e se non appaiano indizi di possibile recidiva.

                Del processo così ultimato si porta a Roma una copia autentica con tutte le formalità giuridiche atte a garantire da qualsiasi sospetto di alterazione. Segue poi a Roma la seconda fase della procedura.

                Quivi la Cancelleria dei Riti apre l'incartamento e ne trae una copia autentica, la quale serva per lo studio della validità, per esaminare cioè se i testimoni furono legittimamente e rettamente interrogati, e se i documenti furono giuridicamente prodotti e dichiarati autentici. Quindi, emesso il decreto della validità, l'Avvocato allestisce la posizione sui singoli miracoli, facendo stampare integralmente tutte le deposizioni [87] dei testi e tutti i documenti acquisiti. Di questo stampato che si dice Sommario, si dànno copie a due medici periti d'ufficio, i quali prestano giuramento di giudicare secondo scienza e coscienza. Si nomina per ogni miracolo il Cardinale Ponente d'accordo col Promotore Generale della Fede; possibilmente si ricorre a specialisti nelle malattie, di cui è asserita la guarigione miracolosa. Ciascun perito studia gli atti e stende il proprio voto indipendentemente dall'altro; essi anzi s'ignorano a vicenda. Se questo giudizio medico - legale di entrambi concorda nel rigetto del miracolo, non se ne parla più. Se invece dei due periti uno ravvisa il miracolo e l'altro lo contesta, se ne può discutere nella Congregazione antipreparatoria, ma per procedere alla Preparatoria, son nominati due nuovi periti. Se questi concordemente riconoscono miracolosa la guarigione, viene chiamato un terzo perito, e solo quando egli si pronuncia nel senso degli ultimi due, la Preparatoria può far procedere oltre. A tutti i periti incombe il triplice obbligo di giudicare in base ad argomenti scientificamente certi, di attestare se la guarigione sia o no reale e perfetta, e di provare se essa possa o non possa spiegarsi secondo le leggi naturali.

                Con ciò rimane compiuto il secondo lavoro, e comincia il terzo periodo nel quale entrano nuovamente in azione, come i lettori hanno già potuto intendere, le tre Congregazioni, dette antipreparatoria, preparatoria e generale, di cui parleremo più innanzi.

                Nella Causa dunque di Don Bosco la Postulazione, rappresentata prima da Don Munerati e poi da Don Tomasetti, senz'aspettare che finisse il processo apostolico delle virtù, supplicò che fossero inviate le lettere remissoriali agli Ordinari, cui spettava l'incombenza di fare i due processi apostolici dei miracoli. Uno di questi processi ebbe luogo a Torino dal 1924 al 1926, l'altro a Piacenza nel 1925 e 1926.

                La Figlia di Maria Ausiliatrice suor Provina Negro cadde ammalata nel 1905 a Giaveno, sua residenza. Aveva trenta [88] anni. Inappetenza, spossatezza, dolori alla bocca dello stomaco, bruciori alla gola e all'esofago durante la deglutizione furono i primi sintomi del male; vennero quindi i vomiti, per cui rigettava gli alimenti misti con sangue nerastro. Presto al cardio il dolore si fece intenso e abituale. Ivi di tratto in tratto l'inferma provava l'effetto come di un'incisione prodotta da tagliente lama. Sopraggiunsero in seguito intolleranza di qualsiasi vivanda e gonfiore all'epigastro. La compressione digitale trasmetteva il dolore lancinante e ardente dalla regione epigastrica al dorso. Nel sonno la svegliava a brevi intervalli e di soprassalto un dolore acuto, come se una punta di stile ne trafiggesse l'addome. I dottori Crolle di Giaveno e Forni di Torino diagnosticarono un'ulcere ventricolare o rotonda dello stomaco. A Torino la Suora rimase da ultimo stabilmente per le esigenze della cura.

                Di giorno in giorno il morbo si aggravava. La domenica 29 luglio 1906 due consorelle, venute a visitarla, le narrarono grazie portentose attribuite all'intercessione di Don Bosco e la esortarono a confidare in lui. Quando fu sola, prese a riflettere con quanta confidenza fosse stata solita di ricorrere a Don Bosco durante il suo noviziato e così di pensiero in pensiero si sentì mossa a invocarne l'aiuto. Stava sul comodino un'immagine del Servo di Dio, ritagliata dal Bollettino Salesiano. A stento la sofferente potè allungare la mano e prendere l'immagine, che tenne alcuni istanti dinanzi agli occhi dicendo: - Oh Don Bosco, vedete in che stato mi trovo! La Madre Generale mi ha detto che al suo ritorno da Nizza mi vuol vedere guarita; invece io peggioro sempre. Da me non posso fate nulla per obbedirle; se volete che obbedisca, fatemi guarire voi. - Intanto promise a Don Bosco che, guarendo, sarebbe poi più diligente nell'osservanza delle Regole.

                Fatta la preghiera, ridusse l'immagine alla forma di una pillola con l'intenzione d'inghiottirla. Il medico le aveva proibito d'inghiottire qualsiasi cosa; ma con fede la recò alla bocca e la mandò giù. Sonavano le diciannove e mezzo. In [89] quell'istante ogni dolore cessò: non più pesantore allo stomaco e al ventre, non più difficoltà a muovere le membra. Provò a scendere dal letto e lo fece varie volte senza incomodo. Non uscì però dalla stanza. Al mattino si alzò anch'essa, ma si fermò in camera ad aspettare che le si desse licenza di recarsi in cappella. Non presentandosi nessuna suora, andò dall'infermiera, che incredula le ingiunse di tornare a letto. Obbedì e attese con pazienza la visita del medico, il quale non solo le permise di alzarsi, ma anche di prendere cibo. Pochi giorni dopo Suor Provina partecipava regolarmente alla vita comune.

                Il tribunale formato a Torino dal Cardinale Gamba fu costretto dalla gravità del processo a chiedere due proroghe oltre al tempo fissato dalla Sacra Congregazione dei Riti. Vennero uditi quattordici testimoni, senza contare la graziata, cioè i due medici curanti, due sacerdoti salesiani e dieci Figlie di Maria Ausiliatrice. Assistettero al processo come periti i dottori Sympa e Peynetti. Veramente il Codice di Diritto canonico prescrive qui la presenza di un solo perito; ma il tribunale torinese fece venire da Roma il dottore Sympa, perito d'ufficio della Congregazione dei Riti, perchè vedeva la necessità di avere sicure direttive tecniche nello svolgimento della sua azione. Alla fine compierono l'accuratissima visita prescritta i dottori Sura, medico - chirurgo radiologo, e Rocca, medico - chirurgo. Entrambi rilevarono che la Suora non presentava il menomo sintomo di lesione gastrica in atto, nè il più lontano indizio di predisposizioni patologiche future.

                L'altro miracolo accadde a Castel S. Giovanni nel Piacentino. La ventitreenne Teresa Callegari nel novembre 1918 fu colta da polmonite influenzale. Fatta ricoverare dal dottor Minoia nell'ospedale, guarì dalla polmonite; ma durante la convalescenza la prese una forte dolorabilità al ginocchio sinistro con tumefazione, versamento di liquido articolare e anchilosamento. La febbre saliva abitualmente a 38 gradi. [90]

                Poi l'attacco infiammatorio si estese al ginocchio  destro e alle articolazioni dei piedi e al braccio. Si annunciava così la poliartrite infettiva.

                Per sei mesi l'inferma, condannata all'immobilità, dolorò atrocemente. Alla malattia articolare si aggiunsero allora gravi complicazioni, come catarro gastro - intestinale, disturbi vescicali con impotenza a emettere urina, stitichezza e in conseguenza una forte emorragia, che ne prostrò ancor più le forze. Inoltre dolori alla regione sacro - lombare estendentisi alle cosce la costringevano a stare sempre supina. Poi alla spina dorsale in corrispondenza della parte bassa, all'altezza della terza vertebra lombare, comparve una tumefazione grossa quasi come una noce.

                Sul finire del 1919 le condizioni presentarono un miglioramento relativo; ma la poliartrite, cronicizzatasi nell'anchilosi del ginocchio sinistro e alla colonna vertebrale, durava immutata.

                Nel gennaio dell'anno dopo i dolori si riacuirono violenti. Le cure del dottore Miotti le procurarono qualche sollievo nei mesi estivi; ma con l'ottobre si andò di male in peggio con maggior difficoltà di alimentazione, vomiti, spasimi di stomaco e diarrea. Il gennaio 1921 le apportò catarro bronchiale diffuso, enterocolite cronica ribelle a ogni cura e infine stato di marasma per l'impossibilità di nutrirsi. Il caso, a giudizio dei sanitari, doveva considerarsi ormai come disperato.

                Le cose erano a questo punto, quando un'amica suggerì all'ammalata di fare una novena a Don Bosco, al che la esortò pure la Suora assistente. Piena di speranza, Teresa ne parlò al curato Don Zanelli, che le disse di cominciare subito. Fece la novena, ma senz'alcun miglioramento; onde la meschina, convinta di non poter più guarire, pregava Don Bosco che almeno le ottenesse di fare presto una buona morte.

                In luglio Don Zanelli volle che cominciasse con fede una seconda novena. La sera dell'ottavo giorno, 16 luglio, Teresa [91] si sentiva così male, che le Suore la credettero prossima alla fine. Alle quattro del 17, dopo una notte insonne, volgendo lo sguardo dalla parte del comodino, vide avanzarsi un prete, di media statura, con le braccia incrociate, capelli neri ricciuti e occhi neri. Egli, posatale una mano sulla fronte e appoggiata l'altra sul comodino, le domandò come stesse. A una sua esclamazione di angoscia: - Alzati! - le disse con tono imperioso. Scusandosi essa per l'impossibilità: - Búgia le gambe - le soggiunse in piemontese. La donna non conosceva quel dialetto; ma, sentendo “gambe” indovinò esattamente il significato della frase, che voleva dire: - Muovi le gambe. - Ci si provò senz'altro e le mosse una dopo l'altra liberamente e senza dolore; così pure piegò i ginocchi. Tosto chiamò la Suora, gridando che era guarita. La Suora, credendo che impazzisse, venne di corsa. - Piano, le raccomandò Teresa, che non urti Don Bosco! - A tali parole Don Bosco sorrise. Ella di Don Bosco non aveva mai visto nessun ritratto; ma poichè lo pregava da parecchio, non dubitò punto che il prete fosse lui. In quella Don Bosco, alzando le mani con le palme a lei rivolte e indietreggiando sorridente, sparì come per entro a nebbia.

                Tutto questo le avvenne non in sogno, ma in piena veglia. Durante l'apparizione la vista, assai debole prima e confusa, le si era andata schiarendo, sicchè dopo distingueva nettamente gli oggetti. Buttò dunque via le coperte, scese dal letto e in quattro salti fu nella stanza vicina da una sua amica per portarle la lieta notizia. Quindi mosse incontro alle Suore, che scendevano allora nella corsia e si dirigevano attonite verso di lei. Le altre ammalate, non credendo ai loro occhi, le si erano avvicinate in camicia e la tastavano per convincersi della realtà. Essa non aveva proprio più niente. L'indomani lo confermò il dottor Miotti dopo una minuziosa visita.

                Questo medico assistette poi come perito nel processo apostolico piacentino il tribunale ecclesiastico formato dal [92] Vescovo Monsignor Menzani secondo le facoltà e le istruzioni inviategli da Roma. Comparvero dopo la graziata sedici testi. Per finire l'esame giudiziario si rese anche là necessaria una proroga. Anzi alcuni testi non poterono presentarsi a Piacenza; perciò di uno ricevette la deposizione in Roma il Promotore Generale della Fede e per gli altri furono autorizzati gli Arcivescovi di Torino e di Milano a formare due processicoli. Come periti per l'accurata visita finale vennero chiamati i dottori locali Ghisolfi e Fermi, le cui conclusioni concordarono nell'escludere ogni intervento della scienza e della natura e ogni indizio di futura ricaduta.

                Portati a Roma gli atti dei due processi e aperti quivi nelle forme giuridiche gli incartamenti parte il 18 giugno 1926, parte il 2 luglio consecutivo, cominciò la discussione della validità. Il promotore Generale della Fede sollevò parecchie difficoltà il 28 febbraio 1927 nell'adunanza ordinaria della Congregazione dei Riti; l'Avvocato vi contrappose le sue risposte in quella del 3 marzo. I Cardinali della Sacra Congregazione emisero il voto favorevole sulla validità di entrambi i processi il 22 marzo dello stesso anno; Pio XI lo confermò il dì appresso.

                Si procedette allora all'esame dei due miracoli. L'Avvocato ne riferì nell'adunanza del 29 aprile, allegando fra l'altro i giudizi degli specialisti designati dalla Sacra Congregazione, che furono per la Suora Provina Negro i dottori Feliciani e Gentile, e per la signora Teresa Callegari i dottori Sympa e Chiays. Monsignor Salotti oppose le prime difficoltà nell'adunanza del 18 dicembre e Monsignor Della Cioppa gli replicò nella medesima seduta.

                A questi preliminari tennero dietro le tre Congregazioni. L'Antipreparatoria si adunò il 24 gennaio 1928 nel palazzo del Cardinale Ponente. Ai Cardinali e ai Consultori l'Avvocato aveva, come di prammatica, presentato un mese prima la posizione stampata, contenente l'informazione, il sommario, [93] le relazioni ufficiali dei periti, le obiezioni del Promotore Generale della Vede e le risposte relative. La votazione ebbe esito favorevole, sicchè si poteva procedere oltre.

                Alla Preparatoria precedettero due discussioni in altrettante sedute ordinarie del 7 aprile e del 18 luglio 1928 con nuove difficoltà e analoghe risposte. Il consesso volle però ancora il giudizio di due periti, uno per ogni miracolo. Il dottor Persichetti rilasciò il suo parere sul miracolo di Torino e il dottore Stampa su quello di Piacenza.

                Mentre fervevano questi studi, ecco in Roma un fatto strepitoso: una guarigione operata per intercessione di Don Bosco. Suor Maria Giuseppina Massimi, agostiniana del monastero di Santa Lucia in Selci, affetta da ulcere al piloro, era ormai in fine di vita. Il confessore le consigliò una novena a Don Bosco e le diede una reliquia del Servo di Dio. Nel corso della novena la religiosa invece di migliorare, peggiorava, esaurendosi in lei visibilmente le estreme risorse della natura. Non le veniva meno però la fiducia; tant'è che, terminata quella novena, ne cominciò un'altra. Peggio che peggio! La morte sembrava imminente. Nel quinto giorno, 15 maggio, vide in sogno Don Bosco che le diceva: - Io sono qui per annunciarti la grazia. Abbi pazienza. Soffri ancora un poco. Domenica avrai la grazia. - Alla domenica mancavano quattro giorni interi. Il venerdì 18 nuovo sogno: Don Bosco le portava la tonaca nera, che le monache sogliono indossare nei giorni festivi e le rinnovò la promessa. Nel pomeriggio del sabato tutto faceva, temere che si trattasse di mere illusioni; ma l'indomani, mentre il confessore si apprestava ad amministrarle l'Estrema Unzione, quale repentino cambiamento! Un brivido la assalse da capo a piedi e in un attimo si sentì ritornare da morte a vita. Dieci giorni dopo stava così bene, che potè scrivere una particolareggiata relazione dell'accaduto. Il fatto sollevò rumore e produsse qualche impressione anche in seno alla Congregazione dei Riti; sembra [94] anzi che richiamasse pure l'attenzione del Santo Padre[51].

                La Preparatoria si apriva dunque sotto buoni auspici, sebbene non sia punto da supporre che i Cardinali dei Riti, adunati l'II dicembre 1928 nel Palazzo Apostolico Vaticano, si lasciassero menomamente influenzare dal ricordo di quel caso per dare, come diedero, favorevole il loro voto.

                Anche la Congregazione generale dopo tante indagini si annunciava di facile superamento. Tuttavia nelle due adunanze ordinarie del 6 e del 30 gennaio 1929 Monsignor Salotti tornò all'assalto con le ultime difficoltà, che Monsignor Della Cioppa potè di leggieri smantellare, cosicchè il 5 marzo alla presenza del Santo Padre i voti consultivi dei Cardinali e dei Consultori furono per l'affermazione. Il Santo Padre, a cui è riservato il deliberare, preso tempo per riflettere e chiedere lume dall'alto, finalmente il 19 marzo dopo la celebrazione del divin Sacrificio, chiamati a sè i Cardinali Laurenti, Prefetto dei Riti, e Verde, Ponente della Causa dopo la morte del Vico, e con essi i Monsignori Salotti, Promotore Generale della Fede, e Mariani, Segretario della Sacra Congregazione, entrò, seguìto da loro, in un'altra nobile aula, dove, assiso in trono, sentenziò constare dei due miracoli e ordinò la pubblicazione del relativo decreto. Di questo decreto la mattina stessa nell'aula concistoriale del Palazzo Apostolico si diede pubblica lettura. La cerimonia si svolse solenne alla presenza del Papa e della sua Corte. Assistevano larghe rappresentanze degli istituti salesiani e di quelli delle Suore, numerosi ex - allievi e molte personalità, Signore e Signori, ammessi con speciale biglietto. Monsignor Segretario, appressatosi ai gradini del trono e avutone dal Santo Padre il consenso, lesse il decreto.

 

                Con quanta copiosa abbondanza l'onnipotente Iddio abbia benedetto il suo Servo Giovanni Bosco e la Pia Società da lui istituita a [95] vantaggio ed in aiuto del popolo è messo chiaramente in luce dai doni di natura e di grazia onde lo volle arricchito, dalle opere insigni da lui compiute, dallo sviluppo e dalle nuove case della sua Pia Società aperte e consolidate in tante regioni, anche delle più lontane parti del mondo, non ostante la quasi assoluta mancanza dei mezzi occorrenti.

         Poichè il Servo di Dio, nato di povera famiglia, fin dalla prima età, si dimostrò ornato di numerose ed egregie doti, ed incominciò e condusse a compimento tali e tante opere, specialmente per l'educazione della gioventù, che  non avrebbero potuto sostenersi senza ricchezza di mezzi e prestigio di autorità. Ed egli strenuamente si affaticò a superare ogni ostacolo, a vincere ogni contrarietà, a cattivarsi colla dolcezza l'animo ed il cuore degli avversari, mostrandosi così uomo di alti sensi, non da altro mosso e sostenuto che dall'ardente desiderio della salvezza delle anime. Così si adoperò bene a formare la sua incipiente Pia Società, lavorò felicemente a svilupparla e propagarla non soltanto in più parti di Europa, ma la trapiantò perfino nelle lontane regioni dell'America. Ed ora i suoi figli, progredendo ancor più lontano fino nelle plaghe dell'Estremo Oriente, largamente compiono opera di evangelizzazione con costanza apostolica e degna di lode.

                Il Venerabile Servo di Dio, anche nelle maggiori strettezze amava usare una generosa carità, nè rimandava alcun indigente senza averlo soccorso.

                Spesso, quando ne era richiesto, svelava anche i segreti delle coscienze, prediceva il futuro, e godeva di ridonare la pace alle anime angustiate. Guariva anche le infermità corporali ed era sua delizia fare continuamente del bene a tutti. Spinto da questo santissimo desiderio, fondò anche un Istituto di sacre Vergini che intitolò Figlie di Maria Ausiliatrice, istituto anch'esso assai diffuso e che dà alla Chiesa nobili frutti di salute.

                Trapassò, diletto a Dio ed agli uomini, conservando il suo ardente desiderio di fare del bene e lasciando dolcissimo ricordo di sè in ogni ceto di persone. Subito dopo la sua morte, cominciò a correre la fama dei suoi prodigi, specialmente di guarigioni, tra cui i diligentissimi attori della causa ne scelsero due, e fattone il processo apostolico li presentarono alla Sacra Congregazione dei Riti perchè pronunciasse il suo giudizio sulla verità degli asseriti miracoli.

                La prima guarigione riguarda Suor Provina Negro, la quale affetta da ulcere rotondo allo stomaco era tormentata dai più atroci dolori. Conosciuta la maligna natura della malattia che difficilmente sarebbe guarita anche in lungo spazio di tempo, l'ammalata pensò di sperimentare l'aiuto divino, e dopo avere invocata l'intercessione del Venerabile Giovanni Bosco ed averne inghiottito con somma fiducia una reliquia, si trovò immediatamente libera e perfettamente [96] guarita. La sua guarigione fu dichiarata prodigiosa da tutti e sopra tutto dai medici.

                La seconda guarigione riguarda Teresa Callegari, afflitta da più malattie interne, che ribelli ad ogni cura l'avevano condotta allo stato di marasma, ed era dichiarata dai medici in fine di vita. Nè mal s'apponevano gli egregi dottori, poichè la gravissima malattia onde ella era travagliata, era veramente organica, comportante varie lesioni anatomiche come evidentemente dimostrarono e deposero con giuramento tre periti, all'uopo chiamati dalla Sacra Congregazione dei Riti. In tale congiuntura invocata l'intercessione del Venerabile Giovanni Bosco la predetta Teresa Callegari rimase all'istante guarita non da una sibbene da tutte le sue gravi infermità, asserendo subito e proclamando essa stessa il prodigio.

                Istituito il Processo Apostolico sulle due guarigioni, fattane accuratissima discussione e dichiaratane la legittimità, il giorno 24 gennaio 1928 si tenne la Congregazione Antipreparatoria presso il Reverendissimo Cardinale Antonio Vico di felice memoria, Relatore della Causa, e l'II dicembre dello stesso anno fu radunata la Congregazione Preparatoria nel Palazzo Vaticano. Di poi, il 5 del corrente marzo, vi fu la Congregazione Generale, alla presenza del Santissimo Signor Nostro Pio Papa XI e, proposto dal Reverendissimo Cardinale Alessandro Verde, Relatore della Causa, il quesito: Se e di quali miracoli consti nel caso ed al fine di cui si tratta, tutti gli intervenuti, sia i Reverendissimi Cardinali, che Padri Consultori, per ordine, diedero la loro risposta. Dopo di che il Santo Padre si riserbò di proferire il suo giudizio, mostrando però non dubbi segni della letizia dell'animo suo. Frattanto esortò tutti ad impetrare colla preghiera maggiore chiarezza di luce divina in cosa di tanta importanza.

                Avendo dipoi stabilito di render pubblica la sua sentenza decretoria, designò questo auspicatissimo giorno della festa di San Giuseppe, Patrono Universale della Chiesa Cattolica, venerato con particolare divozione dal Venerabile Giovanni Bosco, e dopo aver celebrato con fervore il divin Sacrificio, chiamati a sè i Reverendissimi Cardinali Camillo Laurenti, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti ed Alessandro Verde, Ponente della Causa, insieme col Rev. Mons. Carlo Salotti, Promotore Generale della Fede e l'infrascritto Segretario, alla loro presenza passò in un'altra nobile aula, sedè sul trono e decretò solennemente: constare della istantanea e perfetta guarigione di Suor Provina Negro da un ulcere rotondo allo stomaco e così pure della istantanea e perfetta guarigione di Teresa Callegari da poliartrite acuta postinfettiva e da altre lesioni che avevano ridotta la malata allo stato di marasma.

                E ordinò di pubblicare il presente decreto, e di inserirlo negli atti della Sacra Congregazione dei Riti, il 19 marzo 1929. [97]

         Dopo questa lettura il Procuratore dei Salesiani e Postulatore della Causa Don Tomasetti, accompagnato dall'Avvocato e dal Promotore della Causa, rese grazie al Santo Padre con un indirizzo, nel quale toccò pure di un recente grande avvenimento. Non era spenta ancora l'eco del giubilo che aveva corso da un capo all'altro l'Italia l'II febbraio, nella storica giornata cioè che pose felicemente termine al diuturno lacerante dissidio dello Stato Italiano con la Santa Sede. Con fine senso di opportunità Don Tomasetti rievocò la data indimenticabile e il Papa nell'allocuzione pronunciata subito dopo prese da quelle parole lo spunto per far conoscere sull'argomento della Conciliazione il pensiero genuino dì Don Bosco. Disse Don Tomasetti:

 

                               Beatissimo Padre!

 

                Mi gode infinitamente l'animo nel porgere oggi alla Santità Vostra a nome del Rev.mo Rettor Maggiore e della intera Famiglia Salesiana i più sentiti e vivi ringraziamenti per essersi degnata di ordinare il Decreto con cui si approvano i due miracoli proposti per la Beatificazione del Venerabile Don Giovanni Bosco, Fondatore della Pia Società di S. Francesco di Sales, dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani.

                Questo Decreto riempie di gioia i figli del Servo di Dio, “di questo gigante propugnatore dell'educazione cristiana”, come a Vostra Santità piacque chiamarlo in altra solenne circostanza, ma non li sorprende. Essi ben sanno, specialmente coloro che ebbero la fortuna di vivere qualche tempo vicino a lui, come la sua vita fosse talmente intessuta di fatti prodigiosi, che si poteva dire il soprannaturale intorno a Don Bosco essere diventato cosa naturale. Tanto che lo stesso Padre nostro, già fino dal 1867, all'epoca del suo secondo viaggio in Roma, come si legge in una sua lettera, “fece speciali preghiere affinchè Dio non concedesse niuna cosa clamorosa che facesse parlare del povero Don Bosco”.

                E come durante la sua vita, così dopo la sua morte ha continuato ad assistere i suoi figli ed i suoi amici con soavi e mirabili ispirazioni, a beneficare con miracoli e grazie innumerevoli i fedeli che con fiducia ricorrevano a lui.

                Ma la nostra gioia si fa ancora più viva quando, riflettendo alle mirabili vie della Provvidenza, vediamo che questo auspicato Decreto, che preludia alla solenne Beatificazione del nostro Venerabile Padre, viene ordinato dalla Santità Vostra all'indomani del grandioso [98] e storico avvenimento della composizione della Questione Romana, che formò l'ansia, il desiderio, e, perchè non dirlo? il tormento di tante anime buone, ed alla quale il Venerabile Don Bosco cooperò non poco, con tutto l'affetto e lo zelo di Sacerdote, interponendo in momenti critici, penosissimi e delicati, la sua apprezzata e felice mediazione per rendere meno tesi i rapporti fra il Governo del suo tempo e la Santa Sede. E per condurre a buon porto la sua mediazione, anch'egli saliva ed incitava a salire a più grandi altezze e per giungere ai più bei punti di vista”, a guadagnare i fastigi e le sommità dove la visione diventa - sono parole recentissime della Santità Vostra grande e sublime.

                “La mia politica - egli rispondeva al glorioso Predecessore della Santità Vostra Pio IX - è quella di Vostra Santità, è quella del Pater noster. Nel Pater noster noi supplichiamo ogni giorno che venga il Regno del Padre Celeste sulla terra, che si estenda cioè sempre più potente e glorioso: adveniat regnum tuum: ed è ciò che più importa”. Ed insisteva che si anteponesse soprattutto il bene delle anime.

                Godo sperare che tornerà gradito alla Santità Vostra il ricordo di questo documento, non a tutti noto, della conformità delle alte vedute e dei sentimenti superiori del nostro Venerabile Fondatore con i supremi, altissimi ideali che hanno guidato e condotto così felicemente la Santità Vostra a superare le immense difficoltà che si opponevano alla grande opera, che, suonata l'ora di Dio e non invano lasciata trascorrere, finalmente si è pel bene dell'Orbe universo compiuta, ridonando l'Italia a Dio, Dio all'Italia e la pace serenatrice alla coscienza di tante anime buone del mondo intero.

                Oh quanto esulterà per l'avvenuta composizione e per i grandi frutti di bene che da essa scaturiranno, il nostro Venerabile Padre, che al disopra “di ogni gloria poneva quella di essere il fedele servitore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario!”[52].

                E quanto esultano insieme con lui, e per la conseguita composizione e per la felice coincidenza dell'attuale Decreto, tutti i suoi figli e “le centinaia di migliaia, i milioni oramai di giovani, di uomini fatti in tutte le posizioni sociali, in tutte le più svariate condizioni della vita che alle sorgenti del Ven. Don Bosco hanno attinto i tesori della cristiana educazione!” - come la stessa Santità Vostra ebbe a dire nel discorso citato.

                A nome anche di tutto questi ex - Allievi, di questa più grande Famiglia Salesiana che “si gloria dell'impegno e del proposito di conservare in sè inviolati i beni della cristiana educazione e di propagarli con l'esempio della fedeltà generosa ed animosa a Gesù Cristo e al [99] suo Vicario in terra”, rinnovo alla Santità Vostra nell'entusiasmo di quest'ora tanto attesa ed auspicata i nostri più caldi, più vivi, più fervidi ringraziamenti.

 

                Come Don Tomasetti ebbe finito, Sua Santità accennò di voler parlare. L'uditorio si fece attentissimo. Per alcuni minuti, che furono in tutti di commossa aspettazione, il Papa sembrò richiamare in silenzio e coordinare la serie dei pensieri. Quindi con voce calma, vibrata e a volte tremula dall'emozione parlò in questi termini:

 

                É la voce, figli amatissimi, è la gran voce dei miracoli, la voce di Dio, qui facit mirabilia magna salus! É la voce di Dio che scende sul sepolcro, che ben possiamo chiamare glorioso - e tanto glorioso! - del suo fedel servo per rendere sempre più grandi e più fulgidi gli splendori della sua gloria.

                Ed è veramente ammirabile - per dire ciò che prima balza alla mente e al cuore - con quanta delicatezza e, quasi direi, eleganza, la divina Bontà sa combinare e far incontrare le cose e preparare gli avvenimenti.

                Difatti il decreto dei miracoli del Venerabile Giovanni Bosco, di questo gran divoto di San Giuseppe, si dovette pubblicare il giorno della festa di così glorioso Patriarca, e quando questa festa, per felice coincidenza delle cose, è finalmente giorno festivo per tutti, in uno stesso modo ed in uno stesso senso, con perfetta unione di menti e di cuori. Ci sembra che lo stesso San Giuseppe abbia voluto in certo modo incaricarsi di contribuire a premiare così questo grande, grandissimo servo di Maria, la sua Castissima Sposa, alla quale il Venerabile Giovanni Bosco tributò sempre tanto omaggio di pietà e di divozione, sotto lo speciale titolo dì Maria Ausiliatrice, indivisibile ormai dal nome suo, e dalla sua opera e dalle sue innumerevoli diramazioni in tutte le parti dei mondo.

                E non meno bella, delicata e significativa risulta quest'altra coincidenza di cose che è stata con tanta opportunità ricordata. Dopo un avvenimento per cui oggi e per molto tempo ancora il mondo intero, pieno di esultanza, con Noi ringrazia il Signore, all'indomani di questo evento risuona la proclamazione dei miracoli di Don Bosco, di questo veramente fedele e sensato Servo della Chiesa di Cristo, di questa Santa Sede Romana. Veramente - come Noi lo abbiamo potuto udire dalle sue stesse labbra - questa composizione di così deplorevole dissidio, stava proprio in cima ai pensieri della sua mente ed agli affetti del suo cuore, ma come poteva esserlo in un Servo veramente sensato e fedele: non col desiderio di una conciliazione qualunque, come molti erano andati fantasticando, arruffando e confondendo [100] le cose, ma in modo tale che, prima di tutto, restasse assicurato l'onore di Dio, il prestigio della Chiesa ed il bene delle anime.

                Dicevamo che questo lo avevamo potuto ascoltare dalle sue stesse labbra, ed anche in questo riconosciamo un'altra mirabile disposizione di Dio, un'altra delle sue delicatissime combinazioni. Sono già trascorsi 46 anni e ci sembra ieri, ci sembra anzi oggi, ci sembra di vederlo ancora come allora lo abbiamo visto e lo abbiamo ascoltato, trascorrendo alcuni giorni in sua compagnia, vivendo sotto lo stesso tetto, sedendoci alla stessa mensa e avendo più volte la fortuna di poterci intrattenere lungamente con lui nonostante la ressa indescrivibile delle sue occupazioni; poichè era questa una delle sue caratteristiche più impressionanti: una calma somma, un dominio del tempo, che lo faceva attendere a tutti quelli che a lui accorrevano, con tanta tranquillità come se non avesse null'altro da fare. Fu questa una delle perfezioni, e non la più piccola, che potemmo ammirare in lui, alle quali non manca neppure il dono della profezia, che, ciononostante, - aggiunse sorridendo Sua Santità - non arrivò al punto di prevedere ciò che oggi è successo! Chi avrebbe detto allora che, dopo tanti anni, in seguito ad un avvenimento così grandioso, come quello che poco tempo fa abbiamo ricordato con tanto giubilo, avremmo avuto quest'altro incontro solenne, Egli, Don Bosco, risplendente per la luce dei miracoli, e Noi, nel momento di proclamare solennemente e con l'autorità dei decreti della Chiesa, questi stessi miracoli, la cui luce risplende ora sopra la sua tomba preparando il sommo onore degli altari?

                E questi miracoli la cui proclamazione avete ascoltato, questi miracoli evidentissimi per quanti lo conoscono - e chi non lo conosce nel mondo intiero? - non sono se non una mostra di quelli che, sotto ogni rispetto, brillano nella figura di Don Bosco. Sono innumerevoli in realtà i miracoli che, tanto nella sua vita come dopo la sua morte, con la meravigliosa continuazione dell'opera sua, Dio Signor Nostro ha voluto operare per l'intercessione del suo fedele Servo. E questi, che sono stati scelti fra molti, per essere sottoposti ad un più coscienzioso esame, in procedimenti giuridici più rigorosi, non sono, come dicevamo, nulla più che una rappresentanza, che necessariamente si doveva far constatare in forma giuridica. Sono evidenti e bellissimi, ma ve ne sono molti altri, in gran numero e non meno belli e splendidi, ed emergono, fra essi, non pochi per la loro divina eleganza, tanta è la evidenza magnifica delle cose e degli avvenimenti!

                Ma vi sono nel Venerabile Giovanni Bosco molte altre cose mirabili; e quelli che abbiamo letto alcune delle molte Vite del Servo di Dio (e ve ne sono senza numero, pubblicate in varie lingue) e quelli che ancor le leggeranno in avvenire, si saranno dati perfetto conto del come abbondi il miracolo e fino a qual punto sia vero - come molto opportunamente fu ricordato - che, nella vita di Don Bosco, [101] il soprannaturale era divenuto naturale, lo straordinario quasi ordinario. Gli è, o amatissimi figli, che questi doni e fatti così straordinari, erano quasi altrettante stelle scintillanti sopra un cielo, già di per sè splendido e sereno, che si aggiungevano per dare un risalto sempre più magnifico ad una vita che era già di per sè tutta un miracolo, miracolo di azione, miracolo di opere.

                Nella bolla di Canonizzazione di San Tommaso d'Aquino è detto - con frase felicissima - che, nel caso che non vi fosse stato altro miracolo, ciascun articolo della sua meravigliosa Summa Theologica costituiva un vero miracolo. E anche Noi possiamo dire molto bene che ogni anno della vita di Don Bosco, ogni impresa della sua vita mortale ed ogni momento della sua vita postuma, della sopravvivenza delle sue opere, nei suoi figli i Salesiani e nelle sue figlie, le Figlie di Maria Ausiliatrice, costituiscono ognuno un miracolo, una non interrotta serie di miracoli.

                Quando si pensa alla solitudine campestre dei Becchi, ove il povero fanciullo pasceva il gregge paterno, ai primi ed umili principi nell'Ospedaletto di Santa Filomena e poi agli altri già rivelatori e significativi (per chi sapeva comprenderli) di Valdocco: quando si considera questo povero ed umile sacerdote che dà principio con nulla alle più grandi imprese, come al Santuario di Maria Ausiliatrice che Egli incominciò con quaranta centesimi in tasca, e poi diamo uno sguardo intorno a noi, e ci troviamo di fronte a questo fiorire continuo di opere, a questa triplice famiglia di Salesiani propriamente detti, di Figlie di Maria Ausiliatrice e di Cooperatori Salesiani, - codesta legione ammirabile che Egli stesso soleva chiamare la sua longa manus, veramente, ciò che Noi udimmo dalle sue stesse labbra: “Don Bosco ha le mani lunghe quando fa bisogno”, - si vede in diversi sensi realizzato: potendosi dire molto bene che le sue braccia e le sue mani si sono allungate immensamente fino ad abbracciare il mondo intiero e seminarlo di opere e di istituzioni veramente mirabili.

                Quando pensiamo alle centinaia e centinaia - riportiamo dati raccolti almeno vent'anni fa: cosa non sarà successo durante gli ultimi vent'anni, in cui tutto è andato aumentando con un crescendo che si direbbe formidabile se non fosse così glorioso e consolante? quando pensiamo alle centinaia di chiese e cappelle che venti anni fa eran già trecento, come erano centinaia di migliaia gli alunni e certamente passavano il milione gli ex - allievi educati nelle varie case di Don Bosco - da quelle in cui si imparte la più elevata istruzione fino alle scuole professionali di arti e mestieri - non possiamo, a meno di restare attoniti e meravigliati come innanzi alla continuazione di uno dei più straordinari miracoli. E da vent'anni a questa parte, cioè dall'epoca alla quale risalgono i nostri ricordi, fino al presente, a qual numero non saranno giunti i Figli di Don Bosco, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori Salesiani? Erano già allora centinaia [102] di migliaia; quanti saranno ora? Crediamo davvero, che questa sia una delle più belle, delle più poetiche statistiche e la più armoniosa poesia dei numeri che si possa immaginare.

                E - per non lasciare di ricordare una delle più ammirevoli doti di Don Bosco - quando si considera che si tratta di liti uomo che sembrava avesse sempre tante cose da fare, senza il tempo materiale per dedicarsi allo studio propriamente detto, con tante opere fra mano che doveva curare e dirigere personalmente, uno non può fare a meno di domandarsi: Come ha fatto per scrivere tante opere e come sono usciti dalla sua penna tanti libri? Perchè sono almeno settanta i libri ed opuscoli di educazione popolare da lui scritti e pubblicati, e alcuni con esito straordinario. La sua Storia d'Italia ha avuto già da trenta a quaranta edizioni, la sua Storia Sacra vent'anni fa era già arrivata alla 70a o 77a, i suoi libri di preghiera Il Giovane Provveduto e la Figlia Cristiana avevano visto già forse allora la 600a edizione, e le popolari Letture Cattoliche che, già vent'anni fa erano arrivate ad una tiratura di dieci milioni di esemplari e il Bollettino Salesiano che si pubblica in tante lingue e che, secondo una memoria di anni addietro, tirava già 300.000 esemplari ogni mese, - adesso molto di più! - sono cose veramente meravigliose e, si può dire molto bene, miracolose.

                Ed in vero uno si chiede meravigliato: Come s'è potuto realizzare tutto questo? Ed è giocoforza riconoscere che  tutto è dovuto ad un intervento speciale della Grazia di Dio onnipotente: manus Dei fecit haec omnia! Ma dove ha potuto questo gran Servo di Dio trovare la forza per condurre a termine tante opere? Il segreto esiste, ed Egli stesso lo ha rivelato continuamente, forse senza accorgersene: e sta racchiuso in quella frase, da lui tante volte detta e scritta, che fu come il motto di tutta la sua vita: Da mihi animas, cetera tolle: Signore, datemi anime e prendetevi tutto il resto. Ecco qui il segreto dei suo cuore, la forza, l'ardore della sua carità: l'amore alle anime ed in modo speciale alle anime dei giovani, dei più bisognosi, che erano le preferite, quelle che Egli incominciò e continua a beneficare. Da mihi animas! Sì, Don Bosco amava le anime perchè amava Nostro Signore Gesù Cristo e perchè le considerava attraverso il pensiero, il Cuore, il Sangue del Redentore; perciò non v'era per lui impresa impossibile, nè tesoro che fosse troppo prezioso per contribuire alla salvezza, fosse anche di una sola anima. E questo pensiero è sommamente opportuno ed a sua volta bellamente disposto ed ordinato dalla Mente Divina. Infatti essendo oggigiorno l'amore per le anime quello che deve rigenerare il mondo, viene a risplendere con i fulgori della gloria umana e divina questo grande amator animarum, amante delle anime, che, colla luce dei miracoli e colla efficacia delle sue opere, si impone all'attenzione, all'ammirazione ed all'imitazione del mondo intiero. E, benchè non tutti possano aspirare - come sarebbe possibile? [103] - a tale fecondità d'azione in favore delle anime, pur tuttavia, come si suol dire, un grande amore, una grande sollecitudine, un grande impegno in ogni direzione ed in ogni condizione è capace di far miracoli. Quanti arriverebbero a far cose straordinarie se nei loro petti ardesse quest'amore per le anime, che non si arresta dinanzi all'abnegazione e al sacrificio e che compie veri miracoli, come miracoli di pazienza, di sacrificio e di abnegazione compie una madre pel grande e tenero affetto che sente per il suo figliolo!

                E se non tutti possono aspirare a tanto, chi si rifiuterà di lavorare, secondo la misura delle sue forze, in questo campo, quando si vede che il male dilaga per tutto, quando si vedono tante anime specialmente giovanili esporsi al pericolo e cadere vittima delle tentazioni e delle occasioni? Quante anime non trascina alla rovina questa seducente vanità, la sensualità imperante, la sete di piaceri! Per questo si impone la cooperazione di tutti all'apostolato, a cui chiamiamo incessantemente quelli che hanno sentimento e cuore, tutti devono stringersi nelle file dell'azione cattolica, da Noi tanto raccomandata e che ha così varie manifestazioni; in essa c'è posto per tutti, grandi e piccoli, uomini e donne, giovani e adulti, attuando l'ideale di un apostolato universale e gerarchico, che è l'oggetto e l'anima dell'azione cattolica.

                E per altro lato, ancora un pensiero, che insieme con quello della preziosità dell'amore per le anime, dell'amore di Gesù e del valore del suo Sangue preziosissimo sparso per le anime, ci offre Don Bosco in questa sua simbolica glorificazione.

                Come bella, quanto consolante, quanto piena di stimolo risulta la sovrana fedeltà di Dio verso i Suoi Servi! Il suo fedele ed umile Servo (a questo punto il Papa apparve profondamente commosso) - poichè questa è la verità, questa è la luce più bella, più sublime che oggi circonda il Ven. Don Bosco: - una semplice creatura, un umile Servo di Dio, che nulla ha lesinato per servirlo con generosità, un povero uomo secondo il mondo: e, pur tuttavia, ecco che Dio apre i cieli e fa risonare la sua voce con la forza e magnificenza dei miracoli fino alle più remote regioni: ed oggi davanti ai nostri occhi alza la pietra che copre il sepolcro e chiama il suo Servo fedele ad una vera risurrezione gloriosa, precisamente in questi giorni in cui ci prepariamo a commemorare solennemente la sua stessa Divina Resurrezione.

                Si, fidelis Deus in Sancti suis. É questo un pensiero che dobbiamo avere sempre presente, specialmente quando Dio ci domanda qualche lavoro, qualche abnegazione, qualche sacrificio per la sua maggior gloria o per il bene delle anime. Dobbiamo rispondere con generosità, poichè sempre, come nel caso che celebriamo, vedremo compiersi ciò che questo munifico Divino Re ha detto: Qui confitebitur me coram hominibus, confitebor et ego eum coram Patre meo: colui che mi confesserà dinanzi agli uomini, anch'io lo confesserò dinanzi al Padre mio, [104] E il Venerabile Giovanni Bosco, con la sua vita, con tutte le sue opere e con la vita e le opere dei suoi figli, che si moltiplicano in tutto il mondo, può dire molto bene: Ho confessato e confesso il Signore mio Dio ed Egli mi confessa e proclama glorioso dinanzi al Padre Celeste e alla presenza del mondo intiero.

                Ed ora figli amatissimi, non ci resta che impartire, con questi voti ed in questi fulgori, la nostra apostolica benedizione: prima di tutto ai figli di Don Bosco e alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Cooperatori Salesiani e a tutte le loro case e Missioni sparse in tutto il mondo: sopra questo insieme così vasto, così attivo, così fecondo di opere sante, discenda la nostra benedizione, che invochiamo anche sopra tutti quelli qui presenti e sopra tutto quello e tutti quelli che ognuno porta nel pensiero e nel cuore.

 

                La commovente allocuzione durò ben quaranta minuti, ascoltata dagli astanti quasi senza batter palpebra. Impartita che fu la benedizione, l'udienza proruppe in un'ovazione entusiastica e prolungata, mentre il Papa, salutati i Cardinali e i personaggi presenti, rientrava nelle sue stanze.

                L'alta parola del Vicario di Gesù Cristo echeggiò lontano,  richiamando da ogni parte stuoli di visitatori alla tomba di Valsalice, la quale stava per essere mutata in altare. Umili e grandi vi si avvicendavano con notevole frequenza. Rammenteremo solo alcuni cospicui omaggi dei primi tre giorni dopo la lettura del decreto.

                Subito la mattina del 20 marzo giunse il Principe Ereditario Umberto di Savoia. Egli prima s'inginocchiò davanti alla tomba raccolto in preghiera; quindi, salito nella cappella soprastante, ascoltò divotamente la santa Messa.

                La sera dello stesso giorno vi si recò l'Arcivescovo Cardinale Gamba. Dopo aver pregato alquanto: - Unico esempio, esclamò, il caso di Don Bosco, arrivato così presto alla gloria dei Beati e con una venerazione che è ormai estesa a tutto il mondo! - Scrisse poi sull'albo d'onore: “L'imminente Beatificazione del Servo di Dio Don Giovanni Bosco, il più grande Apostolo del secolo XIX, ottenga dal Cielo che la recente Conciliazione tra Chiesa e Stato d'Italia rechi al mondo intiero la pace di Cristo nel Regno di Cristo, come auspicò [105] il Santo Padre Pio XI fin dall'inizio del suo gloriosissimo Pontificato”.

                Il giorno dopo i valletti del Municipio portarono una superba corona di fiori per ordine del Podestà con la scritta: LA CITTÀ DI TORINO. Vennero di Il a poco due speciali rappresentanti del primo magistrato cittadino con il seguente suo autografo: «Quale Podestà di Torino e quale Cattolico rendo fervido omaggio di devozione al Beato Don Bosco, al grande Concittadino impareggiabile apostolo di fede, di carità e di italianità nel mondo. - T. Di REVEL». Egli aveva già spedito al Cardinale Gasparri questo bel telegramma: «La città di Torino, che fu testimone del sublime apostolato di Don Bosco ed assecondò fervidamente l'opera incomparabile sua e dei suoi successori, ascrive a particolare altissimo onore la elevazione agli Altari del grande Concittadino e prega Vostra Eminenza di deporre ai piedi del Santo Padre l'esultante suo omaggio di gratitudine e di devozione».

                Nel pomeriggio del 22 visitò la tomba del futuro Beato Sua Eccellenza Belluzzi, Ministro dell'Educazione Nazionale. Accolto dagli allievi e ossequiato dal Rettor Maggiore Don Rinaldi e dal Direttore generale delle scuole salasiane Don Fascie, si soffermò pensoso davanti alla tomba; poi espresse nell'albo d'onore i suoi migliori auguri “per la gloriosa scuola di Don Bosco”. Finalmente dall'alto della terrazza parlò ai giovani, animandoli a rendersi buoni strumenti per le opere di bene.

                Nella Rivista Diocesana di aprile una lunga e calorosa lettera dell'Arcivescovo annunciava ai Torinesi la prossima Beatificazione. “Don Bosco, scriveva Sua Eminenza, fu una di quelle glorie, che valgono ad illustrare non una città o una nazione, ma il mondo intero [ ... ] Sono convinto che nessun altro Beato ricevette nella sua Beatificazione onori maggiori e più universali di quelli che riceverà il Beato Don Bosco”. Di lì a due mesi i fatti dovevano dargli pienamente ragione.

 

 

CAPO VI.

Decreto del “Tuto”

 

                NELLA Chiesa non si fanno davvero a vapore i Santi! Neppure l'approvazione dei miracoli permette di procedere senz'altro alla beatificazione, ma ci vuole ancora una Congregazione generale detta del Tuto. Quale sia l'oggetto di quest'atto finale della procedura canonica, lo spiegò molto bene il Papa Pio XI nel suo discorso dopo la proclamazione del tuto per la beatificazione del Venerabile Pignatelli e della Ven. Caterina Labourè[53]. Disse allora il Santo Padre:

 

                Che cosa significa la parola tuto? A una paroletta latina che significa “fuori di pericolo” ossia “senza pericolo” cioè con sicurezza. Tuto equivale a “una sicurezza da ogni pericolo”. Per comprendere di che pericolo si tratti, basta leggere quel “dubbio” che sta in capo al decreto, e a cui il decreto risponde: se cioè, dopo l'esame e l'approvazione dei miracoli riconosciuti come tali, dopo tutto quel complesso di atti, che tali approvazioni presuppongono (processi locali e ordinari, processi apostolici, ecc.), perchè la Santa Chiesa è davvero instancabile nelle sue ricerche e constatazioni; se dopo tutto questo, si possa procedere senza pericolo agli ulteriori atti della beatificazione e canonizzazione; senza pericolo dunque di cose meno vere e meno buone, senza pericolo per la verità e per la bontà. In queste Cause l'importanza è che quello che si è detto in favore dei Servi di Dio sia vero, e quello che è vero sia buono, egregiamente buono, eroicamente buono. Può sembrare ad alcuni che la Chiesa sia eccessiva nel suo studio di esattezza, se dopo tante ricerche vuole ancora la sicurezza, [107] il tuto, per pronunciarsi; ma non ci vuole meno quando si tratta di verità e di bontà portate in tal campo; non ci vuole meno per una inchiesta che si spinge fino al trono di Dio per ammirarvi i frutti più squisiti della Redenzione e prendervi splendenti ed imitabili esempi da proporre; non ci vuole, per tutto ciò, meno di una tenace ricerca della sicurezza assoluta. La Chiesa vuole la sicurezza e la possiede non solo per la santità ufficiale, riconosciuta, ma anche in altri campi, che però non sono del tutto diversi, perchè si tratta ancora della santità. La Chiesa ha il privilegio, il segreto della sicurezza: essa è la sicura custode della verità e del bene. Verità e bene sono le due parole che sole rispondono pienamente all'essere, alla perfezione dell'intelligenza e della volontà dell'uomo, e perciò sono le più interessanti e le più importanti.

                Quanto alla verità, è evidente per tutti quelli che sono - nati - come direbbe il Poeta - alla scuola delle celesti cose, per tutti i figli devoti della Chiesa è evidente che essa è la infallibile maestra della verità rivelata; questa fu data alla Chiesa perchè la custodisse, la insegnasse, la interpretasse. Docete omnes gentes... Ecce ego vobiscum sum usque ad consummationem saeculi. Lo Spirito Santo che da me procede, ille vos docebit omnia; e voi insegnate agli uomini servare omnia quaecumque mandavi vobis. Il divino Maestro cioè consegna alla sua Chiesa la Rivelazione non a misura, ma a corpo intero, con la promessa di una assistenza perpetua, che si potrebbe quasi dire doppiamente divina: quella del divino Redentore, che parla, e quella del divino Paraclito, che viene promesso.

                Ma anche fuori della Rivelazione, anche nell'àmbito delle verità naturali, è pur tanto necessaria la sicurezza, specialmente di quelle verità, che riguardano Dio, l'anima, l'origine, la natura, la destinazione dell'uomo, i suoi rapporti col suo simile, col creato, col Creatore. Anche in questo campo la Chiesa offre la sua sicurezza: Docete omnes gentes... vobiscum sum... docebit vos omnia. Qui la Chiesa santa, maestra di verità rivelata, diventa la provvida e sicura tutrice della verità naturale; anche in questo campo di verità naturali porta la sua luce, il suo tuto. Così la Rivelazione porge la mano alla povera intelligenza umana, che nel suo affaticato pellegrinaggio in cerca della verità si era smarrita. Qual beneficio, quale provvidenziale beneficio non è mai questo!

                E riguardo al bene, quante incertezze anche qui nella vita quotidiana, nella vita vissuta! Dov'è il bene? dov'è la giustizia? dove comincia? dove finisce? Quante volte in nome della giustizia si sono compiute le ingiustizie più crudeli! Quante volte, in nome del bene, il bene è stato sacrificato! Solo la Chiesa ha detto sempre a chi lo domandava ed anche a chi non lo domandava, inviando i suoi Pastori, i suoi ministri, solo la Chiesa ha detto a tutti: Fin qui, giusto; più in là non è giusto: fin qui si può, più in là non si può. Solo la Chiesa [108] insegna a chiamare sempre e in ogni circostanza le cose coi loro nomi: l'ultima e - suprema intimazione ch'essa fa al Vescovo nell'atto della sua consacrazione è appunto questa: Le tue labbra non dovranno dire male al bene, nè bene al male.

                Anche questa inestimabile sicurezza nella verità e nel bene, sicurezza dell'intelligenza e della volontà, anche questo, anzi proprio questo è un frutto e frutto preziosissimo della Redenzione.

 

                Scopo dunque dell'ultima Congregazione generale si è di decidere se con indubbia sicurezza si possa procedere alla beatificazione, ed ecco in che modo vi si arrivò per Don Bosco. Il Procuratore Melandri stese una supplica al Santo Padre, affinchè, dopo aver riconosciuto il felice risultato di tante indagini, si degnasse compier l'opera decretando potersi con sicurezza venire alla solenne beatificazione del Servo di Dio. Questa supplica, il testo dei decreti approvanti l'eroismo delle virtù e la realtà dei due miracoli e il parere ragionato di Monsignor Salotti, Promotore Generale della Fede, riuniti in un solo fascicolo a stampa, formarono la posizione per la Congregazione del Tuto. Una circostanza vi era opportunamente messa in bel rilievo dal Salotti, che, deposta ormai la penna del censore, aveva impugnata quella dell'ammiratore devoto. Nel 1929 la beatificazione di Don Bosco andava a coincidere con il giubileo d'oro sacerdotale del Papa. Ricordando sì fausto incontro di date, il Promotore della Vede si disse certo d'interpretare il pensiero del Santo Padre, asserendo che la simultaneità dei due avvenimenti doveva tornare oltremodo gradita alla Santità Sua. Che egli, così scrivendo, non andasse lungi dal vero, il Papa medesimo lo diede in seguito chiaramente a conoscere.

                I Cardinali dunque e i Consultori dei sacri Riti, adunatisi per l'ultima volta il 9 aprile 1929 alla presenza del Papa, diedero voto favorevole circa il potersi tuto procedere alla solennità della beatificazione. Il Papa allora rinviò ad altro giorno la manifestazione del suo giudizio definitivo, desiderando prima implorare i lumi celesti. Finalmente fissò la cerimonia al 21 seguente. In quel giorno con le formalità già [109] descritte per i decreti delle virtù e dei miracoli fu data pubblica lettura di quello del Tuto. Del decreto questa è la fedele versione.

 

                Molte e grandi e mirabili cose operò il Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco per promuovere la gloria del Signore e provvedere alla salute eterna dell'uman genere. Quale uomo mandato da Dio a compiere questa duplice missione, incominciò dal coltivare i giovani, che ammaestrò nei precetti e nei doveri della religione, educò a buoni costumi, curandone anche alacremente l'istruzione civile, e lavorò con ogni impegno affinchè del beneficio della Redenzione approfittasse il maggior numero possibile. La sua volontà di guadagnare a Dio quante più anime potesse non conosceva confini, e si adoperava con tutte le forze per abbracciare col suo ardente zelo apostolico e attirare tutte le genti. Difetto di mezzi umani, contrarietà non poche venutegli anche da uomini investiti d'autorità, difficoltà sorte dalla natura stessa delle cose, ostacoli d'ogni genere avrebbero dovuto abbatterne l'animo; ma Giovanni non ristette un momento dalle sue sante fatiche, e con l'aiuto di Dio condusse le opere intraprese al fine desiderato e si procurò un nome immortale, degno d'ogni più ampia lode. Scrisse anche e divulgò molti libri oltremodo adatti a risvegliare nel popolo la divozione e ribadire i principii e i precetti cristiani, libri che anche oggi sono tenuti in gran pregio. Ora, se paragoniamo la mancanza, in cui spesso venne a trovarsi, d'umani sussidi con la grandezza delle cose compiute e i benefici arrecati ad ogni ordine di cittadini, ci parrà di vedere in lui un prodigio quasi nuovo. Prodigio, dico, poichè la generosità divina, gareggiando quasi con la fiducia incrollabile e la liberalità di Giovanni, parve accrescerne le forze, moltiplicarne le facoltà, fecondarne meravigliosamente le fatiche.

                 Ma una cosa ancor più degna di destar meraviglia, è vedere un uomo di tal genere, occupato in ardue imprese, frequentemente esposto a più pericoli, che viveva in mezzo ai fanciulli e trattava con gente d'ogni sorta, non ristare un sol momento dall'esercizio delle virtù cristiane, raggiungere anzi in esso le altezze dell'eroicità, come fu riconosciuto e definito, dopo giuridico e severo esame, col decreto promulgato solennemente il 20 febbraio 1927. Intanto erano avvenuti, dopo la morte del Ven. Servo di Dio, molti prodigi, dei quali due, quanti erano richiesti dall'indole della Causa, giuridicamente discussi ed esaminati col consueto rigore, furono annoverati tra i miracoli col decreto del 19 dello scorso mese di marzo. Una cosa tuttavia rimaneva ancora da discutere, se cioè si possa con animo sicuro procedere alla solenne beatificazione del Ven. Giovanni Bosco. Questo fu fatto nella Congregazione Generale finale tenuta alla presenza della Santità di Nostro Signore Pio XI, nella quale il Rev.mo [110] Card. Alessandro Verde, Relatore della Causa, propose il seguente dubbio: Se, in seguito all'approvazione delle virtù e di due miracoli, si possa procedere sicuramente alla Beatificazione del Ven. Servo di Dio. Quanti Reverendissimi Cardinali e Padri Consultori erano intervenuti, diedero, nell'ordine prescritto rituale, voto favorevole, del quale la Santità di Nostro Signore si rallegrò, ma giudicò opportuno rinviare ad altro giorno la pubblicazione della sentenza, per potere nel frattempo implorare i celesti lumi. Avendo poi stabilito di manifestare la sua deliberazione, scelse a tale scopo la giornata odierna, III Domenica dopo Pasqua, e dopo aver celebrato con fervore il divin Sacrificio, fece chiamare a sè i Reverendissimi Cardinali Camillo Laurenti, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, e Alessandro Verde, Ponente della Causa e insieme il Rev. P. Carlo Salotti, Promotore Generale della Fede, e me sottoscritto Segretario, alla cui presenza, entrato in questa augusta aula, e assisosi nel trono pontificio, dichiarò con decreto solenne: potersi procedere sicuramente alla solenne beatificazione del Ven. Giovanni Bosco. E comandò che il presente decreto fosse reso di pubblica ragione e inserito negli Atti della Sacra Congregazione dei Riti e che fossero spedite le Lettere Apostoliche in forma Brevis per la solennità della beatificazione da celebrarsi quanto prima nella Patriarcale Basilica Vaticana. - 21 Aprile, I929.

 

                Subito dopo la lettura di questo decreto il Segretario dei Riti Monsignor Mariani ne lesse un secondo, che riconosceva il martirio del Ven. Cosma da Carboniano, ucciso per la fede il 5 novembre 1707. Quando i decreti sono più di uno, la Congregazione dei Riti designa colui che deve rivolgere al Santo Padre l'indirizzo di ringraziamento. Allora la scelta cadde su Monsignor Der - Abrahamian, che parlò a nome della Gerarchia, del Clero e del popolo armeno. Naturalmente ringraziò pure a nome dei Salesiani per la beatificazione del loro fondatore, dicendo: “Non è ancor spenta l'eco della vostra voce sovrana, con cui in altra recente occasione per l'approvazione dei miracoli del detto Servo di Dio, la medesima Santità Vostra rendeva i meritati elogi a questo singolare e santo educatore di giovani e di anime. Mi passo quindi dal parlarne di nuovo. Solo mi piace ricordare un fatto personale, ed è che ancora vive in me la soave figura di quell'uomo di Dio e l'impressione lasciatavi allorchè ebbi la consolazione di baciargli la veneranda mano e riceverne la patema benedizione, [111] impressione che non si è mai cancellata dalla mia mente”. Infine prese la parola il Santo Padre, che seppe intrecciare magnificamente le lodi del Martire e del Confessore.

 

                Avete udito, dilettissimi figli, e con noi accolto con pietà e giubilo, con intimo senso delle cose sante, i due decreti or ora letti, il primo per la proclamazione del martirio di Cosma da Carboniano, gloria dell'Armenia, e l'altro per il potersi con sicuro animo procedere alla solenne beatificazione del Ven. Servo di Dio sacerdote Giovanni Bosco, gloria d'Italia, e cosa immensamente più grande, gloria di tutta la Chiesa cattolica.

                In queste due enunciazioni è già tanto splendore, tanta altezza, tanta edificazione di grandi e sante cose che veramente la tentazione sarebbe di lasciarle parlare tutte sole con il loro inimitabile significato. Ma è pur delle grandi cose richiedere un qualche commento, un commento che corrisponda al dovere di aggiungere alle cose stesse qualche cosa per la maggiore fruttificazione spirituale di esse. E qui dobbiamo anche aggiungere il bisogno del cuor nostro, vogliamo dire della nostra personale, profonda, cordiale simpatia verso i due temi del duplice decreto. La diremo dunque questa parola, anche, lo sappiamo bene, per rispondere al desiderio vostro, o dilettissimi figli e sarà una sola fulgente parola, in una grande ricchezza e varietà di cose; una parola sulla divina fedeltà, e sulla incomparabile saviezza di quella grande Madre e Maestra che è la Chiesa; una parola di ammirazione e adorazione per tutte quelle finezze di infinita bontà e, stavamo per dire, infinita eleganza onde la divina Provvidenza sa impreziosire le cose già per se tesse infinitamente preziose.

                Diciamo divina fedeltà. E ci sembra davvero che sia questa l'idea che s'impone all'udire (come abbiamo udito nel Decreto e nell'eloquente calda parola del suo interprete, nel quale ci piace di vedere quasi tutta l'Armenia qui presente) la rievocazione del Servo di Dio Cosma da Carboniano risalente fino alla lontana data della sua nascita nel 1658 ed a quella, di poco meno lontana, della sua morte nel 1707. Siamo a distanza di secoli, dilettissimi figli, ma anche a distanza di secoli la divina Bontà, la divina Fedeltà non ha dimenticato quel Servo fedele, generoso, eroico fino alla morte. Si direbbe che si è data essa medesima la cura di andare a riaprire la sua tomba gloriosa e che sembrava quasi dimenticata, e di chinarsi a far quasi rivivere quelle ossa, proclamando la loro gloria al cospetto degli uomini, coram Ecclesia e chiamando l'antico martire agli splendori dei più alti onori. È costume di Dio questo, è il costume della sua divina volontà. Può sembrare talvolta che Iddio non pensi più a noi, come talvolta dice qualche anima caduta nel fondo della tristezza, che Dio di noi non si curi. Ma è proprio allora che il Signore dimostra nei modi [112] più evidenti la cura costante che ha delle cose sue. Fidelis Deus, è questa la parola che il martire ci grida dal suo sepolcro glorioso, E noi, dilettissimi figli, avremo sempre torto, sempre, inevitabilmente, in ogni circostanza di cose, quando la nostra fiducia in Dio anche per poco vacilli. Ed è proprio questo che un santo sacerdote, un umile Servo di Dio ci diceva nei primordi del nostro sacerdozio oramai arrivato ai suoi 50 anni: “badate bene, quello che più spesso ci manca è la fiducia nella fedeltà di Dio, così come essa è veramente, vale a dire senza limiti e senza misura”.

                Dilettissimi figli, vi lasciamo con la memoria che ci viene dalla tomba del martire e delle parole del buono ed umile Servo di Dio, perchè non è soltanto un'utile lezione che spesso ci viene in tanta amara lezione di cose, in tanto buio del presente e in tanta tenebria di avvenire, ma diventa anche in questi casi una grande consolazione e un grande conforto. E poi dobbiamo aggiungere che è precisamente questa fiducia immensa, inesauribile, salita fino alla grandezza di un continuo miracolo morale, quella che ha lasciato un giorno ai suoi figli ed ora, può ben dirsi, a tutto il mondo cattolico, il Ven. Don Giovanni Bosco. Basta confrontare gli umili inizi dell'opera sua con gli splendori che essa oggi ci offre, basta riflettere sulle difficoltà di ogni genere, materiali e morali, da nemici e talvolta anche da amici, alle infinite difficoltà che egli dovette superare e poi alla magnificenza e all'eleganza del trionfo mondiale, ancor lui vivente, per comprendere quanto possa la fiducia in Dio, la fiducia nella fedeltà di Dio, allorchè un'anima sa dire veramente: scio cui credidi.

                É proprio questa l'impressione che abbiamo ancor viva nell'animo e che riportammo negli anni nostri giovanili dalla conoscenza che per divina Bontà e disposizione potemmo avere col Ven. Servo di Dio, un uomo che parve allora e poi sempre invincibile, insuperabile, appunto perchè fermamente, solidamente fondato in una fiducia piena, assoluta nella divina fedeltà.

Accennammo poi all'insuperabile sapienza di questa grande Madre e Maestra che è la Chiesa, poichè è essa che viene come Madre benigna, riconoscente al figlio che l'ha glorificata, viene a deporre questa grande corona del proclamato martirio sulla tomba di Cosma da Carboniano; è essa, la grande maestra che viene a proporlo all'ammirazione e all'imitazione di tutti. Grande onore, grande gesto questo della Chiesa, ma veramente e sapientemente proporzionato alla grandezza del merito. É sapiente la Chiesa quando, trattandosi di un martire non cerca altro: dixi martyrem, satis est. Riconosciuto il martirio non occorrono più altri miracoli, perchè basta questo che la miseria umana, con l'appoggio della grazia divina, ha saputo produrre. E la Chiesa se ne accontenta, gloriosa nella sua sapienza, anche in questa sobrietà di esigenze che in altri eroi di santità, come fu testè udito per Don Bosco, è così scrupolosa ricercatrice non solo della verità, [113] ma anche delle prove della verità discussa, controllata, dimostrata non Solo con qualunque certezza, ma con la certezza giuridica e piena, piena anche nelle prove. Davanti al martirio invece, la constatazione di questo basta, perchè la Chiesa nella sua sapienza sa che veramente una grande e straordinaria cosa è il martirio, Fu ben detto con parola veramente degna del genio che la debolezza umana, anzi l'umana grandezza non potrebbe, non potrà mai fare gesto più fastoso di quello che fa avvolgere un pover'uomo nella porpora del proprio sangue e assidersi così come testimone, difensore, assertore della verità e della giustizia, di quella verità e di quella giustizia che tutto giudica e tutto misura e di cui il martire sorge a difesa e riprova. È questo il magnifico spettacolo che ci dà l'umile sacerdote armeno.

                Ma si direbbe che questa Madre santa, la Chiesa, venisse meno alla sua saggezza allorchè propone tale grandezza e fastosità di cose all'imitazione. Come si proporrebbe cose così grandi ed eroiche all'imitazione comune? Eppure la Chiesa sa, che questi esempi sono sufficienti, al momento necessario, a suscitare gli eroi, una vera folla di eroi, una vera folla di eletti: parole che potrebbero sembrare una contraddizione in termini, ma che corrispondono perfettamente alla realtà, a quella realtà, che è una delle prove più divinamente splendide nella storia della santità della Chiesa.

                Ma c'è pure un'altra imitazione che la sapienza della Chiesa Madre suggerisce nel proporre i martiri all'imitazione dei fedeli; giacchè non c'è soltanto il martirio cruento del sangue, ma c'è anche il martirio incruento, anzi c'è un'infinità di incruenti martirii attraverso le diverse condizioni e tutti i diversi gradi della scala sociale. Ed anche qui c'è una bella parola di un antico Santo e dottore che dice che le celebrationes martyrum sunt exhortationes martyriorum, le celebrazioni dei martiri sono esortazione ai martirii. Ci sono infatti le anime, le vite cristiane che, infiammate dagli esempi del martirio, volontariamente si consacrano al prezioso martirio incruento, necessario per custodire inviolata la castità. C'è il martirio incruento di tante anime che volontariamente, anche quando tutto è loro offerto e tutto sta nelle loro mani, tutto abbandonano e a tutto rinunciano per abbracciare tutte le privazioni della povertà. C'è il martirio incruento di tante volontà che nella piena consapevolezza dei propri diritti e della propria dignità, rinunciano alla propria libertà per sottoporsi interamente, inviolabilmente all'ubbidienza, anche quando questa viene avvolta nelle tenebre di consigli non bene conosciuti e non bene Potuti comprendere. Ci sono infine tanti e tanti altri martirii incruenti nella semplicità delle più umili case e famiglie cristiane. Quanti veri martirii affrontati per custodire la purezza e la dignità delle famiglie! Quante lotte talvolta veramente sanguinose, di quel sangue morale che sono le privazioni e le lacrime per non acquistare a prezzo di onestà dei vantaggi troppo cari! Quanti martirii incruenti per mantenersi [114] puri, illibati, degni del nome di uomini e di cristiani in mezzo a così profonda depravazione, per conservarsi giusti in mezzo a tanta e così sfrenata corsa al danaro, per conservarsi umili, di vera, cristiana umiltà di spirito e di cuore in mezzo a tanta superbia di vita e a tanta sfrenata corsa al potere e al prepotere! E la Chiesa da tutti i suoi figli si aspetta l'eroismo del martirio, perchè davvero chi può sottrarsi a tali martirii incruenti? Giacchè dovunque sono doveri da compiere, dovunque sorgono difficoltà ed ostacoli al compimento del dovere è lì che il martirio incruento delle anime deve generosamente affrontarsi in modo degno della gloria di Dio e della sua Chiesa.

                E vogliamo finire nel ricordo delle finissime ed elegantissime combinazioni e disposizioni della Provvidenza divina. Questo umile martire già così glorioso che dopo tante difficoltà e contrarietà di uomini, di tempi, di cose, viene, per così dire, alla ribalta della storia proprio oggi, viene dalla disunione di prima, all'unione voluta, cercata, effettuata nell'unità della Chiesa cattolica e confermata col sangue, viene a direi tutte queste cose proprio in un momento nel quale per tutta la Chiesa cattolica vige tanto studio, con zelo superiore ad ogni elogio, per l'unità. Ed ancora questa nostra antica conoscenza di Don Bosco e (possiamo pur dirlo) antica amicizia, benchè noi fossimo al principio del nostro sacerdozio ed egli fosse oramai vicino al suo luminoso tramonto, questa nostra amicizia sacerdotale che ce lo fa rivivere nel cuor nostro con tutta la letizia, la giocondità, l'edificazione della sua memoria, si ravviva proprio in questi giorni e in queste ore, mentre la figura del gran Servo di Dio si profila all'orizzonte non solo di tutto il suo paese, ma anche di tutto il mondo, proprio mentre avvenimenti di così particolare e solenne importanza sono stati registrati nella storia della Santa Sede, della Chiesa, del Paese. Poichè è bene ricordare quelle che già abbiamo ricordato con qualche cognizione di causa come Don Bosco fosse proprio uno dei primi e più autorevoli e più considerati a deplorare quello che un giorno avveniva, a deplorare tanta manomissione dei diritti della Chiesa e della Santa Sede, a deplorare che quelli che allora reggevano le sorti del Paese non fossero rifuggiti tanto spesso da cammini che non si potevano percorrere che calpestando i più sacri diritti. Ed era anche tra i primi lo stesso Don Giovanni Bosco ad implorare da Dio e dagli uomini un qualche possibile rimedio a tanti guai, una qualche possibile sistemazione di cose, cosicchè tornasse a splendere col sole della giustizia la serenità della pace negli spiriti. La divina Provvidenza lo conduce, lo propone alla pienezza dei sacri onori proprio in quest'ora, e la beatificazione di Don Bosco sarà la prima che avremo la consolazione di proclamare in faccia al Mondo dopo la conclusione degli avvenimenti già da lui auspicati. Non resta che ringraziare ed ammirare. Quando abbiamo da fare con un Signore così fedele, con la Provvidenza così squisitamente ed elegantemente generosa nelle sue disposizioni, che [115] cosa possiamo temere o che cosa non possiamo sperare, confidare, nella certezza di essere esauditi?

                É con questi sentimenti che vi impartiamo la Benedizione Apostolica anche per rispondere alla filiale richiesta che ce ne è stata fatta. La impartiamo a tutti e singoli i presenti e a tutto ciò che ognuno di essi rappresenta: in modo tutto particolare alla grande famiglia di Don Bosco, a tutti i suoi figli e a tutte le sue figlie, a tutte le loro case ed istituti, tanto largamente diffusi in tutto il mondo, che ben può dirsi che per mezzo di loro a tutto il mondo giunga questa nostra stessa benedizione.

                E poi una benedizione veramente paterna ed affettuosa è quella che diamo a tutta questa cara Armenia nostra, a tutti questi cari figli armeni, dovunque li abbia dispersi la bufera, la tempesta sanguinosa della guerra, una benedizione piena di desiderio paterno, pastorale, di vedere finalmente sollevati e consolati da tante loro pene e sacrifici e sangue, tanti dilettissimi figli, e di vedere altresì (come il venerabile martire ce ne dà sì bello auspicio) anche i dissidenti tornare all'ovile e realizzarsi, nel giorno che egli ha segnato, il voto e la profezia del divino Pastore, che si farà un solo ovile ed un solo pastore. Questa benedizione che diamo a tutta l'Armenia, vada innanzi tutto alla veneranda gerarchia, ai Vescovi, ai sacerdoti, dovunque essi siano insieme ai loro fedeli. Ed è una benedizione piena di patema ammirazione e fierezza, quale si conviene a tutte quelle grandi e preziose cose che si ricordano nell'onore che oggi si tributa al santo martire Gaumida.

 

                La benedizione apostolica, che pose termine alla cerimonia, chiuse pure definitivamente la Causa della beatificazione di Don Bosco.

 

 

CAPO VII.

Solenne ricognizione del corpo.

 

                ORMAI il corpo di Don Bosco era tutto una sacra reliquia; ma la Chiesa, che venera le reliquie dei Santi, non permette che si presti ad esse qualsiasi atto di culto prima di aver bene accertato, se un dato corpo e ogni singola sua parte appartennero veramente alla persona, a cui si attribuiscono. Per questo ne ordina la solenne ricognizione canonica. Della salma di Don Bosco fu cominciata questa ricognizione il 16 maggio 1929 nell'istituto salesiano di Valsalice, dove la tomba del Venerabile era da oltre quarantun anni custodita.

                Tutto fu predisposto a norma dei sacri canoni. La Sacra Congregazione dei Riti, accogliendo la relativa istanza di Don Tomasetti, Postulatore della Causa, aveva con un decreto del 27 aprile accordato al Cardinale Gamba, Arcivescovo di Torino, le facoltà necessarie, perchè procedesse agli atti della ricognizione o personalmente o delegando un sacerdote costituito in ecclesiastica dignità. A presentargli il testo del decreto venne da Roma il Postulatore. Venne con lui anche Monsignor Salotti, Promotore della Fede, al quale spettava impartire le opportune istruzioni e invigilare, perchè ogni cosa si facesse nelle forme prescritte. Sua Eminenza volle eseguire in persona il mandato con l'assistenza dei due Canonici Desecondi e Maritano, rispettivamente sottopromotore della Fede e cancelliere nel processo apostolico. [117]

                Tutti i personaggi nominati, più tre medici e due testimoni, si radunarono la sera del 16 maggio nell'aula magna dell'istituto. Qui il Promotore della Fede invitò primieramente il Cardinale e i due Canonici a giurare di adempiere con coscienza l'incarico ricevuto. Analogo giuramento prestarono poi al Cardinale i dottori Peynetti, Rocca e Filippello, chiamati come periti anatomici. Finito questo, il Promotore della Fede fece avanzare i sacerdoti salesiani Don Manione e Don Marocco, affinchè, previo giuramento, attestassero, se, quando e come la salma di Don Bosco fosse stata rimossa dal luogo, dov'era stata deposta nel 1888 e se dopo eventuali rimozioni fosse stata restituita al pristino luogo. La loro testimonianza, fondata su diretta e personale cognizione di causa, mirava a escludere qualsiasi dubbio sull'identità della salma stessa. Inoltre come testes instrumentarii, destinati a deporre sulla regolarità degli atti, comparvero l'Economo generale dei Salesiani Don Giraudi e il sacerdote salesiano Don De Agostini, che giurarono anch'essi di eseguire fedelmente l'ufficio loro. Infine col consenso del Promotore della Fede vennero designate due Figlie di Maria Ausiliatrice quali aiutanti nell'estrazione e ricomposizione delle venerate spoglie; a loro pure fu deferito il giuramento di voler compiere esattamente il proprio dovere. Ultimate queste pratiche preliminari e stesone il verbale, Sua Eminenza col Promotore della Fede e con i suddetti uscì dall'aula e si avviò alla cripta sepolcrale.

                Qui li attendevano autorità e invitati. Dominava su tutti l'alta e distinta figura del Conte Thaon di Revel, Podestà di Torino. A lui facevano corona il Conte Rebaudengo, Presidente generale dei Cooperatori Salesiani, i rappresentanti del Clero, del Segretario Federale, della Magistratura e degli uffici civili con un bel numero di medici. Le Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice formavano un gruppo a parte. Ai lati della tomba facevano ala i primari Superiori Salesiani con a capo il Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi. Nel cortile stavano schierati molti Salesiani, i liceisti dell'istituto [118] e alunni di altri collegi. Nonostante la nessuna pubblicità data alla cosa, la notizia era trapelata e un discreto pubblico aveva trovato modo d'introdurvisi.

                Quando giunse il Cardinale col suo seguito, Monsignor Salotti aveva già ordinato di rimuovere sotto i suoi occhi la lapide monumentale che adornava il loculo, sicchè fu lavoro di pochi istanti il rompere la muratura retrostante e mettere allo scoperto la bara ivi racchiusa. Questa, fra il più religioso silenzio e la generale commozione, venne con leggera e rapida manovra cavata fuori e deposta sopra un tavolato, dove tutti la potevano vedere. Seguendo l'esempio del Rettor Maggiore, anche il Cardinale, il Podestà e i più ragguardevoli fra gli astanti si accostarono a imprimervi un bacio di riverente e affettuosa ammirazione.

                Tosto sei sacerdoti salesiani vestiti di cotta presero in ispalla il dolce carico e preceduti da lunga teoria di chierici che, recando in mano torce accese, recitavano salmi dell'Ufficio dei Santi Confessori, e seguiti dal corteo delle personalità, fra il divoto atteggiamento dei presenti assiepati lungo il passaggio, trasportarono la cassa in una sala adorna di drappi, di fiori e di verdi fronde. Dalla parete di fondo sorrideva l'immagine di Don Bosco nella riproduzione d'un quadro del Pollini. Nel centro un ampio tavolo ricevette la bara. Come le autorità e le persone invitate ebbero finito di entrare, furono sbarrate le porte e si diede principio alle operazioni.

                Fuori intanto avvenivano scene commoventi e gentili episodi. Come nelle Catacombe romane i pellegrini sostano accanto ai loculi aperti dei primi cristiani senza turbarsi alla vista di funerei avanzi, ma provando invece fremiti di tenerezza, così al vuoto sepolcro, che per otto lustri aveva tenuto in grembo le morte spoglie di Don Bosco, la folla guardava visibilmente assorta in soavi pensieri. Vi furono madri che adagiavano là entro i loro figliuoletti infermi, sperando che Don Bosco volesse ottenere loro la guarigione. Un piccolo [119] cieco gridava: - Don Bosco, fammi vedere! - Mattoni e calcinacci, ammucchiatisi a piè del muro nella demolizione, andavano piamente a ruba. Un fanciullo, aggrappatosi all'orlo dell'apertura e cacciatosi dentro, vi si distese quant'era lungo dicendo: - Io faccio Don Bosco. - Il gesto fu subito imitato; altri ragazzi dopo di lui vollero a gara, com'essi dicevano, fare Don Bosco. Nè tardarono a giungere scolaresche torinesi per pregare presso la tomba santificata dal grande amico della gioventù.

                Numerosi erano coloro che invidiavano la sorte dei privilegiati ammessi nella sala di ricognizione e facevano ressa sotto le finestre nella speranza di poter venerare presto e da vicino i resti mortali del Santo; ma s'illudevano, ignorando quanto le cose sarebbero andate per le lunghe. Nella sala Monsignor Salotti, parlatore facondo e temperamento emotivo, non che ammiratore convinto di Don Bosco, volle, prima che si scoperchiasse la cassa, prendere la parola e pronunciò un breve e affettuosissimo discorso, esordendo così: “Ieri sera ebbi l'onore di essere ricevuto dal Santo Padre. - Vada volentieri a Torino, mi disse il Papa, ed assicuri il Cardinale Gamba del nostro compiacimento per la solennità con cui egli ha voluto celebrare nella città di Don Bosco il nostro giubileo sacerdotale; dica alla famiglia salesiana che noi partecipiamo al suo gaudio, che la sua gioia è la gioia nostra”. Fatta questa doppia comunicazione, si disse commosso nell'appressarsi all'apertura della bara che racchiudeva i resti mortali di colui che tanta orma di sè aveva lasciato nella società moderna, affascinando la sua generazione e quelle che sarebbero venute dopo e perpetuando il suo nome nei secoli. “Bisogna, soggiunse, riportarsi ai tempi in cui egli iniziò la sua opera di bene e comprendere la mentalità de' suoi contemporanei per inquadrarne nella sua realtà tutta l'importanza e tutta la difficoltà. Vi furono perfino prelati che si spaventarono di quell'opera che stava iniziando il povero prete venuto dall'Astigiano, e uomini eccelsi che, [120] come il Marchese di Cavour, padre del propugnatore dell'unità italiana, non nascosero le loro vive preoccupazioni: quei monelli adunati e accarezzati da Don Bosco, furono definiti avanzi di galera, destinati a creare in un temuto prossimo domani un movimento, che avrebbe avuto del sovversivo ed avrebbe dato del filo da torcere. Invece Don Bosco doveva fare, come fece, di quei monelli tanti buoni Italiani e buoni operai ed a mezzo loro creare nuovi solchi nella vita del vostro Piemonte, di tutta Italia, formando uomini che poi sono saliti alle più alte gerarchie della Chiesa, dell'esercito, della diplomazia, della politica, della magistratura. Anche voi, Eminenza, sareste stato preda di lui, se non aveste avuto da pensare a quell'angiolo di bontà che vi era al fianco: vostra madre!”. L'oratore continuò affermando che la cerimonia della ricognizione della salma era un rito che andava compiuto con fede. “Non sappiamo ancora, osservò, in quali condizioni si trovi la salma. Ossa o semplici ceneri, esse ci rappresenteranno l'uomo di Dio che visse il Vangelo e seppe volgere al bene ogni umana contingenza”. Infine, quale Promotore Generale della Fede, diffidò tutti i presenti, che nulla poteva essere toccato, asportato od aggiunto, sotto pena di scomunica.

                Parlato che ebbe elaboratis verbis et magna cum cordis emotiome, come dicono i verbali, ad un suo cenno il Canonico Cancelliere lesse gli atti della ricognizione e tumulazione eseguite rispettivamente il 13 e il 15 ottobre 1917. Quindi, svitata la prima casa e sollevatone il coperchio, apparve la seconda chiusa e fasciata da nastri annodati e muniti di sigilli. Sua Eminenza, verificato che erano i sigilli del Cardinale Richelmy, suo predecessore, apposti nel 1917, li infranse. Allora tutti i presenti si avanzarono per vedere più da presso il corpo che stava per offrirsi ai loro sguardi. Scoperchiata la seconda cassa, ecco quello che rimaneva del grande Don Bosco! L'impressione generale fu penosa: nulla di eccezionale presentava la salma. Il tempo e gli agenti chimici l'avevano [121] disfatta. Muti e commossi tutti contemplavano i resti del glorioso Servo di Dio, cercando di ricostruirne con la memoria le amabili e amate sembianze. Poi Arcivescovo e autorità, accompagnati da Don Rinaldi e dai Superiori, lasciarono la sala, cedendo il posto ai medici.

                Ma l'opera dei medici fu ritardata dalla folla, che tosto irruppe dentro. I chierici salesiani arginarono rapidamente la piena, regolando l'ingresso. Centinaia di persone, signori e popolani, giovani e vecchi, sani e infermi sfilarono esclamando, pregando, sfiorando con la - mano la bara. Là presso le due miracolate lacrimanti sembravano due esseri misteriosi venuti da un mondo lontano per rendere testimonianza alla santità, che un tempo aveva animato quelle membra consunte.

                Cessato l'affluire della gente, le casse furono richiuse e trasportate in altra sala presso la cappella dell'istituto, dove finalmente i medici avrebbero potuto mettere mano all'opera loro. Ma, data l'ora tarda, si decise di rimandare all'indomani l'inizio delle operazioni; quindi, constatato che per nessun'apertura sarebbe stato possibile introdurvisi dall'esterno, tutti uscirono. Allora il Cancelliere dinanzi al sottopromotore della Fede e ai testimoni strumentali appose sulla porta i sigilli arcivescovili. D'ora in avanti passeremo sopra a simili formalità, prescritte dai sacri canoni affinchè risulti in ogni caso l'assenza di violazioni.

                Il dì appresso, dalle prime ore del mattino, la strada che dal Po a va raggiungere il torrente Salice e fiancheggiandolo conduce al collegio, si andava sempre più animando: gruppi di popolani, massime operai, salivano portati dalla brama di vedere Don Bosco. Era cosa che commoveva l'osservare tanti lavoratori che per avere il tempo di procurarsi quella consolazione prevenivano il giorno e consumavano lassù il pane della loro colazione. L'affluenza crebbe nelle ore seguenti: laici ed ecclesiastici, uomini e donne si riversavano nel vasto cortile dell'istituto, aspettando pazientemente il loro turno. Poichè, [122] non volendosi scontentare tanta gente, i Superiori avevano ottenuto che fosse anticipata la rimozione dei sigilli e permessa l'entrata. Ma alle dieci la sala dovette essere sgombrata e chiusa a tutti, fuorchè ai medici e alla autorità ecclesiastiche per principiare le operazioni della ricognizione.

                Il pellegrinaggio continuò tutta la giornata e ricominciò, anzi aumentò il giorno seguente. Di bel nuovo i fedeli poterono per poche ore accostarsi alla salma; i più però dovettero limitarsi a visitare il luogo della sepoltura e la soprastante cappella della Pietà. Ma il 18 un comunicato diffuso per mezzo della stampa rendeva noto al pubblico: “La direzione generale dei Salesiani, commossa dal plebiscito di affetto che la folla dei divoti ha dimostrato verso la salma di Don Bosco, ringrazia con profonda riconoscenza, ma è anche nell'assoluta e dolorosa necessità di avvertire che per ora le visite sono sospese. Farà noto in seguito quando potrà essere soddisfatto il pio desiderio”. Questo tuttavia non arrestò l'accorrere di torinesi e di forestieri, che si ammassavano nel cortile, si spargevano sotto i portici e pregavano dinanzi alla vuota tomba. Presero poi a giungere anche le scolaresche dei vari compartimenti scolastici della città. Giungevano pure fiori in grande copia sì da convertire il luogo in giardino.

                Tre dovevano essere le operazioni dei medici: liberare la salma da tutti gl'indumenti che l'avvolgevano, procedere all'esame constatativo e provvedere alla conservazione dello scheletro. La salma nel suo complesso diede subito e a primo aspetto l'impressione precisa che, salvo le consunzioni naturali causate dal tempo, non vi era stata manomissione o effrazione di sorta, e questo importava anzitutto accertare. Diamo una sommaria descrizione del lavoro compiuto

                I paramenti sacerdotali rivestivano il corpo intero. I piedi erano contenuti nelle scarpe, logoratesi ed aperte in punta per macerazione della cucitura. Accanto al capo giaceva [123] la berretta. Sul petto poggiava un crocifisso di legno con Cristo di metallo ossidato e un abitino di Maria Ausiliatrice. Un altro abitino eravi da lato con la Madonna del Carmine. I medici tolsero primieramente i residui circostanti e i detriti vari, che furono con diligenza raccolti in apposite urne di vetro a coperchio. Poscia passarono a staccare adagio adagio il camice, il colletto, l'abito talare e il rimanente, riponendo ogni cosa in maggiori recipienti di vetro. In altre urne più piccole racchiusero in seguito le parti molli ex carnibus ed ex ossibus. Tutto questo sarebbe poi stato buon materiale per formare reliquie, al quale scopo l'Economo generale teneva in pronto migliaia di piccole teche. I medici intanto avevano messo così in luce, isolato, il corpo, che, rialzato e liberato dalle parti di abiti rimasti aderenti al dorso, venne collocato sur un tavolo chirurgico, apprestato di fianco alla cassa.

                La venerata spoglia si presentava in queste condizioni. Scheletro anatomicamente completo; ossa asciutte, compatte e situate nella loro naturale positura; giunture trattenute dai loro legamenti e dalle parti molli conservate. I tegumenti cutanei del capo, essiccati per processo di mummificazione, rivestivano completamente le ossa del cranio e della faccia, la cui forma era ben conservata per la mantenuta unione della mandibola; i capelli c'erano quasi tutti. Il torace aveva molte parti mummificate, sicchè le coste e la colonna vertebrale costituivano un insieme compatto, mentre nelle cavità si rinvennero resti essiccati degli organi interni. In continuazione delle parti molli del dorso e dei lombi erano pure in buono stato quelle che cingevano e mantenevano unite le ossa del bacino, a cui si vedevano annessi i due femori abbondantemente avvolti da muscoli mummificati. Anche lo scheletro delle gambe e dei piedi era ben conservato ne' suoi rapporti col resto del corpo, nonostante la mancanza delle parti molli. I sanitari chiusero una delle loro relazioni con una dichiarazione e un rilievo, scrivendo: “I sottoscritti [124] medici possono dichiarare che la salma del Venerabile Don Bosco è nel suo assieme ben conservata e a soddisfazione di tutti i devoti e ammiratori del grande Apostolo della gioventù e del popolo aggiungono che tra i diversi organi è particolarmente ben conservata la lingua”.

                La lingua di Don Bosco! Era naturale che nella sua conservazione sembrasse potersi scorgere alcunchè di simbolico, destinato a glorificare quel dono della parola, che fu al Servo di Dio per tutta la vita strumento efficacissimo a fare del bene dal pulpito, in confessionale, tra le pareti della sua cameretta, nei viaggi e durante i primi decenni del suo giovanile apostolato anche attraverso il cortile dell'Oratorio di Valdocco. La lingua di Don Bosco non aveva vibrato se non per lodare Dio e dispensare al prossimo insegnamenti, consigli, conforti. Le parole formate da quella lingua furono lume alle menti, pace ai cuori, mistica elevazione agli spiriti, invito a conversione, stimoli a perseveranza, lenimento ai mali della vita, salvezza eterna a innumerevoli anime.

                Il Postulatore della Causa Don Tomasetti, a nome dei Superiori Salesiani, espresse il desiderio che si studiasse la maniera di conservare il meglio che fosse possibile quei resti preziosi. I medici, per assecondare tale desiderio, fecero venire, col consenso del Promotore della Fede, il Dottor Giorgio Canuto, professore all'Università di Torino, il quale, prestato il solito giuramento, si accinse all'operazione. Da essi coadiuvato, avvolse la salma di bendaggio impregnato a saturazione di preparazione colloidale aromatica, processo conservativo che richiese tempo. Lo eseguirono in modo che tronco, bacino e cosce si mantenessero in unico pezzo; gli altri pezzi staccati furono protetti con una soluzione e vernice alcoolica di lacca o gomma di benzoino. É questo un preparato che vale ad assicurare perennemente la conservazione.

Certe parti vennero estratte per farne reliquie, le une da portare a Roma secondo la consuetudine, e altre da consegnare [125] ai Superiori Salesiani. Le prime erano destinate a suntuosi reliquiari, che si dovevano dopo la beatificazione offrire al Santo Padre, ai Cardinali e alle Sacre Congregazioni; le seconde, affidate a Don Rinaldi, e chiuse anch'esse in reliquiari, sarebbero poi state distribuite ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ad Arcivescovi e Vescovi, a chiese pubbliche e private ed a benefattori insigni delle opere di Don Bosco. Fra le reliquie consegnate da Mons. Salotti a Don Rinaldi spiccavano la lingua e il polmone destro, unico non consunto. Il medesimo Rettor Maggiore ricevette pure 128 grammi di sostanza cerebrale essiccata, che per il gran foro occipitale i medici avevano estratto dal capo. Dopo la beatificazione Don Rinaldi ripartì una porzione di quella materia in tante fialette vitree, che, collocate in ricche teche, furono distribuite agli Ispettori Salesiani e alle Ispettrici delle Suore.

                I ripetuti avvisi dei giornali sulla sospensione delle visite alla salma ottennero l'effetto contrario a quello che si voleva. O che non vi si prestasse fede o che si sperasse di vincere la consegna, il fatto è che la gente affluiva da mane a sera e sempre più numerosa. Qualche soddisfazione bisognava pur dare a tante brave persone, che non sapevano rassegnarsi ad andar via così deluse; perciò si ricorse allo spediente di far toccare al capo di Don Bosco oggetti religiosi ed anche indumenti d'infermi, che attendevano con fede dal nuovo Beato la guarigione dei loro mali.

                Condotti a termine i lavori descritti, i medici prepararono la salma per la vestizione. Gli abiti dovevano posare direttamente sopra lo scheletro, il quale perciò fu deposto e fissato con speciali apparecchi ortopedici sopra un lettino di velluto cremisi con frange d'oro, dono della famiglia Boggio. Ma poichè l'opera della vestizione sarebbe durata non poco e si era giunti al 23 maggio, parve opportuno rimandarla di qualche giorno, tanto da lasciare passare la festa di Maria Ausiliatrice. [126]

                La circostanza della festa, che condusse quell'anno a Valdocco una moltitudine maggiore del solito, accrebbe pure in misura straordinaria l'affluenza a Valsalice. Nella vigilia sei sacerdoti e due suore dalle otto alle tredici non fecero altro che prendere dalle mani dei visitatori corone, medaglie, crocifissi e indumenti, portarli a contatto col corpo del Beato e restituirli. Poco dopo le tredici poterono visitare la salma dirigenti e allievi dell'Istituto. Con quale trasporto ne baciavano essi la mano e il capo! Aleggiava nella sala qualche cosa di sacro, che infondeva raccoglimento e induceva a meditare. Fiori in grande quantità adornavano e profumavano l'ambiente; mazzi numerosi e svariati circondavano i sacri resti.

                L'accennata visita diede motivo allo spargersi della voce che la salma di Don Bosco o, come più semplicemente si diceva, che Don Bosco fosse visibile. La notizia corse per le colline all'intorno, e i contadini scesero a frotte dai loro cascinali; corse anche in città, ed ecco un incalzarsi di automobili, che, rompendo là folla, penetravano nel cortile o facevano coda lungo la strada. Verso sera la ressa era tanta, che dovettero intervenire dalla locale stazione guardie civiche per disciplinare il movimento. I Superiori Salesiani, impressionati alla vista di sì schietto e fervido entusiasmo, decisero di appagare i comuni desideri, e la sfilata cominciò. In quella fitta mescolanza di persone d'ogni ceto avvenivano manifestazioni di pietà che strappavano le lacrime.

                Nel giorno solenne della festa di Maria Ausiliatrice dalle primissime ore del mattino fino a tarda sera non cessò mai il concorso dei visitatori; un calcolo approssimativo ne fece ascendere il numero a ventimila. L'Economo Generale Don Giraudi, che sovrintendeva a tutte le attività valsalicesi di quei giorni, vedendo tanta folla desiderosa di venerare le reliquie del Beato, non ebbe cuore di mandarla via insoddisfatta; perciò, organizzato un servizio d'ordine e accordatosi con i responsabili della tutela canonica, riaperse per tempo [127] i battenti della sala, che pareva trasformata in una serra di olezzanti fiori.

                Quando Dio volle, si mise mano alla vestizione. Furono indossati alla salma tutti i paramenti del sacerdote all'altare. Giaceva quella sopra un ricco e lungo cuscino di velluto, adorno di ricami eseguiti dalle Suore. Le loro orfane di guerra avevano lavorato le calze in seta nera; poichè da tutti gl'indumenti i medici vollero assolutamente esclusa la lana per preservarli dall'azione del tarlo. Dalle scuole professionali dell'Oratorio di Valdocco vennero le scarpe e la veste talare. Un ricco amitto a ricami simbolici con un bellissimo centro crociato era dono inviato dalle Madri Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il camice in pizzo vero di Bruxelles ricordava la venerazione profonda nutrita costantemente per Don Bosco dalla Contessina Mazé de la Roche, nipote dell'Arcivescovo Gastaldi. D'inestimabile valore era la pianeta con rispondenti stola e manipolo. Ne aveva fatto dono il Sommo Pontefice Benedetto XV al Rettor Maggiore Don Paolo Albera nel 1918, celebrandosi il giubileo d'oro sacerdotale del secondo successore di Don Bosco. Il velo del calice, annesso alla medesima pianeta, era servito a confezionare il secondo cuscino che doveva sostenere il capo.

                La salma così rivestita venne adagiata entro un'urna tutta di tersissimo cristallo, che più tardi doveva essere inclusa in un'altra di legno dorato, artistico lavoro della scuola professionale salesiana di S. Benigno Canavese. Al capo era stata applicata la maschera modellata dallo scultore Cellini, autore del monumento di Don Bosco che sorge in piazza Maria Ausiliatrice, e dipinta dal pittore Carlo Cussetti.

                Ai riguardanti sembrò di rivedere la soavissima fisionomia del caro Padre, placidamente addormentato, con le mani giunte dinanzi al petto, esse pure modellate dal Cellini.

                Nei giorni seguenti continuò più animato di prima l'avviarsi della gente a Valsalice. Quella strada, a memoria d'uomo, non aveva mai visto per tanto tempo un sì incessante [128] e incalzante movimento di popolo. Intorno all'urna ferveva la preghiera. Sulle lastre del cristallo che rinserravano il corpo, molti deponevano per brevi istanti rosari e immagini. Non pochi infermi si trascinavano lassù e ottenevano di poter indugiare più degli altri presso l'urna, invocando e sperando. A schiere a schiere sfilavano gli allievi d'istituti educativi e caritativi. Un giorno arrivò uno stuolo di Camicie Nere. Quei baldi giovinotti, deposto sul coperchio un magnifico mazzo di fiori, passavano baciando il cristallo e portando con sè, come caro ricordo, fiori appassiti che trovavano qua e là ammassati negli angoli. Poi venne la volta delle Piccole Italiane e dei Balilla, che vi si succedettero a molte riprese. Veramente tutta quella venerazione pubblica era un po' prematura; ma nessuno l'aveva prevista, nè si poteva ormai arrestare la corrente, e il Promotore della Fede chiuse entrambi gli occhi.

                Intanto, avvicinandosi la data della beatificazione, comitive di pellegrini stranieri diretti a Roma sostavano fra un treno e l'altro a Torino; potendo, si recavano a Valdocco, dove per i cortili si udivano saluti e liete voci in vari idiomi, e molti si spingevano anche fino a Valsalice. Per Roma partivano ogni giorno Salesiani provenienti da Stati dei due mondi e da paesi di Missione. Erano in gran parte Ispettori e delegati d'ogni ispettoria, venuti in Italia per partecipare al Capitolo Generale della Società Salesiana, che doveva tenersi a Valsalice nel mese di luglio. Durante il viaggio all'eterna città essi incontravano stuoli di giovani inviati a rappresentare i loro compagni da cento e cento collegi e oratorii festivi; la sola casa madre di Torino mandò 250 alunni interni e 125 oratoriani. Fra i Salesiani avviantisi a Roma spiccavano i Prefetti e i Vicari Apostolici e i Vescovi residenziali d'Italia, d'America e delle Indie. Il Cardinale Salesiano Augusto Hlond, Arcivescovo di Gniezno e Poznam e Primate di Polonia, partì in volo dalla sua sede e atterrò nel campo d'aviazione presso Roma. Nessun Principe della Chiesa aveva [129] mai compiuto una trasvolata di tanta lunghezza. Festosissima accoglienza fecero a Don Rinaldi, terzo successore del Beato, gli amici romani. Sempre più l'attenzione universale si volgeva a Roma, dove la stampa si occupava largamente della prossima beatificazione, attribuendole un carattere d'importanza mondiale. Lasciando dunque che il pellegrinare dei divoti a Valsalice prosegua con ritmo ininterrotto fino alla trionfale traslazione, ci trasporteremo anche noi nella capitale del mondo cattolico per vedere le cose più notevoli che precedettero, accompagnarono e seguirono il glorioso avvenimento.

 

 

CAPO VIII.

La beatificazione a Roma

 

                NEL settembre 1927 il Santo Padre Pio XI, dando udienza al salesiano Mons. Enrico Mourao, Vescovo brasiliano di Campos, gli disse che avrebbe avuto gran piacere se la beatificazione di Don Bosco coincidesse col suo giubileo sacerdotale[54]. Orbene la Provvidenza dispose che quell'anno giubilare fosse allietato da due avvenimenti. Uno fu appunto la beatificazione di Don Bosco e l'altro la Conciliazione dello Stato Italiano con la Santa Sede. Questi due fatti non erano senza un intimo legame fra loro[55]; ma il primo avrebbe anche da solo rivestito il carattere di un vero avvenimento italiano e mondiale. Ciò che alla vigilia sarebbe stato per molti appena credibile, divenne il 2 giugno 1929 luminosa realtà. Esponiamo ordinatamente e sinteticamente le cose.

 

PRIMA DELLA BEATIFICAZIONE.

 

                A Torino fervevano preparativi adeguati alla circostanza, che si presagiva di grandiosità eccezionale; ma di Torino [131] parleremo nel capo seguente. Qui diremo però quel tanto che abbia relazione con la celebrazione romana. Era facilmente previdibile negli ambienti torinesi che Cooperatori, amici ed ex - allievi piemontesi si sarebbero in gran numero recati a Roma; vi si costituì perciò un comitato, a cui potessero far capo i pellegrini per le esigenze del viaggio e dell'alloggio, non che per le licenze agli operai. Fu pure coniato per i pellegrini un distintivo speciale da portarsi appuntato sul petto, sicchè, dovunque s'incontrassero, fosse loro agevole il riconoscersi. Il Regio Provveditore agli studi per la regione piemontese, Umberto Renda, già dal 13 marzo con circolare ai Comuni autonomi, ai Presidi delle Scuole medie d'ogni ordine e grado, ai Regi Ispettori scolastici, ai Direttori didattici aveva notificato ufficialmente la non lontana elevazione del Venerabile Don Bosco all'onore degli altari e, prospettando i meriti di lui nell'educazione della gioventù, disponeva che prima delle vacanze pasquali in tutte le scuole fosse appositamente ricordato l'amico e maestro dei fanciulli. Nelle scuole elementari la commemorazione doveva essere fatta dall'insegnante della classe, nelle scuole medie dal professore di lettere in ciascuna classe, negl'istituti magistrali dal professore di filosofia. Il Provveditore fece ancora di più. Per agevolare agli insegnanti che dipendevano da lui l'andata a Roma, li autorizzò ad usufruire della licenza di una settimana durante le feste romane. Approssimandosi poi la data della beatificazione, il Cardinale Gamba, Arcivescovo di Torino, indirizzò al clero dell'archidiocesi una lettera, nella quale scriveva: “Un così fausto avvenimento verrà accolto colla più viva esultanza non solo dalla grande Famiglia Salesiana, che vede innalzato all'onore degli altari il suo Fondatore, ma ancora da tutto il Piemonte, e vorrei dire da tutto il mondo cattolico, essendo conosciute ovunque le virtù eroiche, la santità e le infinite benemerenze di questo illustre Sacerdote Torinese”. Ordinava pertanto che la domenica 2 giugno in tutte le parrocchie si sonassero a festa le campane [132] verso il mezzogiorno per annunciare a tutti i fedeli l'avvenuta beatificazione, e che nel pomeriggio, previo avviso al popolo, si cantasse il Te Deum; inoltre, che la domenica seguente si ripetesse alla medesima ora il suono festivo dei sacri bronzi per salutare la solenne traslazione del corpo.

         Il Cardinale Gamba, già alunno dell'Oratorio di Valdocco, portava somma affezione alla memoria di Don Bosco, del quale parlava sempre con schietto e caldo entusiasmo. Nel trasporto della bara dal loculo al terrazzo superiore non aveva voluto unirsi ai portatori, applicando le sue mani a sostenere la cassa? Il Santo, a cui non erano sfuggite le belle doti del giovanetto, avrebbe desiderato farlo de' suoi; ma, vista la necessità di non lasciare sola al mondo la vedova sua madre, non ne ostacolò il disegno di entrare nel seminario arcivescovile, limitandosi soltanto a dirgli che, quando non dovesse più pensare alla genitrice, facesse ritorno all'Oratorio, dove egli l'avrebbe accolto ben volentieri. Se non che, quando la madre andò in paradiso, il figlio era già Vescovo di Biella. Naturalmente partì egli pure per Roma.

                A Roma i treni riversarono per tre giorni migliaia di pellegrini. Le due famiglie mondiali del Beatificando inviavano rappresentanze da ogni nazione, l'una con i suoi Vescovi, con i suoi sacerdoti, con i suoi allievi, e l'altra con le sue Suore e con le sue alunne. I Direttori diocesani dei Cooperatori avevano organizzato anch'essi pellegrinaggi di membri della pia Unione. L'Ospizio del Sacro Cuore era diventato un porto di mare. Qui convenivano, come a luogo di ritrovo e a punto di orientamento, i nuovi arrivati. L'Ispettore Don Simonetti e il Direttore Don Colombo, prevedendo lo straordinario concorso, avevano anche saputo provvedere in tempo a quanto le circostanze sembravano dover esigere. Avevano perciò costituito un Comitato di ex - allievi, che si adoperò con solerzia ad assicurare convenienti alloggi, a tenere la corrispondenza, a sbrigare pratiche di vario genere; allora poi sedeva in permanenza per soddisfare a tutte le richieste. Nell'Ospizio [133] si facevano anche ricevimenti solenni dei gruppi diocesani d'Italia e nazionali dell'estero. Particolarmente simpatici riuscivano i ricevimenti degli istituti e oratori salesiani. Ne giunsero ben trentadue, cinque dei quali con la propria banda musicale. Questi arrivi davano luogo a fraterne manifestazioni di gioia con gli alunni dell'Ospizio, manifestazioni fattesi più vive che mai quando si videro arrivare i 250 giovani dell'Oratorio di Torino, rappresentanti di quella Casa che fu culla ed è centro dell'Opera di Don Bosco. Moltissime famiglie romane, a un semplice invito, si stimarono onorate di offrire cortese ospitalità a Prelati e ad altre persone di riguardo. Per il cortile e sotto i porticati dell'Ospizio si confondevano con gl'italiani i pellegrini francesi, inglesi, polacchi, spagnuoli, americani, fraternizzando tutti insieme nel gran nome di Don Bosco.

                Alla vigilia della beatificazione il Santo Padre si degnò di onorare il pellegrinaggio piemontese, ricevendolo in udienza speciale. Furono quasi i primi vespri della festa. In numero di tremila i corregionali di Don Bosco, nel pomeriggio del I° giugno, salirono le scale del Vaticano, schierandosi lungo la prima loggia, le sale Ducale e Borgia e l'aula della Benedizione. Di Vescovi c'erano l'Ausiliare di Torino Mons. Pinardi e gli Ordinari Spandre di Asti, Filippello d'Ivrea, Rossi di Susa, Travaini di Cuneo e Fossano. Venivano appresso trecento sacerdoti e parecchi signori dell'aristocrazia piemontese; poi il grosso della folla.

                Il Santo Padre discese da' suoi appartamenti accompagnato dal Cardinale Gamba. Dando la mano a baciare, passò come una visione fra acclamazioni, applausi e canti. Giunto nell'aula della Benedizione, dove si riunirono tutti i pellegrini, si assise in trono e ascoltò un breve e devoto indirizzo di augurio per il giubileo e di omaggio filiale rivoltogli dal Cardinale Arcivescovo. Sua Eminenza espresse col cuore alla mano i comuni sentimenti di affetto e di ammirazione per il Santo Padre, dicendo come i pellegrini venuti da Torino [134] e dal Piemonte intendessero non solo onorare il Venerabile Don Bosco elevato all'onore degli altari, ma anche manifestare la loro profonda devozione al Papa e porgere i loro voti augurali nel suo cinquantesimo anno di sacerdozio, dopo aver pregato per Lui nella visita giubilare alla basilica vaticana. Il Santo Padre rispose:

 

                Diamo il benvenuto del cuore paterno ai diletti figli, ai cari sacerdoti di Dio, ai Venerabili Fratelli nostri nell'episcopato, all'Eminentissimo Cardinale, a voi tutti che venite dal caro Piemonte, forte e fedele; fedele nella santa Religione dei padri, fedele nella vita fortemente cristiana; a voi che venite con tanta pienezza di sentimenti pii. Il vostro Eminentissimo interprete ha rivestito di pastorale affetto la presentazione; ma noi abbiamo veduto con i nostri occhi i vostri sentimenti passandovi in una rassegna, che, quantunque rapida, ci ha dato il modo di fare, accostandoci a ciascuno di voi, la personale conoscenza. Questi sentimenti li abbiamo uditi nelle vostre acclamazioni ed applausi, e pertanto ancora una volta vi diamo il paterno benvenuto.

                Questo pellegrinaggio ci è doppiamente pio. Anzitutto pio di pietà vera e religiosa, ispirata alla fede del vostro e nostro Don Bosco, che il Signore ci ha concesso la grazia di conoscere e di passare qualche giorno con lui, mentre ora ci concede la grazia di elevarlo agli onori degli altari: ed i pellegrini piemontesi innanzi a questo nuovo altare sono venuti a portare le primizie del mondo intero, perchè ovunque è conosciuto Don Bosco, ovunque è conosciuta l'opera sua.

                E un'altra pietà vi ha condotti, ed è la pietà delle anime vostre, pietà che è la più importante, perchè innanzi tutto bisogna salvare le anime e prima di tutto la propria anima; salvando l'anima propria si potrà salvare l'anima degli altri, perchè nessuno può dare quello che non ha.

                I cari pellegrini sono venuti altresì per arricchirsi dei tesori del Giubileo, e sono venuti a cercarli alla fonte, al centro dell'antica Madre; e noi sappiamo bene come lo praticano e con quanta edificazione. Vi ringraziamo pertanto e con voi ringraziamo gli organizzatori, i sacerdoti, i quali dopo avervi preparati vi accompagnano con a capo il vostro Cardinale Arcivescovo, portando un vero esempio di edificazione e di religiosità. Sappiamo inoltre che nei vostri esercizi giubilari non avete dimenticato di pregare per noi, e noi perciò corrisponderemo a queste preghiere.

                Voi avete poi voluto unire un'altra pietà: una pietà tutta filiale verso il Padre comune, che proprio in questi giorni invecchia di un anno di più e che celebra il cinquantesimo sacerdotale. Voi avete [135] voluto partecipare anche a questo Giubileo, e noi vi esprimiamo tutta la nostra riconoscenza.

                Grande è la nostra gioia paterna nel vedervi raccolti dinanzi a noi, e, come di gran cuore vi abbiamo dato il benvenuto ora di tutto cuore pregheremo per voi e con eguali sentimenti v'impartiremo l'Apostolica Benedizione, a tutti, da Torino a Susa, dal piano alla vetta della Alpi. Facciamo voti che scendano su di voi le Benedizioni di Dio, su tutti e su ciascuno, sul Cardinale e sui Vescovi, sui Sacerdoti che lavorano per voi, consolati dalla vostra stessa corrispondenza, a vantaggio delle opere di organizzazione e di iniziative che sappiamo bene come fioriscono in mezzo a voi, con spirito di disciplina e di obbedienza. E la Benedizione vogliamo che discenda su tutti quelli che voi rappresentate, assenti con il corpo, ma presenti in spirito, sui vostri santi propositi, sull'apostolato della preghiera, della buona parola, della fedele e degna condotta, sull'apostolato del buon esempio. Invochiamo la Benedizione di Dio sui vostri interessi materiali, sulle vostre patrie, città, borgate e villaggi, sul vostro e nostro caro Piemonte, e questa Benedizione rimanga sempre.

 

                Impartita l'Apostolica Benedizione e fatta distribuire ai pellegrini la medaglia giubilare, il Santo Padre abbandonò l'aula, salutato da nuovi applausi e da più vive acclamazioni.

In quella stessa ora della vigilia, all'estremità opposta dell'Urbe, nel quartiere tiburtino, si anticipavano sott'altra forma le feste del nuovo Beato. I Padri Giuseppini, che hanno ivi la loro casa generalizia, memori dei rapporti passati fra il Teologo Murialdo, loro fondatore, e il fondatore dei Salesiani, rendevano a Don Bosco un omaggio segnalato. Un'eletta di personalità, fra cui gli Eminentissimi Hlond salesiano e Sincero piemontese, parecchi Vescovi italiani e stranieri, il Rettor Maggiore Don Rinaldi, tutta la Curia generalizia dei Giuseppini, gli Ambasciatori del Brasile e del Nicaragua presso la Santa Sede, il Senatore Boselli, Collare dell'Annunziata, tre Generali d'esercito e molti altri cospicui signori si erano radunati colà per ascoltare l'orazione commemorativa di Don Bosco, affidata alla Contessa Amalia Cappello, consorte del menzionato diplomatico nicaraguaiano. L'oratrice, signora di fine cultura e ben nota negli ambienti romani, corrispose felicemente al mandato commessole [136] e all'aspettazione di sì scelto uditorio. L'atto di sincera e affettuosa fraternità dei Giuseppini meritava di essere consacrato in queste Memorie.

 

LA BEATIFICAZIONE.

 

                Spuntò finalmente l'alba del 2 giugno. Dalle prime ore mattutine cominciò l'affluire incessante della gente nella piazza di S. Pietro. Sospinti dall'unica brama di assistere all'esaltazione di Don Bosco, tutti si affrettavano a conquistarsi un posto nell'immensa Basilica. Salita la gradinata e messo piede nel portico, i pellegrini levavano gli occhi a uno stendardo, che sull'ingresso principale mostrava Don Bosco portato in trionfo da un gruppo di giulivi suoi allievi, com'è descritto nelle Memorie Biografiche. Il padre della gioventù stava assiso su d'un seggiolone e nello sfondo si disegnava la campagna piemontese. Chi sapeva di latino, vi leggeva sotto un distico, del quale era questo il senso: Sorreggono sulle loro spalle con festose acclamazioni il sacerdote Giovanni Bosco i giovani esultanti e animati da un unico amore[56].

                La vastità della Basilica si popolava di minuto in minuto; due ore prima della cerimonia gli spazi riservati erano già gremiti. Le personalità diplomatiche e civili e le rappresentanze più ragguardevoli affollavano grandi tribune ai lati dell'abside. Altre tribune accoglievano il sovrano Ordine di Malta, i parenti del Beato, i Superiori dei Salesiani e le Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice. In basso da ambe le parti vari recinti inquadravano istituti maschili e femminili, pellegrinaggi collettivi e persone munite di biglietti speciali. Apposite bancate attendevano numerosissimi Arcivescovi e Vescovi, fra i quali dodici Prelati salesiani. A destra e a sinistra dell'arcone sottostante alla cupola fra la Confessione e l'abside pendevano da due logge due ampi stendardi, [137] nei quali si vedevano riprodotte le scene dei due miracoli approvati per la beatificazione[57]. Al fondo della maestosa abside, sopra l'altare della Cattedra e nel centro della mirabile raggiera di angeli, detta la Gloria del Bernini, un velario nascondeva agli sguardi ansiosi del pubblico qualche cosa che evidentemente era destinata ad apparire in un momento opportuno.

                Man mano che l'ora della funzione si avvicinava, più trepida si faceva l'aspettazione generale e un mal represso fremito d'impazienza agitava la moltitudine. Dall'alto della tribuna, donde si affacciava lo stato maggiore dei Salesiani, un venerando vegliardo, unico superstite dei tempi più antichi dell'Oratorio, Don Giovanni Battista Francesia, rievocava nell'attesa il ricordo di un'altra celebrazione simile, sebbene non tanto grandiosa, e su quel ricordo vedeva riaffiorare un suo presagio lirico, che stava per tradursi in realtà. In un lontano giorno del 1867 egli doveva accompagnare Don Bosco a S. Pietro per assistere ad una beatificazione e dandone preventivamente notizia a quei dell'Oratorio di Torino, aveva scritto: “Andrò a vedere quello che avranno forse a vedere i nostri nepoti di una persona che noi conosciamo benissimo. Ancorchè desideri vederla io stesso, non invidio però tale consolazione ai posteri. A loro la festa, a noi la persona; a loro la storia, a noi le sue stesse azioni e parole”. Dio invece aveva riserbato anche a lui l'insperata consolazione. Ecco pertanto in quale concetto di santità avevano Don Bosco coloro che da anni gli vivevano a fianco ed erano testimoni quotidiani del suo fare e del suo dire!

                Allo scoccare delle dieci, dopo il canto di Nona, i Canonici del Capitolo Vaticano con a capo il Cardinale Arciprete [138] Merry del Val si avanzarono processionalmente dalla Cappella Giulia e andarono a occupare i loro stalli nell'abside in cornu epistolae, mentre in cornu evangelii in apposita bancata prendevano posto i Cardinali componenti la Sacra Congregazione dei Riti, cioè Laurenti Prefetto, Vannutelli, Granito Pignatelli di Belmonte, Frùhwirt, Scapinelli di Lèguino, Sincero, Cerretti, Hlond, Ehrle e Verde. Fra il maestoso fulgore di tante porpore brillava di non celata letizia la figura amabile del Cardinale Gamba. In altre bancate si allineavano i Prelati, Ufficiali e Consultori della medesima Congregazione e i membri della Postulazione.

                Come tutti furono ai propri luoghi, il Postulatore della Causa Don Tomasetti, accompagnato dal Segretario dei Riti Mons. Mariani, si appressò al Cardinale Prefetto e gli rimise il Breve Apostolico della beatificazione, pregandolo di volerne ordinare la pubblicazione. Sua Eminenza lo rimandò al Cardinale Arciprete per domandare il permesso di leggere il documento pontificio nella sua Basilica. Ottenutane la facoltà, un Prelato Canonico Vaticano, Mons. Barnabei, asceso sur un piccolo podio appositamente elevato nel presbiterio, lesse il Breve, nel quale il Sommo Pontefice, dopo aver fatto un rapido cenno della vita, delle opere, delle virtù eroiche e dei miracoli di Don Bosco, dichiarava di ascriverlo nel numero dei Beati. Eccone la traduzione.

 

                Mirabile è Dio nei suoi Santi, i quali, mentre vivono in terra, attendono a promuovere la gloria del Signore e la salute eterna degli uomini; ad essi lo stesso Dio d'Israele darà vigore e fortezza (Ps., LXVII, 36), affinchè, non lasciandosi intimorire da alcuna difficoltà di questo mondo nè da contrastanti nemici, possano conseguire i santi fini che si sono proposti, come è felicemente avvenuto al pio fondatore dei Salesiani, sacerdote Giovanni Bosco.

                Nato il 16 agosto 1815 in un piccolo borgo rurale presso Castelnuovo d'Asti da piissimi genitori e rigenerato al sacro fonte il giorno seguente, Giovanni Bosco, avendo perduto ben presto il padre, trascorse in patria una puerizia piena di difficoltà. La madre, insigne per virtù e da additare ad esempio come educatrice, insegnò la dottrina cristiana al suo figliuoletto, che sin dalla prima età si fece notare [139] da tutti per pietà, purezza di costumi e dolcezza di carattere. Dotato di acuto ingegno e di tenace memoria, ancor fanciullo usava ripetere con mirabile fedeltà, quel che aveva sentito in chiesa dal parroco, o da qualche predicatore, ai suoi coetanei, che sin d'allora, quasi precorrendo quel che avrebbe fatto poi, radunava nei giorni festivi attorno a sè con giuochi, desideroso d'insegnar loro la religione cattolica e a pregare Dio e la Vergine.

                Appresi i primi elementi dal cappellano del luogo, frequentò poi le scuole di Castelnuovo, distanti dieci chilometri, e da ultimo quelle di Chieri, dimostrandosi sempre uno scolaro esemplare, sebbene per le necessità della vita si occupasse per molti anni in faticosi lavori come agricoltore, operaio e servo.

                All'età di diciassette anni vestì l'abito clericale ed entrò nel Seminario arcivescovile di Chieri, con l'aiuto e il consiglio specialmente del Beato Cafasso, per il quale nutrì poi sempre venerazione e amicizia. Nello stesso Seminario pertanto fece con profitto i corsi di filosofia e teologia,  e in seguito, già sacerdote, si applicò di nuovo e per più di tre anni, allo studio della teologia morale e della sacra eloquenza nel Convitto ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi a Torino. Finalmente l'anno 1841, ordinato sacerdote la vigilia della Santissima Trinità a Torino, disse privatamente e con profonda pietà la prima Messa nella suddetta chiesa di S. Francesco; e soltanto nella successiva solennità del Corpus Domini, tra la più grande commozione dei tanti che erano venuti dal natio borgo, celebrò con edificante pietà la Messa solenne nella chiesa di Castelnuovo.

                Il novello sacerdote, spiegando ardentissimo zelo per la salute delle anime e grande carità, esercitò per cinque mesi l'ufficio di coadiutore del parroco di Castelnuovo; ma lo Spirito del Signore era in lui e lo chiamava provvidamente a coltivare una più ampia porzione della sua vigna. Entrato nel Convitto ecclesiastico torinese di S. Francesco d'Assisi, sotto la direzione e la guida del Beato Cafasso, si dà ad esercitare alacremente, con grande vantaggio delle anime, il ministero sacerdotale nelle carceri e negli ospedali; assiduo al confessionale, di qualunque cosa tratti o parli, tutto dirige costantemente all'unico scopo della salute delle anime; seguendo San Francesco di Sales, già propostosi ad esempio, con dolcezza e pazienza mirabili si studia di ricondurre pentiti a Dio i peccatori. Nulla trascura che sia adatto al conseguimento di questi santi scopi: per essere in grado di confessare soldati tedeschi impara appositamente e in breve tempo la loro lingua; per venire incontro al popolo e alla gente incolta e ignara, già in possesso di molta e varia cultura, si applica con particolare impegno alla scienza apologetica e allo studio della storia.

                Ma sin da allora lo attirava profondamente la sorte dei fanciulli e dei giovani che, mancanti d'ogni educazione cristiana, crescevano sulla pubblica strada lontani da Dio e fuori del sentiero della verità [140] e della giustizia. Per tre anni pertanto a partire dal giorno dell'Immacolata del 1841, radunò nella chiesa torinese di S. Francesco d'Assisi i ragazzi che attirava a sè con accorte industrie e mirabile pazienza; così che ivi ebbe principio il primo Oratorio, che il Servo di Dio per umiltà e divozione chiamerà Salesiano da S. Francesco di Sales.

                Tosto contro l'opera utilissima appena incominciata si levano per abbatterla difficoltà d'ogni genere. Ma ivi era il dito di Dio! Il primo Oratorio, dopo esser passato dalla primitiva sede al tempio di S. Martino, poi a quello di S. Pietro in Vincoli, da ultimo in una casa detta del Moretta, finalmente nell'aprile del 1846 si rifugiò in un edificio del borgo allora suburbano, detto di Valdocco. Ivi il Servo di Dio con l'aiuto costante e manifesto di Dio e della Beata Vergine compì cose mirabili. L'Arcivescovo di Torino arricchì di opportuni privilegi l'Oratorio, che continuerà ad essere dedicato a San Francesco di Sales, e lo stesso Re Carlo Alberto lo prese sotto la sua protezione.

                In breve sorgono altri Oratori simiglianti: un secondo intitolato a San Luigi, nel 1847; un terzo due armi dopo dedicato all'Angelo Custode; e dopo alcuni altri anni un quarto che prende il nome di San Giuseppe. In essi il Servo di Dio concepì e applicò nell'educazione dei fanciulli e dei giovani un metodo nuovo, che derivava da San Filippo Neri e chiamò preventivo.

                Con la cooperazione della sua piissima e forte madre, che aveva chiamato appositamente a Torino, perchè lo aiutasse nell'opera, fondò nel 1847 presso l'Oratorio e nella stessa sua casa un primo ospizio per i giovinetti abbandonati e senza tetto e per i quali si richiedeva una particolare educazione cristiana. Da tale ospizio, come da buono e fecondo seme, provengono gl'innumerevoli Collegi e Istituti retti così dai preti salesiani come dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Poichè, ad impedire che l'opera iniziata a vantaggio della gioventù venisse col tempo a finire, il Servo di Dio, consigliato da molti e specialmente dal Beato Giuseppe Cafasso, persuaso anche dalla viva voce del nostro predecessore Pio IX, fondò dapprima la Società dei Preti di San Francesco di Sales e in seguito anche la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

                La Società dei Preti di San Francesco di Sales, i cui principii risalivano al 1858, accresciutasi di giorno in giorno, fu lodata e commendata dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, a nome della Sede Apostolica, l'anno 1864, e le fu proposto a superiore generale o Rettor Maggiore a vita il Servo di Dio, il quale scrisse Regole e Costituzioni molto adatte ai tempi, che nell'anno 1874, cinque anni dopo la conferma generale della stessa Pia Società, furono approvate dalla suddetta Sacra Congregazione Romana.

                L'anno 1872 il Servo di Dio fondò il secondo suo Istituto, delle Figlie o Suore di Maria Ausiliatrice, le quali, legate coi voti di povertà, [141] castità e obbedienza, attendono all'educazione delle fanciulle, alla maniera stessa dei Salesiani.

                Per la stabilità e diffusione dell'una e dell'altra Istituzione, dei Preti e delle Suore, Giovanni Bosco sostenne grandi fatiche, affrontò con animo pronto e forte le imprese più ardue, sopportò pazientemente molestie e ingratitudini.

                Nè gli bastò tutto questo; chè, mirando sempre alla salute delle anime e instancabile nel lavoro, per portare la luce della verità cristiana e il benessere della cristiana civiltà fra i popoli incolti sparsi per il mondo fino alle regioni più inospitali, mandò anche missionari all'estremità dell'America meridionale, erigendo inoltre a Torino per la istruzione e preparazione di sacerdoti missionari un Seminario, detto comunemente di Valsalice.

                Finalmente, per compiere la rassegna delle molte fondazioni del Servo di Dio, si deve ricordare l'istituzione così dell'Unione dei Cooperatori Salesiani che aiutano in diversi modi le Opere Salesiane, come dell'Opera di Maria Ausiliatrice per promuovere le vocazioni ecclesiastiche, nonchè le chiese da lui erette col danaro raccolto da ogni parte, fra le quali meritano speciale menzione la Basilica parrocchiale del Sacro Cuore al Castro Pretorio in questa Nostra Alma Città, e il Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino. Le quali cose tutte, intraprese dal Servo di Dio non per guadagnar lucro o lodi umane, ma soltanto per la gloria di Dio e la salute delle anime, ebbero il più felice compimento.

                Attese fino alla morte con mirabile costanza alle opere intraprese; fu luminoso esempio di tutte le virtù, di chiara fede e cristiana fortezza, di divozione a Dio e alla Beata Vergine, del più profondo ossequio in tempi difficili verso il Romano Pontefice e la Sede Apostolica. Dispregiatore di sè in una costante umiltà, nulla chiedendo per sè amante com'era della povertà, con lo spirito sempre pronto, infaticabile nel cercare la salute delle anime e nel condurre, anche per il bene della Chiesa, i più gravi e complicati negozi, prudentissimo, sobrio e rifuggendo dalle comodità della vita, lasciò non solo ai suoi allievi, ma anche a tutti i cristiani tali esempi degni d'imitazione da essere giustamente ritenuto da tutti ancor vivo un Santo. Il 31 gennaio del 1888 si addormentò piissimamente nel Signore.

                Le mortali spoglie del Ven. Servo di Dio furono esposte prima nella camera stessa dov'era spirato; poi, rivestite degli abiti sacerdotali, nella chiesa di S. Francesco di Sales, nella quale chiesa fu celebrato il solenne funerale, cui assistettero con somma divozione più di centomila cittadini, Vescovi del Piemonte, canonici, parroci venuti anche da lontani paesi, e una gran moltitudine di seminaristi, accorsi alle esequie anche da diocesi Francesi e della Svizzera[58]. [142]

                Il Servo di Dio fu composto in pace nel Seminario delle Missioni a Valsalice, e alla sua tomba è ancor oggi continuo l'affluire dei pellegrini, attratti dai doni soprannaturali, di cui Dio aveva arricchito in vita il suo Servo, e dalla fama di santità che lo aveva circondato.

                Questa fama della santità di Giovanni Bosco non solamente non diminuì mai, ma rifulse di giorno in giorno sempre più vivida, tanto che presso la Sacra Congregazione dei Riti incominciò a trattarsi la Causa di beatificazione del Servo di Dio, e il nostro predecessore Pio X di felice memoria firmò col Decreto pubblicato il 24 luglio 1907 la Commissione d'Introduzione della Causa. Raccolte quindi giuridicamente ed esaminate secondo il nostro rito le prove delle virtù eroiche dello stesso Servo di Dio, Noi, con solenne Decreto promulgato il 20 febbraio 1927, definimmo l'eroicità delle virtù del Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco.

                Iniziatasi poi la discussione dei miracoli che si dicevano operati da Dio a intercessione dello stesso suo Servo, vagliata con severissima cura ogni cosa, essendo stati giudicati veri e palesi due dei molti prodigi attribuiti all'intercessione del Servo di Dio dopo la sua morte, Noi, con altro Decreto pubblicato il 19 marzo del corrente anno 1929, dichiarammo con la suprema Nostra Autorità constare la loro verità.

Essendosi dunque pronunciata la sentenza sul grado eroico delle virtù e sui miracoli, una sola cosa rimaneva da discutersi, se cioè il Ven. Servo di Dio potesse essere sicuramente annoverato fra i Beati. Tale dubbio fu proposto dal diletto figlio Nostro Alessandro Verde, Cardinale di Santa Romana Chiesa, nella Congregazione' Generale tenuta alla Nostra presenza il 9 aprile del corrente anno, e quanti v'intervennero, sia Cardinali sia Consultori dei Sacri Riti, diedero ad unanimità risposta affermativa.

                Noi tuttavia, trattandosi di cosa di tanta importanza, differimmo il Nostro giudizio finchè non avessimo domandato a Dio con vive preghiere l'ausilio dei celesti lumi. Ed avendo ciò fatto con grande fervore, alla fine nella terza domenica dopo Pasqua, dopo aver offerto il divin sacrificio, presenti i diletti Figli Nostri Camillo Cardinal Laurenti, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, e Alessandro Cardinal Verde, Ponente della Causa, nonchè i diletti figli Angelo Mariani, Segretario della Congregazione dei Riti, e Carlo Salotti, Promotore della  sentenziammo con la Nostra autorità potersi procedere con sicurezza alla solenne Beatificazione del Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco.

                Stando così le cose, compiendo i voti di tutta la Società dei Preti di S. Francesco di Sales, nonchè delle Suore della Congregazione di Maria Ausiliatrice, e di tutti i Cooperatori ed alunni Salesiani, con la Nostra Apostolica Autorità, a tenore della presente lettera, diamo [143] facoltà che il Ven. Servo di Dio Giovanili Bosco, prete secolare di Torino, sia chiamato d'ora in poi col titolo di Beato: e che il suo corpo e le sue reliquie, da non trasportarsi tuttavia nelle solenni processioni, siano esposte alla pubblica venerazione dei fedeli, e le sue immagini siano ornate di raggi. Inoltre, con la medesima Nostra Apostolica Autorità concediamo che  si reciti di lui l'Ufficio e si celebri la Messa ogni anno de Communi Confessorum non Pontificum, con orazioni proprie da Noi approvate, secondo le Rubriche del Messale e del Breviario Romano.

                Ma la recita di quest'Ufficio e la celebrazione della Messa concediamo sia fatta soltanto nell'archidiocesi di Torino, ove il Servo di Dio nacque e dove morì, nonchè nei tempii e cappelle posti in ogni parte della terra, dei quali si servono la Società dei Preti di S. Francesco di Sales, e la Congregazione delle Suore o Figlie di Maria Ausiliatrice, da tutti i fedeli che hanno l'obbligo di recitare le ore canoniche e, per quanto riguarda la Messa, da tutti i Sacerdoti così secolari che regolari, i quali convengono nelle chiese in cui si celebra la festa del Beato.

                Da ultimo diamo facoltà di celebrare la solennità della beatificazione del Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco nelle suddette chiese, nei giorni da destinarsi dalla legittima Autorità, entro un anno, servatis servandis, dalla celebrazione della solennità nella Patriarcale Basilica Vaticana. Non ostante le Costituzioni e Ordinanze Apostoliche e i Decreti sul non cultu e qualsiasi altra disposizione.

                Vogliamo poi che alle copie di questa Lettera, anche stampate, purchè firmate di propria mano dal Segretario della predetta Sacra Congregazione dei Riti, e munite del sigillo del Prefetto, sia prestata anche nelle discussioni giudiziarie la stessa fede che si presterebbe alla Nostra volontà espressa con l'esibizione di questa Lettera.

                Data in Roma, presso S. Pietro, sotto l'anello del Pescatore, il 2 giugno dell'anno 1929, ottavo del Nostro Pontificato.

 

P. CARD. GASPARRI.

Segretario di Stato.

 

                Terminata la lettura, fu un momento solenne. Tutti si levarono in piedi e puntavano lo sguardo sulla raggiera berniniana. Ad un cenno cala il velario che ne copriva il centro e circonfuso da migliaia di luci appare il nuovo Beato. Tutta l'abside s'illumina d'innumerevoli lampadine. Sull'altare sfavilla un magnifico reliquiario. L'immenso pubblico alla vista di Don Bosco nella gloria non potè frenare la commozione, ma proruppe in un clamore di entusiastico applauso, che sotto le gigantesche volte parve fragore di tuono. Sedato [144] il frastuono, echeggiava dall'esterno il suono a distesa delle argentee grosse campane di S. Pietro, donde il lieto scampanio si propagava di chiesa in chiesa ad annunziare a tutta l'Urbe l'elevazione di Don Bosco all'onore dei Beati. L'Osservatore Romano dell'8 scriveva: “Raramente la Basilica Vaticana ha udito una simile esplosione di gioia viva e prorompente come quella che sgorgò da ogni cuore, all'apparire della nuova visione, immagine soltanto del tripudio degli angeli e dei giusti intorno al Beato comprensore nell'altra gloria, quella senza fine quella celeste”.

                Intanto il celebrante aveva intonato l'inno del ringraziamento: Te Deum laudamus! Gli rispose, sprigionandosi da migliaia di petti, un grido solo di fede e di gioia: Te Dominum confitemur! Dopo le ardue, diuturne prove era venuta finalmente l'ora del trionfo! Ecco là il Don Bosco talvolta incompreso, contrariato, combattuto, sempre in lotta con difficoltà d'ogni genere, eccolo allora rifulgente in uno sfolgorìo di luci e fatto segno a un osanna, che sembrava voler valicare i limiti dello spazio e del tempo.

                Alla fine dell'inno ambrosiano il diacono intonò per la prima volta l'Ora pro nobis Beate Ioannes e Mons. Valbonesi celebrante cantò l'Oremus, quindi incensò la reliquia e l'immagine. Assunti poi i sacri paramenti, cominciò la Messa pontificale, celebrata con la solennità che si ammira nella Basilica del Principe degli Apostoli. La Cappella Giulia sotto la direzione del Maestro Boezi eseguì la parte musicale. Secondo il costume, si fece larga distribuzione d'immagini e di Vite del Beato. La funzione ebbe termine dopo il mezzogiorno.

                Le fiumane della gente, erompendo da tutte le porte, si rimescolavano nel pronao e confluivano a formare una piena sola, che sgorgava con impeto dall'unica ampia apertura. Di qui si riversava a guisa di rigurgitante cateratta per la vasta gradinata e andava a inondare la piazza, che in breve ondeggiò tutta come un mare mosso dal vento. Dal centro [145] della facciata di S. Pietro sventolava nell'aria su quella moltitudine un larghissimo stendardo. I pellegrini, entrando al mattino nella Basilica, non avevano visto che cosa vi stesse a fare, perchè coperto tutto da un gran telo, staccatone poi all'intonarsi del Te Deum. Nonostante la fretta di raggiungere le loro dimore, chi di essi negò un'occhiata al radioso dipinto? Don Bosco entro un alone luminoso saliva al cielo. Dalle nubi circostanti emergevano tre angeli, che ad ali spiegate ne accompagnavano giubilando l'ascesa. In basso ai lati levavano la fronte due chiese, quella del Sacro Cuore di Gesù a Roma e quella di Maria Ausiliatrice a Torino, sulla quale si vedeva cadere un ramoscello di rose. In sei esametri latini era detto: Entrando nel tempio venera Don Bosco Giovanni che Pio XI, regnante nella Città santa, inscrisse ritualmente nei fasti dei Beati. Pregalo affinchè liberi la gioventù dall'infernale nemico e protegga l'Italia, la quale, restituita a Cristo, dia all'immortale Re il dovuto onore[59]. La frase reddita Christo alludeva alla Conciliazione, per la quale il Papa aveva pubblicamente as­serito d'aver ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio.

                La mattina del 2 giugno il collegio di Valsalice vide una folla maggiore che nei giorni precedenti. Fra gli altri vi si diedero convegno nell'ora della beatificazione moltissimi ex - allievi che o per ragioni d'ufficio o per impossibilità di sopportare la spesa non erano potuti andare a Roma; e là assistettero ad una funzione religiosa e per la prima volta pregarono il loro grande Maestro come si pregano i Santi del paradiso e ne invocarono l'intercessione. Era l'ora in cui nel cielo di Torino e dell'archidiocesi alto si levava da tutte le chiese il giulivo concerto delle campane, ad annunciare che la Chiesa aveva in Don Bosco un nuovo Beato. [146]

                L'usanza porta che nelle beatificazioni il Papa discenda durante il pomeriggio in S. Pietro a venerare i nuovi Beati; quindi per le sedici avevano accesso alla Basilica soltanto le persone munite di biglietto. Il Maestro di Camera ne aveva fatti stampare sessantamila, che erano stati già esauriti nei giorni antecedenti, e troppi, specialmente Romani, ne rimasero privi. Indescrivibile fu l'affluenza, tanto che a un certo punto bisognò chiudere i cancelli e tagliar fuori una vera folla, che aveva diritto di entrare. Le proteste arrivarono fino all'ufficio di Monsignor Maestro di Camera, che si recò personalmente in S. Pietro per vedere se fosse ancora possibile ammettere altre masse di gente. Ottenutasi la cosa mediante una più accurata distribuzione dei posti, i cancelli si riaprirono e così una nuova ondata penetrò nella Basilica.

                Alle diciassette il tempio aveva l'aspetto delle maggiori occasioni. Non un angolo vuoto; tenuto sgombro dalle guardie palatine e fiancheggiato da robusta stecconata soltanto lo spazio centrale, per cui doveva passare il Papa. Nel ronzìo della folla si mescolavano tutti i dialetti d'Italia e quasi tutte le lingue d'Europa. Un movimento improvviso verso il fondo d'entrata fece intendere che il Papa giungeva. Ne nacque un silenzio impressionante e tutti i visi guardavano da quella parte. Si avanzava la testa di un imponente corteo, chiuso da ventiquattro Cardinali, ed ecco nel vano della maggior porta, levato in alto sulla sedia gestatoria e assiso come in trono, il Papa benedicente. Tosto dalla loggia soprastante squillarono le trombe d'argento, intonando la bella marcia del Silveri, la quale diffuse nella Basilica un mistico raccoglimento. Ma fu cosa di un attimo, perchè la folla, trasportata da entusiasmo, proruppe in deliranti grida al Papa della Conciliazione, al glorificatore di Don Bosco. Uno sventolìo di bianchi fazzoletti si agitava nell'aria su tutta quella marea. Pio XI s'inoltrava benedicendo con largo gesto in ogni direzione. Aveva l'emozione dipinta sul volto maestosamente e paternamente atteggiato. Scorto un cartello che, [147] alzato sopra una schiera di giovani, recava la scritta: Casa madre di Don Bosco in Torino, fece sostare un istante e fra la commozione generale lanciò ripetutamente la benedizione a quel gruppo. La fremente manifestazione lo seguì fino all'abside, facendosi ancora più intensa quando il coro della Cappella Giulia fece udire le prime note del Tu es Petrus.

                Il Santo Padre, disceso dalla sedia gestatoria, s'inginocchiò al faldistorio, mentre si esponeva il Santissimo; poi si alzò, si fece innanzi e, portogli il turibolo dal Cardinale Arciprete, incensò l'Ostia Santa e ritornò al luogo di prima. I cantori eseguivano allora l'Iste Confessor, cui tennero dietro le preci proprie del Beato e il Tantum ergo. Dopo la seconda incensazione il Salesiano Mons. Corréa, Arcivescovo di Cuyabá nel Brasile, impartì la trina benedizione eucaristica. Questa funzione della sera, come pure quella del mattino, spetta di diritto al Capitolo di S. Pietro; ma il Capitolo, accogliendo un'istanza di Don Tomasetti, aveva concesso il favore che la cerimonia serale venisse compiuta da un Prelato salesiano.

                Riposto che fu il Santissimo, Don Rinaldi e Don Tomasetti si appressarono al Santo Padre e gli offrirono un artistico reliquiario, racchiudente un notevole frammento di ossa del Beato[60]. Unitamente al reliquiario il Rettor Maggiore e il Procuratore generale gli umiliarono ex more un mazzo di fiori artificiali, le immagini e le Vite di Don Bosco. Il Santo [148] Padre nel gradire i doni scambiò alcune parole con gli offerenti, che gli presentarono il Conte Thaon di Revel, Podestà di Torino, e il Senatore Conte Rebaudengo, Presidente generale dei Cooperatori Salesiani. Sua Santità confortava tutti dell'apostolica benedizione.

                Vite e immagini furono contemporaneamente distribuite, com'è di prammatica, ai Cardinali, ai numerosi Arcivescovi, Vescovi e Prelati presenti, al Corpo Diplomatico, alla Nobiltà e agli altri invitati. Di tre forme sono le Vite prescritte per l'occasione: una più diffusa e riccamente legata per le personalità, la seconda alquanto ristretta per la comune dei presenti, la terza a rapidi tocchi per la diffusione popolare. La principale di queste Vite era opera del 'Promotore della Fede, Mons. Salotti. Per l'occasione anche il salesiano Don Auffray ne pubblicò una in francese, la quale fu molto lodata ed è tuttora molto letta.

                Il Papa, risalito in sedia gestatoria, riattraversò la Basilica, salutato da nuovi e vigorosi applausi, mentre le trombe d'argento ripetevano la marcia consueta. Nel portico la folla che lo gremiva, al suo apparire sulla soglia del tempio gli fece una calorosa ovazione, alla quale partecipò l'altra folla che si pigiava fuori della gradinata. A tal vista il Papa, sollevatosi in piedi, innalzò con atto solenne la destra a benedire entrambe le folle. Giunto finalmente alla scala del Bernini, discese dalla sedia, salutò i Cardinali e si avviò a' suoi appartamenti. Subito dopo l'attenzione del pubblico, quello uscito dalla Basilica e l'altro che da ogni sbocco di via invadeva la piazza, si concentrava tutta nelle acrobatiche manovre dei famosi Sampietrini, che in numero di trecentocinquanta prendevano posizione su per la facciata e attorno alla cupola. Imbruniva, e quegli uomini agilissimi, superando difficoltà che gli spettatori non immaginavano, si tenevan pronti all'accensione della Basilica.

                É questa un'operazione che si compie in due tempi. S'illuminano prima le linee architettoniche della facciata, i costoni [149] della cupola e i colonnati. Sono cinquemila lanternoni disposti in modo, che ne balza nettamente disegnata la figura schematica della mole. Allora la cupola di Michelangelo sembra staccarsi da terra e lanciarsi verso le sfere celesti. Poi, un quarto d'ora avanti le ventuna, a un dato segnale, i Sampietrini dai loro posti accendono una torcia a vento, nascondendone la luce entro un riparo di ferro e alle ventuna precise, appena la campana dà il primo tocco, il capo dei Sampietrini, che sta sulla croce della palla, accende lassù la prima padellina o fiaccola. Tosto lo imitano con fantastica rapidità tutti gli altri, accendendo le padelline che si trovano a portata della loro mano, sicchè di alto in basso e in meno di dieci minuti avvampano cinquecento nuovi fuochi, e l'intera Basilica sembra palpitare in una luminosità dorata. La cupola, cambiando aspetto, si aderge a guisa di colossale triregno incandescente, da cui scende un manto regale, trapunto di fiamme e gemmato di splendore. Dalla piazza e da tutte le alture dell'Urbe pellegrini e cittadini fino a notte inoltrata godettero entusiasmati il superbo spettacolo. La gloriosa giornata non poteva avere epilogo più romano. O Roma felix!

                Veramente l'illuminazione di S. Pietro non si suol fare nelle beatificazioni, ma è riserbata alle canonizzazioni. Per il nostro Beato invece essa fu voluta dalla famiglia salesiana con particolare compiacimento del Santo Padre. Poteva esserci per altro un grave inconveniente. Il 2 giugno cadeva nella prima domenica del mese, quando in Italia si fa la festa dello Statuto e a Roma si accende sul Pincio la così detta girandola o fantasiosa macchina pirotecnica, che piace moltissimo alla popolazione. Don Tomasetti si diè premura di renderne avvisato il Principe Boncompagni, Governatore dell'Urbe, il quale senza più dispose che il popolarissimo spettacolo fosse rimandato alla domenica seguente. Tal provvedimento riscosse il plauso universale. Segno dei tempi!

                Del resto la beatificazione di Don Bosco aveva incontrato [150] le più schiette simpatie non solo nelle classi popolari, ma anche nel mondo aristocratico e governativo[61].

                Dopo le feste si diceva anche in Vaticano che nessuno ricordava tanta grandiosità in occasione di beatificazioni. Lo stesso Santo Padre manifestò una vera ammirazione per le cose vedute in S. Pietro. Avendone avuto sentore prima, non era disceso, come le altre volte, nella Basilica passando per la porticina accanto all'altare del Sacramento, ma aveva stabilito che vi si entrasse il più solennemente possibile per il portico[62]. La Civiltà Cattolica riassunse così l'impressione dell'avvenimento[63]: «Gli onori degli altari, da Pio XI decretati al Fondatore della Pia Società Salesiana, diedero occasione a dimostrazioni di fede, che per numero di pellegrini, accorsi a Roma da ogni parte d'Italia e del mondo, e per calore di entusiasmo non hanno riscontro se non nelle feste celebratesi per la canonizzazione di Santa Teresa del Bambin Gesù».

 

DOPO LA BEATIFICAZIONE.

 

                Il Santo Padre fece palesi le sue impressioni anche a Don Rinaldi e ai membri del Capitolo Superiore, ricevuti in udienza la mattina dopo. Essi erano là a ringraziare il Pontefice di tre cose: della speciale benevolenza da lui dimostrata verso la Società Salesiana, della sua paterna partecipazione a tutte le fasi della Causa, e dell'alto significato che egli aveva voluto attribuire alla celebrazione. Sua Santità si compiacque di rilevare il modo com'erasi svolta la cerimonia, osservando che ben rare volte si era affacciato così imbarazzante il problema dell'esiguità dello spazio - nella vastissima Basilica. Soggiunse che la marea immensa di popolo acclamante a Don Bosco e al Papa indicava nella forma più precisa la stretta aderenza che il nome, la figura e l'apostolato di Don [151] Bosco avevano con l'anima popolare. Quello spettacolo superbo di fede e di giubilo averlo profondamente commosso; essere a sua conoscenza che durante la cerimonia della beatificazione parecchi neonati erano stati presentati al fonte battesimale di S. Pietro e che era stato loro imposto il nome del novello Beato. Particolarmente soddisfatto si dichiarò dell'ordine e della precisione con cui si erano svolte le diverse parti del rito, nonostante un così straordinario afflusso di gente. Encomiò pure le autorità civili per l'opera spiegata nel regolare l'accesso dei fedeli alla Basilica e nel far sì che tutti godessero indisturbati il magnifico spettacolo dell'illuminazione. - La beatificazione di Don Bosco, conchiuse egli, resterà memorabile negli annali della Chiesa e della Società Salesiana. - Don Rinaldi infine presentò a Sua Santità la medaglia commemorativa, che, coniata in oro, argento e bronzo, recava nel recto l'effigie del Beato e nel verso il primo suo sogno.

                Ciò che il Papa disse del buon ordine in tanto movimento, colpi anche i Postulatori di altre Congregazioni, in special modo quello dei Gesuiti, che volle conoscere in qual maniera i Salesiani fossero riusciti a ottenere simile effetto. La verità è che nonostante l'accurata preparazione e l'oculata vigilanza si scoperse all'ultimo momento una sottrazione notevole di biglietti, la quale avrebbe certo portato dissesto, se fosse mancata una buona organizzazione; invece, non solo non vi fu disordine, ma la cosa si potè anche far passare inosservata, sicchè n'ebbero contezza unicamente gli organizzatori.

                Degno coronamento della celebrazione fu l'udienza pomeridiana del medesimo giorno 3, proclamata << maravigliosa >> dalla stampa. Dodicimila persone gremivano il cortile di S. Damaso. In fondo stava eretto il trono papale sopra un larghissimo podio, dinanzi al quale uno steccato manteneva liberi alcuni metri di spazio. Occuparono il rimanente del cortile tre numerosi gruppi: nel centro, alunni di collegi salesiani [152] dell'Italia e dell'estero; a sinistra, istituti femminili delle Figlie di Maria Ausiliatrice; a destra, Cooperatori e Cooperatrici. Presso il trono pontificio presero posto il Cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato e Protettore della Congregazione salesiana, e gli Eminentissimi Hlond e Vidal y Barraquer, Arcivescovo di Tarragona. Sul podio si disposero trenta Vescovi e con loro Don Rinaldi, il Capitolo Superiore, Don Francesia e il Senatore Conte Rebaudengo. Davanti, nello spazio sgombro, si assieparono molti Salesiani e particolari rappresentanze.

                L'animazione di tanta gioventù metteva nell'aria una specie di elettricità, che acuiva l'impazienza dell'attesa. L'improvviso scoppiare di un fragorosissimo interminabile applauso salutò l'apparire del Papa. Lo precedevano le Guardie Nobili e lo circondavano i Prelati e i Gentiluomini della sua nobile Anticamera. Pio XI, sorridendo e agitando la mano, rispose al saluto e ammirò quello spettacolo di festante giovinezza; poi si assise in trono.

                Nel frattempo era accaduto un episodietto che vogliamo narrare. Vari collegi salesiani venuti con le loro bande erano entrati nel cortile dando fiato alle trombe. Questo aveva messo a disagio il Maestro della banda palatina, che all'arrivo del Papa doveva far eseguire l'inno pontificio; quando però mancavano appena pochi minuti all'arrivo del Santo Padre, i Superiori erano riusciti a imporre silenzio. Ma ecco un contrattempo. Mentre il Papa compariva e il Maestro stava per dare il segnale dell'inno, una banda ritardataria giunse intonando improvvisamente una marcia. Allora il Maestro, rimasto con la bacchetta in aria, perdette davvero la pazienza. Il Papa, che moveva verso il trono, se n'avvide, si rivolse a lui e: - Abbia pazienza, Maestro, gli disse. Siamo in un oratorio festivo.

                Come i clamori della folla e le note dell'inno tacquero, la Schola cantorum dell'Ospizio del Sacro Cuore, diretta dal Maestro Don Antolisei, eseguì le Acclamationes in onore del [153] Papa secondo l'antica liturgia. Vi succedette il canto dell'Oremus Pro Pontifice intonato dai chierici salesiani dell'Istituto teologico internazionale di Torino, che erano stati condotti in numero di duecento a Roma. Infine i giovani proruppero all'unisono nell'inno salesiano, che mai avevano cantato con tanta foga. Il Papa ascoltava con visibile compiacimento. Cessato questo canto, si appressò al trono il Rettor Maggiore e lesse il seguente indirizzo.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Tutta la Famiglia Salesiana è nella pienezza della gioia e dell'esultanza intorno al suo Padre Fondatore, che ieri la Santità Vostra ha innalzato all'onore degli altari, venerandone le Sacre Reliquie.

                Al faustissimo memoramdo avvenimento accorse numerosa rappresentanza di Salesiani, di Figlie di Maria Ausiliatrice, ex - allievi, cooperatori ed ammiratori del nuovo Beato, la quale ora ha con me la fortuna di trovarsi ai piedi della S. V. per ripetere l'unanime consenso dell'affetto filiale della famiglia salesiana verso la Vostra Augusta Persona.

                Essi vennero da tutte le contrade, anche dalle più remote ed inospitali missioni attratti dall'amore tenerissimo che fin dalla giovinezza hanno nutrito verso il Beato nostro Padre. Mi pare degna di essere messa in speciale rilievo la presenza dei pochi primissimi figli, testimoni oculari, poichè la stessa Santità Vostra “in una visione non breve, in una conversazione non momentanea” ha finalmente intuito il fascino con cui il Beato sapeva creare i suoi primi apostoli e lanciarli alla conquista delle anime. Ora questi venerandi decani della Famiglia Salesiana, che hanno veduto con i loro occhi e quasi palpato con le loro mani la santità di Don Bosco, son venuti ad acclamare alla proclamazione ufficiale di questa santità patema che è stata sempre la fiamma animatrice del loro apostolato.

                Questo affetto verso il Padre, come si è sapientemente espressa la S. V., “continua a fare sì che egli non solo sia il Padre lontano, ma il Direttore di tutto, l'Autore sempre presente, sempre operante nella vitalità perenne dei suoi indirizzi, dei suoi metodi, e sopra tutto dei suoi esempi”.

                Beatissimo Padre, se noi siamo andati avanti per Più di 42 anni nella certezza confermata dagli avvenimenti che Don Bosco continuava ad essere il Direttore, l'Autore, il Padre dei Salesiani, ciò sarà ancora più, dacchè la S. V. con atto sovrano del suo Apostolico potere ce l'ha presentato circonfuso dell'aureola dei Beati, quale modello e protettore della nostra vita spirituale e della nostra missione educativa. [154]

                Da parte nostra, coll'aiuto  celeste faremo del nostro meglio per non renderci indegni. <<Con la sua calma sempre dominatrice, e sempre sovrana, e con il lavoro divenuto efficace preghiera>> anche in noi il nostro Beato farà sì, che si continui degnamente il magnifico edificio dell'educazione cristiana della gioventú, da Lui intrapreso e fondato unicamente sulla carità benigna e paziente. Solo questa carità divina può educare, cioè edificare nelle tenere anime, patrimonio inalienabile della Santa Chiesa, le virtù soprannaturali che creano la santità quaggiù in terra, prima che brilli eternamente negli splendori dei Santi. Caritas aedificat!

                In questo proposito e in questa preghiera al Beato si compendia, Beatissimo Padre, tutta la nostra gratitudine, il grazie più vivo dei nostri cuori per la vostra paterna benevolenza verso di noi, che siamo gli ultimi dei vostri figli. Di questa vostra benevolenza abbiamo luminose prove nelle commoventi allocuzioni intorno al Beato Giovanni Bosco e nella solenne beatificazione di lui, che la S. V. ha voluto innestare, quasi gemma preziosa, nei festeggiamenti dell'Augusto Giubileo Sacerdotale.

                Questa data, così cara al cuore della S. V.; lo è pure per tutti i figli del Beato Don Bosco, i quali procurano di commemorarla degnamente dovunque, con la preghiera, con la carità e con l'azione. La numerosa rappresentanza della Famiglia Salesiana qui presente ai piedi della S. V. ne rende testimonianza, e per mezzo mio fa salire all'Augusto Vostro Trono gli auguri ed i voti più fervidi che il Signore Vi conservi ad multos annos per il bene della Chiesa.

                Infine quanti sono qui presenti fanno proprii i sentimenti di sudditanza, di devozione, di ossequio, e di amore filiale del Beato Don Bosco verso il Vicario di Gesù Cristo, e serberanno indelebile ricordo di quest'ora soave e dell'ineffabile bontà della S. V. dalla quale attendono ancora una specialissima benedizione per sè, per i giovani affidati alle loro cure, per le opere di bene che devono compiere, e per quanti si sono raccomandati ad essi per avere una benedizione particolare del Santo Padre.

                Benediteci dunque ancora una volta, Beatissimo Padre, e teneteci sempre per i vostri più umili figli, affezionatissimi alla Vostra Sacra Persona e pronti ognora ad ogni vostro cenno o desiderio.

 

                Il Papa, raccoltosi un istante in profonda riflessione, disse a voce alta: - Sia lodato Gesù Cristo! - A cui rispose l'intero uditorio: - Sempre sia lodato! - Indi continuò:

 

                Ore belle, solenni, gloriose, questo ambiente, questo che ben può dirsi famoso in tutto il mondo Cortile di S. Damaso ne ha vedute, anche a non contare se non quelle alle quali la divina Bontà ha voluto concederci che Noi assistessimo, soprattutto nell'Anno Santo, ed ancora [155] in altre circostanze. Ma rare volte Ci è avvenuto di vedere e di contemplare quello che oggi vediamo e contempliamo, una tale, una così grande, così fitta folla di eletti figli del Papa e della Chiesa, tanta gloria e tanta gioia di carità vera, tanto entusiasmo di filiale pietà, tante dimostrazioni di fede, di vero amore alla Santa Chiesa, a questa antica Santa Romana Chiesa, Madre delle chiese e al Vicario di Cristo, nel Padre delle anime, Padre comune di tutti i credenti. E tutto questo nome, già tanto illustre e glorioso in tutto il mondo, nel nome di Don Giovanni Bosco, ora nel nome e nella gloria non solo terrena e mondiale, ma celestiale ed eterna, nel nome e nella gloria del Beato Don Giovanni Bosco. (Applausi).

                Voi sapete, sanno quasi tutti i presenti, con quanta partecipazione di cuore, di tutta l'anima Noi dividiamo la vostra gioia e la vostra esultanza, perchè anche Noi (lo abbiamo tante volte e sempre con tanta consolazione ripetuto) siamo non solo tra gli ammiratori di Don Bosco, ma siamo stati ancora per grande grazia di Dio, tra i suoi conoscitori personali, tra quelli che ebbero da lui stesso vivi e patemi segni di benevolenza e saremmo per dire di paterna amicizia, come poteva esservi tra un veterano glorioso del sacerdozio e dell'apostolato cattolico ed un giovane sacerdote, giovane allora e, come ben sapete, ora invecchiato, che voi stessi venite a consolare con queste vostre dimostrazioni di filiale pietà (applausi vivissimi).

                Ve ne ringraziamo, dilettissimi figli, e sappiamo che voi avete partecipato al nostro Giubileo Sacerdotale in modo infinitamente più importante che con i vostri pur graditi applausi, con la vostra preghiera cioè, della quale vi rendiamo particolari grazie. Siamo particolarmente lieti, in questo richiamo di vecchie memorie, di vedere intorno a Noi quei veterani degli alunni salesiani, quegli operai delle prime ore, di quelle prime ore che sono sempre le più difficili e le più ardue quando si tratta di aprire solchi, di strappare a terre ancora inesplorate il primo frutto e inaugurarne la coltivazione; onore a voi antichi soldati dell'istituzione salesiana, a voi primi compagni del Beato Giovanni Bosco!

                E ben venuti tutti voi che siete accorsi da tutte le parti del mondo a rendere più gloriose e grandiose le primizie di venerazione, al vostro, anzi al nostro glorioso Beato. Noi per grazia di Dio l'abbiamo potuto elevare come segno alle genti, all'onore degli altari. Voi da tutte le genti siete venuti a rendergli tributo raramente così universale nell'attualità della beatificazione, nella gloria così splendida di S. Pietro in Vaticano. E voi non solo Ci avete fatto più vivamente gustare, con la vostra presenza, questa elevazione agli onori dell'altare, ma Ci avete fatto anche più vivamente sentire e gustare quella universale paternità che la divina Provvidenza volle nella sua divina bontà e negli arcani suoi imperscrutabili, dare al nostro povero cuore, Mai come in questi momenti nei quali vediamo intorno a Noi anime così [156] ferventi di carità cristiana come le vostre, anime venute da tutte le parti del mondo, mai come in questi momenti sentiamo di essere veramente il Padre di tutti i credenti, di tutta la grande famiglia cattolica che voi rappresentate così veramente così grandiosamente, così degnamente, che  già sarebbe in questa sola vostra presenza una testimonianza eloquentissima dei meriti del Beato Giovanni Bosco e della fecondità e preziosità dell'opera sua.

                Quando pensiamo che voi, Salesiani e Salesiane, allievi ed allieve, ex - allievi e Cooperatori, Vescovi, Prelati, Cardinali, non siete che una rappresentanza, una debole rappresentanza dei tanti e tanti che in spirito, come una grande apocalittica visione vediamo dietro a voi, sopra voi, insieme con voi, l'animo nostro è veramente rapito di ammirazione e di esultanza. Quanti sono i figli di Don Bosco e coloro che partecipano dell'opera sua? Anche solo a contarli nel momento presente, sono a migliaia e migliaia. I Salesiani da sette ad ottomila, le brave Figlie di Maria Ausiliatrice da otto a novemila. E quanti sono gli allievi salesiani? Non risponderemo a quest'ultima domanda che con la risposta del vostro stesso Superiore maggiore il quale, domandandogli Noi se potesse darci almeno con una globale approssimazione il totale degli alunni salesiani in questo momento, modestamente ci rispondeva che non lo sapeva e non poteva darcelo. Ecco una bella testimonianza di modestia, ed ecco ancora, lasciateci dire, una superba affermazione (applausi vivissimi), perchè in sostanza il buon padre voleva dire che essi sono tanti che neanche sappiamo quanti siano.

                Ci congratuliamo con voi, dilettissimi figli, in qualunque posto, in qualunque ufficio, in qualunque anche più umile grado vi troviate di questa grande famiglia, di questo grande esercito, di questa grande vera armata del bene e delle verità. Quando si pensa che cosa è il valore di un'anima sola, quando si pensa che immenso tesoro è una sola educazione cristiana, una educazione cristiana come Don Bosco l'intendeva, cioè profondamente, completamente, squisitamente cristiana e cattolica; quando si pensi a questo tesoro moltiplicato per dei moltiplicatori così grandi, è veramente una esaltazione di gioia e di gratitudine verso Dio che sa suscitare così grandi le opere sue e sa mantenerle vive in questo mondo, in questo misero mondo, in cui è pur sempre così pertinace la lotta del male contro il bene, contro la verità cristiana.

                Ci rallegriamo con tutti e ciascuno di voi, o diletti figli, con tutta la grande famiglia salesiana, e troviamo in questa rassegna, in questa consolante constatazione di un passato così fecondo di bene, la sicurezza più solida per un avvenire sempre più splendido, sempre più ricco di spirituali tesori, tesori di gloria di Dio, tesori di consolidamento ed estensione del Regno di Cristo, tesori di salvezza e di santificazione delle anime, tesori di onore e gloria per la Santa Chiesa Sposa di Gesù Cristo. Non potremmo farvi, diletti figli, altro nè più paternamente [157] amorevole augurio di questo, nel momento in cui l'opera vostra si illumina di riflessi così belli, così ammirevoli, così gloriosi di luce divina, mentre abbiamo potuto per grande misericordia di Dio innalzare il vostro e nostro Beato Don Bosco agli onori dell'altare e sollevare il lembo del velo d'oro che ci nasconde gli splendori del Cielo, cercando di mostrare in qualche modo, anche visibilmente qui sulla terra, qualche cosa della grande gloria che lo circonda lassù, giusto premio ai suoi immensi meriti.

                Alla gloria celeste deve corrispondere la gloria terrestre e voi siete venuti appunto per stabilire questa corrispondenza con l'espressione di quella mondiale venerazione per la quale centinaia di migliaia di anime hanno dovunque pregato e venerato con voi il Beato Don Bosco. Ma voi dovete ancora pensare che la gloria più vera del Beato Don Bosco su questa terra è nelle vostre mani: dipende da voi. Non è parola nostra quella che Noi ora pronunciamo, ma è parola di Dio: Gloria patris filii sapientes, il vostro padre sarà glorificato con la gloria più bella che anche umanamente gli può arridere, se voi sarete i figli sapienti di tanto padre; se saprete come ora, anzi sempre più e sempre meglio intendere lo spirito suo e dell'opera sua, se saprete sempre meglio continuarla precisamente come egli voleva, senza misurare il lavoro (ricordiamo quello che gli stesso diceva, gloriosa divisa: Chi non sa lavorare non è Salesiano), senza misurare (Ci sembra ancora di vederlo con gli occhi nostri) la dedizione, anzi l'abdicazione intera di tutto quanto riguardava la propria persona ad ogni cosa che potesse contribuire al bene delle anime. E ricordiamo Noi stessi le belle parole che egli stesso, guardando all'avvenire con geniale intuizione, Ci diceva allorchè Ci congratulavamo con lui per aver visto tante belle cose nelle sue case, nelle sue officine, nelle sue scuole. E badate che neanche si trattava del bene in se stesso, ma semplicemente dell'attrezzatura del bene, nella quale egli procedeva con sicurezza di felicissima ispirazione. Alle nostre congratulazioni egli che, come ben sapete, quando parlava di se stesso usava sempre la terza persona, rispondeva: - Quando si tratta di qualche cosa che riguarda la grande causa del bene, Don Bosco vuol essere sempre all'avanguardia del progresso.

                Questa parola che abbiamo raccolta un giorno dalle labbra del padre vostro, dilettissimi figli, pensiamo di lasciarvela come ricordo, come frutto, come proposito di lavoro, come la più bella pratica conclusione di quest'ora magnifica che Ci avete procurato. Quando si tratta del bene, della verità, dell'onore di Dio e della Chiesa, del Regno di Gesù Cristo, della salvezza delle anime, sempre all'avanguardia del progresso! Sarà questa la vostra parola d'ordine, sarà l'eccitamento continuo a procedere sempre più animosamente per quelle belle vie alle quali vi avviano la parola, l'esortazione, l'esempio ed ora l'intercessione del Beato Giovanni Bosco. [158]

                É in questa magnifica visione del passato e previsione dell'avvenire che vi impartiamo l'Apostolica Benedizione, tutte quelle benedizioni che siete venuti a chiedere al vostro Padre in un momento così bello; tutte quelle benedizioni che  per ciascuna delle sue famiglie Ci ha domandato il vostro felicissimo interprete: tutte quelle benedizioni che in questo momento a voi, a tutti e a ciascuno, giovani e non giovani, impartiamo di tutto cuore, insieme a tutti quelli e a tutte quelle care cose, care persone, istituzioni, opere, aspirazioni, case, collegi, missioni, che ciascuno di voi porta nel pensiero e nel cuore e desidera che sia con sè benedetto. Su tutto questo scenda la patema nostra benedizione e rimanga sempre.

 

                Terminato che ebbe di parlare, il Santo Padre si levò in piedi per impartire la benedizione. Tutta l'assemblea estasiata, contenendo a stento l'emozione, si compose in atteggiamento di devota pietà; ma al maneat semper diede sfogo all'entusiasmo con applausi che andarono al cielo. Il Papa, avanzatosi col seguito all'orlo del podio, lo percorse tutto, salutando con replicanti cenni delle mani, mentre le grida giovanili crescevano d'intensità. Che clamoroso tripudio! Nè le fervide effusioni cessarono se non dopo che l'augusto Pontefice era già rientrato nelle sue stanze. “É stato veramente, scrisse L'Osservatore Romano del 5 giugno, il pellegrinaggio dei pellegrinaggi. Quale magnifico spettacolo!”.

                Un'altra udienza assai più ristretta, ma pure degna di memoria vi fu due giorni dopo. Erano i duecento chierici menzionati sopra e i duecentocinquanta alunni della casa madre di Valdocco. I primi, schierati nella sala Clementina, al giungere di Sua Santità intonarono l'Oremus pro Pontifice, mentre il Papa incedeva dando la mano a baciare. Egli entrò poi nell'aula Concistoriale, dove stavano riuniti i giovani. Anche questi il Santo Padre passò in rassegna e gradì l'offerta di parecchi volumi artisticamente rilegati e trattanti dei vari metodi seguiti nelle scuole professionali salesiane. Vi figurava inoltre una pubblicazione di Don Rotolo, Direttore dell'Oratorio, intitolata I soggiorni del Beato Don Bosco a Roma. Assisosi il Papa in trono, la voce squillante di un giovanetto fece udire questo indirizzo. [159]

 

                                Beatissimo Padre,

 

                Con l'anima riboccante di santo entusiasmo siamo giunti a Roma in numero di duecentocinquanta per rappresentare degnamente tutti i settecento alunni della Casa Madre dei Salesiani, l'Oratorio di S. Francesco di Sales di Torino, prima fondazione del nostro caro Padre, il Beato Giovanni Bosco. Il nostro entusiasmo, alimentato in noi per parecchio tempo mentre seguivamo con amorosa trepidazione le fasi del Processo Apostolico per la Causa di Don Bosco, quelle fasi soprattutto che dovevano essere coronate dalla parola solenne e tanto cordiale di Vostra Santità, noi lo umiliamo ora ai vostri piedi insieme con i sentimenti di vivissima riconoscenza e di profonda devozione di cui si sentono oggi più che mai ripieni gli animi nostri.

                Questo ossequio vogliamo rendere a Voi, Beatissimo Padre, qui nella maestà imponente dei Palazzi Vaticani, dopo aver avuto, domenica scorsa, la fortuna inestimabile di trovarci al vostro passaggio, in S. Pietro, dove già con tutto lo slancio dei nostri giovani cuori abbiamo cercato di far salire fino a Gesù, del quale la Santità Vostra è Rappresentante in terra, l'omaggio schietto della nostra fede, della nostra filiale obbedienza e del nostro grande amore.

                Siamo partiti dall'Oratorio di Torino con la soave poesia dei ricordi che ci cantava nell'anima, non dimentichi che esso era stato 46 anni or sono soggiorno gradito e pieno di intime soavi impressioni per Voi, Beatissimo Padre, il quale adesso ancora reputate grande fortuna l'aver in quella circostanza praticato confidenzialmente con il novello Beato. Quante care memorie legate al nome di Don Bosco, servitore fedelissimo del Sommo Pontefice e della Cattedra Romana, Apostolo d'ella devozione al Papa! L'Oratorio che fra pochi giorni riavrà nella gloria il suo Fondatore, ripete a tutti i fatti meravigliosi di cui fu testimone fin dai suoi inizi.

                Già fin dal 1847 più di cinquecento giovani, riuniti intorno a Don Bosco, deludendo l'aspettativa di alcuni settarii malintenzionati, ripetono entusiasticamente il grido di: Viva il Papa! per dimostrare tutta la riverenza che sempre si deve alla dignità Pontificia. Nell'anno 1849 i giovani dell'Oratorio, ad invito di Don Bosco, stimando alta ventura il poter dare un segno di venerazione al Capo della Chiesa, si privarono quasi del necessario, facendo una colletta che fruttò 33 lire. Queste furono devolute all'Obolo di S. Pietro per lenire l'augusta povertà di Pio IX, esule a Gaeta. E pervennero al Papa insieme con i sentimenti di tenera devozione con cui erano state accompagnate. Il Pontefice provò in mezzo ai suoi dolori una dolce emozione per l'affettuosa e candida offerta e con i ringraziamenti inviò in regalo ai suoi giovani soccorritori una corona del Rosario. E così, come abbiamo potuto capire leggendo la sua vita, fece sempre il Beato Don Bosco, per educare efficacemente all'amore e alla devozione al Papa le generazioni che dal 1841 al 1888 furono oggetto delle sue cure dirette. [160]

                Gli insegnamenti del Padre, ereditati e praticati sempre dai Salesiani, sono pure trasmessi per mezzo dei nostri attuali Superiori e Maestri a noi, giovani della Casa Madre di Valdocco. Noi li vogliamo docilmente assecondare e mostrarci degni anche in questo dei tanti giovani che ci hanno preceduto con onore nell'Oratorio.

                Dinanzi a Voi, Beatissimo Padre protestiamo a nome di tutti i nostri compagni, il nostro grande amore, il nostro attaccamento indefettibile al Vicario di Gesù Cristo. Ma in questa circostanza questo atto non ci soddisfa appieno: Noi vogliamo indirizzare alla Santità Vostra una parola di sentito ringraziamento. P, il grazie di migliaia e migliaia di giovani figli di Don Bosco, sparsi ormai per tutto il mondo, riconoscentissimi alla Santità Vostra, che lo ha elevato agli onori degli altari. Grazie! Ed è giusto che siamo noi, giovani dell'Oratorio di Torino, a pronunziare questo grazie, noi che dal giorno nove avremo la fortuna di essere più vicini di tutti a Don Bosco Beato!

                Vi ringraziamo anche, Beatissimo Padre, della grande vostra bontà e paterna amabilità in concederci questa udienza, il cui ricordo non si cancellerà mai più in noi! Grazie!

                Con questi sentimenti in cuore ci è oltremodo dolce e caro inginocchiarci qui a ricevere la benedizione che la Santità Vostra ci impartirà con particolare effusione di cuore. Questa benedizione, ne siamo fermamente convinti, apporterà a noi e a tutti i nostri compagni della Casa Madre e di tutti gli altri Collegi Salesiani, copiosissima rugiada di grazie celesti che valgano ad ottenerci quella perseveranza nell'entusiasmo per il bene e per la nostra santa fede che veramente ci renda degni figli di Don Bosco che ora salutiamo Beato.

 

                                Santità,

 

                Questa benedizione noi la imploriamo pure per i nostri cari parenti, per i nostri amati Superiori, in modo speciale pel nostro Signor Direttore, che ci ha accompagnati qui, sui nostri studi e sul nostro lavoro. Benedizione ampia nelle persone, nei luoghi, nel tempo; ricca nelle grazie; amorosa di quell'amore paterno che Gesù mostrava verso i giovani, e che Vostra Santità, ricopiando il divino Modello, sente e dimostra, in maniera così meravigliosa.

 

                Dopo la lettura il Papa ebbe la bontà di rivolgere ai e venuti questo paterno discorso.

 

                               Prediletti figli di Don Bosco e nostri!

 

                Ci sono graditi i vostri canti ed applausi, perchè rivelano l'amore profondamente filiale, che nutrite verso la Nostra Persona; ma più ancora ci riesce gradita la vostra presenza. Non avete, carissimi, voluto lasciare la Città Eterna senza ritornare a vedere il Padre, vi [161] assicuro che anche il Padre desiderava, prima che partissero, rivedere i suoi figli tanto buoni e cari.

                Noi, pertanto vi rivediamo volentieri e con tanto più piacere, in quanto che rivediamo Don Bosco non solo nel gran quadro, che sfavillò nella Basilica di S. Pietro, in quell'immenso spettacolo di anime e di preghiere, per la glorificazione del vostro e nostro Beato Don Bosco; e nell'occasione in cui abbiamo potuto parlare alla immensa famiglia salesiana, nel cortile di S. Damaso; ma ritorniamo a vederlo in voi che siete la sua eletta porzione.

                In voi, teologi d'oggi, sacerdoti di domani, esponente spirituale della famiglia salesiana, di quella numerosa schiera formata di Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Alunni e Cooperatori; in voi futuri sacerdoti, speranze di tante anime, che ansiosamente aspettano la parola di verità, la parola divina del Vangelo, che uscirà dalle vostre labbra.

                In voi, cari giovani e piccoli prediletti dei nostri antecessori, come lo siete di Noi e di Don Bosco, il quale amò le anime dei piccoli come Nostro Signore. Voi sapete che le anime dei più piccoli sono le predilette di Nostro Signor Gesù Cristo, e vi assicuriamo che lo siete anche per Noi, o figli carissimi della Casa Madre, gemme delle prime piante, che Don Bosco coltivò con tanta sollecita premura. Ora, prima di benedirvi, vogliamo dire due parole agli uni e agli altri: poche parole che cadranno in buon terreno, e che voi farete fruttificare, come ve lo insegnò il vostro Padre, il Beato Don Bosco.

                A voi, teologi, a voi figli di Don Bosco e teologi salesiani. Siete, teologi: dunque studiate bene la teologia; essa è la scienza di Dio al quale dovete portare molte anime. Teologi salesiani, ecco la parola che vi rivolgiamo: lavorate sempre, ma senza lasciare l'orazione, la meditazione, lo spirito di pietà, giacchè, senza questi aiuti, non si può utilmente lavorare per la gloria di Dio. Infatti come una macchina, per quanto perfetta, brillante e di grande potenza, non funziona senza la forza motrice, mentre che, quando riceve la spinta necessaria, scorre speditamente; così deve essere anche per voi l'orazione e la meditazione: ecco il segreto per rendere le vostre opere feconde di frutti di santità.

                Ricordate che i frutti tumultuosi, privi di retta intenzione e della grazia, non sono quelli che piacciono a Dio. Amate quindi la teologia e procurate che vi porti ad una vita di sincera pietà; pregate il Signore che vi aiuti a orientarla a questi sentimenti; così condividerete i nostri ideali. Amate, cercate che la vostra teologia abbia una larga, profonda, efficace aspirazione ascetica: sia la teologia a base e ad ispirazione ascetica; sia l'ascetica ad ispirazione teologica.

                Ed a voi, giovani carissimi, una parola anche più tenera e patema. Vi diciamo che siccome Noi abbiamo avuto il piacere e la soddisfazione di glorificare Don Bosco, esaltandolo all'onore degli altari, [162] così a voi tocca ora glorificarlo e tributargli l'adeguato onore sulla terra. Il Papa ha pensato all'onore celeste di Don Bosco; i figli del Beato devono pensare all'onore del Padre: Honor patris, filius sapiens. Ma la vostra deve essere una sapienza manifestata con lo spirito, con la parola, con l'opera, con il lavoro in tutta la vostra vita cristiana e nelle relazioni sociali; nei vostri atteggiamenti non equivoci, nelle vostre conversazioni rette e in tutte le varie circostanze della vita. Allora veramente sarete figli sapienti ed il vostro Padre sarà in voi e da voi stessi glorificato.

                Vogliamo aggiungere ancora una parola: dovete tutti avere un profondo sentimento di ciò che siete. Filii sanctorum sumus, dice il sacro scrittore, parole proprie dei figli della Chiesa, della grande famiglia Cattolica, ma che desidereremmo aveste sempre presenti voi, falange salesiana, giacchè il pensiero della santità del Padre rende santamente fieri ed orgogliosi i cuori dei figli.

                Queste parole le avete ascoltate in mezzo all'allegria ed allo splendore dell'apoteosi di Don Bosco e ci auguriamo che ciò contribuisca a maggiormente scolpirle nei vostri cuori.

                Siete figli di un Santo; ed è vostro dovere mostrarvi sempre e dappertutto degni di tanto onore. Questo vi aiuterà, carissimi, a dirigere i vostri pensieri, desideri ed aspirazioni verso l'alto, verso la verità ed il bene, così il vostro Beato sarà contento di voi e vi si riconoscerà ovunque e si dirà che il Beato Don Bosco è stato glorificato nella sapienza dei suoi figli.

                Ed ora per ottenervi il raggiungimento di queste sublimi mète, vi impartiamo l'Apostolica Benedizione da estendersi a tutte le vostre intenzioni: la impartiamo ai Salesiani, allievi ed ex - allievi, ai collegi, alle Missioni, a tutto ciò che portate con voi o che è nel vostro pensiero, a tutto intendiamo che arrivi la nostra benedizione.

 

                Tutti si prostrarono a ricevere la benedizione del Papa, che fra i rinnovati applausi lasciò la sala, accompagnato dagli sguardi avidi e scintillanti di tutta quella balda gioventù.

                Alle manifestazioni romane era pensiero dei Superiori Salesiani d'imprimere un carattere di perennità mediante un'opera che fosse in Roma ai posteri imperituro ricordo del fausto avvenimento. Per questo essi avevano già tra mano un'impresa che tornava molto opportuna. Fra Tor Pignattara e via Appia Nuova viene formandosi da un ventennio un nuovo quartiere, che diventa sempre più popoloso. I nostri fin dal 1920 avevano acquistato colà presso via Tusculana [163] un apprezzamento di terreno che misurava 35 mila metri quadrati, proponendosi di erigervi ampi laboratori e scuole professionali per un trecento giovani interni, con l'aggiunta di altre costruzioni per un oratorio festivo e un dopolavoro. Inoltre per provvedere alle necessità spirituali della nuova popolazione si pensava a un tempio maestoso, capace di almeno seimila fedeli, da dedicarsi a Maria Ausiliatrice. I disegni, affidati al confratello architetto Giulio Valotti, erano già pronti nell'aprile 1928, e il 12 maggio seguente, onomastico di Pio XI, vennero presentati al Santo Padre, al quale si fece conoscere che si sarebbe voluto intitolare l'opera al suo nome, quale devoto omaggio dei Salesiani nel suo imminente giubileo sacerdotale. Il Papa espresse il suo gradimento per il filiale attestato; ma nell'esaminare minutamente la tavola planimetrica delle scuole, si soffermò sul progetto della chiesa, mostrandosene soddisfatto. Siccome però a quest'ultima s'intendeva di porre mano in un secondo tempo, egli esortò a non frapporre indugi. Allorchè pertanto si annunciava certa e prossima la beatificazione di Don Bosco, benchè non fosse ancora ultimato nemmeno il primo braccio dell'edificio scolastico, i Superiori deliberarono che nel programma dei divisati festeggiamenti s'includesse pure la cerimonia per la posa della prima pietra della chiesa e che il tutto dovesse considerarsi come monumento al Papa della beatificazione.

                Un altro desiderio espresse il Papa, quando della chiesa Don Giraudi gli presentò il disegno: consigliava che le si desse ampiezza maggiore, parendogli cosa certa, come il fatto confermò, che la popolazione le sarebbe cresciuta notevolmente intorno. Anzi, quasi a titolo d'incoraggiamento, offrì un milione di lire; nè si arrestò a questo la sua munificenza: nel corso dei lavori offerse poi a rate un'altra somma eguale.

                Il sacro rito dunque si svolse con la massima solennità nel pomeriggio del 4 giugno, mentre nella Basilica del Sacro [164] Cuore i Salesiani davano principio al grande triduo, che si suol celebrare nell'Urbe in onore dei nuovi Beati. Il limpido cielo di Roma favorì la suggestiva funzione, resa affascinante da grandioso apparato. Cinque Porporati - Pompili, Hlond, Cerretti, Lauri, Gamba - numerosi Vescovi, molte autorità ecclesiastiche e civili, una folla internazionale di sacerdoti e religiosi, le Figlie di Maria Ausiliatrice, Cooperatori ed ex - allievi in numero considerevole, vari collegi salesiani fecero scomparire l'estesa area intorno all'armatura che reggeva il blocco riquadrato di travertino, destinato a essere nucleo su cui elevare il nuovo tempio. Dopo il suono di una marcia Don Rinaldi spiegò agli intervenuti le ragioni remote e prossime dell'omaggio che i Salesiani intendevano di rendere al Pontefice felicemente regnante. Finito questo discorso, il Cardinale Pompili, Vicario di Sua Santità, benedisse il masso, che, ricevuta la prima calce, fu calato in fondo all'escavazione. In una cavità della pietra era stato racchiuso un astuccio di piombo contenente una pergamena con alcune medaglie. La pergamena recava questa epigrafe: Sotto il Pontificato di Pio XI, nell'anno del suo Giubileo sacerdotale, essendo Re d'Italia Vittorio Emanuele III e Duce degli Italiani Benito Mussolini, nell'anno VII dell'Era Fascista, nel quale GIOVANNI BOSCO Padre e Legislatore dei Salesiani, fu ascritto fra i Beati, Don Filippo Rinaldi Rettor Maggiore della Società Salesiana, a fine di perpetuare la memoria di così insigne avvenimento, in questo nuovo rione di Roma fece iniziare sotto gli auspizi e il nome di tanto Pontefice il Tempio dedicato a Maria Ausiliatrice e il grandioso Istituto professionale dei giovani artigiani ed il Cardinal Vicario Basilio Pompili secondo il rito ne benedisse la pietra angolare il 4 Giugno 1929. Al termine della cerimonia pronunciò brevi parole il Cardinale officiante; poi i presenti visitarono le iniziate costruzioni, che nel loro insieme avrebbero occupato una superficie pari a sette volte tutto l'Ospizio del Sacro Cuore.

                Abbiamo accennato al triduo, primo solenne tributo di [165] venerazione al Beato Don Bosco. Tesserono le lodi del festeggiato i Monsignori Salotti e Olivares e il Cardinale Gamba. Vi vennero a dire la Messa del Beato moltissimi sacerdoti secolari e regolari. Dal mattino alla sera non rallentò mai l'affluenza dei divoti. Le sacre funzioni si svolgevano grandiosissime in uno sfarzo di luci e dinanzi a folle imponenti. Manifestazioni esterne, come splendide luminarie serali, concerti di bande salesiane, inni e canti di giovani rallegravano le moltitudini accorrenti a dividere l'esultanza dei figli di Don Bosco.

                Il triduo ebbe un seguito nella festa del Sacro Cuore, che cadeva proprio nel giorno dopo la chiusura. Parve che il Sacro Cuore di Gesù medesimo volesse glorificare colui che tanto aveva fatto e patito per la sua gloria, com'è narrato distesamente nelle Memorie Biografiche del Beato. In quel 7 giu­gno vi fu pure un'altra coincidenza. Alle ore undici in Vaticano avvenne lo scambio delle ratifiche delle Convenzioni Lateranensi dell'II febbraio, che dovevano andare definitivamente in  vigore allo scoccare del mezzodì. Piace pertanto pensare che il Cuore del Redentore, padrone dei cuori e degli eventi umani, presiedesse proprio allora al grande atto, che realizzava uno dei più ardenti voti di Don Bosco, la Conciliazione fra la Santa Sede e lo Stato Italiano.

                La solennità del Sacro Cuore non pose termine d'un tratto al concorso dei fedeli romani, desiderosi di venerare Don Bosco nella chiesa da lui eretta. Una nota caratteristica si potè rilevare nel corso del triduo e nei giorni successivi: la frequenza ai Sacramenti. Si confessava in ogni angolo della chiesa e pressochè in tutte le ore del giorno, e le comunioni si distribuivano quasi senza interruzione. Ecco un particolare che spiccò poi nelle celebrazioni fatte largamente in Italia e all'estero. Non si sarebbe potuto certo onorare Don Bosco in una maniera più conforme allo spirito del suo apostolato, che egli esercitò sempre diffondendo la pratica di una pietà, diremo così, sacramentale. [166]

                Non abbiamo parlato delle esecuzioni musicali. Sarebbe questa un'omissione imperdonabile, tanto lustro la musica aggiunse alle feste e tanta parte essa suole avere nelle feste salesiane. Campeggiò la Schola cantorum dell'Ospizio del Sacro Cuore, coadiuvata dai migliori cantori delle Cappelle romane, sotto la direzione del salesiano Don Antolisei. Questo bravo Maestro aveva fatto anche di suo. Così riscosse alte lodi dai competenti una sua Messa a otto voci miste, eseguita nel primo giorno del, triduo. Ne furono ammirate la bellezza dell'ispirazione melodica, la tecnica poderosa di forma palestriniana e la varietà degli effetti ottenuti. Alla sua Schola cantorum si unirono il giorno 5 in simpatica fratellanza settanta soprani e contralti e ottanta tenori e bassi appartenenti alla Schola cantorum dell'Oratorio di Torino, diretta dal nostro Dogliani. Fu un complesso di 260 cantori, che eseguirono la Missa Brevis a quattro voci del Palestrina. La maestà e potenza degli accordi mandarono in visibilio quanti ebbero la sorte di gustare tale esecuzione. Ma la Messa più mirabile era riservata al terzo giorno: la Missa Assumpta est a sei voci del medesimo Palestrina. Essa è per due soprani, contralto, due tenori e basso. L'intreccio della polifonia palestriniana vi rasenta il prodigio; ad ogni frase, ad ogni momento nuove e ispirate bellezze sorprendono e rapiscono. Dalla sua massa corale il Maestro seppe sviscerare nette e distinte le più riposte bellezze di quel capolavoro. Mattino e sera si eseguirono inoltre ogni giorno con accompagnamento d'organo composizioni di Meluzzi, Antolisei, Dogliani e di altri riputati Maestri. Il Te Deum a quattro voci, che l'ultima sera suggellò il triduo, era dell'Antolisei.

                La notte sul 7 cominciò l'esodo dei pellegrini venuti a Roma per la beatificazione di Don Bosco. Li ritroveremo presto a Torino.

 

 

CAPO IX.

La traslazione del corpo.

 

                UN poeta all'antica, arrivato a questo punto, invocherebbe la Musa e: - Cantami, o Diva, le direbbe, il ritorno dell'Eroe, e le turbe ingenti che gli fecero ala, e l'esercito molto che lo scortava, e il condottiero che capitanò la marcia. - Qui, per altro, la tromba epica cede il posto alla penna della cronaca.

                L'uso dì trasportare da luogo a luogo con pompe religiose i corpi dei Santi è antichissimo nella Chiesa. Basti ricordare la solennità con cui furono trasportati nel 107 alla sua città di Antiochia i resti delle ossa del Vescovo S. Ignazio, martirizzato a Roma. Il Moroni, nel suo celebre Dizionario di erudizione storico - ecclesiastica, sotto la voce Traslazione Delle Reliquie DE' Santi e anche sotto altre voci descrive con abbondanza di particolari le straordinarie processioni, con cui si fecero in vari tempi alcuni di tali trasporti, partecipandovi in massa e fervorosamente i popoli. Quante volte il Martirologio Romano registra, come fatti della più alta importanza, le traslazioni dei corpi di Santi! Due cause contribuirono sempre a far celebrare con grandiosità di apparati questi riti: la venerazione verso i Servi di Dio e i prodigi operati sulle loro tombe. I fini propostisi dalla Chiesa nel favorire la pia usanza sono espressi chiaramente in un annuncio sacro riferito dal suddetto autore e pubblicato nella [168] traslazione della Martire romana S. Bonosa dal Cardinale Odescalchi, Vicario del Papa Gregorio XVI, il 4 agosto 1838: rendere cioè onore a Dio con l'esaltazione de' suoi Santi, risvegliare nei fedeli la memoria delle loro virtù, accendere in tutti il desiderio d'imitarne gli esempi e inspirare fiducia nella loro intercessione.

                Nel caso di Don Bosco agirono potentemente l'una e l'altra di quelle due cause e furono conseguiti largamente questi quattro effetti. Nei primi mesi del 1929 molti indizi facevano presagire che a Torino sì sarebbero avute per la traslazione manifestazioni popolari straordinarie; il fatto poi superò di gran lunga la previsione. Fortuna volle che i preparativi non fossero inferiori all'evento.

 

PREPARATIVI GENERALI.

 

                Per prima cosa bisognava comunicare in tempo la data dei festeggiamenti e rendere note le linee fondamentali del programma. A questo provvide il Rettor Maggiore Don Rinaldi mediante una sua circolare del 4 aprile ai Direttori Diocesani, Decurioni e Zelatori del Cooperatori. In essa egli poteva già allora annunciare che “l'avvenimento atteso da lunghi anni, affrettato dai desideri e dalle preghiere di tante anime” stava per giungere; dava pertanto ai destinatari l'incarico di far pervenire a tutti i membri della Pia Unione l'invito a Roma per il 2 giugno e a Torino per il 9. Detto quindi ciò che si sarebbe fatto a Roma, annunciava per Torino la traslazione della salma da Valsalice alla Basilica di Maria Ausiliatrice, un solenne triduo nel medesimo santuario e la posa della prima pietra di un Istituto Missionario.

                La seconda cosa a cui urgeva pensare per Torino, assai più che non fosse stato per Roma, era un'adeguata organizzazione. Roma assorbe le moltitudini, che vi s'incanalano facilmente da sè e facilmente vi trovano l'essenziale; l'immensità poi di S. Pietro offre a tutti la comodità di acconciarsi [169] in qualche modo o dentro o fuori della Basilica. Invece in una città di provincia, sia pure a Torino, se si vuole che masse ingenti non vi si confondano e che dimostrazioni di folle non si svolgano in mezzo al disordine, tutto è da fare. Orbene Don Rinaldi aveva a sua disposizione l'uomo che ci voleva, dotato di chiaroveggenza, energia e sangue freddo, quali si richiedevano per disciplinare un gigantesco movimento. Era il Prefetto Generale Don Pietro Ricaldone. A lui dunque affidò l'incarico di disporre i preparativi e di vegliare sull'esecuzione, e da lui partirono le direttive per tutto quello che verremo descrivendo.

                Egli costituì subito Comitati d'onore e Commissioni ordinatrici. Del Comitato d'onore maschile accettarono la presidenza onoraria il Principe Ereditario, sette altri Principi di Casa Savoia e il Cardinale Arcivescovo, e vi aderirono quali membri onorari settantasei cittadini fra aristocratici, dignitari ecclesiastici e civili, alti funzionari, senatori e deputati, luminari delle lettere e delle scienze, industriali e finanzieri. Al Comitato d'onore femminile diedero il loro nome cinque Principesse Sabaude quali presidenti e centocinquanta altre socie fra darne della nobiltà e signore della borghesia. Così tutto il fiore della cittadinanza guardava all'atteso avvenimento non come chi aspetta di restarsene passivo spettatore, ma con l'animo d'esserne parte attiva. Tanti nomi infatti non significavano adesioni puramente platoniche, ma volontà di cooperare con l'autorità, con l'influenza ed anche con azione personale.

                Mentre si raccoglievano queste firme, lavorava indefessamente una Commissione generale ordinatrice, presieduta da Don Ricaldone, composta di Salesiani e suddivisa in sei sottocommissioni, i cui rispettivi còmpiti erano così distribuiti: I° Pellegrinaggi, alloggi, trasporti. - 2° Esumazione, ricomposizione, venerazione della Salma. - 3° Funzioni religiose. 4° Traslazione della salma. - 5° Propaganda, stampa. 6° Radioaudizioni, documentazione, foto - films. [170]

                Alla dipendenza di queste sottocommissioni stavano le sezioni degli ex - allievi interni di Valdocco, che aiutavano a predisporre l'accoglienza e l'ospitalità dei loro colleghi italiani e stranieri, sbrigando pure la corrispondenza con le Presidenze degli ex - allievi d'ogni nazione. Siccome poi la Giunta diocesana di Torino aveva indetto per il 9 giugno il convegno regionale della gioventù cattolica maschile e femminile,  l'o­pera degli ex - allievi tornò utile anche per preordinare le cose necessarie a tale scopo.

                Ogni sottocommissione aveva un suo capo; la quarta, a cui spettava l'ordinamento del corteo per la traslazione, era sotto l'immediata dipendenza dello stesso Prefetto Generale. La stretta collaborazione di queste varie attività portò a successi che maggiori non si sarebbero potuti desiderare tanto a Roma che a Torino. Di Roma si è detto abbastanza; si è detto pure sufficientemente di quanto riguardava i còmpiti della seconda sottocommissione. Toccheremo qui del rimanente.

 

PREPARATIVI SPECIALI.

 

                Una delle maggiori preoccupazioni fu quella dei pellegrinaggi, che si annunciavano assai numerosi. Come alloggiare e mantenere tanta gente? La prima sottocommissione, presieduta dal Consigliere Generale Don Candela, ebbe la felice idea di accordarsi con la sezione piemontese dell'Istituto Coloniale Fascista, che si prestò all'uopo con la miglior volontà del mondo. In questo Ente dunque si accentrò tutto il gran movimento sì da ottenere unicità d'indirizzo. Secondato e favorito dal Podestà Conte Thaon di Revel, l'Ente ai molti giovani provenienti da case salesiane procurò il collocamento nelle palestre scolastiche e, affinchè vi fosse un luogo di custodia abbastanza vasto e sicuro per ogni sosta di veicoli, allestì nello Stadium una smisurata rimessa, dove con spesa insignificante depositare automobili, autocarri, motocicli, vetture, carretti, birocci et similia. Inoltre fece costrurre tre [171] padiglioni, in cui si somministrassero cibi freddi e bevande a quanti volessero. Infine fece ricerca e stese l'elenco delle camere di privati e di alberghi, le quali fossero disponibili fra l'8 e il 13 giugno. Cura personale di Don Candela fu la ricerca di alloggi decorosi per i Vescovi italiani ed esteri presso parroci, case religiose e famiglie. I Torinesi risposero all'appello con lodevole spirito di civismo. Nelle case salesiane della città tutti i posti liberi erano riservati ai Cardinali, ai Vescovi, agli Ispettori e ai delegati che accompagnavano questi ultimi per il prossimo Capitolo generale della Pia Società. Don Ricaldone diramò financo il listino dei prezzi per l'alloggio e il vitto nei pubblici alberghi e mandò ai capi dei singoli pellegrinaggi un modulo, che essi dovevano riempire, fornendo una serie d'informazioni minute e precise, utili ad eliminare o almeno a diminuire, quanto fosse possibile, l'imprevisto.

                I dati raccolti servivano pure alla Direzione delle Ferrovie per coordinare il movimento dei treni. Era stato accordato il ribasso del cinquanta per cento anche a pellegrini isolati. Il capo del compartimento ferroviario si adoperò con vero zelo, perchè tutte le stazioni torinesi si mettessero in grado di far fronte a un rapido e continuato susseguirsi di corse sia in arrivo che in partenza. Furono creati addirittura scali provvisorii e aperte nuove linee per l'istradamento dei convogli. L'Associazione Nazionale dei Trasporti ordinò di sospendere per cinque giorni l'accettazione di certe merci dirette a Torino. Opportunissime disposizione presero pure le Aziende Tranviarie municipali e quelle ferroviarie private.

                Molto si aspettava dalla stampa cittadina, di cui si occupava la sottocommissione quinta; perciò Don Ricaldone si valse di un'occasione propizia per concertare un'adunanza di giornalisti nell'Oratorio. Si dovevano inaugurare nuovi locali destinati alla stampa periodica salesiana; nulla di più naturale che invitarvi a un ricevimento i pubblicisti torinesi. Questi accorsero numerosi, cosicchè Don Ricaldone ebbe modo di esporre loro il programma dei festeggiamenti e di metterli [172] in rapporto coi membri della quinta sottocommissione, i quali avrebbero poi ad essi fornito tutti i ragguagli opportuni. Per questa via la sottocommissione potè comunicare con i più importanti quotidiani d'Italia e dell'estero, che avrebbero informato esattamente il pubblico sulla grandezza e santità del nuovo Beato e diffuso largamente le notizie riferentisi alle manifestazioni in suo onore.

                Anche la sottocommissione terza, presieduta dal Catechista Generale, Don Tirone, ebbe il suo da fare. L'affluenza di sacerdoti forestieri e la presenza di molti Vescovi richiedevano altari, paramenti, arredi sacri in gran copia. L'amministrazione dei Sacramenti a migliaia di fedeli esigeva provvidenze eccezionali; se si voleva che riuscisse facile e spedita. Nella Basilica poi di Maria Ausiliatrice durante il triduo vi sarebbe stato un seguito di grandiose cerimonie, la cui buona riuscita dipendeva da un'accurata preparazione. Fu stabilito fra l'altro un programma musicale così ricco e vario, che per eseguirlo a dovere si resero indispensabili prove intelligenti e ripetute.

                Riguardo ai paramenti, i più importanti erano quelli da usarsi nei pontificali. Vi lavoravano attorno da due anni più di quaranta fra suore, novizie e postulanti delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Ne venne così da parte loro per il fondatore un omaggio, che era una magnificenza, consistente in sei piviali, una pianeta, quattro tunicelle, tre stole, tre manipoli, un velo omerale, un velo per calice, due borse, un conopeo e un contraltare. I ricami eseguiti su ricco tessuto rivelavano una tecnica e un'abilità superiori a ogni elogio; vi gareggiavano grandiosità di disegno e finezza di esecuzione. Ogni minimo particolare fu curato con la più squisita diligenza. Certi fiorellini, certe foglioline, certe volute costarono ognuno un'intera giornata di paziente attenzione, e tali minuzie in un solo piviale si i contavano a centinaia. Vi si profusero venti chilogrammi d'oro. Monumento ben degno di ricordare ai posteri la filiale pietà dell'Istituto verso il suo grande Padre. [173]

                Toccava pure alla terza sottocommissione curare l'addobbo del santuario, e vi s'ingegnò tanto, che alla fine gli assidui non riconoscevano più la loro chiesa. La Gloria del Beato nella gigantesca tela esposta già a 8. Pietro dominava dall'altar maggiore il tempio. Provenivano da Roma anche le due grandi tele dei miracoli, le quali pendevano dalle pareti ai lati del medesimo altare.

                La sottocommissione sesta fece le pratiche necessarie per ottenere un impianto radiofonico, che nei cortili dell'Oratorio, sulla piazza di Maria Ausiliatrice e lungo il Corso Regina Margherita trasmettesse al pubblico esecuzioni musicali, salmodie, prediche, preghiere, che si sarebbero fatte nella Basilica. Era nel campo religioso una novità, imitata poi in vari luoghi. La stessa sottocommissione provvide gli attrezzi per documentare con fotografie e con pellicole cinematografiche i particolari più salienti della traslazione.

 

PREPARATIVI PER IL CORTEO.

 

                L'impresa maggiore fu quella affidata alla quarta sottocommissione, la preparazione del corteo che doveva accompagnare le spoglie del Beato da Valsalice a Valdocco. Se si voleva che tutto rispondesse all'aspettazione universale, non bastava certo formare un piano grandioso, ma bisognava anche renderne possibile e sicura l'attuazione. Qui converse l'opera personale di Don Ricaldone, che seppe scegliersi collaboratori adatti e dirigerne l'attività. Egli cominciò a studiare lungamente il percorso e a procacciarsi l'appoggio delle Autorità cittadine. Poi si accinse a fare i calcoli sulle modalità che dovevano regolare la sfilata. Con squadre di giovani dell'Oratorio ripetè più volte le prove, intese sia a determinare la profondità delle colonne, sia a misurare il tempo di marcia. Tutte queste reiterate premure si rendevano indispensabili, perchè i partecipanti si annunciavano sempre più numerosi; un preventivo di sessantamila, portato a centomila, risultò [174] poi inferiore alla realtà. Furono fissati diciotto raggruppamenti, a ognuno dei quali venne preposto un sacerdote salesiano, dotato della necessaria energia. Fatto il calcolo approssimativo degl'individui assegnati a ogni gruppo, Don Ricaldone diede istruzioni ai capi, perchè mobilitassero un duecento aiutanti fra gli ex - allievi, i padri di famiglia associati e i giovanotti degli oratori festivi. Professionisti, studenti e operai vi si prestarono con ardore, sacrificando molte ore di riposo per intervenire alle adunanze. Col titolo di regolatori vennero costoro divisi fra i capigruppo in numero proporzionato al contingente del rispettivo gruppo. Distinti ecclesiastici si misero a disposizione per l'assistenza dei Cardinali e dei Vescovi, e signori dell'aristocrazia accettarono di curare il cerimoniale per le maggiori personalità.

                Compilati così i quadri, Don Ricaldone scelse i punti di concentramento dei gruppi sia per la partenza che per l'arrivo. Un fascicolo a stampa indicava con chiarezza l'ordinamento definitivo, dava le norme per eseguire con ordine e con calma le varie evoluzioni e stabiliva tutte le cose da farsi durante il movimento; precisava inoltre l'ora dei concentramenti, i punti da sgomberare e da sbarrare e il tempo di farlo, il numero degli agenti necessari secondo la diversità dei luoghi per arginare la folla o per facilitare ai gruppi l'ingresso nel corteo. Cartine topografiche allegate al fascicolo segnavano il percorso e i vari punti di concentramento prima e dopo. Distintivi, bracciali, tessere, lasciapassare, biglietti speciali, tutto fu previsto, preparato, distribuito in tempo opportuno.

                Non si poteva trascurare un'oculata organizzazione sanitaria. Presso la sede dell'Istituto Coloniale Fascista una riunione di ufficiali sanitari, esaminate le possibilità, dispose che fossero allestiti ventun posti di pronto soccorso. Ogni posto oltre all'attrezzamento materiale avrebbe avuto il suo, medico, il suo infermiere e i suoi militi dell'assistenza. Anche la Milizia avrebbe mobilitato tre centurie, mettendo le Camicie Nere agli ordini dei dirigenti l'opera sanitaria. [175]

                Don Ricaldone per rassicurare le Autorità pose loro sott'occhio il prospetto di tutto il movimento, raccogliendo encomi da ogni parte. Il Principe Ereditario, che aveva stabilito di rendersi presente alla grande manifestazione, volle vedere quel programma e manifestò la sua ammirazione per l'abilità esemplare, con cui erano state predisposte tutte le cose.

                La sottocommissione quinta indisse un concorso per l'inno che doveva essere cantato nell'accompagnamento. Prescelse i versi di Don Secondo Rastello, musicati da Don Michele Gregorio. I due Salesiani erano stati veramente felici: poesia e musica avevano la forma popolare richiesta dalla circostanza[64]. Inoltre approvò la pubblicazione di un elegante Itinerario - Guida di un giro turistico in tranvia per una visione sommaria di orientamento nella Città di Torino, preceduto dal ritratto e da un cenno biografico di Don Bosco.

                Don Ricaldone infine diede la sua approvazione a un programma di spettacolo pirotecnico per la sera della festa, proposto dalla Ditta Battagliotti.

                Tutti questi preparativi, portati dalla stampa a conoscenza del pubblico, creavano nella cittadinanza un'atmosfera di ardente attesa. Fra Autorità ecclesiastiche e civili regnava perfetto accordo in volere che l'omaggio a Don Bosco riuscisse trionfale. Sodalizi religiosi e associazioni patriottiche gareggiavano nell'offrire il loro contributo. Principi e Principesse di Casa Savoia si erano già uniti al popolo, recandosi a Valsalice per inchinare l'urna che racchiudeva le reliquie dell'umile prete torinese. Dai dintorni di Valdocco e di Valsalice dopo le celebrazioni romane l'animazione aveva preso a estendersi sempre più per tutti i quartieri della città. Alla vigilia del 9 giugno l'intera Torino vibrava per il suo Don Bosco. [176]

 

Il 9 GIUGNO,

 

                Giornata storica per Torino il 9 giugno 1929! Quella mattina cominciò molto per tempo una vera invasione della città. Tutte le strade vi riversavano fiumane di gente. Anzitutto le strade ferrate. Le varie stazioni a brevi intervalli rigurgitavano di pellegrini. Treni speciali, treni bis e treni rinforzati erano cominciati a giungere fin dalle cinque. Ne scendevano folle di rappresentanze, talora con musiche e spesso con bandiere. Nelle due stazioni principali di Porta Nuova e di Porta Susa per il timbro dei biglietti stavano disposti sotto tettoie improvvisate tavolini, a cui sedevano impiegati straordinari. A mezzogiorno, come si potè raccogliere dagli ambienti ferroviari, oltre a cinquantamila persone erano entrate dai diversi scali. Per le altre strade s'incalzavano senza posa autocorriere, autobus, automobili, motocicli. Solo da Asti arrivarono trentadue torpedoni di fila, straccarichi di viaggiatori. Esauriti gli altri mezzi più veloci, in moltissimi luoghi si era ricorso a veicoli di tutte le forme, compresi financo, da paesi non troppo lontani, carri tirati da buoi. Pedoni in gran numero facevano il cammino in gruppetti e in comitive. Le colonne si dirigevano verso Valdocco, ammassandosi nelle vicinanze della Basilica di Maria Ausiliatrice e accodandosi man mano sui Corsi, che mettono capo al famoso Rondò. Sulla piazza della chiesa dall'alba a mezzogiorno si succedettero sacerdoti celebranti all'aperto.

                Valsalice intanto si apprestava a dare l'estremo addio alla spoglia santa, che aveva con tanto onore e amore custodita per quarantun anni. Dalla sala dove la lasciammo rivestita di sacri paramenti e circondata di fiori, la sera dell'8 era stata portata nella chiesa del collegio, dove non rimase mai sola. Don Rinaldi davanti all'urna pronunciò alcune parole rievocatrici, rammentando le lacrime che ne avevano accompagnato l'uscita dal santuario di Maria Ausiliatrice [177] nel 1888 e ben presagendo il giubilo che ve l'avrebbe riaccolta il giorno dopo nel suo felice ritorno. I Salesiani della casa la vegliarono per turno tutta la notte. Al mattino Don Rinaldi celebrò la Messa del Beato, alla quale assistettero i superiori, i chierici studenti e i giovani liceisti del collegio tra una fitta corona di ex - allievi. Più tardi pontificò solennemente il nostro Cardinale Hlond. A quella funzione fu ammesso anche il pubblico. Dopo venne a visitare quei resti gloriosi il Cardinale Ascalesi, Arcivescovo di Napoli, che con pensiero gentile e pio raccolse le rose sparse intorno all'urna e le distribuì ai più vicini, che le ricevettero con devota riconoscenza. Altri Prelati sopraggiunsero in seguito, come l'Arcivescovo di Genova, portati dalla loro pietà. Verso il mezzodì l'Istituto, chiuso agli estranei, si venne popolando di alunni dei collegi salesiani situati fuori di Torino. L'ospizio di Sampierdarena vi era al completo, dal Direttore al portinaio. Entravano festosamente a squadre, guidati dai loro insegnanti, con bandiere e musiche. Don Giraudi, che dalla ricognizione della salma in poi aveva diretto fino allora tutte le operazioni valsalicesi, offrì a tutti il pranzo, onorato dalla presenza dell'Eminentissimo Hlond, da parecchi Vescovi salesiani e dallo scrittore danese Jörgensen, autore di una recentissima biografia del Beato Durante l'allegro banchetto tutti gli evviva e gli applausi finivano in acclamazioni al nome di Don Bosco. Nessun atro inno meglio di quella festosa allegrezza giovanile poteva convenire a Colui che era stato in tutta la sua vita la delizia dei giovani.

                In città alle tredici le vie formicolavano di gente. Le frazioni dei diciotto gruppi che dovevano partecipare al corteo, movevano verso i loro posti di concentramento; il resto della moltitudine correva in qua e in là alla conquista di posizioni, donde si potesse vedere la maggior parte possibile della sfilata. Alle quattordici e mezzo tutti i concentramenti erano fatti. S'avvicinava il momento di dare principio a una delle più imponenti manifestazioni religiose, che si fossero mai vedute [178] certamente a Torino, forse ben di rado in altri luoghi. Non è possibile per noi procedere oltre senza dare prima un'idea della disposizione dei gruppi, dai quali doveva via via snodarsi il corteo.

 

IL CORTEO IN PREPARAZIONE.

 

                L'itinerario del corteo era obbligato nel tratto da Valsalice al Po. Il fiume si doveva passare subito, imboccando il Ponte Umberto, che s'incontra direttamente da coloro che scendono di lassù. Dopo il Ponte Umberto bisognò tracciare il percorso fino a Valdocco in modo da offrire ai diciotto gruppi la comodità di allinearsi successivamente. Il tracciato, quale fu stabilito, non poteva essere migliore.

                Fra il luogo di partenza e il luogo di arrivo dell'urna c'erano due punti, Piazza Vittorio Veneto e Piazza Castello, che possiamo dire centrali, il primo per il numero e l'altro per la qualità dei gruppi che vi si dovevano riunire. Sulla vastissima Piazza Vittorio ben otto gruppi stavano comodamente ammassati e disposti in modo da potersi mettere in movimento senza intoppi uno dopo l'altro. Ecco la loro formazione:

 

I GRUPPO - BANDA DELL'ISTITUTO SALESIANO DI S. BENIGNO - Oratori Femminili delle Figlie, di Maria Ausiliatrice di Torino - Figlie di Maria - Orfanelle - Orfani di Sassi - Squadre ginnastiche - Oratoriane - Convitti di Torino - Circolo Maria Mazzarello in divisa - Ex - allieve.

 

II GRUPPO - BANDA DELL’ORATORIO SALESIANO DI MONTEROSA - Oratorii Salesiani Maschili di Torino - Crocetta - Monterosa -S. Paolo - BANDA DELL'ORATORIO SALESIANO DI S. PAOLO - Valsalice - Martinetto - S. Luigi Gonzaga - S. Francesco di Sales - Rappresentanze delle Scuole Rurali del Piemonte.

 

III GRUPPO - CORPO MUSICALE << EXCELSIOR>> - Opera Nazionale Piccole Italiane – CORPO MUSICALE DEL DOPOLAVORO FIAT - Giovani Italiane.

 

IV GRUPPO - BANDA GRUPPO SPORTIVO “LANCIA” - Opera Nazionale Balilla – BANDA DELL'ISTITUTO BONAFOUS - Avanguardisti. [179]

 

V GRUPPO BANDA “PIETRO MICCA” – Compagnie e Convitti Femminili - Istituti di Educazione di Torino - BANDA DEL COL -COLLEGIO DEGLI ARTIGIANELLI - Istituti e Collegi Maschili di Torino - Rappresentanze degli Istituti Medi di Torino – Istituto della Consolata - Scuole Tecniche S. Carlo.

 

VI GRUPPO - BANDA DELL'ISTITUTO SALESIANO DEL MARTINETTO - Rappresentanze dei Collegi Salesiani di Torino -Martinetto - S. Giovanni - Oratorio di S. Francesco di Sales.

 

VII GRUPPO - BANDA DI AGLIÈ - Istituti ed Oratorii delle Figlie di Maria Ausiliatrice del Piemonte (per ordine alfabetico della città), - BANDA DELL'ISTITUTO MISSIONARIO DI FOGLIZZO.

 

VIII GRUPPO - BANDA DELL'ORATORIO SALESIANO DI ASTI - Istituti ed Oratori Salesiani del Piemonte (per ordine alfabetico della città) - BANDA DELL'ISTITUTO SALESIANO DI NOVARA.

 

                Sulla riva sinistra del Po fra Piazza Vittorio e Ponte Umberto si stendono Via Diaz e Corso Cairoli. Lungo questo tratto attendevano il loro turno di marcia i seguenti tre gruppi:

 

IX GRUPPO - BANDA DELL'ORATORIO FESTIVO DI FOSSANO -U. F. Giovani Cattoliche - U. F. Donne Cattoliche - BANDA DEL - L'ORATORIO DI SALUGGIA - Gioventù Cattolica - Unione Uomini Cattolici - Circolo Universitario G. Agnesi – Circolo Universitario Cesare Balbo - Giunta Diocesana -BANDA << DON Bosco >>.

 

X GRUPPO - BANDA DELL'ISTITUTO MISSIONARIO DI IVREA -Rappresentane delle Cooperatrici Salesiane e delle Dame di Maria Ausiliatrice - Rappresentanze di Ex - allievi di Don Bosco e di Cooperatori - Salesiani, degli Exallievi del Cottolengo, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli - Un Gruppo di Crevaria e della Madonna della Provvidenza.

 

XI GRUPPO - BANDA DELL'ISTITUTO SALESIANO DI MILANO - Rappresentanze delle Case d'Italia e dell'Estero delle Figlie di Maria Ausiliatrice (per ordine alfabetico) – BANDA DELL'ISTITUTO SALESIANO DI PARMA - Rappresentanze degli Istituti Salesiani d'Italia e dell'Estero (per ordine alfabetico).

 

                Nel nono gruppo, che era delle Associazioni di Azione Cattolica spiccava la sezione dei Giovani Cattolici del Piemonte. Al mattino avevano tenuto congresso nel teatro Vittorio [180] Emanuele, presenti i Cardinali Gamba e Maffi. Il presidente generale Jevolino, venuto apposta da Napoli, parlò di Don Bosco Educatore, chiudendo con dire: “Noi oggi facciamo voti alle Autorità civili che la vita di questo Grande sia introdotta nelle scuole per uno studio semplice e profondo ed innalziamo alle Autorità il desiderio intenso che questo gigantesco faro di luce, che da Torino diffonde in tutto il mondo i vividi raggi della Fede, del lavoro cristiano e della carità, possa presto essere uno dei protettori della Gioventù Cattolica Italiana, sì che tutti noi possiamo chiamarci devoti figli di Don Bosco”. Nel corteo questi giovani sfilarono in corpo, formando una grossa falange di circa dodicimila. I gruppi XII e XIII, che avevano l'onore di scortare l'urna, si formarono nell'Istituto di Valsalice. Un gruppo isolato, il XVIII, destinato a chiudere il corteo al seguito dei due precedenti di qua dal fiume, aspettava ai margini del Valentino dove questo parco fa angolo col Corso Vittorio Emanuele e il Po, a sinistra di chi dal Ponte Umberto viene in città.

 

XII GRUPPO - BANDA DELL'ORATORIO S. FRANCESCO DI SALES - Casa di Valsalice - Congregazioni Religiose Femminili - Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice col Consiglio Generalizio.

 

XIII GRUPPO - CROCE PROCESSIONALE – Chierici Salesiani e di altre Congregazioni – Seminari Diocesani (Giaveno - Chieri Torino) - Sacerdoti del Convitto Ecelesiastico - Clero Salesiano Vescovi ed Arcivescovi Salesiani - Em.mo Cardinale Arcivescovo di Torino.

 

XVIII GRUPPO - BANDA (dal gruppo XIV).

A) Rappresentanze: Gruppi Rionali Fascisti di Torino - Associazione Nazionale Combattenti - Associazione Volontari di Guerra Reduci di Francia - Bombardieri del Re - Associazione Nazionale del Fante - Associazione Nazionale Granatieri - Associazione Nazionale Alpini - Associazione Nazionale Bersaglieri - Associazione Piemontese Artiglieri d'Italia - Associazione Nazionale Artiglieri di Montagna - Associazione Nazionale Arma del Genio Direttorio Società Reduci del Mare - Associazione di Cavalleria Gruppo Piemonte. [181]

 

B) Rappresentanze Associazioni Civili - BANDA EX - ALLIEVI <<S. CECILIA>> - Confederazioni Nazionali Fasciste: Industria Commercianti - Agricoltori - Trasporti terrestri - Rappresentanze: Sindacati Fascisti dell'Industria - Famija Turineisa - Federazione Comunità Artigiane - Unione Escursionisti - Circolo Veneto Società Protettrice degli animali - Pellegrinaggi diversi.

 

                Alle due estremità opposte di Piazza Castello quattro raggruppamenti importanti avrebbe incontrato il corteo nel suo avanzare, prima cioè il XVI e il XVII al Palazzo?diciamo e poi il XIV e XV presso la Cattedrale.

 

XIV GRUPPO - BANDA “CARDINALE CAGLIERO” DELL'ORATORIO FESTIVO S. FRANCESCO DI SALES - Congregazioni e Ordini Religiosi maschili - Superiori Provinciali e Generali - Clero Diocesano Rettori di Chiese - Parroci - Facoltà Legale - Facoltà teologica Canonici delle Collegiate e della Metropolitana.

 

XV GRUPPO - (Nella Cattedrale) Prelati - Vescovi - Arcivescovi Em.mi Cardinali scortati dai Cavalieri degli Ordini di Malta e del S. Sepolcro in uniforme.

 

XVI GRUPPO - (Atrio del Palazzo Madama) Autorità Civili e Militari - Corpo Consolare - (Presso il Palazzo Madama a destra): Comitato d'Onore Podestà dei Comuni del Piemonte ove esistono opere di Don Bosco.

 

XVII GRUPPO - BANDA MILITARE DEL PRESIDIO DI TORINO Rappresentanze: Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti in guerra e dei Caduti Fascisti - Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra - Istituto del Nastro Azzurro - Università di Torino, Professori e Goliardi - Università Cattolica del “Sacro Cuore” di Milano - Istituti Superiori d'istruzione - Associazioni Femminili Insegnanti delle Scuole Medie e Primarie - Unione Insegnanti “Don Bosco”.

 

                Per l'ora prestabilita il vasto schieramento non lasciava nulla a desiderare, tanto zelo i capigruppi e i loro ausiliari avevano messo in riunire i propri contingenti e condurli tempestivamente ai posti assegnati. Così dal principio alla fine lo sfilamento si andò svolgendo con la precisione di un orologio a molla. L'ubiquità poi di Don Ricaldone, che durante il lungo tragitto (lungo per estensione di spazio e durata [182] di tempo) non conobbe requie, arrivava sempre al momento buono per correggere ogni inizio di sbandamento. In una processione di proporzioni sì enormi, se non si fosse verificato nessun cenno di disgregamento sarebbe stato un vero miracolo.

                Bande strumentali ed elementi giovanili dominavano, come si vede, su tutta la linea; perciò onde di suoni e di canti dovevano incalzarsi senza interruzione durante l'interminabile pompa trionfale.

 

IL CORTEO IN MOTO.

 

                Diamo anzitutto un'occhiata a Piazza Vittorio, donde il corteo doveva prendere le mosse. In alto, balconi adorni di tappeti, arazzi e festoni e gremiti di gente, che assiste incuriosita allo spettacolo dell'ordinamento. Al piano, nello spazio scoperto, un affluire continuo di lunghe e folte colonne dalle strade laterali e da Via Po. Appena sboccate sulla piazza, si dirigono rapide e difilato a occupare i punti assegnati loro nella formazione dei primi otto gruppi, che apriranno il corteo. In quel brulichio, molto entusiasmo, ma nessuna confusione, nessun intralcio. Sotto i portici, dietro i cordoni di carabinieri, agenti, militi, guardie municipali, l'addensarsi di due altre folle accorrenti ai due lati per assistere al passaggio della benedetta urna. Dalla piazza l'occhio, misurando in tutta la sua lunghezza l'ampia Via Po, fiancheggiata da' suoi grandiosi portici e solenni edifici, non scorge che drappi multicolori pendere da tutte le finestre e da tutti i balconi, e vede di qua e di là un fitto pubblico gremire i portici, contenuto a stento sui marciapiedi. Il servizio d'ordine non sembra però faticare soverchiamente per mantenere la via sgombra nella sua massima parte; l'animazione generale non impedisce la disciplina. É  un po' il tradizionale costume del popolo piemontese; vi contribuisce forse anche il carattere religioso della cerimonia. [183]

                Scoccata l'ora, Don Ricaldone diede il segnale della partenza al primo gruppo, dietro al quale un dopo l'altro si vennero incolonnando i rimanenti sette: il corteo si trovò formato quasi automaticamente. I componenti superavano i cinquantamila.

                Precedeva un drappello di guardie municipali in bicicletta, subito seguito da un graziosissimo stuolo di paggetti in uniformi rosa - celeste e bianco - rosso con piccoli stendardi e grandi gigli: erano bambine d'oratori festivi delle Figlie di Maria Ausiliatrice. La testa del corteo entrò in Via Po, dando principio a un'iperbolica sfilata che doveva durare più di tre ore. Tutta la falange avanzava su linee frontali di dodici, sempre varia e sempre uguale. Piazza Vittorio sembrava un immane serbatoio, che senza tregua riversasse gente su gente. Le bande musicali, benchè numerose, non si confondevano, perchè distanziate da plotoni di più migliaia. Don Bosco ritorna echeggiava in cento toni, secondo l'età e il petto dei cantanti che passavano divisi nelle loro differenti masse. Grande curiosità suscitarono le rappresentanze di tutta l'Italia e di tutte le nazioni. Erano fanciulle simboleggianti le regioni italiane; erano giovinette recanti stendardi con gli stemmi delle varie nazioni, dove fioriscono case salesiane; erano centinaia di ragazzi portanti sopra una fascia a tracolla i nomi delle località, dove i Salesiani tengono collegi od oratori festivi. Insomma le note di varietà si susseguivano ininterrotte sotto gli sguardi intenti delle moltitudini spettatrici; a passarle tutte in rassegna con qualche ragguaglio non basterebbe un centinaio di pagine.

                Quando l'ottavo gruppo, che occupava l'ultimo posto in fondo alla Piazza Vittorio verso il fiume, era allineato per dodici nel centro e moveva dietro il precedente, ecco venirgli subito appresso il nono, seguito dal decimo e dall'undicesimo, i tre fermi in Via Diaz e sul Corso Cairoli. I componenti oltrepassavano i dodicimila preceduti da lunghissima e candidissima teoria di Giovani Cattoliche in abito [Le pagini 184 – 185 contengono una piantina di una parte di Roma] [186]  e velo bianco. Lasciamo che tutta questa prima parte del corteo faccia il suo cammino per Via Po, attraversi Piazza Castello, percorra Via XX Settembre e prosegua per Corso Regina Margherita, verso Maria Ausiliatrice; noi andiamo intanto a incontrare la seconda sezione, proveniente da Valsalice.

                Qui alle ore quattordici nella cappella dell'Istituto dodici Vescovi Salesiani e i Superiori del Capitola, levata l'urna di cristallo e consegnatala ai sacerdoti della casa che la dovevano portare, l'accompagnarono processionalmente in piviale e mitra fino al pianterreno, dinanzi alla cella del quarantenne riposo. Al suo apparire, allievi ed ex - allievi che gremivano le terrazze, gridavano dei Viva Don Bosco, la cui eco risonava per tutta la valle. Cessate le voci, l'urna fra un profondo silenzio di riverenza e di attesa venne collocata entro il cofano di legno dorato, che l'avrebbe custodita e presentata alla venerazione dei fedeli nella Basilica dì Maria Ausiliatrice[65]. L'operazione si compiè alla presenza del Cardinale Gamba. Posto quindi sul cofano il coperchio, l'urna fu collocata sopra un veicolo appositamente attrezzato. Era questo un telaio di carro automobile o chássis, offerto dalla Ditta Lancia. Lo copriva un ricco drappo granata - scuro, avente, al fondo, [187] un cordone dorato. Portava lateralmente infissi sei grossi anelli e posteriormente lo delimitava una sbarra trasversale di ottone. Attorno all'urna una vaga aiuola di rose e sempreverdi conferiva all'insieme un aspetto di gaiezza. Un meccanico invisibile avrebbe guidato il carro, spinto a mano dai lati e dalla parte posteriore. L'urna sarebbe così passata sfolgorante in alto fra la marea del popolo.

                La discesa da Valsalice fu davvero trionfale. Quando l'urna uscì dall'Istituto, il gruppo dodicesimo, seguito dal tredicesimo, stava già per mettere piede sul Ponte Umberto. Ultima si avanzava l'urna Incedevano dinanzi ad essa i mitrati salesiani nella maestosità dei loro paramenti; la fila era chiusa dall'Eminentissimo Hlond, avvolto nell'imponenza della sacra Porpora. Dopo di lui venivano il Rettor Maggiore Don Rinaldi col Capitolo Superiore, il Conte Rebaudengo e l'avvocato Masera, presidenti internazionali dei Cooperatori e degli ex - allievi. Un nugolo di paggetti dava al grandioso quadro una nota di grazia e di colore.

                Sospingevano l'urna i presidenti delle Unioni Insegnanti Don Bosco, organizzate nelle principali città italiane, e quelli delle Unioni ex - allievi; la fiancheggiavano trenta carabinieri in alta tenuta. Subito dietro l'urna si scorgeva la cara figura del Cardinale Gamba, circondato da prelati, canonici e parroci e seguito da un magnifico stuolo di Cavalieri del Santo Sepolcro, da dignitari dei Sacri Militari Ordini Gerosolimitano e di Malta e da Cavalieri dell'Ordine di S. Silvestro. Confusi tra questa folla gli ultimi discendenti del Beato; infine gli Ispettori Salesiani di tutto il mondo.

                L'età avanzata, la lunghezza del tragitto e il caldo della stagione pareva che avrebbero dovuto sconsigliare il Cardinale Arcivescovo da cotanto strapazzo; ma a coloro che tentavano di dissuaderlo dall'arrischiarvisi, aveva risposto: - Non tocca a Don Bosco venire incontro a me; tocca a me andare incontro a Don Bosco. - Fu visto così un venerando Porporato settantenne fare circa quattro chilometri a piedi [188] sotto la sferza del sole di giugno, mosso da sublime ed eroico senso di religiosa pietà e da profonda comprensione dell'anima del suo popolo.

                Alla prodigalità di quel sole estivo, qual contrasto dovevano poi fare nell'aprile 1934 i diluvi di pioggia rovesciati dal cielo sulle moltitudini convenute a Roma e a Torino per partecipare ai festeggiamenti della canonizzazione! Ma, o per ignem o per aquam, la gloria del Beato e del Santo passò sfolgorante, affascinando e attraendo le folle, che parvero ognora insensibili alle avverse condizioni del tempo.

                Con lo splendido accompagnamento descritto la spoglia mortale di Don Bosco s'incamminava verso la metropoli aspettante. Di qua e di là del cammino incontrava affollamenti ai parapetti delle ville, ai davanzali e alle finestre delle case e per i pendìi della collina; più in basso, dove la strada si allargava, due fittissime ale di popolo gremivano i lati. E poi, fiori in terra e piogge di fiori dall'alto. Le bande intonavano e ripetevano il Don Bosco ritorna, che mille e mille voci cantavano con esultanza. Nel passaggio dell'urna le folle circostanti, arginate da bersaglieri, carabinieri e guardie civiche, gridavano con tutto l'entusiasmo: Viva Don Bosco!

                Quando il carro vermiglio apparve all'estremità di Corso Fiume dopo il monumento di Crimea, la folla che attendeva dalla parte opposta del Ponte Umberto e sul Corso Vittorio Emanuele ebbe un ondeggiamento pauroso, sicchè fu necessario un buon rinforzo di militi per impedire che si spezzassero i cordoni. Ovunque s'invocava: Don Bosco! Don Bosco! Ma quando l'urna, passato il ponte, mosse verso la città, tutta la gente s'inginocchiò, porgendo il primo omaggio della cittadinanza torinese al Beato.

                Il tempo era stato misurato con tanta esattezza e lo snodarsi del corteo si era svolto con tanta precisione, che l'avanguardia dei due gruppi di Valsalice era arrivata al momento giusto per prendere contatto con la retroguardia dei tre gruppi [189] sfilati da Via Diaz e Corso Cairoli. Quando poi dietro a quelli giunse di qua dal Po l'urna col suo seguito, si fece innanzi dal Valentino il numerosissimo e svariatissimo gruppo diciottesimo, che, compatto come una legione romana, chiuse fino al termine la sonora e canora fantasmagoria di un corteo, quale non avevano mai visto le ampie vie della capitale piemontese.

                Scrosci di applausi e assordanti evviva accoglievano l'urna di mano in mano che si avanzava. Le mamme sollevavano sulle braccia verso di essa i loro piccini. Al suo affacciarsi dal fondo di Piazza Vittorio la marea di popolo, che ha invaso gli spazi lasciati liberi dagli otto gruppi ivi ammassati, si commuove, si agita, alza grida: sembra un mare in burrasca. Molti dei più vicini s'inginocchiano. Il movimento e il frastuono si propaga per Via Po, quando l'urna, attraverso la Piazza, giunge ai primi palazzi. Qui s'inoltra fra canti e suoni, accolta da voci festanti, mentre ad ogni passo le cadono sopra e intorno piogge di fiori, formandole un variopinto tappeto di petali e di foglie. Si vedono sui balconi manine di bambini lietamente gesticolare e mani di adulti sporgersi innanzi congiunte in atto di preghiera. Quel Don Bosco ritorna continuamente intonato è appreso tosto dagli spettatori, che in alto e in piano lo cantano all'unissono con i gruppi del corteo. Lo squillare giulivo d'innumerevoli campane, unendo concerti a concerti, accresce il tripudio. Dappertutto è gioia, commozione, entusiasmo.

                Verso le diciotto l'urna da Via Po si affacciava a Piazza Castello, la grande e storica Piazza, dove si affolla il popolo torinese nelle ore più solenni e più care all'anima sua. Dinanzi al Palazzo Madama, che sorge maestoso quasi nel centro, l'urna sostò per dare agio e tempo al sedicesimo e diciassettesimo gruppo di prendere il loro posto; erano i due gruppi delle autorità e delle maggiori rappresentanze. Il pubblico s'assiepava dietro i cordoni militari. Drappi multicolori ornavano dai balconi e dalle finestre gli edifici. Sui tetti si ve – [190] devano grappoli umani pigiantisi in palchi improvvisati. Cori di voci maschili e femminili e marce musicali risonavano tutto all'intorno ed echeggiavano da lontano, formando un confuso indistinto che riempiva l'aria ed esaltava gli spiriti. Dietro al Cardinale Gamba si ordinavano e s'incamminarono i rappresentanti del mondo ufficiale, tanto civile e politico che militare e accademico. Precedeva il gonfalone della città di Torino con la sua scorta d'onore.

                L'urna, passata davanti al Palazzo del Governo e attraversato il largo del Palazzo Reale, proseguì in Piazza del Duomo. Dalla gradinata della Basilica scesero ad accoglierla ed a farle corteggio con gli altri due Principi della Chiesa i quattro Cardinali Maffi di Pisa, Ascalesi di Napoli, Nasalli - Rocca di Bologna e Vidal y Barraquer di Tarragona, seguiti da una sessantina, di Arcivescovi e Vescovi, da molti abati, canonici e parroci, e da un'infinità di sacerdoti secolari e regolari. I palchi eretti di fronte alla chiesa rigurgitavano di pubblico acclamante. Con il suo eletto accompagnamento l'urna si rimise in moto.

                A destra dell'imboccatura di Via XX Settembre drizza la sua mole un'ala nuova del Palazzo Reale. Dai finestroni il Principe Umberto di Piemonte aveva voluto che fossero esposti per la prima volta otto grandissimi e bellissimi arazzi. Al balcone centrale stava affacciato il Principe stesso e con lui la Principessa Iolanda, i Duchi di Genova e di Udine, il Duca e la Duchessa di Pistoia, il Duca di Bergamo, la Principessa Maria Adelaide. L'urna si fermò qualche minuto dinanzi alle Loro Altezze. Allora il Principe Ereditario s'inginocchiò in divoto raccoglimento.

                Intanto il rombo metallico degli areoplani volteggianti sul corteo si confondeva con l'immenso assordante fragore dell'inno freneticamente cantato e sonato da cento parti senza soluzione di continuità nella Piazza del Duomo, per Via XX Settembre e lungo il Corso Regina Margherita. Che spettacolo presentava questo Corso! Qui si era in pieno ambiente [191] popolaresco. Prima dominava l'elemento civile, mentre ora per un tratto di mille e duecento metri e sur un'ampiezza di quaranta metri formicolava una massa immensa di gente umile. Non mancavano agli edifici laterali gli addobbi vistosi e alle finestre e sui tetti i grappoli umani. Dove il Corso attraversa il grande mercato di Porta Palazzo la folla non occupava solo tutti gli spazi liberi, ma stava appollaiata anche sopra le tettoie delle baracche. Guai se in qualche punto la calca, rompendo gli argini della forza pubblica che la conteneva, fosse straripata!

                La varietà cinematografica della sfilata, incatenando la curiosità del pubblico, determinava clamorose esplosioni di entusiasmo, quali sogliono prodursi nelle grandi manifestazioni popolari. Al comparire del clero gli applausi aumentarono d'intensità. Quando cominciò a distinguersi l'urna dorata, un fremito nuovo pervase la moltitudine, propagandosi rapidamente dall'una all'altra estremità e provocando grida e applausi pieni di calore. Il ritornello dell'inno empieva il Corso, le case e la piazza, espressione festante e sintetica del sentimento comune. Erano ondate di fervore mistico, che si levavano più alte e fragorose ad ogni breve sosta dell'urna.

                Fra il Corso Regina Margherita e il Corso Valdocco si apre un vasto piazzale detto per antonomasia il Rondò. Lì nereggiava un pubblico prevalentemente femminile. Dietro a una cintura larga di spettatori, altra gente emergeva: alcuni erano issati sui sostegni dei lampioni e moltissimi raggruppati in piedi su automobili, carri e impalcature forniate alla meglio. Presso l'imboccatura dei Corsi parecchie grosse autocorriere offrivano sul soffitto incomoda ospitalità a quanti vi si potevano agglomerare. Ogni scaglione dell'interminabile corteo passava innalzando il suo canto dell'inno, le cui note e parole venivano raccolte e ripetute dalla folla. Non fa meraviglia se in seguito quell'aria così semplice del Don Bosco ritorna - fra i giovani ancor si udì a lungo fischiettare e canterellare per le vie di Torino. [192]

                Il perfetto ordinamento voluto, predisposto e mantenuto da Don Ricaldone, che, quasi avesse le ali ai piedi, accorreva pronto dovunque si manifestasse il bisogno di un energico intervento, permise alla gigantesca colonna di eseguire tutte le sue evoluzioni senza arresti o inconvenienti. Il maggior pericolo di confusione sarebbe potuto sorgere quando i gruppi avessero cominciato a raggiungere la mèta. Che babilonia era da temersi là dove ogni gruppo, non più vincolato nel corteo, si sarebbe trovato in balìa di se stesso entro uno spazio relativamente assai limitato! Ma anche a questa eventualità erasi pensato e provveduto. Lungo i Corsi, per la via Cottolengo, sulla piazza e nella chiesa di Maria Ausiliatrice, i singoli capigruppo sapevano con esattezza matematica quale fosse il punto, dove fermare o condurre i loro. Grazie dunque alle prese disposizioni e all'abilità degli esecutori, quella che era la fase conclusiva e la più critica del corteo, si svolse con l'ordine e la calma di un ben comandato esercito.

 

A MARIA AUSILIATRICE.

 

                Neppure la Basilica di S. Pietro sarebbe stata adeguata alla circostanza; la chiesa poi di Maria Ausiliatrice era addirittura un guscio di noce quella sera. Bisogna però dire che nell'ora più solenne della giornata una sì intensa spiritualità aveva pervaso le moltitudini oranti sulla piazza, per la via e lungo il Corso, che tutte le adiacenze del tempio sembravano formare una chiesa sola, come se la navata di Maria Ausiliatrice si fosse prodigiosamente ingigantita per accogliere tante migliaia di fedeli.

                Mentre l'urna dal sommo della piazza moveva lenta lenta verso il santuario, questo si andava popolando delle persone più qualificate, che, spiccatesi di mano in mano dal corteo, vi pigliavano i posti preparati. Erano i bianchi Cavalieri del Santo Sepolcro e i rossi Cavalieri di Malta, che si disponevano a sinistra della balaustra fuori del presbiterio; erano dal lato [193] opposto i gentiluomini delle Corti dei Principi Sabaudi e nelle poltrone vicine le dame di Palazzo, tutte in nero. Si riuniva nelle bancate là presso un gruppo imponente di Generali nelle loro brillanti divise; di riscontro si mettevano le autorità civili, i gerarchi fascisti e altri dignitari. I numerosi Vescovi con mitra e pastorale e avvolti in ricchi piviali, i prelati minori vestiti di preziose pianete, i canonici in cappa magna e i parroci in mozzetta riempivano ordinatamente, ai cenni dell'impareggiabile cerimoniere Don Vismara, lo spiazzo del centro. Torno torno ogni angolo si gremiva di suore in varie foggie o di religiosi in varie tonache, mentre un nuvolo di chierici in cotta s'infiltrava in ogni meato. Su due tribune laterali salirono i Cooperatori e le Cooperatrici più insigni. Fuori e dentro la folla di tratto in tratto si apriva riverente per date il passo ad alcuno dei Porporati, che incedevano verso il presbiterio. La chiesa ormai presentava un quadro assai suggestivo, quando fece il suo ingresso dalla sagrestia il Principe di Piemonte seguito dai Principi e dalle Principesse, che già incontrammo al Palazzo Reale. Le principesche poltrone erano collocate nel presbiterio in cornu evangelii, di fronte a quelle cardinalizie in cornu epistolae. Nel centro del presbiterio sorgeva il palco ricoperto di rosso damascato, che attendeva l'urna di Don Bosco.

                Ed ecco l'urna ergersi splendente nel vano della grande porta. Allora dall'esterno, cessato in un attimo la salva degli applausi, si ode soltanto il festoso scampanare. Salutata da squillo di trombe, da tripudio d'organo, da fragore di battimani e di evviva, procede a sbalzi, ondeggiando come nave su quel mare di teste. La portano a spalla vigorosi ex - allievi. Al suo passaggio tutti s'inchinano, poi fissano gli occhi sulla figura del Beato, il cui profilo traspare nitido attraverso i tersi cristalli. Va avanti così per la navata, giunge dinanzi alla balaustra, sale nel presbiterio, e, viene adagiata sul trono ivi apprestatole. La chiesa è inondata di luce. Una fantasmagoria di fiammelle piove riflessi d'incendio sui parati di damasco [194] e di velluto. Due potenti riflettori mascherati dalla balaustra lanciano fasci di luce sulla figura del Beato che sembra costellata di gemme luminose. Intanto dall'orchestra scende un coro potente: è l'Iste Confessor, l'inno liturgico dei Confessori, musicato da Don Pagella. Il Cardinale Arcivescovo si accosta all'altare, dove si fa l'esposizione del Santissimo. Mentre, dopo il Tantum ergo, egli imparte la benedizione eucaristica, i Cardinali Vidal y Barraquer e Hlond da due altari, eretti uno nel sacrato e l'altro nel Rondò, compiono lo stesso rito sulle sterminate moltitudini che a perdita d'occhio stanno d'ogni intorno prostrate al suolo. Quindi nel tempio Principi e Autorità, baciata piamente l'urna, escono dalla parte del cortile.

                La cerimonia terminò quand'era calata la notte. Dodicimila lampadine elettriche, distribuite in cinquecento circuiti e divise in quattro settori, illuminavano fantasticamente la cupola e la facciata. La statua della Madonna troneggiava in una gloria di croci e di stelle variamente colorate. L'illuminazione si spingeva oltre per la piazza fino al Corso Regina Margherita. Il monumento di Don Bosco, rischiarato da proiettori nascosti nella circostante aiuola, brillava come se fosse investito dal sole. Echeggiava da ogni parte l'inno del Beato. L'animazione si protrasse qui fino a tardissima ora.

                Pittoresca fu poi la luminaria accesa per la città. Dal Palazzo Reale alle più umili finestre dei quartieri popolari sfavillavano lumi e lumicini, che sembravano porgere l'estremo saluto ai pellegrini percorrenti in ogni direzione le strade per provvedere al loro ritorno. Soltanto in tre ore, dalle ventidue all'una, vennero istradati da Torino ventiquattro treni, di cui diciassette speciali.

                Molti cittadini e quanti forestieri non ebbero urgenza di partire, andarono a godersi lo spettacolo pirotecnico allo Stadium. Dal podio lo onorarono della loro presenza anche i Reali Principi e numerose Autorità. Fu particolarmente [195] applaudita la riproduzione della Basilica di Maria Ausiliatrice, dalla cui porta aperta appariva l'immagine del Beato nell'atto di proteggere la gioventù.

 

II TRIDUO.

 

                La notte del 9 giugno con l'estinguersi delle luminarie non pose termine alla dimostrazione di affetto e di entusiasmo per il Beato Don Bosco, ma questa continuò sempre fervida durante il triduo celebrato in suo onore. Non cessò mai a Valdocco il concorso della folla. Ogni giorno dalle quattro del mattino alle undici della sera la chiesa, la piazza, i cortili dell'Oratorio rigurgitavano di pellegrini e di fedeli. Intorno all'urna, che stava nel mezzo della Basilica, faceva ressa la fiumana del popolo. Nelle ore più affollate un doppio cordone di robusti giovanotti arginava quella specie di processione, mentre sacerdoti e chierici si sforzavano d'incanalarla, invitando tutti a non trattenersi più del necessario. Per appagare pii desideri, parecchi preti erano occupati in toccare il cristallo dell'urna con oggetti personali presentati loro dalla gente. Innumerevoli poi furono coloro che non si limitavano a venerare le reliquie del Beato, ma si accostavano pure ai Sacramenti. Si confessava in ogni angolo e si comunicava quasi senza interruzione; erano migliaia e migliaia le particole consumate tutte le mattine.

                E che dire delle funzioni? A queste aggiungeva lustro la porpora romana. Tanto alla Messa solenne che alla benedizione eucaristica uno dei Cardinali pontificava con tutta l'assistenza e l'apparato che si convenivano alla sua dignità. Tre di essi dopo i vespri dissero successivamente le lodi del Beato. Nel primo giorno il Cardinale Hlond, rievocate le visioni di Roma, ricordata la magnificenza del corteo di Torino e messo in rilievo il commovente plebiscito della giornata intorno all'urna, ricercò la ragione di tali fatti, trovandola nella geniale santità di Don Bosco, mandato dalla Provvidenza [196] perchè fosse l'apostolo del soprannaturale nel mondo del secolo XIX, al soprannaturale indifferente od ostile. Se nel presente secolo XX il laicismo si è andato qua e là dissipando, il merito risaliva a Don Bosco e a' suoi figli. Nel secondo giorno il Cardinale Nasalli - Rocca esaltò l'opera di bene compiuta da Don Bosco mercè i divini tesori da lui prodigati alla gioventù, alla società, alla patria italiana e al mondo intero. Nell'ultimo giorno l'avvincente facondia del Cardinale Gamba commosse l'immenso uditorio. Già allievo del Beato e Pastore dell'archidiocesi, diede sfogo all'onda degli affetti e dei ricordi, ritraendo la figura di Don Bosco sacerdote di Dio e conquistatore di anime. Per un'ora sana gli ascoltatori pendettero dal suo labbro, non mostrandosi ancora sazi di udirlo. Cinque altoparlanti collocati nel cortile, nella piazza e sul viale Regina Margherita diffondevano all'esterno quanto si svolgeva nel santuario; anzi nel primo e nel terzo giorno la Radio trasmise le esecuzioni musicali. La sfarzosa illuminazione chiudeva le singole giornate.

                Quanto alle esecuzioni musicali, bisogna dire che a comune giudizio riuscirono ben degne di Colui che fino dai primordi della sua istituzione aveva compreso quale importanza dovesse avere la musica nella educazione e formazione giovanile. All'inizio della sua Opera si affidava alle proprie forze e a quelle de' suoi collaboratori, che dal punto di vista dell'arte non erano ancora in grado di fare grandi cose; ma giunse pure il momento, in cui tra i suoi figli sorsero i maestri compositori. Come a Roma, così a Torino i Salesiani affermarono o confermarono la loro maturità artistica nella creazione di lavori, che riscossero le lodi dei competenti. Fra tutti si distinsero Don Antolisei, Don Pagella, Don De Bonis, Don Hlond, fratello del Cardinale, e il Dogliani. Del De Bonis fu eseguito un Magnificat ampio e vario di temi, dagli spunti felicissimi, quali si addicevano alla sua bella vena nutrita di forti studi. Dell'Antolisei fu ammirata la Missa in honorem Beati Johannis Bosco a otto voci e del Pagella una Missa sollemnis [197] XIX dedicata al novello Beato[66]. L'autore di questa seconda Messa ebbe la felice idea di usare, nel Gloria, dei tema di una canzoncina natalizia composta e musicata dal Beato nei primissimi tempi dell'Oratorio: Ah si canti in suon di giubilo. Nella Basilica di Maria Ausiliatrice due scuole salesiane formavano la massa dei cantori, una con 85 tenori e bassi dell'Istituto teologico internazionale della Crocetta, istruiti da Don Grosso, e l'altra con 125 soprani e contralti dell'Oratorio, preparati dal Dogliani. Il complesso delle esecuzioni apparve superiore a qualsiasi elogio per costante freschezza di voci e per consapevolezza, affiatamento, duttilità alle indicazioni direttive. Audizioni musicali così squisite e perfette avviene rare volte di ascoltare; non si poteva più grandiosamente magnificare il zelante propugnatore del canto sacro.

 

MANIFESTAZIONI VARIE.

 

                Durante e dopo il triduo si succedettero manifestazioni di varia forma, che più o meno direttamente si riferivano all'avvenimento centrale di quei giorni e di questo capo. Una fu la visita dei Cardinali, dei Vescovi e dei Missionari alla più grande officina automobilistica italiana, denominata la Fiat. Vi si recarono la mattina del 10 giugno. A onorare le Loro Eminenze vennero col Senatore Agnelli proprietario anche le Autorità cittadine. Don Ricaldone fece le presentazioni, osservando come tutto il mondo fosse ivi rappresentato. Infatti con i Prelati italiani e stranieri c'erano Vescovi residenziali, Vicari e Prefetti Apostolici e altri Capi di Missioni, che venivano da diverse parti dell'Africa, dell'Asia e dell'America. Il Senatore Agnelli, dando il benvenuto ai visitatori, accennò in che modo la loro presenza colà avesse relazione col grande festeggiato. “Sono lieto, disse, di ricevere alla [198] Fiat le Loro Eminenze, i Monsignori, i Missionari; porgo loro di cuore il mio benvenuto. Dare questo benvenuto mi è tanto più caro in quanto ricordo di aver conosciuto personalmente Don Bosco, e la sua immagine illuminante parla sempre al mio spirito. I discepoli, i seguaci del Beato Don Bosco, di questo grande piemontese, che particolarmente Torino oggi venera e festeggia, sentiranno qui pulsare un ritmo di vita che non sarebbe stato discaro al Beato, il quale fu un sublime eroe della carità cristiana e insieme un ardentissimo apostolo del lavoro umano, un suscitatore eccezionale di energie, uno scopritore di forze secrete, un fondatore instancabile di opifici e di officine. I lavoratori della Fiat saranno fieri, se gli eroici Missionari delle Case Salesiane, le quali coprono veramente la faccia del globo, porteranno nel loro apostolato fra le genti più diverse e lontane, come espressione vivida della rinnovata Italia, il ricordo e la visione di questo nostro tempio del lavoro”. Las visita durò alcune ore, lasciando in tutti il sentimento della più alta ammirazione.

                Non fu dimenticato il povero casolare dei Becchi, dove Don Bosco aperse gli occhi alla luce del sole. Molti pellegrini vi fecero una diversione prima di restituirsi alle loro dimore. Vi andarono pure insieme il Cardinale Ascalesi con duecento meridionali e Mons. Endrici, Principe Vescovo di Trento. Questi, pregato di segnare nell'albo d'onore sotto la firma anche i suoi titoli: - I miei titoli? rispose. Che cosa valgono in confronto della grandezza conquistata dall'umile contadino che è nato in questa stamberga? - I pellegrinaggi si ripeterono quotidianamente per parecchie settimane. Dalle umili cose che accompagnarono i primi anni di Don Bosco, sembra salire una voce arcana, come un richiamo misterioso a bontà, a virtù, a operosità feconda. Una simpatica cerimonia attirò colà il 16 giugno numerosa folla dai paesi vicini e cospicue personalità da Torino e da Alessandria. S'inaugurava sul colle benedetto un monumento in bronzo, fatto erigere dall'Unione Insegnanti Don Bosco. [199]

                Con un monumento più importante e imperituro si erano chiuse le feste anche a Torino: era un monumento che qui come a Roma doveva non solo ricordare, ma continuare l'apostolato di Don Bosco. - Il Senatore Conte Rebaudengo, Presidente dei Cooperatori Salesiani, aveva voluto con atto munifico offrire all'Opera Salesiana i fondi per l'erezione di un Istituto che servisse alla formazione dei maestri d'arte destinati alle Missioni. L'edificio sarebbe sorto in Torino presso la barriera di Milano. Orbene nel pomeriggio del 13 fu benedetta con la massima solennità la prima pietra. Vi convennero le primarie Autorità ecclesiastiche e civili della città. Poichè la nuova gemma che si aggiungeva così alla corona di Don Bosco, interessava particolarmente i Missionari, si levò a parlare un Missionario autentico, Don Vincenzo Cimatti, capo della Missione Salesiana nel Giappone. Egli tratteggiò le attività che il nuovo Istituto avrebbe permesso di esplicare soprattutto nell'Oriente. Poi Don Rinaldi espresse la riconoscenza della Società Salesiana per la generosa e illuminata donazione dei Conte, che però, modesto quanto liberale, si astenne dall'intervenire. Il sacro rito fu compiuto dall'Arcivescovo, il quale alla fine, presa la parola, esaltò il gesto del donatore ed illustrò vie più i benefici frutti che i figli di Don Bosco, mediante i maestri ivi preparati, avrebbero sparso nel mondo.

                Le Missioni stettero veramente in cima ai pensieri di Don Bosco; nulla pertanto di più opportuno che perpetuare in Torino il ricordo della sua beatificazione con una permanente opera missionaria. Per questo riguardo venne a inquadrarsi molto bene all'apoteosi di Don Bosco un'alta onorificenza, che aveva per oggetto il riconoscimento pubblico e ufficiale dell'attività missionaria svolta da un insigne figlio dei Beato. Il Cardinale Cagliero con le sue nobili fatiche fu senza dubbio la personificazione più completa dell'apostolato missionario salesiano. Tornò grandemente a proposito il pensiero di Mussolini, che nella solenne circostanza volle [200] segnalare al Re le benemerenze dell'insigne Missionario, perchè alla sua memoria fosse conferita la Commenda dell'Ordine Coloniale della Stella d'Italia, distinzione assai ambita da coloro che hanno bene meritato della patria nel mondo.

                Subito dopo Roma e Torino, fu una gara mondiale di celebrare la festa di Don Bosco. Appena dunque si rese nota l'approvazione della Messa e dell'Ufficio, numerosi Vescovi di Europa e d'America inoltrarono domanda alla Santa Sede per ottenere la facoltà di festeggiare nelle loro diocesi il Beato. Dei mondiali festeggiamenti il Bollettino Salesiano pubblicò in molti numeri succinte relazioni.

 

RILIEVI.

 

                Un grandioso avvenimento si era compiuto, un'apoteosi sublime, il cui ricordo non si sarebbe cancellato mai più dalla memoria dei fortunati, che il 9 giugno avevano avuto la sorte di parteciparvi o di assistervi. Significativa è l'impressione espressa da un grande artista. Lo scultore Edoardo Rubino disse quella sera commosso a un giornalista[67]: “Oggi abbiamo visto come il popolo sa fare il poema e il monumento al suo prediletto Beato. Non dimenticherò questo pomeriggio, io che posso dire con orgoglio di aver lavorato fanciullo al tempio costrutto da Don Bosco”.

                La singolarità eccezionale della storica celebrazione sarà comprovata agli occhi dei posteri anche da un documento, che forse non ha riscontro nella vita di una grande città. Il Podestà di Torino, Conte Thaon di Revel, l'indomani della straordinaria giornata, in un suo comunicato ufficiale alla stampa si diceva “lieto e orgoglioso di esprimere alla cittadinanza il suo vivo compiacimento e plauso per la disciplina e l'ordine perfetto, con cui, pur nell'entusiasmo e nella commozione del suo imponente omaggio al Beato Don Bosco, aveva partecipato alla solenne traslazione della venerata [201] Salma”. Quello che è detto qui della cittadinanza dev'essere esteso pure ai forestieri, affluiti in tante decine di migliaia. Questi, dopo aver trascorsa la santa giornata mescolati ai Torinesi senza dar luogo al minimo incidente, lasciarono nella sera e nella notte la città quasi senza farsi sentire. Di un ordine così magnifico il merito precipuo risalì non a sfoggio di forza pubblica, che non ci fu, ma all'organizzazione perfetta, precisa, minuta, che da mane a sera dedicò il medesimo interessamento alle necessità delle folte comitive come alle esigenze dei pellegrini isolati.

                Va infine rilevato per la storia l'atteggiamento della stampa d'ogni colore. Le feste del Beato Don Bosco ebbero in essa un tale sviluppo di cronaca plaudente che, come ben osservò il Senatore Marchese Filippo Crispolti[68], non sarebbe stato concepibile alcuni anni prima. In questo nobile contegno si segnalarono non meno degli altri anche quei giornali, nelle cui colonne Don Bosco da vivo era stato spesso o trascurato o avversato o addirittura deriso. Per grazia di Dio l'avvento del Fascismo aveva stroncato la politica irreligiosa o antireligiosa d'un tempo e la stampa si adattava al nuovo indirizzo.

                I sessantun Vescovi che avevano partecipato al trionfo di Don Bosco, ne portarono alle loro sedi un così gradito ricordo, che si diedero premura di scrivere a Don Rinaldi lettere riboccanti di affettuosa e riconoscente ammirazione. Il Cardinale Gamba, terminato il triduo, volle trasmettere al Santo Padre una fedele relazione delle onoranze tributate nella sua Torino a Don Bosco, rappresentandone il carattere eminentemente religioso. Il Papa a mezzo del Cardinale Gasparri, Segretario di Stato, gli fece pervenire una bella risposta, nella quale tra l'altro si legge: “Il contegno devoto e fervido della popolazione, i festosi ornamenti delle case, l'intervento delle Autorità al completo, il grandioso e disciplinato corteo, [202] e specialmente il concorso di tanta gente alla funzione religiosa e ai Santi Sacramenti, sono pubbliche manifestazioni di fede e di pietà tali, che non possono non commuovere vivamente il cuore del Santo Padre”.

                Dopo un trionfo così spettacoloso veniva in mente la profezia fatta dal Renan in Etudes d'Histoire religieuse: << Vi saranno ancora santi canonizzati da Roma, scrisse egli, ma non ve ne saranno canonizzati dal popolo>>. L'oracolo pseudoscientifico non poteva ricevere una più clamorosa smentita. Roma, innalzando Don Bosco all'onore degli altari, non aveva fatto altro che dare forma canonica ad un culto popolare, popolarissimo, sebbene d'una popolarità contenuta, perchè così vuole la disciplina della Chiesa. Ma appena Roma parlò, si vide, che, se vivessimo ancora ai tempi, in cui il popolo cristiano ardeva senz'altro incensi e innalzava pubbliche preci agli uomini morti in odore di santità, poche canonizzazioni di popolo sarebbero state più rapide e più universali della canonizzazione di Don Bosco.

 

 

CAPO X.

Echi della beatificazione nella parola del Santo Padre Pio XI.

 

                PIÙ volte e in vari modi il Santo Padre Pio XI negli anni che corsero fra la beatificazione e la canonizzazione manifestò il suo pensiero su Don Bosco. Torna senza dubbio a gloria del Servo di Dio un tale insieme di manifestazioni da parte di un sì gran Papa; gioverà dunque riunire in questo capo le più significative.

                La prima solenne occasione di parlarne gli venne offerta il 18 ottobre 1929 da un fiorentissimo collegio salesiano. Il 1929 era un anno di pellegrinaggi, perchè si celebrava il giubileo sacerdotale del Papa. Alunni e superiori dell'istituto di Frascati si recarono quel giorno in corpo a rendergli pubblico omaggio. Il Procuratore Generale Don Tomasetti, che aveva ottenuto loro tale udienza, fece la presentazione; quindi Sua Santità pronunciò un paterno discorso. Espressa la sua viva compiacenza nel vedere attorno a sè gli alunni del Beato Don Bosco e di constatare praticamente i buoni effetti dell'educazione salesiana che essi ricevevano, rimise alla guida del pellegrinaggio le medaglie commemorative del suo giubileo per quei cari pellegrini, disse, medaglie particolarmente adatte per essi, soggiunse, perchè recanti l'effigie del Beato Don Bosco.

                Fino allora egli aveva distribuito ai pellegrini medaglie [204] che avevano da un lato l'immagine del Papa e dall'altro quella di S. Teresa del Bambino Gesù; ma in seguito prese pure a distribuire con frequenza la nuova del nostro Beato. La cosa aveva avuto origine a questo modo. Poche settimane dopo la beatificazione, il Papa, durante un'udienza generale di pellegrini, nella quale aveva fatto distribuire medaglie di S. Teresina, disse ad alcune Figlie di Maria Ausiliatrice là presenti: - Se ne avessi, vi darei volentieri una medaglia del Beato Don Bosco. - Il Rettor Maggiore Don Rinaldi, saputo ciò, diede tosto all'Economo l'incarico di far coniare centomila medaglie con l'effigie del Beato e del Pontefice per offrirle al Santo Padre, che d'allora in poi prese a distribuirne secondo le occasioni.

                Un singolare gruppo di pellegrini fu ricevuto il 2 novembre. Erano 200 bancari del dopolavoro della Banca Nazionale di Credito. Il Papa dopo un suo discorso fece distribuire anche a loro la detta medaglia, rilevando l'opportunità della cosa; poichè Don Bosco era stato “un grande lavoratore di un lavoro immensamente benefico e ben concepito, sorgente per lui di premio e di grandi meriti non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi agli uomini”.

Ancor più singolare fu l'udienza del 6 novembre a 350 Guide Alpine, che tenevano a Roma l'adunata nazionale. Al termine di un affettuoso discorso loro indirizzato il Papa alpinista si disse lieto di aggiungere alla benedizione apostolica un piccolo ricordo: una memoria che recava da una parte l'immagine paterna, che avrebbe ricordato ai cari figli la visita, e dall'altro la figura di Don Bosco. “Non a caso, proseguì, vogliamo che voi conserviate questo tenue ricordo. Don Bosco fu infatti una guida di montagne spirituali, che ha condotto a grandi altezze della vita cristiana, della santificazione del lavoro e della santità della vita milioni dì giovani. Vegli esso su di voi e vi protegga nelle ore della più dura prova; vi faccia salire le più alte vette spirituali con lo stesso successo con cui salite quelle delle montagne”. [205]

                Una menzione rivestì il carattere di maggiore solennità, perchè fatta in un'allocuzione concistoriale. Nel Concistoro segreto del A dicembre per la nomina di sei nuovi Cardinali, il Papa, accennando ai motivi che insieme con l'anno giubilare chiamavano a Roma tanti fedeli, pronunciò queste parole, che diamo qui tradotte dal latino: “Nè vogliamo tralasciare di ricordare che non pochi di costoro hanno preso l'occasione di venire a Roma, quando noi abbiamo decretato gli onori dei Beati a persone cospicue per la santità della loro vita, fra cui ci piace rammentare in modo speciale il Beato Giovanni Bosco, il quale e per se stesso e per mezzo della numerosissima famiglia di discepoli, posta al servizio della Chiesa, ha provveduto, quanto altri mai, alla cristiana educazione della gioventù”.

                Fra i più solenni documenti pontifici sono da annoverarsi le Encicliche. Orbene con la data del 20 dicembre 1929 Uscì l'Enciclica Mens Nostra su gli esercizi spirituali, nella quale Pio XI, esortando i sacerdoti dei clero secolare a frequentarli, si appellò all'esempio di Don Cafasso e da questo accenno sì lasciò portare a un elogio breve, ma eloquente di Don Bosco. “Così hanno sempre sentito, disse, i sacerdoti più zelanti, così hanno praticato ed insegnato tutti quelli che si distinsero nella direzione delle anime e nella formazione del clero, come, per citare un esempio moderno, il Beato Giuseppe Cafasso, da noi recentemente elevato agli onori degli altari, il quale appunto degli esercizi spirituali si valeva per santificare se stesso e i suoi confratelli di sacerdozio, e fu al termine di uno di tali ritiri che con sicuro intuito soprannaturale potè indicare ad un giovane sacerdote suo penitente quella via che la Provvidenza gli assegnava e che lo condusse poi a diventare il Beato Giovanni Bosco: al qual nome nessun elogio è pari”.

                Tre giorni dopo era la volta di un'altra Enciclica, della Quinquagesimo ante, con cui Pio XI chiudeva l'anno giubilare del suo sacerdozio. Passando ivi in rassegna le consolazioni [206] procurategli da quella celebrazione cinquantenaria, si compiaceva di ricordare con calorose espressioni la beatificazione di Don Bosco. Ecco il passo a cui alludiamo: “In qual modo potremmo poi descrivere la consolazione di cui fummo inondati, quando, dopo aver ascritto Giovanni Bosco tra i Beati, lo venerammo pubblicamente nella medesima Basilica vaticana? Giacchè, richiamando la cara memoria di quegli anni, nei quali all'alba del sacerdozio godemmo della sapiente conversazione di tanto uomo, ammiravamo la misericordia di Dio veramente mirabile nei Santi suoi per aver opposto il Beato così a lungo e così provvidenzialmente ad uomini settari e nefasti, tutti intesi a scalzare la religione cristiana e a deprimere con accuse e contumelie la suprema autorità del Romano Pontefice. Egli infatti, che da giovinetto era solito convocare altri della sua età per pregare insieme e per ammaestrarli negli elementi della dottrina cristiana, dopo che divenne sacerdote prese a rivolgere tutti i suoi pensieri e sollecitudini alla salvezza della gioventù che più era esposta agli inganni dei malvagi; ad attrarre a sè i giovani, tenendoli lontani dai pericoli, istruendoli nei precetti della legge evangelica e formandoli alla integrità dei costumi; ad associarsi compagni per ampliare tanta opera, e ciò con sì lieto successo, da procacciare alla Chiesa una nuova e foltissima schiera di militi di Cristo, a fondare collegi ed officine per istruire i giovani negli studi e nelle arti fra noi e all'estero; e finalmente a mandare gran numero di missionari a propagare tra gl'infedeli il regno di Cristo. Ripensando noi a queste cose durante quella visita alla Basilica di S. Pietro, non solo riflettevamo con quali opportuni aiuti il Signore, specialmente nelle avversità, sia solito di soccorrere e corroborare la Chiesa sua, ma anche ci veniva in mente come per una speciale provvidenza dell'Autore di tutti i beni fosse avvenuto che il primo a cui decretammo gli onori celesti dopo che avevamo concluso il patto della desideratissima pace con il regno d'Italia, fosse Giovanni Bosco, il quale, deplorando fortemente i violati [207] diritti della Sede Apostolica, più volte si era adoperato, perchè, reintegrati tali diritti, si componesse amichevolmente il dolorosissimo dissidio, pel quale l'Italia era stata strappata al paterno amplesso”.

                Prima che spirasse il 1929, proprio nell'ultimo giorno dell'anno, Pio XI emanò ancora una terza Enciclica, che è da porsi fra le più magistrali del suo Pontificato; vogliamo dire la Divini illius sulla cristiana educazione della gioventù. Ora, il dì innanzi a quella data, parlando a un centinaio di alunni ed ex - alunni dei Fratelli delle Scuole Cristiane, venuti da Torino, parve riferirsi all'argomento dell'imminente pubblicazione, poiché nel consegnare ad essi la solita medaglia disse che molto a loro si addiceva una tale medaglia, perché mostrava quello che sa fare una educazione profondamente cristiana, i cui benefici si riassumevano in due parole, che loro vivamente il Papa raccomandava: l'educazione cristiana. Un secondo riferimento della medesima natura ci sembra di ravvisare in un altro discorso del 16 febbraio 1930 agli alunni dell'Istituto Pontificio di S. Apollinare; infatti nel rimettere al Preside le stesse medaglie perché le consegnasse ai giovani, disse: “La medaglia dirà sempre il ricordo della bella udienza e farà rivolgere il pensiero a quel radioso apostolo della educazione cristiana della gioventù, che noi avemmo la doppia fortuna di conoscere personalmente, godendo della sua conversazione, e di elevare agli onori degli altari”.

                Una nuova occasione di esaltare Don Bosco porsero al Santo Padre il 12 marzo gli Amici dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Avendo Egli ragionato loro della carità materiale che dà ai poveri, e della carità spirituale che dispensa il vero, chiuse il suo discorso con queste parole: “Vogliamo infine rimettere a tutti i presenti (e le consegnamo al Presidente del Comitato d'onore) una medaglia commemorativa dell'udienza, recante con l'effigie patema anche quella del Beato Don Bosco, il quale è fulgido esempio della duplice carità: se infatti pensò tanto con le sue memorabili fondazioni [208] alla cura dei piccoli, dei fanciulli poveri ed abbandonati, non tralasciò di dedicarsi a tutta l'opera grandiosa di illuminazione delle menti e di diffusione della verità, curando lo sviluppo di tali opere sante. Da questo modello gli Amici dell'Università Cattolica possono moltissimo imparare e noi vivamente lo auspichiamo”.

                Una nota patriottica e sociale, sempre a proposito di Don Bosco, risonò sulle labbra del Papa il 13 aprile. Mons. Coppo, Vescovo salesiano e missionario, aveva accompagnato all'udienza 2oo pugliesi dimoranti negli Stati Uniti dell'America settentrionale e venuti in Italia per rivedere la madre patria. Disse il Papa: “Vi consegneremo in dono una medaglia che sarà insieme ricordo della vostra antica terra madre. Questa medaglia reca l'effigie di Don Bosco che è stato non solo un grande educatore cristiano, ma anche un glorioso figlio della patria sua e un vero amico dei lavoratori di tutto il mondo. Siamo dunque ben lieti, mentre benediciamo alle vostre fatiche e ai vostri lavori, di darvi un tale ricordo nella ferma speranza che la figura di Don Bosco ricorderà a voi sempre il dovere di santificare il lavoro e tutta la vita”.

                Ricorreva nel 1930 il cinquantenario dell'Opera di Don Bosco a ]Roma. Infatti nel 1880 Leone XIII aveva affidato al Santo l'erezione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù. La ricorrenza fu degnamente commemorata con festeggiamenti che, iniziati la domenica II maggio, si chiusero il 18. L'11 maggio era la vigilia di Sant'Achille, onomastico del Santo Padre; perciò venne scelto quel giorno per rendere al Papa un solenne omaggio. Parteciparono all'udienza con gli alunni dei Salesiani e le alunne delle Figlie di Maria Ausiliatrice anche i Cooperatori romani. Erano in tutto non meno di 15.000 persone, che gremivano il cortile di S. Damaso. Dinanzi al Papa, Don Ricaldone, in rappresentanza di Don Rinaldi, trattenuto da motivi di salute a Torino, lesse il seguente indirizzo: [209]

 

                                Beatissimo Padre,

 

                Il nostro Beato Giovanni Bosco, quando cinquant'anni fa sì stabilì in Roma, vide il coronamento di un desiderio da lungo tempo vagheggiato, che la sua Opera avesse stanza vicino al Papa, sembrandogli che sotto lo sguardo del Vicario di Gesù Cristo sarebbe stata più benedetta e santificata. A questi suoi voti venne incontro la Santità di Leone XIII con l'affidargli l'erezione di un tempio nazionale al Sacro Cuore di Gesù; la qual cosa duplicò la gioia del Beato, poichè gli dava modo e di glorificare il Divin Cuore e di fare atto solenne d'obbedienza al Sommo Pontefice. Corse allora con la persona affranta l'Italia, la Francia e la Spagna, chiamando in aiuto i buoni per suscitare nel centro del Cattolicismo un grande focolare della divozione al Sacro Cuore.

                L'impresa fu compiuta appena in tempo, perchè egli, ormai cadente, avesse il conforto di assistere alla consacrazione del Santuario col duplice scopo, diceva, di porgere un tributo di riconoscenza all'angelico Pio IX, suo vero padre e sovrano benefattore, e di ricevere, prima di presentarsi al tribunale di, Dio, la benedizione del suo Vicario in terra.

                Oggi, Padre Santo, i Salesiani coi loro allievi, ex - allievi, cooperatori, cooperatrici sono ai piedi del vostro Trono per testimoniare quanto lo sguardo del Papa abbia attirato le benedizioni celesti sull'Opera del Beato Giovanni Bosco nella città eterna. Accanto alla chiesa del Sacro Cuore con tutte le sue attività parrocchiali è sorte l'Ospizio, che accoglie quattrocento giovani e un buon numero di chierici ivi radunati dalle varie nazioni per attendere nell'alma città agli studi ecclesiastici. Mercè la benedizione e l'aiuto del Santo Padre Pio X i figli del Beato Giovanni Bosco hanno potute edificare un'altra chiesa con scuole esterne ed oratorio festivo nel nuovo quartiere del Testaccio, nei cui pressi venne loro affidata anche la vetusta chiesa di S. Saba con cura d'anime ed oratorio festivo. Dono del medesimo Pio X è il bel S. Giovannino della Pigna, sede della Procura Generale. Più tardi si aperse la scuola agricola del Mandrione ai margini della città con un centinaio di alunni.

                Anche l'altra famiglia del Beato Giovanni Bosco sperimentò gli effetti della vicinanza della Cattedra di S. Pietro; le Figlie di Maria Ausiliatrice da ben nove residenze dispiegano un'azione multiforme a pro di centinaia, anzi di migliaia di fanciulle.

                Ed ecco ormai condotte a buon punto le grandi scuole professionali che la Congregazione Salesiana, consacrandovi l'eredità paterna di un confratello, ha voluto costruire, perchè fossero dedicate al nome della Santità Vostra, con il convincimento che questa vicinanza al Papa non solo continui a moltiplicare le divine benedizioni sulle opere nostre in Roma, ma ne estenda il beneficio anche a tutte le altre [210] opere del Beato Giovanni Bosco nel mondo. Contemporaneamente e accanto all'Istituto Professionale sta sorgendo il grandioso tempio dedicato alla celeste Ausiliatrice.

                Era ben giusto che un monumento imperituro s'inalzasse alla memoria del Pontefice, che, proclamando Beato il nostro fondatore e predicandone ripetute volte coll'augusta sua voce le virtù, ha dato all'Opera di lui la massima benedizione ed ha comunicato in pari tempo a tutti noi la sicurezza che sulle orme del Beato Giovanni Bosco si cammina bene per le vie dell'apostolato.

                Nel fare umile omaggio alla Santità Vostra delle anzidette scuole professionali, dopo due anni d'intenso lavoro, in gran parte compiute, noi rinnoviamo nel nome del Beato Giovanni Bosco la protesta del nostro attaccamento fedele e filiale al Papa e in modo particolare all'augusta persona di Vostra Santità.

                Benedite, Santissimo Padre, le nostre buone intenzioni; accettate i voti più ardenti che noi formuliamo per il vostro onomastico. Domani in tutte le case nostre di Roma e del mondo s'inalzeranno fervide preghiere, perchè Iddio conservi, prosperi e consoli Vostra Santità a bene della Chiesa e a gloria del Pontificato Romano.

 

                Terminata la lettura, il Papa pronunciò un affettuosissimo discorso. Dopo aver detto che come gradito giungeva al cuore del Padre l'omaggio dei figli, così egualmente caro e sollecito doveva giungere ai figli il plauso del Padre per le accoglienze affettuose tributategli con i loro bravi concerti, con i canti e i cori magnifici, continuò:

 

                Basta aver udito, come Noi abbiamo fatto, il sobrio, positivo, storico racconto del vostro, anzi del Nostro caro Don Ricaldone, relativo ai cinquat'anni delle opere salesiane in Roma, per comprendere come tutti i Figli di Don Bosco, Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, allevi ed ex - allievi, cooperatori, cooperatrici abbiano ragione di celebrare questo giubileo delle Opere del caro Don Bosco, con le più legittime e consolanti soddisfazioni del cuore, con nel cuore quel fremito di “non mentita gioia”, come voi, cari figli, avete, a giusto titolo, cantato.

                A ragione abbiamo definito l'indirizzo testè letto dal caro Don Ricaldone “sobrio, positivo, storico racconto” perchè in quella schietta enunciazione di opere e di attività, non v'è nulla, neppur un cenno, del lavoro, della fatica aspra, del sacrificio, delle immolazioni che quelle opere e quelle attività avevano dovuto costare ed erano certamente costate.

                Abbiamo inoltre ragioni particolari e care di partecipare a questo santo fremito di cuori a cui la celebrazione cinquantenaria dell'Opera [211] Salesiana in Roma dà luogo; e tali ragioni ce le offrono i ricordi carissimi del passato.

                Eravamo infatti nel primo anno del nostro sacerdozio, quando l'Opera Salesiana di Roma, iniziata con la costruzione del magnifico Santuario del Sacro Cuore, sorgeva dalle fondamenta.

                Ed eravamo ancora nei primi anni del nostro sacerdozio quando la bontà della Divina Provvidenza Ci faceva incontrare personalmente con il Beato Don Bosco, e passare con lui alcuni giorni di gioia e di consolazione, che solo può valutare chi ebbe quella divina ventura.

                Il Beato Don Bosco era allora al tramonto della sua ciclopica vita, e già pregustava la gioia che la vita celeste di eterno premio gli avrebbe riservato.

                Un'altra ragione infine Ci fa partecipare in modo tutto particolare alla gioia comune. Dopo cinquant'anni di vita attiva, che la vostra presenza, dilettissimi figli, particolarmente ricorda, quella stessa divina ineffabile bontà che tutto ha così sapientemente condotto, Ci ha concesso di proclamare e decretare al Beato Don Bosco gli onori degli altari.

                Ed ora, dal posto ove la Divina Provvidenza ci ha collocato, non possiamo non volgere l'occhio a tutta quella messe di bene che, a cominciare da Roma, si estende per tutto il mondo cattolico.

                Non possiamo non pensare alle migliaia di Figli e di Figlie di Don Bosco, sparsi fra tutti i popoli nella prosecuzione di un'opera di vita cristiana, così feracemente e felicemente operosa.

                E quando pensiamo alle centinaia di migliaia di giovani anime che sono venute e che vengono in tutto il mondo ai Salesiani; quando immaginiamo tutta questa innumerevole gioventù di ogni classe sociale, ma specie operaia a cui Don Bosco continua ad insegnare, con il suo esempio, con la sua fede e con l'apostolica carità dei suoi Figli i sentieri della vita, la nobiltà del lavoro e le ricompense materiali e morali che da esso debbono attendersi e di cui la vita ha tanto bisogno; quando, in una visione sterminata di persone ed immensa di bene, pensiamo tutto ciò, Noi non possiamo fare a meno, nel nome dei nostri gloriosi Predecessori, e nel nome stesso di quel Dio che si è degnato di chiamarci a Suo Vicario, di ringraziare Don Bosco ed i suoi Figli per tutto il bene che ovunque hanno fatto e fanno.

                Sorride al nostro cuore e splende nel nostro animo il pensiero di un avvenire anche più grande di bene, che non può mancare ad un passato così splendido e ad un presente così pieno di certezza.

                Vi ringraziamo pertanto, dilettissimi figli, di avere voluto associare il nome del venerato Don Bosco al nostro povero nome; di avere altresì unito quello che voi, cari figli, potete considerare il vostro giubileo con il giubileo del Papa, prendendo così viva parte ai nostri eventi personali ed associandovi al nostro onomastico. [212]

                Vi siamo poi particolarmente grati perchè avete voluto unire il nome del Papa al nuovo Istituto Professionale che, con accanto il tempio di Maria Ausiliatrice, vuole costituire un centro di multiforme attività, feconda di bene.

                Tale Istituto Noi lo vogliamo porre tra le più belle opere delle quali alla Provvidenza è piaciuto seminare, in questo anno, il nostro Giubileo; e perciò preghiamo Iddio di tutto cuore, perchè voglia con dismisura benedirla, la nuova opera, e benedire tutto il complesso meraviglioso delle opere salesiane: opere di glorificazione divina e di salvazione umana.

                Di fronte ad opere così belle e così grandi Noi amiamo ripetere una frase che molti hanno da Noi udito: “Sempre più e sempre meglio”.

                Ma parlando ai Figli ed alle Figlie di Don Bosco, preferiamo rivolgere un'altra parola raccolta dal labbro stesso del Beato Fondatore. Quando, infatti, in quel nostro primo anno di sacerdozio, Ci congratulavamo con Dori Bosco per la bella opera iniziata, per le scuole ed i laboratori così bene attrezzati, mediante, tutti i ritrovati più completi e moderni della meccanica, il caro Beato, con quella sorridente bonomia e con quell'arguzia che tutti notavano sempre in lui, Ci aveva risposto: - Ah! in queste cose Don Bosco vuole essere sempre all'avanguardia del progresso!

                I Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice devono essere e ambire di essere sempre all'avanguardia del progresso. Con tale sicura e consolante previsione impartiamo la benedizione che voi, cari figli, siete venuti a chiedere al Padre nella sua casa, che è altresì la vostra casa. Benedizione che vogliamo estesa a tutti i presenti ed a quelli che voi così bene rappresentate. Quanti saranno essi? Nel mondo universo sono certo un'immensa folla, una moltitudine innumerevole, come le arene del mare. E come le sterminate arene del mare era grande il cuore del Beato Don Bosco.

                Con tale mondiale visione di opere, di cose, di apostolato, di lavoro, e soprattutto di persone - tra le quali mettiamo al posto d'onore quelle che combattono alle trincee della fede, cioè i Missionari e le Missionarie - ci apprestiamo adunque a dare la Benedizione Apostolica, auspicando dal Signore i più larghi favori del Beato Don Bosco e la più valida intercessione.

 

                La frase di Don Bosco che egli voleva essere sempre all'avanguardia del progresso, il Papa la fece sua il 19 novembre 1930, nell'occasione di benedire e inaugurare una nuova Centrale Telefonica entro la Città del Vaticano. L'impianto gli era stato offerto in dono dalla Telephone and Telegraph Corporation di New Vork. Ringraziando gli oblatori e riferendosi [213] al loro nobile intento di volere che il dono fosse degno della Sede del Vicario di Gesù Cristo, disse che tale intenzione aggiungeva qualche cosa a tutto il mirabile complesso dell'opera compiuta, alla eleganza, alla utilità e alla perfezione di un così principesco regalo. Poi continuò: “Tale dono corrisponde interamente al nostro pensiero, che è il pensiero di un Grande, del Beato Don Bosco, il quale si gloriava, parlando un giorno con Colui che doveva poi essere il Successore di S. Pietro, di essere sempre all'avanguardia del progresso. Ciò corrisponde parimenti ai meriti dei Beato: ed è la stessa frase ed è il medesimo intento che noi siamo soliti di dire e di volere raggiungere sempre con grande semplicità e con forti propositi in quanto riguarda la nostra piccola, ma pur tanto grande Città”.

                Che Don Bosco sia stato nella Chiesa un grande coltivatore di vocazioni sacerdotali, è cosa notissima; bisogna però tenere presente che egli offerse pure in se stesso un modello di preparazione, di vita e di attività sacerdotale. É quello che Pio XI mise in rilievo il 17 giugno 1932, ricevendo i chierici dei Pontifici Seminari Romani Maggiore e Minore. Prima di benedirli disse di avere per quell'ora così consolante trovato un lieto ricordo. Erano piccole medaglie che egli consegnava al Cardinale Vicario, perchè le distribuisse in nome del Vicario di Gesù Cristo. Quelle medaglie con l'effigie del Papa, che sarebbe stata per ciascuno, come per il Poeta, la dolce immagine Paterna, recavano la dolce immagine di Don Bosco nell'atto di coltivare, com'egli sapeva fare, le prime giovinezze e di condurle a Dio. Quindi continuava:

 

                E la vosta giovinezza che cammina a Dio per via così alta, con aspirazioni così sublimi, trova nel Beato Don Bosco - grande coltivatore di vocazioni sacerdotali sì da poter dire, che la di lui opera in questa direzione ancora oggi, anzi oggi più che mai, si sente - il vostro modello di preparazione sacerdotale prima, e poi di vita e di attività sacerdotale. Noi abbiamo potuto vedere molto da vicino il Beato, edificarci proprio in presenza dell'una e dell'altra preparazione e vedere tutto quello che non tutti ebbero il piacere di vedere anche [214] tra i suoi figli. Giacchè la sua preparazione di santità, la preparazione di virtù, la preparazione di pietà, da tutti era vista perchè era tutta la vita di Don Bosco: la sua vita di tutti i momenti era un'immolazione continua di carità, un continuo raccoglimento di preghiera: è questa l'impressione che si aveva più viva della sua conversazione: un uomo che era attento a tutto quello che accadeva dinanzi a lui. C'era gente che veniva da tutte le parti, dall'Europa, dalla Cina, dall'Africa, dall'India, chi con una cosa, chi con un'altra: ed Egli in piedi, su due piedi, come se fosse cosa di un momento, sentiva tutto, afferrava tutto, rispondeva a tutto e sempre in un alto raccoglimento. Si sarebbe detto che non attendeva a niente di quello che si diceva intorno a lui: si sarebbe detto che il suo pensiero era altrove ed era veramente così; era altrove: era con Dio con spirito di unione; ma poi eccolo a rispondere a tutti: e aveva la parola esatta per tutto e per se stesso così proprio da meravigliare: prima infatti sorprendeva e poi dopo meravigliava. Questa la vita di santità e di raccoglimento, di assiduità alla preghiera che il Beato menava nelle ore notturne e fra tutte le occupazioni continue e implacabili delle ore diurne. Ma sfuggì a molti quella che fu la preparazione della sua intelligenza, la preparazione della scienza, la preparazione dello studio e sono moltissimi quelli che non hanno l'idea di quello che Don Bosco diede e consacrò allo studio. Aveva studiato moltissimo, continuò per molto tempo a studiare vastissimamente e un giorno ci disse ciò che non aveva confidato a nessuno, ma che, incontrandosi con un uomo di libri e di biblioteca, gli pareva di dover dire: aveva un vasto piano di studi, un vasto piano anche di opere di storiografia ecclesiastica. - Ma poi, aggiungeva, ho visto che il Signore mi chiamava per altra via: mi mancava forse l'attrezzamento di spirito, di intelligenza, di memoria. E così pensò di darsi alla vita della carità, al lavoro della carità applicandosi a prodigare tutti i tesori e tutti gli studi, che era venuto raccogliendo. Ma ciò spiega come egli abbia potuto scrivere tante cose utilissime specialmente per la gioventù, non cose di una speciale levatura scientifica, ma adatte a tutti perchè meglio potessero giungere allo scopo che quel grande Apostolo si prefiggeva.

 

                Una straordinaria glorificazione di Don Bosco apparve quella fatta dal Papa il 9 luglio 1933, quando alla sua presenza fu letto il decreto sull'eroicità delle virtù di Domenico Savio.

                Non è possibile isolare qui le parti del discorso che contengono lodi a Don Bosco; d'altro canto tutta l'esaltazione del discepolo ridonda talmente a onore del Maestro, che l'intera allocuzione può benissimo trovare luogo nel presente capo. E poichè la parola del Papa allude più volte direttamente [215] o indirettamente all'indirizzo letto prima dal Rettor Maggiore Don Ricaldone, gioverà riportare anche questo per intero.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                La Famiglia Salesiana, prostrata ai piedi della Santità Vostra, gode di poter porgere i più fervidi ringraziamenti a Dio e al suo Vicario per la grazia or ora concessa con la promulgazione del Decreto che riconosce avere il giovane Servo di Dio Domenico Savio - alunno del Beato Don Bosco nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino praticato le virtù in grado eroico.

                Quando si pensa alla perfezione raggiunta in tanto giovane età da Domenico Savio alla Scuola del nostro Beato Padre e Maestro c'è da sentirsi veramente consolati e confortati nella fatica quotidiana della modesta nostra opera educatrice, vedendo i preziosi effetti che nascono dal metodo educativo santamente iniziato dal Beato Don Bosco e lasciato in eredità ai suoi figli: effetti che risplendono di luce così vivida e piena nella persona di questo giovanetto, che di quel metodo è il frutto più esemplare e la sanzione più solenne.

                I mezzi da Lui usati per far convergere il lavoro pedagogico allo sviluppo della vita soprannaturale nel fanciullo e nell'adolescente, come deve fare ogni educatore cristiano e com'è sapientemente lumeggiato dalla Santità Vostra nell'Enciclica Divini illius, sono dunque atti non solo a produrre sicuramente frutti di ordinaria bontà, ma anche ad innalzare le anime giovanili a gradi eccelsi di santità cristiana. È vero che, in questo caso, concorsero sovranamente allo scopo i rari doni celesti largiti a Colui che era chiamato ad essere l'Apostolo della gioventù nel secolo XIX; ma non è men vero che egli segnò un cammino e che, rifacendo questo cammino con il suo spirito, si potranno pur sempre raggiungere le stesse mète.

                Ma ancora sotto un altro punto di vista noi riscontriamo nel Discepolo giovinetto i fulgidi tratti della fisonomia patema dei Maestro.

                La vita del Beato Don Bosco fu vita di unione con Dio, vita di zelo apostolico, vita di totale immolazione. Ora è per noi argomento di edificante commozione il rilevare nel piccolo Domenico un tanto abituale spirito di orazione, un adoprarsi così industrioso per ritrarre dal male o far avanzare nel bene i suoi coetanei, e non essi soltanto, una generosità tanto invitta nel soffrire disturbi e molestie e financo mali trattamenti, pur di promuovere la gloria di Dio, combattendo il peccato e allontanando lo scandalo! Il programma racchiuso nelle parole: Preghiera, Azione, Sacrificio, che la Santità Vostra non si stanca mai di ripetere a quanti del laicato consentono di mettere le loro forze al servizio della Gerarchia Ecclesiastica, come riassume a meraviglia il tenore di una vita sì breve e pur tanto feconda!

                Ci stimammo sempre fortunati di aver potuto, fin dalla prima [216] giovinezza, conoscere e apprezzare le virtù e gli esempi di Domenico Savio, anche dalla viva voce di chi gli era stato maestro nella scuola o compagno negli aiuti della sua permanenza nell'Oratorio: tutti concordemente lo proclamarono modello d'ogni più eletta virtù; ma oggi il nostro gaudio è pieno nel vedere la nostra ammirazione consacrata dall'augusta parola della Santità Vostra.

                Permettete, o Beatissimo Padre, che, in una circostanza per noi tanto solenne e cara, mentre a nome di tutti i Salesiani io ho l'onore di umiliare ai piedi della Sanità Vostra i più devoti ringraziamenti per il segnalato beneficio, chieggia di poter formulare la promessa che noi ci terremo ognor più stretti a questo glorioso modello di fedeltà nel seguire le norme del nostro Beato Fondatore, con la confortante certezza che, calcando le orme di lui, noi procederemo sicuramente nelle direzioni tracciate dalla mano del Vicario di Gesù Cristo.

                Con questi sentimenti io mi prostro a implorare su tutti i Salesiani, sui loro alunni, cooperatori, ex - allievi e sulla Famiglia delle Figlie di Maria Ausiliatrice l'Apostolica Benedizione.

 

                Il Papa che aveva seguito con visibile attenzione la lettura, raccoltesi un istante in se stesso, pronunciò questo discorso.

 

                Torna, dilettissimi figli, torna in mezzo a noi e proprio in questo luogo, la grande figura dei Beato Don Bosco, quasi accompagnando e presentando, in persona e di sua mano, il suo piccolo, anzi grande alunno, il Venerabile Domenico Savio. E Ci pare rivederlo, il grande Servo di Dio, proprio come lo abbiamo veduto, - grande favore, questo, che mettiamo fra tutti quelli di cui la divina Bontà Ci ha elargito - proprio come lo abbiamo veduto, in mezzo ai suoi alunni ed ai suoi cooperatori ancora.

                Ed è veramente mirabile nei disegni di Dio, nei disegni, nelle preparazioni della Divina Provvidenza; è veramente mirabile questo ritorno del Beato Don Bosco, con questo frutto, tra i primi, fra i più belli, tra i primi il più bello, si può dire, il più squisito dell'opera sua educativa, dell'opera sua apostolica, poichè tutta la sua vita, tutta l'opera sua fu sempre un apostolato. Egli infatti, di spirito dell'apostolato tutta quanta pervase la sua esistenza, già permeata dello spirito che si esprimeva concisamente e completamente in quelle sue parole, in quella che  fu la vera sua parola d'ordine, ereditata poi così fedelmente dai suoi figli: da mihi animas, cetera tolle.

                Provvidenziale veramente questo ritorno: quando si pensi alle condizioni nelle quali si trova oggi, si può dire in tutto il mondo, la gioventù; quando si pensi a tutti i pericoli ed a tutte le male arti che insidiano la sua purezza; quando si pensi a questo turbinio di vita esteriore, a questa eccessiva cura - e lo dicono anche quelli [217] che sono unicamente condotti da considerazioni di umana pedagogia a questo culto del corpo, delle forze fisiche e materiali, del materiale sviluppo, della materiale, fisica educazione, come dicono, in questa così diffusa e, si può dire, proprio educazione alla violenza, a nessun rispetto di nessuno e di niente. Quando si pensi dunque a queste condizioni fatte alla gioventù odierna, a questi pericoli che  ad ogni piè sospinto le si parano davanti; quando si pensi a questo sciagurato apostolato (se è lecito applicare tale parola) apostolato del male, tanto attivamente, e con così terribile e malefica industria condotto per mezzo della stampa, della facile stampa appropriata ad ogni condizione, ad ogni gradazione di età; a questo sfoggio continuo, generale, quasi inevitabile, per quelli che ci vivono in mezzo, a questo sfoggio di cose non solo inedificanti, ma veramente provocanti al male, allorchè si abusa anche delle più belle, delle più geniali trovate della scienza, che dovrebbero servire unicamente all'apostolato del bene, alla diffusione della verità, della bontà; quando si pensi a tutte queste cose ed al grado che hanno raggiunto proprio ai giorni nostri, allora veramente c'è da ringraziare Iddio, da ringraziare la Divina Provvidenza che suscita e mette in atto, in piena luce, questa figura così edificante del buono e santo giovanetto. C'è proprio da essere, in modo speciale, profondamente grati al Signore per questa santità di vita, per questa perfezione di vita cristiana in un giovanetto che non ha nessuno di quei grandi aiuti che tanto si confanno al compimento delle grandi cose: povero, umile figlio di modesta gente e di modestissima famiglia, non ricca che di aspirazioni cristiane, di vita cristiana, vissuta, sebbene nelle più modeste condizioni, nell'esercizio ordinario, nel compimento degli ordinari doveri di una vita comune; un giovanetto che non passa i suoi anni rinchiuso, come appunto il decreto accennava, in un orto particolarmente custodito; ma, prima in mezzo al mondo, e poi là dove la Provvidenza lo aveva collocato, e quindi in mezzo ad una gioventù che la grande anima del Beato Don Bosco, adunava e formava, e veniva formando, riformando, santificando, ma dove era tanta miscela di buoni e non sempre buoni esempi, di buoni e non sempre buoni elementi. Era, infatti, il segreto del grande Don Bosco, di mettere, talvolta, la mano proprio su elementi non buoni, con meraviglia di coloro che non avevano la sua fiducia in Dio e nella bontà fondamentale della creatura di Dio; era il segreto suo di mettere, allargare, allungare la sua mano ovunque, per trarre anche dal male il bene, proprio come fa la mano di Dio.

                Ma, per tornare subito al nuovo Venerabile ecco la prima felice constatazione. Alla scuola del Beato Don Bosco, crebbe, al suo esempio soprattutto, in rapida ma breve corsa, questa vita di adolescente che, a 15 anni, doveva chiudersi; questa vita, come fu detto con piena verità, del piccolo, anzi del grande gigante dello spirito: a 15 anni! A quindici anni una vera e propria perfezione di vita cristiana, e con [218] quelle caratteristiche che bisognavano a noi, ai nostri giorni, per poterle presentare alla gioventù dei nostri giorni, perchè è una vita cristiana, una perfezione di vita cristiana sostanzialmente fatta, si può ben dire, per ridurla alle sue linee caratteristiche, di purezza, di pietà, di apostolato; di spirito e di opera di apostolato.

                Una purezza veramente liliale, angelica, ispirata alla Santissima Vergine, Madre ispiratrice di ogni purezza; e circondata delle cure le più sollecite: dapprima le cure materne e paterne, poi le cure del grande Servo di Dio e dei suoi cooperatori; ma dal giovinetto custodita, sempre custodita, quasi si direbbe, con un vero istinto, con una vera continua aspirazione di purità, un bisogno nobilissimo; onde tutto quello che sembrava anche da lontano poter offendere questo candore, svegliava tutte le energie di quella piccola, anzi grande anima, alle più sollecite attenzioni, alla più fedele custodia. La purezza!; questa prima disposizione, premessa a tutti gli altri doni di Dio, dono delle più alte vocazioni; la purezza, questo amore di Maria, questo amore del Divino suo Figlio, del Divino Redentore; questo profumo al quale il Cuore di Dio si apre come a cosa graditissima; la purezza: quanto bisogno di elevare uno stendardo di questo splendore, di questo candore in mezzo alla gioventù di oggi!

                Ma si direbbe proprio che il piccolo, grande Servo di Dio dicesse a se stesso quelle parole che la Divina Sapienza mette in bocca appunto allo spirito che va in cerca della purezza: Quando ho veduto e considerato, Dio mio, che senza l'aiuto Vostro io non potrei essere continente e puro, mi sono rivolto a Voi e da Voi ho domandato questo tesoro. Per questo la purezza del Venerabile Domenico Savio veniva sempre assistita da un grande spirito di pietà; in lui era proprio la pietà alla custodia della purezza; una pietà fatta di preghiera, di divozione alla Santa Vergine, di divozione al Santissimo Sacramento, di ispirazione la più alta, di ispirazione ai più elevati coefficienti della purezza stessa. A questa pietà poi, a questa preghiera dello spirito, un'altra preghiera andava sempre congiunta, quella che ben si può dire la preghiera dei corpo, la preghiera propria della carne, la preghiera del corpo, come fu ben definita, ravvivato dallo spirito, la pratica cioè della penitenza cristiana, che, quasi per istinto, sa e sente le possibili complicità del corpo e della materia, delle offese alla purezza, dei pericoli per la purezza; e corre al riparo, proprio come d'istinto: l'istinto dell'agnello che si difende dal lupo, dalla potenza nemica.

                Una vita perciò quella di Domenico Savio, tutta di preghiera e di penitenza, quella penitenza che se non assurge alle asprezze che la storia della santità conosce, è proprio però penitenza vera: anzi è quella di più utile istruzione a noi tutti e specialmente alla gioventù nostra, perchè è una penitenza a tutti possibile; essa infatti si riduce alla sua migliore sostanza, consiste in un esercizio continuo di vigi­lanza, di dominio, d'impero dello spirito sulla materia, di comando [219] della parte più nobile sulla parte meno nobile: nell'impero insomma dell'anima, di chi deve comandare, sopra la parte che deve obbedire a lei; uno spirito di penitenza preziosissimo che, da solo, allontana tanti pericoli, che, da solo, esercita nobilmente, fruttuosamente, le migliori energie dell'anima e dello spirito, che insegna al corpo, insegna alla parte meno nobile quello che anche essa deve fare e il contributo che deve offrire non a rendere più difficile la virtù, ma a renderne più agevole e meritorio l'esercizio e la pratica.

                E con tutto questo e come preparazione soprannaturalmente naturale, uno spirito d'apostolato che anima tutta la vita del felicissimo adolescente, tutta la vita di questo piccolo e grande cristiano. Appositamente abbiamo detto: una preparazione soprannaturalmente naturale, perchè, in fondo e in sostanza, è quella naturale tendenza del bene a diffondersi, a dilatarsi, a comunicare il più largamente possibile i propri benefici, specialmente là dove ne è più visibile il bisogno, la privazione, tendenza che grandemente si riscontra nel caro giovinetto.

                Piccolo, ma grande apostolo, in tutte le occasioni: attentissimo a coglierle, a crearle, facendosi apostolo in tutte le situazioni, dall'insegnamento formale del catechismo e delle pratiche cristiane fino alla partecipazione cordiale ai divertimenti della prima età, allo scopo di portare dappertutto la nota del bene, il richiamo al bene.

                Or ecco appunto la vera provvidenza per i nostri giorni. É quello che noi veniamo sempre proclamando e inculcando alla cara gioventù, che, con tanto nobile slancio, risponde, in tutti i Paesi del mondo - ed a noi piace di rilevarlo con vivissimo senso di gratitudine a Dio ed agli uomini - al nostro appello; questa cara gioventù che in tutte le parti del mondo risponde alla nostra chiamata, di schierarsi in favore, a servigio della Azione Cattolica, che non altro vuol essere, non altro deve essere che proprio la partecipazione del laicato all'apostolato gerarchico.

                E appunto per essere tale, per poter entrare in questa linea, essa deve essere innanzi tutto una formazione più profonda, consapevole, squisita, di vita cristiana, di coscienza cristiana, e soprattutto nella purezza della vita, nello spirito della pietà, nella partecipazione innanzi tutto a questa grande pietà della Chiesa, alla incessante sua preghiera ed unione con Dio. Siffatta corrispondenza è così vasta, e, nella sua abbondanza, così squisitamente preziosa, che veramente riempie il nostro cuore della più alta riconoscenza, e schiude anche l'animo nostro alle più belle speranze, che non sono unicamente nostre, della Chiesa, della Santa Religione, ma, per felice necessità, sono anche le speranze, le promesse sicure per la famiglia, per la società, per tutta quanta l'umanità.

                È vero; Noi li abbiamo sempre chiamati questi cari giovani, sotto la gloriosa bandiera della preghiera, dell'azione, del sacrificio, perchè [220] è con la preghiera e col sacrificio che si prepara l'azione, è con la preghiera ispirata alla pietà, con il sacrificio prima intimo, sacrificio personale, quel sacrificio che  prende le sue radici sempre nello spirito, nella penitenza, nella mortificazione cristiana: è così, è unicamente così che  ci si può preparare all'azione feconda dell'apostolato, una azione che non può compiersi con soli accorgimenti umani, per quanto altissimi, per quanto generosi, ma che ha bisogno essenziale dell'aiuto divino che  non si può ottenere altrimenti. Ma, appunto per ciò torna di nuovo, ben a proposito, la figura del grande Servo di Dio, del Beato Don Bosco, Maestro del piccolo Venerabile Domenico Savio; torna ancora quella grande figura come Noi stessi l'abbiamo veduta tanto da vicino e noti per fuggevole ora, e proprio così, come il sua piccolo discepolo ce l'ha ripresentata nella sua vita, nei caratteri più cospicui della sua breve esistenza: un ardore incessante, divorante di azione apostolica, di azione missionaria, veramente missionaria, anche fra le pareti di un'umile camera; missionaria tra le piccole folle di bambini, di ragazzini, di adolescenti che continuamente lo circondavano; spirito di ardore, di azione; e con questo ardore mio spirito mirabile, veramente, di raccoglimento, di tranquillità, di calma, che non era la sola calma del silenzio, ma quella che accompagnava sempre un vero spirito di unione con Dio, così da lasciare intravvedere una continua attenzione a qualche cosa che la sua anima vedeva, con la quale il suo cuore si intratteneva: la presenza di Dio, l'unione a Dio. Proprio così. E con tutto ciò uno spirito eroico di mortificazione e di vera e propria penitenza, per la quale, anche nei termini i più solenni, sarebbe bastata quella sua vita continuamente prodigata al bene altrui, sempre dimentica di ogni propria utilità, di ogni anche più scarso riposo; una vita di penitenza, non soltanto mortificata, ma di vera penitenza, a forza di essere apostolica.

                Queste cose noi abbiamo trovate un poco nelle rimembranze del nostro spirito, e, ben più ancora, nelle suggestioni carissime della breve, ma nobilissima vita del Venerabile Servo di Dio Domenico Savio. Queste cose, questi esempi, queste grandi linee rimangono sempre le linee sostanziali, essenziali, anche della vita tracciata a linee le più gigantesche dalla mano di Dio; e questi elementi, in fondo, cosa sono? Gli elementi della vita cristiana, della vita cristiana vissuta, non come che sia, come purtroppo tanti e tanti si riducono a fare, ma con generosa fedeltà ai principii, ma con delicata cura, e non con negligenza. Ora è proprio un'indegna cosa, servire negligentemente un Signore così buono, un Redentore così generoso; la vita cristiana, come Noi abbiamo avuto occasione di dire or non è molto in presenza di alcuni devoti pellegrinaggi, deve essere vissuta non con una corrispondenza frammentaria, discontinua ai precetti, agli insegnamenti, agli esempi del Divino Redentore, del Divino Maestro e dei Suoi migliori discepoli, come quello che oggi contempliamo ammirando, ma [221] con uno spirito di nobile precisione. Questa è vita cristiana, ed è già gran cosa poterla chiamare così perchè è inestimabile il tesoro che quel nome esprime; ma quanta vita cristiana vi è, oggi, con nessun senso di precisione, senza alcuna cura diligente, generosa, almeno un poco diligente, un poco generosa, corrispondente agli esempi, agli insegnamenti, ai desideri del nostro Divin Maestro!... Quanto bisogno invece di questi esempi proprio di precisione, di vite cristiane diligenti, generose come il Cuore di Dio, il Cuore del Redentore le vuole! É questo un pensiero tanto più opportuno nel provvidenziale e magnifico consolantissimo svolgersi, al quale assistiamo, di questo Anno Santo della Redenzione, perchè il beneficio che noi celebriamo e ricordiamo con gratitudine dobbiamo anche con ogni diligenza, dopo diciannove secoli del gran fatto della Redenzione nostra, far in noi fruttificare, in noi appunto alimentando la vera vita cristiana, poichè essa è proprio la vita totale venutaci dalla Redenzione divina; è il grande dono datoci dalle braccia del Figlio di Dio distese sulla Croce.

                Il mondo non la conosceva questa vita; conosceva la vita pagana, con tutti i suoi errori ed orrori; appena iniziata, la vita cristiana subito si svolse con una meravigliosa fioritura di celesti bellezze, di celesti preziosità; sin dai primi momenti, da quei fanciulli che il Divino Redentore carezzava e abbracciava Egli stesso, fino ai Tarcisi di tutti i tempi, sino a questo nuovo Venerabile Servo di Dio.

                Ecco il dono, il grande dono, il completo dono della Redenzione; essa è sempre la stessa cosa portata ai diversi gradi di perfezione ai quali la mano di Dio sa portarla; poichè è proprio la perfezione divina, per quanto irraggiungibile nella sua pienezza, quella che ci viene proposta; e tale perfezione è la vita cristiana, quella che ci si presenta nell'umile fedele, nella più modesta misura anche dell'ultimo fedele, fino alle più alte figure, alle più magnifiche, alle più gigantesche figure della agiografia, della santità di tutti i secoli; è la vita cristiana, grande, immensa ricchezza che noi portiamo dall'istante stesso del dono del santo Battesimo, poichè è in quell'ora benedetta che noi abbiamo cominciato a vivere questa vita, e quale preziosissimo tesoro noi la portiamo dentro dentro le anime nostre, nei nostri corpi. É dunque perciò, di continuo, immanente in ciascuno e proprio incessante il richiamo: approfittare di questo grande dono e non lasciarlo inerte, negletto, scoperto con le nostre imprecisioni; approfittare, invece, con precisione, di questo tesoro magnifico, di questo tesoro di cui abbiamo una misura adeguata proprio in quel Sangue che, quale prezzo, il Divino Redentore, ha pagato: il prezzo appunto del Sangue suo, della Sua Vita, della Sua Croce. Ora noi vogliamo innanzi tutto rallegrarci con la famiglia, anzi con le famiglie del Beato Don Bosco, qui così degnamente e largamente rappresentate, così largamente e meritoriamente rappresentate, si può ben dire, in tutte le parti del mondo - anche ieri leggevamo di alcuni tentativi, [222] di nuovi conati dell'apostolato salesiano in regioni ancora impervie e non mai penetrate[69] - con queste due famiglie, e con tutti quelli che ne vivono le opere e le aiutano, e con le preghiere e con i soccorsi ancora, noi vogliamo felicitarci.

 

                In due principali occasioni echeggiò ancora il ricordo della beatificazione di Don Bosco nella parola del Papa. La prima volta fu dinanzi a uno stuolo di 150 Cooperatori Salesiani dell'Olanda il 2 ottobre 1933. Diretti a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno Santo, indetto a commemorare il diciannovesimo centenario della Redenzione, essi avevano visitato Torino e la casetta nativa di Don Bosco. Il Papa, espressa la gioia procuratagli dalla visita di quei cari figli della piccola Olanda, piccola ma pure grande per il suo zelo dell'apostolato missionario e dell'azione cattolica, soggiungeva tosto amabilmente: “Ancora più gradita questa visita, poichè voi venite alla nostra presenza nel nome del Beato Don Bosco; nome noto e caro a tutti i cattolici quanto è diffusa la sua opera benefica, nome segnatamente caro al nostro cuore, perchè la Divina Provvidenza ha posto il grande educatore di anime fra quegli uomini che noi abbiamo potuto conoscere, ricevendone tratti di vera benevolenza; ed ancora perchè la Divina Provvidenza ci ha scelto per innalzarlo ai primi onori degli altari, mentre coll'aiuto di Dio speriamo di poter fare ancora di più”. Delineando poi rapidamente il programma del Cooperatore Salesiano “che vuol dire collaborare con Gesù Cristo nell'opera della Redenzione, opera di salvezza delle anime, proprio secondo il programma di Don Bosco, il quale aveva per motto Da mihi animas”, illustrava il senso di questo stesso dicendo: <<Le parole Da mihi animas, cetera tolle, con cui il Fondatore dei Salesiani designava il suo intento di portare le anime alla vita della grazia, sono le stesse parole con cui il Salvatore riassumeva l'intera sua opera di Redenzione, per cui le anime dovevano ottenere la vita con un'abbondanza sempre maggiore. Questa mirabile e fedele corrispondenza del programma di Don [223] Bosco a quello del Redentore, deve sollecitare tutti i figli a lavorare con zelo e con slancio tutto particolare per realizzare in se stessi e diffondere il grande programma, che è il fine principale di questo Anno Santo”.

                La seconda delle accennate occasioni si presentò al Santo Padre nell'udienza concessa agli alunni dell'Istituto Salesiano di Frascati, scesi nell'Urbe il 27 ottobre per l'acquisto del Giubileo. “Voi avete, disse loro il Papa, un titolo specialissimo, perchè venite a noi nel nome di Don Bosco che ci è tanto caro, anche prima che tutto il mondo lo chiamasse Beato, perchè ci richiama non solo il grande Servo di Dio, che noi abbiamo avuto la ventura, anzi la grazia d'innalzare ai primi onori degli altari, nel desiderio e nell'attesa di portarlo ad onori ancora più alti; ma dice un'antica conoscenza e quasi, stavamo per dire, una paterna amicizia, quando ai primi anni del nostro sacerdozio passammo qualche tempo con lui. É dirvi con quale compiacenza vi vediamo, vi salutiamo. Aggiungiamo un altro titolo, per il quale ci siete cari: voi venite a noi per il Giubileo straordinario che abbiamo proclamato al mondo intero nella memoria diciannove volte centenaria della compiuta opera della Redenzione nostra. Voi dovete poi fare una riflessione particolare per la condizione di allievi di Don Bosco. Infatti questo tesoro che ricevete ogni giorno, viene direttamente dalla Croce, ed è il tesoro dell'educazione cristiana. Perchè il frutto complessivo della Redenzione è la vita cristiana che il mondo aveva perduto e che è proprio invenzione di Gesù che la portò dal cielo e porse in suo nome. Voi dovete pensare che di questa vita godete tutta la ricchezza fino al lusso e che ogni particella di questa vita che ogni giorno ricevete, è una goccia del Sangue stesso di Nostro Signore”.

                In entrambe queste parlate è visibile la soddisfazione con cui il Santo Padre auspica prossima la canonizzazione di Don Bosco. La Provvidenza aveva riserbato al Pontefice glorificatore di Don Bosco anche questa nuova gioia, come ora ci faremo a narrare.

 

 

CAPO XI.

Riassunzione della Causa.

 

                I trionfi della beatificazione, i festeggiamenti mondiali che tosto li seguirono, gli straordinari frutti spirituali derivatine, il crescere della divozione verso il Beato e una vera fioritura di grazie prodigiose che si asserivano ottenute per sua intercessione erano tutte cose che incoraggiavano a chiedere la riassunzione della Causa. Si dice così nel linguaggio ufficiale la ripresa della Causa di un Beato con lo scopo di giungere alla canonizzazione e quindi all'universalità e perpetuità del culto.

                Canonizzazione è parola che viene da canone, termine greco che etimologicamente significa regola e che nella Chiesa fu usato in vari sensi, fra cui quelli di catalogo dei libri ispirati e dal secolo XII anche di catalogo dei Santi. Con l'atto della canonizzazione il Papa dichiara che un Beato regna nella gloria eterna e perciò comanda alla Chiesa universale di rendergli un culto di venerazione. Una tale sentenza forma oggetto dell’insegnamento infallibile del Romano Pontefice, poichè egli definisce e comanda come maestro della Chiesa universale in virtù del potere conferitogli da Gesù Cristo, del quale è Vicario. Si tratta insomma di una definizione ex cathedra.

                Il Postulatore Don Tomasetti, interpretando e secondando il desiderio del Rettor Maggiore e dei Superiori, non perdette [225] tempo. Infatti già sul principio del 1930 faceva istanza presso la Sacra Congregazione dei Riti, affinchè in una prossima adunanza ordinaria potesse venir presentata e discussa la proposta della riassunzione. Il suo desiderio fu esaudito ed ebbe pieno effetto, come risulta da una risposta formale del 10 febbraio.

                Occorreva frattanto ottenere con sollecitudine un certo numero di lettere postulatorie da parte di personalità altolocate, che avvalorassero la domanda da presentare al Santo Padre, affinchè egli firmasse il mandato della riassunzione. Se ne riunirono in brevissimo tempo più del bisogno; ma ne furono prescelte solamente dodici, giudicate di maggiore importanza, quelle cioè dei Cardinali Gasparri, Hlond, Schuster, Capotosti; dell'Arcivescovo salesiano Guerra; dei Vescovi Olivares ed Emanuel salesiani; del teologo Benna, Vicario Capitolare a Torino; del Rettor Maggiore Don Rinaldi e di Madre Vaschetti, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice; del Conte Rebaudengo che scriveva a nome di tutti i Cooperatori Salesiani, e dell'Avvocato Masera in rappresentanza della Federazione Internazionale degli ex - allievi di Don Bosco. Monsignor Della Cioppa e il Commendatore Melandri, il primo come avvocato e il secondo come procuratore della Causa, in un col Postulatore, umiliarono al Santo Padre, per il tramite della Congregazione dei Riti, la domanda corredata dei detti documenti.

                La Sacra Congregazione nell'ordinaria seduta del 17 giugno esaminò, se fosse il caso di proporre al Papa di sottoscrivere la commissione ossia il mandato che s'invocava. I Cardinali diedero voto affermativo, che il Santo Padre approvò; quindi con la data del giorno seguente fu emesso il relativo decreto, molto onorifico per la Società Salesiana. Rievocati in esso i particolari più salienti della  beatificazione e descritto il solenne ingresso del Papa nella Basilica di S. Pietro la sera del 2 giugno 1929 fra l'entusiasmo della folla cum florentissimis institutis amatissimi Patris legiferi Beati Joannis [226] Bosco, l'estensore del testo sotto l'impressione di quel ricordo esclamava: Mirabile spectaculum Ecclesiae militanti et triumphanti gratum et iucundum! Il decreto portava le firme del Cardinale Laurenti Prefetto e di Monsignor Carinci Segretario.

                La ripresa di una Causa importa la presentazione e l'esame di due miracoli. Nella Causa di Don Bosco la Postulazione presentò due casi di guarigione miracolosa, verificatisi a Rimini e a Innsbruck. Le Curie di entrambe queste diocesi, ricevute le lettere remissoriali, iniziarono, condussero a termine e spedirono a Roma i processi sui due miracoli nell'ottobre del 1931. Il Postulatore fece subito istanza al Cardinale Verde, Ponente o Relatore, perchè volesse invitare la Sacra Congregazione dei Riti a pronunciarsi sulla loro validità. Ultimato lo studio degli incartamenti e udita la relazione di detto Cardinale, l'eminente Consesso il 12 aprile 1932 diede voto affermativo, che il Santo Padre Pio XI approvò e confermò otto giorni dopo. Seguirono immediatamente le indagini e i pareri dei medici periti, chiamati dalla Sacra Congregazione a portare giudizio legale sui fatti. Alla sua volta Mons. Natucci, Promotore della Fede, ricavò dagli atti processuali e dalle relazioni mediche una doppia serie di osservazioni contro il carattere soprannaturale dei due casi. Vi rispose partitamente l'Avvocato della Causa. Quindi i sommari dei processi con i documenti prodotti, le relazioni dei periti, le obiezioni del Promotore della Fede e le confutazioni dell'Avvocato formarono la Positio, che, data alle stampe, fu distribuita ai Cardinali, agli Officiali e ai Consultori dei Riti nel luglio del 1932, in attesa delle tre Congregazioni, così come abbiamo visto essersi fatto per la Beatificazione.

                Qui, prima di procedere oltre, ci bisogna premettere una sommaria notizia sulla seconda guarigione. Rodolfo Hirch di Innsbruck, laureatosi in medicina e specializzatosi nella cura dei tubercolotici, contrasse per contagio il male. In un [227] primo tempo cure severe e prolungate lo guarirono. Ma, ripreso il suo lavoro, stette bene poco più di un anno, sino alla fine del 1928, quando il processo polmonare si riacutizzò. Il 13 maggio 1929 l'infermo si sentiva così stremato di forze, che fu costretto a entrare egli stesso in un sanatorio. I rimedi tentati, compreso il pneumotorace, fallirono completamente. La radioscopia rivelava una grossa caverna polmonare di natura tubercolare. Allora il chierico salesiano Giuseppe Divina, oggi sacerdote, propose alla suocera dell'infermo di fare una novena a Don Bosco. La cominciarono il 15 maggio per terminarla il 24, festa di Maria Ausiliatrice. Vi prendevano parte il malato, la sua famiglia, i parenti della moglie e i Salesiani del collegio di Treviglio. Negli ultimi giorni l'ammalato applicò sulla parte una reliquia di Don Bosco, consistente in una goccia di sangue su un batuffolo di ovatta. Poco dopo, l'esame radioscopico arrecò una forte sorpresa, che giunse al Colmo il 24; poichè in quel giorno il malato, nonostante la precedente degenza in letto, si alzò senza fatica e andò in automobile alla clinica medica. I radiologi non videro più la caverna; altri sintomi erano del tutto scomparsi. L'esame dell'espettorato, prima sempre positivo, apparve negativo e tale rimase in seguito. Rapidamente migliorarono le condizioni generali. I più insigni specialisti di Innsbruck e di Vienna, che conoscevano bene il suo stato, non si rendevano ragione del repentino cambiamento. Nell'ottobre del 1929 il dottor Hirch riprese le sue occupazioni, affrontando anche periodi d'intenso lavoro, senza disturbi. Tre anni dopo si potè affermare che la guarigione era non solo completa, ma definitiva.

                Orbene contro questo miracolo sollevò obiezioni uno dei periti chiamati a dare il giudizio legale. Nondimeno nella Congregazione antipreparatoria, tenuta dai Consultori sotto la presidenza del Cardinale Ponente, le obiezioni vennero confutate e il voto fu favorevole. Si credeva quindi che nessun ritardo dovesse frapporsi al normale proseguimento della [228] Causa, tanto più sapendosi che il professor Micheli di Torino, celebre specialista in materia, ricevuta comunicazione confidenziale delle difficoltà opposte, ne aveva mostrato l'inconsistenza, per non dire l'insipienza. Tuttavia in queste cose basta d'ordinario il menomo dubbio sulla realtà del miracolo, perchè non se ne parli più. Mosso da tale considerazione, il Papa, avuto a sè Don Tomasetti, consigliò di presentare un altro miracolo. Fu dunque presentato il caso di una guarigione avvenuta a Torino presso l'urna del Beato nel maggio del 1931. Siccome la miracolata apparteneva alla diocesi di Bergamo, toccò a quella Curia fare il processo, il che causò la perdita di circa nove mesi. Fu necessaria una nuova Congregazione antipreparatoria.

                Le tre Congregazioni antipreparatoria, preparatoria e generale si tengono sempre di martedì, non però ogni martedì. Essendo poi ordinariamente numerose le Cause in corso, la Segreteria dei Riti, d'accordo con le varie Postulazioni, pubblica sul principio dell'anno l'elenco cronologico delle Congregazioni che saranno tenute dall'autunno alle seguenti ferie estive. Perciò, se una Congregazione non sorte esito felice e la si deve ripetere, la Postulazione interessata perde il suo turno. In tal caso, se un'altra Postulazione non si trova pronta per la sua data, può la prima prenderne il posto. Questo appunto intervenne ad affrettare le Congregazioni per i miracoli di Don Bosco. Allestita dunque una seconda Positio, la seconda Antipreparatoria ebbe luogo il 9 maggio 1933. In essa, sciolte alcune nuove difficoltà sul precedente miracolo di Rimini, i consultori discussero il miracolo sostituito a quello di Innsbruck e diedero voto favorevole per entrambi. Poco più di due mesi dopo, cioè il 25 luglio, essendo già pronta la nova Positio, fu già possibile tenere nel Vaticano la Congregazione preparatoria con l'intervento dei Cardinali, degli Officiali e dei Consultori, che conclusero favorevolmente. Don Tomasetti fece preparare con la massima sollecitudine la novissima Positio [229] per l'ultima discussione; ma il Sottopromotore della Fede non potè concedere con eguale premura il Visto, perchè fosse stampata. Tuttavia, desiderando il Santo Padre che si rompessero gl'indugi, la Congregazione generale potè aver luogo alla sua presenza prima che finisse l'anno, il 14 novembre. La conclusione fu che Sua Santità, implorati da Dio nuovi lumi, ordinò di preparare il decreto di approvazione, fissando la domenica 19 per la proclamazione ufficiale.

                Le cerimonie di questo genere si svolgono di regola in tre momenti. Prima, dinanzi al Papa assiso in trono, il Segretario dei Riti fa la lettura del decreto; poi la personalità più qualificata dell'Ordine o Congregazione o Diocesi, a cui il Servo di Dio appartiene, legge un breve indirizzo al Papa; finalmente Sua Santità pronuncia un discorso.

                La lettura si fece quella mattina nella sala del Concistorio, gremita di pubblico. Intervennero naturalmente i Cardinali Laurenti, Prefetto dei Riti, e Verde, Ponente della Causa. Fra i Prelati italiani spiccavano l'americano Monsignor Castro, Arcivescovo di Costarica, e il francese Monsignor Lamy, Vescovo di Meaux. Sedeva in luogo distinto il Rettor Maggiore dei Salesiani Don Ricaldone con i membri del suo Capitolo e con il Postulatore e gli Avvocati della Causa. Mons. Carinci, invitato dal Prefetto delle cerimonie, si appressò al trono pontificio e, ottenutone il consenso dal Santo Padre, lesse il decreto, il quale esordisce dal Vangelo di quella domenica XXIV dopo la Pentecoste. Eccone la traduzione italiana.

 

                Il passo odierno del Vangelo ricorda e ci invita a meditare quelle parole con cui il Divin Fondatore della Chiesa Gesù Cristo preannunciava i futuri incrementi di questa: Il regno de' cieli è simile a un grano di senapa... che è la più piccola di tutte le semenze, ma cresciuta che sia... diventa un albero, tra i cui rami vengono a dimorare gli uccelli dell'aria (MATTH., XIII, 31 - 32). Questa nota di umiltà caratterizza sempre i principi di quelle opere che emanano da Dio, tanto più spiccata quanto più sono meravigliosi gli sviluppi che la Divina Provvidenza dispone. É questo un pensiero che ci viene spontaneo alla mente quante volte [230] prendiamo a considerare donde e in qual modo ebbe origine quella magnifica Opera di educazione che, fondata dal Beato Giovanni Bosco, ci riempie di meraviglia per la sua rapida diffusione e il suo fiorire e prosperare in ogni parte del mondo.

                Avresti veduto un umile sacerdote, ancor giovine d'età, dimesso nel vestire, dalla fisionomia aperta ed ilare, che dopo aver trattenuto in giuochi e divertimenti, in un prato quasi deserto alle porte di Torino, i figli del popolo abbandonati per le vie, li radunava in una specie di misero tugurio, e con parola dolce e suasiva dava loro lezioni di religione, e li attirava con mirabil arte alla pietà.

                In quella allora suburbana regione, detta Valdocco, scacciato per lo innanzi da altri luoghi, già perseguitato in vari modi, mentre Iddio lo aveva destinato a grandi cose, povero e disprezzato da tanti, egli si era rifugiato, con i suoi fanciulli, quasi pellegrino, privo di tetto.

                Ma gli ardeva in cuore la fiamma divina della carità e si accingeva a tradurre in atto l'opera immensa che, per ispirazione dello Spirito Santo, maturava nella mente. Quali benefici siano derivati poi dall'opera di lui, in qual misura siano cresciute le due famiglie religiose da lui fondate, sono cose a tutti note; ma a prova di quali e quanto grandi fatiche del grande apostolo, con quale forza d'animo, con quale invitta pazienza tra difficoltà d'ogni genere, la mente può appena concepire, la parola esprimere.

                Nato a Castelnuovo d'Asti il 16 agosto 1815, d'umile origine, morì a Torino il 31 gennaio 1888.

                Nel suo tempo così turbolento per l'agitarsi di tanti popoli, per il desiderio di novità ovunque diffuso, per tante persecuzioni mosse contro la Chiesa, il Beato Giovanni Bosco, tra gli altri uomini di santa vita suscitati allora da Dio, sorse veramente ut gigas ad currendam viam.

                Celebre per fama di santità, glorificato da Dio dopo morto con lo splendore dei miracoli, fu iscritto nei fasti dei Beati dalla Santità di Nostro Signore Pio XI il 2 giugno 1929. Riassunta l'anno seguente la Causa per la Canonizzazione, furono istruiti a Rimini e ad Innsbruck sopra due prodigiose guarigioni i Processi Apostolici, la cui validità fu riconosciuta con Decreto dalla Sacra Congregazione dei Riti del mese di aprile dello scorso anno. Di queste due guarigioni fu discusso nella Congregazione Antipreparatoria tenuta il 26 luglio 1932 alla presenza del Rev.mo Cardinal Verde, Ponente o Relatore della Causa. Ma essendo stato messo da parte il miracolo che si diceva avvenuto a Innsbruck, fu istituito a Bergamo sopra un'altra guarigione il Processo Apostolico, sulla cui validità fu deliberato col Decreto del I° febbraio del corrente anno, e sul cui merito fu discusso in una Congregazione Antipreparatoria alla presenza del medesimo Cardinal Ponente. Rimanendo qualche punto da chiarire nella prima guarigione, fu istituito a Rimini un processo suppletivo che fu aggiunto al primo. [231]

                La prima guarigione avvenne a Rimini. Anna Maccolini, a partire dal mese d'ottobre dell'anno 1930 soffrì di una bronco - polmonite influenzale che si protrasse fino al mese di febbraio dell'anno seguente. Circa la metà di dicembre del 1930, a questo male si aggiunse una flebite nella gamba e coscia sinistra che si estese a tutto l'arto al punto che questo appariva grosso il doppio del normale, ed ogni movimento era stato soppresso. Ora la flebite, se è grave nei giovani, lo è tanto più nei vecchi, per il pericolo della cancrena da arteriosclerosi. Per questa ragione i due medici curanti che si trovarono d'accordo nel formulare la diagnosi, tenuto conto dell'età dell'inferma, di 78 anni, e specialmente dell'affezione influenzale, emisero una prognosi quasi certamente infausta per la vita dell'inferma stessa. Tutti i maestri dell'arte medica poi insegnano essere impossibile la guarigione istantanea della flebite. Ora Anna, una delle ultime notti dello stesso anno, invocato con un triduo il Beato Giovanni Bosco, e applicata all'arto infermo una sua reliquia, istantaneamente e perfettamente guarì dalla flebite, e riacquistò la libertà di movimento e di flessione dell'arto non più dolente nè turgido. Che la guarigione sia perfetta, lo attestano, oltre i medici curanti, i periti fisici che esaminarono Anna dieci mesi dopo e di nuovo recentemente, sei mesi or sono. Tre periti scelti e delegati da questa Sacra Congregazione concordano ad unanimità coi medici curanti sia nella diagnosi e nella prognosi, sia nel riconoscere il miracolo.

                Nè di minore evidenza splende il secondo miracolo. Caterina Pilenga, nata Lanfranchi, era ammalata di diatesi artritica. L'artrite aveva attaccato specialmente i ginocchi e i piedi con lesioni organiche, e si presentava in una forma gravissima, se non per la vita della paziente, certo per quanto riguardava la funzione degli arti. Riuscite vane tutte le cure fatte sin dall'anno 1903, l'inferma si recò due volte a Lourdes; ma, non avendo ottenuto neppure la seconda volta, nel maggio del 1931, la guarigione dalla Beata Vergine, prima di partire da Lourdes rivolse alla Madre celeste questa preghiera: - Poichè qui a Lourdes non sono guarita, concedetemi almeno per la divozione che ho verso il Beato Giovanni Bosco, che egli possa ottenermi a Torino la guarigione. -  evidente così l'invocazione del Beato, come la fiducia in una generale mediazione della Beata Vergine. Di ritorno dalla Francia, nelle stesse gravi condizioni, il 6 maggio si ferma a Torino e si reca nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Scende dalla carrozza, aiutata dalla sorella e dal cocchiere, entra nel tempio, siede dinanzi all'urna che racchiude il corpo del Beato e prega. Poco dopo riesce a inginocchiarsi e rimane in questa posizione per circa venti minuti; si alza, va all'altare della Vergine, di nuovo s'inginocchia. Allora, come ritornata in sè, si riconosce guarita; senza l'aiuto di alcuno, tra lo stupore di quanti l'avevano vista incapace di camminare, si muove, cammina, sale e scende per le scale, sale in carrozza, senza [232] alcun impedimento. La guarigione è perseverante, come attestano tre periti fisici. Il miracolo è proclamato dai medici curanti, da tutti i testimoni, e dai periti scelti e incaricati d'ufficio da questa Sacra Congregazione.

                Di queste due guarigioni si discusse una seconda volta nella Congregazione Preparatoria tenuta alla presenza dei Rev.mi Cardinali il 25 dello scorso luglio, e da ultimo il 14 di questo mese nella Congregazione Generale tenuta alla presenza della Santità di Nostro Signore Pio XI; nella quale il Rev.mo Cardinale Alessandro Verde, Ponente o Relatore della Causa, propose il Dubbio: Se e di quali miracoli consta, avvenuti dopo la beatificazione, nel caso e all'effetto di cui si tratta. I Rev.mi Cardinali, Ufficiali, Prelati e PP. Consultori diedero ciascuno il loro voto. Il Santo Padre però, attentamente ascoltatili, ritenne opportuno di aspettare qualche tempo prima di pronunciarsi, per implorare lume da Dio.

                Scelse poi, per pronunciare la sua sentenza, questo giorno 19 novembre, XXIV domenica dopo la Pentecoste. Fece quindi chiamare i Rev.mi Cardinali Camillo Laurenti, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, e Alessandro Verde, Relatore della Causa, nonchè il Rev.mo P. Salvatore Natucci, Promotore Generale della Fede, e me sottoscritto Segretario, e alla loro presenza sentenziò: Constare di due miracoli operati da Dio ad intercessione del Beato Giovanni Bosco: cioè: dell'istantanea e perfetta guarigione così di Anna Maccolini da grave flebite nell'arto sinistro, come di Caterina Pilengo nata Lanfranchi da grave morbo artritico cronico ai ginocchi ed ai piedi.

                Ordinò poi che questo Decreto fosse promulgato e inserito negli Atti della S. C. dei Riti.

 

                19 novembre 1933.

 

                C. CARDINALE LAURENTI

                Prefetto della S. C. dei Riti

ALFONSO CARINCI.

Segretario della S. C. dei Riti.

 

                Dopo questa lettura si avvicinò al trono Don Ricaldone, avendo a' suoi fianchi il Postulatore Don Tomasetti, l'Avvocato Della Cioppa e il Procuratore Melandri e rivolse al Santo Padre il seguente filiale indirizzo.

 

                               Beatissimo Padre!

 

                La lettura fatta or ora del Decreto che approva i due miracoli presentati per la Causa di canonizzazione del nostro Fondatore, il Beato Don Bosco, ci riempie l'animo di gratitudine e di consolazione. Di gratitudine verso la Santità Vostra che, col suggello dell'Autorità Apostolica, mentre accelera il ritmo della Causa, ci assicura un'altra volta del divino intervento nella glorificazione del nostro Beato Padre; [233] di consolazione per noi, che, nel nostro cuore di figli, già pregustiamo l'esultanza dei gran giorno nel quale la Chiesa intera, per il Magistero del Vicario di Gesù Cristo, glorificherà il Padre nostro, circonfuso dell'aureola dei Santi.

                Oggi pertanto, rendendo grazie a Dio e alla Santità Vostra di sì segnalato beneficio, io sento nella mia voce vibrare il palpito della duplice Famiglia di Don Bosco (ci sia permesso di chiamarlo ancora una volta con questa denominazione in cui si assommano per noi i ricordi di tante e tante care cose), di quella duplice Famiglia che da Lui ripete l'origine, lo spirito e la fiducia nell'avvenire; origine che costò all'amato Padre diuturni, inenarrabili sacrifici; spirito che con rinnovati propositi ci prefiggiamo di serbare integro e fervente; fiducia che per tante ragioni di ordine superiore ci si accresce di giorno in giorno, stimolandoci sempre più a lavorare con lena indefessa alla gloria di Dio e al bene delle anime nel campo assegnatoci dal Padrone Evangelico.

                Anche il crescente affluire di numerosi operai a ristorare e a ingrossare le file delle spirituali Famiglie del Beato Don Bosco sicuramente ci affida che il suo grande ideale, la cristiana educazione della gioventù secondo gli insegnamenti della Chiesa e le direttive del suo Capo visibile, sarà ognora in progrediente attuazione.

                E per tal guisa il nostro Beato Padre ci ottenga di raccogliere sempre più copiosi i frutti della Redenzione, il cui diciannovesimo Centenario la Santità Vostra ha reso così solenne in tutto il mondo con questo straordinario Giubileo.

                Ecco i sentimenti con i quali l'umile Successore del Beato Don Bosco si prostra stamani ai piedi della Santità Vostra per tributarle l'omaggio della comune riconoscenza e per implorare sui Salesiani e sulle Figlie di Maria Ausiliatrice, sui loro allievi ed ex - allievi e sulla grade Famiglia dei Cooperatori, la grazia dell'Apostolica Benedizione.

 

                Baciato il piede al Santo Padre, Don Ricaldone con suoi assistenti si ritirò. Allora prese Sua Santità la parola. Il suo dire procedeva da visibile profonda riflessione. Vi fu qualche istante, in cui, rievocando un passato di oltre cinquant'anni del quale portava scolpite nella mente le soavi impressioni, egli parve sul punto di commuoversi; ma tosto con atto energico della volontà reagiva e manteneva nella voce il tono calmo e solenne.

 

                Ecco la terza volta che Don Bosco - e diciamo “Don Bosco” per ricordare dolci memorie - ci invita, ci mette anzi nella felice necessità di parlare di Lui, quasi a ricordo, e si direbbe anche a lui [234] caro, dell'ormai lontano incontro personale e di quel poco di momentanea ma non sfuggevole consuetudine che la divina Bontà Ci ha concesso dì avere con il Beato.

                Che cosa dire ed aggiungere, dopo quello che è stato già detto, dopo quello che anche il Decreto e le parole che ad esso hanno fatto seguito, hanno ricordato intorno al Servo di Dio? Che cosa aggiungere dopo quello che tante biografie, vite, e pubblicazioni su Don Bosco, in proporzioni massime e minime, hanno detto di Lui a quelli che han voluto saperne e a quelli anche che non vogliono, imponendosi anche ai più disattenti per le meraviglie che narrano del Beato?

                Eppure Noi sentiamo la dolce tentazione di dare almeno un rapido sguardo sintetico a tutto quello che è già stato veduto, udito e detto. É infatti una magnifica sintesi quella che si profila - in merito alla vita ed all'attività del Beato - in orizzonte vastissimo.

                Anzitutto una sintesi personale: si può e si deve ben dire che questa magnifica creatura di Dio nell'ordine naturale è creatura eletta altresì nell'ordine soprannaturale - giacchè lo stesso Dio è il Creatore del mondo naturale e dell'universo che è sopra la natura; - si può dire di questa magnifica figura soffusa di molteplici splendori e fatta di molteplici valori, di questa bontà generosa, di questo grande ingegno, di questa intelligenza luminosa, vivida, perspicace, vigorosa che, anche se si fosse limitata al cammino degli studi e della scienza, certo avrebbe lasciato qualche profonda traccia, come qualche traccia in questo stesso campo ha pur lasciato.

                Un'altra sintesi può essere la seguente: quest'uomo che non ha avuto tempo se non per l'attività e l'azione, il lavoro costante e incessante in mezzo a piccoli fanciulli, a giovani, a vecchi, ha saputo scrivere moltissimo: sono oltre una settantina infatti, le sue pubblicazioni, i suoi scritti dati alle stampe, alcuni dei quali, già ancor lui vivente, hanno avuto un numero favoloso di edizioni e taluno ha raggiunto anche il milione di copie.

                E inoltre, accanto a questa intelligenza così superiore e sorprendente, un cuore d'oro, virilmente paterno e, nel contempo, - lo sanno tutti quelli che lo hanno avvicinato - un cuore che ha conosciuto tutte le tenerezze del cuore materno, specialmente per i piccoli, per i poveri tra i piccoli, per i più poveri e i più piccoli tra i poveri e i piccoli. E insieme a questo cuore una volontà gigante, indomita e indomabile, come non fu domata da tanta quantità di opere e di straordinario lavoro!

                In servigio poi di tale intelligenza e di tale volontà un fisico, un corpo che, un po' per felice temperamento e per le presto conosciute durezze della povertà, ma più ancora per forte volontà e disciplina, per vera e propria volontaria penitenza, mostrò una resistenza al lavoro veramente mirabile e non c'è da esitare a dirla miracolosa. Basterebbe [235] ricordare sommariamente l'attività del Beato e vedere come Egli facesse bene ogni cosa: se si mette a scrivere - e noi l'abbiamo visto applicato a questa speciale attività - sembra che non debba fare altro: sono pagine e pagine, opuscoli, innumerevoli lettere: altrettanti benefici spirituali. Si sarebbe detto non avere Egli altra occupazione ed altro tempo se non per parlare, ascoltare tutti, per rispondere a tutti; e si sarebbe detto ancor più che Egli avesse molto tempo disponibile poichè spesso Egli riteneva come un dovere quello di familiarmente discendere tra i fanciulli per contentare specialmente i più disgraziati fra quei piccoli e per mettersi a novellare e a giuocare con essi come se nella sua vita nessun altro còmpito od occupazione richiedesse la sua preziosa presenza; come se non avesse a fare tutto quello che così mirabilmente ha compiuto. É una meraviglia perciò pensare come Egli abbia potuto trovare tempo e come e quando si concedesse quel minimo di riposo o di quiete, anche per lui come per tutti, di assoluta necessità.

                Ma questa sintesi o meglio questo insieme di sintesi personale già così grande e magnifico, quasi scompare, per ricomparire poi come causa davanti ai propri effetti, al confronto della sintesi oggettiva dell'opera del Beato, specialmente se contemplata a tanti anni di distanza: dai pascoli dei Becchi, dai primi umili inizi di Santa Filomena a Valdocco, alle grandiose fioriture di oggi. Dando uno sguardo complessivo generale, i figli e le figlie del Beato, i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice si contano sui 19 mila: un esercito; e, si direbbe, tutto in una linea, in prima linea, tutto applicato ad un grande e produttivo lavoro, giacchè l'insegna del Beato e quella che è poi l'insegna della sua religiosa eredità è il lavoro, e non appare bene nelle file dei Salesiani o delle Suore di Maria Ausiliatrice chi non è un lavoratore, quella che non è lavoratrice: il lavoro è il distintivo, la tessera di questo provvidenziale esercito. Ed altri dati lo provano: 1800 le Case, 80 le Province o, come i Salesiani dicono, le Ispettorie; migliaia e migliaia sono le chiese, le cappelle, gli ospizi, i collegi; anzi è difficile elencarli tutti: parecchie centinaia di migliaia sono gli allievi presenti; a milioni bisogna valutare gli ex - allievi; un altro milione e più i componenti la terza grade famiglia: quella dei Cooperatori, questa longa manus, come Don Bosco la chiamava, e Noi l'abbiamo proprio udito definirla così, quando, con umile compiacenza, proprio di chi vuol dare importanza ad altri, il Beato diceva che, grazie appunto a tanti Cooperatori, Don Bosco - usava sempre la terza persona quando parlava di sè - Don Bosco ha le mani abbastanza lunghe che possono arrivare a tutto. È difficile del resto, nonostante queste cifre, misurare anche in riassunti approssimativi, il bene che Don Bosco ha fatto e che vien facendo: sarebbe sufficiente il semplice accenno alle sedici missioni, vere e proprie missioni, alle quali si aggiunge più che il doppio di missioni sussidiarie ove i Figli e le Figlie [236] di Don Bosco, lavorano assiduamente per la conversione degli infedeli.

                Un bene immenso, straordinario: basterebbe soltanto pensare a quel fervore di educazione, così molteplice - civile, professionale, commerciale, agricola - ma pur sempre una, sempre la stessa, quando si rifletta che essa è educazione cristiana, totalmente, profondamente, squisitamente cristiana.

                Ecco, pur in un lontano e tenue scorcio, la più bella sintesi che ci evoca dinanzi allo spirito l'opera, grande si può ben dire come il mondo, e la figura del Beato Don Bosco,  rediviva e reduce in mezzo a noi, in questi felici momenti.

                Vien proprio fatto di domandarsi: quale il segreto di tutto questo miracolo di lavoro, di straordinaria espansione, di conato immenso e di grandioso successo? E proprio il Beato ce l'ha data, la spiegazione, la chiave vera di tutto questo magnifico mistero: ce l'ha data in quella sua perenne aspirazione, anzi continua preghiera a Dio - poichè incessante fu la sua intima, continua conversazione con Dio e raramente si è come in lui avverato la massima: qui laborat, orat, giacchè Egli identificava appunto il lavoro con la preghiera - ce l'ha data in quella sua costante invocazione: da mihi animas, cetera tolle: le anime, sempre, la ricerca delle anime, l'amore delle anime.

                Come viene opportuno questo richiamo, questa preghiera personale del Beato Servo di Dio nello svolgersi così bello, santo, edificante, fruttuoso, di questo Anno Santo della Redenzione! Il Beato Don Bosco infatti aveva proprio studiato e meditato, bene meditato, costantemente, il mistero e l'opera della Redenzione per poter eseguire tutta la sua stupenda fatica. Si deve anzi dire che proprio ciò unicamente la spiega: egli ebbe da Dio il mandato specifico, la missione particolare di continuare l'opera della Redenzione, di diffonderne e applicarne sempre più largamente, sempre più copiosamente alle anime i frutti preziosissimi. Così risulta bene la grandezza della sua attività sia quando si pensa alle anime da Lui chiamate alla Redenzione durante la sua vita, sia quando si pensa a quelle chiamatevi dalla longa manus dei suoi figli e dei suoi cooperatori: o portando per la prima volta tante anime a vere e proprie resurrezioni spirituali, o riportando le anime smarrite o dimenticate sulla via della salute; in tutto e per tutto e sempre la propagazione della Redenzione.

                Il Beato aveva dunque meditato profondamente il mistero della Redenzione. Ecco un richiamo oggi più che mai opportuno, giacchè esso è proprio quanto Noi, per questo Anno Santo, abbiamo ardentemente desiderato e sperato: che il pensiero di tutte le anime redente, di tutta l'umanità salvata, torni con memore ricordo, con riconoscente attenzione alla grandiosa opera di cui si raccolgono i benefici inistimabili, alla Redenzione e al Suo Autore, il Redentore.

                Da mihi animas, cetera tolle! E il Redentore che cosa ci dice? che [237] cosa dice a quelle anime che volonterosamente si mettono su questa via? La prima parola che scende da quella Croce ove appunto si consuma la Redenzione nel Sangue e nella Morte del Figlio di Dio è quella stessa che da Gesù fu detta quasi a prefazione di questa sua opera divina: Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? che cosa giova conquistare tutto il mondo se l'anima dovesse soffrire detrimento? E questo è già dire l'inestimabile valore trascendente delle anime, l'incomparabile valore delle anime. Ora questa stessa parola, questa stessa divina lezione ci dà dalla Croce il Redentore come testamento di Lui morente, scritto con il Suo Sangue divino: ecco, Egli dice in quell'ora suprema, il valore delle anime tutte; di ciascuna perciò delle nostre anime. Per essa Egli non ha creduto di troppo dare dando tutto il suo Sangue e la sua vita, non ha creduto di troppo alto prezzo sborsare, elargendo tale prezzo di valore divinamente infinito.

                Null'altro vogliamo aggiungere se non l'invito a rimanere con questa grande parola, con questo grande amore delle anime che alla parola e all'amore del Divin Redentore tanto avvicinò il suo fedele, valoroso, efficace operaio, il Beato Don Bosco, uno strumento così valido della Redenzione per tante anime.

 

                Con quest'ultimo pensiero l'Augusto Pontefice passò a benedire i presenti secondo le intenzioni da essi formulate: tutti i figli e le figlie  della famiglia salesiana e di Maria Ausiliatrice; tutti gli altri che con la loro opera concorrevano alla loro meravigliosa attività; tutti quelli e tutto quello che in quel momento i convenuti avevano nel pensiero e nel cuore e desideravano veder benedetto insieme alle loro persone.

                Impartita la benedizione, il Santo Padre ricevette, offertagli dalla Postulazione, una copia del decreto letto pocanzi. Discese quindi dal trono e ossequiato devotamente dai Cardinali, Prelati e Religiosi, si ritirò ne' suoi appartamenti, mentre il pubblico nella sala e fuori commentava le cose vedute e udite.

                Le condizioni più essenzialmente richieste alla Causa erano state adempiute; restavano solo alcune formalità, di cui diremo nel capo seguente. Approssimandosi pertanto la data straordinaria, si cominciarono subito a Roma e a Torino i preparativi dei festeggiamenti, che si prevedevano di eccezionale grandiosità; soprattutto si badò a regolare quanto [238] riguardava i pellegrinaggi, annunciantisi già molto numerosi da ogni parte del mondo.

                Siccome poi la stampa si sarebbe largamente occupata del futuro Santo, il Rettor Maggiore, fin da quando l'andamento della Causa si delineava propizio, aveva avuto la preveggenza di mettere sull'avviso contro il pericolo che la grande figura di Don Bosco subisse alterazioni dinanzi al pubblico; era infatti da temere che la si riducesse alle sole proporzioni di fondatore della Società Salesiana e dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. No! La Chiesa stessa aveva già riconosciuto ufficialmente l'universalità della sua missione; in ogni campo e sotto ogni clima il suo apostolato aveva spiegato la medesima potenza. Perciò Don Ricaldone il 26 giugno ai Direttori Diocesani e ai Decurioni dei Cooperatori convenuti a Valdocco aveva lanciato la parola d'ordine: Conserviamo la figura di Don Bosco quale ce l'ha data il Signore. Il Bollettino di settembre diede a questa parola d'ordine ampia pubblicità. Parecchi giornali, fra cui la Tribuna dell'11ottobre, la riportarono, dedicandovi qualche nota. Ogni giorno che passava cresceva il fervore dell'attesa.

 

 

CAPO XII.

Il "Tuto"  e i Concistori.

 

                QUELLO che noi qui sopra abbiamo esposto in breve, costò indagini senza fine. Quanto studio, quanto sacrificio, quanta spesa, pur di raggiungere non solamente la verità, ma anche la certezza della verità sotto ogni punto di vista! Approvati pertanto i due miracoli, parrebbe che tutto dovess'essere finito; invece i Cardinali e i Consultori dovevano ancora venir chiamati a dare il loro voto, se dopo l'approvazione dei miracoli si potesse realmente e sicuramente (tuto) procedere alla solenne canonizzazione. In caso affermativo, si sarebbe emanato un altro decreto del Tuto in modo analogo al già riferito per la beatificazione. Bisognò dunque formare ancora e stampare una breve Positio, che contenesse quattro cose: una supplica al Papa con le lodi del Beato, il decreto del Tuto per la beatificazione, quello dei miracoli per la canonizzazione e un diffuso e ragionato parere del Promotore Generale della Fede. Lo scopo di questa posizione è d'illuminare sommariamente e definitivamente la coscienza dei votanti. L'Avvocato del diavolo, nella sua ampia esposizione, dopo aver accennato ai molti che sospiravano la canonizzazione di Don Bosco, manifestava [240] anche il proprio sentimento personale dicendo: “Questo è pure il desiderio del Promotore stesso della Fede, che, tutto compreso di ammirazione per la straordinaria grandezza di un tanto Uomo, gode d'aver avuto parte nella sua Causa e insieme dichiara essere cosa non solo fattibile, ma al sommo conveniente che un così segnalato lavoratore di Cristo, il quale per la gloria di Dio e la salvezza delle anime sopportò tante e sì gravi fatiche, venga inscritto nel catalogo dei Santi”.

                La Congregazione del Tuto si radunò il 28 novembre 1933 alla presenza del Pontefice. Tutti gli aventi diritto diedero voto favorevole. Allora il Papa autorizzò la compilazione del decreto, per la cui lettura fissò il 3 dicembre, prima domenica dell'Avvento e festa di San Francesco Saverio.

                Non senza ragione abbiamo rammentato la seconda circostanza. Nella festa del grande figlio di San Ignazio tre suoi confratelli dovevano fare gloriosa compagnia al Beato Don Bosco. Erano i Venerabili Servi di Dio Rocco Gonzalez de Santa Cruz, Alfonso Rodriguez e Giovanni del Castillo, morti per la fede nel Paraguay. Si sarebbe di essi proclamato solennemente in quel giorno il martirio.

                Le modalità della cerimonia non differirono da quelle accennate nei capi precedenti. Letto il decreto che riguardava i tre Martiri gesuiti, Monsignor Segretario lesse quello del Tuto per Don Bosco. Di questo decreto ecco la traduzione.

 

                Nel corso del secolo decimonono, allorchè per ogni dove giungevano a maturità i velenosi frutti, di cui il secolo anteriore aveva largamente disseminati i germi a distruzione della società cristiana, la Chiesa, in Italia soprattutto, si trovò in balla di molte procelle sollevatele contro dalla tristezza dei tempi e dalla malvagità degli uomini. Ma insieme la divina misericordia inviò anche allora a sostegno della sua Chiesa validi campioni, che ne stornassero l'estrema rovina e al nostro popolo serbassero intatta la più preziosa delle eredità ricevuta dagli Apostoli, la genuina fede di Cristo.

                Infatti fra le difficoltà di quei tempi si videro sorgere in mezzo a noi, uomini di specchiatissima santità, per la cui attività prodigiosa nessun assalto di nemici valse a smantellare le mura d'Israele. [241]

                Spicca su gli altri per altezza d'animo e grandezza d'imprese il Beato Giovanni Bosco, che nell'aspro volgere dei tempi si aderse durante il secolo passato come pietra miliare, segnando ai popoli il cammin della salute. Poichè Dio lo suscitò per la giustizia, secondo l'espressione d'Isaia (XLV, 13), e resse tutti i suoi passi. Invero il Beato Giovanni Bosco per virtù dello Spirito Santo ci splende dinanzi qual modello di sacerdote fatto secondo il cuore di Dio, quale educatore incomparabile della gioventù, quale fondatore di nuove religiose Famiglie e quale propagatore della santa fede.

                Di umile condizione, ebbe Giovanni i natali in un campestre casolare presso Castelnuovo d'Asti da Francesco e Margherita Occhiena, poveri ma virtuosi cristiani, il 16 agosto 1815. Rimasto di due anni appena senza padre, crebbe nella pietà sotto la saggia e santa guida materna. Risplendette in lui fin da fanciullo un'indole eccellente, a cui andava di conserva acume d'ingegno e gran tenacità di memoria, sicchè, frequentando le scuole, imparava in un attimo quanto gli veniva dai maestri insegnato e primeggiava senza contestazione nelle classi per prontezza in apprendere e per penetrazione mentale.

                Dopo due anni di dura e laboriosa povertà che ne ingagliardì la fibra ai più ardui cimenti, col consenso della madre e per la raccomandazione del Beato Giuseppe Cafasso entrò nel Seminario di Chieri, dove per un sessennio attese con ottimi risultati agli studi. Ricevette finalmente l'ordinazione sacerdotale a Torino il 5 giugno 1841.

                Pochi mesi dopo, ammesso ivi nel Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi, sotto la direzione del Beato Giuseppe Cafasso esercitò con gran vantaggio delle anime tutti i sacerdotali uffici negli ospedali, nelle carceri, nel confessionale, nella predicazione della parola di Dio.

                Formatosi con questo esercizio pratico del sacro ministero, sentì accendersi più viva nel cuore la peculiare vocazione balenatagli per ispirazione divina fin dall'adolescenza, di attendere ad avviare sul buon sentiero la gioventù, particolarmente quella abbandonata. Con la sua perspicacia aveva intuito di quanta utilità dovesse essere questo mezzo a preservare l'intera società dalla rovina che la minacciava, e l'attuazione di tale disegno diresse gli sforzi del suo nobile cuore con sì felici risultati, che fra gli educatori cristiani contemporanei occupa indubbiamente il primo posto. Nè difficoltà, nè persecuzioni arrivarono mai a distorglierlo da sì immensa fatica, tanta era la sua carità verso i giovani pericolanti, tanto fermo il suo proposito di condurre a Cristo la gioventù. Si attirava con le sue belle maniere i ragazzi, dovunque ne incontrasse abbandonati per le strade, e con tutta carità e dolcezza, ripieno dello spirito di San Francesco di Sales e di San Filippo Neri, se li affezionava e con divertimenti li teneva allegri, sicchè in gran numero correvano da ogni parte a lui, come al più amante dei padri. Ma questa sua divina carità verso di loro andava congiunta con una [242] siffatta oculatezza soprannaturale, che nel metodo di educare raggiunse la perfezione, tracciando alla pedagogia un indirizzo che è dei migliori e dei più sicuri.

                Il nome stesso di Oratorio, dato da lui alla sua istituzione, ci fa vedere su che ferma base abbia costruito l'intero edificio, vale a dire sulla dottrina e pietà cristiana, senza di cui è vano ogni tentativo di strappare alle viziose passioni il cuore dei giovani per innalzarli a più nobili ideali. Ma in questo egli usava tanta dolcezza, che quasi spontaneamente i giovani bevevano e amavano la pietà, mossi non già da costringimento, ma da vero sentimento, e una volta ch'ei se ne fosse guadagnato l'affetto, li portava poi senza difficoltà al bene. Era suo grande principio che a correggere i giovani serva più il prevenire che non il reprimere; il qual metodo, se è più difficile, è anche più efficace a far prendere buone abitudini. E quali frutti egli abbia colti da questo sistema, lo dicono i fatti; non mancarono neppure giovani condotti per tal modo fino alla perfezione della vita cristiana e alla pratica eroica delle virtù. Gli Oratori Salesiani, moltiplicatisi mirabilmente ancora durante la sua vita attraverso a difficoltà senza numero, oggi si trovano sparsi per tutto il mondo, e anime innumerevoli vi son condotte a Cristo.

                A fine poi di perpetuarne l'esistenza e così provvedere più efficacemente alla giovanile educazione, incoraggiatone dal Beato Giuseppe Cafasso e dal Papa Pio IX di santa memoria, fondò la Pia Società di S. Francesco di Sales e qualche tempo dopo l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

                Ormai le due famiglie hanno complessivamente circa millecinquecento case e quasi ventimila membri sparsi per tutto il mondo: a migliaia e migliaia i giovani d'ambo i sessi ricevono da loro la formazione letteraria e professionale; anzi i suoi figli e le sue figlie generosamente si sobbarcano all'assistenza degli infermi e dei lebbrosi, e ve ne sono financo di quelli che contratto questo morbo, soccombettero vittime della loro carità, degni figli di tanto Padre!

                Nè si deve passare sotto silenzio l'istituzione dei Cooperatori, un'unione cioè di fedeli, in massima parte laici, che, animati dallo spirito della Società Salesiana e al pari di essa pronti ad ogni opera di carità, hanno per iscopo di portare, secondo le circostanze, valido aiuto ai parroci, ai Vescovi, e allo stesso Sommo Pontefice. Notevole primo abbozzo di Azione Cattolica, l'Associazione fu approvata da Pio IX e, vivo ancora il Beato Giovanni, i Cooperatori toccarono gli ottantamila.

                Ma lo zelo delle anime, che gli ardeva in petto, non sofferse di restringersi entro i confini delle Nazioni Cattoliche, poichè, allargando gli orizzonti della sua carità, egli spedì missionari della sua religiosa Famiglia, che conquistassero a Cristo barbare genti.

                Ai primi, che, capitanati da Giovanni Cagliero di santa e gloriosa [243] memoria, si spinsero a evangelizzare le estreme terre dell'America Meridionale, tennero dietro molti e molti altri Salesiani, che qua e là per il mondo portano animosamente il cristianesimo tra gli infedeli.

                Quante e quanto grandi cose egli abbia fatte e patite per la Chiesa e per la tutela dei diritti del romano Pontefice, difficile sarebbe a dirsi. Pertanto del Beato Giovanni, come leggiamo di Salomone, si può senza esitazione ripetere: Diede Iddio a lui sapienza e prudenza oltremodo grande, e magnanimità immisurabile com'è l'arena che sta sul lido del mare (III Reg., IV, 29). Dio gli diede sapienza: poichè, rinunciato a tutte le cose terrene, aspirò unicamente a promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Era suo motto: Dammi anime, e tienti tutto il resto!

                Coltivò in sommo grado l'umiltà; nello spirito di orazione fu così insigne, che la sua mente stava di continuo unita a Dio, benchè sembrasse sempre distratta da una moltitudine di affari.

                Nutriva straordinaria divozione verso Maria SS. Ausiliatrice e fu per lui una gioia ineffabile quando potè edificare in suo onore a Torino il celebre tempio, dove dall'alto della cupola la Vergine Ausiliatrice campeggia Madre e Regina su tutta la Casa Salesiana di Valdocco.

                Moriva santamente nel Signore a Torino il 31 gennaio 1888. Crescendo di giorno in giorno la sua fama di santità, furono istituiti dall'Autorità Ordinaria i processi; la causa di Beatificazione fu introdotta da Pio X di f. m. nell'anno 1907 - La Beatificazione poi fu solennemente celebrata nella Basilica Vaticana, plaudente tutta la Chiesa, il 2 giugno dell'anno 1929.

                Riassunta l'anno seguente la causa, furono istituiti i processi sopra guarigioni che sembravano doversi attribuire a miracolo divino. Con decreto dei 19 novembre di quest'anno, furono approvati due miracoli operati da Dio per l'intercessione del Beato.

                Rimaneva ancora a sciogliere un dubbio, se cioè, stante l'approvazione dei due miracoli dopo che la S. Sede concesse il pubblico culto al medesimo Beato, si possa procedere sicuramente alla solenne sua canonizzazione. Questo dubbio fu proposto dal Rev. Cardinale Alessandro Verde, Ponente ossia Relatore della Causa, nella Congregazione Generale della S. C. dei Riti, alla presenza del S. Padre, il giorno 28 del mese di novembre. Tutti quanti i presenti RR. Cardinali, Officiali, Prelati e Padri Consultori unanimamente diedero parere affermativo, che il S. Padre lietamente accettò, differendo tuttavia il suo giudizio al 3 dicembre, prima domenica d'avvento, sacro a San Francesco Saverio, celeste Patrono dell'Opera della Propagazione della Fede. Pertanto dopo avere ferventemente celebrato il S. Sacrificio della Messa, chiamati a sè i Cardinali Camillo Laurenti. Prefetto della S. C. dei Riti e Alessandro Verde, Relatore della Causa, come pure il Rev. Padre Salvatore Natucci, Promotore Generale della Fede, [244] e me infrascritto segretario dichiarò: potersi procedere sicuramente alla canonizzazione del Beato Giovanni Bosco.

                Ordinò poi che questo Decreto fosse promulgato e riportato negli atti della S. C. dei Riti.

 

                Il giorno 3 dicembre, l'anno del Signore 1933.

                A. CARINCI

                Segretario.

C. Card. LAURENTI.

Prefetto della S. C. dei Riti.

 

                Questa volta Don Ricaldone fu ben lieto che toccasse al Padre Ledochowski, Generale della Compagnia di Gesù, l'onore di esprimere al Santo Padre la gratitudine di entrambe le Società. Il venerando Padre Generale si accostò al trono pontificio, avendo ai suoi lati Don Ricaldone ed i Postulatori e Avvocati delle due Cause, e lesse:

 

                Beatissimo Padre!

 

                Con particolar commozione prendo la parola all'augusta presenza di Vostra Santità in questa faustissima circostanza, in cui la divina Provvidenza ha soavemente disposto che toccasse all'umile successore di Sant'Ignazio il grande onore e la grande consolazione di presentare alla Santità Vostra i vivi ringraziamenti della duplice vasta Famiglia del Beato Don Bosco per il Decreto che orinai assicura i supremi onori della canonizzazione al loro meraviglioso Padre e Fondatore. Ma non sono solo i suoi figli e le sue figlie a rallegrarsi per la imminente glorificazione di Lui: a loro si associano tutti gli alunni ed ex - alunni degli Istituti salesiani, tutte le anime beneficate dalla loro attività apostolica, tutti i loro amici e cooperatori; anzi si può ben dire che tutto il mondo vi prende e prenderà patte, perchè si tratta di uno di quegli uomini veramente provvidenziali, che fanno epoca nella storia della Chiesa e dell'umanità; uno di quegli uomini, che Dio nella sua misericordia suscita di tanto in tanto, ma con quella sapiente parsimonia che li fa tanto più apprezzare quanto sono più rari; uno di quegli uomini, di cui si può dire con verità che in omnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrae verba eorum.

                La mia consolazione nel partecipare così da vicino alla gioia della grande Famiglia Salesiana, che con tanto fervore di opere, di missioni, di apostolato di ogni genere e in ogni campo, ha preso uno dei primi posti nella vigna del Signore, la mia consolazione, dico, si accresce ripensando alla costante e così schietta amicizia che il futuro Santo ebbe sempre e luminosamente dimostrò verso la Compagnia di Gesù e i suoi membri, ricordando la profonda venerazione che sempre nutrì [245] e promosse verso i Santi della Compagnia, in particolare verso San Luigi Gonzaga e San Francesco Saverio, amicizia e divozione ch'Egli lasciò in eredità ai suoi figli, i quali oggi forse più che mai a noi uniti nel vincolo della carità, colgono con fraterna premura ogni occasione per attestarci il loro affetto e il loro aiuto. Mi sia lecito ricordare qui in modo speciale con profonda riconoscenza quanto essi, e prima di tutti il loro Reverendissimo Rettor Maggiore, hanno fatto per noi nelle recenti tribolazioni della nostra Compagnia nella Spagna, e in particolare quanto cordialmente s'industriino di confortare quei Padri e Fratelli che hanno cercato rifugio nel Piemonte.

                Accanto al grande e notissimo Beato Don Bosco ci si presentano oggi anche tre umili figli di Sant'Ignazio, poco noti certamente al resto del mondo, ma diventati ormai popolari nelle regioni un tempo da essi evangelizzate e irrigate col loro sangue, e soprattutto grandi dinanzi a Dio per quel titolo, che Sant'Ambrogio proclamava equivalente al più bel panegirico: Dixi martyrem, praedicavi satis. Tutti e tre, ma specialmente il loro capo, Venerabile Padre Rocco González, sono tra i primi fondatori di quelle famose “riduzioni” che resero celebre il “Cristianesimo felice” del Paraguay, così ben descritto da Ludovico Antonio Muratori. La loro glorificazione quindi, di cui già si vedono i primi albori nell'odierno decreto, desta molto giustamente il santo entusiasmo delle fiorenti Repubbliche dell'America Meridionale, tra cui è ora diviso il vasto teatro dell'eroismo dei nostri tre Venerabili sulle sponde del Rio de la Plata, cioè l'Argentina, il Brasile, il Paraguay e l'Uruguay: tutte quelle cattoliche popolazioni, con a capo i rispettivi Governi e Pastori, come l'hanno ardentemente implorato, così ora già vivamente pregustano il gaudio di poter salutre in essi i primi Beati Martiri di quelle regioni: il che tanto più vale del Venerabile P. Rocco Gonzáles, in quanto che egli, nato nella città dell'Assunzione del Paraguay, stato sacerdote secolare prima di farsi religioso della Compagnia, entrato in questa per sfuggire gli onori di più alte cariche, ecclesiastiche, e fattosi poi apostolo delle tribù abitanti sulle rive del Rio della Plata, tra cui trovò la desiderata palma del martirio, è veramente in tutto il senso della parola cittadino dell'America Meridionale e, collocato sugli altari, sarà il primo fiore purpureo indigeno, spuntato e colto sul suo suolo, come Santa Rosa ne è il primo vaghissimo fiore verginale.

                Nè potevano mancare in questo così straordinariamente solenne Anno Santo della Redenzione, le palme dei Maritri a far corona al Divino Martire del Golgota. E con umile compiacenza e profonda riconoscenza, la Famiglia di Sant'Ignazio ringrazia di tutto cuore prima il Datore di ogni bene e poi la Santità Vostra dell'insigne favore che tali palme di Martiri, da intrecciarsi alla meravigliosa fioritura di nuovi Santi e Beati dell'Anno Giubilare, siano state scelte proprio nel modesto giardino della Compagnia di Gesù. [246]

 

                                Beatissimo Padre!

 

                In questo inizio del nuovo anno liturgico che già invita tutte le genti alla culla del divin Redentore, in questo giorno sacro al grande Patrono delle Missioni San Francesco Saverio, il Beato Don Bosco ci fa sentire il suo motto, grido accorato insieme ed innamorato: Da mihi animas, e i tre Venerabili Martiri dell'America Meridionale ci mostrano fino a qual punto si debbano amare le anime redente col Sangue dell'Uomo - Dio. Ai piedi della Santità Vostra, mentre ringraziamo vivamente della gioia oggi procurataci rinnoviamo il proposito, così bene rispondente allo spirito del Beato Don Bosco e di Sant'Ignazio, di lavorare con tutte le forze, per la placida conquista di tutto il mondo al Regno di Cristo sotto la guida del suo Vicario in terra.

                Degnatevi, Beatissimo Padre, avvalorare questi nostri propositi con l'Apostolica Benedizione, che imploro per le nostre rispettive Famiglie Religiose, per le Nazioni che nel Signore si gloriano di questi nuovi eroi, per tutti i presenti e per quanti sono a noi uniti di mente e di cuore.

 

                Accennando ai Gesuiti rifugiati in Piemonte, il Padre Ledochowski fece un'allusione, che merita di essere qui illustrata. Nel 1932 il Governo rivoluzionario della Spagna con iniquissima legge aveva sbandito i Gesuiti dal territorio della repubblica. Don Ricaldone, memore dell'esempio di Don Bosco in una simile contingenza, offerse ai novizi e agli scolastici della Compagnia una casa salesiana d'Italia, che meglio loro piacesse; aveva inoltre ordinato agl'Ispettori spagnuoli di prestare ai perseguitati ogni possibile assistenza. La prima proposta fu declinata, perchè le giovani speranze dell'Ordine avevano trovato rifugio a Bollengo nel circondario d'Ivrea. Sul principio necessariamente mancavano loro tante cose per sistemarsi; perciò Don Ricaldone fece somministrare ad essi dalle vicine case salesiane tutto quanto potesse loro occorrere. Anzi, ben sapendo che in terra di esilio si sta sempre a disagio, procurò agli esuli svaghi di gite presso gl'istituti missionari d'Ivrea e di Cumiana, dove in bella fraternità nulla fu trascurato per accogliere degnamente e per allietare gli ospiti.

                All'indirizzo il Santo Padre rispose, traendo dall'eroismo [247] dei tre Martiri e dalla santa vita di Don Bosco insegnamenti preziosi per tutti i fedeli in quell'anno giubilare della Redenzione.

 

                Avete udito, dilettissimi figli, i Decreti letti, avete pure raccolta la bella, pia, fraterna illustrazione che di essi è stata fatta: avete veduto come ritorna fra noi la gigantesca e pur così cara figura del Beato Don Bosco accompagnante e rendendo i dovuti omaggi ai Martiri del Redentore divino, poichè il martirio è il supremo onore, come è il frutto supremamente prezioso della Redenzione, di quel Redentore a quo omne martyrium sumpsit exordium, come così bene e così solennemente dice la Chiesa. E poichè la Bontà divina Ci ha già concesso di parlare e di intrattenerci altre volte intorno al Beato Don Bosco, Ci soffermeremo ad ammirare questi grandi Martiri - pur senza tralasciare, come vedremo, un accenno allo stesso Beato Don Bosco che tanto opportunamente vengono a mettersi nel corteo trionfale che accompagna la memoria diciannove volte centenaria della divina Redenzione stessa e del divino Redentore.

                A proposito appunto dei nuovi Martiri, si fa palese l'opportunità, per ognuno di noi, di porsi qualche domanda su quello che dobbiamo non solo ammirare, ma anche imitare; poichè è pure sempre nell'economia altamente educatrice della Chiesa di non mai presentare così eccelse figure alla venerazione dei fedeli se non con lo scopo di eccitarne la salutare imitazione: ut imitari non pigeat, quos celebrare delectat.

                E, anzitutto, che cosa possiamo noi fare se non tributare la nostra ammirazione, quando ci troviamo dinanzi a questi eroi della fede, eroi sino al sangue e sino alla morte? Eppure ecco subito una grande utilità per le anime, per tutte quante le anime, appunto in questa ammirazione che a tutti si impone: l'utilità è in questo stesso onore di ammirazione dinanzi ad azioni che, come fu così bene detto, costituiscono le più fastose, le più magnifiche e splendide testimonianze che siano concesse all'umana natura, a noi poveri uomini, di poter rendere alla Verità che tutto e tutti giudica, che tutti e tutto sovrasta e a tutto sopravvive, una testimonianza più di ogni altra grande e degna: la testimonianza del sangue. Un genio l'ha detto e genialmente: è questo il gesto più fastoso che l'uomo possa compiere.

                E in tal campo, dinanzi a tali grandezze, è già un beneficio segnalato anche il semplice soffermarsi in tanta visione di cose. Poichè come non si desterebbe, anche nelle anime più lontane dal mondo soprannaturale, se pur fornite di doti naturali, come non si desterebbe, anche in loro, con l'ammirazione, l'apprezzamento di così grandi cose e, con l'apprezzamento, chissà? forse un principio di desiderio e col desiderio un principio di conato, di sforzo verso queste sublimi elevazioni? [248] Ciò solo già costituirebbe un immenso guadagno per l'educazione delle anime.

                Ma poi quali e quanti evidenti vantaggi anche nell'elevazione stessa di questi eroismi supremi, pur se essi restano più ammirabili che imitabili; giacchè un poco di riflessione basterà per far scorgere che vi sono taluni supremi esempi di fedeltà, di pazienza, di eroismo condotto sino ai sacrifici più alti.

                Vi sono situazioni e momenti della vita nei quali l'adempimento di un dovere, la rinuncia ad un vietato guadagno, ad un non lecito piacere può costare sacrificio: allora, proprio in quei momenti, sono questi grandi spiriti che ci ammoniscono, che ci indicano di fronte a tutte le debolezze e le esitazioni, a tutte le lotte trepide tra il dovere e il piacere, la via da percorrere, la legge da osservare; essi che hanno dato il sangue e la vita per trionfare, con la fortezza cristiana, di tutti gli ostacoli, a tutti ripetono: Nondum usque ad sanguinem restitistis: che cosa si domanda a voi, a confronto di quello che fu a noi richiesto? E sono tanti quelli che hanno dato il sangue e la vita per restare fedeli a Dio, per non perdere il frutto della Redenzione!

                E poichè tutto ciò può diventare molto pratico, che cosa è mai - dicono i Martiri - che cosa è mai, per esempio, il sacrificio che la professione della vita cristiana, l'onore del nome, della dignità cristiana richiede a povere figliuole, a giovani donne, chiamandole a rinunciare ad una moda che offende Iddio, che offende il nome di cristiano, che offende anzi la stessa dignità umana? e che cosa è mai questa rinuncia in confronto di questi supremi sacrifici offerti per la fedeltà a Dio? che cosa è, in confronto ad essi, il dovere umano e cristiano di rinunciare ad una non retta industria o ad un facile non onesto guadagno, di cui forse nessuno saprà mai, ma che non sfugge all'occhio di Dio? Che cosa si domanda a una giovane vita, a un giovane uomo che  sente tutta la dignità della sua professione cristiana, del suo nome cristiano, quando si chiede di sfidare con nobile coraggio il rispetto umano (ciò che non dovrebbe essere poi troppo difficile) e di rinunciare a spettacoli, a convegni, a danze che vilipendono l'umana dignità oltrechè l'onore cristiano?

                Ecco, in tutto ciò, dei martirii ridotti, ridottissimi, che dai grandi, completi martirii debbono ricavare una forza, una luce celeste, un'ispirazione alla quale nessuno deve rifiutarsi.

                Ma poi vi sono delle condizioni intere di vita, ordini di cose, nei quali si riscontra una magnifica pratica di martirio. Quante volte si avvera la bella parola di Sant'Agostino: “La verginità non è onorevole perchè anche tra i vergini e le vergini si è avuto il martirio, ma sibbene perchè è essa che fa i martiri”. Non ideo honorabilis virginitas, quia etiam in virginibus martyrium reperitur, sed quia facit ipsa martyres. Magnifica parola; poichè, infatti, ecco una vita, una pratica di virtù, una vita elevata e alimentata da questa virtù, che rassomiglia [249] non poco ad un lungo martirio; una vita così alta, proprio modellata su quella portata in terra dal Signore degli Angeli col suo esempio; una vita fatta tutta di rinuncia a quello che la vita mondana cerca invece con tanta avidità ingorda. Ora, tal genere di vita ci fa pensare che tante volte quelle virtù sono nate dall'ammirazione tributata ai Santi Martiri, proprio come lo stesso Sant'Agostino, parlando della molteplicità dei martirii, diceva: “Le celebrazioni dei Martiri sono esortazioni al martirio”: exhortationes sunt martyriorum.

                Con la stessa meraviglia che  ci fa tributare onore ai Martiri del sangue noi consideriamo questi altri veri martirii, così molteplici e tanto mirabili agli occhi nostri, ma spesso sconosciuti, seppelliti nell'àmbito di una casa religiosa, ai piedi di un altare, nel più completo nascondimento, in una penitenza di vita innocentissima, nella immolazione completa, nel desiderio, anzi, vivissimo, di arrivare sino al sangue e alla morte, pur di serbare fedeltà a Dio. Il mondo non conosce, nè conoscerà mai questi martirii compiuti da tante anime dimenticate che di sè, vere vittime innocenti, e a null'altro intente se non ad allontanare - e quante volte li allontanano - proprio dal mondo i rigori della divina Giustizia, specie in questi difficili e tristi tempi, per attirarli sulle proprie persone. Quanti buoni e veri padri cristiani vi sono di numerose famiglie, fedeli in tutto ai loro doveri di coniugi, di parenti, di operai, di lavoratori cristiani, di servi cristiani, fedeli a tutti i loro doveri, a costo anche di indicibili angustie e privazioni, a costo di combattere continuamente l'inclemenza delle condizioni del mo­mento: ecco dei veri altri martiri della vita cristiana!

                E ancora: all'infuori di queste situazioni veramente gravi, alle quali spesso non manca nemmeno la nota tragica per essere martirii, quante altre vite più serene che si svolgono, almeno apparentemente, senza difficoltà, ma pur sono così ripiene di ostacoli nobilmente, cristianamente superati! Sono tante le vite che  si consumano proprio nell'adempimento di modesti còmpiti, senza particolari durezze, ma con doveri precisi che non mancano di certe responsabilità e adempiuti sempre ogni giorno, tutti i giorni, tutti eguali. E ciò nella tremenda monotonia di tante vite obbligate ad un dovere che non presenta neppure qualcuno di quegli elateri o forze di propulsione ed incitamento che tante volte ne facilitano appunto lo svolgimento; in quel terribile quotidiano lavoro che non varia mai e che richiede sempre le stesse diligenze, la stessa coscienza, esattezza e puntualità, senza morali compensi. Ecco dei martirii molto più modesti, molto meno fastosi dei grandi martirii, ma pur veri martirii anch'essi. E tanti ve ne sono: e anche ad essi i Martiri del sangue ripetono a vitale incoraggiamento: Nondum usque ad sanguinem restitistis.

                E ancora un'altra riflessione. Glorificando questi nuovi Martiri noi li ammiriamo ed onoriamo quando essi sono giunti alla cima del loro calvario, che non è ottenebrato come il Calvario del Re dei Martiri, [250] ma da Lui riceve splendida luce; e non pensiamo che a questi grandi arrivi essi si sono preparati con viaggi molto modesti, con quella pazienza, perseveranza e fortezza che si richiedeva dal piccolo martirio della loro vita quotidiana. Varrà un esempio: il Santo Vescovo Fruttuoso, di Tarragona, viene condotto all'estremo supplizio, dopo tutta una giornata di strazii e di tormenti: uno dei suoi sgherri vedendolo così esausto, sfinito, riarso dalla sete per tanto sangue perduto gli offre un calice d'acqua; il Santo Vescovo ringrazia, ma ricusa dicendo: - Non posso perchè è giorno di digiuno e non siamo ancora al tramonto. - E giustamente il grande scrittore cristiano, Alessandro Manzoni, commenta: “Chi non sente che questo rispetto così riverente, così diligente e premuroso verso la legge divina fu proprio quello che aveva preparato il Martire all'ultimo sacrificio?”.

                Anche il Beato Don Bosco trova bene il suo posto in questo magnifico ambiente e contesto di cose. Ecco una vita - e Noi l'abbiamo potuto vedere davvicino e proprio particolarmente apprezzare - ecco una vita che fu un vero, proprio e grande martirio: una vita di lavoro colossale che dava l'impressione dell'oppressione anche solo a vederlo, il Servo di Dio; una vita di pazienza inalterata, inesauribile, di vera e propria carità, sì da aver sempre Egli un resto della propria persona, della mente, del cuore, per l'ultimo venuto ed in qualunque ora fosse arrivato e dopo qualunque lavoro: un vero continuo martirio nelle durezze della vita mortificata, fragile, che sembrava frutto d'un continuo digiunare. Ecco perciò il Beato Don Bosco rientrare perfettamente al proprio posto fra questi campioni della fortezza cristiana, professata sino al martirio.

                Onore agli uni, onore all'altro di queste grandi Famiglie che oggi così giustamente e più che mai esultano nella loro memoria ed esaltazione!

 

                Con entrambe poi le famiglie religiose il Santo Padre si congratulava per aver prodotti tali atleti e tali esempi al mondo, all'umanità redenta, potendo la sola Redenzione produrli. Ma esempi e campioni anche per l'umanità senza aggettivi, giacchè mai essa è più onorata che quando lo è da simili prodotti usciti proprio dalle sue file, veri grandiosi compensi per altre manifestazioni, per altri uomini, che portano sì il nome di uomini, ma tali non sono per l'onore dell'umanità, non facendo costoro che alimentare le proprie più ignobili passioni contro la virtù, contro Dio, contro la verità e il bene, contro tutto ciò insomma che può formare e forma l'onore stesso dell'umanità. Egli estendeva quindi [251] i rallegramenti alla Chiesa tutta e al mondo intero, giacchè le glorie esaltate non appartenevano soltanto a un popolo, ma erano il prodotto del genere umano e appartenevano a tutta l'umanità. Finalmente impartì le chieste benedizioni anzitutto per quei Paesi che sin d'allora sorridevano di gioia dinanzi al rifulgere di quelle glorie supreme di santità e di martirio; e poi a tutti quanti avevano partecipato a quel convegno di cose sante.

                Una seconda formalità che restava da compiere erano i Concistori. Se ne tengono tre, di cui uno segreto, l'altro pubblico e il terzo semipubblico. Non si trattò in essi solamente del Beato Don Bosco, ma anche del Beato Pompilio Maria Pirrotti Scolopio, e delle Beate Maria Michela del SS. Sacramento e Luisa de Marmillac, quella fondatrice delle Ancelle del SS. Sacramento e della Carità, questa confondatrice della Compagnia delle Figlie della Carità.

                I due primi Concistori furono tenuti in un medesimo giorno, al 21 dicembre. Al Concistoro segreto partecipano i soli Cardinali. Qui il Cardinale Prefetto dei Riti fece la relazione sulle vite, virtù e miracoli dei Beati e delle Beate, nonchè su lo svolgimento degli atti compiuti dalla Sacra Congregazione per le quattro Cause, terminate con i decreti del Tuto; espresse infine l'augurio che il Sommo Pontefice ratificasse solennemente gli universali voti in merito alla auspicata loro canonizzazione. Sua Santità allora chiese il parere dei singoli Cardinali. Erano presenti gli Eminentissimi Granito Pignatelli di Belmonte, Lega, Sbarretti, Sincero, Gasparri Pietro, Bisleti, Ascalesi, Locatelli, Mori, Capotosti, Lauri, Lépicier, Segura y Saenz, Pacelli, Marchetti - Selvaggiani, Rossi, Serafini, Dolci, Fumasoni - Biondi, Laurenti, Ehrle e Verde. I ventidue Porporati in ordine di decananza espressero singolarmente anzitutto nei riguardi della prima canonizzazione e poi per le altre tre singolarmente il loro voto. Finita la votazione, il Santo Padre si congratulò per l'esito [252] favorevole di essa e indisse il Concistoro semipubblico per il 15 gennaio del prossimo 1934.

                Compiuto il Concistoro segreto, Sua Santità ordinò l'inizio del Concistoro pubblico. Furono subito aperte le porte dell'aula concistoriale, in cui fecero ingresso i Prelati e altri personaggi intimati ad hoc. Intervennero pure i Postulatori e i rappresentanti ufficiali delle Ambasciate d'Italia, di Francia e di Spagna. Quattro Avvocati concistoriali perorarono le singole Cause, per primo l'Avvocato Guasco a favore della Causa di Don Bosco. Dopo le perorazioni, che tutte si conchiudevano con l'implorazione al Pontefice di voler iscrivere nell'albo dei Santi i predetti Beati e Beate, Mons. Antonio Bacci, Segretario dei Brevi ad Principes, pronunciò in nome di Sua Santità un classico discorso latino di risposta. Essere ben disposto il Santo Padre ad accogliere le domande; volere Egli tuttavia che in cosa di tanta importanza, la quale toccava il suo infallibile magistero, fossero secondo l'uso tradizionale chiamati a pronunciarsi coi Cardinali anche tutti i Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi presenti a Roma il 15 gennaio; si pregasse intanto il divino Spirito a largirgli in copia i suoi lumi[70].

                Un invito formale emanato dall'Assessore della Congregazione Concistoriale prescrise a tutti i Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi e Abati ordinari, che erano entro i cento chilometri da Roma, di recarsi, permettendolo le cure del ministero pastorale, all'eterna città per dare il loro voto. Nel giorno fissato tutti questi Prelati in numero di quaranta vennero ammessi coi Cardinali al Concistoro semipubblico. Fra gli Eminentissimi trovavasi questa volta anche il Cardinale Fossati, Arcivescovo di Torino. Il Santo Padre pronunciò una breve allocuzione latina, nella quale riassunse il procedimento delle quattro Cause ed invitò i presenti a esprimere il loro parere. Tutti erano già informati delle virtù e dei miracoli tanto dalle perorazioni degli Avvocati concistoriali [253] quanto dai compendi delle vite e degli atti delle Cause, prima distribuiti a ciascuno.

                Cominciò per primo il Cardinale Decano, che lesse il suo quadruplice voto. Nella stessa guisa fecero uno dopo l'altro tutti i Cardinali, Dopo lessero i loro voti il Patriarca di Costantinopoli, e i Patriarchi latini di Alessandria e di Antiochia. Seguirono gli Arcivescovi e Vescovi assistenti al Soglio. Stante poi il numero degli Arcivescovi e Vescovi presenti, tutti gli altri manifestarono i loro voti con le rituali parole: Placet iuxta votum et me scriptum et subscriptum. Ciò detto, consegnavano gli scritti ai Monsignori Maestri di Camera. Infine lessero i propri voti gli Abati di Montecassino e di Subiaco. Al termine delle 3 votazioni Sua Santità manifestò la sua soddisfazione per la unanimità del sentimento dei Padri perchè si procedesse alle quattro canonizzazioni e caldamente raccomandò che si continuasse a pregare il Signore per tale importante argomento. Stabilì da ultimo i giorni, in cui si sarebbe proceduto alle canonizzazioni. Per Don Bosco assegnò il I° aprile, domenica di Pasqua.

                La Causa di Don Bosco, durata 44 anni, si poteva dire definitivamente chiusa. Si era svolta sotto quattro Papi: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI. Cinque Arcivescovi di Torino avevano dovuto occuparsene: il Cardinale Alimonda, Monsignor Riccardi, il Cardinale Richelmy, il Cardinale Gamba, il Cardinale Fossati. Sei Cardinali sostennero successivamente a Roma l'ufficio di Ponenti o Relatori: gli Eminentissimi Parocchi, Tripepi, Vives y Tuto, Ferrata, Vico, Verde. Sei furono i Postulatori, salesiani tutti: Don Bonetti e Don Belmonte presso il tribunale ecclesiastico di Torino; Don Cesare Cagliero, Don Marenco, Don Munerati, Don Tomasetti a Roma per il processo apostolico. Per quattro successori del Servo di Dio era passato in quel periodo il governo della Società Salesiana: Don Rua, Don Albera Don Rinaldi, Don Ricaldone. Restava, coronamento supremo, l'atto solenne della canonizzazione. [254]

                Era cosa fuori d'ogni consuetudine il celebrare una canonizzazione in quella che è detta solemnitas solemnitatum, la più solenne delle feste cristiane; ma così volle il Papa, che anzi confermò la sua decisione di fronte a chi rispettosamente insinuava considerazioni in contrario. Il pensiero del Papa fu di chiudere con la glorificazione del grande apostolo l'Anno Santo straordinario indetto per commemorare il diciannovesimo secolo della Redenzione. La ragione di questo suo volere s'intravvede in certe parole da lui pronunciate nel discorso sui miracoli. Don Bosco, aveva detto allora il Santo Padre, “ebbe da Dio il mandato specifico, la missione particolare di continuare l'opera della Redenzione, di diffonderne e applicarne sempre più largamente, sempre più copiosamente alle anime i frutti preziosissimi”.

                La notizia giunta nella mattinata stessa del 15 gennaio a Valdocco, si sparse in un attimo, producendo dappertutto una vivissima emozione. Il Rettor Maggiore, appena gli pervenne la conferma ufficiale, convocò il suo Consiglio; quindi diede ordine che ne fosse data partecipazione alla stampa cittadina e ai maggiori centri salesiani nel mondo. Appresso si recò dal Podestà per fargliene ufficialmente la comunicazione. Il Podestà, grato della visita, si rese interprete dell'esultanza dei Torinesi, così pieni di divozione e di ammirazione verso il loro Santo.

                Un messagio speciale Don Ricaldone indirizzò ai Cooperatori, ai quali tra l'altro diceva: “La commozione ci vince al pensiero che ottantotto anni fa, proprio il giorno di Pasqua, nell'aprile del 1846, il povero Don Bosco cantava l'Alleluia co' suoi birichini sotto la miserabile tettoia Pinardi. La prossima Pasqua egli la celebrerà nel massimo tempio della cristianità, esaltato dalla Chiesa ai sommi onori degli altari. Non potremo mai ringraziare abbastanza il Santo Padre Pio XI anche di questo grande gesto di delicatezza ineffabile”. In marzo sentì il bisogno di rivolgere ai medesimi un'ultima parola, invitando tutti alle feste di Roma e poi a quelle di [255] Torino. “Sì, diceva, tutti, di presenza o almeno in ispirito, dobbiamo vivere, affratellati dal più soave amore, le giornate che saranno indimenticabili della canonizzazione, giornate non solo di esultanza, ma di benedizioni per tutti”.

                Ai diocesani il Cardinale Arcivescovo Fossati parlò del prossimo avvenimento nella pastorale per la Quaresima. Richiamati i vari aspetti della vita di Don Bosco che si prestavano a opportuni insegnamenti ed incitamenti, annunciò che sarebbe andato a Roma per assistere alla canonizzazione con un pellegrinaggio di Torinesi; si diceva inoltre fin d'allora sicuro che le feste di Torino per San Giovanni Bosco avrebbero rinnovato il trionfo del 1929.

                La stampa cominciò a presagire che nella canonizzazione di Don Bosco si sarebbe avuta la maggiore apoteosi che la storia ricordasse per un figlio d'Italia innalzato alla gloria degli altari.

 

 

CAPO XIII.

La canonizzazione.

 

                SOTTO una sua bella fotografia, donata all'Oratorio di Torino durante le feste della canonizzazione, il Santo Padre Pio XI scrisse di suo pugno e applicò a Don Bosco le parole scritturali: Dedit ei Dominus latitudinem cordis quasi arenam, quae est in litore maris. Volle dire che il Signore diede a Don Bosco un cuore grande grande, un cuore che profuse il suo amore in tanta copia quant'è l'arena sul lido del mare. Fu appunto questa carità senza limiti, ispirata e sorretta da vivissima fede, a procurargli nella canonizzazione un “trionfo senza pari” che “nell'Alleluia pasquale trovò lo sfondo e insieme la cornice più grandiosa e adatta”[71]. Vediamo di farne  una descrizione che non sia nè ridondante nè smunta, ma che presenti nelle sue linee principali lo storico avvenimento.

 

PELLEGRINAGGI E RAPPRESENTANZE.

 

                Agirono per tempo, come l'altra volta, operosi Comitati a Roma e a Torino. Una novità che tornò graditissima all'universale, fu che il Re e la Regina d'Italia si degnarono di accettarne l'alto patronato. Agli organizzatori il più gran da fare lo diedero questa volta i pellegrinaggi; se ne prevedevano [257] da molte parti, anche dall'America. Avrebbero pure assistito alla cerimonia del I° aprile numerosi Italiani e stranieri venuti a Roma per l'Anno Santo, oltre i soliti turisti di vari paesi; ma noi qui diremo soltanto dei pellegrinaggi salesiani.

                Questi si possono distinguere in tre categorie: pellegrinaggi dei collegi, pellegrinaggi dei Cooperatori e degli ex - allievi, pellegrinaggi popolari.

                L'Italia diede naturalmente il maggior contingente di pellegrinaggi d'ogni specie. I pellegrinaggi dei collegi vi furono organizzati dalle nove Ispettorie, nelle quali si divide qui l'Opera salesiana. La Romana fornì il numero più grande, circa 2.000 alunni; seguiva immediatamente la Sicula con 1.200. Dall'estero vennero venticinque gruppi appartenenti all'Austria, Baviera, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Olanda; Polonia, Spagna, Ungheria; Argentina, Brasile, Cile, Centro America, Egitto, Palestina, India: in tutto circa 600 alunni. Dall'Assam il Prefetto apostolico salesiano Mathias arrivò con un chierico indigeno e quattro giovani, che indossavano i loro abiti nazionali.

                I pellegrinaggi dei Cooperatori ed ex - allievi si suddividevano in tre gruppi: Italiani, nazioni europee, nazioni extra - europee. Le Ispettorie italiane ne diedero nove con 4.000 persone. Le Ispettorie europee organizzarono ognuna il proprio pellegrinaggio con 8000 persone in tutto. Dall'America e dall'Asia giunsero cinque pellegrinaggi con più di 1100 individui

                Di pellegrinaggi popolari se ne contarono ventisette d'Italia con 5000 pellegrini; cinque dì Spagna cori 1200; parecchi di Francia con 2800, di Germania con 700, d'Inghilterra con 500; altri da altre nazioni europee con cifre minori, 5000 complessivamente. Se n'ebbero inoltre dall'Asia, dall'Africa e dall'America, con una somma di 2000 pellegrini, di cui 600 circa provenienti dall'Argentina.

                I pellegrinaggi stranieri viaggiavano scortati ognuno da un [258] direttore assistito da aiutanti. Ogni pellegrino portava una guida stampata, che conteneva itinerario, programma e opportune istruzioni. Gli Argentini salparono da Buenos Aires sulla motonave italiana Neptunia, al cui arrivo nel porto di Napoli sventolava dall'albero maestro col tricolore italiano una bandiera bianca recante a caratteri cubitali il nome di Don Bosco. Dall'India il salesiano Mons. Méderlet, Arcivescovo di Madras, condusse col piroscafo francese Chantilly 504 pellegrini, vestiti nei loro pittoreschi costumi. Li accompagnavano altri quattro Vescovi e una quarantina di sacerdoti, quasi tutti indigeni.

                Delle rappresentanze, vicine e lontane pochissime ne menzioneremo, quelle solamente di massima importanza. Il Governo argentino incaricò il proprio Ambasciatore De Estrada a rappresentare ufficialmente la Repubblica nella cerimonia. Analogo ufficio il Brasile affidò all'Ambasciatore Magalhaes de Alzevedo. Ma la più alta di tutte fu la rappresentanza del Re d'Italia, perchè affidata da Sua Maestà al Principe Ereditario Umberto di Piemonte. Dopo il 1870 la Casa di Savoia interveniva per la prima volta in forma ufficiale a una celebrazione nella Basilica Vaticana. Il Santo della Conciliazione meritava certamente un tanto onore. Lo stesso Principe comunicò la cosa a Don Ricaldone con il seguente telegramma: Con animo pervaso da sentimenti di profonda commozione e di sincera letizia mi appresto ad assistere domani in rappresentanza di Sua Maestà il Re, alla solenne Canonizzazione, nella Basilica Vaticana, del Beato Don Giovanni Bosco fondatore dell'Ordine salesiano. Nella fausta circostanza tengo ad esprimere questi miei sentimenti a lei, che così degnamente regge le sorti del grande Istituto, del quale mi fu concesso di conoscere ed ammirare la larga e benefica azione svolta in Africa e nelle lontane Americhe. Per le future fortune e per il glorioso progredire dell'Ordine formo i più fervidi voti. UMBERTO DI SAVOIA. La Santa Sede predispose con apposito protocollo il cerimoniale per l'accoglienza di Sua Altezza. [259]

 

A S. PIETRO.

 

                Rare volte, forse mai la Basilica Vaticana vide una letizia pasquale così nuova, così fresca, così impensata come nella Pasqua del 1934. Quella Pasqua terminava il giubileo diciannove volte secolare della Redenzione e celebrava la santità di un apostolo, che della Redenzione aveva recato i benefici a un'infinità di anime.

                Fin dal primo albeggiare una folla cosmopolita moveva da ogni parte dell'Urbe verso S. Pietro. Alle sei fu aperto il passo attraverso gli sbarramenti di armati, che vigilavano gli accessi, frenavano le impazienze e rendevano possibile il controllo dei biglietti; alle sette e tre quarti 60.000 persone erano penetrate nel tempio, che non ne poteva capire un maggior numero. Altre 100.000 almeno sarebbero rimaste fuori. Spettacolo unico al mondo! Gente di ogni condizione, sesso ed età, sacerdoti, chierici, religiosi, suore, studenti, professionisti, operai, signore eleganti e donne del popolo, in una straordinaria disparità d'aspetti, di fogge, di lingue si pigiavano sotto le volte della basilica e sulla più gran piazza del mondo, uniti in un solo palpito con Don Bosco e con Pio XI.

                All'esterno una massa sempre più compatta convergeva l'attenzione verso l'alto della loggia delle benedizioni, sull'immagine del Santo raffigurato nella gloria. Il fatto previsto che tante migliaia di fedeli sarebbero stati costretti a rimanere fuori della chiesa, aveva suggerito l'idea di erigere a destra della gradinata un altare per la celebrazione di Messe all'aperto. Vi celebrarono a un certo intervallo di tempo due neosacerdoti salesiani, ordinati la vigilia dal Cardinale Vicario. Il medesimo fatto consigliò un altro provvedimento. Un robusto steccato, teso dall'uno all'altro colonnato berniniano, divideva in due la piazza. Nello spazio contenuto fra lo steccato e la gradinata, che era mantenuta sgombra, avevano adito i muniti di un “biglietto della piazza”. Visto [260] il numero stragrande di coloro che non avrebbero potuto ricevere il biglietto della basilica, erasi con l'assenso del Pontefice escogitato un tale biglietto di consolazione, con cui procurare almeno un mezzo contento a quante più migliaia di persone fosse possibile.

                Nell'interno alle otto le centinaia e centinaia di lampadari che correvano lungo le arcate, pendevano dalle volte e circondavano l'altare della Confessione, s'illuminarono in un attimo, dando alla basilica un aspetto affascinante. In fondo all'abside la “Gloria,” del Bernini, dove per la beatificazione era stato messo il dipinto che rappresentava il Beato, splendeva in uno sfolgorìo di luci la figurazione della - Santissima Trinità, alla quale nei giorni delle canonizzazioni vanno soprattutto l'onore e la gloria. Sotto la cattedra di S. Pietro sorgeva il trono papale. Da ambo i lati, fino all'altare della Confessione, lunghe bancate attendevano i Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi, i Vescovi e l'alta Prelatura. Sull'altare ornato con semplice magnificenza, splendevano i sei superbi candelabri d'argento cesellati dal Cellini. Sui gradini in cornu evangelii ardeva sopra una monumentale torciera marmorea il cero pasquale. Dall'altra parte, disposti sopra un tavolo, erano i rituali doni della Postulazione. Alle logge della Veronica e di Sant'Elena si vedevano appese le tele raffiguranti i due miracoli, che noi già conosciamo.

                Lungo le colossali pareti si ergevano le tribune. Nell'abside presbiteriale, a destra e a sinistra, le tribune per i Sovrani e i Principi; poi quelle per la famiglia del Papa, per il Corpo diplomatico, per l'Ordine di Malta, per i parenti del Santo, per la Postulazione della Causa, per l'aristocrazia e il patriziato, per speciali rappresentanze e deputazioni.

                Ai due bracci della crociera avevano il loro posto riservato gli alunni degli istituti salesiani e le alunne delle Figlie di Maria Ausiliatrice; in ampi settori i Cooperatori e gli ex - allievi: non meno di ventimila in tutto.

                Quei ragazzi, orientatisi a poco a poco in un ambiente [261] così arcisolenne e resi impazienti dalla lunga attesa, si misero a cantare il Don Bosco ritorna e altri inni salesiani. I gelosi custodi delle tradizioni del sacrosanto luogo tentarono bene di reagire contro una tanto inaudita novità; ma prevedendo la propria impotenza di fronte alla vispa turba dei cantanti, finirono con lasciar correre. In realtà era l'Alleluia pasquale più consono alla circostanza, l'Alleluia della giovinezza, che nella vetusta basilica preludeva all'imminente apoteosi del gran padre dei giovani.

                Al momento dell'illuminazione che dicevamo, le tribune erano al completo. In quelle dei Principi e dei Sovrani avevano preso posto, il Principe Ereditario di Danimarca, Cristiano Federico; la Principessa Anna di Battenberg con due dame di compagnia; l'Arciduchessa Immacolata d'Austria; il Principe Federico Cristiano di Sassonia con consorte e figlio; l'Arciduca Hubert con consorte, accompagnati dai Principi Salm; il Principe Albrecht di Baviera e consorte, accompagnati dalla Principessa Julia di Oettingen - Wallenstein e dalla Contessa Guedelinda di  Preysing con due figli; il Principe Giovanni Giorgio di Sassonia; la Principessa Stefania del Belgio; il Principe Don Pedro di Orléans - Braganza con consorte, il figlio Principe Don Pedro e il loro Ciambellano; l'Arciduchessa Agnese di Absburgo - Lorena; il Principe delle Asturie Alfonso di Borbone con consorte; il Principe Federico Leopoldo di Prussia con due persone del seguito. Questi era neofito. Venuto a Roma per la canonizzazione di Don Bosco e convertitosi al cattolicismo, aveva solo il dì innanzi abiurato il protestantesimo e fatto quella mattina stessa di Pasqua la prima comunione.

                Pochi minuti dopo le otto entrarono il Re e la Regina del Siam con tre Principi Reali e quattro persone del seguito. Su due vetture della Città del Vaticano li aveva accompagnati il Conte Caccia, e condotti nell'appartamento del Maggiordomo, perchè assistessero alla sfilata del corteo papale fino a quando questo stesse per entrare nella basilica. Un [262] picchetto di guardie svizzere fece loro scorta d'onore mentre si recavano alla tribuna per essi riservata. La conoscenza e la stima che i Sovrani Siamesi avevano dei Missionari Salesiani nel loro regno, li resero desiderosi, benchè non cristiani, di onorarne il Santo Fondatore.

                Nell'istesso mentre avveniva all'ingresso della scala Braschi il ricevimento del Principe di Piemonte. Tre squilli di tromba ne annunciarono l'arrivo. Preceduta da una macchina staffetta, giunse la sua automobile, a cui tenevano dietro altre quattro con i membri della sua Casa civile e militare. Umberto di Savoia, in alta uniforme di generale, con il Collare dell'Annunziata e le insegne del supremo Ordine di Cristo, scese, salutò la bandiera della Guardia Palatina che rendeva gli onori militari, e ossequiato da Mons. Nardone, segretario della Congregazione del Cerimoniale, e dal principe Massimo, soprintendente alle poste pontificie[72], accompagnato dal Conte De Vecchi, Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, e seguito dal Comandante della Guardia Palatina, al suono della Marcia Reale, passò in rassegna la compagnia d'onore. Raggiunse quindi l'androne della scala, strinse la mano ai personaggi che gli venivano presentati e scortato dalla Guardia Svizzera e preceduto da un Sergente Maggiore di questa, da quattro bussolanti e da due sediari, si avviò verso l'interno di S. Pietro. Qui l'Arcivescovo Pelizzo, economo della reverenda fabbrica, assistito dai cerimonieri del Capitolo Vaticano, gli porse l'acqua benedetta. Sua Altezza, fatto il segno della Croce, andò attraverso le sale della sagrestia a inginocchiarsi nella Cappella del Coro, dov'era esposto il Santissimo. Dopo breve adorazione passò nella navata centrale, dirigendosi verso la sua tribuna, eretta a pochi passi dal trono papale. La folla, appena riconobbe il rappresentante del Re d'Italia, proruppe in vive acclamazioni. [263]

                Egli rispondeva con la mano sorridendo. Quando fu dinanzi alla Confessione, i giovani gli fecero un'ovazione frenetica. Dalle tribune delle rappresentanze italiane le destre si alzavano al saluto fascista. Nell'abside risonarono gli evviva degli ambasciatori e della popolazione romana. Il Principe, tutto garbo e gentilezza, si volgeva in qua e in là ringraziando, finchè raggiunse la propria tribuna, dove si pose divotamente in ginocchio, curvando il capo fra le mani in atteggiamento di preghiera.

                Mentre il pubblico trovava un diversivo all'attesa nell'osservare il giungere di Principi e di Sovrani e del figlio di Vittorio Emanuele III, la processione che precedeva il corteo papale aveva già fatto del cammino. Soffermiamoci a tratteggiare l'incomparabile teoria.

 

PROCESSIONE E CORTEO PAPALE.

 

                Pio XI con paterno pensiero volle che gli esclusi dalla basilica avessero la soddisfazione di vedere anch'essi qualche cosa... e il Papa; perciò dispose che, diversamente dall'usato, lo sfilamento si facesse con ampio giro dal portone di bronzo per la piazza fino al centro della gradinata e poi... su su verso l'atrio della Basilica. Quante novità in quella canonizzazione! Vi fu ancora un'altra innovazione. L'avanguardia dei cortei papali è formata sempre dai rappresentanti degli Ordini religiosi, che incedono reggendo una torcia accesa. Allora invece tutti costoro, sfilati sulla piazza, e avanzatisi nella Basilica fino alga Confessione, ne uscirono per allinearsi a destra e a sinistra dell'itinerario e così fare ala d'onore al passaggio del Papa, rimettendosi poscia in moto, e formando una specie di retroguardia. Erano Frati della Penitenza, Cappuccini, Mercedari, Minimi, Conventuali, Minori di S. Francesco, Agostiniani, Carmelitani Calzati, Servi di Maria, Domenicani, Monaci Benedettini Olivetani, Cistercensi, Vallombrosani, Camaldolesi, Cassinesi, Canonici [264] Regolari Lateranensi e del Santissimo Salvatore e per eccezione benignamente concessa dal Santo Padre cinquecento Salesiani, rappresentanti di varie Ispettorie e Missioni.

                Al clero regolare seguiva quello secolare: alunni del Seminario Romano, collegio dei Parroci, canonici e teneficiati delle collegiate, poi quelli delle basiliche minori e delle basiliche patriarcali, preceduti dalle storiche Croci e dalle rispettive cappelle musicali che cantavano l'Ave maris stella lungo il percorso e il Regina caeli laetare all'ingresso della Basilica. Perchè l'entrata della processione in 8. Pietro cominciò molto prima che il Papa uscisse dai suoi privati appartamenti.

                Chiudevano questa processione gli ufficiali del Vicariato di Roma, con Monsignor Vicegerente; i consultori, ufficiali e prelati della Sacra Congregazione dei Riti. Subito dopo veniva lo stendardo di Don Bosco. Un applauso immenso e altissime grida di Viva Don Bosco scoppiarono al suo apparire, prolungandosi e moltiplicandosi per tutta la piazza e accompagnandolo fino al suo scomparire entro la basilica. Sorreggevano il telone per antica consuetudine i Confratelli di S. Michele in Borgo e gli facevano scorta d'onore il Rettor Maggiore con il suo Consiglio, il Procuratore generale e Postulatore della Causa don Tomasetti, ed i rappresentanti del clero torinese, del seminario di Chieri e della parrocchia di Castelnuovo; inoltre sei ispettori salesiani reggenti grossi ceri. Sullo stendardo si vedeva, di fronte, Don Bosco sulle nubi, inginocchiato davanti a Maria Ausiliatrice, in atto d'invocarne la protezione sull'Oratorio di Valdocco, dipinto nel piano inferiore; nel retro invece Don Bosco stava in piedi, a mani giunte, in uno sfondo di luce e di azzurro, in cui si profilava la Basilica di S. Pietro e il Palazzo Apostolico. Egli sembrava, come fu scritto proiettato dalla Chiesa al cospetto del mondo intero, modello di perfezione e di santità alle genti, di attaccamento al Romano Pontefice, di fede in Dio e di filiale divozione a Maria Santissima Ausiliatrice. [265]

                Mentre fuori e dentro della Basilica il pubblico era da tre quarti d'ora intento a mirare tutta questa fantastica sfilata, il Papa verso le otto e mezzo, lasciati i suoi appartamenti e accompagnato dalla sua nobile Anticamera ecclesiastica e laica, scortato dalla Guardia Nobile, preceduto e seguito dalla Guardia Svizzera, si recava da prima alla sala dei paramenti, dov'erano convenuti i Cardinali. Quivi, indossate le sacre vesti (stola bianca con manto papale bianco a ricami d'oro, e mitra preziosa), raggiungeva con i Cardinali la Cappella Sistina e dava principio al sacro rito. Amministrato l'incenso e intonato l'Ave maris stella, prese il più piccolo dei tre ceri accesi offertigli dal Cardinale Laurenti; indi, salito in sedia gestatoria, per la Sala Regia, preceduto dalla Cappella papale, scese al portone di bronzo.

                Un plotone della Guardia Nobile, destinato al servizio d'onore presso l'altare papale durante la funzione, uscendo sulla piazza, diede la sensazione che il corteo papale s'avvicinava. La folla si fece silenziosa e attenta. Ecco i sergenti della Guardia Svizzera, seguiti dai Sediarii; ecco i Camerieri d'onore e segreti di cappa e spada soprannumerari, i Procuratori di Collegio, il confessore della famiglia pontificia col predicatore apostolico, i procuratori generali comuni pontifici recanti i triregni e le mitre papali, i chierici segreti, l'avvocato fiscale, gli avvocati concistoriali, i camerieri d'onore e segreti ecclesiastici, i cappellani cantori, i votanti della Segnatura papale, i chierici della Camera Apostolica, gli Uditori della Sacra Romana Rota col Maestro dei Sacri Palazzi; ecco due Cappellani segreti recanti la tiara preziosa usuale e la mitra preziosa usuale del Pontefice, il Decano del Tribunale della Segnatura col turibolo, il Prelato uditore di Rota in vesti suddiaconali colla Croce papale, fra sette accoliti votanti di Segnatura 'con candelieri dai ceri accesi e vicini a lui due Maestri Ostiari di Virga rubrea, due suddiaconi apostolici fra diacono e suddiacono greci; poi i penitenzieri della Basilica in pianeta bianca, preceduti da due chierici [266] sostenenti lunghe bacchette ornate di lauro; poi Abati mitrati, Abati nullius, Vescovi, Arcivescovi, Patriarchi in piviale bianco e mitra bianca. Questi erano ottantatrè, di cui quindici salesiani. Da ultimo ventidue Cardinali, vestiti di tunicella, di pianeta o di piviale, secondochè appartenevano all'Ordine dei Diaconi, dei Preti o dei Vescovi. Finalmente il Papa!

                Alto, sulla sedia gestatoria, sotto ampio baldacchino, al lento ondeggiare dei flabelli, appare come una bianca visione di cielo. Un grido solo multilingue l'accoglie: Viva il Papa! E lo scroscio degli applausi è così fragoroso che quasi copre il suono delle campane e le marcie delle bande militari. Il Papa si avanza, passando lento, sorridente, benedicente la mano sinistra, ricoperta d'un drappo di seta, regge il cero acceso e la destra si alza continuamente in un ampio gesto di benedizione, che sembra voler abbracciare l'universo.

                Al fianco della sedia gestatoria incedono alti personaggi della Corte pontificia; ai quattro lati gli Svizzeri con il morione, la corazza e gli spadoni rappresentano i quattro Cantoni elvetici; segue un altro denso gruppo dì dignitari pontifici. Chiude il corteo un picchetto della Guardia Palatina.

                Il Papa sale la gradinata. Un bel sole lo avvolge nella sua luce, mentre le innumeri voci dei figli non cessano di gridargli il loro affetto. Nella Basilica l'altra folla lo attende ansiosamente: folla di popolo, folla di autorità, folla di giovani. Al comparire del Papa sulla soglia, squillano le trombe d'argento, le cui note sono raccolte e trasmesse nella piazza da potenti altoparlanti. Questa fu un'altra novità, ma ben inferiore a una novità allora più straordinaria, alla trasmissione per radio di tutta la cerimonia, di cui così godettero quanti vollero fino alle ultime estremità della terra.

                Lo stendardo di Don Bosco aveva già sollevato nella Basilica altissime acclamazioni, che si fecero deliranti, quando la cara immagine si mostrò alla turba irrequieta dei giovani addensati nella crociera; ma all'ingresso del Papa, non appena [267] risonarono le prime soavissime note trionfali della marcia del Longhi, tutta la colossale Basilica parve scossa dall'immenso fragore di sessantamila voci che gridavano a pieni polmoni: Viva il Papa! Visibilmente commosso il Papa procedeva maestoso e paterno, rispondendo agli evviva con larghe benedizioni. Calmatosi il primo entusiasmo, l'onda melodiosa delle trombe argentee tornò a dominare l'ambiente, infondendo raccoglimento negli spiriti. Quanti occhi erano umidi di pianto! Come si sentiva la grandezza sovrumana del Vicario di Gesù Cristo! Ora l'attenzione universale, tutta assorta nella sua persona, ne seguiva religiosamente ogni atto.

                Il corteo papale sostò primieramente dinanzi alla Cappella del Sacramento, dove il Santo Padre, disceso dalla sedia gestatoria, si prostrò in adorazione; poi il corteo riprese. Il Santo Padre, raggiunto l'altare papale, discese nuovamente e, genuflesso al faldistorio, pregò alcuni istanti sulla tomba dell'Apostolo. Infine si recò al trono. Qui ricevette l'obbedienza dei Cardinali, che appressandosi gli baciavano la mano; dei Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi, che baciavano la croce della stola posata sulle sue ginocchia; degli Abati col bacio del piede. Nel contempo i cantori eseguivano un Dignare me del Perosi. Assistevano il Santo Padre come Cardinali diaconi gli Eminentissimi Fumasoni - Biondi, Prefetto di propaganda, e Fossati, Arcivescovo di Torino. Dopo questi preamboli cominciò la cerimonia della canonizzazione.

 

LA SOLENNE DEFINIZIONE.

 

                Terminata l'obbedienza, un maestro delle cerimonie condusse al soglio pontificio il Cardinale Laurenti, Procuratore della Causa di Canonizzazione; lo accompagnava l'avvocato concistoriale Giovanni Guasco. Questi, genuflesso, fece istanza al Pontefice in nome del Cardinale Procuratore, perchè si degnasse d'ascrivere il Beato Don Bosco nel catalogo dei [268] Santi. A tale supplica, fatta istanter, rispose a nome del Papa il Segretario dei Brevi ad Principes, Mons. Bacci, dicendo: “Mentre ai giorni nostri con gran plauso di ammiratori si assegna talvolta la palma della vittoria a chi si distingue in cose poco o punto meritevoli di esaltazione, questa celebrazione solenne di un campione del Cristianesimo porta con sè un grave ammonimento ed esempio. Poichè i meriti della santità cristiana sorpassano di tanto la caduca gloria umana, di quanto il cielo supera in bellezza la terra, e i godimenti della felicità eterna la vincono sui miseri diletti di questa vita mortale. Perciò il Santo Padre vivamente desidera che sì solenni cerimonie, le quali vengono ad abbellire quest'anno giubilare ed a moltiplicarne i salutari frutti, abbiano a muovere ognuno non solo a formarsi un concetto più adeguato e più alto della santità, ma soprattutto a incamminarsi per la diritta e ardua via, che alla medesima conduce. Questo si potrà senza dubbio conseguire mediante la canonizzazione di Giovanni Bosco, che è onore d'Italia e di tutta la Chiesa; di quel Giovanni Bosco, che non solamente si adoperò con tutte le forze e con passo di gigante a raggiungere il vertice della perfezione evangelica, ma tanti figli diede pure a Gesù Cristo, massime con la cristiana educazione della gioventù. Quindi la Santità Sua, sebbene brami di accogliere e far paga la domanda che con istanza voi gli avete rivolta e insieme anche i desideri e le suppliche ardenti della innumerevole famiglia del Beato, vuole nondimeno che secondo l'antichissimo costume della Sede Apostolica s'innalzino da noi tutti preghiere alla Corte celeste per il buon esito di questa definizione”. Allora il Cardinale tornò al suo posto e il Papa si pose in ginocchio al faldistorio dinanzi al trono, mentre i cantori intonavano le Litanie dei Santi, alternandole con tutti i presenti genuflessi.

                Dopo le litanie il Santo Padre si assise di nuovo in trono. Allora il Cardinale Procuratore col medesimo cerimoniale e a mezzo dell'avvocato concistoriale rinnovò l'istanza, ma con [269] più insistenza, instantius. Monsignor Segretario dei Brevi ad Principes rispose in nome del Papa: “Non v'è dubbio che le preghiere e le suppliche innalzate alla Corte celeste siano state della massima efficacia, nè vi è da temere che quanto da noi tutti si desidera non sia conforme al desiderio delle schiere degli Angeli e dei Santi; anzi Dio stesso vuole donare alla Chiesa militante questo glorioso modello di santità. Per altro, benchè non rimanga motivo alcuno d'incertezza sul godersi dal Beato Giovanni Bosco in cielo quell'estrema felicità, che egli mediante l'aiuto della divina grazia si meritò con le sue sante opere, nondimeno per mia bocca il Santo Padre fa sapere essere sua volontà che, prima ch'egli pronunci l'infallibile oracolo, tutti gl'impetrino lume a compiere quest'atto con la più scrupolosa cura”. Ritiratosi il Cardinale con l'avvocato, il Papa, deposta la mitra, tornò al faldistorio e il Cardinale che lo assisteva a sinistra, invitò tutti a pregare, dicendo: Orate. Segui una breve preghiera fatta dai presenti inginocchiati. Poi il Cardinale assistente di destra, alzatosi in piedi, pronunciò il Levate, e tutti si alzarono. Allora il Santo Padre, servito da due Vescovi, che sorreggevano il rituale e la candela, intonò il Veni Creator.

                Finito l'inno, il Cardinale Procuratore con l'avvocato andò a fare una terza petizione, questa volta con la più calda istanza, instantissime. Rispose come prima Monsignor Segretario dei Brevi ad Principes: “Nella maestosa imponenza di questa assemblea, che rispecchia lo splendore della Corte celeste e risuona di armonie divine, ecco che noi stiamo per assistere ad un avvenimento che in sommo grado ridonderà a gloria di Dio e a salute delle anime. Il Vicario di Gesù Cristo procederà ormai senza indugio alla tanto sospirata sua infallibile sentenza. Accogliamola prosternati e riconoscenti e impetriamo a noi e alla Chiesa militante le grazie celesti, che oggi certamente piovono più che mai copiose dalle mani di questo beato comprensore”[73]. [270]

                Il momento solenne era giunto. Cardinali, Arcivescovi e Vescovi si alzarono in piedi, tenendo la mitra in capo. Anche il Papa si levò da sedere senza deporre la mitra. Un profondo mistico silenzio regnava non solo nell'abside, ma anche in tutto il tempio; poichè gli altoparlanti avevano fatto udire in ogni angolo quanto era stato detto e cantato. L'infallibile successore di S. Pietro, scandendo gravemente le parole, pronunciò allora questa formula:

                A onore della santa e indivisibile Trinità, a esaltazione della fede cattolica e ad incremento della religione cristiana, con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo matura deliberazione e implorato ripetute volte il divino aiuto e udito il parere dei nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi dimoranti nell'Urbe, decretiamo e definiamo che il Beato Giovanni Bosco è Santo e nel novero dei Santi lo inseriamo, stabilendo che dalla Chiesa universale se ne onori divotamente la memoria fra i Santi Confessori non Pontefici, ogni anno, nel suo dì natale, vale a dire nel 31 gennaio. Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo[74].

                Vi fu un'istante di silenzio pieno d'ineffabile emozione; poi a un tratto il sentimento unanime della folla proruppe in un'acclamazione formidabile, accompagnata da frenetici applausi. Nulla sembrava poter raffrenare più quell'impeto d'esaltazione collettiva. In quell'uragano si coglieva distinto il fascio possente delle voci giovanili, che parevano trapassare le volte del tempio. Dalla piazza faceva eco poderosa la moltitudine ivi accalcata. Le campane della Basilica e delle trecento chiese di Roma sonavano a distesa e annunciavano all'Urbe che Don Bosco era canonizzato. Intanto due colombi viaggiatori spiccavano il volo per recare a Torino, alla Casa Madre, il messaggio del Rettor Maggiore: “Città del Vaticano, I° aprile, ore 10, 15. Alleluia. Il [271] Vicario di Cristo ha proclamato ora Don Bosco Santo. Che Egli benedica Torino, l’Italia, il Mondo. Sac. Pietro Ricaldone”.

                Come si fu calmato l'entusiasmo anche da parte dei giovani, ultimi a rientrare in calma, l'avvocato concistoriale rese grazie in nome del Cardinale Procuratore al Santo Padre e implorò la spedizione delle Lettere Apostoliche. Rispose lo stesso Sommo Pontefice con la parola: Decernimus, lo ordiniamo. Allora l'avvocato, rivoltosi ai Notari Apostolici presenti, li invitò a redigere lo strumento dell'atto di canonizzazione. Il Protonotario rispose: Conficiemus, lo redigeremo; volgendosi poi agl'intimi familiari del Papa circondanti il trono, li chiamò in testimonio dicendo: Vobis testibus. Ciò fatto, il Papa con voce alta e sonora e con slancio quasi giovanile, che rivelava tutta l'intima soddisfazione dell'animo suo, intonò il Te Deum.

                I cantori sotto la direzione del grande Perosi continuarono l'inno del ringraziamento, eseguendo una nuova magnifica composizione del loro Maestro, a otto voci e a due cori. Alternavano i versetti coi presenti nell'abside e col popolo. Fuori, grazie agli altoparlanti, sembrava una cosa sola con l'interno. Dall'alta loggia brillava al sole la “Gloria” del nuovo Santo sulla tela del Crida: Don Bosco sulle nubi era portato dagli Angeli ai piedi di Gesù risorto. Il Redentore levava in alto la destra, invitandolo a entrare nei gaudi celesti dopo avergli rivolto l'Euge, serve bone et fidelis.

                Il pittore aveva ideato felicemente una composizione che richiamasse la tipica celebrazione della grande giornata: la Pasqua, la Redenzione e la glorificazione del Santo.

                Un numero infinito d'anime partecipava in quei momenti al trionfo di Don Bosco, da Roma alla Terra del Fuoco.

                Terminato il canto del Te Deum, il nome del nuovo Santo risonò per la prima volta nell'invocazione Ora pro nobis, Sancte Joannes, intonata dal Cardinale Diacono, e subito dopo sulle labbra del Papa nell'Oremus proprio: “O Dio, [272] che in S. Giovanni Confessore hai fatto sorgere un Padre e Maestro della gioventù e che per mezzo di lui, aiutato da Maria, hai voluto far fiorire nella Chiesa nuove religiose famiglie, concedi, te ne preghiamo, che noi, accesi dal medesimo fuoco di carità, sappiamo cercare anime e a te solo servire”. La cerimonia della canonizzazione era finita. Seguì il Pontificale Papale con la solennità unica e sola della sovrana Basilica. L'orologio di S. Pietro sonava le undici.

 

MESSA E OMELIA DEL PAPA.

 

                Il Papa, sceso dal trono, passò, benedicendo, a un tronetto preparato in cornu epistolae. Di là intonò l'ora di Terza. Gli alunni benedettini di Sant'Anselmo, ai quali era affidata l'esecuzione delle parti variabili della Messa[75], proseguirono la salmodia, mentre Sua Santità, rivestiti i sandali e i calzari, faceva, come tutti i sacerdoti fanno, la sua preparazione. Lo assisteva il Cardinale Granito Pignatelli di Belmonte, Decano del Sacro Collegio; erano pronti per fare da diacono e suddiacono i Cardinali Fumasoni - Biondi e Fossati.

                Dopo il canto di Terza sette prelati accoliti con candelieri accesi, movendo dal trono seguiti da altri prelati che dovevano servire all'altare, girarono processionalmente tutto attorno alla Confessione. Intanto il Papa, aiutato dal Cardinale Verde, ministrante alla Messa, aveva indossato i sacri paramenti, Tosto, preceduto dal turiferario, dal crocifero e dai sette accoliti, dal suddiacono latino, dal diacono e suddiacono greci, accompagnato dai suddetti Cardinali e seguito dai Vescovi Assistenti al Soglio, accedette all'altare per dar principio al santo sacrificio. Si noti che gli altari papali delle grandi basiliche romane, ai quali celebra soltanto il Pontefice, sono situati in modo che egli non volta le spalle al popolo, ma sta a fronte a fronte con esso.

                Il Papa, fatta la confessione e l'incensazione, risalì con [273] il medesimo corteggio al trono maggiore per leggere l'Introito, mentre le Cappella Sistina e pontificia cantava il Kyrie della Missa Redemptionis a otto voci in due cori, nuova creazione del Perosi, ispiratagli direttamente dalla straordinaria circostanza. Il Santo Padre ascoltò quindi il canto dell'Epistola e del Vangelo, prima in latino e poi in greco; la quale ripetizione si fa per indicare, che la Chiesa latina e la Chiesa greca sono intimamente unite. Cantato che fu il Vangelo, il Papa si assise e lesse in lingua latina l'omelia[76].

 

                Venerabili Fratelli e dilettissimi Figli,

 

                In questa Pasqua dell'Anno Giubilare, una duplice letizia si effonde nell'animo Nostro e pervade tutta la Chiesa: mentre infatti oggi solennizziamo la vittoria di Gesù Cristo sulla Morte e sulla Potestà dell'Inferno, ci è dato di porre, quasi a coronamento dell'Anno Santo, che pure ha veduto tanti trionfi della Fede e della Pietà popolare, la solenne canonizzazione del Beato Don Bosco che Noi stessi pochi anni fa, abbiamo annoverato fra i Beati, e che ancora lo ricordiamo con sommo piacere - nel lontano tempo della nostra gioventù ci fu di conforto e di stimolo nei nostri studi, e di ammirazione profonda per le grandi opere compiute e per le sue eminenti virtù. Con vera trepidazione Noi ci accingiamo oggi a tratteggiare questa grande figura di Santo e di Apostolo della gioventù; tuttavia non possiamo a meno di indicarvi, o Venerabili Fratelli e diletti Figli, quelle che ci sembrano le linee caratteristiche della sua vita meravigliosa.

                Dedito interamente alla gloria di Dio e alla salute delle anime, Egli non si arrestò davanti all'altrui diffidenza; ma con arditezza di concetti e con modernità di mezzi, si accinse all'attuazione di quei nuovissimi propositi che, per quanto sembrassero temerari, egli, per superiore illustrazione, conosceva essere conformi alla volontà di Dio. Vedendo per le vie di Torino innumerevoli schiere di giovani abbandonati a se stessi e privi di ogni assistenza, Egli cercò di trarli a sè, di conquistare i loro animi con la sua parola persuasiva e patema e, unendo al diletto dei divertimenti onesti l'insegnamento della religione e dei rudimenti della scienza, colla frequenza dei Sacramenti, cercò di renderli buoni cristiani ed ottimi cittadini. Ed ecco sorgere gli Oratori festivi, che Egli fondò non solo a Torino, ma altresì nei paesi e città vicine, e dovunque estese le sue provvidenziali istituzioni, che tanto bene operarono e operano in mezzo ai giovani.

                Volendo inoltre provvedere alla gioventù un mezzo onesto e sicuro [274] con cui farsi una posizione nella vita, istituì le scuole di arti e mestieri per la classe operaia; e per le classi più alte, fondò Collegi dove tanti studenti vengono accolti, educati e incamminati con giusta larghezza e sicurezza di metodi nella via del sapere. Il segreto per cui il suo sistema educativo ottenne frutti così copiosi e meravigliosi, è tutto qui: egli attuava quei principi che si ispirano al Vangelo, che la Chiesa Cattolica ha sempre raccomandato e che Noi stessi tante volte e in tante occasioni abbiamo tracciato e inculcato. Egli mirava a formare nei giovani il cittadino e il cristiano, il perfetto cittadino degno figlio della patria terrena, il perfetto cristiano meritevole di divenire un giorno membro glorioso della patria celeste. Per Lui, l'educazione non deve essere soltanto fisica ma soprattutto spirituale, non deve limitarsi a rafforzare i muscoli con gli esercizi ginnastici, a corroborare le forze corporee col sano esercizio delle medesime, ma deve soprattutto esercitare e rafforzare lo spirito disciplinandone i moti incomposti, fomentandone le tendenze migliori e tutto dirigendo verso una idealità di virtù, di probità e di bontà. Educazione, quindi, piena e completa che abbracci tutto l'uomo, che insegni le scienze e le discipline umane, ma che non trascuri le verità soprannaturali e divine.

                Questo còmpito, tanto delicato e arduo, il nostro Santo non soltanto cercò di attuarlo con ogni mezzo durante il corso della sua vita, ma lo affidò altresì, come una sacra eredità, alla numerosissima Famiglia religiosa da Lui fondata, alla quale affidò pure il còmpito di portare a tanti popoli giacenti ancora nelle tenebre dell'ignoranza e dell'errore, la luce del Vangelo e della civiltà cristiana.

                E davanti alle difficoltà di ogni genere, davanti alle irrisioni e agli scherni di molti, Egli, sollevando i suoi occhi luminosi verso il Cielo, era solito esclamare: “Miei fratelli, questa è opera di Dio, è volontà del Signore: il Signore è quindi obbligato a dare gli aiuti necessari”.

                Gli avvenimenti mostravano, poi, la verità delle sue parole, tanto che gli scherni si cambiarono in ammirazione universale.

                Abbiamo tracciato, venerabili Fratelli e dilettissimi Figli, nelle principali linee, la vita meravigliosa di questo eroe della Santità. Vi esortiamo ora a lasciarvi tutti ispirare all'ardente imitazione delle sue virtù. In tal modo, infatti, abbiamo fiducia che tutti potremo conquistare quelle virtù dello spirito che Gesù Cristo ci ha arrecato con la Sua Redenzione e per cui tutti gli uomini, quindi, uniti in una sola famiglia, potranno innalzare con noi il Cantico pasquale: “Affinchè tu sia, o Gesù, gaudio perenne alle nostre anime, libera, te ne preghiamo, dalla morte del peccato coloro che hai fatto rinascere alla Vita.

                Così sia. [275]

                All'omelia seguì la benedizione papale, a cui era annessa l'indulgenza plenaria per tutti i presenti; fu quindi necessario premettere il Confiteor. Lo cantò il Cardinale diacono ministrante, inserendovi la doppia menzione dei nuovo Santo dopo i nomi degli Apostoli Pietro e Paolo: Confiteor... Sancto Joanni e precor... Sanctum Joannem. Appresso con voce sicura, ma vibrante di commozione il Papa intonò il Credo, la cui esecuzione perosiana rapì le anime.

                Ed ecco poi due originalissime cerimonie, che attrassero la curiosità di quanti poterono vederle. Prima di versare il vino e l'acqua nelle ampolline, un Prelato assaggiò un po' dell'uno e dell'altra; parimenti consumò due ostie, dopo averle messe a contatto una con la patena e l'altra con l'interno del calice. É questo un vecchio rito rimasto nella liturgia papale, ricordo di tristi tempi, nei quali la prudenza voleva che si prendessero precauzioni contro sacrileghi attentati.

                Venne poi la singolare cerimonia delle oblazioni. All'Offertorio i Cardinali Pignatelli, Hlond e Dolci si accostarono all'altare papale, dove li attendevano Don Ricaldone e Don Tomasetti con i rappresentanti del Capitolo metropolitano torinese, del seminario di Chieri e della parrocchia di Castelnuovo e con gl'incaricati di portare i doni rituali. Consistono questi in cinque grosse candele di cera vergine ornate dello stemma papale, due grandi pani, un bariletto di vino e uno d'acqua, due gabbie dorate contenenti la prima due tortore, la seconda due colombi, e una terza argentata che racchiudeva alcuni graziosi uccellini. In piccolo corteo tutti i menzionati si appressarono al trono, mentre la Cappella eseguiva un bellissimo Oremus pro Pontifice nostro Pio del Perosi. Le offerte furono presentate al Papa per le mani dei tre Porporati. Naturalmente questi doni sono simbolici. 1 sette ceri raffigurano i Santi, vere lampade del Santuario, che illuminano il mondo con lo splendore delle loro virtù; i pani richiamano [276] l'Eucaristia, il vino simboleggia il calore della carità, l'acqua rammenta le tribolazioni che travagliano la vita dei giusti, e i volatili esprimono alcuni requisiti della santità: le tortore la purezza del cuore, i colombi la fedeltà a Dia, gli uccelli il distacco dai beni della terra sulle ali delle celesti speranze.

                Dopo le oblazioni gli offerenti tornarono presso l'altare, mentre il corteggio papale vi riaccompagnava il Pontefice per il proseguimento della Messa. Al Prefazio i due Cardinali più giovani dell'Ordine dei Preti, gli Eminentissimi Serafini e Dolci, con la torcia in mano, salirono i gradini dell'altare e vi si posero ai lati fino al Pater noster, per raffigurare i due Angeli apparsi sul sepolcro del Signore ad annunciare la gloriosa Risurrezione.

                Momento sublime fu quello della Consacrazione. Come i cantori ebbero terminato il Sanctus, secchi ordini d'“attenti” passarono al plotone della Guardia Nobile schierata a fianco dell'altare e agli altri reparti armati distribuiti nella chiesa; acuti squilli di tromba echeggiarono dalla piazza, che davano lo stesso avviso alle truppe vaticane e italiane colà disposte. Gli altoparlanti diffondevano intanto dentro e fuori la melodia incomparabile del Largo del Silveri, sonato dalle trombe d'argento. Mentre poi il Papa si accingeva a proferire le sacramentali parole, la Guardia Nobile piombò in ginocchio. Allora si produsse un fatto d'inesprimibile grandezza: tutto un popolo prosternato e assorto in un identico pensiero di fede adorava in un silenzio così assoluto, che lo spirito si sentiva quasi oppresso; tutti gli sguardi stavano tesi all'altare; il clero officiante e assistente era unito in preghiera col Papa. Il Vicario di Cristo a due riprese si curva sulla mensa e consacra prima il pane, poi il vino; dopo ogni consacrazione, solleva l'Ostia, solleva il Calice, volgendosi a destra e a sinistra per presentarli all'adorazione dei fedeli. Nell'immensa folla il silenzio dura profondissimo fino all'Agnus Dei, quando il Papa si stacca dall’altare. [277]

                Al Per omnia prima del Pater non fu risposto Amen, ma il Pontefice cantò subito l'orazione domenicale, come prescrive la liturgia papale della Pasqua. Detto l'Agnus Dei, egli ritornò al trono, dove si pose in ginocchio e aspettò tutto raccolto la Comunione. Il Cardinale diacono ministrante, rimasto sulla predella, consegnò al Prelato suddiacono ministrante, l'Ostia consacrata, posta sulla patena e fermata con l'“asterisco”, specie di gancetto a forma di stelletta. Il suddiacono mosse processionalmente verso il trono, dove aspettò il Cardinale recante il Calice. Il Santo Padre adorato profondamente l'augustissimo Sacramento, si rizzò e si comunicò da sè con entrambe le sacre specie, prendendo dell'Ostia solo una parte e una parte soltanto del Sangue con una cannuccina d'oro. Dopo alcuni istanti di raccoglimento comunicò con l'altra parte dell'Ostia il Cardinale diacono e il Prelato suddiacono, i quali fecero ritorno all'altare con la patena e il calice. Là il primo sorbì col cannello parte del Sangue rimasto e il secondo assunse il resto direttamente dal calice. Intanto la Cappella finiva di cantare il celestiale Agnus Dei perosiano.

                Il Papa, presa l’Abluzione offertagli in un calicetto dal Cardinale Vescovo assistente, accedette per l'ultima volta col suo corteo all'altare e terminò la Messa con le orazioni e la benedizione finale. Dopo di ciò, mentre egli faceva il ringraziamento, tre Canonici della Basilica vaticana dalla loggia della Veronica esponevano fra doppieri accesi alla venerazione dei fedeli le insigni reliquie della Passione custodite in S. Pietro: il ferro della lancia che trafisse il costato di Gesù morto, un notevole frammento della vera Croce e il velo della Veronica. Quando dall'interno della loggia un argentino tintinnio di due campane indicò la fine dell'ostensione, il Papa si apprestò all'ultimo atto di tutte quelle sublimi cerimonie, alla benedizione dalla loggia esterna di S. Pietro. [278]

 

URBI ET ORBI”.

 

                La consuetudine antica che il Papa benedicesse dalla loggia esterna di S. Pietro Urbi et Orbi nella solennità di Pasqua e in poche altre specialissime occasioni, era stata interrotta dopo il 1870. Pio XI nel giorno in cui fu eletto, quasi preludendo alla Conciliazione avvenuta sette anni dopo, aveva voluto impartire di lassù la sua prima benedizione, anzichè dalla parte interna della Basilica, come erasi fatto dai suoi tre ultimi predecessori; e questo ripetè nella Pasqua del 1934.

                Finita dunque la Messa, egli assunse il triregno e salì sulla sedia gestatoria. Avanti però che questa fosse levata sulle spalle dei sediari, il Cardinale Pacelli, Arciprete della Basilica, si accostò al Santo Padre e gli porse una borsa di seta orlata d'oro e contenente una somma che corrispondeva a venticinque giulii[77] pro Missa bene cantata, gli disse. Era la tradizionale limosina della solenne Messa papale.

                Il corteo si avviò. Precedevano i Cardinali fiancheggiati, come già al venire, da Guardie Svizzere. Attorno alla sedia gestatoria andavano la Nobile Anticamera e i maestri delle cerimonie. La folla, tutta rivolta alla navata centrale, rinnovò le dimostrazioni di amore e di fede al Vicario di Gesù Cristo con un entusiasmo che dava le vertigini. Il Papa ne fu sì commosso, che, giunto sulla soglia del tempio, fece girare la sedia gestatoria e contemplando il magnifico spettacolo benedisse e salutò i suoi figli. L'eco delle acclamazioni lo seguì poscia, mentre egli si recava ne' suoi appartamenti.

                La Basilica prese subito a sfollarsi; quelli che uscivano, riempirono lo spazio tenuto dalle milizie sgombro per tale effetto sulla gradinata. Intanto, appena cessato il suono delle [279] trombe d'argento, il Principe Ereditario si era ritirato nel Palazzo Apostolico, donde assistere alla benedizione; prima egli aveva fatto pregare Don Ricaldone di riserbare per lui la gabbia degli uccelletti. Anche i Reali del Siam furono accolti col seguito in un appartamento del Vaticano. 1 Principi, il Corpo Diplomatico e le Autorità vi ebbero pure i loro posti riservati.

                Purtoppo al bel sole del mattino era succeduto il temporale con un rovescio di pioggia. Ma la folla lasciava piovere e nessuno si moveva; l'attesa non fu lunga. Appena le vetrate della loggia si dischiusero, un'ovazione immensa, formidabile, interminabile scoppiò come un uragano. L'orologio di S. Pietro sonava la mezza dopo le tredici, quando, preceduto dalla Croce astile, circondato da Porporati, vestito ancora degli abiti pontificali e coronato del triregno, il Papa apparve sulla sedia gestatoria, sormontata dal baldacchino, tra i candidi flabelli piumati. Chi non vide, non immaginerà il fremito di entusiasmo che pervase allora la sterminata moltitudine. Erano applausi, grida, acclamazioni e lacrime.

                La sedia gestatoria venne deposta sur un podio nel vano dell'arcata, sicchè la figura del Papa era visibile a tutti. Con ambe le mani egli fece un gesto di paterno saluto. Poi i cerimonieri domandarono con cenni un po' di silenzio. La folla tacque, raccolta come in chiesa. Riprodotta dagli altoparlanti, la voce del Santo Padre risonava solenne fino alle più remote estremità della piazza, mentr'egli proferiva le parole dell'assoluzione e pronunciava la formula della benedizione: benedizione che, varcando i limiti del gran quadro presente, andava ai figli della Chiesa sparsi su tutta la faccia della terra. Tosto si leva un grido che sembra dover squarciare le nubi. Il Papa si arresta ancora un istante a guardare sorridendo e salutando. Finalmente la visione scompare. Il campanone di S. Pietro con ampi e fragorosi rintocchi riempie di letizia l'aria piovosa; gli rispondono osannanti le cento e cento campane di Roma. [280]

                Tutto è finito, ma Don Bosco è Santo. La marca umana si mette in moto, si divide, si dilegua. Dall'arco della sagrestia sbucano e si rincorrono macchine e macchine, che portano via Sovrani, Principi, Cardinali, Autorità. Alla macchina del Principe Umberto Don Ricaldone aveva fatto pervenire la desiderata gabbia argentea, i cui canori inquilini avrebbero recato alla Reggia l'eco della canonizzazione di Don Bosco.

                A sera le basiliche e le chiese romane erano illuminate a luce elettrica: solo S. Pietro rimaneva nell'ombra. Il cattivo tempo aveva impedito l'accensione delle fiaccole. Lo spettacolo dell'illuminazione fu differito al giorno seguente. Noi l'abbiamo già descritto.

                All'Oratorio di Valdocco superiori e alunni, Cooperatori ed ex - allievi, raccolti nel teatro e nella chiesa di S. Francesco o sparsi per i cortili, avevano potuto seguire tutta la funzione per mezzo di parecchi altoparlanti. Lo stesso avvenne in ogni casa salesiana. I colombi messaggeri dovettero fare viaggio ben fortunoso, dato anche il pessimo stato dell'atmosfera. Uno solo giunse alle sedici del due aprile; aveva le zampine tutte coperte di fango. L'altro fu trovato in una campagna del Lucchese, ferito in un'ala da pallini di schioppo. Colui che disse d'averlo trovato, rinvenne il tubettino contenente il messaggio e lo spedì al Direttore dell'Oratorio, secondochè indicava l'indirizzo[78].

                Della canonizzazione vi fu chi volle cogliere e fermare il minuto preciso, in cui il Papa aveva pronunciato il Sanctorum catalogo adscribimus e ne diede comunicazione al Rettor Maggiore, scrivendogli il 14 maggio: “Il giorno della Canonizzazione di Don Bosco, assistei commosso alla funzione per mezzo della radio, ed ebbi l'idea di prendere l'ora esattissima [281] nella quale il Santo Padre pronunciò la formula. Al momento che la terminò erano le 10, 6”. Chi così scriveva era il celebre Padre Guido Alfani delle Scuole Pie, Direttore dell'Osservatorio Ximeniano di Firenze.

 

DON RICALDONE AI SALESIANI.

 

                Prima che fosse trascorsa la trionfale giornata, Don Ricaldone aveva pronta la sua parola da inviare a tutti i Salesiani. Egli comprendeva benissimo che le notizie recate dalla stampa non potevano appagare i loro cuori, ma che ad essi avrebbe fatto gran piacere il ricevere una parola intima da parte del Successore di Don Bosco. Egli dunque si die' la massima premura di far pervenire alle Case salesiane questo suo scritto.

 

                Pasqua del 1934:

                O dies felix memoranda fastis!

                Giorno benedetto, di gloria suprema, di gioia ineffabile!

                Don Bosco è Santo!

                Dalla Cattedra infallibile di Pietro, il Santo Padre Pio XI l'ha proclamato. Tutta la Cristianità ha esultato in uno slancio di venerazione. Gli annali della Chiesa e gli annali della Società Salesiana hanno registrato la data gloriosa a caratteri d'oro.

                Presagita e quasi pregustata dai contemporanei del Santo, la gioia di questo giorno ci verrà invidiata per sempre dai posteri.

                Gaudeamus omnes in Domino diem festum celebrantes sub honore Sancti Joannis: rallegriamoci tutti nel Signore, celebrando la canonizzazione del nostro amato Padre Don Bosco.

                Il nostro giubilo non potrebbe essere nè più ragionevole, nè più santo.

                Ma, mentre il nostro cuore sussulta di gioia nel vedere solennemente riconosciuta dalla Chiesa le santità del Padre, ed i nostri occhi contemplano l'amabile figura del Santo, sorto davvero, tra gli altri santi uomini suscitati da Dio, come gigante a percorrere la sua via: qui inter suscitatos sanctissimos viros vere surrexit sicut gigas ad currendam viam, il nostro spirito, scandendo le vie del firmamento, si trasporti nella celeste Gerusalemme dove, in un mare di luce, San Giovanni Bosco rifulge come un sole, sicut sol... in perpetuas aeternitates, per tutta l'eternità.] Là infatti, dove ogni astro si distingue dagli altri astri, omnis stella... a stella differt in claritate, noi potremo cogliere [282] la caratteristica della sua santità, apprezzarne i frutti ed ammirarne il premio peculiare che Iddio gli ha conferito.

                t vero che l'essenza della santità altra non può essere se non quella stabilita dal Santo dei Santi, e cioè l'amore di Dio e l'amore del prossimo: due amori che si compenetrano in guisa da formarne uno solo. Su questi due basilari precetti poggia qualsiasi edificio di perfezione cristiana, dall'ordinaria all'eroica. Ogni Santo però attua il duplice comandamento della carità unica, secondo la individuale missione ricevuta da Dio. Per San Giovanni Bosco il diliges Dominum Deum tuum e il diliges proximum si tradussero nella formula: Lavorare per la gloria di Dio e per il bene delle anime; e lavorò per questa gloria e per questo bene con una vita intensa di fede e di zelo.

                La fede, che di ogni santità è fondamento, fu, senza dubbio, lucerna a' suoi passi, secondo l'espressione del Salmista. Nella luce della fede la sua mente s'inebriava alla contemplazione delle verità rivelate e la sua volontà si moveva nelle direzioni che erano conformi al beneplacito divino. Quindi o parlasse o scrivesse o agisse, il suo spirito non oscillava mai fra Dio e il proprio io, fra il cielo e la terra, fra l'eterno e il temporaneo, fra il dovere e il piacere, ma si slanciava issofatto dalla parte di Dio, Padre e Signore assoluto, donde pigliava la nonna sicura con cui regolarsi in tutto che avesse ragione di relativo e terreno. Intendo dire che in nulla egli cercò se stesso, il suo comodo, la sua soddisfazione, il suo tornaconto; ma spese tempo, energie e sforzi per servire nel miglior modo possibile il Signore, lavorando nel campo assegnatogli dalla Provvidenza.

                E il suo campo specifico fu la salvezza della gioventù mediante l'efficacia della cristiana educazione. Prodigò bensì il suo ministero a vantaggio di quante anime o per sè o per mezzo de' suoi, figli gli fu dato di avvicinare; ma le anime giovanili occuparono prevalentemente i suoi pensieri di apostolo. Dio solo sa quanti e quali sacrifici egli s'impose per andar in traccia dei giovani più bisognosi di cure sacerdotali, o per metterli al riparo da pericoli d'ogni genere che ne insidiavano la virtù, o per circondarsi di validi e numerosi ausiliari che gli prestassero mano in opera sì vasta e provvidenziale. Sonno, cibo, salute, tranquillità di vita, tutto egli sacrificò, nel sovrano intento di zelare per ogni verso il bene della gioventù.

                Quelle che appaiono comunemente le caratteristiche della santità di Don Bosco, cioè la sua abituale unione con Dio, la sua calma imperturbabile in qualsiasi evento, la sua paternità senza confini, la sua operosità che non diceva mai basta, di qui traevano origine, dalla sua carità ardente, che, animata da viva fede, gli faceva anteporre, a tutti e a tutto, Dio e gl'interessi di Dio.

                Ora una santità così genuina e così eminente non poteva non produrre frutti adeguati, ed ecco una seconda osservazione sulla quale è bene soffermarci. Quando nel cristiano si uniscono buon volere e [283] grazia divina, allora nascono le azioni veramente virtuose; ma se poi il cristiano è anche un Santo, un uomo cioè che spinge fino all'eroismo la corrispondenza sua agli ausili dell'alto, allora è come una gara fra il Creatore che dà e la creatura che fa, e sorgono le forme più grandiose di attività benefiche e perenni in seno alla Chiesa.

                Un primo frutto della santità di Don Bosco è Don Bosco stesso, quella personificazione cioè di ogni più eletta virtù che i testimoni oculari riscontrano in Lui e che i documenti storici attestano in larga misura. “Don Bosco sembra Nostro Signore”, dissero, come mossi da soprannaturale intuito, giovanetti ingenui e confermarono, per naturale osservazione, uomini fatti. E, se l'affetto filiale non ci fa velo, saremmo portati a dire ch'egli, nelle sue varie età, abbia realmente raggiunto, per quanto, vien dato alla umana fralezza, tutto il grado di perfezione che gli anni e gli uffici in lui comportavano.

                L'altro frutto della santità di Don Bosco è poi questo prolungamento di se stesso che noi vediamo, la somma cioè delle opere che vivono tuttodì nel suo spirito. Partendo dalla terra, la santità di Don Bosco ha lasciato dietro di sè un complesso di creazioni, nelle quali ha trasfuso il suo alito vitale e che sono destinate, come ogni cosa viva, a crescere e a moltiplicarsi, adattandosi all'indole dei tempi, alla condizione dei luoghi, al carattere dei popoli. Chi per poco conosca le opere di San Giovanni Bosco, sa quanto sia ognora feconda la sua santità.

                In terzo luogo, quali sono per Don Bosco i premi di tanta santità? Non ci limiteremo certamente a dire che la virtù è premio a se stessa e che quanto più essa è grande, tanto maggiore è il godimento che fruisce chi la pratica. Questo è vero e risaputo: lo proclamarono, sebbene in modo esclusivo, anche i seguaci di una scuola filosofica pagana. La testimonianza della buona coscienza è fonte di intima contentezza, che compensa a usura le pene cagionate dalla forza delle cose o dalla malizia degli uomini. Don Bosco godette questo premio della santità; egli pure sperimentò la felicità degli Apostoli, che ibant gaudentes allorchè digni habiti sunt pro nomine Jesu contumeliam pati. La santità fa del patire una prova di amore, e per chi ama, soffrire è godere.

                Gran premio questo della santità, e non solo per tal effetto immediato, ma perchè contribuisce immensamente ad aumentare il merito di un premio assai maggiore, il merito di quell'alto premio che Iddio tiene riserbato in Paradiso a' suoi eletti. E tutta la vita dei Santi converge qui, a tesoreggiare per il Cielo. Se non sarà senza premio nemmeno un bicchiere d'acqua fresca dato per amor di Dio a chi è arso dalla sete, chi può commisurare il guiderdone eterno di una vita come quella di Don Bosco, consumata tutta nel più puro olocausto di sè tra le fiamme della carità? Certo non sorprese nessuno la notizia che, al momento della morte di Don Bosco, anime care a Dio e [284] ignare del suo transito vedessero, per divina concessione, l'ingresso di Lui nella gloria come un trionfo di solennità senza pari.

                Ma Dio, giusto rimuneratore, va ancora più oltre nel ricompensare la santità. I Santi, che tanto fecero e patirono per la sua gloria accidentale, sono da Lui coronati di una particolare aureola, che richiama su di loro l'ammirazione, la venerazione, e l'imitazione dell'umanità. Il culto tributato ai Santi colloca questi eroi sul trono più splendido che vi sia, sul sacro altare nel tempio di Dio, e dinanzi a loro la pietà s'inchina, mentre l'eloquenza ne tesse le lodi, la storia ne tramanda le grandezze e l'arte ne abbellisce il ricordo. L'umile, il povero, il tribolato Don Bosco eccolo oggi, dalla divina munificenza, per mano della Chiesa, glorificato in faccia a tutto il mondo.

                Ora io vorrei che riflettessimo bene a una cosa. Magnificare la santità di Don Bosco nelle sue caratteristiche, ne' suoi frutti, ne, suoi premi è un bisogno del nostro cuore prima ancora che un obbligo di gratitudine. Ma non fermiamoci qui; domandiamoci invece: dove stette il segreto di santità sì eccelsa? Io non esito ad affermare che dobbiamo cercare questo segreto nella sua costante corrispondenza alla Grazia. Fin da piccolo rivelò una sensibilità squisita agl'influssi soprannaturali che lo sospingevano alla preghiera e ai sacramenti, alla fuga del peccato, a soccorrere spiritualmente e corporalmente il prossimo; nel periodo degli studi ebbe il cuore staccato dalle cose della terra e rivolto tutto a secondare ispirazioni che non gli venivano certo dalla carne e dal sangue; nelle contingenze svariatissime del suo ministero sacerdotale e nelle molteplici imprese a servizio della Chiesa e delle anime guardò costantemente in alto al Padre dei lumi e al Datore d'ogni dono perfetto, null'altro premendogli che di obbedire ai superni impulsi. Era in Lui una cura assidua di non lasciar cadere invano la menoma grazia di Dio.

                Ecco un punto che merita di richiamare tutta la nostra attenzione dinanzi alla santità di Don Bosco glorificata. Grazia grande è stata per noi la vocazione alla vita cristiana, grazia destinata a essere seguita da una catena d'infinite altre, ma subordinatamente alla fedeltà della nostra corrispondenza. Non lasciamo cadere invano la grazia di Dio: sarà questo il frutto più prezioso di tanta festa.

 

 

CAPO XIV.

A Roma dopo la canonizzazione.

 

                NEI  tre giorni successivi alla Pasqua di Don Bosco tre fatti si aggiunsero ad accrescere la gloria del nuovo Santo: gli onori del Campidoglio, un'udienza pontificia di forma insolita, e un duraturo omag­gio di gratitudine al Papa. Intanto nella Basilica del Sacro Cuore si svolgeva con grandiosità romana il triduo che di regola si celebra nell'Urbe subito dopo una canonizzazione.

 

GLI ONORI DEL CAMPIDOGLIO.

 

                Il colle capitolino, che, onusto di storia, aveva visto trionfi di guerrieri e coronazioni di poeti, non era mai stato testimonio della glorificazione di Santi. Prima del 1870 la cosa andava da sè: il Papa, benchè anche sovrano civile, non sentiva alcun bisogno di rendere a novelli Santi onori diversi da quelli tributati loro nel massimo Tempio della Cristianità. Dopo il 1870 la stessa cosa si comprende ancora meglio: stante il dissidio che divideva i due poteri nella capitale del mondo cattolico, a nessun Governo poteva mai venire l'idea di glorificare civilmente un Santo, per Italiano e grande Italiano che egli fosse. Ma tempora mutantur, nos et mutamur in illis. Dall'11 febbraio del 1929 l'Italia era cominciata a essere un'altra. Essa aveva ricuperata la sua [286] unità spirituale, vera anima della sua unità politica, e l'aveva ricuperata quale si conveniva a una nazione interamente cattolica. In ambiente così rinnovato niente di più naturale che lo Stato apprezzasse l'onore derivato alla patria dalla glorificazione mondiale di un Santo come Don Bosco, tanto più essendo cosa risaputa quanto Don Bosco in tempi difficilissimi si fosse mostrato saggio e operoso fautore di quella Conciliazione, che doveva creare nel paese un clima nuovissimo. Il Capo del Governo fu il primo a intuire l'opportunità che lo Stato non solo non fosse assente, ma intervenisse con tutto il decoro del Regime Fascista. Ecco perchè a chi proponeva per le onoranze pubbliche l'Augusteo, Mussolini rispose che per Don Bosco ci voleva il Campidoglio e dichiarò che egli stesso ci si sarebbe trovato.

                Nel pomeriggio dunque del 2 aprile una grande animazione andava intensificandosi su per lo storico colle. Pendevano dai balconi arazzi e drappi delle maggiori occasioni. Il salone di Giulio Cesare destinato alla cerimonia era severamente addobbato con i colori dell'Urbe; piante ornamentali di raro pregio rallegravano gli sguardi. Presso il tavolo della presidenza stavano disposti i seggi per il Duce e i Gerarchi, di fianco vi erano quelli per i membri del Sacro Collegio, che avrebbero onorato l'adunanza.

                La vasta sala si affollò molto per tempo; la riempi un pubblico - vario e sceltissimo. Vi entrarono solamente gl'invitati con particolare biglietto del Governatore di Roma. Vennero il Presidente del Senato, Federzoni, con la consorte; il Presidente dell'Accademia d'Italia, Marconi, con la signora; il Nunzio Pontificio presso il Quirinale, Borgoncini Duca; il Ministro Ercole dell'Educazione Nazionale; il Duca del Mare, Grand'Ammiraglio Thaon di Revel; e poi accademici, senatori, deputati, generali, i podestà di Torino e di Castelnuovo, Prelati e Autorità della Città del Vaticano, Vescovi e Capi o rappresentanti di Ordini religiosi e monastici. Quando già l'eletta assemblea era al completo e offriva un [287] colpo d'occhio magnifico, fecero il loro ingresso da una sala attigua cinque Cardinali ammantati della porpora: Pietro Gasparri fregiato del Collare dell'Annunziata, Enrico Gasparri, Fumasoni - Biondi, Fossati e Hlond. Si unì con essi il Principe Chigi, Gran Maestro del sovrano Ordine di Malta.

                La cerimonia doveva aver inizio alle sedici: a quell'ora in punto comparve il Duce, salutato da lunga e fervida dimostrazione di omaggio. Accanto a lui presero posto, fra gli altri, il Governatore di Roma, Principe Boncompagni, il nostro Rettor Maggiore Don Ricaldone e l'Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Conte De Vecchi, oratore ufficiale. Questi, appena cessata l'ovazione, si alzò a leggere il suo discorso, che fu ascoltatissimo dal principio alla fine. Egli impostò a questo modo il tema: “Don Bosco è un Santo italiano ed il più Italiano dei Santi. Lo sente suo tutto un popolo, e tuttavia il grande spirito è onnipresente nel mondo, cosicchè questa perfezione italiana diventa per lui romanità. La sua glorificazione religiosa è avvenuta in una forma di fasto e di solennità nuovissima nei diciannove secoli di vita della Chiesa, e l'Italia vi ha partecipato come non mai. La pienezza del magistero divino trova oggi la sua estensione negli onori del Campidoglio, decretati dal Governo Fascista a questo Santo. La sua santità oggi darebbe da sola, per il carattere che la distingue, un diritto di ospitalità in quest'altissima sede, ma egli sarebbe un grande Italiano anche senza gli attributi della santità; di qui la cittadinanza in Campidoglio”.

                In seguito, dopo aver osservato che “Don Bosco non perde, ma guadagna in grandezza se guardato sulla terra e fra gli uomini donde ebbe origine, se considerato operante tra le figure della storia del suo tempo, non come sintesi del passato e come vivente nella storia di allora, ma come divinatore, seminatore, costruttore di futuro”, ricordò gli umili natali del Santo e descrisse con animo ancora commosso la povera casetta ch'egli aveva avuto la gioia di visitare. Passò [288] quindi a ritrarlo sullo sfondo storico del Risorgimento, analizzandone la costituzione morale per rilevarne gli elementi caratteristici della sua terra di Monferrato e le influenze particolari dei tempi e dell'ambiente, in cui visse e dispiegò la sua opera multiforme. Nelle prove e nei contrasti fra cui il Santo si aperse il cammino, l'oratore rintracciò le vie della Provvidenza, che lo andava attrezzando alla sua grande missione; e di questa illustrò soprattutto l'influenza politica nel temperare i rapporti fra Chiesa e Stato durante il periodo più arduo dell'unità italiana. “Per lui, disse il De Vecchi, non esistette neppure nell'ora più tetra e più difficile un non colmabile abisso fra lo Stato e la Chiesa, fra la Patria e Dio”. Con questa convinzione Don Bosco procedette nel servizio della Chiesa e dello Stato, confortando Pontefici e Vescovi, illuminando e pacificando gli animi dei fedeli, inclinando uomini di Governo a sentimenti conciliativi, coordinando nella gioventù che educava i due grandi amori della Religione e della Patria. Nè omise di far notare come tale spirito conciliativo sia sempre l'anima anche della sua Congregazione, suscitata da Dio, come aveva detto Pio IX, “perchè si vegga e vi sia modo di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare”. Di qui “la sua affermazione e meravigliosa fioritura anche in tempi estremamente difficili”. Su questa fioritura fissando lo sguardo, l'oratore la definì miracolosa, dicendo: “Il miracolo vivo, permanente, dila­gantesi di Don Bosco è nelle sue case, nelle sue scuole, nei suoi campi, nelle sue officine, nell'opera conquistatrice di cuori, continuamente rinnovata in ogni parte del mondo dai suoi figliuoli e dai suoi cooperatori, in una semplicità che è la stessa immagine del Santo”. Scorso infine rapidamente questo impero dell'amore di Don Bosco, ricondusse gli uditori alla casetta nativa del Santo per portarli da ultimo alla recente opera salesiana di Littoria. L'applauso vivo e prolungato  del Duce diede quasi il la a una dimostrazione unanime [289] e cordiale del pubblico. Con Don Ricaldone il Duce si mostrò amabile oltre ogni dire.

                Le onoranze civili non si chiusero con l'esaltazione capitolina, ma ebbero un seguito degno di speciale rilievo. Il Re inaugurando il 28 aprile la XXIX legislatura a Palazzo Montecitorio, vi fece allusione nel discorso della Corona là dove disse: “La concordia e l'intesa tra autorità civili e religiose s'è rafforzata, come recenti, grandi celebrazioni hanno dimostrato. La Conciliazione rimane un elemento essenziale nella storia italiana”. A queste sobrie espressioni del Sovrano furono adeguato commento quelle altre contenute nella risposta del Senato: “La concordia, l'unità e la giustizia sono i doni più preziosi della divina Provvidenza al popolo nostro, sono il presidio della sua nuova storia, alla quale è fondamento la Conciliazione con la Chiesa. Il Senato ha assistito con profondo compiacimento alle manifestazioni della concorde intesa spirituale fra autorità civili e religiose fattasi a tutti palese sia nel raccolto splendore di S. Pietro davanti al Capo Augusto della Cristianità, sia nella grandezza romana del Campidoglio davanti al Capo del Governo per la celebrazione della gloria cristiana e civile del più italiano dei Santi. Fu commovente segno di tanta armonia la presenza del rappresentante della Maestà Vostra nella persona dell'augusto Principe Erede, certezza dell'avvenire per la Patria non meno che per la Dinastia”. Alla luce di queste rievocazioni come giganteggia sul suo fondo storico la figura di Don Bosco!

 

L'UDIENZA PONTIFICIA.

 

                Un'udienza pontificia nella Basilica Vaticana costituì un'altra delle tante novità, a cui diede luogo la canonizzazione di Don Bosco. Pio XI la concesse il 3 aprile a tutti i pellegrinaggi organizzati dai salesiani. Il trono papale stava eretto davanti all'altare della Confessione, di modo che la navata maggiore divenne la sala del ricevimento. Eppure la [290] sua grandezza non bastò per tutti: qualche migliaio di persone non vi trovava posto. Allora parecchie centinaia di alunni dei collegi furono schierati lungo il i  passaggio centrale. Non essendo sufficiente all'uopo neppure questa disposizione vennero offerti anche due larghi spazi nei bracci della crociera. Ai fianchi del trono si collocarono il Cardinale Hlond Don Ricaldone, una dozzina di Vescovi salesiani, Don Tomasetti, i Superiori del Capitolo, gli Ispettori, la Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice con il suo Consiglio e varie Ispettrici, il Conte Senatore Rebaudengo e l'avvocato Felice Masera.

                Alle dodici corse una voce: - Il Papa! - Un momento dopo ecco apparire il Papa in sedia gestatoria. Che delirio nei giovani! Applausi, evviva, acclamazioni lo accompagnarono fino al trono. Il gruppo dell'Oratorio aveva lanciato il grido: - Evviva il Papa di Don Bosco! - Il Papa si era rivolto da quella parte, dando segno di compiacimento. Appena si fu assiso, il Rettor Maggiore gli rivolse questo devoto indirizzo:

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Risuona ancora soave nei cuori nostri la vostra voce augusta che, dalla Cattedra infallibile di Pietro, tra l'esultanza di un popolo immenso, nella festa più solenne e col massimo splendore della liturgia cattolica, dichiarava Don Bosco Santo.

                Impossibile trovare parole che possano lontanamente esprimere alla Santità Vostra la gioia e la riconoscenza profonda e imperitura della Famiglia Salesiana.

                Ecco, Beatissimo Padre, di questa Famiglia una piccolissima parte qui raccolta intorno alla Santità Vostra per esprimere i sensi della più filiale e forte devozione.

                Sono figli vostri venuti da ogni angolo della terra, anche dalle plaghe più remote, a rappresentare centinaia di migliaia, anzi milioni di cuori che oggi, con noi, in tutti i lidi e sotto ogni cielo, osannano giubilanti al Papa della canonizzazione di San Giovanni Bosco.

                Della santità e della missione di Lui, che ci fu Padre in terra e che ormai invochiamo Patrono in Cielo, noi avevamo già un'alta idea attinta dalla conoscenza personale, dalla tradizione domestica e dalle Memorie biografiche; ma oggi agli occhi nostri la sua figura più che mai s'insublima. [291]

                La sua canonizzazione, per singolare bontà della Santità Vostra, si è svolta fra un insieme di circostanze che  ci hanno prospettato la persona e l'Opera di Lui entro una luce di universalità esemplare e benefica, che ci obbliga ad esclamare: - Di che  gran Padre siamo noi umili e avventurati figli!

                É tutto un complesso di cose che ci porterà, per naturale conseguenza, ad approfondire sempre meglio il conoscimento e l'imitazione della sua vita ed a calcare con solerte fedeltà le orme da Lui tracciate: orme gloriose che  la Santità Vostra ci ha illuminato di così nuovo splendore.

                Beatissimo Padre! di questo beneficio e della patema vostra benevolenza dimostrataci costantemente in tanti modi, umilmente prostrato ai piedi della Santità Vostra, rendo vivissime grazie a nome dei Salesiani, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei loro allievi ed ex - allievi, dei loro Cooperatori e Cooperatrici, con la promessa di seguire in ogni tempo, luogo e circostanza gli esempi di filiale, devota e illuminata sudditanza, lasciatici quale prima e preziosa eredità dal nostro Santo Fondatore, mentre a conferma dei propostiti nostri, invoco su me e su tutti la grazia dell'Apostolica Benedizione.

 

                La Schola cantorum, dei chierici studenti di filosofia e di teologia eseguirono quindi le Acclamationes e l'Oremus pro Pontifice, che il Papa ascoltò con visibile soddisfazione. Poi accennò a parlare. Si fece tosto un religioso silenzio. La parola del Vicario di Cristo, sempre grazie agli altoparlanti, fu potuta udire distintamente da tutti. L'affetto diede al suo dire un'impronta che nessuna penna vale a descrivere.

 

                Non più negli splendori dei grandiosi, santi riti, o dilettissimi figli - cominciò il Papa - ma in una vera (possiamo ben dire) bellissima vertigine di gioia e di pietà filiale Noi vi rivediamo in questo magnifico luogo. Voi vedete che per ricevervi vi abbiamo preparato la più bella, grande, magnifica sala del mondo. Non abbiamo creduto che fosse troppo per quello che doveva tornare ad onore del vostro e nostro grande San Giovanni Bosco; non abbiamo creduto che fosse troppo per accogliere una eletta così bella, così ragguardevole, così imponente anche per il numero; una tale eletta di suoi figli venuti da tutte le parti del mondo, anche dalle più lontane; cosa bellissima specialmente per Noi perché la vostra presenza e tutto quello che abbiamo udito nel discorso pronunziato poco fa, Ci fa sentire, con vivezza che poche volte abbiamo provato, il senso della universale paternità che la Provvidenza divina Ci ha voluto affidare. E voi siete non solo figli venuti da tutte le parti del mondo, ma appartenenti [292] a tutte le categorie svariatissime di cui si compone la grande famiglia, o meglio le grandi famiglie di Don Bosco, anzi di San Giovanni Bosco, che il mondo però continuerà sempre a chiamare Don Bosco (Applausi). E sarà bene, perchè è come ripetere il suo nome di guerra, di quella guerra benefica, una di quelle guerre che si direbbe la Divina Provvidenza voglia concedere di tanto in tanto alla povera umanità, quasi a compenso delle altre guerre non affatto benefiche ma così dolorose e seminatrici di dolori.

                Rilevavamo dunque, dilettissimi figli, le diversità, le varie rappresentanze delle grandi famiglie salesiane. Dobbiamo aggiungere ad esse anche i diversi gradi della gerarchia: il Sacerdozio, l'Episcopato, il Cardinalato: qualche cosa, anche questa, di così bello e veramente completo.

                Quanto al resto, dilettissimi figli, che cosa possiamo aggiungere a quello che la vostra presenza ci dice? Questa vostra presenza così eloquente, anche in questo silenzio quasi palpabile che ci rende così sensibile la vostra aspettazione della paterna parola? Che cosa possiamo dire, quando siamo nuovamente in questo splendido ambiente che risuona ancora dei cantici di gloria al vostro magnifico padre; quando è di ieri quel meraviglioso insieme di cose che è venuto a coronare in modo così impareggiabile la vostra aspettazione, il vostro desiderio? Pure, per non avere il rimorso di aver perduto occasione sì bella, per dire qualche cosa di utile alle anime vostre, diremo quello che San Giovanni Bosco stesso vi dice così eloquentemente con la sua figura, quale è visibile a tutti gli spiriti e parla a tutti i cuori

                Proprio con particolare, provvidenziale opportunità è venuta questa canonizzazione del vostro e nostro Don Bosco in questa chiusura dell'Anno Santo della Divina Redenzione; e certo il vostro e nostro caro Santo ha guadagnato immensamente dall'insieme di queste circostanze e congiunture.

                É stato dapprima l'incontro del Divino Redentore, del Divino Capitano, suscitatore di ogni santità, di ogni apostolato e di ogni bene, l'incontro con un suo servo così fedele, con un soldato così intrepido delle sue sante battaglie. Da una parte si direbbe che Don Bosco sia venuto a rendere al Divino Redentore tutto quello che Gli doveva, come tutto tutti a lui dobbiamo. Da Lui infatti ebbe principio ogni santità, ogni martirio, ogni bene; da lui tutto quello che resta di bene in questo mondo, anche paganeggiante, tutto quello che resta di bene in questa civiltà e che le viene dalla Croce, dal Cuore, dal Sangue del Redentore e che la fa essere ancora una civiltà cristiana.

                Don Bosco è venuto a rendere omaggio al suo capo, al suo signore, al suo condottiero, e il Divino Redentore ha disposto, proprio sulla fine dell'Anno Santo della Redenzione, di venire quasi in persona a coronare i meriti del suo servo fedele, a mantenere con lui quelle divine promesse che ha fatto a tutti coloro che lo servono con [293] fedeltà. Magnifico incontro! e come bello, splendido, come a posto nel quadro dell'Anno Santo, nel quadro di tutto quel corteo di santità che ha accompagnato il Redentore nel corso di questo Giubileo della sua Redenzione! É una scelta tra i più belli, freschi, olezzanti frutti della Redenzione, in omaggio all'autore primo di ogni santità. E per questo da lui Noi tutti, e voi specialmente, voi che siete legati da tanti vincoli al nostro caro Santo, dobbiamo imparare quello che deve essere il frutto specifico di questo Anno Santo, quello che si differenzia da tutti gli altri, e per voi si differenzia con la glorificazione del vostro carissimo Padre, anzi Patriarca. E quanto mai appropriato è per voi un tal frutto dell'Anno Santo che può anche dirsi “Anno Santo Salesiano”! (Applausi vivissimi).

                Per tutti, anche per voi il primo frutto è quello delle Sante Indulgenze, prezioso tesoro al quale non si può a meno di pensare con molta umiltà e sentimento di confusione, perchè dire indulgenza, indulgenza grande, indulgenza massima vuol dire perdono, perdono grande, perdono massimo. E di che cosa? Dei peccati e specialmente dei peccati mortali. E chi può dire di non averne bisogno? Tanto varrebbe dire che non si hanno peccati, e lo Spirito Santo dice che chi afferma di essere senza peccato non dice la verità.

                Ma questo Anno Santo della Redenzione deve dire qualche cosa di più speciale. Ed infatti lo ha detto, perchè lo ha detto il Redentore stesso. Egli ha espressamente indicato il frutto di tutta l'opera sua di Redenzione e noi non possiamo pertanto trascurare un tal frutto che è come la continuazione della Redenzione stessa. Il Signore lo ha detto con parole rivelatrici del suo cuore, delle sue intenzioni, quando ha annunciato di essere venuto perchè gli uomini avessero la vita e l'avessero in abbondanza, in sempre maggiore abbondanza. Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant. Proprio come se dicesse alle sue care anime: - Abbiate la vita, e abbiatela in abbondanza, in sempre maggiore abbondanza. - E questa è la vita cristiana, perchè è Cristo che l'ha data al mondo: Cristo Redentore, vita cristiana. Questa vita cristiana che voi avete già così abbondantemente, dovete averla, svilupparla con abbondanza sempre maggiore; dovete metterla in accordo con le parole del Redentore quando egli dice che deve essere vita abbondante e sovrabbondante.

                Ed il vostro caro Santo vi dice: - É così che si vive la vita cristiana. - Così come lui l'ha vissuta, come la vissero i Santi, non solo quelli che in quest'anno hanno fatto corteo al Redentore, ma tutti i Santi. Che cosa essi praticarono per raggiungere la santità? Una sola cosa: la vita cristiana abbondantemente, sovrabbondantemente vissuta, quella vita cristiana dalla quale nascono tutte quelle ramificazioni così vaste e magnifiche di apostolato e di bene che conquistano tutti i cuori.

                Il Redentore disse: - Vivete la vita cristiana e vivetela abbondantemente [294]

                . - Ecco che Don Bosco oggi ci dice: - Vivete la vita cristiana così come noi l'abbiamo praticata e insegnata a voi. - Ma Ci pare che Don Bosco a voi figli suoi, e così particolarmente suoi, aggiunga qualche parola anche più specificatamente indicatrice nel senso che stiamo considerando. Ci sembra che vi dica: - Ascoltate in quale direzione dovete lasciarvi guidare. - Ci sembra che, per indicarvi a procedere sempre più e sempre meglio per quelle vie, vi dia tre nozioni di vita cristiana, vi insegni un triplice segreto.

                Il primo è l'amore a Gesù Cristo, a Gesù Cristo Redentore. Si direbbe persino che questo è stato uno dei pensieri, uno dei sentimenti dominanti di tutta la sua vita. Egli lo ha rivelato con quella parola d'ordine: Da milti animas! Ecco un amore che è nella meditazione continua, ininterrotta di quello che sono le anime, non considerate in se stesse, ma in quello che sono nel pensiero, nell'opera, nel Sangue, nella morte del Divino Redentore, e l'amore del Redentore diventa amore delle anime redente che nel pensiero e nell'estimazione di Lui si rivelano non pagate a troppo alto prezzo, se pagate col suo Sangue. É proprio quell'amore del Divino Redentore che siamo venuti ricordando, ringraziando, in tutto questo anno di moltiplicata Redenzione.

                Un altro insegnamento vi dà il Padre vostro. Egli vi insegna il grande aiuto, il più forte aiuto sul quale si deve contare per mettere in pratica quell'amore al Redentore che si risolve in amore delle anime, in apostolato per le anime, Maria Ausiliatrice è il titolo che egli ha prediletto tra tutti quelli della Madre di Dio: Maria aiuto dei cristiani, quell'aiuto sul quale egli contava per mettere insieme le milizie ausiliarie con cui marciare alla salvezza delle anime, E Maria Ausiliatrice è la vostra eredità, dilettissimi figli, quella eredità che tutto il mondo potrebbe invidiarvi, se non avesse altre vie per ricorrervi.

                Ed in questo ricordo si deve scorgere un'altra di quelle congiunture, di quelle che si chiamano combinazioni, ma che sono delicati incontri, provvide preparazioni che la Divina Sapienza sola sa mettere insieme. Uno dei frutti più preziosi della Redenzione è la Maternità universale di Maria. E non si sarebbe potuto celebrare il centenario della Redenzione, senza ricordare le ultime ore del Redentore sulla Croce, senza ricordate che dalla sua Croce, mentre più acute e terribili erano le sue sofferenze di morte, il Salvatore diede a tutti noi la stessa sua Madre per Madre nostra: “Ecco il tuo figlio”; “Ecco la tua madre”. É il Divino Redentore che ci ha dato Maria Madre nostra universale, e tale è l'intimo nesso che passa tra la Redenzione e la Maternità umana di Maria. Si direbbe che Don Bosco abbia veduto, in modo speciale, questo intimo legame e lo abbia apprezzato quanto valeva e perciò accanto al Salvatore Divino abbia voluto mettere Maria e affidare Maria, nel titolo che più le conviene, Maria Ausiliatrice, a tutte le opere che il suo gran cuore si proponeva per la [295] salute delle anime. Anche a voi si deve indicare il grande aiuto su cui potrete contare, aiuto che non ha limitazioni nella sua potenza: perchè viene da Maria, Madre nostra, che nulla desidera più che porgerci l'aiuto suo nelle opere che ci proponiamo per la gloria di Dio, per il bene delle anime.

                Ma, sapiente e Padre amoroso, il vostro Duce ha pensato a guidarvi anche con un'altra guida sicura nelle grandi battaglie, vera guerra gloriosissima, per la salvezza delle anime, quelle battaglie che si devono estendere a tutto il mondo. Don Bosco l'ha indicata nella illimitata e sentita devozione alla Chiesa, alla Santa Sede, al Vicario di Cristo. É un mirabile programma, come Egli stesso diceva a Noi con la sua stessa parola, in una vera intimità, che durò molti anni[79] e che oltre che essere di cuore fu, per tanti aspetti, intimità d'intelligenza: un programma continuo e necessario in tutte le direzioni chiarissime, luminosissime e ancor più di fatti che di parole, per cui la Chiesa, la Santa Sede, il Vicario di Cristo riempivano la sua vita. E Noi lo sappiamo per la diretta conoscenza che abbiamo avuto di lui, per la testimonianza della sua propria parola, per l'espressione dei pensieri che egli Ci confidava nella sua vera patema amicizia, pur in tanta differenza di età. La Divina Provvidenza disponeva le cose in modo che quelle espressioni che meglio potevano farlo conoscere personalmente venissero affidate a Colui che la Provvidenza stessa, nel suo segreto disegno, destinava alla esaltazione di lui alla suprema gloria degli altari. (Vivissimi applausi).

                Noi abbiamo parlato di un Giubileo salesiano, e non senza intima gioia abbiamo sentito che intorno a Noi si gridava: - Viva il Papa di Don Bosco!...

                (Applausi scroscianti, grida altissime di “Viva il Papa di Don Bosco”. Il Papa sorride, poi accenna a continuare). Basta, dilettissimi figli, basta questo a indicare che la bella parola è stata una parola di gioia per Noi, come lo è stata per voi, che siete così buoni figlioli. Ma quella parola, più che una parola di gioia, è per voi una parola ammonitrice. Essa vuol dire che Don Bosco, il nostro e vostro caro Don Bosco, vi dice che il Papa, con qualunque nome si chiami, in qualunque momento, da qualunque parte esso venga, il Papa per Don Bosco era elemento di vita, e qualche cosa senza di cui egli non avrebbe potuto essere quello che è stato.

                Ecco dunque le tre cose di primissima importanza, tre cose che vengono a procurare a voi quei frutti dell'Anno Santo che si chiude con queste esaltazioni di San Giovanni Bosco: l'amore di Gesù Cristo Redentore che è amore per le anime, apostolato per le anime; divozione fervida, costante a Maria Ausiliatrice, da lui voluta a presidio di tutto l'organismo dell'opera sua, devozione, attaccamento obbediente, fedelissimo alla Santa Chiesa, al Vicario di Cristo, come alla guida visibile, [296] sensibile che il Divin Redentore ha voluto non mancasse alle anime affinchè non avessero mai a dubitare nè del pensiero suo, nè del modo di avviare la vita cristiana e sovrabbondantemente cristiana, conforme ai desideri del suo cuore.

                É con questa paterna constatazione, con questo paterno augurio che vi benediciamo tutti e singoli, e vogliamo benedire tutto quello che rappresentate e non potete a meno di rappresentare. Voi rappresentate tutto quello che avete lasciato nei diversi luoghi da cui provenite, tutta la grande Famiglia Salesiana e di Maria Ausiliatrice, tutte le case dove questa famiglia non tanto dimora quanto lavora, tutte le opere di apostolato in tutte le forme, tutto quell'altro mondo, quell'esercito di Cooperatori; e poi tutto un altro mondo di anime già venute a Don Bosco o che ancora vengono a lui: una visione grande come il mondo, bella come la carità di Dio e delle anime, bella come le grazie di Maria Ausiliatrice; una visione che Noi vediamo su voi e dietro a voi a perdita d'occhio, fino ai confini del mondo. E vogliamo che la nostra benedizione arrivi proprio ai confini del mondo, fin dove arriva la nostra visione.

                Voi porterete questa benedizione in tutte quelle direzioni verso le quali va il vostro pensiero e il vostro affetto. Vogliamo benedire tutto quello che avete di più caro nel vostro pensiero e nel vostro cuore e desiderate sia benedetto. Non c'è bisogno di aggiungere che pensiamo non solo alle vostre famiglie spirituali, ma anche a quelle di vero e proprio nome, alle vostre famiglie domestiche. La nostra benedizione vuol seguire il vostro pensiero e riposare dove voi desiderate. Se nel pensiero vostro voi avete anime che hanno bisogno o merito della Benedizione paterna del Vicario di Cristo, a tutte queste vostre intenzioni e desideri Noi vogliamo rispondere. E con particolare affetto come già il vostro e nostro caro Don Bosco, Noi pensiamo ai piccoli, ai pargoli del Divino Redentore, dei quali San Giovanni Bosco era così paternamente sollecito. Noi li benediciamo innanzi tutto perchè sono un tesoro tanto prezioso e tanto spesso abbandonato e negletto, deserto di attenzioni benefiche; e poi perchè hanno davanti a sè la vita e la nostra benedizione vuol benedire in essi il loro avvenire con tutte le promesse e le speranze ed anche come antidoto a tutti i pericoli e le minacce. E non vogliamo dimenticare quelli che stanno all'altro estremo della vita, i vostri anziani, i vostri vecchi, specialmente quelli che hanno lavorato per le opere di Don Bosco, specialmente se ammalati, infermi, aventi perciò maggiore diritto alle sollecitudini della vostra carità come al conforto della nostra benedizione.

                Voi porterete questa benedizione nostra in diverse regioni e Noi preghiamo Iddio che essa vi accompagni non solo in quello che vi rimane del vostro soggiorno romano affinchè riesca a gran bene e profitto delle anime vostre, non solo nel vostro imminente ritorno [297] alle vostre case, ma vi accompagni sempre, e sempre rimanga con voi per tutta la vita.

 

                Ciò detto, il Papa si alzò e pronunciò la formula della benedizione. Un'altissima salva di applausi volle essere il ringraziamento. Quando il Santo Padre montava sulla sedia gestatoria, gli fu osservato che dai due lati della Confessione molti l'avevano udito, ma non l'avevano veduto. Allora egli diede ordine di fare il giro tutto intorno, e così contentò anche quelle parti dell'uditorio. Mentre poi assiso passava lentamente e con dolce maestà moveva ora di qua e ora di là il capo e la benedicente destra, non si cessò un momento di acclamare, di agitare le braccia, di sventolare fazzoletti. Al vedere tanto entusiasmo filiale, quando giunse al fondo della navata, fece volgere la sedia gestatoria, si alzò in piedi e abbracciò con una benedizione di addio tutta l'assemblea, che gli rispose con un'ultima fervidissima acclamazione. Era trascorsa una di quelle ore, il cui ricordo rimane indelebilmente impresso, più che nella memoria, nel cuore.

 

OMAGGIO DI GRATITUDINE AL PAPA.

 

                A epilogo della festa romana bisognava rendere pubblico omaggio di riconoscenza al grande Pontefice, che aveva tanto onorato il Padre della famiglia salesiana; bisognava inoltre che il ricordo di sì fausti avvenimenti fosse affidato anche al marmo per la storia. Allo scopo nessun altro luogo si prestava meglio dell'Istituto di Via Tuscolana, che portava il nome di Pio XI. Là dunque, nella Chiesa di Maria Ausiliatrice che, come abbiamo narrato, si stava costruendo, fu tenuta il 4 aprile una solenne tornata in onore del Papa e fu scoperta una monumentale lapide commemorativa.

                Quattro Cardinali, una ventina di Vescovi e molti altri personaggi insigni, invitati dal Direttore Don Rotolo a nome del Rettor Maggiore, si trovarono riuniti quella sera fra le [298] mura della chiesa non ancora terminata. Un inno corale Salve Decus Italorum, musicato da Don Antolisei in onore di Don Bosco, e le Acclamationes al Papa apersero il trattenimento. Poi venne eseguito un canto polifonico dello stesso Maestro sui versi danteschi alla Vergine Madre. Dopo questo interessante preludio, facendo da padrino l'ambasciatore dell'Argentina presso la Santa Sede e da madrine la sorella del Santo Padre e la Contessa Macchi di Cellere, fu scoperta la lapide che recava un'epigrafe latina dettata dal professor Fornari. Questa diceva: “Il giorno I° aprile 1934, sacro alla Resurrezione di Gesù Cristo, in cui Pio XI, supremo interprete dei divini consigli, a chiusura delle religiose cerimonie celebranti la ricorrenza secolare dell'umana Redenzione, fra genti convenute da tutte le parti del mondo, ascriveva nel novero dei Santi Giovanni Bosco, Padre e Legislatore della Pia Società Salesiana e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ad eternare la memoria di tanto avvenimento, in questo tempio eretto per volontà dello stesso Pontefice presso l'Ospizio dei giovanetti che si onora del suo nome, la famiglia salesiana [questa lapide] documento dell'animo suo grato e festante, dedicava”[80].

                Un alunno meccanico rivolse quindi ai presenti un grazioso saluto, terminando con l'auspicare che in tempo non lontano si ripristinasse nella nuova chiesa la Cappella papale solita a celebrarsi in Roma prima del 1870 il 24 maggio, nella festa di Maria Ausiliatrice. L'ardimento di tale augurio suscitò un subisso di applausi, che si rinnovarono all'apparire di Don Ricaldone sul palco. Egli si presentava a dire tutta la gratitudine dei Salesiani al Santo Padre Pio XI e [299] a quanti con sua Santità avevano concorso all'esaltazione del nuovo Santo. Ecco il tenore delle parole da lui pronunciate:

 

                L'epigrafe, che in questo istante appare ai nostri sguardi, fissa nel marmo la storica data della canonizzazione del nostro Fondatore e Padre, San Giovanni Bosco, reca inciso a caratteri indelebili il nome del Pontefice che lo elevò ai sommi onori, e dice e dirà in perpetuo la gratitudine dei figli verso il glorificatore augusto del loro Padre.

                Storica davvero la data di questa canonizzazione per tutto quello che l'ha preceduta, accompagnata e seguita.

                La precedette un'aspettazione intensa e mondiale, fatta di simpatia, di riconoscenza, di ammirazione. La figura di Don Bosco, tanto amabile in vita, si mantiene anche oggi nel ricordo di chi lo conobbe e si presenta alla mente di chi mai non lo vide, aureolata di una bontà serena, indulgente e benefica, alle cui attrattive non si resiste. I frutti poi della sua opera provvidenziale muovono ogni ceto di persone a benedire la sua carità multiforme, che sparse per ogni dove germi di bene a vantaggio della società e delle anime specialmente giovanili. E dinanzi all'albero gigantesco venuto su in breve ora dall'evangelico granello, studiosi di fenomeni sociali, storiografi ed agiografi salutano in lui un antiveggente precursore che, sceverando nova et vetera, alcune forme di attività e di apostolato ripose, altre rimise a nuovo, altre di sana pianta creò. Quindi è che le varie fasi della sua Causa, complessa al pari della sua vita, erano seguite da migliaia e migliaia di cuori. Quante preghiere infatti, quanti voti perchè la voce infallibile del Vicario di Cristo bandisse dall'alto della cattedra di verità ciò che formava l'intimo convincimento di innumerevoli ecclesiastici e laici, dovunque la Chiesa Romana ha steso le sue propaggini!

                E scoccata l'ora gloriosa della proclamazione, ecco il concorrere di circostanze estrinseche a rendere ancor più memoranda la faustissima data. Un giubileo di grandiosità eccezionale stava per chiudersi nel dì solenne di Pasqua: all'invito del Pontefice aveva risposto con slancio inaudito, per tutto un anno, il mondo intiero. La stessa Santità di Pio XI volle che la chiusura fosse segnalata con qualche cosa che uscisse dall'ordinario, con un rito che, raccogliendo l'unanime consenso del mondo cattolico, desse adeguato risalto alla cerimonia consueta. La Provvidenza, che guida con mano invisibile gli eventi umani, condusse le cose in maniera che la Chiesa, la Madre dei Santi, potesse glorificare al cospetto di tutte le genti la santità di un figlio al quale ogni popolo della terra rendeva cordiale omaggio di affetto e di venerazione. A un fatto innegabile che l'apoteosi di Don Bosco in un momento così caratteristico ha riscosso plauso da ogni Nazione quae sub caelo est, quasi che ognuna ravvisasse in lui un nobile germoglio del proprio sangue, e così l'anno degli innumerevoli e filiali [300] pellegrinaggi ebbe un mirabile coronamento, nel giorno in cui all'Urbe convenivano numerosi come mai i rappresentanti dell'Orbe.

                Ma all'apoteosi religiosa e cattolica vennero ad aggiungersi sovrane e regali partecipazioni coi più alti consensi nazionali e civili. La stessa Maestà del Re, con quella bontà che sempre distinse la sua Augusta Casa, volle partecipare alla solenne cerimonia in S. Pietro facendosi rappresentare da S. A. R. il Principe Ereditario Umberto di Savoia, che, con gentilezza veramente regale, rivolse alla vigilia e al termine della canonizzazione agli umili figli di Don Bosco parole di sovrana compiacenza, che essi serberanno scolpite a caratteri indelebili nei loro cuori. É vero, Don Bosco appartiene a tutto il mondo, Ma l'Italia ebbe la sorte di dargli i natali. Lo stesso Papa Pio XI non lo aveva detto “gloria d'Italia” e “Figlio glorioso della Patria”?

                E il Capo del Governo, l'uomo provvidenziale che regge le sorti d'Italia, vigile custode di quanto accresce l'onore e la forza del Paese, vide in Don Bosco un degno e glorioso rappresentante della stirpe. Quindi, non solo volle che  dalla vetta del Campidoglio partisse una parola autorevole; calda, solenne, a gloria del grande Italiano, ma alla manifestazione, che è la prima di questo genere da che la rocca famosa erge il capo al sole di Roma, Egli apportò altissimo significato e valore col suo personale intervento.

                Noi che abbiamo conosciuto Don Bosco, sappiamo quanto una siffatta armonia di religiosi e patrii sensi stesse in cima ai suoi pensieri e quanto sarebbe stato il suo giubilo se i tempi che furono suoi gli avessero concesso di vedere nella propria patria, come ebbimo la fortuna di vedere noi, l'alba gloriosa di quell'II febbraio 1929 quando, colla firma dei Patti Lateranensi, si ridava l'Italia a Dio e Dio all'Italia. Queste memorande parole rendono tutto il pensiero del grande Papa, al cui nome andrà indissolubilmente legato il ricordo della canonizzazione di Don Bosco.

                Egli infatti, che conobbe da vicino il canonizzato e ne scandagliò a fondo e ne comprese appieno lo spirito, ha messo appieno e ripetute volte in particolar rilievo questa nota come provvidenziale della grande celebrazione, e lo scrisse pure in un solenne documento destinato a tutta la Chiesa pochi mesi dopo che l'iride della pace religiosa tornò a brillare come giammai forse dopo Costantino, sul cielo d'Italia. Parlo dell'Encielica Quinquagesimo ante anno, dove, enumerando le consolazioni elargitegli da Dio durante il Suo giubileo sacerdotale, dichiarava essere avvenuto, per un tratto speciale della Provvidenza Divina, che il primo, a cui aveva decretato gli onori della Beatificazione, dopo conclusa la desideratissima pace col Regno d'Italia, fosse Giovanni Bosco, che, in più occasioni, erasi adoperato perchè si componesse amichevolmente il dolorosissimo dissidio che aveva strappata l'Italia al paterno amplesso. [301]

                Debitori a Pio XI della canonizzazione, debitori a lui di questo singolare apprezzamento che eleva la canonizzazione stessa alla dignità di simbolo di un grande fatto storico, gli siamo anche debitori d'avere a più riprese delineato con mano sicura la straordinaria personalità del Santo. Prima dell'Omelia Pasquale, ben venticinque volte il Papa disse pubblicamente le lodi del Servo di Dio descrivendone le virtù e le opere e tratteggiandone la provvidenziale missione.

                Ma il sentimento del Papa rifulse singolarmente nell'udienza di ieri. Udienza memorabile! Memorabile per il luogo: “Vi abbiamo fatto apprestare - disse il Papa  la più grande e bella sala del mondo”: e certo S. Pietro presentava in quel momento un aspetto di cui non si ha forse esempio nella storia. Memorabile per gli intervenuti: attorno ai solenni mausolei papali non fremette mai tanta turba di giovani, accorsi da mille parti del mondo: “Una vertigine di gioia” fu detto dal Pontefice il delirio di evviva e di applausi che lo accolse all'ingresso della Basilica e lo accompagnò fino all'altare della Confessione, dinanzi al quale stava eretto il trono. Memorabile per l'allocuzione pontificia ampia, paterna, ricca di constatazioni, di personali ricordi e di care esortazioni e conchiusa con una, dirò così, tessera di riconoscimento per tutti i figli di Don Bosco grandi e piccoli: amore a Gesù Redentore nelle esplicazioni della sua carità a salvezza delle anime, divozione a Maria Ausiliatrice, fedeltà al Vicario di Gesù Cristo. L'acclamazione al “Papa di Don Bosco” raccolta ieri dal Santo Padre in San Pietro e da lui cordialmente gradita, espresse il movente segreto che di tanto entusiasmo accese i petti dei presenti e che parole così belle e indimenticabili mise sulle labbra del Sommo Pio.

                Gli atti e i detti del Pontefice hanno avuto queste conseguenze, che se prima la figura di Don Bosco grandeggiava dinanzi al nostro spirito, ora essa giganteggia oltre ogni comparazione, e che nel mondo la conoscenza di lui si è allargata e approfondita. Onde il grande Te Deum sposato all'Alleluia pasquale nel massimo tempio della Cristianità fu solenne ringraziamento a Dio per aver dato alla sua Chiesa uno di quei Santi che maggiormente ne fanno risplendere la santità e della santità sono in più larga misura strumenti e ministri.

                Consci pertanto del molto che dobbiamo al Santo Padre Pio XI, noi ci siamo radunati qui con l’intendimento di tributargli l'omaggio della nostra riconoscenza. Della riconoscenza dei Salesiani verso il Pontefice incomparabile parlano già i muri dell'edificio che sorge accanto a questa chiesa e che abbiamo intitolato al suo augusto nome. Nelle Scuole professionali dell'Istituto Pio XI generazioni di giovani si succederanno a disciplinarsi nel lavoro e nella pratica della vita salesiana e con le lodi del Padre della gioventù udranno rievocare in benedizione il ricordo di Pio XI, che Dio conservi ancora lunghi [302] anni al bene della Chiesa e dell'umanità. Un solo palpito vibrerà per il Santo della Carità, e per il Papa di quel Santo, nel benefico Istituto e nel maestoso tempio che, prossimo a compiersi, ci accoglie e che sarà in Roma centro e faro irradiatore della divozione alla Madonna di Don Bosco, Maria Ausiliatrice.

                Ma io ora sono arrivato ad un punto nel quale vorrei avere almeno per alcuni istanti tutto il cuore di Don Bosco per rendere al Vicario di Gesù Cristo le più degne azioni di grazie. Per altro, se non ne posseggo il cuore, ho la fortuna di poter far mia, dirò così, la sua voce. Nel 1876 il Custode generale dell'Arcadia aveva invitato il Servo di Dio a leggere un suo discorso sulla Passione del Signore in una tornata che si soleva tenere ogni anno il Venerdì Santo dall'Accademia. Don Bosco accettò l'invito, il che fu subito considerato come un gran dono, a tutti graditissimo. L'adunanza si tenne nel palazzo Altemps. L'oratore non divagò per i campi fioriti della letteratura, ma lesse una serie di erudite e divote riflessioni intorno alle “Sette Parole” proferite da Gesù in Croce. Nella chiusa con il più naturale dei trapassi venne a dire dell'unione dei veri credenti con Pietro e con i suoi successori ed invitando tutti a stare “schierati intorno al degno successore dell'Apostolo, intorno al grande, al coraggioso Vicario di Gesù Cristo, al forte, all'incomparabile Pio IX” (tutti questi aggettivi sono suoi), proseguiva con una esortazione ed una protesta, che io ripeto letteralmente, intendendo di rivolgerla con filiale devozione, a nome dei Salesiani, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei loro allievi ed ex - allievi, dei Cooperatori e Cooperatrici e di tutti gli amici e divoti di Don Bosco Santo, dal nono all'undecimo Pio:

                “In ogni dubbio, in ogni pericolo, ricorriamo a lui, come ad àncora di salvezza, come ad oracolo infallibile. Nè mai alcuno dimentichi che in questo portentoso Pontefice sta il fondamento, il centro di ogni verità a salvezza del mondo. Chiunque raccoglie con lui, edifica fino al Cielo; chi non edifica con lui, disperde e dissipa fino all'abisso: Qui mecum non colligit, dispergit. Se mai in questo momento la mia voce potesse giungere fino a quell'angelico Consolatore: Beatissimo Padre, vorrei dire, ascoltate e gradite le parole di un figlio povero, ma a voi affezionatissimo. Noi vogliamo assicurarci la via che ci conduca al possedimento della vera felicità; perciò tutti ci raccogliamo intorno a Voi, come padre amoroso e maestro infallibile. Le vostre parole sono guida ai nostri passi, norma alle nostre azioni. I Vostri pensieri, i Vostri scritti saranno raccolti con la massima venerazione, e con viva sollecitudine diffusi nelle nostre famiglie, fra i nostri parenti, e, se sia possibile, per tutto il mondo. Le Vostre gioie saranno pur quelle dei Vostri figli. E le Vostre pene e le Vostre spine saranno parimenti con noi divise, e come torna a gloria del soldato che in campo di battaglia muore per il suo sovrano, così sarà il più bel giorno di nostra vita quando per Voi, o Beatissimo Padre, potessimo dare [303] sostanza e vita, perchè morendo per Voi, abbiamo sicura caparra di morire per quel Dio, che corona i momentanei patimenti della terra con gli eterni godimenti del cielo”.

 

                Gli applausi con cui gl'intervenuti coronarono il discorso, furono tosto rinnovati dai giovani all'indirizzo dei Cardinali, dei Prelati e delle Autorità, mentre lasciavano il tempio per andare a visitare l'Istituto e specialmente i suoi magnifici laboratori. Miglior coronamento alla festa non si sarebbe potuto desiderare.

 

TRIDUO DEL SANTO E, VARI OMAGGI AL PAPA.

 

                Durante il succedersi di queste dimostrazioni in Campidoglio, in S. Pietro e al “Pio XI”, nella Basilica del Sacro Cuore si svolgeva il primo triduo con una solennità possibile soltanto a Roma. Nei tre giorni celebrarono e pontificarono Eminentissimi Cardinali. Don Antolisei diede nuovi saggi della sua valentia come compositore e maestro, facendo eseguire nel primo giorno una sua Messa in onore di S. Giovanni Bosco a sei voci in due cori, e nei due giorni seguenti la Missa brevis del Palestrina. Predicarono il lunedì sera l'Arcivescovo Salotti, Segretario allora di Propaganda; il martedì l'Eminentissimo Hlond, il quale, benchè polacco, seppe usare con vivace disinvoltura la lingua italiana; il mercoledì Sua Eminenza Laurenti, che, come Prefetto dei Riti, aveva trattato a fondo la Causa di Don Bosco e quindi conosceva molto bene il Servo di Dio. La folla che gremiva il cortile e i portici potè partecipare in qualche modo alle funzioni e udire i discorsi mercè gli altoparlanti. A notte l'illuminazione esterna, rallegrata dalla banda musicale del “Pio XI”, vi tratteneva fino a tardissima ora una folla di pellegrini e di cittadini. Tanta esteriorità però avrebbe risposto assai meschinamente allo spirito di Don Bosco, se non ci fosse stato alcun che di più intimo e sostanziale. Quello che maggiormente [304] contribuì a onorare il Santo, fu l'assiepamento dei confessionali da mane a sera e l'affollarsi continuo dei fedeli alla sacra Mensa.

                Un doveroso omaggio restava da compiere: manifestare personalmente al Vicario di Gesù Cristo la riconoscenza di tutta la famiglia salesiana. A questo sacro dovere soddisfecero il Rettor Maggiore e gli altri Superiori il 17 aprile, recandosi ai piedi del Santo Padre e umiliandogli i doni di uso in tali circostanze.

                Questi doni erano quattro. Anzitutto un quadro, in cui il Crida riprodusse quello del Rollini esistente all'Oratorio nelle camerette del Santo. É il ritratto più fedele di Don Bosco, quale noi lo vedemmo negli ultimi anni della sua vita.

                Un altro dono fu la Vita di S. Giovanni Bosco, scritta da Mons. Salotti. La legatura, lavoro del salesiano Guido Colombini, maestro dei legatori nelle scuole professionali dell'Oratorio, era un gioiello d'arte. La consuetudine porta che qualsiasi volume offerto al Papa sia tutto rilegato in pelle bianca. Questa esigenza naturalmente non lascia campo all'artista di esercitare la sua immaginazione, non consentendogli altro ornato fuorchè la legatura in oro. Ma il Colombini seppe ingegnarsi in modo da cavar fuori un'opera d'arte senza venir meno del tutto alla tradizione. Nella parte esterna tre fasce di pelle giallastra chiudevano a destra, a sinistra e in basso il piano bianco. Le due dei fianchi erano tagliate orizzontalmente e a eguale distanza da fili d'oro; la fascia basilare racchiudeva impressa la dicitura SAN GIOV. BOSCO, ottenuta a mano mediante piccoli ferri diritti e ben combinati, sicchè ne risultavano lettere quadrangolari, spaziose, esili e nitide. L'orlo superiore rimaneva scoperto. Sul campo bianco emergeva lo stemma papale. Il dorso, filettato come gli orli laterali, recava in alto il nome dell'autore e in basso il titolo del libro. La parte interna del piano anteriore presentava anche maggior interesse. Campeggiava nel centro la figura di Pio XI, vista di profilo e [305] riprodotta a medaglione con questa leggenda sotto, impressa in oro:

 

A S. S. PIO XI

PAPA DELLA CANONIZZAZIONE

DI

SAN GIOVANNI BOSCO

LA FAMIGLIA SALESIANA

1 APRILE, 1934

PASQUA DI RISURREZIONE,

 

                Il rettangolo di marocchino bianco era incorniciato da un'ornamentazione a fini tratti d'oro, eseguita anch'essa a mano con piccoli ferri sulla pelle che dal piano inferiore si piegava sul posteriore. Ma tutto questo era il meno. A prima vista stemma e medaglione policromi si sarebbe detto che fossero miniature; invece erano mosaici. Furono ottenuti con tanti tassellini di pelle, perfettamente connessi a guisa d'intarsio. La doratura del ritratto si limitava alla stola, arricchita con un fitto motivo a puntini che le dava l'apparenza di filigrana.

                Terzo presente, un reliquiario che conteneva la quinta vertebra cervicale del Santo. L'aveva cesellato a Milano la Scuola Beato Angelico su disegno del salesiano Valotti. Oro, argento e pietre preziose lo abbellivano arricchendolo. Alto settantacinque centimetri, rappresentava una croce inalberata su vistoso basamento e racchiusa in un'aureola a mandorla raggiante. La croce aveva nel centro la teca della reliquia, tutta d'oro con brillantini; al piede le quattro virtù cardinali con i loro simboli; sui due bracci la Fede e la Speranza inginocchiate; al vertice il Santo nell'atto di comunicare due giovanetti. Le statuine delle virtù, come pure quella di Don Bosco, erano modellate con sì squisita finezza da costituire in se stesse veri capolavori. [306]

                Vennero infine presentati alcuni esemplari in oro e argento della grande medaglia commemorativa della canonizzazione.

                Il Papa diede udienza ai Superiori salesiani nella sala del tronetto. Egli osservò ammirando in particolare lo splendido reliquiario. Allora fu che, pensando alla qualità della reliquia, disse a Don Ricaldone: - Don Bosco, sì aveva salde le vertebre, salda la spina dorsale, a differenza di tanti altri... - Prima di benedire i Superiori si compiacque di manifestar loro la viva soddisfazione da lui provata nelle magnifiche feste romane e nell'apprendere da L'Osservatore le notizie delle solennità torinesi.

                Della Pasqua di Don Bosco era giusto che restasse un ricordo nel luogo che n'era stato il santuario, e fu un ricordo degno dell'ambiente. Si trattò d'un candelabro monumentale, che misurava tre metri e quindici centimetri d'altezza, destinato a portare il cero pasquale, ma da non essere mai rimosso dal suo posto accanto all'altare della Confessione. Ha la base di granito rosso; la colonna d'un sol pezzo in marmo africano è alta un metro e novanta; il capitello in bronzo dorato e cesellato reca gli stemmi di Pio XI e della Fabbrica di S. Pietro. Questa splendida opera d'arte dirà al mondo la riconoscenza dei Salesiani anche verso il Capitolo Vaticano per il valido concorso dal medesimo prestato al buon esito della indimenticabile celebrazione. Una breve iscrizione latina indica chi offerse e quando, e la causa dell'offerta.

                Non va taciuta ancora una speciale trovata. I sei Bollettini salesiani che vedono la luce nell'Oratorio avevano fatto a gara per ammannire ai loro lettori particolareggiate relazioni delle feste, accompagnando il testo con ricchi assortimenti d'illustrazioni. A cose finite, tutti quei numeri, scritti in italiano, francese, spagnolo, inglese, portoghese e lituano, stampati su carta patinata e divisi in due serie, furono raccolti in un grosso volume, che, elegantemente rilegato, venne [307] offerto in primo luogo al Santo Padre e poi a molti personaggi del mondo ecclesiastico e laico. Documentazione più completa, più viva e più interessante non si sarebbe potuta escogitare, perchè fosse conservato un parlante ricordo degli avvenimenti in seno a ragguardevoli famiglie ed a comunità religiose.

 

 

CAPO XV.

Echi della canonizzazione nella parola dei Papa.

 

                IL Santo Padre Pio XI narrò al Cardinale Segura, già Arcivescovo di Toledo, in che modo egli, giovane sacerdote, si fosse incontrato con Don Bosco all'Oratorio nel 1883 e si fermò specialmente stilla nota circostanza, che là dov'era, si accostavano al Servo di Dio Direttori dei suoi collegi per conferire con lui dei propri affari, e che due volte un sentimento di discrezione aveva consigliato all'ospite di ritirarsi; ma che tutt'e due le volte il Santo l'aveva trattenuto, rinnovandogli l'invito a restare e soggiungendo l'una e l'altra volta: - Questo sarà utile per lei e per me. - Che quelle conversazioni fossero utili per Don Bosco, sembrò cosa facile a capirsi; ma che fossero utili anche al suo visitatore, questi non sapeva darsene ragione. Quando poi trentanove anni dopo nel Conclave il Cardinale Ratti fu eletto Papa, si ricordò subito di Don Bosco e gli parve o credette rivederselo accanto e che gli ripetesse: - Questo sarà utile anche per me. - E in quello stesso giorno Pio XI, così egli affermò, decise di promuoverne la canonizzazione[81]. [309]

                Infatti Pio XI diede alla Causa un vigoroso impulso e come dopo la beatificazione, così dopo la canonizzazione si valse di molte circostanze per manifestare pubblicamente quanto egli fosse lieto dell'esito finale. Raccoglieremo nel presente capo le più significative manifestazioni da lui fatte durante il 1934.

                Continuarono per tutto l'anno le distribuzioni di medaglie con l'effigie del Santo. Talora il Pontefice si limitava ad annunciare il ricordo che intendeva lasciare dell'udienza, e in questi casi noi vi passeremo sopra; altre volte invece all'annuncio accompagnava parole di elogio alla persona, alle virtù e alle opere di lui, sebbene non sempre alle lodi andasse unito il dono.

                A 350 giovani di due associazioni germaniche, ricevuti il 5 aprile, egli rivolse nella loro lingua un lungo discorso, in cui a due riprese parlò di Don, Bosco. Primieramente lo nominò, riandando la recente Pasqua. “Le solenni festività di chiusura dell'Anno Santo, disse, la bella Pasqua romana, la canonizzazione del Beato Don Bosco, sono state cose più belle, più egregie per l'arrivo di sì cari figli; e la Divina Provvidenza ha disposto che una così degna rappresentanza della gioventù cattolica tedesca si trovasse insieme al Padre comune in quei giorni tanto memorandi”. E in ultimo, consegnando per essi di propria mano al capo del pellegrinaggio le medaglie commemorative e pensando alle penosissime condizioni dei Cattolici in Germania, soggiunse: “Tali medaglie con l'effige di S. Giovanni Bosco, nome e Santo glorioso, ricorderanno a voi il vostro soggiorno romano e la grandezza del Santo, che è stato un vero martire della sua benefica carità, [310] che è la carità della Chiesa; un uomo a cui non furono risparmiati difficoltà ed ostacoli di ogni sorta, ma che però, e noi ne abbiamo avuta testimonianza personale, era sempre fiducioso e tranquillo, poichè sapeva e sempre proclamava di lavorare per Iddio, e sapeva che Iddio era sempre con lui”[82].

                Nel giorno 7 ebbe speciale udienza un numeroso pellegrinaggio belga; e poichè fra i presenti spiccava un nucleo di giovani esploratori, il Papa nel discorso a tutti rivolto fece entrare un cenno direttamente per essi dicendo: “Nella festa di Pasqua abbiamo elevato ai supremi onori degli altari un grande Santo, Giovanni Bosco, un vero grande amico della gioventù ed un singolare esploratore di Dio nelle vie spesso irte di difficoltà che occorre battere per salvare le anime”.

                Tre pellegrinaggi internazionali furono ricevuti negli stessi giorni e in ognuno risonò il nome di Don Bosco. Uno era di studenti universitari che appartenevano alla così detta Pax Romana. É questa un'associazione universitaria internazionale, i cui membri fanno parte dell'Azione Cattolica e hanno nel loro programma il particolare scopo di servire nei rispettivi paesi la causa della pace, smussando le antipatie fra popoli e popoli, triste retaggio della grande guerra. Nelle parole rivolte loro in lingua latina ricordò ad essi, “convenuti a Roma in occasione della suprema glorificazione di S. Giovanni Bosco, questo gran Santo, il cui zelo d'apostolato non può esprimersi in parole e che agli studenti e alla gioventù studiosa dedicò tanta parte della sua vita”. L'altro pellegrinaggio comprendeva un foltissimo gruppo di Giovani Esploratori e di Giovani Guide di Francia, ai quali si erano aggiunti molt'altri Esploratori del Belgio, del Lussemburgo, dell'Olanda e della Svizzera. Il Papa li salutò in francese facendo loro questa osservazione: “Avete scelto bene la data del vostro pellegrinaggio a Roma, venendo in occasione della [311] glorificazione di S. Giovanni Bosco, che fu un grande esploratore di tutti i sentieri del bene e che ci appare tanto superiore a qualsiasi prova e fatica! Non è per voi un modello, cari figli e figlie, un modello di vita cristiana, vissuta non solo integralmente, ma coraggiosamente?”. E più innanzi raccomandò loro: “Voi che amate la vita, che siete pieni di vita, anche fisicamente, dovete più ancora sviluppare in voi la vita spirituale, e dire a questo riguardo: - Mai abbastanza, ma sempre più e sempre meglio! - Tale è pure l'insegnamento datoci da questa grande figura d'esploratore di tutte le vie del bene, Don Bosco”. Infine conchiuse: “Siamo lieti di potervi offrire un ricordo sensibile del vostro pellegrinaggio, una medaglia di S. Giovanni Bosco. Ve la offriamo di nostra mano e ognuno la consideri come ricevuta dal Padre comune delle anime vostre”. Così dicendo, rimise al Direttore del pellegrinaggio un grosso pacco di quelle medaglie. Un terzo pellegrinaggio riunì ai piedi del Santo Padre le rappresentanti di sessanta Leghe Femminili Cattoliche, venute a Roma da trenta Stati per partecipare - al nono Consiglio internazionale dell'Unione. Insegnando come con l'esercizio della carità si debbano attraverso i corpi cercare le anime, portò l'esempio anche di Don Bosco. “In questo, disse, è il segreto dei grandi geni della carità, da S. Vincenzo de Paoli a S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, a S. Giovanni Bosco”[83].

                Un richiamo generico a Don Bosco udirono nello stesso mese i pellegrini spagnuoli; un altro più specificato nel mese seguente quelli polacchi, ai quali disse il Papa: “Siamo lieti di dare a voi una piccola medaglia, alla quale uniamo una speciale raccomandazione, non solo perchè viene data dal Padre comune, ma anche perchè porta l'immagine di S. Giovanni Bosco, di quel Don Bosco che ha tanti particolari titoli alla riconoscenza della Polonia per tanto bene che i suoi figli hanno fatto in mezzo ad essa”. Analoga osservazione [312] egli fece parlando in luglio a duecento piccoli viennesi, ai quali Mussolini aveva procurato un mese di confortevole soggiorno sul lido di Roma. Facendo consegnar loro la medaglia disse: “É una medaglia con l'effigie di un grande amico dei giovani, e quindi anche dei giovani di Austria, S. Giovanni Bosco. I figli di questo grande amico della gioventù, di questo gran Santo hanno operato in maniera oltremodo efficace anche a Vienna e in Austria, dove i loro istituti sono fiorenti: motivo speciale per noi di raccomandare voi, amatissimi figli, a S. Giovanni Bosco, alla protezione di questo grande Servo di Dio”. Pio XI nel periodo della sua Nunziatura aveva avuto agio di conoscere da vicino l'opera dei Salesiani tanto in Polonia che in Austria[84].

                Un'importante menzione di Don. Bosco venne fatta in nome del Papa a pellegrini francesi. Interessa conoscere i precedenti. Mentre due treni salesiani li portavano a Roma, alcune mani devote avevano raccolto l'obolo da offrire al Santo Padre, riuscendo a mettere insieme ben sedicimila franchi. Sarebbe stata certo per essi una grande consolazione l'umiliare quella somma ai piedi del Papa in un'udienza; ma non fu possibile. Pio XI però gradì l'omaggio e volle che il Segretario di Stato ringraziasse. Il Cardinale Pacelli scrisse il 12 aprile al parigino Monsignor Flaus: “Godo d'esprimerle i ringraziamenti paterni di Sua Santità per la generosa offerta dei pellegrini salesiani francesi in occasione della loro venuta a Roma per la canonizzazione del Santo Fondatore. Lieto del devoto omaggio, il Santo Padre ama credere che l'apoteosi di S. Giovanni Bosco ispirerà ai suoi figli uno zelo sempre maggiore per l'educazione religiosa della gioventù e che essi moltiplicheranno in tutti i paesi il numero dei giovanetti predestinati come Domenico Savio”[85]. Cinque giorni prima il Papa, dando il benvenuto a duemila giovani provenienti da tutte le regioni della Francia, [313] aveva ricordato loro com'essi fossero venuti a Roma “in un momento solennissimo, nelle luminosità pasquali, della Pasqua romana, nel solco dell'Anno Santo, negli splendori della santità, in splendoribus Sanctorum, coronati dall'apoteosi di S. Giovanni Bosco”[86].

                Gruppi o dirigenti di Azione Cattolica passarono più volte dinanzi al Papa durante l'anno e quasi sempre ne ricevettero il solito ricordo, con o senza commenti. In principio di maggio, facendo distribuire la medaglia a cinquecento religiose convenute a un corso d'istruzioni sull'Azione Cattolica, chiamò Don Bosco “vero apostolo modello di vita cristiana e di Azione Cattolica”. In luglio vi furono tre di questi ricevimenti. Nel secondo, che era di dirigenti della Gioventù Femminile, lamentò la propaganda protestante in Italia e chiese il loro “prezioso concorso” per combatterla, suggerendo anzitutto il mezzo della “preghiera fiduciosa”; “giacchè, continuò, come diceva benissimo il grande Santo Don Bosco, Dio è obbligato ad aiutarci specialmente quando si tratta d'interessi non nostri, ma d'interessi suoi”. Nel terzo ricevimento, ai giovani di Azione Cattolica, che avevano preso parte a una settimana nazionale di studio, spiegò la ragione del consueto dono dicendo che lo faceva loro “non solo perchè il grande Santo ha camminato alacremente per quel solco dell'Azione Cattolica che risale ai tempi apostolici, cooperando davvero generosamente all'apostolato gerarchico della Chiesa, ma anche per il ricordo di quei rapporti di larga e affettuosa conoscenza personale avuti con lui”[87].

                Scuole, collegi, istituti, seminari, studenti d'università, udirono spesso il Papa magnificare il nostro Santo. Di queste udienze ricorderemo solo quelle, in cui al dono delle medaglie andarono unite parole di rilievo. Primeggia fra tutte l'udienza del 31 maggio agli alunni dell'Istituto salesiano [314] “Pio XI” Il Papa si degnò di tener loro un vero e proprio discorso. Parlò così:

 

                Non sappiamo davvero da qual parte cominciare per ringraziarvi di tante cose belle e consolantissime, per le quali sentiamo il dovere, anzi l'urgenza di esprimere la nostra gratitudine. Tutte belle cose quelle che Ci avete portato: liete le filiali accoglienze, i cantici, la dolce sublime Ave Maria dantesca, ricordo, lontano nel tempo, ma presente nell'animo e nel cuore. E ben possiamo dire, ammirando i vostri doni, opera della vostra abilità tecnica, di essere in certo qual modo in casa vostra come lo fummo allora e come voi ora siete nella casa nostra, nella casa del Padre. Poi i bei volumi nei quali avete voluto raccogliere le parole nostre intorno al caro Santo Giovanili Bosco, dalle prime fino alle ultime, alle più recenti. Tutto questo è stato coronato da una cara, incomparabile, santa interpretazione, così calda di affetto, come quella che il vostro compagno Ci presentava ad espressione di quei sentimenti filiali che animano voi tutti quanti. Ma niente più bello, caro e prezioso del dono delle vostre persone, della vostra visita filiale. É il dono più bello che siete venuti a portarCi: è il dono, è la strenna per il nostro compleanno.

                Questa data non è certo indifferente per Noi: è il rintocco degli anni che passano, è il ricordo di tutti i doni che  la Bontà divina Ci ha concesso, è un paterno avviso che  si avvicina sempre più il giorno, come dicono i contadini della valle del Po, di andare a casa. Voi avete scelto questi due momenti così belli: la fine di maggio e il compleanno per venirCi a portare i vostri auguri, a dire la vostra riconoscenza, quella di tutta la grande, mondialmente grande famiglia di Don Bosco Santo - e dite bene: Don Bosco Santo - perchè il mondo non riuscirà a chiamarlo San Giovanni Bosco, ma sempre Don Bosco, Don Bosco Santo. Riconoscenza grande, vero spettacolo di riconoscenza, perchè tanto grande è la vostra famiglia, di cui voi non siete che i rappresentanti e gli interpreti.

                E tutto questo è dirvi, dilettissimi figli, con quali sentimenti vi abbiamo passati in questa rapida rassegna che Ci ha dato modo di accostarvi ad uno ad uno e fare di ciascuno la conoscenza personale, quella conoscenza che Don Bosco Santo aveva così mirabilmente facile per tutti i suoi figli.

                Noi ci congratuliamo con voi di questi sentimenti, perchè tutto il mondo li riconosce in modo evidente, al loro posto; tanto è stato il favore con cui Iddio ha distinto i figli di Don Bosco, e tutti quelli ai quali si estende il beneficio dell'opera sua, scesa veramente “dal cielo in terra a miracol mostrare”.

                Noi crediamo di dover essere anche Noi in prima linea nell'espressione di questi doveri di riconoscenza, perchè abbiamo avuto il privilegio di così bene conoscere Don Bosco come viatore in questa terra, [315] e poi averlo, con il labbro e con il cuore, proclamato e collocato tra i comprensori del Cielo. É un privilegio che riconosciamo a Noi stessi con tutta umiltà e di cui non possiamo far a meno di ringraziare in modo speciale il Signore.

                É dirvi come e quanto Ci sentiamo all'unisono con voi, con i figli di Don Bosco, con tutta la sua famiglia, in qualunque parte del mondo, ovunque spiega e continua l'opera di lui che fu l'opera di Apostolo, di strenuo milite di Gesù Cristo, di amico incomparabile della gioventù, di salvatore di tante anime: Da mihi animas.

                Ringraziamo Iddio e la sua divina Madre, che fu veramente l'Ausiliatrice di Don Bosco Santo; la Divina Madre, che è entrata con così largo contributo in tutto quello che è avvenuto in questo coronamento così benefico, dalla prima luce di Don Bosco Santo: ed ecco infatti, sempre sotto l'influsso di questo ausilio materno per cui Don Bosco ha saputo così bene esprimere la riconoscenza, ecco la nuova chiesa che sorge vicino a Noi.

                Dilettissimi figli, ringraziamo il Signore e ammiriamo l'opera sua: e al Signore anzitutto dobbiamo rendere onore e gloria, quell'onore a quella gloria che la Chiesa non cessa mai di tributare. Ma poi bisogna - ed è quello che si addice a tutti, e tanto più a voi - proporsi di imitare ciò che con tanta letizia si celebra e si onora. Imitare Don Bosco, può sembrare difficilissimo al primo aspetto, tanto complessa, gigantesca si presenta la sua figura; eppure la santità di lui è una delle più imitabili. Del resto tutte le santità si possono imitare; si può imitare la santità di Dio; giacchè imitare, anche in tutte le altre direzioni come ad esempio nell'arte, non significa copiare, non vuol dire riprodurre, no: imitare vuol dire entrare in un certo ordine di idee, in una determinata tendenza di spirito; compiere qualche sforzo per salire, verso una certa direzione. É quello che fa l'arte imitando la natura, ed infatti Dante dice l'arte nostra “a Dio quasi nepote”, perchè discende dalla natura, la figlia di Dio.

                Ora nella vita di Don Bosco bisogna imitare particolarmente quella sua eroica fedeltà al dovere in tutti i momenti, così come nella successione delle occupazioni quotidiane esso si presentava. Egli era sempre pronto a dedicarsi all'ultimo incontro, all'ultima richiesta; Era pronto a dedicarsi a tutto e a tutti, come se ognuno e ogni cosa fossero l'unica cosa e l'unica persona. Ora il rispondere con devota prontezza al dovere, quale esso sia, è a tutti possibile e doveroso. Fare dunque il vostro dovere: questo è il fondo di tutte le santità.

                Ma, dilettissimi figli, vi è anche qualche altra cosa che dovete apprendere dagli esempi del vostro Santo, del vostro Fondatore. Voi avete una ragione particolare di ricordare il da mihi animas del vostro e nostro Don Bosco. Quando egli faceva questa preghiera pregava per voi, e Dio lo ha esaudito e gli ha dato le anime vostre, perchè le beneficasse secondo lo spirito di Dio. [316]

                Con questo egli vi ha insegnato e messo avanti una grande idea, una grande opera: l'idea della preziosità delle anime che bisogna salvare, la necessità di conservare il beneficio della educazione cristiana e di una educazione cristiana non comune, ma sinceramente, generosamente, luminosamente cristiana, beneficio inestimabile per voi, per le famiglie, per la società, per la Chiesa. Voi sarete distinti figli e poi padri di famiglia; distinti cittadini della società e figli della Chiesa sempre pronti a compiere degnamente tutti i vostri doveri verso voi stessi, verso Iddio, verso lo Stato, verso la società. Voi sarete profondamente cristiani, e con questo è detto tutto: Voi sentirete, in una parola, il dovere come imposto dalla parola di Dio, e saprete di doverlo compiere avanti agli uomini e a Dio. Ed un altro dovere particolare di apprezzare questa preziosità delle anime sta nel riflettere su tante altre giovani anime che non hanno i tesori spirituali di educazione che a voi sono impartiti così doviziosamente! t per questo che, dilettissimi figli, voi dovete, per quanto vi è dato, con la preghiera e con l'esempio, con l'opera vostra missionaria così caratteristica dello spirito salesiano, studiarvi di comunicare anche ad altri il grande beneficio che avete ricevuto.

                E v'è ancora un altro riflesso. Dove ha attinto Don Bosco questo amore per le anime? É chiaro. Egli le ha tanto amate, perchè ha amato Gesù Cristo. Egli considerava che anche per una sola di queste anime, Cristo avrebbe dato il suo sangue. É questo il segreto di tutti i Santi. Essi hanno considerato quello che Gesù Cristo ha fatto, allorchè non ha creduto di troppo pagare per la salute delle anime, anche di un'anima sola, versando tutto il suo sangue preziosissimo. É la parola di Dio, pro animabus: e l'Apostolo lo ricorda e poi aggiunge quell’altra parola così sentita: dilexit me et tradidit semetipsum pro me.

                Ecco, dilettissimi figli, quello che Don Bosco Santo si è detto tante volte nelle sue meditazioni, nella sua vita così operosa. Ecco quello che bisogna fare. Ringraziare e poi soprattutto imitare. Ed è quello, dilettissimi figli, che  sappiamo che voi volete fare sempre ed è per questo che nelle benedizioni che siamo per dare ai presenti ed a tutti quelli che Ci rappresentate, vogliamo mettere anche un senso di riconoscenza.

                Noi vediamo come in una magnifica visione, in una visione graditissima che voi evocate al nostro spirito, tutta la famiglia di Don Bosco, grande come il mondo. E con questa visione desideriamo che la nostra benedizione arrivi fino agli estremi orizzonti. Benediciamo quelli che voi rappresentate più particolarmente: le vostre famiglie, case e parentele, tutto quello che in esse a voi è più caro. In modo particolare benediciamo questa opera che venite compiendo, questo viaggio di primaria importanza quale è la preparazione alla vita, e quello che sarà il frutto della presente educazione cristiana. Quando nella vita voi porterete il frutto, l'apostolato dell'esempio di una vita [317] cristianamente vissuta, voi direte non a parole ma a fatti, come si fa ad essere buoni cristiani e buoni cittadini. Sarà l'apostolato della vostra vita, l'apostolato della buona parola, di quella parola bonaria che non vuole essere un insegnamento, ma va amichevolmente al cuore; e poi ancora quell'apostolato che è il più facile ed il più potente, l'apostolato della preghiera, affinchè avvenga il Regno di Dio...

 

                Anche una delle opere romane diretta dalle Figlie di Maria Ausiliatrice potè essere presentata al Santo Padre il 3 giugno. Erano circa cinquecento bimbi, fanciulle e zitelle dell'Istituto “Santa Cecilia”al Testaccio, divise in scuola materna, elementare, professionale, doposcuola, oratorio e associazioni. Il Papa lodò il devoto e affettuoso indirizzo col quale gli era stata annunciata quella preziosa visita. “I sentimenti ivi espressi, disse, sono quelli che risalgono dalla mente e dal cuore di Don Bosco, quelli che da lui i suoi figli hanno ereditato e vanno trasfondendo in tante anime, fra le quali sono le vostre, dilettissime figlie”. Alla fine specificando le persone che intendeva benedire, accennò a tutte quelle suore e benefattrici, che attendevano alla loro salute spirituale, in onore di quel Gesù che comanda a tutti di voler bene e di fare del bene e conchiuse: “É obbedendo a questi comandi che Don Bosco ha compiuto tutto quello che ha fatto, e lasciato tutto quello che ha lasciato a beneficio delle giovani anime insieme ai vantaggi d'una vita professionale bene avviata”. Esaltò ancora Don Bosco ricevendo a Castelgandolfo una schiera di Figlie di Maria Ausiliatrice, uscenti allora allora dagli esercizi spirituali. Vi erano rappresentanti dell'India e dell'America, suore anziane, neo - professe, novizie; onde il Papa notò che il fervoroso drappello rappresentava “appieno tutta la vita dell'Istituto meraviglioso, frutto soave di divozione, gratitudine e amore di Don Bosco Santo alla Vergine Ausiliatrice”. Lo sguardo paterno di Sua Santità vedeva quindi presenti “vivi e reali i tralci fruttuosi di quella grande schiera di Figlie di Maria Ausiliatrice, che nel nome di Don Bosco milita con coraggio apostolico nelle cinque parti del mondo”[88]. [318]

                La presenza di alunni del santuario offerse ripetutamente al Papa l'occasione di addurre l'autorità e gli esempi di Don Bosco. 1 fratelli delle Scuole Cristiane d'Irlanda, i così detti Christians Brothers, gli presentarono centosessanta loro ex - alunni avviati al sacerdozio o già sacerdoti. Rilevata la preziosità di tante belle vocazioni, le proclamò frutto di vita cristiana appresa con la cristiana educazione, vita cristiana da cui escono anche le grandi santità, le santità gigantesche, quali le recenti del Cottolengo e di Don Bosco, non essendo esse altro che la vita cristiana vissuta in tutta la sua pienezza. Poi nel dare la medaglia del novello Santo disse che era anch'egli un grande fratello cristiano, il quale operò nel campo dell'educazione cristiana una immensa messe di bene[89]. Ma più efficacemente ragionò di Don Bosco a oltre duecento giovani del Pontificio Seminario Romano Maggiore, Giuridico e Minore. Ecco i riflessi e insegnamenti: “Si è chiuso l'Anno Santo con la figura di un grande sacerdote, che ebbe la vera e fattiva coscienza di essere lo strumento della Redenzione, specialmente nei riguardi della gioventù così insidiata, così pericolante, così bisognosa. Conviene dunque che sia proposto a modello di futuri sacerdoti. Egli, se viene considerato da un primo punto di vista, appare un sacerdote che non abbia avuto altra aspirazione che la coltivazione pia e divota delle anime. Noi infatti lo abbiamo veduto personalmente tutto e completamente inteso alle confessioni, alla consolazione delle anime che gli si affidavano, all'esercizio sacerdotale. E ciò faceva, perchè sapeva come la prima cosa, la più profonda, l'essenziale fosse la pietà. Ma poi, da un altro punto di vista può guardarsi la figura di S. Giovanni Bosco. Infatti noi abbiamo avuto anche occasione di domandarci se Don Bosco non avesse, per caso, non seguito una vocazione vera e propria che lo chiamava allo studio. Certo Don Bosco aveva un grande amore allo studio, una simpatia e, si direbbe quasi, una seduzione [319] dello studio, tanto da poter anche correre pericolo di cader vittima dello studio. Don Bosco pensava di dare alla Chiesa ed all'Italia una storia che fosse per la Chiesa appunto quel che per l'Italia era stata ed è l'opera del Muratori, santo sacerdote anch'esso. Ecco due aspetti della figura di S. Giovanni Bosco; e da tale duplice considerazione i giovani seminaristi sono chiamati a riflettere su quel che conviene loro, proprio a loro: sulla pietà e sullo studio. Ma la pietà deve stare sempre al primo posto, perchè se lo studio vien messo invece avanti a tutto, diviene esso una fastosa inutilità ed uno splendido pericolo. Mirando invece alla figura di S. Giovanni Bosco, voi potete liberamente prepararvi alla vita e all'azione; poichè quella figura costituisce una vera meraviglia per tutti, tanto son pochi nella storia del sacerdozio e dell'apostolato quelli che tanto hanno fatto e tanto hanno preparato per la salute delle anime. Da mihi animas, dammi anime, è il motto di S. Giovanni Bosco”[90].

                Sull'attitudine di Don Bosco agli studi il Papa ritornò pochi giorni dopo, ricevendo i soci delle Associazioni Universitarie romane di Azione Cattolica, maschile e femminile. “Vogliamo rimettervi, disse, un piccolo ricordo, delle piccole medaglie, che il vostro cuore penserà poi a fare più grandi. Sono le medaglie di S. Giovanni Bosco o di Don Bosco, come si continuerà sempre a chiamarlo, veramente le più convenienti al vostro caso. Don Bosco certo fu più uomo di azione che di studio, ma fu uno dei più grandi amici che la gioventù abbia mai incontrato nel corso dei secoli. Grandissimo è infatti il numero delle anime giovanili salvate da Don Bosco e dai suoi figli; si tratta di milioni e in tutto il mondo. Ora Don Bosco, se pure non è stato universitario, in un certo momento ha pensato e desiderato d'aver potuto esserlo stato. Non gli mancava nè un ingegno vasto, e vivace, nè una grande capacità di lavoro che non lo faceva sgomentare di nessuna impresa. Aveva anzi un progetto di [320] alta produzione scientifica, ma egli stesso confessò a Noi di averlo abbandonato, sia perchè subentrata la chiamata ad una missione più esplicita per la salvezza dei giovani, sia anche perchè egli aveva visto che gli mancava la preparazione degli studi superiori. É una nota caratteristica di quest'uomo che aveva profondo un buon senso sovrano: sentiva di non essere stato universitario. Rispondendo poi alle parole di elogio che Noi avemmo occasione di rivolgergli per l'attività di stampa e l'attrezzatura per la produzione culturale ammirata nelle sue istituzioni, Don Bosco ebbe a dire con senso umile e santa chiarezza, e parlando in terza persona com'egli era solito fare: - In queste cose Don Bosco vuol essere sempre all'avanguardia del progresso. - E questa parola vuole essere pure la vostra”[91].

                Anche ad operai il Pontefice amò additare in Don Bosco un modello da imitare, un protettore da invocare, un maestro da seguire. Così agli operai delle officine romane del gas: “Riceverete una medaglia con l'effigie di S. Giovanni Bosco, questo grande amico del lavoro, vero amico e santificatore del lavoro egli stesso; organizzatore del lavoro, di una organizzazione di santificazione profonda”. A mille operai di Legnano: “Vogliamo darvi per ricordo la medaglia di San Giovanni Bosco, di questo grande Servo di Dio che la Provvidenza ci ha concesso di proclamare Santo. San Giovanni Bosco è stato un meraviglioso lavoratore; e noi lo abbiamo potuto vedere all'opera ed aver la fortuna di avvicinarlo. Questo meraviglioso organizzatore ed educatore del lavoro, specialmente del lavoro della gioventù, del lavoro professionale e tecnico, è una figura che ben si conviene al caso di bravi lavoratori, sicchè siamo lieti d'additarla come un grande esempio ed un grande protettore”. Agli addetti ai servizi stradali di Roma: “Doneremo a tutti i presenti una pia medaglia di S. Giovanni Bosco e accompagneremo il dono indicando nella splendida figura del nuovo Santo un [321] grande lavoratore cristiano. Siatene perciò divoti e invocatelo come un celeste patrono e intercessore delle divine grazie”. Ad altre categorie di lavoratori, come a minatori sardi, fece distribuire la medaglia commemorativa senza dire altro[92].

                Don Bosco fu dal Santo Padre segnalato anche a dirigenti di lavoratori. Nel dare udienza a notabilità dell'Associazione Elettrotecnica Italiana, sezioni di Roma, Napoli e Bari, egli ritornò con nuovi particolari sul suo incontro col Santo a Torino. Quegli ingegneri avevano visitato gl'impianti della Città del Vaticano; onde il Papa disse: “L'occasione di questa visita agli impianti del Vaticano ci ricorda un'altra visita ad altri impianti elettrotecnici; una visita da noi fatta a quell'uomo che davvero può dirsi di attualità, a quell'uomo che la Divina Provvidenza ci ha concesso di elevare ai supremi onori degli altari: a S. Giovanni Bosco, grande uomo prima, grande Santo ora. Noi potemmo conoscerlo con un certo agio, avendo così il bene di acquistarne una più intima conoscenza, e giudicandolo uomo di prim'ordine, da qualunque punto di vista. Perciò Noi sappiamo di S. Giovanni Bosco come pochi oggetti lo interessassero quanto le macchine: le più recenti e le più perfette macchine della elettricità, quali potevano essere allora, parecchi decenni or sono. Ricordiamo anzi come ad una nostra congratulazione per tutti i nuovi impianti, per gli impianti e le fabbriche della carta, per gli impianti con gli annessi e connessi tipografici, con tutti i macchinari, a tale congratulazione egli rispose con una certa fierezza e parlando sempre in terza persona, come usava esprimersi quando parlava di se stesso: - In queste cose Don Bosco ha voluto essere sempre all'avanguardia del progresso. - Parole da venir raccolte e messe in pratica”[93].

                La stessa rievocazione fece con qualche sfumatura di [322] più nel ricevere i giornalisti dei quotidiani romani e i corrispondenti da Roma dei maggiori giornali italiani. Prese, al solito, lo spunto dalla medaglia. Disse: “S. Giovanni Bosco può essere a tutti proposto come tipo e modello, per quell'esemplare di perfetta umanità che egli attuò in se stesso; ma può essere anche a buon diritto additato come speciale protettore dei giornalisti, giacchè per la stampa egli aveva una predilezione singolare, facendone oggetto speciale di tutto l'immenso suo bene, specialmente quello operato a vantaggio della diletta gioventù. Don Bosco aveva precisamente una predilezione speciale per la stampa, e fu proprio a proposito di macchine da stampa che un giorno a Noi stessi che lo interrogavamo intorno alla perfezione di esse, il caro Santo rispondeva, parlando in terza persona: - Don Bosco in questo vuole essere, come sempre, all'avanguardia del progresso”[94].

                Ancora due citazioni e poi basta. La prima è un po' curiosa; l'altra ha il valore di una preziosa testimonianza.

                La Guardia Palatina d'Onore aveva ottenuto una speciale udienza per riaffermare i suoi sentimenti di filiale pietà e profonda devozione al Vicario di Gesù Cristo. Nelle benevole parole di risposta all'indirizzo del Comandante Sua Santità fece entrare anche Don Bosco. Rimettendo le medaglie per le guardie, disse: “Sono medaglie di attualità e recano la effigie di un grande soldato: S. Giovanni Bosco che tutto il mondo del resto continuerà a chiamare Don Bosco. Egli fu un grande suddito, un soldato esemplare di Cristo e guardia onoratissima, fedelissima della Santa Chiesa e di quanto il Cuore del Redentore e della Chiesa hanno di più caro: la gioventù, portatrice dell'avvenire, per la quale egli in modo speciale tanto lavorò. Don Bosco perciò fu modello non soltanto di virtù, di perfezione, d'attività sacerdotale, ma fu anche in tutte le direzioni del bene il soldato, l'operaio invincibile ed instancabile. Don Bosco sarà dunque [323] un potente intercessore anche per i componenti la Guardia Palatina”.

                Nel dare le medaglie per i componenti l'Arciconfraternita dell'Adorazione notturna colse l'opportunità per toccare un punto di somma importanza. Quanti credettero che Don Bosco, immerso nel lavoro, fosse ben poco uomo di orazione! Il Papa invece non la pensava così. “La figura di questa medaglia, disse, quadra bene anche per voi, perchè di un adoratore, di un adoratore continuo, che Noi abbiamo avuto occasione di vedere in fervente preghiera di giorno e di notte, nonostante che la di lui vita fosse piena di tante occupazioni. Dall'Ostia Santa Don Bosco attingeva il suo grandissimo zelo per educare nella fede e nella vita cristiana tanta gioventù. Il Santo sia dunque il protettore degli Adoratori Notturni e un genio cristianamente benefico e tutelare delle loro care famiglie”[95].

                Quanto profondamente scolpita dovette rimanere nell'animo di Pio XI l'impressione provata alla visita della prima tipografia di Don Bosco, se ancora dopo mezzo secolo e da sì sublime altezza amava rievocarne il ricordo! E la cosa non finì in reiterate rievocazioni verbali. Infatti nel 1936, quando volle riordinare la tipografia vaticana, ne affidò alla Società Salesiana la direzione tecnica e amministrativa. I Salesiani prescelti, prima d'assumere il loro ufficio e prendere stanza nella Città del Vaticano, salirono a Castelgandolfo per ricevere la benedizione del Papa, il quale disse loro che l'idea di chiamarveli era stata tutta sua e che gli arrideva da tempo, avendo sempre seguito e ammirato il vasto ed esemplare lavoro della Società Salesiana anche in questo campo, assegnatole dal Santo Fondatore. “Don Bosco, aggiunse il Santo Padre, con l'intuito del veggente scorse e sentì di quale decisivo ausilio fosse l'arte tipografica ed editoriale ai nostri giorni per l'apostolato e l'educazione cristiana”.

 

 

CAPO XVI.

Festa della canonizzazione a Torino.

 

                A Roma, capitale del mondo cattolico e dell'Italia, celebrarono S. Giovanni Bosco i fedeli dell'Orbe e i cittadini dell'Urbe; Torino, città di elezione del Santo, teatro della sua carità e sede centrale delle sue Opere, gli apprestò un trionfo che alla solennità uni alcun che di intimo e cordiale, com'era da aspettarsi dove tutto ancora parlava di lui, del suo zelo, della sua bontà, de' suoi prodigi e dove molti ancora ricordavano d'averlo veduto, d'averlo udito, d'avere sperimentato la sua benevolenza e i suoi benefici. Nei tre giorni che precedettero la festa, affluirono a Torino migliaia di forestieri, italiani ed esteri. La pietà moveva generalmente tanti pellegrini; ma se ve n'erano mossi da curiosità, bastava che varcassero la soglia dell'Oratorio di Valdocco, perchè la loro curiosità si mutasse in venerazione. É un fatto che ivi l'ambiente sembra spirare aria di miracolo. Su per la scala che conduce alle umili stanzette di Don Bosco era un salire e uno scendere incessante di persone d'ogni condizione sociale, avide di osservare con i propri occhi il luogo, donde il Santo aveva diffuso tanta luce di bene.

                Anche per i festeggiamenti torinesi i Sovrani d'Italia insieme con i Principi di Piemonte e con tutti gli altri Principi e Principesse di Casa Savoia tennero l'alto Patronato, assunto per le celebrazioni romane. A loro si unirono due [325] Collari dell'Annunziata, il Duca del Mare Paolo Thaon di Revel e il Maresciallo d'Italia Gaetano Giardino, e l'Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede Conte Cesare De Vecchi, il quale venne pure a rappresentare ufficialmente il Regio Governo. Ad un cospicuo Comitato d'onore sotto la presidenza del Cardinale Arcivescovo e la vicepresidenza del Prefetto di Torino Agostino Iraci, diedero il nome tutte le Autorità e tutte le maggiori personalità del mondo laico ed ecclesiastico. Il Comitato esecutivo, che, presieduto dal Prefetto Generale della Congregazione Salesiana Don Berruti, aveva operato per Roma, agiva ancora più da parecchi mesi per Torino. L'esperienza del 1929 aveva insegnato quante e quali Commissioni facesse d'uopo costituire, se a tutto si voleva efficacemente provvedere. Questa volta recarono un prezioso contributo le Patronesse salesiane, sotto la presidenza onoraria della Duchessa di Pistoia Lydia di Aremberg e la effettiva della Marchesa Carmen Compans di Brichanteau. Non si trattava già di creare l'entusiasmo, ma di ben disciplinare le manifestazioni: impresa tutt'altro che agevole, dato il concorso che si prevedeva ingente di vicini e di lontani.

                Approssimandosi l'aprile, il Comitato esecutivo, che dopo accurati studi aveva fissato il programma, chiese, come vuole la legge, e ottenne dal Prefetto della Provincia l'autorizzazione alle divisate pubbliche manifestazioni. Ciò fatto, si rivolse al Podestà, pregandolo di accordare l'uso gratuito del suolo pubblico per impianti di vario genere nei pressi di Maria Ausiliatrice e lungo il percorso della processione, come pure i parcheggi delle autocorriere nello Stadium e altrove, i necessari servizi di polizia e l'organizzazione sanitaria. Ottenuta ogni cosa, sollecitò dal Governo speciali concessioni ferroviarie. Se ne interessò personalmente l'Ambasciatore De Vecchi, mercè i cui buoni uffici la Presidenza del Consiglio dei Ministri autorizzò la riduzione del cinquanta per cento a favore dei pellegrini isolati e del settanta alle comitive [326] di almeno quindici persone. Furono poi ordinati centomila distintivi da vendersi a lire una, e cinquantamila tessere acquistabili a due lire. Queste tessere avevano trenta pagine, venti delle quali si componevano di tagliandi per buoni di cestini e di pranzi con lo sconto del dieci per cento, e le altre contenevano il programma dei festeggiamenti, il circuito della processione e l'inno sociale. Si fecero anche stampare manifesti murali in grande quantità. Il Comitato inoltre, ricevendo l'annuncio di pellegrinaggi, mandava moduli da riempire di minute informazioni, utili soprattutto alle disposizioni da prendersi per gli alloggi, il vitto e l'ordinamento della processione.

                Il problema degli alloggi questa volta era più grave che nel 1929, sia perchè di pellegrini comuni e di Cooperatori insigni si prevedeva un numero assai più rilevante, sia perchè il Rettor Maggiore Don Ricaldone aveva diramato un invito a tutti i Vescovi d'Italia, pregandoli d'intervenire personalmente. Anche dall'estero parecchi Prelati fecero conoscere la loro intenzione di partecipare alle feste. Orbene la generosità cittadina non si mostrò da meno dell'altra volta; parroci, religiosi, collegi, famiglie private gareggiarono in offrire ospitalità a chi fosse loro inviato dai dirigenti.

                Un secondo problema era mettere a disposizione specialmente dei Vescovi i mezzi di trasporto necessari sopra tutto per andare e venire dalle loro abitazioni più volte al giorno. Molto giovò a questo scopo la liberalità del Senatore Agnelli, proprietario della Fiat, che fece stazionare nel cortile dell'Oratorio per l'intero periodo delle feste venti automobili nuove fiammanti con i relativi autisti. Il medesimo signore in un locale adibito già a carrozzeria ordinò che si allestissero comodi alloggiamenti per un migliaio di allievi e di ex - allievi. Il Municipio offerse duecento letti e il Magazzino militare imprestò cinquecento brande e millecinquecento pagliericci con coperte. Negli alberghi da due mesi tutti i posti erano accaparrati per i pellegrini esteri. [327]

                L'afflusso e il soggiorno dei pellegrini fu agevolato dalle facilitazioni delle ferrovie statali e secondarie e dalle Società tramviarie e autistiche. Le Croci Rossa, Verde e Bianca si ripartirono l'assistenza del pronto soccorso. L'impianto di altoparlanti nei cortili dell'Oratorio, sulla piazza di Maria Ausiliatrice e lungo il Corso Regina Margherita doveva rendere possibile alle immense folle il partecipare ai sacri riti; le funzioni di maggior importanza si ottenne che venissero trasmesse per radio. Abili cerimonieri con a capo Don Vismara stavano preparati e pronti a dirigere con il voluto decoro cerimonie di tanta grandiosità. Nobili gentiluomini di Corte, coadiuvati dal professor Gribaudi e dall'avvocato Battù, aderirono all'invito di regolare i ricevimenti di personaggi principeschi o altolocati. Insomma nulla erasi trascurato, perchè lo straordinario avvenimento si svolgesse con ordine, decoro e magnificenza.

                Il triduo preparatorio cominciò il 5. La basilica di Maria Ausiliatrice, tutta luci, fiori e addobbi, si aperse all'alba per accogliere i pellegrini, che già facevano ressa alle sue porte. Sull'altare della cappella di S. Pietro, dove troneggiava l'urna del Santo, pendeva il dipinto del Crida, che poi, come abbiamo narrato, fu offerto al Papa il 18 seguente. Nelle prime ore di quella mattina giunse improvvisamente e in forma privatissima il Principe Ereditario, partito la sera avanti da Pisa. Egli, salito subito alle camerette di Don Bosco, ascoltò con pio raccoglimento la Messa. Intanto, essendo stato riconosciuto, la voce della sua presenza corse per la casa e pervenne all'orecchio dei Superiori che accorsero a rendergli omaggio. Come scese, attraversò il cortile fra le acclamazioni dei giovani e del popolo e si degnò gradire una tazza di caffè, servitagli con tutta semplicità nella sala da pranzo del Capitolo Superiore. Durante la breve conversazione egli s'informò del programma, che si sarebbe svolto la domenica dopo. L'animo suo vibrava ancora dell'emozione provata a Roma nella recente Pasqua. [328]

                Per quattro giorni consecutivi la folla gremì la chiesa, invase i cortili, si addensò nella piazza, ed era spettacolo edificante e commovente il vedere con quanta pietà fuori del tempio quelle migliaia di fedeli pendessero dagli altoparlanti, attraverso i quali giungevano dall'interno suoni, canti, prediche. Anch'essi ora si segnavano o s'inginocchiavano, ora rispondevano alle preci liturgiche, facevano insomma gli atti soliti di chi circonda l'altare durante le funzioni sacre. Non parliamo poi della frequenza ai sacramenti. Sarebbe mai stata concepita una festa di S. Giovanni Bosco senza infinito numero di confessioni e comunioni? Dall'alba al tramonto i confessionali erano presi d'assalto; per ore e ore tre sacerdoti o insieme o per turno distribuivano quasi senza posa la Santa Eucaristia.

                Ognuna delle giornate del triduo ebbe la sua speciale destinazione. La prima fu dedicata agli Istituti e alle Associazioni maschili. Pontificò il Cardinale Nasalli - Rocca, Arcivescovo di Bologna, assistito da otto Vescovi. Occupavano un posto d'onore in presbiterio i Principi d'Orléans. Nel pomeriggio dopo il canto dei vespri l'Eminentissimo Hlond disse il panegirico. Prendendo le mosse delle grandiose manifestazioni della città eterna, tracciò in rapida ed efficace sintesi la molteplice attività di Don Bosco nel mondo.

                Il 6 aprile, destinato particolarmente al clero, la Messa pontificale fu celebrata dal Cardinale Ascalesi, Arcivescovo di Napoli. L'esecuzione musicale venne affidata alla cappella del Seminario Arcivescovile. Dieci altri Vescovi si aggiunsero a quelli del di innanzi. Alla sera predicò il Cardinale Schuster, Arcivescovo di Milano, spiegando agli uditori come la multiforme attività di Don Bosco fosse in rapporto con la multiforme sua santità e definendolo un Santo che sorpassa tutte le grandezze.

                Il sabato era giorno degli Istituti e delle Associazioni femminili. Vi emergevano naturalmente le Figlie di Maria Ausiliatrice. Cantò la Messa il Cardinale Maurin, Arcivescovo [329] di Lione, con l'assistenza di trenta fra Arcivescovi e Vescovi. La parte musicale fu disimpegnata in modo superiore ad ogni elogio da un numeroso coro di fanciulle sotto la magica bacchetta del venerando salesiano Don Grosso, che le aveva preparate. La sera il Cardinale Nasalli - Rocca parlò del Santo con originalità di rilievi, profondità di pensieri ed eloquenza di forma.

                In tutti tre i giorni le funzioni vespertine si dovettero raddoppiare, celebrandosene una seconda alle ore venti per il ceto operaio, che stipò sempre la chiesa e le vicinanze. Un Vescovo prendeva prima la parola e un altro Vescovo impartiva la benedizione eucaristica. Ogni sera, appena esposto il Santissimo, ventimila lampadine elettriche illuminavano di scatto la facciata e la cupola della Basilica; dopo, la banda musicale dell'Oratorio dava concerto sulla piazza. Intanto l'onda dei pellegrini non cessava d'incalzarsi divotamente dinanzi all'urna.

                Non è da tacere un piccolo episodio che attesta la riverenza e l'esultanza popolare per Don Bosco. Due coniugi ottuagenari di un paesello piemontese avevano affrontato i disagi del viaggio per godere del trionfo di colui dal quale erano stati uniti in matrimonio. Si presentarono pure a Don Ricaldone e gli dissero che il Santo, povero com'era, non aveva potuto far loro altro dono che de Il Giovane Provveduto con la sua dedica autografa e con un richiamo al capitolo che parla del Paradiso e dei mezzi per meritarlo.

                Alla sera della grande vigilia la gioventù cattolica torinese compì un rito religioso meritevole di rilievo. Nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, che col popolarissimo episodio del giovane Garelli ricorda l'inizio della missione di Don Bosco, si diedero convegno le Associazioni giovanili della città per un'ora di adorazione. V'intervenne la Presidenza diocesana. La piissima cerimonia riuscì un'ottima preparazione all'apoteosi del giorno seguente.

                Purtroppo l'8 aprile non spuntò sereno. Da prima cadde [330] a intervalli una pioggerella minuta, che uggiva; poi rovesci d'acqua si succedettero sempre più dirotti. Il maltempo tuttavia non sconcertava la pietà del popolo. Perchè vi fosse comodità per tutti di soddisfare al precetto domenicale, si celebravano ininterrottamente Messe in vari punti fuori della Basilica; benchè piovesse, un sacerdote anche sulla piazza saliva ogni mezz'ora a un altare improvvisato e messo al riparo dalle intemperie, La Messa per i giovani interni fu celebrata del Cardinale Vidal y Barraquer, Arcivescovo di Tarragona. Dopo bisognò sgombrare la chiesa per farvi luogo ai personaggi invitati e alle rappresentanze. Tutta la parte centrale era riservata agli Arcivescovi e Vescovi, che avrebbero preso posto in quattro lunghe bancate coperte di damasco e situate due a due di fronte, nella direzione dalla balaustra verso il fondo. Dietro i Vescovi, dal lato del Vangelo, erano preparati i banchi per le rappresentanze del clero secolare e regolare, e dal lato dell'Epistola quelli per il Consiglio Generalizio delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per le rappresentanze delle Congregazioni religiose femminili e per le personalità del laicato. Nel presbiterio cinque troni eretti di fronte al trono arcivescovile attendevano cinque dei Cardinali menzionati sopra; mancava l'Eminentissimo Schuster, che aveva dovuto fare ritorno a Milano subito dopo il suo discorso.

                Le dense nubi che coprivano il cielo, sospesero fortunatamente il diluviare, finchè non fu sfilato l'ieratico imponente corteo, che dall'Oratorio per il sagrato fece l'ingresso nella Basilica poco prima della Messa pontificale. Dopo la croce astile e il clero di servizio venivano in piviale e mitra centoventi fra Prefetti apostolici, Vescovi, Arcivescovi e Cardinali. Ultimo incedeva il Cardinale Fossati in sfarzosi abiti pontificali, ornato del sacro pallio. La Francia era rappresentata dal Cardinale di Lione e dai Vescovi di Annecy, Fréjus, Langres, Lourdes, Metz e Montpellier; la Spagna dal Cardinale di Tarragona e dal Vescovo di Malaga; la Polonia [331] dal Cardinale Primate; la Lituania da due Prelati reduci dalle prigioni russe; Malta dal Vescovo di Gozo; l'America dai Vescovi di Talca per il 'Perù, di Taija per la Bolivia e di Santos per il Brasile. Dei Salesiani venivano dall'India il Prefetto Apostolico dell'Assam, l'Amministratore Apostolico di Krishnagar e l'Arcivescovo di Madras; dal Brasile il Prelato di Rio Negro e Porto Velho e l'Arcivescovo di Belem do Parà; dal Paraguay il Vescovo di Concepción; dall'Equatore il Vicario Apostolico di Mendez e Gualaquiza; dal Cile quello di Magellano; dalle Isole Filippine il Delegato Apostolico Mons. Piani.

                Tutto questo movimento di alto clero si eseguì con ordine perfetto, grazie ai diligenti preparativi e all'abilità più unica che rara di Don Vismara, il quale seppe far compiere con dignitosa e sincrona uniformità a sì gran numero di Prelati gli atti voluti dallo svolgersi della funzione. La nuova Messa composta appositamente dal Salesiano Don De Bonis venne giudicata degnissima dell'occasione[96]. Vangelo il Cardinale Fossati disse l'omelia. Esordì rievocando la letizia della recente Pasqua romana, definita dal Santo Padre Pasqua Salesiana; delineò quindi con eloquenza la grandiosa figura di S. Giovanni Bosco, ritraendolo sopra tutto nei tratti caratteristici di padre e maestro della gioventù ed esaltandone l'indefesso apostolato. Intanto fuori scrosciava la pioggia. Eppure i cortili, la piazza e il corso rigurgitavano di gente. Pittoresca e forse mai veduta era la scena di tanti ombrelli spiegati gli uni vicini agli altri, in modo da offrire l'immagine di un'immensa testuggine romana [La pagina 322 contiene una piantina del percorso della processione di San Giovanni Bosco] [333] che stringeva da ogni parte il tempio, quasi fosse questo una fortezza da prendere d'assalto. Con immagine più andante altri avrebbe detto che quella infinità di ombrelli aperti faceva pensare a una sterminata fungaia.

                Dopo l'ora dello spirito sono pure l'ora per il corpo. Per le refezioni ordinarie dei Cardinali e dei Vescovi l'Economo Generale Don Giraudi aveva trasformato in sontuoso salone l'ampio refettorio degli artigiani, che, contenendo abitualmente più di trecento giovani, poteva bastare ad accogliere con ogni comodità i nuovi ospiti, più gli altri personaggi invitati a far loro onore nel dì della festa. Il servizio della mensa veniva disimpegnato in parte da camerieri d'albergo. Nonostante la signorile trasformazione, i nobili commensali leggevano sulla porta d'ingresso la scritta: “Refettorio degli artigiani”. Il che faceva dire che l'Opera di Don Bosco ha una miracolosa capacità di adattamento a tutte le contingenze della vita.

                Nella chiesa durante il silenzio dei sacri riti la folla, ansiosa di pregare dinanzi all'urna del Santo, si rinnovava senza interruzione. Anche alle camerette di Don Bosco la processione dei visitatori non aveva tregua. Ma un'altra processione era attesa nel pomeriggio. La si sarebbe potuta fare? Tutte le disposizioni erano state prese. Tracciato l'itinerario[97], divisi in diciotto gruppi i partecipanti, fissato a ogni gruppo il suo punto di concentramento in partenza e in arrivo e un capo regolare, diramati fin dal 3 aprile gl'inviti [334] personali, composto e musicato e imparato l'inno del giorno[98]. Ma bisognava fare i conti col tempo. La pioggia continuava a imperversare. L'incertezza durò fin verso le quindici e mezzo. Allora si apprese che, a dispetto della pioggia, tutti i concentramenti si erano operati e che lungo il percorso stabilito migliaia e migliaia di persone, incuranti degli acquazzoni, aspettavano da parecchie ore. Lo spettacolo di sì eroica pazienza finì con aver ragione di tutte le perplessità; gli altoparlanti annunciarono finalmente che la processione si faceva. Un grido di gioia di levò intorno alla Basilica, propagandosi rapidamente per le vie. La decisione era stata imposta dalla folla. Sarebbe stata una processione di ombrelli; ma trecentomila anime volevano a ogni costo acclamare il Santo.

                Non fu più uno sfilare di masse compatte, come nel 1929; ma, se il sole avesse squarciato le nubi, Torino avrebbe ammirato una teoria di Vescovi, quale la gloriosa capitale storica non aveva mai veduta fra le sue mura. Mancò dunque lo splendore delle mitre e degli altri ornamenti episcopali, ma non la partecipazione dei Prelati. Inoltre il contrasto atmosferico fece rifulgere maggiormente l'affetto dei Torinesi per il loro Don Bosco. Si - narra di un bimbo che interrogò il babbo, perchè tanta gente stesse là ad aspettare Don Bosco, e che il genitore gli rispose: - Perché a Don Bosco tutti vogliono bene. - Non si poteva con parole più semplici spiegare meglio il mistero di un sì gran fatto. Veramente aquae multae non potuerunt exstinguere caritatem.

                Quattro ore durò il trionfale sfilamento sotto gli ombrelli. I diciotto gruppi si susseguirono con la regolarità di un esercito in marcia e con un entusiasmo che non venne mai meno dal principio alla fine. A misurare la portata del plebiscito universale di consenso intorno a Don Bosco, nulla vale più della processione. Passarla in rassegna è vedere [335] tutti gli ordini dei cittadini e molte rappresentanze di Stati esteri rendere omaggio all'umile figlio del popolo, che con l'eroismo della carità avvinse a sè i cuori degli uomini moderni, tanto sovente sviati, “imagini di ben seguendo false”.

                Erano le 15, 30 quando, aperta da una squadra di guardie municipali in bicicletta, la Processione incominciò a sfilare.

 

                GRUPPI I e II - Schiere di bambine in costumi da paggi guidavano la falange delle giovinette degli Oratori delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Torino: 2500, al canto dell'inno ufficiale, accompagnato dalla Banda dell'Istituto Salesiano di S. Benigno. E dietro ad esse, oltre 3.000 giovani degli Oratorii Salesiani di Torino colla fanfara dell'Oratorio Michele Rua, e le Bande dell'Oratorio di S. Paolo e del Primo Oratorio festivo di Valdocco, la “Cardinal Cagliero”.

 

                GRUPPI III, IV e V. - Il III Gruppo era formato dalle Piccole e dalle Giovani Italiane e dalle rappresentanze dei Fasci femminili, col Corpo musicale Excelsior e quello del Dopolavoro Fiat di Torino; seguiti dal IV Gruppo dell'Opera Nazionale Balilla, degli Avanguardisti e rappresentanze dei Fasci maschili, colle Bande della Parrocchia di S. Bernardino e del Gruppo Rionale Gustavo Doglia” di Torino. La Banda del Collegio degli Artiglianelli tagliava poscia le lunghe colonne di 17 Convitti ed Istituti femminili della Città di Torino, seguiti da 15 Convitti ed Istituti maschili e da una folta rappresentanza degli Istituti Medi, cioè tutto il V Gruppo[99].

 

                GRUPPI VI, VII e VIII, - Ed ecco il VI Gruppo con la Banda Istituto Salesiano Conti Rebaudengo” di Torino ed 830 giovani, rappresentanze dei Collegi Salesiani di Torino: Sassi (orfanelli), Martinetto, Rebaudengo, S. Giovanni, Valsalice. Poi il VII preceduto dalla Banda della Parrocchia di S. Giulia in Torino, con 6460 giovinette degli Istituti e Oratori delle Figlie di Maria Ausiliatrice del Piemonte, alternate colle Bande dell'Oratorio Salesiano di Chieri e dell'Oratorio Festivo di Santena. Nell'VIII Gruppo, aperto dalla Banda dell'Oratorio Salesiano di Asti, sfilavano 3840 giovani di 22 Istituti e Oratori salesiani del Piemonte, allietati anche dalla Banda dell'Istituto Salesiano di Novara e da quelle degli Istituti Salesiani di Faenza, di Trieste e di S. Donà di Piave. [336]

 

                GRUPPO IX. - Al IX Gruppo era l'Azione Cattolica. Biancovestita, spirante purezza passa la Gioventù Femminile; segue l'Associazione Universitaria “Gaetana Agnesi” e l'Associazione Donne Cattoliche. La Banda dell'Istituto Salesiano di Casale Monferrato le separa dalle Associazioni maschili: Gioventù Maschile, Associazione Universitaria e Cesare Balbo”. La Banda della Scuola Agricola Salesiana di Lombriasco precedeva l'Associazione Uomini Cattolici e la Giunta Diocesana: erano più di 8.000.

 

                GRUPPO X. - Il X Gruppo era più complesso. L'apriva la Banda dell'Istituto Salesiano di Alessandria che precedeva una larga rappresentanza delle Ex - Allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice e delle Cooperatrici Salesiane. Seguiva la Banda dell'Istituto Salesiano di Varazze, colle Dame di Maria Ausiliatrice e le Terziarie. La Banda dell'Istituto Salesiano di Borgo S. Martino, precedeva i numerosi Confratelli delle Conferenze di S. Vincenzo ed oltre 2000 Ex - Allievi di Don Bosco. Infine la Banda dell'Istituto Salesiano di Penango intonava la letizia di una falange di Cooperatori Salesiani e di Terziari.

 

                GRUPPO XI. - L'XI Gruppo, aperto dalla Banda dell'Oratorio Salesiano di Milano, era composto dalle rappresentanze degli Istituti delle Figlie di Maria Ausiliatrice d'Italia e dell'Estero: 794 giovinette nelle graziose divise. La Banda dell'Istituto Salesiano di S. Pier d'Arena le separava dalle rappresentanze degl'Istituti Salesiani d'Italia e dell'estero. Milano con 380 giovani. Gli altri Collegi rappresentati da 560, scelti fra i migliori per condotta, studio e lavoro. Al passaggio dell'Istituto “Pio XI” di Roma la folla applaudì al Vicario di Cristo con frequenti grida di “Evviva il Papa!”.

 

                GRUPPO XII. - Nel XII Gruppo ecco i pellegrini provenienti dall'estero. Tutte le Nazioni d’Europa sono rappresentate: il Belgio con 217, la Francia con 1380, la Spagna con 600. Fra le altre nazioni ove sono Case salesiane il numero maggiore lo dà l'Argentina. I pellegrini sono accompagnati dalla Banda della Scuola Agricola Missionaria di Cumiana e da quella dell'Istituto Salesiano di Milano.

 

                GRUPPO XIII. - La Banda dell'Istituto “Pio XI” di Roma apre il XIII Gruppo composto dalle Figlie di Maria e Congregazioni religiose femminili; seguite dall'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice col Consiglio Generalizio. Lo chiude la Banda dell'Oratorio di S. Francesco di Sales di Torino.

 

                GRUPPO XIV. - Dietro la Banda dell'Oratorio S. Francesco di Sales appare finalmente la Croce astile cui segue il XIV Gruppo - coi Religiosi laici e Chierici di Congregazioni Religiose, i Seminari Diocesani di Giaveno, Chieri, Torino. I Chierici Salesiani, parecchi Vescovi [337] e Arcivescovi Salesiani in piviale e mitra sotto gli ombrelli, l'Em.mo Cardinale Arcivescovo di Torino, con gli Em.mi Ascalesi, e Hlond, nelle macchine gentilmente concesse dalla Fiat. Decorano mirabilmente il Gruppo, i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro, i Cavalieri e i Commendatori di altri Ordini. Seguono gli Eminentissimi, il Rettor Maggiore coi membri del Capitolo Superiore, a piedi, e le rappresentanze dei Salesiani, Cooperatori ed Ex - Allievi che fanno scorta d'onore al carro trionfale su cui è l'urna con la salina gloriosa del Santo. Sono nel gruppo il venerando Don Orione, il Presidente Generale dei Cooperatori Conte Sen. Eugenio Rebaudengo e il Presidente degli Ex - Allievi, Comm. Masera.

 

                GRUPPO XV. - L'Urna passa fra le acclamazioni della folla e sosta brevemente in Piazza Consolata ove è in attesa, sotto una modesta tribuna, e nella Basilica, il XV Gruppo, formato dai rappresentanti dei varii Ordini e Congregazioni Religiose, dai Superiori Provinciali, dal Clero Diocesano, dai Rettori di chiese, dai Sacerdoti Salesiani, dai Parroci, dai Superiori Generali di Congregazioni Religiose, dai Canonici delle Collegiate e della Metropolitana, dai numerosi Prelati, Vescovi ed Arcivescovi.

 

                GRUPPI XVI, XVII e XVIII. - Altre macchine della Fiat e di distinte famiglie erano state messe a disposizione dei Vescovi; ma parecchi di essi preferirono affrontare la pioggia a piedi, sotto gli ombrelli. Così il corteo riprese più pittoresco e sempre entusiasta il suo percorso. Passata l'urna in Piazza Cittadella, entra in processione, lasciando posto ai due gruppi che hanno stanza in Piazza Solferino, il XVIII Gruppo, formato dalla Banda I Legione della Militare Difesa Antiaerea Territoriale, dalle Rappresentanze Gruppi Rionali Fascisti di Torino, della Associazione Volontari di Guerra, Associazione Nazionale Combattenti, Carabinieri Reali in Congedo, Reduci di Francia, Associazione Nazionale del Fante, Associazione Nazionale Granatieri, Associazione Nazionale Alpini, Associazione Nazionale Bersaglieri, Associazione Nazionale Piemontese Artiglieri d'Italia, Associazione Nazionale Artiglieri di Montagna, Associazione Nazionale Arma del Genio, Unione Marinara Italiana, Associazione di Cavalleria Gruppo Piemonte, Banda Musicale Pubblico Impiego, di Torino, Rappresentanze Associazioni Civili, Dipendenti Statali e Pubblico Impiego, Confederazioni Nazionali Fasciste: Professionisti e Artisti, Industria, Commercio, Agricoltura, Trasporti Terrestri, Rappresentanze Sindacati Fascisti dell'Industria, del Commercio e dell'Agricoltura, Federazione Comunità Artigiane, Opera Nazionale Dopolavoro, pellegrinaggi diversi che non avevano segnalato a tempo la loro partecipazione. [338]

                L'urna preziosa col corpo dei Santo, rivestito come per la Messa dei paramenti sacerdotali, con la ricca pianeta donata da Benedetto XV, avanza fra gli applausi di una folla sempre più fitta che si distende in due ampie ali lungo i magnifici corsi, mentre dalla vasta tribuna eretta nei giardini della Cittadella centinaia di persone si sforzano, tra gli ombrelli indispensabili, di seguirla lungo il percorso trionfale. Passa, come in una visione di cielo, arra di benedizioni, montata su uno chàssis, velato di damaschi e inghirlandato di fiori. Al suo passaggio gli uomini si scoprono il capo, molti cadono in ginocchio, senza riguardo all'acqua ed al fango, le donne si segnano, i bimbi mandano baci e gridano evviva. “Sembra che realmente egli riviva, scriveva La Stampa, come vive il suo spirito, ormai glorificato e inobliabile”.

                Dalle finestre e dai balconi delle case piovono quasi di continuo fasci di fiori. Attraverso i cristialli ciascuno cerca di ravvisare il volto del Santo che, come un trionfatore, passa nella città dove sbocciò e si sviluppò la sua opera meravigliosa.

                In Piazza Solferino attendono il Gruppo XVI ed il XVII. Il Podestà di Torino Conte Sen. Paolo Thaon di Revel, assistito dai due Vice - Podestà, sorridente sotto l'ombrello, che ripara fino ad un certo punto, prende posto subito dietro l'urna del Santo. Con lui si schierano tutte le Autorità Civili, il Corpo Consolare che rappresenta sedici Nazioni (Albania, Argentina, Austria, Brasile, Cecoslovacchia, Francia, Giappone, Grecia, Honduras, Messico, Monaco, Nicaragua, Panamà, Paraguay, Perù, Ungheria), 46 Podestà rappresentanti Comuni del Piemonte ove esistono Opere di Don Bosco, fra cui in posto d'onore il Podestà di Castelnuovo Don Bosco.

                La Banda Militare Presidiaria di Torino distingue il Gruppo XVI dal XVII composto dalle Rappresentanze dell'Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti in guerra e dei Caduti Fascisti, dell'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra, dell'Istituto del Nastro Azzurro, dell'Università di Torino, delle Facoltà Pontificie Teologica e Legale, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, degli Istituti Superiori d'Istruzione, dell'Associazione Fascista della Scuola, della Gioventù Universitaria Fascista, dell'Associazione C Dante Alighieri”, dell'Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari d'Italia, dell'Unione Insegnanti “Don Bosco”.

                La Processione da Piazza Solferino scende per Via Pietro Micca, Via XX Settembre, sbocca in Piazza della Cattedrale, davanti al rappresentante del Governo Italiano ed agli Eminentissimi Maurin, Vidal y Barraquer, e Nasalli - Rocca, con l'Arcivescovo di Vercelli, Mons. Montanelli.

                Il Conte De Vecchi ha alla sua destra il Prefetto Iraci ed il Segretario Federale Andrea Gastaldi. Gli altri seggi sono occupati dall'Ambasciatore d'Argentina Cantilo, dal Maresciallo d'Italia Giardino, [339] dalle Autorità politiche, civili e militari, da nobili Dame dell'aristo­crazia e del patriziato.

                Alle porte della Cattedrale altri Vescovi, Canonici e Sacerdoti. Di fronte, un'ampia tribuna accoglie qualche centinaio di persone.

                L'urna sosta alcuni minuti per dar tempo ai Cardinali ed ai Vescovi di prendere posto sulle macchine ed entrare in processione.

                Poi riprende e percorre lentamente l'ampio Corso Regina Margherita alla luce artificiale dell'illuminazione cittadina ed al tremulo fiammeggiare delle fiaccole portate dal Clero. Spettacolo fantastico! Due file di truppe rinforzate lungo il percorso, sotto la pioggia da diverse ore, stentano a trattenere la marea di gente, che, dietro i cordoni, gremisce letteralmente i larghissimi viali stipandosi fin contro gli edifici e servendosi di mille mezzi per alzarsi dal suolo e raggiungere con lo sguardo la parte più maestosa della lunghissima sfilata. Molte mamme levano l'ombrello sul capo dei soldati mentre i bambini sgusciano in prima fila riparandosi abilmente sotto le mantelline militari. Un entusiasmo delirante, una fede ardente, grida di invocazione e di evviva salgono al cielo. É il tratto più trionfale di tutto il percorso. Verso le 19, 30 l'urna appare in Piazza Maria Ausiliatrice. La Basilica, illuminatasi d'incanto fino alla Madonnina della cupola, l'avvolge in un mare di luce multicolore, mentre le campane sfrenano squilli di gloria e, dall'interno, le note dell'organo, rincorrendosi in armonie gioconde, sembrano sollecitare l'ingresso di Don Bosco che la folla immensa vorrebbe invece trattenere ancora davanti al suo sguardo, insaziabile della magnifica visione.

                L'ingresso in Basilica è il trionfo finale. Schierati nelle rispettive bancate gli Arcivescovi e Vescovi, gremito il Tempio di Autorità e di Clero, i Cardinali al trono, in presbiterio due Principi di Casa Savoia sono ad accogliere, col rappresentante del Governo Italiano, la salma gloriosa del Santo. Il Principe Adalberto di Savoia - Genova, Duca di Bergamo è venuto appositamente da Milano a rendere a Don Bosco l'augusto omaggio della sua presenza e del suo affetto; e la Principessa Maria Adelaide di Savoia - Genova rappresenta con Sua Altezza tutta l'Augusta Casa. Il Comitato Centrale delle Dame Patronesse delle Opere Salesiane occupa la propria tribuna presso l'altare di S. Giuseppe.

                Deposta l'urna avanti all'altar maggiore, il Cardinale Fossati passa in sagrestia ad assumere i sacri paramenti e ritorna all'altare per impartire, la benedizione eucaristica. Contemporaneamente il Card. Hlond raggiunge il balcone della Società Editrice Internazionale per impartirla alla folla assiepata sul Corso Regina Margherita e specialmente al Rondò.

                Dopo il canto dell'Iste Confessor e del Tantum ergo il Cardinale [340] imparte la trina benedizione dall'altar maggiore, indi si porta processionalmente alla porta della Basilica per rinnovarla all'immenso popolo, raccolto da uno squillo di tromba nel più religioso silenzio. Brevi istanti di commozione, di adorazione, poi un grido altissimo: “Viva Don Bosco!”. Ed il coro della folla immensa, animato dai giovani, sfogato l'entusiasmo al suo Santo, scioglie il canto di benedizione a Dio e di ringraziamento. Al Dio sia benedetto segue l'inno al Santo e poi altri inni ed altri ancora, mentre gran parte dei Torinesi ritorna alle proprie case ed i pellegrini, preoccupati dell'ora della partenza, si affrettano ai vari mezzi di trasporto, per raggiungere paesi lontani ore ed ore di viaggio. Per la gran folla che urgeva alla porta della chiesa si organizzò subito l'accesso; così, fino a notte inoltrata, migliaia e migliaia di pellegrini poterono sfilare accanto all'urna a deporvi un bacio, una preghiera.

                Frattanto gli Augusti Principi, ossequiati dal Rettor Maggiore, dalle Autorità e dal Superiori, attraversato in macchina il cortile interno, fra le acclamazioni dei giovani, lasciano la Casa Madre di Don Bosco Santo. Le acclamazioni si rinnovano alla partenza dell'Arcivescovo e degli altri Principi di Santa Chiesa e salutano con particolare senso di omaggio l'Ambasciatore Conte De Vecchi.

 

                Il Rappresentante del Governo dettò quella sera stessa per La Stampa le sue impressioni, dicendo fra l'altro: “Torino ha vissuto oggi una delle sue giornate solenni. Don Bosco, il suo Santo, l'altro S. Giovanni dallo stesso nome del Santo - Protettore nei secoli della Città Fedele, ha avuto gli onori più alti della sua gloria nei luoghi dove ha più intensamente operato. Il sue Corpo ha attraversato la città fra i segni della più alta divozione di tutto un popolo. Non è bastato il tempo inclemente a spegnere tanto fervore d'amorosa cristiana pietà: si direbbe invece che l'ha ravvivato così come sempre la religione cristiana si ravviva nelle avversità! Tutto un popolo ha preceduto in processione l'urna del Corpo Santo: una mirabile aristocrazia del valore, del sacrificio, dell'ardore patriottico l'ha seguita. Nel popolo che precedeva, scarso era il passato, pochi erano i vecchi, non numeroso era il presente: quasi tutto era avvenire, erano diecine e diecine di migliaia di giovani, dei prediletti di Don Bosco. E tutti lo invocavano ad alta voce, [341] con un canto solo, che non era monotono, perchè era la invocazione viva di tutti:

 

Don Bosco ritorna

Fra i giovani ancor”.

 

                Un ex - allievo francese, che per prendere parte alla manifestazione e trovarsi nuovamente nel suo ufficio il lunedì appresso, dovette passare due notti in treno, lasciò alla Direzione dei Bulletin un biglietto, nel quale aveva scritto: “Avrei dato dieci anni di vita per non mancare a sì entusiastica dimostrazione in onore di Don Bosco”.

 

 

CAPO XVII.

Di alcune dimostrazioni particolari.

 

                ALL’APOTEOSI torinese tennero dietro varie dimostrazioni minori ed anche minime, non prive d'importanza e di significato. Inoltre alla piena glorificazione del Santo mancavano ancora alcune parti, che vennero in seguito da Roma o avvennero a Roma. Delle une e delle altre diremo brevemente in questo capo.

                Anche a Torino S. Giovanni Bosco ebbe la sua commemorazione civile. Il luogo scelto, le persone intervenute, l'oratore designato risposero egregiamente allo scopo.

                All'estrema periferia della città nei pressi della Stura si doveva inaugurare un grandioso fabbricato, eretto per formarvi personale salesiano laico, da destinarsi a reggere le scuole d'arti e mestieri nei paesi di Missione. L'Istituto era sorto per la munificenza del Senatore Conte Eugenio Rebaudengo, il quale aveva voluto così onorare e perpetuare la memoria della sua degna consorte, chiamata recentemente da Dio a ricevere il premio delle sue cristiane virtù. L'inaugurazione dell'insigne opera missionaria offriva un'ottima occasione per rendere a Don Bosco civili onoranze. Le più alte autorità e personalità cittadine, aderendo di buon grado all'invito rivolto loro da Don Ricaldone, convennero ivi nel pomeriggio del io aprile. Pennoni, orifiamme, bandiere tricolori sventolavano fra vessilli e stemmi degli Stati, dove lavorano i figli di Don Bosco. Gaie note [343] musicali accoglievano gli ospiti illustri, che accedevano al palco d'onore o ai posti riservati nello spazioso cortile. Parecchie centinaia di giovani appartenenti a collegi e oratori salesiani, a scuole municipali e ad altri istituti educativi gremivano un lungo e largo terrazzo, che corre sui portici dell'edificio. Accompagnata dall'Ambasciatore De Vecchi entrò per ultima la Principessa Maria Adelaide di Savoia - Genova, che si assise fra i Cardinali Fossati e Hlond. Eseguito che fu l'inno “Sonate, campane”, un alunno sarto, aspirante missionario, lesse un indirizzo di omaggio a Sua Altezza, alle loro Eminenze, al Rappresentante del Governo e a tutte le autorità; quindi presentò alla Principessa un superbo cesto di rose e viole. Comparve finalmente sul palco l'oratore ufficiale. Era il Senatore Pietro Fedele, Ordinario di Storia medievale e moderna nell'Università di Roma, Ministro di Stato e già Ministro dell'Educazione Nazionale.

                L'esordio fu un'esaltazione di Torino e del popolo piemontese: traversìe subìte nei secoli dalla città sabauda, fioritura di uomini santi che a giusto titolo furono inviati dalla Provvidenza per apportare ai mali che travagliano la nostra terra gli adeguati rimedi, condizioni della capitale piemontese all'inizio dell'Ottocento, della Torino che vide e amò Don Cafasso, Don Cottolengo, Don Bosco. E qui fece rivivere uno degli incontri più significativi tra il Cottolengo e Don Bosco, nel quale il Santo Fondatore della Piccola Casa ebbe una chiara e lucidissima visione dell'opera, che avrebbe iniziata l'umile sacerdote dei Becchi. - Don Bosco, gli disse in quell'occasione il Cottolengo, dovete provvedervi di un abito più consistente, affinchè i giovanetti vi si possano attaccare senza lacerarlo, poichè verrà il tempo che molti vi si attaccheranno! - Mirabile profezia! “La missione di Don Bosco, proseguì l'oratore, fu difatti di educazione cristiana e civile della gioventù italiana ed insieme la propagazione della fede di Cristo e con la fede il nome d'Italia nel mondo”. [344]

                Il Fedele si addentrò ad esaminare minutamente l'Opera grandiosa creata dal Santo. Descrisse con commossi accenti la prima conquista spirituale di Don Bosco, un povero orfano raccolto sulla strada nel giorno dell'Immacolata del 1841, per giungere al 1846, quando il Fondatore dei Salesiani già aveva attorno a sè quattrocento e più giovani e poteva disporre di una casa. Infine, quando nel 1875 dieci Salesiani partivano missionari per l'Argentina: - Chissà, aveva detto Don Bosco, che non sia come un granellino di miglio o di senapa, che vada estendendosi e che sia per fare un gran bene! - Le previsioni furono superate dalla realtà. Già quando egli chiuse gli occhi nel 1888 il piccolo granellino aveva fruttificato mirabilmente. Oggi l'albero gigantesco adombra con i suoi rami tutta la terra. “Innanzi a così prodigioso successo, esclamò l'oratore, noi piccoli mortali chiniamo la fronte pensosi e vediamo nell'Opera il segno di Dio”.

                Illustrò in seguito l'attività benefica spiegata dall'italianissimo Santo nel campo della gioventù. “Don Bosco diss'egli, intuì limpidamente quello che il grande Uomo di Stato che regge oggi le sorti della Patria, viene attuando, che cioè il problema fondamentale della vita nazionale è sostanzialmente problema d'educazione”.

                Appresso, dopo aver accennato a cose già dette dal De Vecchi in Campidoglio indicando la figura di Don Bosco sullo sfondo del Risorgimento italiano, venne a parlare del metodo educativo del Santo. Quì ricordò come, Ministro dell'Educazione Nazionale, aveva posto nel programma per le scuole magistrali fra le opere classiche di pedagogia il metodo del santo sacerdote dei Becchi, metodo ispirato unicamente alla pedagogia pratica, vissuta, non scritta. Don Bosco reagiva al pedantismo intellettualistico di un aridissimo secolo e combattè per la libertà cristiana del fanciullo e per la scuola serena assai più e meglio di tanti pedagogisti moderni. Egli di fatti ha un largo concetto della [345] libertà dei giovani, che non debbono essere infrenati da una disciplina rigida, austera, la quale può bensì ottenere il silenzio e la compostezza esteriore, ma non favorisce, anzi ritarda lo sviluppo delle facoltà spirituali. “Si dia, egli scrisse, ampia libertà ai giovani di saltare, di correre, di schiamazzare a piacimento”. Non barriere fra maestro e discepoli, ma l'amore. “Volete essere amati? Amate” diceva Don Bosco. Ecco il grande principio che informa il suo metodo educativo: l'amore.

                L'oratore ricordò poi anche l'incontro fra il Papa Pio XI e Don Bosco per passare rapidamente alla esaltazione del Santo avvenuta nella domenica di Pasqua a Roma e così concluse: “Don Bosco è gloria universale della Chiesa; ma, come ha detto il Papa, è particolarmente gloria d'Italia. Il Fascismo che onora il Dio degli asceti, dei Santi e degli eroi, si inchina riverente e devoto a Don Bosco che dopo la gloria della Basilica Vaticana ebbe alla presenza del Capo del Governo gli onori del trionfo sul Campidoglio. E voi, o Torinesi, levate in alto i vostri gonfaloni ed i vostri gagliardetti innanzi all'urna del Santo piemontese, che di Torino ha fatto la capitale di un impero che si estende ai confini della terra, ai quali Don Bosco ha dilatato il regno di Cristo e il nome d'Italia”.

                La viva attenzione del pubblico, i ripetuti applausi e l'ovazione finale dimostrarono quanto l'oratore avesse saputo guadagnarsi il consenso di tutto l'uditorio. Segni di universale simpatia salutarono Don Ricaldone, alzatosi a ringraziare distintamente i personaggi che erano venuti a onorare con la loro presenza Don Bosco. Si passò quindi alla cerimonia dell'inaugurazione. La Principessa, accompagnata dai Cardinali e seguita dalle Autorità, raggiunse lo scalone, dove tagliò il simbolico nastro, e poi visitò i locali, mentre due bande si alternavano nello svolgimento di un vario programma musicale. Usciti che furono gl'invitati, [346] furono aperte le porte alla folla che attendeva fuori e fino a sera continuò la visita dell'Istituto.

                Due giorni dopo era il dies natalis dell'Oratorio; infatti ai 12 di aprile del 1846, festa di Pasqua, Don Bosco aveva preso possesso della tettoia presa in affitto dal signor Pinardi. Quattro cerimonie distinsero quell'anniversario. La prima fu l'omaggio reso al Santo dagli alunni delle Scuole Elementari e dai giovanetti dell'Opera Nazionale Balilla. Alle nove schiere di fanciulli e fanciulle affluirono sulla piazza di Maria Ausiliatrice, guidati da maestri e maestre e dai dirigenti. Superarono i diecimila. Udirono la Messa celebrata all'aperto dall'Ordinario Militare Mons. Bartolomasi. Vi assistettero il Rettor Maggiore col suo Capitolo, il Ministro Fedele con la Signora, il Provveditore agli Studi, il Segretario Federale e altre Autorità. Ai piedi dell'altare si vedevano quattro giovani assamesi, vestiti nei loro pittoreschi costumi indiani; li aveva condotti a Roma e a Torino l'allora Prefetto Apostolico Mathias. Infra Missam il Vescovo spiegò il significato della dimostrazione e parlò del grande amore che Don Bosco portava alla gioventù. Otto bimbi ricevettero ivi la prima comunione. Era cosa che commoveva l'osservare la compostezza di quella turba giovanile. Durante il santo Sacrificio si cantarono inni liturgici e lodi a Don Bosco sotto la direzione del bravo Maestro Pachner, che li aveva insegnati appositamente nelle varie scuole della città. Infine autorità e alunni, entrati nella chiesa, sfilarono dinanzi all'altare del Santo, ricevendo quivi un pio ricordo della funzione.

                Subito dopo le medesime autorità si recarono nel cortile del primo Oratorio festivo di Don Bosco, dove attendeva un'altra folla di ragazzi e buon numero di Cooperatori e Cooperatrici. Vi si doveva benedire e collocare la prima pietra del nuovo vasto edificio, che sta oggi aperto alle opere oratoriane. Il Cardinale Hlond, accompagnato da Mons. Bartolomasi e da vari Prelati salesiani, prese posto nella [347] tribuna. L'inno “Sonate, campane” cantato a voce di popolo aperse il trattenimento. Dopo la lettura di un indirizzo fatta da un giovane dell'Oratorio festivo, l'Ordinario Castrense esaltò l'Opera di Don Bosco e il suo metodo educativo. Disse fra l'altro: “Oggi finalmente il metodo di Don Bosco è stato compreso; si vuole che la educazione nazionale sia non solo fisica, disciplinare, militare, patriottica, ma anche morale e religiosa. In questi punti di un programma magnifico io sento palpitare l'anima di Don Bosco. E se sono un attivo collaboratore del Governo Fascista, son pure, e me ne glorio, da molti anni un cooperatore di Don Bosco”. Sua Eminenza recitò infine le preci rituali per la benedizione. Una pergamena coperta di firme fu sigillata insieme con medaglie e monete in un tubo di cristallo, introdotto poi e saldato nella pietra, che tosto fu fatta scendere nel loculo. Acconce parole di Don Ricaldone chiusero la cerimonia.

                Abbiamo narrato nel volume sedicesimo di queste Memorie Biografiche come nel 1883 il futuro Papa Pio XI visitasse l'Oratorio e godesse per due giorni l'amabile ospitalità di Don Bosco. Il refettorio, nel quale il giovane sacerdote lombardo sedette allora a mensa col Santo, corrispondeva esattamente al vano dell'ormai famosa tettoia, trasformata ottantotto anni innanzi in povera cappella e tornata oggi la graziosa chiesina che conserva il nome del vecchio proprietario. In quel giorno dunque di reminiscenze volle Don Ricaldone che fosse inaugurata là entro una lapide, la quale fissasse nel marmo il ricordo della storica visita. Ne fece lo scoprimento il Cardinale salesiano dinanzi ai Superiori, ai giovani interni e a un scelto stuolo di amici. In capo all'epigrafe spiccava il profilo di Pio XI, del quale lo scultore Fait aveva riprodotto al vivo le gravi e paterne sembianze. Don Giraudi lesse ad alta voce l'iscrizione, la quale ha forma narrativa ed è così concepita: “Sua Santità Papa Pio XI nell'anno 1883, giovane sacerdote, sedette [348] qui alla mensa di Don Giovanni Bosco e mentre porgeva alimento al corpo, nutriva e deliziava lo spirito con le parole e gli esempi di Colui, che doveva un giorno con grande letizia del suo cuore di Vicario di Cristo innalzare all'onore degli altari dichiarandolo Beato il 2 giugno 1929 e glorificandolo con l'aureola dei Santi il I° aprile 1934, Pasqua di Risurrezione”. Dopo, sotto il portico, Don Ricaldone dal pulpitino situato nel punto medesimo, da cui Don Bosco aveva tante volte indirizzato il sermoncino serale della "buona notte a tutti gli abitatori della casa, rievocò quei lontani ricordi e spiegò il significato della cerimonia pocanzi compiuta, enumerando i benefici dei Sommi Pontefici Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI e indugiandosi a dire degli onori tributati al Santo Fondatore e dei favori prodigati alla famiglia salesiana dal “Papa di Don Bosco”. Richiamò le parole, con cui Don Bosco morente aveva lasciato come eredità ai figli la devozione, l'affetto e la fedeltà verso il Vicario di Gesù Cristo. Da ultimo diede lettura di un telegramma giuntogli allora allora. Era la risposta al messaggio inviato da lui al Papa la sera della domenica antecedente dopo il trionfo del Santo. In esso il Cardinale Pacelli in nome del Pontefice diceva: “Accogliendo con patema compiacenza filiale omaggio grande famiglia salesiana, a buon diritto esultante in devoti solenni festeggiamenti suo Fondatore San Giovanni Bosco, Augusto Pontefice invia di cuore implorata benedizione, lieto auspicare da suprema esaltazione insigne benefattore gioventù nuove glorie suo benemerito Istituto, nuovi incrementi sua attività servizio famiglia cristiana”.

                Era appena finita la cerimonia di omaggio al Papa, che già le campane di Maria Ausiliatrice invitavano i fedeli ad un'altra cerimonia non meno interessante: la posa della prima pietra per l'altare di S. Giovanni Bosco. La chiesa, che aveva veduto in quei giorni tanto numero di autorità ecclesiastiche, civili e militari e tante folle di popolo, si era [349] gremita di un pubblico vario, dall'umile operaio al più alto magistrato. Nella cappella di S. Pietro, dove stava esposta l'urna del Santo, si elevava un gigantesco trepiede fasciato di velluto cremisi, al cui centro pendeva, trattenuto da catene, un grosso cubo di marmo con la croce incisa su ogni lato. Dopo il solenne canto del Magnificat montò in pergamo il Vescovo di Parma Mons. Colli, oriundo dalle terre del Santo. La sua allocuzione, trasmessa dagli altoparlanti alle moltitudini che riempivano la piazza ed i cortili, fu cosa sì bene concepita ed espressa, che merita di essere riportata qui per intero.

 

                Benedetta da Dio, baciata dall'affetto dei figli e dalla riconoscenza dell'Italia, della Chiesa e del mondo intero, scende nella terra questa pietra che è pietra miliare sulla via dell'impero e dei trionfi di Don Bosco; che è coronamento di un grande passato ed è inizio di un maggiore avvenire; questa pietra che innesta l'altare di Don Bosco alla Basilica della Ausiliatrice e ne dilata gli spazi, come all'Ausiliatrice sempre si appoggiò Don Bosco e dell'Ausiliatrice sempre dilatò il culto.

                Scende questa pietra nella profondità della terra perchè possa sorgere in maggiore ampiezza l'edificio, come in profondità sempre lavorò Don Bosco e per questo ebbe la sua Opera un'estensione mondiale; scende questa pietra a cercare la roccia viva che è Pietro e che è Cristo, come a Cristo ed a Pietro sempre si mantenne unita l'Opera Salesiana.

                Novant'anni or sono, in questo stesso luogo, in un sogno profetico, Maria presentava a Don Bosco la futura Basilica e diceva: - Qui la mia casa; di qui la mia gloria. - Oggi Maria ripiglia la parola e soggiunge al Santo novello: - Qui anche la casa tua; di qui anche la tua gloria.

                “Ogni pietra di questa Basilica - disse un giorno Don Bosco è una grazia”; la pietra che noi oggi collochiamo è un poema di grazie, è una lirica di riconoscenza e di amore.

                Canta questa pietra per Don Bosco il sorriso di Maria, l'amore di cinque grandi Pontefici, la devozione di migliaia di Vescovi e l'ammirazione di condottieri di popoli.

                Canta nel nome di Don Bosco l'innocenza di tanti bimbi, la purezza entusiasta e fattiva di milioni di giovani, il lavoro sonante di tante officine, la preghiera di tanti cuori, le speranze di tante famiglie, il conforto di tanti afflitti, la rassegnazione di tanti lebbrosi, la civiltà di popoli interi, la riconoscenza di tante Nazioni, il tormento [350] apostolico di tanti Missionari; canta lo splendore di due porpore romane, il sacrificio di due martiri, la fioritura di tanti Santi.

                E canteranno ancora - l'altare e la Basilica ingrandita - le glorie sempre maggiori del Santo che fu, nei tempi nostri, il più Italiano e il più internazionale; del Santo che ebbe la quadratura piemontese, la genialità italica e il cuore universale; del Santo la cui vita fu un miracolo ed è un romanzo, nella cui Opera il soprannaturale parve natura; del Santo che rinnovò nel secolo XIX i Fioretti di San Francesco ed ebbe tutte le intuizioni dell'avvenire; che ebbe tutte le audacie e seppe tutte le prudenze; che fu Sacerdote nel gabinetto dei Ministri e si sentì Italiano all'Altare di Dio; che non ebbe altra politica che il Pater noster e fu consultato da Prìncipi; che ebbe le delicatezze di una madre e la volontà invincibile di un generale; che seppe farsi amare per farsi ubbidire; che educò con la Religione e persuase con la ragione; che insegnò ai suoi giovani ad aver fede in Dio e ad amare la Patria, a guardare il Cielo e a far fiorire la terra, a cantare pregando e a pregare lavorando; che li educò nella scuola come nel gioco, nella chiesa come nel teatro, con lo sport come con l'esame di coscienza; che li abituò a unire l'Esercizio della Buona Morte in Cappella con la festa gioiosa in refettorio; che fondò una Società ch'è la più lieta ed è la più sacrificata; del Santo che fu, come il Vangelo, semplice coi semplici e gigante coi giganti; che pubblicò con la stessa fede la prima Collezione dei nostri Classici e i foglietti più popolari; che scrisse con lo stesso cuore la Storia Sacra del popolo eletto e la Storia della nostra Italia; che fu orfano e divenne padre di orfani; che mancò di pane e diede pane a tutti; che fu, un giorno, fanciullo senza tetto e diede ricovero a tutti i fanciulli; che stentò ad avere un maestro ed aprì scuole senza fine; che fu artigiano e forgiò generazioni dì artigiani; del Santo che, novello San Benedetto, battezzò non soltanto i vecchi barbari delle Pampas, ma tanti nuovi barbari civili d'Europa.

                E canteranno per secoli - questo Altare e questa Basilica le glorie del Santo che non fu tanto del suo tempo, quanto fu per il suo tempo; che del suo secolo sentì i bisogni e non ebbe i difetti; intuì i pericoli e prevenne i mali; che, fra le incipienti lotte del lavoro, conservò nel suoi Collegi - misti di studenti e di artigiani - il fuoco sacro della cooperazione dì classe; che, nell'epoca dei Diritti dell'uomo, insegnò l'amore di Dio; che ebbe i palpiti della primavera d'Italia, provò le ansie della sua Indipendenza, ma ebbe sempre fede nel suo spirituale primato; del Santo che, dalla sera del 20 settembre del '70, portò nel cuore la Conciliazione fra Chiesa e Stato e che dal '71 iniziava con Giovanni Lanza le trattative che ebbero il loro trionfo nel gran cuore di un grande Pontefice e nel genio titanico di un grande Duce.

                E canteranno ancora nei secoli la grandezza di questo Santo [351] “per il quale l'Italia - come disse Francesco Crispi - non farà mai abbastanza”; del Santo di cui Pio XI si proclama “entusiasta ammiratore”; del Santo al quale il Governo Nazionale - primo esempio nella storia - decretava, dopo l'apoteosi Cattolica Vaticana, il trionfo romano in Campidoglio.

                Sorga adunque questo Altare!

                Sopra di esso nuovi Apostoli Salesiani tamquam lapides vivi superaedificabuntur (I Petri, II, 5).

                A questo Altare, che sarà per i Figli di Don Bosco un focolare paterno, essi attingeranno la fiamma di fede e di civiltà, che  Ambasciatori di Cristo e membri della forse più autentica Società delle Nazioni - continueranno a portare alle più lontane frontiere del mondo.

                Sorga il nuovo Altare e si dilati la bella Basilica!

                Di questi luoghi di preghiera, di queste scuole di fede e di sacrificio, di questi Sanatorii delle anime, di questi fari di carità ha pur tanto bisogno la tormentata umanità moderna che ha più fame di Dio che di pane, che ha più bisogno di Santi che di guerrieri.

                Nel giorno della canonizzazione di Don Bosco un giornale italiano scriveva che “nel momento della proclamazione del nuovo Santo furono visti in San Pietro uomini gettarsi a vicenda la braccia al collo in un bisogno di piangere”.

                Quell'amplesso e quel pianto sono un sintomo e sono un auspicio.

                É il sogno dei Becchi che continua a realizzarsi: sono altri animali feroci che diventano agnelli, è il sistema di Don Bosco, e il suo spirito che trapassano i confini delle Case Salesiane e si diffondono nel mondo a rinnovare, in più grande stile, le stesse conquiste, gli stessi trionfi; le conquiste del bene, i trionfi di Cristo.

                Che tanto ci conceda Iddio e ci ottenga San Giovanni Bosco!

                Questa è la preghiera sulla quale fondiamo l'Altare!

 

                Mentre l'orchestra eseguiva l'Exultate Deo di Don Pagella, i più ragguardevoli dei presenti apposero le loro firme alla pergamena, che poi, letta da Don Giraudi al pubblico, fu trattata moro solito. Il blocco marmoreo, benedetto ritualmente dal Cardinale Fossati e coperto della prima calce, scese lento lento ad attendere che la pietà e la generosità dei fedeli permettessero di attuare il disegno di costruzioni che comprendeva non solo l'erezione dell'altare monumentale, ma anche l'ampliamento e le decorazioni di tutta la basilica. Il Te Deum di ringraziamento e la benedizione eucaristica segnarono la chiusa ufficiale delle feste. [352]

                Ma con la chiusa delle feste non sì chiusero in quel mese d'aprile le manifestazioni. Intendiamo le manifestazioni promosse direttamente da Torino.

                Si compiva il secolo dacchè Giovanni Bosco, studente di ginnasio a Chieri, aveva trasferito la sua dimora presso quel “Caffè Pianta”, dove nei due anni della quarta e quinta ginnasiale aveva stentato la vita, dividendo il tempo fra gli umili servizi di garzone e lo studio. Servire in bottega, dormire in un sottoscala e talvolta patire la fame erano sacrifici che non lo spaventavano, perchè gli offrivano la possibilità di andare a scuola, di comperarsi i libri e di provvedere alle più stringenti necessità. Là fu che i suoi condiscepoli, accortisi dei suoi stenti e tocchi di compassione, gli portavano quel poco che potevano per sopperire di tanto in tanto alla scarsità del suo vitto. É giunto a noi particolarmente il nome di Giuseppe Blanchard, figlio di una fruttivendola, che più spesso degli altri col permesso della madre gli recava di che sfamarsi. Orbene quel caffè esiste tuttora, viveva ancora il figlio di quel Blachard, al quale Don Bosco diede prove d'indimenticabile riconoscenza fino agli estremi giorni di vita[100]. Parve dunque opportuno consacrare con un ricordo duraturo la memoria del suo soggiorno in un luogo, che fu testimone di sì eroiche virtù. Vi provvidero a loro spese i signori Caredda, apponendo alla casa una lapide, che venne benedetta il 22 dall'Arciprete di Chieri, presenti tutti i Superiori dell'Oratorio. Don Ricaldone illustrò dinanzi alla cittadinanza accorsa il contenuto dell'iscrizione, di cui ecco il tenore: “In questa casa - nel 1834 - Giovanni Bosco studente - costretto dalle dure necessità della vita si rese modesto garzone di caffè - nella bottega di Giuseppe Pianta. - Qui - il suo compagno Giuseppe Blanchard ammirandone le virtù ebbe pietà della sua miseria. Giovanni Bosco prete e fondatore della Società Salesiana - [353] gliene serbò profonda riconoscenza. - Nell'anno della canonizzazione - e del centenario di tanta carità ad esempio della gioventù chierese - i Cooperatori salesiani - e gli ammiratori di San Giovanni Bosco - posero questo marmo. - 22 aprile 1934”.

                Di là Superiori, Salesiani e Cooperatori volarono ai Becchi. Trovarono ivi adunate in buon numero madri di sacerdoti e di chierici. Il Consiglio Diocesano delle Donne di Azione Cattolica le aveva condotte in pellegrinaggio alla casetta di Don Bosco per commemorarvi colei, che aveva plasmato il cuore di un figlio destinato a rifulgere nel cielo della Chiesa quale splendidissimo astro della santità sacerdotale. Conveniva, come disse poi la panegirista di Mamma Margherita, che le madri cristiane glorificassero quella madre che, pur ignorando l'abbicì, sapeva a memoria tutto il catechismo e l'aveva insegnato alla figliuolanza con la parola e con l'esempio, collaborando alla formazione di un Santo. Venne quindi scoperta una lapide murata nella ruvida parete e recante il ritratto di Mamma Margherita. Don Ricaldone la benedisse; poi la maestra torinese Erminia Vanzaghi - Brunetti salì i gradini della vecchia scaletta di legno, che, applicata al muro, conduce alla camera dove nacque Don Bosco e che tante volte aveva scricchiolato sotto i piedi della madre dì lui. Giunta in capo alla scala si volse e disse buone parole alle madri presenti e per le madri lontane. Come in quel luogo le fiorirono vivi e coloriti i richiami di episodi e di colloqui, dei quali sembrava che le squallide muraglie serbassero il ricordo e ripetessero l'eco lontana! la commozione strappò più volte le lacrime alle uditrici, e non ad esse sole.

                Intanto erano cominciati i così detti tridui liturgici. Questi tridui si possono celebrare entro l'anno dalla data di una canonizzazione in tutte le diocesi del mondo, previa domanda dei rispettivi Ordinari alla Sacra Congregazione dei Riti. 1 Bollettini salesiani delle varie lingue riportarono [354] per parecchi mesi di seguito molte relazioni dei più importanti. In Italia non ci fu, si può dire, parrocchia e nel mondo cattolico non ci fu diocesi dove non si siano fatte tali celebrazioni. É incredibile non soltanto il fervore popolare che le accompagnava, ma anche l'abbondanza dei frutti spirituali che ne derivavano. Prediche, conferenze, discorsi di uomini ben qualificati, processioni, interventi di Vescovi e di autorità civili, articoli di giornali e riviste, pubblicazioni straordinarie produssero veri rinnovamenti di vita cristiana con centinaia e migliaia di comunioni. La risonanza del nome di Don Bosco scosse pure il mondo intellettuale, sicchè si videro scrittori di fama in varie nazioni occuparsi largamente dell'Uomo e delle sue Opere; anche in boemo e in arabo uscirono copiose biografie del Santo.

                In Italia si segnalò fra tutte le città la capitale lombarda. Omettendo una serie di manifestazioni isolate, accenneremo a due sole importantissime. La sera del 25 aprile il fior fiore di Milano riempì, come mai altre volte, la sala maggiore del Conservatorio per udire la commemorazione di Don Bosco fatta da Carlo Delcroix, grande mutilato di guerra, deputato al Parlamento e Presidente dell'Associazione Nazionale dei Mutilati. Egli perdette al fronte entrambi gli occhi e tutt'e due le avambraccia; ma serba vivida l'intelligenza ed elevatissimo lo spirito. Alla presenza del Conte di Torino, delle massime autorità e di parecchi Vescovi esaltò il Santo con un affetto che gli vibrava da tutta la persona e con una forza di persuasione che rapiva gli uditori. La sua qualità di ex - allievo dei Salesiani gli suggerì un esordio di grandissimo effetto. Tutta Italia ascoltò per radio la sua orazione; all'Oratorio di Torino Superiori e giovani ne furono commossi fino all'entusiasmo. Il singolare documento bisogna che non vada perduto.

 

                Il mio vuol essere prima di tutto un atto di riconoscenza.

                Nella prima fanciullezza frequentai lungamente il vecchio oratorio salesiano di via S. Andrea a Livorno e più tardi fui allievo nel [355] collegio dell'Immacolata a Firenze: ciò conferisce alle mie parole il valore di una testimonianza e il significato di un ringraziamento.

                Allora fu gettato nell'anima mia un seme che doveva dar frutto dopo, quando passò la ventata di morte e sul mio cammino si fece un'improvvisa oscurità: se non sono caduto, se non mi sono smarrito, è perchè un punto era fermo e una traccia era chiara dentro di me.

                Nulla avrebbe potuto spiegare ed esaltare la mia tristezza, se la fede non fosse tornata col mio viso di fanciullo, quando senza saperlo avevo impetrata la forza di cui avrei avuto bisogno nell'avversità. Ancora, se mi domando da quali profondità sono risalite in me certe voci, mi sembra di riudire le grida e i canti di quando si giocava e si pregava con la stessa innocenza, con la stessa felicità. A quella scuola avevo appreso le verità che dovevano essere dimenticate, ma non cancellate dalla violenza della gioventù.

                La primavera e la gioventù sono le stagioni pericolose in cui si decidono le sorti del campo e della vita: per questo il Santo che aveva tante strade aperte alla sua pietà e già si era trovato fra i carcerati e gli infermi, scelse i fanciulli che avevano più bisogno perchè erano più in pericolo. Egli sentì che l'opera sua era necessaria e sarebbe stata più feconda fra i giovani ai quali apparteneva l'avvenire.

                Del resto quella era stata fin da principio la sua vocazione e, se per un momento aveva pensato di prendere i voti di San Francesco, era stato per amore della povertà che avrebbe ugualmente incontrata in mezzo al popolo. Infatti la prefigurazione dell'oratorio salesiano è da ricercarsi nelle adunanze che il piccolo Giovanni promuoveva sul prato davanti a casa ai giorni di festa, intrattenendo i compagni con ogni sorta di giochi per invitarli a recitare le preghiere ed a intonare gli inni. Già in quella prima iniziativa erano contenuti tutti i principii e le forme dell'opera che sotto il suo nome è conosciuta nel mondo; già nel fanciullo che ripete le prediche udite in chiesa e i giochi veduti alla fiera, si possono scorgere i lineamenti e le attitudini del Santo.

                Veramente egli rimase fin da ultimo un fanciullo e seppe essere il compagno di tutti i suoi discepoli: qui sta forse, l'elemento particolare, per non dire il segreto dell'opera di Don Bosco.

                L'anima umana è più semplice di quanto farebbero credere le malsane curiosità e le tendenziose fantasie dei suoi prevenuti indagatori: le sue esigenze sono sempre quelle e chi si limita a intenderle e a soddisfarle, senza volerle complicare ed esasperare, è sicuro di penetrarvi. Don Bosco lo sapeva e arrivava alle anime per la strada maestra dei sentimenti e delle necessità elementari; il suo metodo era tanto semplice che egli dichiarava di non averne e non ha lasciato alcun testo, a differenza dei molti compilatori di dottrine e fondatori di scuole rimasti estranei al cuore della gioventù.

                La sua azione si può riassumere in questi principii: divertire per [356] istruire e assistere per educare; sollecitare la curiosità per fermare l'attenzione, provvedere ai bisogni della vita per ricordare le promesse eterne e in ogni modo rasserenare la mente per sgombrare il cuore, poichè prima di tutto la gioventù deve essere lieta. Don Bosco sapeva che essere lieti è la condizione più che il modo di servire Dio: fin da studente a Chieri aveva fondato una società dell'allegria, intuendo che specie nei giovani la tristezza è quasi sempre frutto di cattivi pensieri. Egli volle che nella sua scuola regnasse sovrana l'allegria che riposa la mente disponendola allo studio e sgombra il cuore preparandolo alla preghiera, perchè dalla felicità nasce la gratitudine che è il principio dell'amore, come la speranza è la sostanza della fede.

                Egli dimostrò che il maestro non deve solo insegnare e vigilare ma condividere la vita dei giovani, mescolandosi ai loro giochi, ai loro discorsi, ciò che ne facilita il còmpito senza comprometterne il prestigio. Chi entra in una casa di Don Bosco all'ora della ricreazione è sorpreso di vedere che i religiosi e i fanciulli si divertono insieme e la gioia è piena perchè nessuno vi è estraneo.

                Giorni fa, camminando per una via silenziosa di Roma, pensavo al Santo e all'opera sua quando fui attratto da un gioioso vociare e mi sembrò di riconoscere il clamore che si spandeva per tutte le strade intorno al vecchio ricreatorio di S. Andrea. Passavo vicino ad un giardino chiuso fra le case e presto mi accorsi che non erano bimbi, ma uccelli che gremivano gli alberi fin sulle cime salutando in coro l'ultimo sole. Senza volerlo avevo trovato a che cosa paragonare la gioia dei figli del popolo nelle case che il Santo ha costruito per loro.

                Fu precisamente la chiassosa allegria dei suoi ragazzi che fece incontrare a Don Bosco tante difficoltà per trovare una sede al suo primo oratorio, perchè il rumore di una festa non può essere sopportato da quelli che non vi partecipano; così egli doveva successivamente passare dal Convitto di S. Francesco all'ospedale di Santa Filomena, dalla Cappella di S. Martino sulla Dora alla chiesa di S. Pietro in Vincoli presso il cimitero e tornare per qualche tempo a piantare la sua mistica tenda in mezzo a un prato, prima di fermarsi in quella tettoia di Valdocco dove poteva dire in sogno: “Qui la mia casa, di qui la mia gloria”.

                Era la Pasqua del 1846 in Torino e il giovane prete sognava la gloria che è attributo di Dio: ma in sua umiltà non poteva pensare che per la Pasqua del 1934 in Roma sarebbe salito fra i Santi, che la sua urna sarebbe stata seguìta da un corteo di principi e di popolo per le stesse strade della città dove egli passava in mezzo ai fanciulli, incompreso da molti e da altri deriso.

                Perchè la sua idea dominante fu creduta una fissazione e si dubitò del suo senno, mentre egli non fece mai nulla che potesse avvalorare il sospetto. Nella sua vita si cercherebbe invano uno di quei momenti di violenza mistica, uno di quei gesti di divina follia di cui [357] fanno parlare altri Santi. Tutto in lui è semplice e piano: l'amore lo muove senza agitarlo e la fede lo illumina senza accenderlo, ma il suo amore è inesauribile e la sua fede assoluta. Per questa fede nulla è più facile dell'impossibile, nulla è più naturale del meraviglioso e la sua vita fu un continuo avverarsi di sogni. Egli pregava nelle sue chiese e viveva nelle sue case prima di averle costruite perchè le aveva vedute in sogno e seguitava a vederle, anzi a crederle.

                Egli possedeva e praticava in grado eroico tutte le virtù, ma senza dimostrarlo e quasi senza avvedersene; egli sapeva che la vita è una cosa seria e può essere una cosa grande, senza che sia necessario drammatizzarla. Egli incontrò avversità, conobbe amarezze e subì attentati, ma non si atteggiò mai a vittima nè posò da eroe: quando fu in pericolo lo vegliò e lo salvò un povero cane grigio, perchè tutto doveva restare semplice e attendibile nella sua vita.

                Ogni età ha avuto i Santi di cui aveva bisogno: così nella Chiesa si avvicendano i mistici e i guerrieri, i Santi della meditazione e della preghiera, della penitenza e dell'estasi, della dottrina e dell'azione. Egli è il Santo della vita vissuta nella molteplicità e nella attualità dei suoi aspetti e dei suoi bisogni: è il Santo del nostro tempo muto nella sua pena e oscuro nella sua grandezza; è il Santo del nostro Popolo sicuro nella sua fede e tranquillo nelle sue opere.

                Don Bosco imprendeva la costruzione delle sue chiese e delle sue case quando aveva appena il suolo, perchè era un contadino e sapeva che il raccolto è nelle mani della Provvidenza e tutto sta di seminare, cioè di compiere un atto di fede. Egli fece semplicemente le cose più straordinarie: con la stessa naturalezza andava a curare i colerosi nel Lazzaretto di S. Donato e a predicare contro gli eretici nella chiesa di Viarigi; con la stessa familiarità si intratteneva nelle prigioni e parlava ai fanciulli. Egli era in tutto figlio di questo Popolo per il quale la guerra è stata una faccenda come le altre e anche oggi ne parla come se fosse andato a opra più lontano; di questo popolo che mancava di tutto, che aveva appena la terra dove cadere e si comportava come se avesse la vittoria in pugno. Le sue doti di intuizioni, di praticità, di operosità e di accortezza sono proprie della nostra gente più vera che è quella dei campi. Paesano è il suo gusto delle feste collettive che si chiamano sagre e in cui il popolo si raduna per provvedere insieme alle cose del mondo e a quelle di Dio. Sopra tutto egli aveva appreso dalla sua gente il rispetto del tempo che è sacro, che non si può perdere senza peccato e per questo egli potè fare tante cose che sembra incredibile gli sia bastata una vita.

                La Chiesa, nel processo per la santificazione, ha preso in esame alcuni suoi miracoli per guarigioni avvenute di là da ogni spiegazione e da ogni speranza; ma il miracolo vivo e perenne è l'opera sua che si è stesa in tutto il mondo con una rapidità e una fecondità che non si possono spiegare con la sola fortuna e nemmeno con la virtù. Qui [358] è la mano di Dio. Presso l'oscura tettoia dove il Vescovo aveva dovuto togliersi la mitra per stare in piedi, egli innalzò un tempio per moltitudini di fedeli; la povera casa dove egli accolse i primi fanciulli diventò a vista una città dello studio e della preghiera da cui partivano i suoi figli per tutte le vie della terra. Oggi si contano a centinaia le sue chiese, a migliaia le sue case e tutte sono state costruite dalla sua volontà, tutte sono illuminate dalla sua fede. Perchè il Santo vive e opera come prima, più di prima e raramente si vide un Ordine serbare con tanta fedeltà e proseguire con tanta fortuna lo spirito e la missione del fondatore.

                É pieno di significati e di avvertimenti il fatto che questo miracolo sia avvenuto e quotidianamente si ripeta in una età così evoluta da vergognarsi della fede e così raffinata da compiacersi della superstizione, in una età che ha paura di tutto e non crede a nulla. Evidentemente vi sono delle forze che non si conoscono e dei valori che si sono dimenticati, se un povero prete ha potuto creare questa opera immensa che non è fatta solo di cose costruite, ma di anime ispirate; ed è questo rinnovarsi ed estendersi di vocazioni e di dedizioni che fa pensare.

                Il nostro Santo invita alla meditazione non solo per il tempo in cui visse e operò, ma anche per la terra dove nacque, perchè egli venne al mondo in un casolare di Castelnuovo d'Asti, terra classica di quel Piemonte che è sacro alla nuova storia quale culla dei Re e stanza delle armi che dovevano sciogliere il voto e adempiere i fati dell'unità.

                Come il Rinascimento fu un fenomeno prevalentemente toscano, il Risorgimento è stato un fenomeno prevalentemente piemontese e l'uno e l'altro dovevano necessariamente far capo a Roma. A un momento dato, dentro i confini del vecchio Regno Sardo nacquero gli uomini necessari e destinati all'impresa: il re sacrificato e il re vittorioso, il pensatore e l'animatore, il politico e il guerriero, tutti si trovarono insieme dove li aveva preceduti il poeta. In quella stessa terra nello stesso tempo e su un altro piano, necessariamente oscure e fin qui dimenticate, si fecero avanti tre figure di sacerdoti, dei quali due sono Santi e l'altro Beato.

                A da sottolineare che tutti e tre erano sacerdoti; perchè i grandi Ordini religiosi, anche quando esercitano il proprio ministero in mezzo al popolo, sono esclusivamente votati alla fede, mentre la missione dei clero è religiosa e civile ed esso è insieme la milizia della Chiesa e una gerarchia dello Stato. Tutti e tre svolsero un'azione di portata sociale e in certo senso politica, contribuendo indirettamente, ma efficacemente all'opera del Risorgimento.

                Erano essi il canonico Cottolengo, il servo della povertà; Don Cafasso, il maestro del sacerdozio; Don Bosco, l'apostolo della gioventù. [359]

                Il primo si diede a raccogliere gli sventurati e i reietti, insegnando che nessuna forza può essere abbandonata e nessuna anima deve considerarsi perduta ai fini di questa e dell'altra vita; dimostrando che il popolo va amato anche nell'orrore delle sue piaghe e assistito anche nel fondo delle sue abiezioni.

                Il secondo si dedicò alla formazione del clero in cui si erano allora manifestate infiltrazioni gianseniste e giacobine: sotto i nomi di rigorismo e regalismo erano penetrate dalla Francia false dottrine che minacciavano la verità della fede e la disciplina della Chiesa in quella terra che fu continuamente esposta all'insidia delle eresie non meno che alla violenza delle invasioni, ed era necessario che nel contrasto fra lo Stato e la Chiesa non soccombesse la religione.

                Don Bosco, venuto per ultimo, può considerarsi il loro discepolo e in certo senso ne assommò i còmpiti e le virtù, svolgendo un'azione di cui non sappiamo se ammirare di più il valore religioso o quello sociale.

                Gioberti aveva chiaramente indicati i tre bisogni della nostra età: predominio del pensiero; autonomia della Nazione; riscatto delle plebi. Il Santo si consacrò al riscatto delle plebi di cui sapeva tutte le necessità e tutti i dolori, ma fu irresistibilmente attratto dai fanciulli intendendo che nella gioventù si dovevano fondare le nuove fortune della fede e della Nazione. Anche quando nelle sue case entrarono gli studenti dopo gli artigiani, non uscì dal popolo al quale in fondo appartiene la borghesia povera della campagna e della città. Se la sua azione è stata efficace, possono testimoniarlo gli innumerevoli figli del popolo che senza di lui sarebbero rimasti nell'ignoranza e nella oscurità, quando lo Stato non aveva volontà e mezzi adeguati alla sua missione.

                Don Bosco pensò a fare gli Italiani quando non era ancora fatta l'Italia e per questo, dopo essere stato esaltato come Santo, fu onorato come cittadino sul colle sacro di Roma.

                Ma si avrebbe torto di volere vedere in Lui un sacerdote patriota di maniera: è vero che alla vigilia del '48 egli fece fare ai suoi giovani gli esercizi militari e che nei suoi oratori si pregava per la vita e per la vittoria del Re di cui fu un suddito fedele; ma egli era completamente assorto nella sua missione e va considerato soprattutto un servo della Chiesa, un ministro di Dio.

                Nel contrasto fra la Chiesa e lo Stato egli non aveva la scelta; ma da quella parte fu uno di coloro che non contribuirono a inasprire il dissidio, anzi, si adoprò efficacemente per attenuarlo nel momento della più grave tensione, facendosi onesto mediatore fra la Curia e il Governo.

                Il conflitto fra la Chiesa e lo Stato era inevitabile, perchè la nostra unità si doveva compiere in Roma, ma doveva essere subito come una necessità e non cercato come un pretesto per colpire quella fede [360] che costituiva nel popolo un fondamento della unità che si voleva conseguire. Oggi che il tempo ha calmato le passioni e ristabilito i valori, dobbiamo ammettere che da una parte e dall'altra la questione fu invelenita più del dovuto e possiamo anche affermare che non erano i più alti di ingegno coloro che si sforzarono di rendere definitiva una discordia necessaria, ma superabile, tanto è vero che è stata superata non appena la Nazione ha avuto coscienza della sua forza e del suo destino.

                Don Bosco contribuì più di quanto non si creda a evitare l'irreparabile e non solo augurò la conciliazione, ma la predisse con una potenza divinatrice da far gridare alla profezia.

                Da Dante in poi tutti i sommi condannarono la sovrapposizione dei due poteri, ma ugualmente ne deprecarono il contrasto. La storia dimostra che il popolo nostro fu grande e potente, anche se diviso, finchè la fede fu viva e sincera, finchè la sua vita religiosa e la sua vita civile si svolsero in feconda armonia: allora sorsero insieme i superbi palagi e le sublimi cattedrali che illustrano le nostre città le quali, nello splendore delle armi e delle arti, nella ricchezza delle industrie e dei traffici avevano ciascuna la forza di creare lo Stato e il coraggio di sognare l'Impero.

                Quando la fede si oscura e Roma decade, cominciano la nostra servitù e la nostra miseria: gli ultimi tre secoli furono i più tristi e i più oscuri della nostra storia perchè la Chiesa, insidiata nella sua verità e minacciata nella sua compagine, si chiude in se stessa estraniandosi da tutto quello cui prima aveva dato impulso e fortuna, mentre dall'altra parte si perde il senso del divino che è ugualmente necessario nella vita degli individui e nella politica degli Stati. Gioberti è nel vero quando addita nel progressivo reciproco estraniarsi della politica e della religione la causa prima della nostra debolezza, della nostra infermità. La protesta, che fu una ribellione a Roma, non poteva venire se non da un popolo che non fu mai conquistato dalle armi e per troppo breve tempo è stato sottomesso alla fede di Roma. Ma noi non possiamo, senza rinnegare e colpire noi stessi, bandire dalla nostra vita e tanto meno cancellare dalla nostra storia quella religione che è cattolica in quanto romana; così quelli che pretesero di ignorarla ebbero torto non meno degli altri che vollero sopprimerla.

                Il Duce ha fatto molte cose grandi: ha sottratto il popolo all'oscurità e la terra alla palude; ha creato istituti e fondato città; ha esteso il nostro dominio e rinnovata la nostra potenza; ma fin qui la sua divinazione più alta e la sua opera più grande è stata la conciliazione. P, questo il fatto nuovo della nostra età, il frutto maturo dell'una e dell'altra vittoria; perchè la conciliazione presupponeva nel popolo la coscienza che la guerra gli ha restiuito e nello Stato l'autorità che il Fascismo gli ha dato. Così in Roma si è ristabilita un'armonia che [361] si rifletterà nel mondo destinato a girare intorno ai due fuochi che da lei hanno nome e splendore.

                Don Bosco preparò e annunciò questo evento di cui non è possibile prevedere la portata, ma per visibili segni è da credere abbia dato principio a una nuova storia.

                Fu una popolana senese a ricondurre il Papa a Roma; è stato un contadino astigiano a tenere i contatti con il Governo del Re rientrato in Roma: segno che il nostro popolo avverte in profondo la necessità di questa pace.

                Esso esalta ugualmente i Santi e gli eroi perchè sa che la sua forza è insieme dovuta alla volontà che adempie e alla fede che ispira, alla virtù che redime e al genio che crea.

                Forse non mai la proclamazione di un Santo fu salutata con tanta gioia, perchè la nostra coscienza non fu mai più serena nè più chiaro le apparve il rapporto fra il divino e l'umano nella vita e nella storia.

                Oggi la Chiesa sollevata da ogni altra cura e più che mai fuori del tempo, è unicamente intenta alla missione che è sua; oggi il popolo, superata ogni divisione e colmato ogni distacco, ha fatto pace in sè e procede sicuro per la sua via. Per questo da tutte le parti si guarda a Roma dispensatrice di verità e maestra di vita.

 

                Subito dopo la commemorazione civile venne il triduo, cominciato il 26. Per disposizione del Cardinale Schuster lo predicarono contemporaneamente in settanta chiese scelti oratori del clero milanese, fra cui anche parecchi Vescovi e sacerdoti salesiani. Tutto questo, mentre condusse o ricondusse ai Sacramenti una massa immensa di uomini e di donne, preparò una vera apoteosi per la domenica 29, quando fu portata in processione la reliquia del Santo. Anche a Milano la pioggia s'intruse nel programma; ma neppure i Milanesi se ne lasciarono spaventare. Il magnifico corteo di oltre ventimila persone sfilò imperterrito per le vie della città fra ale di popolo riverente fino al Duomo, dove attendeva dal trono l'Arcivescovo con il Capitolo e le autorità. Il canto dell'Inno Ambrosiano pose termine alla gloriosa giornata. E giornate simili, se non nella solennità, certo nella partecipazione unanime di ogni ordine sociale si ebbero in moltissimi altri grandi centri d'Italia e dell'estero. I diversi Bollettini nazionali ne resero conto, come dicevamo, [362] tanto quanto potrà bastare al futuro storico della Chiesa, che dovrà narrare le vicende dì lei durante questo travagliato periodo.

                Il movimento di pietà, di pensiero e di opere, a cui diede occasione la canonizzazione di Don Bosco, fece sentire universalmente il desiderio, che il suo culto venisse esteso in perpetuo alla Chiesa intera. Domande in tale senso ne giunsero moltissime al Santo Padre da diocesi anche assai remote. Si formò così una Positio, che fu discussa dalla Congregazione dei Riti nella seduta ordinaria del 14 gennaio 1936. Il voto favorevole ebbe il suo epilogo nel seguente Decreto del 25 marzo[101]: “Fu somma gioia per tutto il popolo cristiano che il Sommo Pontefice Pio Papa XI abbia decretato i supremi onori dei Santi al Beato Giovanni Bosco nel diciannovesimo centenario della nostra santa Redenzione. E subito non solo la Famiglia Salesiana, ma moltissime diocesi lo presero ad onorare in modo speciale come padre dei giovani. Ma crescendo di giorno in giorno la divozione, innumerevoli Vescovi, al fine di suscitare più abbondanti frutti di santità fra le anime dei fedeli e specialmente dei giovani, rivolsero al Sommo Pontefice Pio Papa XI umilissime e caldissime preghiere, perchè venisse esteso alla Chiesa universale il culto di un uomo così grande, cotanto benemerito della causa cattolica. Onde Sua Santità, udito il parere dell'infrascritto Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, nell'udienza del 25 marzo 1936, accogliendo benevolmente i voti di tanti Cardinali, Arcivescovi e Vescovi di Santa Romana Chiesa, decretò che si celebri la Festa di San Giovanni Bosco, come confessore non pontefice, nella Chiesa universale, con rito doppio minore, secondo l'Ufficio e la Messa aggiunti a questo decreto, il giorno 31 gennaio, trasferendo la Festa di S. Pietro Nolasco, confessore, al 28 gennaio”. [363]

                Conferì alla glorificazione di Don Bosco un altro fatto. Nello stesso giorno 14 gennaio i Cardinali e gli Ufficiali dei Riti diedero il loro voto per l'introduzione della Causa di Don Rua. Se la gloria dei figli ridonda a gloria del padre, che dire della gloria venuta a Don Bosco da parte di questo suo impareggiabile figlio, che  egli plasmò, che volle ed ebbe a successore e che per tutta la vita altro non fece se non emularne le virtù? Se scarseggiassero le prove della santità di Don Bosco, la santità di Don Rua varrebbe per mille.

                Oltre alle passeggiere celebrazioni religiose e civili si moltiplicarono forme di glorificazioni permanenti. Non solo in villaggi o città di second'ordine, ma anche nelle maggiori capitali furono a Don Bosco intitolate vie e scuole, innalzate statue, erette chiese monumentali; di queste la principale sorse a Parigi. Un monumento soprattutto non possiamo dispensarci dal menzionare in questo luogo: il monumento che collocò Don Bosco tra i fondatori e le fondatrici di Ordini e Congregazioni religiose nella Basilica di San Pietro. É ben curioso un particolare attestato da Don Rua. La prima volta che in compagnia di lui il Santo visitò la Basilica di S. Pietro, il 26 febbraio 1858, dopo essere rimasto alcuni istanti in muta e quasi estatica contemplazione allo spettacolo di tanta magnificenza, la cosa che innanzi a ogni altra lo colpì fu la serie delle statue marmoree rappresentanti i fondatori di religiose famiglie; ed ecco venuto anche per lui il momento di essere accolto in una delle nicchie, che allora osservò vuote e in attesa di chi le occupasse. Vi ascese pertanto nel gennaio del 1936.

                Il suo monumento è un colossale gruppo marmoreo, in cui la figura principale misura metri quattro e ottanta di altezza; senza tener conto del piedestallo alto un metro e sette centimetri. Don Bosco è rappresentato nell'atto che con nobile gesto della destra indica l'altare papale a due giovanetti, da lui avvolti con la sinistra in ampio amplesso [364] paterno. Sono queste le figure del Venerabile Domenico Savio e del patagone Zeffirino Namuncurà. Concezione ed espressione toccano il vertice dell'arte. Il Canonica, scultore di fama mondiale e membro dell'Accademia d'Italia, svincolandosi dalle meticolosità fotografiche e sorpassando gli atteggiamenti tradizionali di Don Bosco dipinto o scolpito, ne fissò energicamente la grandezza spirituale in una creazione che appartiene all'arte veramente degna di questo nome. Giuseppe De Mori ne fece una descrizione, dalla quale stralceremo alcuni periodi[102].

                Dalla svariata iconografia di Don Bosco il Canonica “ha colto una sintesi fedele che ne esprime con la fisionomia anche il carattere”. Traspare infatti “il carattere meditativo del Santo, la sua forza intellettuale, la sua antiveggenza di Santo e di apostolo, ciò che, sposato al sorriso paterno della sua forte bocca, integra bene il suo carattere esuberante di carità e di amore”. Il gesto è “parlante, spontaneo e nel contempo raccolto e austero”. Così il critico lo ritrae: “Con la mano sinistra tiene sotto la sua protezione due giovanetti che sono la personificazione storica e spirituale della sua missione. Più alto Domenico Savio, l'allievo prediletto, colui che presto lo seguirà nell'onore degli altari. Più piccolo il giovane patagone Zeffirino Namuncurá, figlio del Gran Cacico convertito con la sua tribù dal Cardinale Cagliero, che fu come adottato da Don Bosco e dai Salesiani, per significare che il suo apostolato della gioventù non conosce limiti di continenti e pregiudizi di razze [ ... ]. Con la destra S. Giovanni Bosco addita il Sepolcro venerato del Principe degli Apostoli e i due giovanetti pare pendano dal suo labbro per ascoltare perpetuata nel marmo quella professione di fedeltà al Pontificato Romano, ch'è stata la divisa inviolata di Don Bosco”. Tale atteggiamento “mentre risponde alla fedeltà storica, non isola la statua di [365] Don Bosco nella sua nicchia, come un puro elemento decorativo, ma ne fa un elemento organico del tempio, legandolo al venerato santuario della cripta vaticana.” L'insieme poi del gruppo “è condotto a linee essenziali con armonico equilibrio, quasi con musicale elevazione segnata come in un trigramma dal graduale elevarsi delle figure dell'Indio, di Savio e del Santo, fusi insieme nella squadrata monumentalità del Protagonista”. Dunque “realtà e idealità s'integrano, soddisfano alla nostra esigenza umana di quasi contemporanei e ci aprono del Santo quasi una visione celeste”.

                A non ricadere nell'errore, in cui taluno deplorevolmente incorse, bisogna ritenere che come il Savio, così l'Indio non è il rappresentante del suo paese di origine, ma, mentre il primo raffigura la gioventù di tutto il mondo civile educata da Don Bosco e da' suoi discepoli, l'altro simboleggia la gioventù che i Missionari di Don Bosco vanno redimendo in terre non ancora baciate dal sole del Cristianesimo e della civiltà. Se fu scelto quale tipo della seconda categoria un figlio delle Pampas, questo fu suggerito unicamente dal fatto, che fra le allora selvagge tribù della Patagonia Don Bosco inviò i primi suoi apostoli del Vangelo, come tutti sanno.

                Il monumento fu inaugurato il 31 gennaio. La cerimonia nella forma consueta sarebbe stata molto semplice; ma quella volta la Basilica assunse l'aspetto delle grandi funzioni. Nel centro dinanzi all'altare della Confessione riempivano lo spazio gruppi di notabilità ecclesiastiche e laiche; il resto della navata era occupato da diecimila giovani, che, disposti in cinque colonne, vi rappresentavano, per volontà del Ministero, le Scuole dell'Urbe. Sotto le arcate laterali si raggruppavano sciami di alunni dei vari collegi salesiani di Roma e dei Castelli Romani. Nelle navate minori si rimescolava la folla anonima. Fu insomma una nuova affermazione di fede e di fervore, che, conte giustamente notava L'Osservatore [366] Romano, “fece rivivere la giornata indimenticabile della Pasqua del 1934”.

                Alle undici e mezzo fece l'ingresso il Cardinale Pacelli, Arciprete della Basilica. Cent'ottanta cantori riuniti da quattro istituti salesiani eseguirono sotto la direzione di Don Antolisei un Inno dello stesso maestro in onore del Sommo Pontefice e le Acclamationes a Pio XI del Maestro Ghedini. Dopo i canti i Sampietrini, con l'assenso del Cardinale e a un cenno del cerimoniere, tolsero il velario che nascondeva la nicchia. Le acclamazioni entusiastiche di oltre ventimila persone salutarono l'apparire del caro Santo. Cessata l'ardente manifestazione, il Procuratore Generale Don Tomasetti in un indirizzo letto a nome del Rettor Maggiore assente commentò così il fatto.

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Di tre cose si sentono lieti oggi i Salesiani nel momento in cui San Giovanni Bosco prende posto fra i grandi Fondatori religiosi, che eternati nel marmo, vengono di tempo in tempo a crescere splendore al massimo Tempio della Cristianità.

                Godono essi che sia toccato all'Eminenza Vostra l'ufficio di inaugurare con la benedizione dà Cielo il monumento del loro Padre, perchè venerano nella persona di Vostra Eminenza il Cardinale Protettore della loro Congregazione.

                É poi argomento di gioia ineffabile che la benignità del Santo Padre siasi degnata di assegnare a Don Bosco un luogo tanto cospicuo nella Basilica. L'occhio dello spettatore è portato alla nicchia che lo offre al suo sguardo, salendo per due successive visioni: appiè del pilastro la maestà del Principe degli Apostoli, e nel centro la radiosa figura dell'Angelico Pio IX: San Pietro, del quale Don Bosco con ardore di fede e candore edificante di stile narrò la vita al popolo, e Pio IX che amò paternamente il Santo e ne fu filialmente riamato.

                Un terzo motivo di allegrezza si aggiunge ai due precedenti, ed è che lo Scultore con il magistero insuperabile della sua arte abbia fissato l'immagine di Don Bosco nell'atteggiamento che meglio si confaceva alla natura del suo apostolato. Ecco che egli, stringendo a sè con affetto la gioventù dei paesi civili e delle terre di missione e accennando all'altare della Confessione, la sospinge in quella direzione e par che dica: “Figliuoli, là è la salvezza, perchè là è Pietro, e ubi Petrus ibi Ecclesia”. In tempi ostili al Papato, egli serbò fede al [367] Vicario di Gesù Cristo, nel quale additava il maestro, la guida, il benefattore dell'umanità.

                Dinanzi allo spettacolo, di cui siamo testimoni, io non posso non fare ancora un rilievo. Don Bosco in tutta la sua vita ebbe un gran sogno: per il bene delle anime e per la grandezza della sua patria egli vagheggiò sempre fra il Regno d'Italia e la Santa Sede Apostolica il felice connubio, in virtù del quale ora, per volontà di chi regge le sorti della Nazione, S. E. il Ministro dell'Educazione Nazionale dispose che la gioventù studiosa di Roma, rappresentante tutta la gioventù italiana ed estera, convenisse qui per rendere omaggio al Santo Educatore.

                Grazie siano rese vivissime a Sua Eminenza il Card. Salotti, e agli Eccellentissimi Rappresentanti di tutte le Nazioni presso la Santa Sede, per aver voluto con la loro presenza rendere più solenne questa cerimonia, quasi ad attestare l'universalità della missione di Don Bosco nel mondo.

                Un ringraziamento speciale vada pure alle Congregazioni Religiose che, in fraterna solidarietà, hanno partecipato alla festa dell'umile Congregazione Salesiana.

                Consacri ora la benedizione di Vostra Eminenza tutti questi motivi di letizia, impetrando dal Cielo che il ricordo di sì fausto avvenimento viva perenne nella memoria dei presenti e sia tramandato salutevolmente alle future generazioni.

 

                Appresso Sua Eminenza, indossata la stola, benedisse la statua secondo il rito. Altri bei canti posero termine al breve rito; ma l'inno più bello saliva da quelle migliaia di cuori giovanili palpitanti alla vista del loro padre asceso a tanta gloria. La cerimonia si svolse con tanta rapidità che, quando la campana di S. Pietro sonò l'Angelus, tutto era finito.

                La nicchia assegnata dal Papa a Don Bosco si può ben dire nicchia d'onore; nessun altra infatti ha un posto così distinto. La statua vi si alza sopra quella di S. Pietro e si staglia sopra il medaglione musivo di Pio IX; che cosa ciò stia a significare, lo disse bene Don Tomasetti. Coloro poi che vissero negli ultimi anni del Santo, non potevano contemplarlo lassù senza rammentare un suo sogno, udito raccontare da giovani. Gli era parso di trovarsi proprio dentro quella nicchia senza sapere in qual modo vi fosse capitato. [368]

                Atterrito guardava attorno per chiedere aiuto; ma regnava sotto le volte del tempio il più profondo silenzio. Mandò allora un grido, e dall'affanno si svegliò. Chi sa quante volte, visitando S. Pietro, egli si era appressato alla bronzea statua dell'Apostolo e ne aveva baciato il piede, e al piede aveva, come si suole, accostata la fronte fino a farvela toccare in segno di umile e fedele sommessione al Vicario di Gesù Cristo! Nessuno, e lui meno di tutti, avrebbe mai immaginato allora quale arcano si potesse nascondere sotto il velo dello strano sogno.

 

 

CAPO XVIII.

Nel cinquantenario della morte.

 

                IL cinquantesimo anniversario della morte di Don Bosco vide tutta una serie di sì importanti celebrazioni, che ci sembra conveniente chiudere questo volume sulla glorificazione del Servo di Dio riferendo almeno le più degne di nota. Daremo il primo posto a varie manifestazioni fatte da colui che gradì d’essere salutato il “Papa di Don Bosco”.

                Pio XI aveva presente al pensiero questa ricorrenza fin dal principio dell’anno, allorchè dettava un privato paterno documento. Il gesuita piemontese Pietro Boetto, chiamato nel dicembre del 1935 a far parte del Sacro Collegio, doveva festeggiare in febbraio il cinquantesimo anniversario della sua vita religiosa. Per la lieta circostanza pervenne al Porporato una lettera di Pio XI, nella quale il Pontefice si compiaceva di ricordare come l’inizio di quella sua vita fosse coinciso col giorno in cui si svolgevano le solenni onoranze tributate dalla capitale della sua regione alla salma di S. Giovanni Bosco, defunto il giorno innanzi. Orbene in tale coincidenza il Papa credette di scorgere un incitamento che non aveva potuto non ritemprare nel novello religioso quei magnanimi propositi non venuti poi meno giammai in appresso.

                Sul principio dello stesso mese di febbraio Pio XI volle pensare ai figli di Don Bosco in una circostanza, che per [370] perché non li avrebbe richiamati alla sua particolare attenzione, se non fosse stato il sapere dell’accennata ricorrenza e il proposito di parteciparvi in qualche modo. È costume che ogni anno nel giorno della Candelora, come si suol chiamare la festa della Purificazione di Maria Vergine, i Procuratori Generali delle famiglie religiose si presentino tutti insieme al Papa e gli offrano un cero. Nel 1938 il più magnifico dei ceri fu offerto dal Sovrano Ordine di Malta. Quello appunto il Santo Padre volle destinato alla Società Salesiana “in memoria, come scrisse L’Osservatore Romano dell’11, del cinquantesimo anniversario della beata morte del suo Santo Fondatore, col quale il Sommo Pontefice aveva avuto, nei primi tempi del suo sacerdozio indimenticabili rapporti personali, sublimati poi in quegli atti del supremo ‘Magistero, che ebbero il loro fastigio nelle grandiose cerimonie della beatificazione e della canonizzazione”.

                Un tratto di altissima degnazione rimarrà nella storia del medesimo cinquantenario a documentare l’affetto dei Papa Pio XI per Don Bosco e per la sua Opera. Il Salesiano Don Giorgio Castellino, alunno dell’Istituto Biblico a Roma, doveva difendere la sua tesi di laurea in Sacra Scrittura. Queste sono discussioni che non si fanno al tavolo dei soli esaminatori, ma dinanzi a un pubblico di studiosi. Allora il Papa stabilì che il candidato si cimentasse in presenza sua; il che fu fatto a Castelgandolfo la mattina del 19 maggio con numeroso intervento di persone colte. Dopochè la Commissione esaminatrice ebbe dato il suo voto, che fu di approvazione con lode, il Santo Padre pronunciò un elevato discorso sull’importanza degli studi biblici, nel quale fra i motivi di letizia suscitatigli nell’animo da quella eletta adunanza poneva anche l’occasione di rievocare “gradite, belle e sempre benefiche memorie di S. Giovanni Bosco”, come pure di dimostrare una volta ancora quanto egli stimasse, apprezzasse e ammirasse la grande famiglia del Santo, quei cari suoi figli Salesiani, e di dire loro e a tutti come [371] il Papa fosse lieto di compiere con uno dei loro un gesto “coronatore di meriti e di meriti alti”, quali erano quelli della scienza sacra.

                Nel medesimo anno il Papa rivelò ancora più volte in pubbliche udienze questi suoi benevoli sentimenti. Il 28 maggio, ricevendo con altri gruppi uno stuolo di cinquanta artigianelli dell’Istituto salesiano “Pio XI” e alludendo al nome dell’Istituto stesso, disse loro: “Speriamo che questo nome sia a voi di buon augurio, perché è, si, nome dì un vecchio, ma anche nome di Padre e nome del Vicario di Gesù Cristo. La nostra particolare benedizione a voi e a tutto l’Istituto, tanto caro, è superfluo dirlo; ma voi Ce lo avete richiamato con un indirizzo tanto affettuoso e pieno di sentimenti filiali e in senso cristiano; perché voi siete buoni figli di Santa Madre Chiesa e del grande amico di Dio ed operaio della fede, che è stato il vostro e nostro S. Giovanni Bosco. Vostro e nostro, possiamo ben dire, perché, se a voi Don Bosco è Padre in Cristo, noi possiamo ben asserire d’esserne stati nel Signore prima amico e di esserne poi diventato Padre, Padre della gloria più alta, della gloria dei Santi, alla quale Iddio Ci ha concesso di cooperare, sia pure come umile strumento”.

                Precisamente un mese dopo, il 28 giugno, ventiquattro novelli sacerdoti salesiani partecipavano a un’udienza collettiva, nella quale il Papa diede a ogni categoria di persone un particolare benvenuto. Giunto ai nostri, li felicitò, perché si presentavano a lui “sotto il grande, bello e promettente nome di S. Giovanni Bosco”. Più tardi, il 5 agosto, alle novizie delle Figlie di Maria Ausiliatrice condottegli dal vicino noviziato, disse che esse si recavano dal Papa sotto il nome di Maria Ausiliatrice, a lui particolarmente caro, perché gli ricordava il suo “grande amico” Don Bosco.

                Pio XI, perfino ricevendo i Carabinieri Reali che avevano prestato servizio d’ordine e d’onore intorno alla residenza pontificia, volle far udire la sua parola in lode di Don Bosco. [372]

                Ricevutili il 21 ottobre, otto giorni prima di lasciare la villa, tenne loro un discorso, che terminò dicendo: “Abbiamo pensato anche di darvi una piccola memoria di questa udienza, per dirvi quanto essa Ci sia gradita. Abbiamo già dato una piccola medaglia al vostro Colonnello e ora la diamo ai vostri ufficiali. La medaglia è adatta alla circostanza, perché adorna dell’immagine del buon vecchio S. Martino, che morì santo Vescovo, ma che fu pure buono e bravo soldato. Così ne daremo un’altra anche a voi. E anche questa medaglia è adatta alle circostanze, perché se pure non reca l’effigie d’un militare, porta tuttavia quella di un vero soldato del lavoro e del dovere, di uno che appunto per questo è diventato Santo: Don Bosco, vale a dire quanto c’è di più italiano e di più incoraggiante”.

                In un’udienza analoga del 25 il Papa ripetè un analogo elogio di S. Giovanni Bosco. Era la volta di cinquanta Metropolitani, che avevano anch’essi prestato servizio d’ordine, specialmente nei pellegrinaggi numerosi. Li accompagnavano un Vicequestore e i loro Ufficiali. Al termine del discorso Sua Santità, chiamato a perché il Vicequestore, gli consegnò un esemplare in argento della medaglia con l’immagine di S. Martino e al medesimo affidò l’incarico di distribuire agli agenti altre medaglie con l’effigie di S. Giovanni Bosco. Nel fare questo ricordò il privilegio da lui avuto di elevare Don Bosco agli onori degli altari e disse che Don Bosco “può ben chiamarsi il soldato della carità e non solo in Italia, ma sotto tutti i cieli, perché i Salesiani ne portano il nome e lo spirito facendo a tutti del bene”.

                Il fatto più saliente del cinquantenario resterà la dedicazione dell’altare di Don Bosco nella basilica di Maria Ausiliatrice con le relative conseguenze, che furono l’ingrandimento e i restauri della chiesa stessa. Più degno monumento non si poteva erigere al Santo fondatore. Del monumentale altare scrisse Don Caviglia[103]: “Vi è nella storia di [373] ogni grande Istituzione della Chiesa un giorno, in cui si è voluto consacrare alle spoglie del Santo che ne fu l’Autore un monumento che ne dicesse la grandezza e vi concentrasse la divozione del mondo. Pensiamo a S. Francesco, a S. Domenico, a S. Ignazio, a S. Paolo della Croce. Per Don Bosco il giorno della gloria è venuto al compiersi del primo cinquantennio del suo passaggio alla gloria del Cielo. E grazie all’arte italiana e alla devozione dei figli di Don Bosco, il monumento sacro, ch’è un altare, è riuscito tale da poter dire la parola che passa nei secoli”.

                Nella chiesa la grandiosità del monumento non fa ingombro, inquadrata com’è nel braccio destro del grande transetto chiuso già dall’altare di S. Pietro, l’altare a cui celebrava abitualmente Don Bosco. L’architetto Ceradini, professore all’Accademia Albertina, ha creato un bell’insieme d’arte e di pietà religiosa. L’occhio del riguardante va subito a posarsi sull’urna contenente le reliquie del Santo, adagiata sotto l’icona e poco sopra la mensa. Quest’urna, collocata in un ampio loculo, è di cristallo, sicchè lascia vedere da ogni parte la venerata salma, vestita di paramenti sacerdotali. Diciamo da ogni parte, perché uno scurolo a doppia cupola separa tutto il corpo dell’altare dalla parete della cappella e vi si entra per due porte marmoree con ricchi cancelli di bronzo dorato. Lì, scrive Don Caviglia, “tutto cospira a dare un senso di raccolta concentrazione per la preghiera più intima e confidente, come se si parli a tu per tu col Santo che si ha d’innanzi e prossimo alla vista”. Lo scopo dunque di mettere nella debita venerazione la sacra spoglia è stato raggiunto nella maniera più naturale che si potesse immaginare.

                Nulla diciamo dell’icona, perché la presente è provvisoria. Tutto il complesso dell’altare, dalla gradinata alla sopraelevazione, ricco di marmi preziosi e di bronzi, presenta una dovizia di particolari disegnati con genialità, distribuiti con gusto ed eseguiti con finezza. Gli si stende [374] dinanzi un presbiterio pavimentato a marmi policromi e chiuso da una bellissima balaustrata marmorea. Ai lati della mensa due marmorei basamenti sostengono due grandi statue di marmo, rappresentanti la Fede e la Carità. Splendore di marmi e di decorazioni adorna le pareti circostanti, dove tre vetrate rappresentano tre momenti solenni della vita e della gloria del Santo. Nella lunetta in alto si vede il fanciullo di nove anni che riceve in sogno la sua missione; nella finestra di sinistra Pio IX che nel Vaticano consegna a Don Bosco le Regole approvate della Società Salesiana; in quella di destra Pio XI, che nella basilica di S. Pietro mette il Servo di Dio nel numero dei Santi. Basta osservare il pio atteggiamento di quanti senza interruzione si fermano davanti all’altare, perché si dica che ivi l’arte ha raggiunto pienamente il nobilissimo scopo, che da essa si aveva il diritto di attendere.

                Con un monumento di tanto valore bisognava che fosse in armonia tutto l’ambiente, cioè tutto il resto del sacro edificio; altrimenti avrebbe richiamato alla memoria l’immagine oraziana del lembo di porpora fiammante cucito sopra un panno logoro. Per questo era necessario non solo decorare meglio la chiesa, ma anche ingrandirla, sicchè assumesse l’aspetto e le dimensioni convenienti a un santuario di celebrità mondiale.

                Il culto di S. Giovanni Bosco, popolarissimo ed esteso, aggiunto a quello di Maria Ausiliatrice, aumentava già l’affluire dei divoti e si prevedeva che l’avrebbe aumentato a dismisura in seguito. Tornavano alla mente le parole del Santo nella prima circolare, con cui nel 1864 aveva chiesto aiuto a tutta l’Italia per l’erezione del sacro edificio. Scriveva egli allora: “Prova certamente un cattolico grande consolazione, quando gli occorre di vedere gran numero di fedeli radunati nella Casa di Dio; ma è poi cagione di sensibile rincrescimento, qualora i fedeli, accorrendo alle sacre funzioni, dovessero essere esclusi per mancanza di posto. [375]

                Questo è appunto quello di cui debbo io stesso essere dolente spettatore”. Il medesimo sentimento provavano i due ultimi suoi successori Don Rinaldi e Don Ricaldone al vedere come troppe volte lo spazio fosse oltremodo angusto per soddisfare convenientemente alla pietà delle folle, tanto più pensando che l’angustia sarebbe apparsa sempre maggiore con l’andare del tempo. Donde nacque l’ardito proposito di porre mano all’impresa dell’ampliamento.

                Il problema, già arduo in perché, di aumentare la capacità di un edificio completo in ogni sua parte, era reso ancora più arduo dalla limitatezza degli spazi utilizzabili e dalla volontà di non alterare la crociera interna, quale Don Bosco l’aveva accettata dall’architetto Spezia, non che dall’intenzione di non escludere la presenza quotidiana dei settecento giovani interni dalle sacre funzioni, come Don Bosco aveva voluto. Queste difficoltà furono vinte così bene, che oggi l’opera d’ingrandimento, compiuta in tre anni di lavoro, appare non solo armoniosamente connessa al santuario, ma nata insieme con questo. Infatti chi già conosceva la chiesa e la rivede al presente rimane a tutta prima sorpreso, perché dopo le tante cose lette sul Bollettino crede di trovarsi dinanzi all’interno già noto: lode non piccola dell’architetto che seppe fare le aggiunte senza che il vaso della chiesa cambiasse la precedente configurazione.

                Diamo un’idea del come si ottenne tale effetto[104]. Ai due lati del vecchio presbiterio si aprivano due spaziose sagrestie addossate ai muri perimetrali: furono demolite. A tergo del vecchio altare maggiore era stato appiccicato un coro o abside che dalla chiesa non si vedeva: fu demolito anche quello. Si ebbero così sgombre le aree per due spaziose cappelle laterali, per un largo ambulacro, per un prolun – [376] gamento della chiesa e per la nuova sagrestia. Le due cappelle che si affacciano sul nuovo vasto presbiterio con ampli colonnati, possono contenere tutti gli studenti e gli artigiani della casa. Sopra di esse due belle tribune prospettanti sul presbiterio accoglieranno ognuna circa trecento persone durante le funzioni più solenni. L’ambulacro, che s’inizia dal lato della facciata, corre lungo il fianco di tutta la basilica fino alla sagrestia, volge dietro l’altare maggiore e gira intorno all’altra cappella. Lungo il tratto che dietro l’altare maggiore fiancheggia la sagrestia si allineano sei graziosissimi altari. Cappelle, tribune e galleria vengono rischiarate da grandiosi finestroni a vetri istoriati. Sul presbiterio piove una luce discreta da una nuova cupola, traforata da sedici occhi a vetrate dipinte.

                Centro del santuario è naturalmente l’altare maggiore con il grande quadro di Maria Ausiliatrice e con un magnifico ciborio per la santa Eucaristia; lì convergono subito gli sguardi di chi varca la soglia del santuario e lì si posano gli occhi di coloro che pregano nella chiesa. Diciannove qualità di marmi ricorrono nell’apparato dell’altare e dell’icona. Attorno e davanti una ricca policromia marmorea veste le pareti dal pavimento alle cornici. Quarantotto colonne di marmo binate, con trabeazioni e capitelli, sostengono le gallerie e separano le cappelle dall’ambulacro. Tutta questa parte che forma la testa della crociera, offre la visione di un insieme cosi vario e armonico, che gl’intenditori ammirano e il popolo rimane incantato.

                Crescerà il godimento, quando nel 1941 la decorazione sarà completata qui e condotta fino al fondo della chiesa; non un palmo di superficie deve restare ozioso. Le modestissime decorazioni fatte tre anni dopo la morte di Don Bosco sono tutte condannate a sparire, meno i dipinti della cupola. Questi, liberati con somma perizia dall’intonaco che, formatosi per diverse cagioni, aveva offuscato le figure, riapparvero in tutta la loro freschezza primitiva a farei gu – [377] stare la buona arte del Rollini. Così la basilica di Maria Ausiliatrice avrà tutto il decoro che le spetta.

                Al qual decoro conferirà non poco la nuova sistemazione della cantoria. L’apparato orchestrale che ingombrava la parete di fondo e limitava la luce del rosone e di due finestre, è stato rimosso con inestimabile vantaggio dell’estetica e della visibilità. L’organo verrà situato nella galleria aperta sul lato del vangelo, donde l’esperienza ha dimostrato che l’effetto acustico si diffonderà molto meglio di prima in ogni angolo della chiesa.

                Ma intanto gli autori della grande impresa possono già godere la soddisfazione di osservare come il pubblico levi al cielo la parte finora eseguita e affretti col desiderio il compimento. Essi sono il Rettor Maggiore Don Ricaldone che volle l’opera, l’Economo Generale Don Giraudi che ne è l’anima, e il salesiano architetto Valotti, interprete ed esecutore intelligente. La loro soddisfazione è tanto più sentita, perché al plauso universale si accompagna l’universale approvazione per il modo come fu speso il denaro venuto da ogni qualità d’oblatori. Invero la generosità dei divoti di Maria Ausiliatrice e di S. Giovanni Bosco non si è mostrata e non si mostra punto inferiore a quella che soccorse il Santo al tempo dell’erezione.

                A meglio valutare il merito degli autori di tanta opera bisogna conoscere due speciali contrarietà, a cui dovettero fare fronte e che non a torto furono dette tragiche. Sul principio, quando si demoliva l’abside, una rivelazione improvvisa gettò lo sgomento in chi ne fu testimonio: la massa poggiava pressochè sul vuoto. Nel 1864, scavandosi le fondamenta, s’era giunti a un terreno alluvionale, che impose la necessità di piantare una forte palafitta[105]. Ritiratasi col tempo l’acqua, il legname si polverizzò; quindi i muri vennero a trovarsi sospesi su larghe cavità, sostenedosi a mala – [378] pena su gli orli. Non basta. Contemporaneamente si verificò la cattiva qualità dei materiali della vecchia costruzione, sicchè nell’interno dei muri, mancata la coesione, gli sgretolamenti sconnettevano sempre più la compagine. A scongiurare una catastrofe si ebbe ricorso a iniezioni di cemento su tutti i punti della muratura, cominciando dalle basi. Vi lavorò attorno per due lunghi anni una società specializzatasi in tal genere di operazioni, iniettando cemento finchè non furono turati tutti i buchi e saldate tutte le sconnettiture. Di cemento ci vollero seimila quintali.

                L’altro contrattempo scoppiò, quando la prima fase dei lavori volgeva quasi al termine e si approssimava la data dell’inaugurazione. Le colonne che portavano il maggior peso della parte ampliata presentavano presso i capitelli segni di incrinature, conseguenza questa o del troppo carico o della poca coesione che spesso si riscontra nel marmo fortemente colorato. Ognuno pensi le preoccupazioni dell’Economo e dell’architetto, che dovettero senza indugio provvedere altre venti colonne di marmo più compatto e successivamente e con infinite ed ardue cautele sostituirle alle prime. A questa grossa briga si univa il molesto pensiero di mantenere segreta la cosa, affinchè, trapelando, non destasse inconsulti allarmi con pericolo di gettare la sfiducia nel pubblico. In tale frangente giovarono i consigli di due celebrità nel campo dell’ingegneria. Grazie ai loro suggerimenti, la solerzia di coloro che soprintendevano ai lavori, non solo rimosse tempestivamente ed efficacemente il pericolo, ma con il cambio dei marmi aggiunse nuovo pregio e ornamento all’opera. Alla fine i due illustri periti, richiesti di formulare le loro spettanze, risposero entrambi che si sentivano abbastanza soddisfatti e onorati d’aver servito Don Bosco. Essi erano i professori Antonio Giberti di Torino e Arturo Danusso di Milano.

                Con ritmo nelle ultime settimane acceleratissimo il lavoro diede pressochè ultimata la parte voluta per le feste [379] dei cinquantenario, essendo stata scelta per la celebrazione la data del 9 giugno, che coincideva con il settantennio della dedicazione.

                I frequentatori della chiesa respirarono, quando videro cominciare la demolizione dei ponti, che da tre anni la ingombravano, e poi seguire la schiodatura degli steccati, che chiudevano la cappella di Don Bosco, drizzati, com’erano lungo i muri da decorare. Maggior sollievo provarono quando cominciò l’abbattimento della parete posticcia, che dietro l’altare maggiore, egualmente provvisorio, saliva dal pavimento alla volta e a guisa di smisurato sipario nascondeva agli occhi del pubblico la febbrile attività dei lavoratori entro lo spazio che dall’attuale balaustra va fino alla sagrestia. Il sottile schermo non attutiva però i rumori dei colpi, che rintronavano tutta la chiesa, disturbando la preghiera dei fedeli e l’esercizio dei ministeri sacerdotali. Accennava finalmente a tornare nel caro tempio la mistica pace di prima.

                Lo sgombro totale per altro non ci fu che nella giornata dell’8 giugno; ma le porte stettero chiuse due giorni sia per fare gli ultimi assestamenti, sia per dare modo di compiere la delicata operazione del trasferire la salma del Santo dall’antica alla nuova urna. Videro per primi la basilica rinnovata i giovani interni ed esterni dell’Oratorio, che la sera dell’8 vi si adunarono tutti a dire le preghiere. Man mano che entravano, lo spettacolo li incantava. Nello sfavillìo delle luci brillavano i marmi multicolori dei due altari, delle pareti circostanti, delle cappelle e delle gallerie; le due cupole, illuminate da lampade nascoste, parevano inondate di luce. Dopo la “buonanotte” di Don Ricaldone, tutti ordinatamente si mossero verso l’altare di Don Bosco, dove, passando per lo scurolo, venerarono da vicino la benedetta reliquia.

                All’alba del 9 principiò il viavai della folla, mentre si facevano gli ultimi preparativi per una originale funzione. [380] Erano convenuti a Torino quasi tutti i Vescovi salesiani d’Italia; erano giunti pure il Cardinale Hlond e il salesiano Vescovo di Shillong nell’Assam, Mons. Ferrando. Essi, eseguendo le interessanti particolarità del rito, fecero contemporaneamente la consacrazione degli altari. Imponenti riuscirono le consacrazioni dell’altare maggiore, compiuta dal Cardinale Arcivescovo, e dell’altare di Don Bosco, riserbata al Cardinale salesiano. L’Arcivescovo Guerra consacrò un altare molto bello, di cui non abbiamo ancora parlato. Sorge questo nella cripta sotto la sagrestia, dalla parte dell’altare di Don Bosco, ed è dedicato a S. Pietro. Non doveva scomparire dalla basilica la testimonianza che della sua devozione verso il Vicario di Gesù Cristo vi aveva Don Bosco voluto eternare, erigendo un altare al Principe degli Apostoli, al quale egli soleva celebrare il divino Sacrificio. Cinque degli altari superiori (il sesto, quello del Beato Cafasso, poteva essere solamente benedetto), dedicati a S. Giuseppe Cottolengo, al Crocifisso, ai tre Santi Martiri torinesi della legione tebea, a S. Pio V e all’Angelo Custode, ebbero la consacrazione rispettivamente dai Vescovi Emanuel, Ferrando, Rotolo, Coppo e Olivares. Compiuto il rito, ogni consacrante celebrò al proprio altare.

                Pontificali solenni e prediche di Vescovi si succedettero per quattro giorni dinanzi a imponenti masse di fedeli, venuti anche in pellegrinaggio da lontani paesi. Il giorno 10 fu riservato interamente alle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali avevano con zelo e generosità contribuito a fornire mezzi pecuniari per l’impresa. Esse riempirono la chiesa di loro alunne e oratoriane e fecero squisite esecuzioni musicali. L’II venne indirizzato a ringraziare Dio e la Vergine Ausiliatrice per la copia incalcolabile di grazie largite nel corso di settant’anni. Chiuse i festeggiamenti la domenica 12, preceduta da una fervida veglia santa. Dalla mezzanotte alle undici non cessarono mai le comunioni, distribuite da diversi altari. Nella chiesa e nell’Oratorio la gente [381] affluì da mane a sera; per le camerette di Don Bosco fu un ininterrotto entrare e uscire di visitatori.

                Era stata rimandata al giorno 12 la processione dì Maria Ausiliatrice. Si svolse questa in lungo percorso, divota e pittoresca, tra fitte ale di popolo. Quali manifestazioni di fede e di pietà al passaggio della statua! Dinanzi alla venerata immagine incedevano, oltre i sei Vescovi già nominati, anche il Nunzio Apostolico di Bolivia Mons. Lunardi, i due altri Vescovi salesiani Sosa di S. Miguel nel Venezuela e Munerati di Volterra e i Vescovi piemontesi Soracco di Fossano, Rosso di Cuneo, Imberti d’Aosta, Grassi di Alba, Ugliengo di Susa, Del Ponte d’Acqui; ultimi venivano i due porporati. Un popolo immenso ricevette la benedizione del Santissimo, impartita dall’Arcivescovo dentro e fuori della basilica. Tutto intorno formicolò la moltitudine fino a tarda notte, quando, spenta l’illuminazione della facciata e della cupola maggiore, brillava soltanto la corona delle lampadine formanti l’aureola al capo della Vergine, che sembrava salutare dall’alto e accompagnare con lo sguardo materno le folle allontanantisi.

                Le feste del cinquantenario resteranno memorande anche nella storia del santuario, perché vi segnarono il principio di una nuova fase, la fase dei pellegrinaggi. Ne arrivano da ogni parte e con una frequenza straordinaria. Più volte i pellegrini provenienti da un medesimo luogo superano il migliaio; taluni sono condotti da Vescovi e financo da Cardinali. Si sente sempre più l’opportunità di organizzare questi movimenti collettivi in modo che si susseguano senza imbarazzarsi a vicenda sul posto e poi trovino all’arrivo e durante la permanenza quanto possa occorrere ai bisogni spirituali e materiali. L’inde gloria mea si avvera in proporzioni che forse Don Bosco medesimo non potè immaginare.

                Parleranno di questo cinquantenario anche due opere, le quali si volle che da esso prendessero inizio. La prima, ai Becchi. L’avvocato Pietro Bernardi, che, vivendo mode – [382] stamente al Cairo, aveva custodito tutti i suoi risparmi, desiderava che questi dopo la sua morte servissero a fare del bene. Con tale intendimento chiamò l’Istituto salesiano per le Missioni suo erede. Passato quindi il munifico benefattore all’eternità, Don Ricaldone pensò di adempierne il volere, deliberando l’erezione di un orfanotrofio presso l’umile casa di Colui che, orfano di padre in tenerissima età e poi ramingo per i cascinali dei dintorni in cerca di lavoro e di pane, si era venuto formando alla scuola del dolore, della povertà e della sofferenza per essere un giorno nel mondo il Padre degli orfani. Fatto dunque allestire sollecitamente il disegno di un vasto fabbricato, il quarto successore di Don Bosco dispose che ne fosse posta la prima pietra poco dopo i descritti festeggiamenti torinesi. La cerimonia ebbe luogo il 26 giugno. Il Cardinale Arcivescovo benedisse la pietra e vi gettò la prima calce. Una circostanza speciale rese oltremodo solenne il rito liturgico. Era allora aperto il quindicesimo Capitolo Generale della Società Salesiana; quindi fecero ivi corona a Sua Eminenza e al Capitolo Superiore anche i quarantotto Ispettori con altrettanti delegati. L’orfanotrofio, associando al nome dell’insigne benefattore quello dell’illustre suo nipote barnabita, si chiamerà Istituto Bernardi – Semeria.

                Una curiosità! C’era un sogno di Don Bosco, che sembrava racchiudere qualche riferimento con l’opera intrapresa ai Becchi nel cinquantenario. L’avevamo pubblicato nel primo capo del volume precedente. Don Bosco vede sua madre presso la fontana, che scaturisce a sinistra di chi dai Becchi scende per il vecchio sentiero verso la strada di Buttigliera. Mamma Margherita non sa spiegare come sia avvenuto che un’acqua sempre purissima apparisse allora molta sporca. Proferisce quindi il lamento di Geremia: Aquam nostram pecunia bibimus. Dopo conduce il figlio in cima a un colle, che si eleva a poca distanza e donde la vista spazia sopra un vasto panorama, e là discorrono del bene [383] che vi sarebbe da fare nelle terre sottostanti. In quella Don Bosco si sveglia. Raccontando poscia il sogno a Don Lemoyne e a qualche altro, egli osservò: - Il posto ove mi condusse mia madre è indicatissimo per un’opera, perché forma il punto centrale di molte borgate prive di chiese. Orbene Don Ricaldone e Don Giraudi, recatisi ai Becchi per designare il luogo dove far sorgere l’opera ideata, scelsero proprio il colle del sogno, perché fu piccola sorpresa la loro, quando avvertirono di avere senza saperlo posto gli occhi proprio sul sito vagheggiato dal Santo. Diremo di più. Poco tempo innanzi la Commissione provinciale d’igiene aveva dichiarata inquinata la sorgente, a cui si erano dissetate parecchie generazioni, e ai Becchi si usava “a prezzo di danaro” l’acqua potabile fatta recentemente condurre dal Governo nel Monferrato.

                Di una seconda opera importantissima fu posta in questo cinquantenario la pietra fondamentale il 3 luglio. Nel mondo dell’industria e anche fuori gode larghissimo credito la così detta Fiat, la maggior fabbrica italiana di automobili, che dà lavoro a una grande moltitudine di operai. La creò a Torino il Senatore Giovanni Agnelli. Dovendosene trasportare la sede in altra località presso il viale di Stupinigi, il valoroso industriale volle che ivi non lungi dalle gigantesche costruzioni in corso fosse edificato un grande oratorio festivo con pubblica chiesa per la cristiana educazione dei figli delle maestranze e un modernissimo istituto internazionale di elettromeccanica per la formazione di tecnici salesiani da inviare in varie parti del mondo. A invocare le benedizioni del Cielo sull’erigenda opera andò parimente il Cardinale Arcivescovo, che compiè il sacro rito nuovamente alla presenza dei componenti il Capitolo Generale salesiano e con l’intervento delle più alte autorità cittadine. L’opera sorgerà quasi di fronte alla Generala, l’ospizio dei giovani traviati, ove Don Bosco diede il noto saggio sull’efficacia del suo metodo pedagogico. [384]

                In ogni nazione i Salesiani commemorarono il cinquantenario; qui faremo solo menzione di un popolo, al quale Don Bosco desiderò sempre grandemente di poter estendere il suo apostolato. Il cinquantenario della sua morte coincideva con quello degli esordi salesiani nell’Inghilterra; perché il Santo aveva mandato i suoi figli a Londra appena due mesi e mezzo prima di lasciare questa vita. La ricorrenza fu celebrata nella metropoli inglese con un cielo di festeggiamenti, che furono chiusi a Shrigley presso Manchester. Colà i Salesiani dirigevano da otto anni un fiorente collegio missionario. Con l’aiuto dei Cooperatori vi avevano innalzato a S. Giovanni Bosco una chiesa di maestose proporzioni e di bella architettura e per inaugurarla non si poteva presentare occasione più propizia del doppio cinquantenario. La chiesa dunque venne aperta al culto con la massima solennità nel luglio del 1938. Vi accorsero circa quattromila pellegrini non solo dall’Inghilterra, ma anche dalla Scozia e financo dalla lontana Irlanda. Il nome di Don Bosco incontra pure da quelle patti tante simpatie, che la sua chiesa è ormai diventata mèta di pellegrinaggi dalle plaghe circonvicine; vi si recano con particolare predilezione i Soci dell’Azione Cattolica.

                Al cinquantenario fu posto il suggello nella maniera più degna che si potesse desiderare. Vi pose questo bel coronamento al “Papa di Don Bosco”, beatificando la Madre Maria Mazzarello. Alla nuova Beata diede Roma il titolo di “Confondatrice dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice”: titolo assai onorifico e ben meritato. Grande onore le derivò dall’aver avuto una parte importantissima nella fondazione di una famiglia religiosa destinata a sì glorioso avvenire; il merito suo consistette nell’essersi fatta docile strumento nelle mani di San Giovanni Bosco per plasmare le prime Suore, che dovevano dare alla Congregazione l’avviamento e quasi l’intonazione voluta dal Fondatore. Essa mise a disposizione del Santo tutte le più elette virtù che possono adornare [385] il cuore di una vergine consacrata a Dio, e il Santo la diresse nell’impresa, la sostenne nei sacrifici, compiacendosi di scorgere in lei tesori di grazia, largitile dal Signore per la santificazione propria e per il buon governo delle sue dipendenti. Bene scrisse Don Ricaldone nella sua lettera annuale ai Cooperatori e alle Cooperatrici[106], che la beatificazione di Maria Mazzarello “è una luminosa riprova della poderosa efficacia dello spirito del nostro grande Padre nel suscitare frutti di santità

                Questa beatificazione fu celebrata il 20 novembre 1938. Veniva terza dopo quella della Rossello e della Cabrini, ma le superò entrambe, e di gran lunga, per il concorso dei Romani e dei forestieri. Evidentemente il nome di Don Bosco agiva in un movimento, che superò ogni aspettativa. Il Papa volle accordare una solenne udienza nel giorno della vigilia. V’intervennero circa cinquemila persone. Il venerando Vegliardo attraversò le affollate sale fra entusiastiche acclamazioni e dal trono rivolse la sua angusta parola, che gli altoparlanti fecero udire anche ai più lontani. Disse fra l’altro il Papa:

 

                Cosa si potrebbe dire od aggiungere a quello che già dicono le cose, gli avvenimenti? Perché è così grande quello a cui Iddio ci chiama a partecipare – l’elevazione della Sua fedele Serva ai supremi onori, che richiamano a Lei, da tutte le parti del mondo, la luce di San Giovanni Bosco nella quale essa risplende – che ogni espressione è inadeguata. Noi non vogliamo pertanto se non raccogliere dall’avvenimento stesso, la parola che consegniamo alla memoria degli intervenuti, alla vostra pratica di buoni figliuoli e buone figliuole. Tutti siamo qui adunati e ci aduneremo ancora domani, in una adunata anche più solenne, più grandiosa, proprio per godere e gloriarci anche noi nell’esaltazione e gloria della grande Serva di Dio. Gloriarci anche noi, perché è giusto e doveroso. La Ven. Mazzarello è della nostra famiglia e noi siamo della sua famiglia. Nella Comunione dei Santi, nella unione del Corpo mistico di Cristo, siamo, tutti i fedeli, non solo fratelli e sorelle, ma membri del medesimo corpo, del medesimo organismo soprannaturale che vive la stessa vita di Dio, che si tra – [386] sfonde in esso. Perché naturale che figlie e fratelli si onorino della gloria della madre e del padre. Ed ecco lo spunto buono e pratico: gloriarci di questa nostra sorella, sta bene; possiamo e dobbiamo farlo; ma essa a sua volta, ha il diritto più grande, alto, sovrano di potersi compiacere di noi, di avere in noi dei figli non degeneri, ma fedeli alla gloria di quel Sangue divino, che ha santificato Lei e deve far santi anche noi.

                Figli fedeli al gran nome della famiglia cristiana che ci lega a Gesù Cristo e a tutti i Santi, cominciando dalla Vergine Immacolata, dobbiamo farei un dovere di onorare, glorificare questa grande famiglia. Che essa non abbia mai per nessuno dì noi a vergognarsi, ma sempre possa gloriarsi di noi, della nostra condotta, della nostra vita cristiana, che vuol dire vita santa, come è stata quella della grande Serva di Dio.

                Non a tutti è data la stessa misura di grazia, ma a tutti è data questa vocazione di santità. Tutti siamo chiamati a questa santità, apparteniamo ad una famiglia di Santi, ad un corpo santo, quindi dobbiamo esserlo anche noi nella misura della grazia che Dio non ci lascerà mancare, purchè trovi fedele, generosa corrispondenza nella nostra condotta. Che tutta la nostra vita, come direbbe l’apostolo, con le opere e con le parole, sia perciò degna del gran nome che portiamo, della grande famiglia alla quale apparteniamo. Così allora avremo onorato anche noi questa Serva di Dio nel modo che si vuole da noi, e anche a noi potrà applicarsi quella grande parola, una delle più belle e più grandi pronunciate da San Paolo: Apostoli gloria Christi! Parola stupendamente bella, sublimemente grande.

                Questa è la vocazione di tutti i fedeli di essere, nella misura che Dio destina ad ognuno con la sua grazia, gloria di Cristo, come è stata e sarà nei secoli la sua umile serva, Maria Mazzarello. Ecco una creatura che col suo nome, con la sua fama, col suo esempio, gira e domina già il mondo intero, proclamando la gloria di Cristo, il quale solo può compiere questo miracolo: fare di un’umile donna, una tale grandezza e bellezza morale da potersi collocare in alto e costringere il mondo a decretarle ogni onore e ogni gloria. È questo pertanto l’augurio paterno come frutto delle grandi solennità: figli e fratelli di Santi, siamo Santi anche noi: la nostra vita somigli alla loro, rispecchi qualche cosa della loro sublimità morale, sì da partecipare alla gloria grande tributata agli Apostoli, essere, cioè, la gloria di Cristo.

 

                Alla funzione del mattino seguente la Basilica di S. Pietro si gremì di gente, quanta ne poteva contenere. Crebbero lustro alla pompa liturgica undici Cardinali e trentasette Vescovi, di cui nove salesiani. Il Breve pontificio, che dichiarava [387] Beata la Serva di Dio, ne tesseva la vita e tendeva conto della procedura nella Causa. Fra l’un e l’altra parte era inserito un tratto, che delineava così il profilo della Beata: “Semplice nell’agire, parca nel cibo, assidua nel disbrigo delle sue mansioni, generosa, benchè poverissima, nel donare, prudente e forte nel guidare le Suore, sebbene nel governo dell’Istituto tutta si affidasse a San Giovanni Bosco, piissima nell’orazione diligentissima nel custodire il candore dell’innocenza e della purezza. Ardeva di vivissimo amore per l’Eucaristia, come se vedesse con gli occhi Gesù presente; perché con minore affetto venerava la Beata Vergine, specialmente sotto il titolo di Ausiliatrice”. Dopo la lettura del Breve, proseguì l’imponente rito, che si svolse in un’atmosfera di commossa e divota pietà, vibrante di ardori giovanili.

                Nel pomeriggio l’omaggio di venerazione del Papa attirò una moltitudine ancor maggiore, sicchè l’immensa Basilica non bastò a contenerla tutta. Da tribune riservate assistevano cospicue rappresentanze e alte personalità. Nel presbiterio attendevano quaranta Vescovi. Al Papa fecero corteggio nel suo ingresso diciotto Cardinali. La rituale presentazione dei doni fu fatta dal Rettor Maggiore e dal Postulatore Don Tomasetti. Il Santo Padre, osservando l’immagine della Beata, rilevò che l’atteggiamento delle mani esprimeva spiritualità e operosità. La reliquia, chiusa in artistica custodia, era una vertebra, il che richiamò al Papa un’osservazione già da lui espressa per l’analoga reliquia di Don Bosco; ripetè infatti: - Guardi, Don Ricaldone, proprio come Don Bosco, anche Madre Mazzarello doveva avere una buona spina dorsale. – E volle dire, una perfetta dirittura morale con fortezza di carattere ed energia di volontà.

                Nelle settimane seguenti due tridui solennissimi furono celebrati in onore della Beata, uno a Roma nel tempio dei Sacro Cuore e l’altro a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice. In entrambe le occasioni eminentissimi oratori intrecciarono alle lodi della Mazzarello i ricordi di Don Bosco, [388] e mentre sullo stesso metro si succedevano celebrazioni in ogni parte del mondo, nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, poco lungi dall’altare di San Giovanni Bosco, si lavorava a costruire un altare monumentale, dove esporre alla venerazione dei fedeli le sacre spoglie della Beata. Le due sante anime, unite già nell’azione, non saranno mai disgiunte nella glorificazione.

                A cinquant’anni dalla morte del Fondatore, i due sodalizi religiosi, che debbono a lui la loro esistenza, possono volgersi indietro, a guardare, non diremo con orgoglio che sarebbe frase troppo profana, ma con legittima compiacenza il cammino percorso. Le loro statistiche ne attestano l’incessante progredire nell’ingrossare delle schiere, nel moltiplicarsi delle iniziative; nel dilatarsi delle tende oltre tutte le frontiere e al di là di tutti i mari. Le forze umane non sarebbero arrivate a tanto senza l’appoggio del braccio dell’Onnipotente. Dio che ha cominciato e condotto fin qui la grande opera di bene, la perfezioni ogni di più e le accordi solida durata fino a quando il tempo andrà sommerso nell’eternità. Salga frattanto soli Deo honor et gloria.

 

                Il Papa Pio XI, quando ridiscese nella Basilica Vaticana, non impartiva più benedizioni dall’alto della sedia gestatoria, non veniva più acclamato dalle folle giubilanti, ma, adagiato su funereo letto e accompagnato da funebri preci, era avviato alla sua ultima dimora nelle mistiche ombre dell’ipogeo, che si apre sotto il tempio, poco lungi dalla tomba del Principe degli Apostoli. La sua morte, avvenuta nella notte sul 10 febbraio 1939, era pianta da tutto il mondo proprio nei giorni, in cui si correggevano le bozze di questo volume, dove tante volte si parla di Lui o parla Egli stesso. Noi crediamo di aver pagato il tributo della gratitudine che i Salesiani debbono alla memoria del grande Pontefice, consegnando alla storia quanto [389] Egli si degnò fare per il nostro santo Fondatore e Padre. Non ci fu mai Papa che con tanto amore e con tanta continuità esaltasse pubblicamente un Servo di Dio e per riflesso l’Opera sua, come Pio XI fece per diciassette anni nei riguardi di Don Bosco. Dieci giorni prima di lasciare la terra, Egli aveva accordato al quarto successore di Don Bosco un’udienza indimenticabile, al termine della quale era giunto a dirgli paternamente: - Non può credere quanto mi abbia fatto piacere questa sua visita. Sia pace all’anima sua grande, e verso di Lui arda perenne la riconoscenza nel cuore di tutti i Salesiani che sono e che saranno.

 

 

APPENDICE DI DOCUMENTI

 

I .

 

Iscrizioni del P. Angelini, S. J.,

nei funerali di Don Bosco a Roma.

 

                Sulla porta della chiesa:

 

IOANNI . BOSCO

sacerdoti

qui . singulari . dei . mvnere

aetati . nostrae . tribvtvs

christiani . nominis . decvs

ingenio . consilio . labore . constantia

provexit

et . posteritatem . prospiciens

novis . ad . virtvtem . instrvxit . praesidiis

sodales . salesiani

avctori . parenti . magistro

ivsta . et . lacrimas

 

                Nella parte anteriore del tumulo:

inflammato . stvdio

ad . animorvm . lvcra . raptvs

opvs . qvod . regiones . omnes

omnesqve . amplectatvr . aetates

mente . volvtat

consilii . socios . et . administros

sibi . Adivngit

societateM,

cvi . a . francisco . salesio . inditvm . nomen

constitvit

legibvs . rom . sedis . avctoritate . sancitis

sepit . commvnit [394]

 

                Ai lati del tumulo

mente . Excvbans

ne . qvid . detrimenti . capiat

adolescentivm . institvtio

ab . eorvm ocvlis . prava . volvmina

innocentiae et . fidei . labem . inferentia

amolitvr . nova . erroribvs . extersa . svbiicit

rei . christianae . historiam

italiae . fastos . describit

scriptores . qvi pietatem alant . foveant

Vt . omnivm . manibvs . terantvr

in . lucem . profert

 

 

ioannes

animo . circvmspiciens

quid . rei . publicae . christianae . condvcat

qvid . obsit

cogitationes . et . cvras

in . pveros . probe . institvendos . confert

dei . vnivs . spe . fretvs

amplissimas . aedes . a . solo . excitat

artibvs . operosioribvs . rvdiores . addicit

ingenio . acres . litteris . imbvit

lectissimos . vt . divina . obeant . mvnia

sacrisqve . initientvr . comparat

 

2.

 

Iscrizioni del P. Mauro Ricci, D. S. P.,

nei funerali di Don Bosco e Firenze.

 

                Alla porta maggiore:

al povero ed uMiL prete

GIOVANNI BOSCO

dalla cristiana carità

fatto ricco e grandissimo d’intelletto e di cuore

con opere santamente audaci

nelle più barbare contrade

dietro a sé conducendo la luce dei buoni studi

le bellezze delle utili arti

indefesso propagatore del nome di cristo

imploriamo gli eterni godimenti in cielo

solo premio desiderato

dal consolatore di tante miserie in terra

con la pia parola con le sapienti pagine

coi magnanimi patimenti. [395]

 

                Intorno al feretro:

 

I.

 

i figli della famelica plebe

avviati dalla crescente corruttela

all’infamia delle prigioni

egli abbracciò come suoi

con loro divise il suo desco

rallegrato dalle speranze della fede

augurio e forza ai disperanti di sé.

 

II.

 

gli illui artigiani dispregiarono il prete

egli prete gli compianse gli amò

con la eloquenza dei pietosi fatti

non col bagliore delle sonanti parole

confutando per sempre

la mille volte rediviva menzogna

contro il cattolico sacerdozio.

 

III.

 

s’irrideva dagli sconoscenti stranieri

con ironica tracotanza L’italia

appellata terra dei morti

egli inspiratosi alle memorie del golgota

perenne focolare di amore

dimostro’ lei così viva

da meravigliarne i derisori pentiti.

 

IV.

 

tu modello della zelante soavita

francesco di sales

tu duce dell’invincibil falange

loiolese ignazio

e tu nella scuola apostolo ai figli del popolo

giuseppe caLaSanzio

accogliete il prode emulo nul beato consesso. [396]

 

3.

 

Lettera dell’Arcivescovo di Rio de Janeiro

ai Salesiani di Nichteroy.

 

                                Carissimi Salesiani del mio cuore,

 

                Dunque Don Bosco è in cielo! Che felicità, che ventura per Lui, e per i Salesiani qual onore! Ora più che mai Don Bosco aiuterà i suoi figli che lasciò: più che mai ora li amerà! Assai più vale Don Bosco in cielo che a Torino o a Roma: di lassù Egli vede in un sol momento i suoi cari sparsi per la terra, e tutti li ascolta, e per tutti s’interessa, e più può presso Dio. Qual ventura e felicità per Don Bosco, e per i Salesiani che onore, avere il loro Padre fra i Santi e gli Angeli, vicino alla SS. Vergine e a Gesù Cristo! Che festa non si fece lassù all’entrata di questo buon Sacerdote!... Quanta gente salva per mezzo di Don Bosco e de’ suoi figli! Tutti gli furono incontro a dargli il ben venuto e in santo abbraccio lo festeggiarono come noi neppure lontanamente possiamo immaginare. E che non gli avrà detto Gesù Cristo? – Euge, serve bone... Quello che hai fatto per i piccoli, l’hai fatto a me e, ora io ti rimunererò. Intra in gaudium Domini tui. Felice Don Bosco! Felice! Felice!

                Quindi a voi, carissimi Salesiani, io fo mille felicitazioni! E ben preziose sono esse, perché hanno origine dalla fede cristiana.

                Ma... buon Dio!... Ragioni non mancano per le più vive condoglianze! Alla morte di Lazzaro piange Gesù; e alla morte di Don Bosco come non piangeranno gli sconsolati e tristi Salesiani?... Piangete dunque, figli miei, o meglio, piangiamo tutti noi che avemmo la fortuna di conoscere Don Bosco, di sperimentare la bontà del suo cuore, i benefici della sua carità!

                Piangiamo, ma da cristiani! Piangiamo, ma come quelli che piamente pensano che Don Bosco è in cielo, e là non dimenticherà coloro che sulla terra ha tanto amati e che ora ha lasciati immersi nel più profondo dolore!

                Oh Don Bosco, ricordati del povero Vescovo di Rio de Janeiro; il primo Vescovo dell’America che ebbe la visita dei tuoi figli, quand’erano in viaggio per il Rio della Plata; il primo Vescovo del Brasile, che in quest’Impero ha aperto la prima casa a’ tuoi cari figli! Nell’ora della povera mia morte ricordati di me, e questo mi basterà!

                A voi dunque, dilettissimi Salesiani, invio felicitazioni e condoglianze, e vi assicuro che prendo parte al vostro dolore, afflizione e tristezza. Dio vi benedica e vi consoli.

 

                Rio de Janeiro, 6 febbraio 1888.

Vostro aff.mo amico

PIETRO Vescovo

di S. Sebastiano di Rio de Janeiro. [397]

 

4.

 

Lettera del Vescovo di Montevideo a Don Rua.

 

                               Rev.mo Padre, Don Michele Rua,

 

                Profonda pena ha cagionata all’anima mia l’infausta notizia della perdita del virtuoso e venerabile sacerdote Don Giovanni Bosco, Fondatore e Rettor Maggiore della benemerita Congregazione Salesiana, e che V. R. si è degnata comunicarmi ufficialmente.

                Obbligato per tanti titoli all’insigne benefattore della società cristiana Don Bosco, dal primo istante che il telegrafo ci trasmetteva il suo transito a miglior vita, nel mio grado di Prelato ed a nome del mio popolo innalzai umili preci al Supremo Fattore a bene dell’anima dell’illustre estinto e all’eterno riposo di lui; e nello stesso tempo chiesi e pregai Iddio per la conservazione, propagazione e prosperità delle opere di zelo e di carità che Egli ci lasciava.

                Don Giovanni Bosco non è morto; la sua memoria vive e vivrà perpetuamente, perché hanno da vivere le opere da lui fondate a nome e per la maggior gloria di Dio con l’approvazione e la benedizione del Supremo Gerarca, il Vicario di Gesù Cristo sulla terra.

                Don Giovanni Bosco vive e vivrà nella memoria e nel cuore di migliaia di fanciulli poveri, che dalle sue labbra e dalla sua parola appresero i santi insegnamenti della fede.

                Don Giovanni Bosco vive e vivrà nelle future generazioni, che in altrettante e più migliaia di giovanetti bisognosi nell’anima e nel corpo hanno da essere evangelizzati da’ suoi degni figli.

                Don Giovanni Bosco vive e vivrà per la Diocesi di Montevideo per essere stata delle prime a ricevere le sollecite sue cure, degnandosi egli inviarci i suoi figli, che si sono segnalati e si fanno onore nelle scuole e nelle parrocchie affidate al loro zelo.

                Don Giovanni Bosco vive e vivrà specialmente per me che ebbi l’onore di conoscerlo e di apprezzare le sue rare virtù. E a testimonio della mia speciale stima e venerazione ho stabilito, d’accordo col signor Parroco della Chiesa Cattedrale di Montevideo, di fare solenni funerali a suffragio di lui, celebrandovi io pontificalmente.

                Si degni la Congregazione Salesiana di ricevere i più vivi sensi di gratitudine verso la memoria di Don Giovanni Bosco e le più sentite condoglianze per la sua morte, mentre imploro dal Dio della Misericordia ogni sorta di benedizioni sopra di questa Istituzione.

                Dio la conservi per molti anni.

 

                Montevideo, 9 marzo 1888.

INNOCENZO MARIA

Vescovo di Montevideo. [398]

 

5.

Procura di Postulatore a Don Bonetti.

 

                Nos Sacerdos Michaël Rua Rector Maior Piae Societatis Sancii Francisci Salesii.

 

                Dilecto Nobis in Christo Sacerdoti Ioanni $ometti salutem.

                Fama sanctitatis Servi Dei Sacerdotis Ioannis Bosco in dies percrebrescente aequum ac religiosum existimavimus Christifidelium votis annuere, qui Causam Beatificationis et Canonizationis praedicti Servi Dei ad maiorem Dei gloriara et Ecclesiae bonum exoptant. Quapropter Te de cuius scientia et probitate necnon in rebus gerendis dexteritate docta sumus, ad Postulatoris munus in Processibus ad dictam Causara spectantibus eligimus et nominamus, conferentes Tibi omnes facultates de iure necesarias et opportunas, ut legitime polis ac valeas agere, instare et sistere, etiam per alium Ecclesiasticum virum iuridice a Te substituendum coram Iudicibus delegandis in qualibet Ecclesiastica Curia, in Urbe et alibi, quodcumque licitumatque honestum iuramentum praestare, testes et contestes inducere et quodlibet aliud ad rem necessarium et opportunum perficere, quousque Causa ipsa, Dei gratia favente, ad exitum perducatur.

                Datum Augustae Taurinorum die secunda Iunii an. 1890.

Sac. MICHAEL RUA R. M.

Sac. ANGELUS LAGO, a secretis.

 

6.

Postulazione di Don Bonetti all'Arcivescovo di Torino.

                Sacerdos Ioannes Bouetti Postulator specialiter constitutus in Causa Beatificationis et Canonizatiouis Servi Dei Sacerdotis Ioannis Bosco Fundatoris Piae Societatis Sancta Francisci Salesii, quemadmodum constat ex mandato Procurationis, quod reverenter exhibet, humillime exponit Eminentiae Vestrae praefatum Dei famulum post exactam vitam in heroica exercitatione omnium Christianarum virtutum, adeo universale post obitum, qui accidit die trigesima prima mensas Januarii an. 1888, sui desiderium reliquise et constantem sanctitatis famam, ut plures pii devotique fideles ad eius implorandum patrocinium accurrentes, insignes gratias et prodigia a Deo obtinuerint.

                Quoniam vero eadem sanctitatis fama, quin decreverit, mirum in modum aucta sit apud etiam doctos gravesque viros,,qui eum dignum [399] existimant, ut accedente Sanctae Sedis Apostolicae iudicio, Beatificationis et Canonizationis honore decoretur: idcirco ipse Causae Postulator tara proprio quam sui constituentis nomine ad maiorem Dei gloriam, qui se mirabilem in servis suis quotidie ostendere non desinit, Eminentiam Vestram enixe exorat, ut decernere dignetur constructio­nem Processus auctoritate ordinaria super fama sanctitatis vitae, virtutibus et miraculis praedicti Servi Dei ad formam Decretorum generalium S. R. C. et praesertim novissimorum, quae confirmata fuere a Venerabili Servo Dei Innocentio Papa XI, ne ulteriori mora testium probationes per obitum pereant.

Sac. IOANNES BONETTI,

Causae Postulator.

 

7.

II iuramenfuin calumniae del Postulatore.

                Ego sacerdos Ioannes Bonetti specialiter constitutus in Causa Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Sacerdotis Ioannis Bosco, tara proprio quam meorum principalium nomine, tactis bisce sanctis Dei Evangeliis coram me positig, iuro et promitto me non accedere, non accesile neque accessurum ad banc causam et confectionem huius Processus neque ad aliquem ipsius actum odio, amore, timore, lucro sive quovis alio respectu humano, sed -solum zelo honoris et gloriae Dei, qui magnificatur et laudabilis est in Sanctis suis, et hanc intentionem habere meos principales, qui me constituerunt; in quorum animam sicut et in animam propriam iuro sub omnibus clausulis in simili calumniae iuramento latius contentas et expressis. Et ita iuro: sìc me Deus adiuvet, et haec sancta eius Evangelia.

Sacerdos IOANNES BONETTI,

Causae Postulator.

 

8.

 

Lettera di Don Rinaldi al Cardinale Prefetto dei Riti.

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Mi viene comunicato dal nostro Postulatore Generale, che tra le osservazioni che ancor si fanno nell’esame sopra l’eroismo delle virtù del Venerabile Servo di Dio Giovanni Bosco, nostro Fondatore, si desiderano maggiori prove circa la sua vita di preghiera e il suo spirito profetico.

                Ho pregato e meditato per l’una e per l’altra cosa, ed a conferma delle copiose deposizioni che a favore di quanto si vuol dimostrare trovansi negli Atti Processuali, mi sento in dovere di fare all’E. V. Rev.ma, con vincolo di giuramento, due dichiarazioni: [400]

                I° Si obbietta che il Servo di Dio domandò ed ottenne la dispensa dal Breviario. La domandò quand’era nei cinquanta anni e gli avveniva, per lunghi periodi di tempo, di non poter leggere affatto. Egli stesso lo dichiarò a me ancor chierico, quando gli comunicai che andavo a farmi visitare da un oculista. Mi guardò, come per dirmi che non ne avrei ricavato alcun vantaggio e: “Vedi, mi disse, anch’io ho sempre avuto la vista debole e poi mi si è indebolita tanto che in certi periodi non posso leggere nulla, proprio nulla, mentre in altri leggo e scrivo con minore o maggiore fatica”. Compresi subito che mi voleva dire che altrettanto sarebbe avvenuto a me; ed avvenne precisamente così, perché anch’io, che presentemente recito il Breviario senza fatica, per molto tempo non potei recitarlo affatto.

                E qui, Eminenza, mi permetta di aggiungere essere mia intima convinzione che il Venerabile fu proprio un uomo di Dio, continuamente unito a Dio nella preghiera. Negli ultimi anni, dopo le mattinate spese nel ricevere persone d’ogni ceto e condizione sociale che da ogni parte accorrevano a lui per consiglio o per riceverne la benedizione, ogni giorno soleva restarsene ritirato in camera dalle 14 alle 15, e i Superiori non permettevano che in quell’ora fosse disturbato. Ma essendo io, dal 1883 alla morte del Servo di Dio, incaricato di una Casa di formazione di aspiranti al Sacerdozio ed avendomi egli detto che andassi a trovarlo ogni volta ne avessi bisogno, forse con indiscrezione, certo per poterlo avvicinare con maggiore comodità, ruppi più volte la consegna, e non solo all’Oratorio, ma a Lanzo e a S. Benigno, dove si recava sovente, e a Mathi e nella casa di San Giovanni Evangelista in Torino più volte mi recai da lui proprio in quell’ora per parlargli. Ed a quell’ora, dappertutto e sempre, lo sorpresi ogni volta, raccolto, con le mani giunte, in meditazione.

                2° La seconda cosa che sento il dovere di esporre riguarda la difficoltà che si fa per la morte dell’E.mo Card. Cagliero, il quale non sarebbe giunto ad assistere alla ripresa e alla chiusura del Concilio Vaticano, come falsamente si è interpretato e divulgato che avrebbe detto Don Bosco.

                Sono più di quarant’anni, che frequentando e vivendo io con più anziani seppi che, quando fu nominato Vescovo Mons. Cagliero il Venerabile disse che Monsignore sarebbe vissuto molti anni, e di noi si riteneva che avrebbe passato gli 85 e superò difatti gli 88, e che avrebbe assistito ad un grande avvenimento in Vaticano. Don Bosco non specificò quale sarebbe stato il grande avvenimento; ma fu Don Viglietti, allora chierico, che interpretando di sua testa, e con molta leggerezza, le parole di Don Bosco, disse e scrisse che Don Bosco aveva detto a Mons. Cagliero, che avrebbe assistito alla chiusa del Concilio Vaticano.

                Ma è pur vero che da più di quarant’anni io e molti altri abbian giudicato prettamente arbitraria e falsa l’interpretazione di Don [401] Viglietti, come anche in seguito io ho sempre dichiarato a chi me ne parlava. Il medesimo Card. Cagliero, interrogato da me e da altri in proposito, ripetè ogni volta che Don Bosco non gli fece mai tal profezia.

                Don Bosco, adunque, non disse, come si sparse la voce per l’interpretazione di Don Viglietti, che Mons. Cagliero avrebbe assistito alla chiusa del Concilio Vaticano, ma semplicemente ad un grande avvenimento in Vaticano; e il grande avvenimento, al quale il Card. Cagliero assistè realmente in Vaticano fu il Conclave nel quale fu eletto il S. Padre Pio XI. Per Don Bosco, che in tutta quanta la vita, dopo N. S. Gesù Cristo e la Vergine Benedetta, amò del più tenero ed operoso amore il Romano Pontefice, era davvero Grande un tale avvenimento al quale, per i pietosi disegni della Divina Provvidenza doveva prender parte e prese parte uno dei suoi poveri alunni dell’Oratorio!

                Questo è quanto posso e intendo giurare parola per parola.

                L’E. V. ne faccia quell’uso che crede.

                E mentre chieggo all’E. V. umilissima venia del mio ardire, prostrato al bacio della Sacra Porpora mi professo,

                Dell’Eminenza Vostra Rev.ma

 

                Torino, 29 settembre 1926.

Umil.mo dev.mo obbl.mo Servo

Sac. P. RINALDI, Rettor M.

 

                All’Eminentissimo

                Sig. Card. ANTONIO VICO

                Ponente della Causa del Ven. Giov. Bosco

                Roma.

 

9.

 

Lettera del Can. Sorasio al Prefetto dei Riti.

 

                               Eminenza Reverendisima,

 

                Il Processo Apostolico del Ven. Don Bosco è oramai terminato, ed io, qual Vicario deputato dell’E.mo nostro Card. Arcivescovo, mi unirà coi Colleghi nel farne  la relazione; ma avendo già oltrepassato ottant’anni, e nel timore d’essere colpito dalla morte, mi per metto di esporre all’Emin. Vostra R.ma un mio fatto personale, eh, potrà dare una qualche luce sulle opposizioni fatte contro il processo e intendo che questa esposizione venga unita al processo, avvenendo la mia morte.

                Quando le divergenze tra il comp. Monsignor Gastaldi Arcivescovo di Torino e Don Bosco si fecero più vive, si pubblicarono e alcuni opuscoli contro l’Arcivescovo; ed alcuni, non conoscendo lo spirito di Don Bosco, forse sospettarono che egli ne fosse l’autore: [402] poco dopo si seppe che il Canonico Colomiatti, avvocato fiscale della Curia, aveva iniziate indagini ed escussi testi al riguardo.

                In quel tempo io era segretario della Curia, e un giorno il Canonico Chiuso, segretario dell’Arciv., Cancelliere e poi Provicario generale, mi disse che nella mia qualità di promotore della mensa, doveva fare istanza all’Avvocato fiscale Canonico Colomiatti, perché intentasse causa contro Don Bosco, quale autore dei detti opuscoli.

                Risposi vivamente che credeva impossibile che Don Bosco fosse caduto in tale bassezza, che aveva ben altro a fare, dovendo provvedere il pane a tanti giovani studenti ed artigiani del suo Oratorio, dei suoi collegi e delle missioni: aggiunsi che lo credeva persino incapace di trattare argomenti di filosofia, quali si trattavano in uno degli opuscoli; ed ebbi il coraggio e l’audacia di dirgli, essendo stato mio condiscepolo nello studio della morale: - Vedi: a quest’ora Don Bosco è tale un colosso che vi schiaccia tutti!

                Il Canonico Chiuso, sorpreso, mi disse: - Ma allora tu sai chi n’è l’autore. – No, risposi, ma ho sospetti su un tale – che per delicatezza non osai nominare. Erano sul P. Rostagno S. I., col quale scambiavo qualche parola incontrandolo nel portarmi all’ufficio; e benchè egli sapesse chi io era, pure un giorno l’udii esclamare – Ah! L’aggiusteremo noi il vostro Arcivescovo!

                Il Canonico Chiuso, vedendo che io non più parlava, mi mandò dal Canonico Colomiatti, che mi ripetè lo stesso invito, o comando. Ripetei le ragioni espresse al Canonico Chiuso, omettendo però il mio giudizio sul colosso. Allora egli, con aria di sicurezza, disse: - E se lo condannassimo? – Allora, risposi, m’inchinerò alla sentenza, dovendo supporre che abbiano avute tante prove e così chiare e sicure, da doverlo condannare. – A questo punto, egli prendendo in mano un voluminoso incartamento (credo che contenesse le deposizioni dei testi già escussi) e mostrandomelo, sentenziò: - Vede? Il processo di Don Bosco non lo faremo, come l’abbiamo fatto pel Cottolengo!!

                Firmai la domanda già preparata di procedere contro Don Bosco... parcat mihi Deus! Era l’epoca della potenza e dell’ultrapotenza, per non dir altro!

                Dal momento che osai schierarmi difensore di Don Bosco, mi vidi tollerato in Curia. L’Arcivescovo senza mai accennare a quanto era passato, poco dopo m’informò che era vacante la parrocchia di Agliè (di patronato di S. A. R. il Duca di Genova) e mi disse che avrei fatto bene ad accettarla: instò più tardi con calore, e risposi che per me era doloroso lasciar la Diocesi in cui era nato. Passato un po’ di tempo, mi offrì la Parrocchia di S. Maurizio, diocesi di Torino. Mi vidi costretto ad accettarla, ma mentre mi preparava per l’esame, il Marchese Doria, patrono, si portò dall’Arcivescovo, e gli presentò il Sacerdote che intendeva nominare! [403]

                In quel tempo i Preti del Corpus Domini, sapendomi bersagliato, mi accettarono nella loro Congregazione e, quattro anni dopo, i Canonici della Metropolitana mi chiamarono a loro collega.

                Qualcuno potrà farmi addebito che nel processo informativo, quale Promotore fiscale, non abbia citati a testi d’ufficio, i Canonici Chiuso e Colomiatti. Tale era la mia intenzione. Difatti mi presentai all’Arcivescovo Davide Riccardi e gli esposi la cosa. Ma egli, col suo fare sbrigativo, mi rispose: - Il Canonico Chiuso è liquidato (era stato privato del Canonicato). Il Canonico Colomiatti? Ma che ne sa quel 11 di Don Bosco? – E fece un atto che interpretai di poterne citare altri. E ne citai tre: il Teologo Bongiovanni, il Canonico Corno e Canonico Berrone.

                Non citai il Canonico Colomiatti anche perché si sapeva che la Curia era stata obbligata a ritirare il processo intentato contro Don Bosco; di più, il teste Sacerdote Prof. Turchi, in fine della sua deposizione avendo presentato al Tribunale un piego suggellato, da trasmettersi al Card. Prefetto della S. Congregazione, si comprese che egli si dichiarava autore di nominati opuscoli; e perciò era sfumata l’accusa che Don Bosco ne fosse l’autore, accusa di cui si era fatto acerrimo difensore il Canonico Colomiatti.

                Citando poi il Canonico Como, che era stato più anni prosegretario dell’Arciv. Monsig. Gastaldi, e precisamente nei tempi piú procellosi, mi parve d’avere esaurientemente adempiuto al mio còmpito.

                Io non posso o devo giudicare qual valore possano avere le deposizioni fatte dal Canonico Colomiatti, ma posso attestare che varie e distinte persone, che ebbero a trattare con lui, sanno con quanta facilità pronunci giudizi e sentenze, e che dato un suo primo giudizio, non sia più possibile fargli sentire osservazioni o ragioni in contrario.

                Degnisi l’Em.za V. R.ma perdonare la mia libertà, e mentre m’inchino al riverente bacio della S. Porpora mi ascrivo a sommo onore di professarmi coi sensi della più profonda venerazione

                Di V. Em.za R.ma

 

                Torino, 8 novembre 1917.

U.mo Osseq.mo Servo

Can. MICHELE SORASIO

Vicario Delegato.

 

 

10.

 

Lettere di Don Turchi al Prefetto dei Riti.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Nella deposizione che io ho fatto davanti ai Reverendissimi Signori Giudici nel Processo di causa Beatificazione di quel santo Sacerdote che fu Don. Giovanni Bosco, ho chiesto ed ottenuto di pre – [404] sentare agli stessi R.mi Giudici un mio plico chiuso da servire esclusivamente ed in via di assoluto segreto confidato alla Sacra Congregazione dei Riti; e così credei bene di fare perché la Sacra Congregazione dei Riti si convinca vie meglio che Don Bosco perché scrisse, perché fè scrivere opuscoli contro Mons. Lorenzo Gastaldi, già Arcivescovo di Torino; e perché i nomi degli scrittori degli opuscoli stampati contro o, meglio, su Monsignor Gastaldi, non vengano a conoscenza del pubblico, perché passino alla storia.

                1 Scrivendo io adunque queste righe, intendo farlo sotto gli stessi vincoli di giuramento, dai quali ero legato nella mia deposizione. Protesto inoltre che non scrivo per rancori che io abbia verso la memoria di Monsignor Gastaldi; tendo anzi a compatirlo perché uomo piuttosto di prima impressione, e perché il suo cervello doveva avere qualcosa d’anormale, nel che trovai con me d’accordo un Vescovo piemontese tuttora vivente, e molto saggio, molto dotto, molto pio; perché inoltre io penso che fosse, come diciamo, mal circondato, come prova sempre più la condotta del Canonico Tommaso Chiuso, già segretario e consigliere di Mons. Gastaldi, il quale Chiuso fu testè con atto diretto di S. S. Papa Leone XIII, interdetto dal celebrar Messa, dal poter essere Canonico della Metropolitana quale era prima, e dichiarato inabile a qualunque siasi carica od ufficio ecclesiastico; e come lo provò pure Don Marcellino, Curato allora e fino a questi ultimi tempi della parrocchia dei Ss. Martiri in Torino. Costui che di Mons. Gastaldi era intimo e consigliere, e la detta parrocchia aveva avuto per favore speciale di Monsignore, era poi caduto in basso quanto a costumi; e quando Mons. Gastaldi fu finalmente potuto persuadere che non si trattava solo di ciancie, ma di fatti, dovette autorizzare la Curia a fargli un processo; ma tanto rimase addolorato al capire quale fosse il suo confidente, che la morte improvvisa di Monsignore, avvenuta pochi giorni appresso, fu detto da non pochi essergli stata cagionata dal disinganno avuto riguardo a Don Marcellino. E questo Don Marcellino, costretto finalmente a rinunciare alla parrocchia, se ne vive a Torino, o viaggiando con abiti prettamente secolareschi e portando tanto di baffi, perché si sa quale condotta tenga: certo non se ne dice bene.

                Che sotto l’Episcopato, del povero Mons. Gastaldi, specie negli ultimi tempi, le cose dell’Archidiocesi torinese andasser male, tutti il sapevano allora, e si sa ancor adesso; e suppongo che a Roma si sapessero e si sappiano anche meglio. Io stesso trovandomi a Roma per tempo non breve (parte del 1877 e parte del 1878) sentivo spesso a parlare, da persone incapaci di tradir il vero, di lagni che si facevano su Mons. Gastaldi da personaggi altolocati nella Chiesa e dalla Santità stessa del Papa attuale. Del resto gli opuscoli sopra accennati contenevano abbastanza per farsi un’idea del punto a cui eran giunte le cose sotto quel povero Mons. Gastaldi; perché tali opuscoli furon [405] mai, ch’io sappia, pubblicamente contradetti perché confutati: ed oltre a quanto poteva saperne io, anche un Vescovo d’una Diocesi piemontese, che era, prima d’essere Vescovo, stabilito in Torino, e per sua posizione conosceva assai bene cose e persone, mi diceva, non è molto, che gli opuscoli eran letti avidamente, e che si trovava che dicevano il vero.

                Come è noto, il povero Mons. Gastaldi se l’era presa con tutto e con tutti. E, I° Con la S. Sede rifiutandosi di obbedire e buscandosi sospensioni particolari, non volendo stare a sentenza dei Tribunali di essa, ma consigliandosi e combinando con capimagistrati per reagire a Roma e renderle frustanere; 2° Con veri dettami della Fede, avendo, prima ancora che fosse Vescovo, stampate proposizioni, nelle quali andava d’accordo coi capi – setta: proposizioni confutate in uno degli accennati opuscoli, intitolato Piccolo Saggio sulle dottrine di Mons. Gastaldi, nella parte che  è propriamente Saggio; 3° Con la Morale di San Alfonso de’ Liguori, che  trovava troppo larga, ed in conseguenza distruggendo una delle più belle e pel Piemonte più proficue istituzioni, quale era il Convitto Ecclesiastico per lo studio della Morale, che sbandi i rigori del Giansenismo dal Piemonte stesso, e che era fondazione d’uomini insigni per dottrina e santità, quali furono il Teol. Guala e Don Giuseppe Cafasso; e quindi lo sfratto dato al grande Moralista Teol. G. B. Bertagna, ora Vescovo titolare di Cafarnao; 4° Con gli Ordini e Congregazioni religiose, specie contro i Gesuiti, contro cui, facendo poi esso stesso scuola di Morale ai giovani Sacerdoti, spesso convertiva la scuola in declamazioni contro i Gesuiti stessi, ed avendo in un suo scritto mandato alle stampe asserito che  lo stato religioso non era più perfetto del semplice Sacerdozio; specie pure col povero Don Bosco, cui sarebbe troppo lungo dire quanto ha maltrattato, e che aveva il torto di non volersi lasciar distruggere lui e la sua Congregazione; 5° Con la sana e cattolica filosofia, essendosi esso fatto campione delle teorie Rosminiane, i cui seguaci ho letto io stesso in un giornale liberale professare che avevano una rocca in Gastaldi Arcivescovo di Torino; 6° Col suo Clero e coi migliori di esso intimando sospensioni senza numero e per futili motivi; e tra le vittime di sospensioni, anche Don Bosco quanto al ministero delle confessioni; cosa però, di cui non s’era accorto esso ed altri supposero che  le sue Patenti di Confessione fossero state, come al solito, regolarmente confermate ad annum; mentre però Don Bosco aveva avuto, come seppi, da lui stesso, da Papa Pio IX facoltà di confessare da per tutto senza limiti di territorii; 7° Per fino coi Vescovi vicini, a cui vietava di venire per funzioni di sua Diocesi[107]; 8° Direi per fino coi Santi, giacchè trattandosi di ristampare per la millesima [406] olta una Laude di Sant’Alfonso, perché volendone permettere la ristampa senza una variante da esso voluta, ed osservandogli il tipografo od altri che quella Laude era oramai antica, perché alcuno aveva mai avuto a vedervi nulla che non andasse bene, esso gli soggiunse: Sant’Alfonso era Vescovo, ed io sono Arcivescovo, e voglio così!; 9° Col Capitolo Metropolitano. Nel fare il suo Sinodo Mons. Gastaldi, ne presentò come di ragione copia al Capitolo; poi nell’adunanza del Clero in Duomo ne fè leggere un altro. Andato poi in Riviera ligure per bagni, ne compilò un terzo; e questo stampò nel 1873. Questo mi si è dato per certo. Infatti e pur troppo si fecero e si fan questioni sul suo valore, eccetto quanto esso contiene del Sinodo del Card. Costa. Ma come distinguere quanto è del Costa, e quanto no? Ci vorrebbe un buon lavoro in proposito. Fui intanto accertato che il valente Moralista Monsignor Bertagna, nelle sue conferenze al giovane Clero professa che il Sinodo non è valido. Se esso ci vien citato da Mons. Davide dei Conti Riccardi, nostro veneratissimo Arcivescovo, gli è perché, come dicevami un giorno Mons. Re, Vescovo di Alba, si può calcolare su un tacito consenso del Capitolo Metropolitano. Ma come supporre che il Capitolo non abbia protestato in tempo opportuno? Così ed intanto, il Sinodo, sarebbe Sinodo e non Sinodo. Poi, Mons. Gastaldi se l’era presa ancor col Margotti e la sua Unità Cattolica, vessandolo al punto, che il Margotti dovè, per liberarsene, far proprietario del giornale, suo fratello Stefano. Cosa strana fu che la morte di Mons. Gastaldi, le nuove che dirò di palazzo, cioè intorno all’esposizione del cadavere e di quanto avveniva nel palazzo arcivescovile e cappella esterna unitavi, perché quanto alle modalità del trasporto funebre, ecc., le notizie venivan tutte e molto dettagliate da un giornale liberalissimo ed il peggiore dopo la Gazzetta del popolo, cioè dalla Gazzetta Piemontese, da cui i fogli religiosi poi le prendevano. Monsignor Gastaldi era inoltre di idee liberali, come prova in particolar modo una sua Pastorale.

                Ammetto però che Mons. Gastaldi fosse anche mal servito dalla sua Curia. Una volta trovandomi in uno degli Uffici della Cancelleria in Roma, un bravo canonista ebbe a dirmi: Ma possibile che in Torino non ci sia qualcuno che s’intenda di Canoni!

                Se poi vogliansi vedere meglio i disordini e i mali di quel tempo, convien leggere i varii opuscoli allora stampatisi da Mons. Gastaldi, non esclusa la Esposizione del Sacerdote Giovanni Bosco agli Eminentissimi Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio, da lui scritta per obbedienza alla S. Sede, e con ripugnanza: opuscolo dovuto far stampare, ma con edizione riservatissima e fatta tutta quanta in piena notte e con personale estraneo alle case Salesiane, ad eccezione del Direttore della tipografia di S. Vincenzo de’ Paoli in S. Pier d’Arena, 1881. Che poi gli opuscoli contenessero verità, oltreché si ammetteva si può dir da tutti, si prova anche da questo, che Mons. Ga – [407] staldi voleva intentar un processo, se non agli autori degli Opuscoli, almeno agli editori, ma consigliatosi col Procuratore del Re, questo gli domandò: Ma le cose di cui parlano quelle pubblicazioni, son vere? – Ma... già... – rispose Monsignore. Ed allora il Procuratore, od altro magistrato che fosse: - Se le cose son vere, si guardi dall’intentare processi: si desterebbe un vespaio, e sarebbe assai peggio che lasciar correre. – Di ciò si parlava in Torino, e davasi per cosa certa.

                I mali dunque c’erano, e gravi, gravissimi.

                Vengo ora agli opuscoli per dire intorno ad essi quello che più importa.

                Già prima del 1878 i Calendarii liturgici venivan fuori con cose tra amene e ridicole, sicchè io, lo confesso, me ne spassava con amici sacerdoti e più che semplici sacerdoti. Sentivo a Torino guai e lagni senza fine. Compaesano di Don Bosco (quindi anche di Don Giuseppe Cafasso), e stato presso di lui per un decennio (benché appena Chierico appartenessi al Seminario di Torino, chiuso, ed aperto solo in parte per la varie scuole), cioè dalla 3& ginnasiale, come ora si dice, fino a qualche mese dopo che fui ordinato sacerdote, e quindi amantissimo di Don Bosco, mi sentivo come a bollir il sangue in vedere com’esso fosse bistrattato ed angariato da Mons. Gastaldi, dal Chiuso, dal Colomiatti (però da quest’ultimo forse più tardi). Tutti i giorni può dirsi, una nuova. Trovandomi poi a Roma per tempo non breve e in qualità d’insegnante sotto Mons. Crostarosa (1877 – 78), potevo sapere quanto si diceva da dignitari e personaggi della Chiesa, ed anche in alto, chè ci avevo varie ed importanti conoscenze. M’ero poi fatto spedire da Torino il Calendario liturgico pel 1878: e visto che era più ghiotto dei precedenti, presi a scorrerlo con considerazioni che mi fiorivano in testa. Ed allora mi cominciò a frullar pel capo (a me solo, a me e nel mio intimo) l’idea di farne  una rivista con disegno, però ancor vago, di darla alle stampe. Ed allora, cominciai a buttar giù in carta le mie osservazioni un po’ alla faceta. Non ricordo bene se prima, che prendessi a scrivere, o quando già stavo scrivendo, mi arrivò, non saprei da parte di chi, ma deve essere da parte dell’autore stesso, mio amico, di cui dirò tra poco, un foglio stampato, non so più se in forma di lettera o di esposizione, firmato da un Cooperatore Salesiano, nel quale stampato veniva difeso Don Bosco contro Mons. Gastaldi. Questo mi mise in capo gran voglia o di incominciare, o di seguitare a scrivere e stampare anch’io (a dir vero la memoria mi fa difetto, perché ricordo più bene se la prima cosa, o la seconda delle due: direi piuttosto la seconda, cioè di seguitar a scrivere). Quindi tiravo giù a scrivere la Strenna pel Clero, ossia Rivista sul Calendario liturgico dell’Archidiocesi di Torino per l’anno 1878, scritta da un Cappellano. E quel Cappellano, era e son io Sac. Giovanni Turchi.

                Quanto allo stampato dei Cooperatore Salesiano, del quale ho detto poco fa (o mel dicesse lui stesso od altri, ma forse lo seppi da [408] lui e da altri) fu un già e sempre amico mio, cioè il Sac. Dottor in Lettere e Filosofia G. B. Anfossi, ora Canonico onorario della SS. Trinità in Torino, stato anche ai miei tempi presso Don Bosco, poi uscitone al par di me: però sempre stato affezionatissimo a Don Bosco. L’Anfossi, che avevo informato del mio disegno, mandavami poi da Torino nuove di quanto vi avveniva, e poteva da Torino sapere meglio di me a Roma; e davami così nuova materia per la Strenna.

                A Roma intanto mi fu dato di sapere che anche il Padre Gesuita Antonio Ballerini (credo sia – o fosse – Antonio) stava scrivendo intorno alle dottrine di Mons. Gastaldi. Mi recai da lui, anche per qualche schiarimento che mi occorreva, panni su i miracoli[108], cioè quanto all’approvazione, o meno, dell’Ordinario in sua Diocesi; e parlammo, io della mia Strenna, esso del suo Saggio sulle dottrine ut supra. Quanto a Mons. Gastaldi, dicevami che andava, panni, smascherato, che ci voleva la stampa, non vi essendo più altra via per tenerlo a segno. E povero Mons. Gastaldi si appoggiava ai secolari e per di più aveva un suo parente che era Ministro della Guerra, il Generale Macè de La Roche.

                Dicendo io al Ballerini, che, come avevo sentito, il Papa pensava a rimuovere Mons. Gastaldi, ma che si temeva saltasse il fosso, e facesse scandali, esso Ballerini mi soggiunse: - Ma l’ha bell’e saltato il fosso, l’ha bell’e saltato. – Non voglio ingannarmi, ma credo che fin d’allora mi parlasse di cercar di far stampare io stesso a Torino il suo lavoro, ossia Piccolo Saggio, ecc. e che io accettassi di compiacerlo. In ogni caso era inteso che esso avrebbe mandato a Torino il suo manoscritto, e che a Torino si fosse pensato a quanto occorre per la stampa, che neppure lui voleva rivelarsi. Mi diceva inoltre, mi par di ricordarlo, che Gastaldi bisognava sonarlo con la stampa, e che non vi era più altro mezzo. Tutto questo mi incoraggiò a stampare la mia Strenna, e quanto ancora dirò. Anzi tra per questo, e quanto sentivo dire in Roma da qualcuno che doveva saperla lunga, mi venni persuadendo che il sonarlo con la stampa venisse ab alto; e mi si faceva credere che nel caso anteriore dell’infelice Cardinale D’Andrea, lo stesso Pio IX avesse detto: Va sonato con la stampa come di fatto fu poi con essa sonato. Insomma, P. Ballerini directe vel indirecte, con quel ch’esso faceva, e con quel che mi disse, m’incoraggiò e mi rese franco a battere la via che ho poi battuta. Son dunque io che scrissi la Strenna, e con la ferma persuasione d’aver fatto un vero bene. Essa si stampò a Torino, Tipografia G. Bruno e C° 1878.

                Io però perché per la Strenna, perché pel resto, non ebbi mai a far nulla col tipografo. L’Anfossi ed un altro nostro comune amico, Luigi Fumero, ch’era pure stato con me e l’Anfossi da Don Bosco, poi aveva [409] lasciato l’Oratorio pur esso ed ora è tuttora compositore alla Tipografia Bona, persona fidatissima, ed un altro ancora certo Brunetti, stato pure allievo di Don Bosco, e nelle stesse condizioni del Fumero (ora però, il Brunetti, defunto) pensavano alla stampa, e, meno l’Anfossi, trattavano col tipografo. Pensavano essi al contratto e alle spese; e dal ricavato dalla vendita di quanto stampossi (almeno riguardo alla Strenna) restò ancor tanto da dare al Ricovero (dedotte le spese) una discreta somma.

                Così fecesi anche per gli altri opuscoli, senza che il tipografo potesse mai sapere chi fossero gli scrittori.

                Trovandomi poi a Torino nel 1878 – 79, Padre Ballerini mandò ivi stesso il manoscritto del suo Piccolo Saggio; ed io scrissi quanto precede e quanto segue quel che è propriamente Saggio, ossia Prefazione, Introduzione, quattro Appendici, aggiungendovi per ultima cosa L’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, parole di Mons. Gastaldi quand’era solo Canonico e prima che andasse Missionario in Inghilterra; e per cosa ultimissima vi scrissi pure l’Avvertenza, con che il fascicolo ha fine.

                Quand’io stavo scrivendo quanto qui sopra (ed ero all’Istituto dei Ciechi in Torino, ove fui io Rettore e maestro per tre anni e mezzo e se lo dovetti abbandonare, tutto mi fa credere, e v’era chi me lo accertava, che sia stato intrigo del Chiuso, od opera diretta dello stesso Mons. Gastaldi; onde gran dolore per me che tanto amavo quei buoni e cari allievi, e danno per quei poveri giovani che ebber poi sempre Rettori più o meno secolaracci, e taluno anche scostumato; insomma compiuto il voto dei frammassoni che non volevano un prete a Rettore), quando, ripeto, stavo scrivendo quanto sopra, ecco un giorno arrivar da me Padre Rostagno, Gesuita, già celebre professore di gius canonico in Belgio (credo a Lovanio), il quale, non so come, era venuto a sapere che mi occupavo del Saggio del Ballerini e stavo scrivendo altro per accompagnare il Saggio stesso. Allora mi approfittai di lui per consigli e qualche schiarimento; n’ebbi anche suggerimenti speciali ed incoraggiamenti; anzi qualche concetto mise giù anche lui; ed io lo rimpastai nel mio modo di scrivere. Quindi se io peccai, peccai in complicità di due illustri Gesuiti Padre Antonio Ballerini e Padre Rostagno.

                Un altro opuscolo che fu ricavato dal giornale, mi pare il Conciliatore, di cui il Teol. Collo (dell’Università) Lorenzo Gastaldi era Direttore, del qual Opuscolo non ricordo ora il titolo preciso, venne compilato dal summentovato Prof. Don Anfossi; ed io vi apposi solo Note appiè di pagine. Altro opuscolo che riguarda una questione di Chieri tra il fu Bonetti Salesiano da una parte, e il Curato del Duomo di Chieri (Oddenino) e Mons. Gastaldi dall’altra, lo conobbi solo quando venne alla luce. Io pensava che potesse averlo scritto Don Bonetti stesso; ma dipoi mi fu accertato da persona che lo può sapere e fede – [410] degna, che lo scrittore non ne fu punto Don Bonetti, ma altri, estraneo all’Oratorio Salesiano; perché io so chi ne sia lo scrittore.

                Dopo le pubblicazioni sopra indicate, mi si andava dicendo che a Roma se ne aspettavano altre, e che si deplorava vi si ponesse fine. Anche Padre Ballerini aveva altro di preparato per compiere il suo Saggio; e parmi che anche Padre Rostagno insistesse per altre pubblicazioni. Senonchè io essendo troppo occupato dei miei cari Ciechi, e parendomi che bastassero le già fatte pubblicazioni per far conoscere a Torino ed a Roma uomini e cose e mali, perché a tutto si provvedesse, non pensai più a scrivere altro, e così si fe’ punto fermo.

                Che poi gli opuscoli abbian fatto del bene è per me cosa innegabile; giacchè Mons. Gastaldi si frenò, se non del tutto, almeno in buona parte. Roma, dove già si pensava, com’era voce direi comune, a far Cardinale il Gastaldi e chiamarvelo a qualche ufficio, conobbe meglio quale uomo egli fosse. Egli intanto capì che aveva fatto male a distruggere il Convitto Ecclesiastico per lo studio della Morale, e cercò di rimetterlo in piedi, ed ora è fiorente. Il Cardinale Alimonda che gli successe, mise tosto la pace; e crederci che gli opuscoli abbiano alcun poco contributo al mandarsi Arcivescovo di Torino il prelodato Cardinale Alimonda, sotto cui e per cui impulso s’incominciò il processo di beatificazione di Don Bosco, e sotto il quale, quello che prima era in Don Bosco come una colpa divenne una benemerenza e motivo d’elogi. La pace tornò nel Clero torinese, di cui qualche membro capì che faceva male a spingere coi consigli Monsignor Gastaldi, e, credo che più per convinzione che per opportunismo, smise il sistema di prima e si fè piamente galantuomo. Chiuso e Marcellino durano ancora; ma sono oggetto di sprezzo; ed intanto sono essi un brutto commento a quanto facevano fare a Mons. Gastaldi, che pur troppo non era conoscitore d’uomini. La Congregazione Salesiana, tanto ammirevole e benemerita, da astiata che era, divenne oggetto di singolare affezione e distinzione da parte del grande Leone XIII, che Dio ancora conservi ad multos annos. Il bravo quanto pio Teol. Bertagna, altro dei perseguitati, e dovutosi rifugiare in Asti, ove era stato fatto Vicario Generale, fu richiamato a Torino dal Card. Alimonda che il volle Vescovo ausiliare, ed ora, oltre all’essere Rettor Maggiore del Seminario Metropolitano e degli altri quattro Seminarii (Regio Parco Torino, Chieri, Bra, Giaveno), fu restituito alle conferenze di Morale pel giovane Clero. L’arrivo del Card. Alimonda in Torino inaugurò epoca di pacificazione tra il Clero e sparvero gli astii, le paure, le delazioni, gli scandali. Altra buona conseguenza fu che il sapientissimo Papa Leone XIII finì con dire, parlando di Monsignor Gastaldi vivente: Questo o si accomoda con Don Bosco, o bisogna rimuoverlo. E l’accomodamento era venuto, sebbene poi non sia durato per tutta la vita di Mons. Gastaldi, che poveretto! Trasse fuori altra questione che lo accompagnò, viva, fino alla morte: mentre Don Bosco era stato [411] da Roma obbligato a riferire intorno a qualsiasi nuova vessazione da parte dell’Arcivescovo.

                Quanto agli opuscoli, ci fu chi gridò allo scandalo ma non furon poi tanti, ma quelli specialmente, a cui gli opuscoli guastavano le uova nel paniere. A togliere però tali sentimenti di scandalo, vennero pur troppo gli scandali veri di Chiuso e di Marcellino: dico purtroppo, ma anche provvidenzialmente! Un altro dei più arrabbiati d’allora era il Canonico Colomiatti.

                Ebbene: ora va anch’esso dai Salesiani, dal Superiore Don Rua, che tutti insieme gli ripagano i non tanto antichi odii ed oltraggi con altrettanto rispetto e buon cuore. Ne sia lodato Dio; e panni si meritino anche qualche cosa quegli Opuscoli che furono un po’ seccatori, sì, ma dei quali sentii già più volte dire: - Oh! Come aveva ragione il Cappellano! Oh! Se si fosse ascoltato! Perché la Curia Arcivescovile, perché Parroci, e Sacerdoti, perché buona gente di Monache e Suore, perché tanti altri ancora, si troverebbero ora ad aver perso somme ingenti dal Chiuso malamente dissipate; e così, non avrebbero ora a versare inutili pianti.

                Ed i Seminarii stessi, se avessero ben inteso quel che gli Opuscoli del povero Cappellano loro notavano, non si troverebbero ora impigliati in una lite mossa loro dal Chiuso, con cui esso, dopo sperperato un patrimonio di fiducia di 6oo mila lire, senza dire del resto, pretende ora un 200 0 300 mila lire!

                Prima di finire, mi permetterò una osservazione riguardo al Questionario per causa beatificazione Don Bosco, o piuttosto manifesterò una mia impressione. Detto Questionario mi par concepito in modo che, riguardo a pubblicazioni su Mons. Gastaldi, fa di Don Bosco come un reo, salvo a sentire se lo si possa scusare. Questo a me fece senso, e mi fe’ sospettare che vi si riveli l’intervento di qualche antico avversario di Don Bosco. Suppongo, s’intenda che quella parte del Questionario sia stata combinata in Torino.

                Gli Opuscoli, in fin dei conti, non alzarono solo la voce a favore di Don Bosco, ma anche a pro di tanti altri e di tanti altri interessi pure di gravissimo momento.

                Conchiudendo finalmente questo mio scritto, oramai troppo lungo e fatto con poco ordine, vergato con cattiva calligrafia, e perfino con correzioni, prego l’Eminentissimo Signor Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti a volermi compatire tenendo conto delle non poche occupazioni che ho; ed al tempo stesso riprovo e condanno in antecessum quanto fosse trovato troppo avanzato o men che giusto e conveniente in queste mie righe; come altresì protesto che, se ho detto troppo a carico del fu Monsignor Gastaldi, non l’ho fatto per rancore che io abbia verso di lui, per cui prego, sebbene sperando che già sia in paradiso.

                Da ultimo prego l’Eminentissimo Signor Prefetto della Sacra [412] Congregazione dei Riti e tutti i Reverendissimi venerandi Membri di cotesta stessa Sacra Congregazione a voler gradite i sensi del più vero e profondo ossequio perché di altissima venerazione, mentre protestandomi figlio obbedientissimo di Salita Chiesa, mi perché l’onore di professarmi

                Dell’E.mo Signor Cardinale Prefetto, ecc.

                Seminario Arcivescovile di Bra (prov. Di Cuneo),

                25 Ottobre 1895.

Umil.mo Osseq.mo Servo

Sac. Prof. GIOVANNI TURCHI.

 

11.

 

Don Bosco e la Conciliazione.

 

                Non è Senza provvidenziale significato che la beatificazione di Don Bosco e le solennissime feste a ciò preparate accadano nei giorni in cui si sancisce e si ratifica la Pace per la Chiesa e lo Stato.

                Tutti convengono che  la prima base di ciò che oggi salutiamo compiuto consistette nel non aver Pio IX abbandonato Roma dopo il XX Settembre 1870, quando da parecchie parti lo si voleva indurre all’arrischiatissimo esilio, ed egli stesso dubitava sul da farsi. Fu Don Bosco che lo determinò a rimanere. Il Papa lo aveva richiesto di consiglio, e quel semplice sacerdote, dopo aver lungamente pregato, mandò una risposta che nella sostanza e nella forma aveva tutta la risolutezza e l’ardimento dei Santi, alla cui umiltà non ripugna, occorrendo, il parlare forte, anche all’autorità suprema, Riviveva in lui la sicurezza di S. Caterina da Siena. Mandò dunque a dire: “La sentinella, l’Angelo d’Israele si fermi al suo posto, e stia a guardia della rocca di Dio e dell’arca santa”.

                Il Papa – se non è temeraria la espressione – obbedì.

                Pio IX aveva ben compreso con qual uomo avesse a fare. Fin dal 1858 lo aveva conosciuto a Roma, quando Don Bosco vi andò la prima volta a sottoporgli il disegno di fondare la Società Salesiana.

                Così, quando nel 1865 Don Bosco, vedendo vacanti in Italia, a causa dei rivolgimenti politici, cento otto Sedi vescovili, ardì scrivere al Papa augurandosi uno scambio di trattative tra la Santa Sede e il Governo per riparare a un simile danno delle anime, il Papa gradì una tal sollecitazione, come gradì che Don Bosco ne parlasse con Giovanni Lanza, ministro dell’Interno. Conseguenza ne fu, sia una lettera di Pio IX a Vittorio Emanuele perché gli inviasse un personaggio incaricato di trattare, sia la risposta del Re che consentiva. Da ciò la missione Vegezzi, che tuttavia non approdò per indiscrezioni della Stampa e agitazioni del Parlamento. Il grande e difficilissimo affare fu ripreso dal Ministero Ricasoli alla fine del 1866 dopo la guerra [413] coll’Austria e ne venne la missione Tonello, la quale ebbe buon esito, perché Ricasoli seppe fare ciò che dal 1848 nessuno dei governanti aveva saputo fare, ossia fiancheggiare l’inviato ufficiale – da quel primo tempo ad allora questi inviati, a vario scopo, erano stati molti con un negoziatore ufficioso che godendo intera la fiducia della Santa Sede, potesse servire d’intermediario. Ricasoli insieme con Lanza ebbero l’alto merito di indovinare quanta straordinaria attitudine a ciò avesse Don Bosco, pur diplomatico improvvisato. Se lo spazio ci permettesse di narrare per filo e per segno tutta l’opera che Don Bosco svolse in quell’occasione, verso il Governo da una parte e verso il Papa ed alti prelati dall’altra; l’indicare tutti gli ostacoli che incontrò e che riuscì a superare, si toccherebbe con mano che la santità, quando coroni singolari doti naturali, diventa in ogni caso la valentìa di cui abbiamo bisogno. Nelle sue relazioni col Vaticano spicca, non meno che nell’episodio dei XX Settembre, la devota ma coraggiosa franchezza del parlare: nelle relazioni coi Governo la consapevolezza della propria dignità e dei propri doveri sacerdotali; verso l’una parte e l’altra, l’autorità che gli veniva dall’unire al perfetto disinteresse per perché, il più ardente e al tempo stesso il più avveduto interesse per le anime, per la Chiesa, per la Patria.

                Quest’altezza d’intenti gli dava poi la calma necessaria ai grandi affari.

                In grazia del successo di Don Bosco ebbe inizio la provvisione delle Diocesi. Trentaquattro Vescovi furono nominati nel Concistoro del 23 e 27 marzo 1867.

                Senonchè l’annessione di Roma, con tutte le sue conseguenze morali, politiche, giuridiche, ricomplicò la questione delle nomine vescovili. Sessanta diocesi del regno, tra le vecchie e le nuove vacanze, si trovarono senza pastori. Ed ecco un’altra volta Don Bosco, intesosi con Pio IX, farne  premura a Lanza, allora presidente del Consiglio, e senza attendere invito, offrirglisi come negoziatore. Lanza accettò, e il sacerdote piemontese in ripetuti viaggi a Roma affrontò le accresciute difficoltà e ottenne che fin dal 17 ottobre 1871 si riparasse a quaranta vuoti.

                Dopo tali esperimenti conciliativi, sebbene d’una conciliazione per allora parziale ed episodica, fu egli chiamato nel 1874 a trattare per quella vera e propria? Si estesero ad essa quei negoziati col Vigliani, guardasigilli dei ministero Minghetti, che frattanto ottennero di salvare dalla soppressione le Case Generalizie degli Ordini Religiosi e quattro insigni monasteri di Roma? Sembra certo che Bismark premendo allora sull’Italia perché la Conciliazione non fosse fatta, attribuisse ai negoziati di Don Bosco, della cui presenza ed azione si mostrava edotto e impensierito, un così vasto intento.

                Ma nel 1878 si rinnovò l’occasione in cui Don Bosco fu utilissimo tramite fra il Governo e il Vaticano. Fu lui ad ottenere dal ministro [414] dell’Interno Crispi l’assicurazione ai Cardinali, che il Conclave onde aveva ad uscire il Successore di Pio IX, avrebbe avuto a Roma tutte le garanzie di difesa e di libertà. E fu questa assicurazione che persuase il Sacro Collegio di non muoversi e di evitare il funesto errore d’un Conclave all’estero.

                Se quest’errore fosse stato commesso, oggi il Patto Lateranense non sarebbe avvenuto. Così in ogni saggio conciliativo particolare, in ogni antico elemento, indispensabile alla Conciliazione finalmente compiuta, Don Bosco è presente e provvidissimo attore. Bene dunque, la Pace Romana e il sacro trionfo di lui sono, anche per coincidenza di tempo, una cosa sola.

 

FILIPPO CRISPOLTI.

 

12.

 

Don Bosco ritorna.

 

                L’inno è tutto pervaso da una idea predominante, che ne costituisce quasi l’anima: l’idea del ritorno! Canta il ritornello:

 

Don Bosco, ritorna – tra i giovani ancor;

Te chiaman frementi – di gioia e d’amor!

 

                Don Bosco il 31 gennaio 1888, giorno del suo trapasso, non era partito, ma si era solo allontanato da Valdocco, la sua prima e principale casa: ora, dopo soli 41 anni, vi ritorna chiamato a gran voce dalle migliaia e migliaia di giovani, che precederanno le sue spoglie venerate. E lo chiamano con voci di gioia per l’aureola taumaturga e santa che circonda il suo capo, e lo chiamano con voci di amore, per il senso di gratitudine e affetto filiale che li lega ai suoi figli, alla sua Opera.

                Mentre le turbe giovanili scenderanno dalle pendici di Valsalice verso il ponte e il corso regale e larghissimo – via sacra e trionfale, veramente degna di sì grande apoteosi – l’animo commosso corre col pensiero a quel 3 novembre 1846 quando Don Bosco con un pacco contenente alcuni quaderni, un messale e il breviario, insieme con la mamma sua Margherita, che portava un canestro di biancheria, arrivava stanco e polveroso da Castelnuovo d’Asti, e a piedi scendeva dalle colline per andare a fissare la sua dimora nella tettoia di Valdocco.

                L’inno si apre appunto con questa commovente visione, a cui farà contrasto l’immenso corteo dei 9 giugno:

 

Giù dai colti un dì lontano,

colla sola madre accanto,

sei venuto a questo piano

dei tuoi sogni al dolce incanto.

[La pagina 415 contiene le pentagramme della musica di questa poesia intercalata] [416]

 

Oggi, o Padre, non più solo

giù dai colli scendi ancora;

di tuoi Figli immenso stuolo

Ti accompagna a tua dimora.

 

                La dimora di Don Bosco è Valdocco, oggi, come allora, nel novembre del 1846. Ma, anche qui, quale contrasto! Allora una casupola e, salvo la turba domenicale, la solitudine e il silenzio dei giorni feriali; ora invece, all'intorno, una borgata, che ha proporzioni e aspetto di città, e, dentro i vasti recinti dell'Oratorio, una doppia turba giovanile che alterna le occupazioni del braccio e della mente alla gioia dei divertimenti e alle armonie dei canti.

 

Ma Valdocco, allor deserta

d'ogni vita e d'ogni gioia,

era incolta piana aperta,

sol rifugio... una tettoia!

Ora guarda, Padre Beato:

vivo un popolo felice

sotto l'ampio manto aurato

di Maria Ausiliatrice!

Sì, ritorna sorridente;

l'opra tua il mondo acclama:

ora è vita rifulgente

quel che già fu sogno e brama!

Torna e guarda: a mille a mille

stanno i Figli all'opre intenti;

l'ore scorrono tranquille

tra il lavoro ed i concenti!

 

                E mentre Don Bosco procede verso la sua Casa, ecco da tutte le altre barriere cittadine, ove sorsero le propaggini della pianta che ha le radici in Valdocco, ecco accorrere altra innumerevole folla di giovani: sono suoi figli anch'essi, come lo sono quelli che, in tutte le parti del mondo, inneggiano in varie lingue al suo nome amato e glorioso.

 

Da ogni lato osserva, o Padre,

la città fedele e amata:

di fanciulli immense squadre

a Te manda ogni borgata.

Oltre i mari ed oltre i monti

chiara splende tua Persona;

fino agli ultimi orizzonti

il tuo Nome echeggia e suona!

 

                E quando finalmente Don Bosco sarà giunto in vista di Valdocco, al Rondò (l'incrocio di Corso Regina Margherita con Corso Valdocco e Corso Principe Eugenio), ecco una mirabile visione! [417]

                É la visione avuta nel sogno del 1845, quando, stando precisamente sul Rondò, vide i tre splendidi giovani (Solutore, Avventore ed Ottavio), che lo chiamavano a scendere nei prati di Valdocco, ove subito gli si spiegava allo sguardo la mirabile apparizione della Vergine tra cori di Beati, di cui fu ricordo il quadro, che ora splende sull'altare di Maria Ausiliatrice.

                Ora è la stessa Ausiliatrice, che dal suo aurato simulacro troneggiante sulla cupola del Tempio, lo invita e lo aspetta per cingerlo nello splendore celestiale della sua maestà e potenza.

 

Sì, Don Bosco, fa ritorno

a Valdocco tua diletta:

dal Rondò, siccome un giorno,

Ella ancor Ti chiama e aspetta!

È la Vergine Potente

dei Cristiani Aiuto e Madre,

che ogni lingua ed ogni gente

col tuo nome invoca, o Padre!

(Da Il Momento).

 

13.

 

Le Messe dei maestri Antolisei e Pagella.

 

 

I

 

 

                Il Maestro Antolisei, dal modo usato nel costruire la polifonia vocale, appare seguace fedele di quella scuola romana che appartiene al periodo postpalestriniano e che fa capo all'immaginoso Ottavio Pitoni. Per tal modo si dovrebbe dire che il Maestro Antolisei appartiene ai continuatori della scuola della polifonia omofona: quella che usa del disegno a larghe linee euritmiche, che ricorre a sprazzi di colore, e che superbamente s'inquadra nell'ambiente delle Basiliche romane cinquecentesche e secentesche.

                Studiamolo d'accordo nel suo bel lavoro.

                Il primo tema del Kyrie ben trovato e che nei suoi ritorni si ascolta assai volentieri, esposto dal primo basso, appare breve, ma incisivo ed insinuante. Lo si incontrerà sovente rivoltato, rovesciato e riportato pur ad altre voci, sia nel terzo Kyrie, che al Miserere nobis dei Qui tollis, ed a quello dell'Agnus Dei. Il Christe, in ritmo ternario, contrasta efficacemente col primo e col terzo Kyrie, anche perchè la proposta dei soprani e contralti è ripresa poscia dalle voci virili ad una terza più alta, per ritornare un'altra volta, con indovinato senso di varietà, alle voci acute.

                Appare notevole il fatto che il Kyrie comincia alla tonica per "re sulla dominante, mentre il Gloria si inizia alla dominante per [418] terminare alla tonica. La qual cosa in realtà alle due composizioni imprime un senso di unità architettonica e tonale assai interessante e geniale. Nel Gloria appare vivido e ben disegnato, al modo dei più esperti polifonisti, il Glorificamus Te; ed alla chiusa del Qui tollis, come già è stato detto, torna assai bene il Miserere nobis col tema del Kyrie ai primi bassi, mentre il Tu solus Altissimus, coll'ascesa delle voci per progredienti accordi sincopati, si slancia vigoroso verso l'alto in una semplicità chiara e nello stesso tempo luminosa. Anche il Cum Sancto Spiritu si rivela indovinato, bello ed efficace nelle progressioni ascendenti e discendenti in cui le voci magnificamente disposte, si coloriscono in una sonorità intensamente espressiva. Con l'Amen finale esso forma un brano di trenta battute le quali si svolgono nella più logica architettura lineare, quasi diremmo classica; il che fa un grande onore al Maestro Antolisei.

                Nel Credo, composizione sempre ardua e difficile anche per i maggiori maestri, vediamo che l'autore di questa Messa usa spesso dello stile omofono a cori battenti rispondentisi alternativamente fra soprani e contralti, fra tenori e bassi. Per questo procedimento egli mette sovente in contrasto i toni chiari delle voci acute con quelli più scuri delle voci virili, fondendoli assieme talvolta, illuminati da spere di luce vivide ed abbaglianti.

                Fin da principio si osserva che le voci si muovono e si alternano speditamente seguendo l'aurea regola insegnata dai classici maestri di polifonia, per cui ogni tema deve corrispondere ad un determinato capoverso dei testo musicato. L'Et incarnatus sommesso, devoto, nell'accenno al ricordo del divino mistero, racchiude alcune successioni d'accordi di armonia che si accostano ad un ben inteso stile moderno e che si ascoltano volentieri perchè significative ed espressive. Vibrante appare poi il grido che si sprigiona al Crucifixus che il Maestro Antolisei ha sentito e reso in modo certamente non usitato. La discesa delle voci digradanti, pur nel colore, sino al Passus et sepultus est, è quanto mai suggestiva e penetrante.

                L'andamento generale della composizione procede verso la fine con scioltezza e sonorità, specie per la disposizione delle parti vocali, informata sempre alla più sicura risultanza negli effetti architettonici e caloristici. Lo dimostrano le poche battute dell'Et vitam venturi raccolte in sei misure, pur nondimeno grandioso ed efficace. Il Sanctus si presenta con un tema diafano, e trasparente. Per frammenti che si inalzano, a poco a poco, nella gamma acuta, attraverso un senso polifonico, che si rivela sempre più accentuato e che si accosta alla tradizione palestriniana, si avviva al Pleni sunt caeli et terra ecc.; che si spande, si diffonde e si propaga con impeto di sonorità veramente abbagliante, e che si innesta poscia sull'Hosanna, il quale cominciato con un piano va crescendo fino a raggiungere i più vibranti accenti. Il Benedictus in pretto stile omofono, si appoggia ad una melodia felicemente [419] inspirata data alla parte superiore: prima il tenore, poscia il soprano. Ritorna infine l'Hosanna identico al primo, che forse in questa seconda apparizione lascerebbe desiderate qualche variante e maggiore svolgimento, quale l'autore seppe usare nel Kyrie. Ma il Maestro Antolisei si rivale nell'Agnus Dei; che pel modo col quale la tessitura è ordita, si presenta per una delle parti più interessanti e solide della intiera Messa. Pur mantenendo in esso le caratteristiche fondamentali del lavoro, quelle che risultano dall'uso dei cori battentì, qui le due falangi, non soltanto si avvicendano, ma si sovrappongono, con risultati estetici assai felici che talvolta raggiungono grandiosità nelle linee e fulgida risonanza nel colore. Con felice unità di criterio l'Antolisei, come già è stato osservato, qui si seme un'altra volta del tema del Kyrie, tema che si ascolta volentieri, anche perchè la frase è incisiva e penetrante, tale da poter essere appresa e ricordata dall'ascoltatore con commozione e diletto. Diremo anzi che, come la Missa sollemnis del Maestro Pagella prende il segno caratteristico della canzone del Beato Don Bosco: Ah, si canti in suon di giubilo, questa del Maestro Antolisei reca la sua impronta per l'appunto, da quel primo Kyrie, il quale se non sempre palesemente, nella sua istessa caratteristica nobile e severa, serpeggia in tutto il lavoro.

                Appoggiandosi ad una determinata forma, quella che si erige, come è stato detto, sulla alternativa dei cori battenti (in questo caso rappresentati dalle quattro voci bianche e dalle quattro voci virili) con frequenza la quale talvolta potrebbe sembrare abbia a produrre uniformità, che il compositore però sa dominare e vincere, ricorre all'artificio della conseguente pressochè identica risposta ad una prima proposta fatta da un complesso di tre o pur quattro voci. Non sono però temi isolati sovrapposti a breve distanza l'uno dall'altro, quali sono usati nella polifonia propriamente detta, quelli che egli preferisce, sibbene temi sorretti pressochè sempre da tre o da quattro parti, in un ben costrutto complesso omofono. In tal modo il maestro salesiano e romano si accompagna, come già è stato detto, alla schiera di quei compositori, i quali dalla seconda mera del secolo XVIII, nella capitale del mondo cattolico seppero erigere veri monumenti d'arte; tali, a nostro avviso, da potersi porre in estetica rispondenza a quanto già nell'ordine architettonico era stato creato un secolo e mezzo innanzi. Da questo fatto, nella Messa del Maestro Antolisei viene a risultare un genere di musica prettamente romano, degno della più sincera ammirazione e del più convinto accoglimento.

                Questo va detto senza riserve e senza ambagi.

                Certo, non tutte le cappelle sarebbero in grado di approntare ed eseguire un lavoro siffatto; ma per la piena conoscenza delle voci che l'autore dimostra, per la logica e chiara disposizione di esse, senza che loro vengano richiesti sforzi eccessivi; per l'abilità con cui il compositore, [420] in alcuni momenti, alle une e alle altre, per assicurare il rendimento, sa chiamare in aiuto quelle che ad ognuna stan più vicine, si può ben dire che la Messa del Maestro Antolisei merita venga ripetuta e sia conosciuta in altri dei maggiori centri principali d'Italia. Perchè dal complesso del nobile lavoro, in modo palese traspare l'abilità contrappuntistica del maestro, così noto e tanto benemerito, specie per il contributo recato alla elevazione della musica sacra in genere nelle schiere salesiane, col proposito di mantenersi, ad un tempo, fedele alla tradizione della sacra lirica religiosa: quella che sa far cantare e che sa esprimere con vivezza estetica il senso delle parole, senza mai venir meno ai diritti ed alle esigenze della liturgia. E noi, per questo requisito onde si abbella l'opera passata e presente di Don Raffaele Antolisei, non possiamo che augurare ad essa quella diffusione e quella durata nel tempo che realmente merita...

 

II

 

                Il Rev.do Don Giovanni Pagella, figlio devoto del Beato Don Bosco e decoro cospicuo, nel campo dell'arte, della Pia Società Salesiana, è maestro compositore il cui nome suona da tempo onorato fra quelli de' più attivi e fattivi musicisti italiani dell'epoca nostra. La di lui produzione, ricca e varia, va dalla musica sacra in genere, alla Cantata ed all'Oratorio: dalle composizioni da camera a quelle per organo: dalla musica corale alla sinfonica. Bella e nobile figura di artista! Autore di un Job, che ultimato nel 1903, se eseguito in quel tempo, anche presso il pubblico avrebbe potuto collocarsi fra le migliori concezioni del genere, meritava certo, con la vigoria del suo ingegno e con la elevatezza della sua arte, d'essere chiamato a condecorare le solenni feste celebrate in Torino per la Beatificazione del Fondatore di quella grande Famiglia cui egli appartiene e la cui azione benefica, nel nome immortale del Beato Don Bosco, ogni giorno più si espande e si diffonde per il mondo

                La moderna musica sacra da tempo va cercando la via sicura su di cui incamminarsi saldamente come già potettero i grandi maestri della polifonia, a Roma ed a Venezia, nei secoli XVI e XVII. Che le profanazioni volgari nel tempio dovessero cessare, era imperioso per la dignità del culto e per quello dell'arte; ma una volta affermato e propugnato il principio del dovere e del diritto all'arte di conservarsi tale, in ispecie accosto all'altare di Cristo Redentore, occorreva che la musica, pur praticamente, fosse sempre musica, mantenendosi al livello dell'arte vera. Invece, sotto l'apparenza di musica liturgica, quante povere e miserevoli cose si sono diffuse e si sono sopportate in Italia!

                Il Maestro Don Pagella è di quei pochi valorosi che, nel dettare [421] le proprie composizioni a scopo di culto, ebbero sempre innanzi a sè il principio che per far della musica... occorre la musica.

                E nel praticare questo principio si rese oltremodo benemerito.

                Il proposito che egli ebbe nel dettare la sua Missa sollemnis XIX in honorem Beati Ioannis Bosco usando del tema di una canzoncina composta dallo stesso Beato: Ah si canti in suon di giubilo, è stato certamente felice.

                I polifonisti de' secoli trascorsi eccelsero nell'uso di temi gregoriani per intero od a frammenti, nelle loro composizioni sacre.

                Il Maestro Don Pagella ha, diremo così, modernizzato questo principio tecnico ed estetico. Usando di un brano di sole quattro battute, egli, nella sua nuova Missa, presenta il tema preso a soggetto con tutte le risorse dell'armonia moderna, ma in maniera contenuta e castigata quale vuole, esige ed impone il carattere della composizione la quale, soprattutto, liturgica deve essere. L'introduzione dei due tromboni i quali nel primo e terzo Kyrie, nella chiusa del Gloria ed all'ultimo Agnus Dei si sovrappongono all'organo facendo echeggiare la melodia del Beato Don Bosco, riesce a risultati penetranti, diremo anzi, commoventi.

                Immaginiamo che molti fra coloro ai quali la canzoncina del Beato Padre Don Bosco era nota, nel riascoltarla sotto nuova e si ricca veste, avran provato viva e profonda commozione.

                Ed ora, del bel lavoro, ne sia permessa una breve ma coscienziosa disamina.

                Le voci, in questa Missa XIX, si muovono in una perfetta polifonia corale di carattere imitativo, mentre l'organo, a sua volta ed in prevalenza, si mantiene indipendente dal coro, raggiungendo un grado di esplosione tutt'affatto particolare e creando, con dovizia di dettagli, una fonicità istrumentale ricca e varia, tanto nell'armonizzazione che negli stessi timbri.

                É alla chiusa del primo Kyrie, come si è detto, che il tema fondamentale si presenta per intiero. Ad esso fa seguito il solo del Christe alternato fra soprani e tenori, sovrapposto anche al coro in una frammentarietà tematica che poscia si riaccosta e si intensifica distribuendosi fra le quattro voci dei solisti. Ritorna quindi l'andamento del primo Kyrie in una gamma più acuta, sorretto da una base armonica - cromatica ricca di colore, assai vivida e quasi abbagliante. Alla chiusa il tema principale, quello della canzoncina di Don Bosco, riappare esso pure, ad un grado più alto, con tutta la sonorità che dall'organo e dagli ottoni riuniti ed accostati in ottava, si possa conseguire. E col tema del Beato Don Bosco si inizia anche il Gloria, al canto di letizia dell'Et in terra pax!

                Le armonie che sorgono dall'organo al Laudamus Te sono di una modernità insinuante, appropriata ed efficace.

                Potrebbesi accennare, precisando, alla atmosfera che avvolge [422] questi brani, prima e dopo il Gratias, ma non vorremmo essere fraintesi; quindi portiamo la nostra attenzione sulla nuova apparizione, sotto diversi atteggiamenti, del tema principale quale vien presentato dall'organo due battute prima del Domine fili. Il salto di quarta dello spunto della canzoncina di Don Bosco, offre certamente delle risorse di cui Don Pagella si serve e si vale da maestro.

                Il disegno melodico reso in ottava dalle voci virili e da quelle dei fanciulli, come al Qui sedes ed al Quoniam, presenta momenti di vivo interesse, anche per coloro i quali sentono la modernità dell'arte e l'ammettono, pur nella musica sacra.

                Diremo anzi che a questo punto aleggia lo spirito del grande Cesar Franck delle Beatitudini.

                Il Cum Sancto, sempre sul tema del Beato, si svolge su di un fugato tonale costruito secondo una tradizione che qualcuno potrà forse giudicare scolastica, ma che noi riteniamo a posto perchè, col doppio pedale dell'organo alla quinta del tono fondamentale, e col ritmo del tema principale per intiero, squillato dagli ottoni, corona superbamente il bel quadro, il quale si offre all'ascoltatore pieno di intensità sonora e coloristica. Le voci assai bene trattate, qualche volta forse, specie nei soprani, elevate ad un grado di acutezza alquanto azzardato ma ammissibile quando si possa disporre di una falange corale ben nutrita e sicura, contribuiscono a rendere varia e movimentata la chiusa della seconda parte di questa Messa. Nel Credo il compositore ha preferito attenersi ad un'orditura più semplice. Sembra quasi che egli si sia proposto un po' di tregua alle precedenti ricercatezze stilistiche. Qui lo spunto melodico della canzone del Beato Don Bosco è abbandonato per far luogo al tema gregoriano presentato dall'organo fin da principio, per frammenti. Alcune frasi monodiche passano successivamente dai bassi ai tenori ed ai contralti. Qui lo stile, come è stato detto, appare più semplice; la condotta è piana, e l'uno e l'altra scorrono fra andamenti modali che non presentano nulla di ricercato.

                L'Et incarnatus, proposto con frase penetrante dal basso, è alternato dalle sommesse risposte omofone del coro. Al Crucifixus si affacciano i quattro solisti, ma poscia il coro riprende di nuovo con tutto il suo vigore al Resurrexit stendendosi in un'ampia sonorità che si conclude felicemente al Cuius regni non erit finis. Qui, per frammenti, si riascolta il tema gregoriano del Credo in unum Deum presentato dall'organo come all'inizio. In un crescendo progressivo si arriva poscia all'unisono dell'Et unam sanctam catholicam e del Confiteor unum baptisma su cui gli accordi larghi dell'organo imprimono un carattere di severa maestà.

                Ed eccoci alla chiusura: all'Et vitam venturi saeculi in cui un'altra volta il tema del Credo viene presentato per intiero in un'esultanza sonora assai eloquente. Le otto battute che ripetono la nota melodia [423] gregoriana, semplici, ma incisive, sono seguite dall'Amen non meno imponente ed efficace.

                Lo abbiamo però detto: il Credo nello stile e nell'andamento usati dal compositore nelle prime due parti della Messa, non rappresenta, a parer nostro, che una, parentesi. Al Sanctus il Maestro Pagella ritorna alla precedente architettura: quella del Kyrie e del Gloria. Qui, sin da principio, si riode il tema della canzone del Beato. Per primo, vi accenna l'organo. Le voci, all'inizio, non sono più quattro ma otto divise in due falangi (solisti e coro) trattate con vero magistero polifonico. Al Pleni sunt caeli et terra, su di un unissono vigoroso, la melodia risuona squillante e penetrante. Vi succede l'Hosanna costruito su due diversi temi sovrapposti: temi che poscia si fondono scambievolmente l'uno nell'altro per lasciar luogo ad un decrescendo vocale colorito con grande semplicità e parsimonia. Su di questo decrescendo si innesta invece, progrediente verso l'alto, un disegno melismatico dell'organo dato ad una sola parte e che sale per gradi sino a chiudersi m un sereno accordo lontano.

                Il Benedicius, proposto dal tenore e proseguito dal basso, viene tenuamente sorretto dal coro in una linea omofona, sobria, ma espressiva. Ritorna poscia l'Hosanna identico al primo in cui, in una gamma sonora vibrante, si riodono le voci dei bassi squillanti su una nota acuta, la quale rimane fissa come per reggere i soprani nel vocalizzo che essi disegnano in una voluta la quale appare come un volo verso i cieli azzurri e verso gli spazi infiniti dell'eternità.

                Nell'Agnus Dei si ritorna allo stile più semplice. Le voci del coro, alternatamente, in una calma progressione, si insinuano a poco a poco facendo posto ad una quinta voce di contralto solo, la quale canta melodicamente sino all'implorazione del Miserere nobis, facendo posto, poscia, ad un basso, e dipoi ad un soprano, Da ultimo riprende sopravvento la polifonia intessuta magistralmente dalle quattro voci sino a che, sulle note tenute del coro, quasi elegiaca rimembranza, calma e solenne, ripetuta dai tromboni con sordina si riode la piccola frase che riaccosta la nostra anima orante e supplichevole a quella la quale spazia oramai ne' cieli della vita immortale presso il trono dell'Eterno.

                E qui riassumiamo le nostre impressioni.

                La Missa XIX del Maestro Don Pagella, nel suo complesso, presenta proprietà alle quali crediamo opportuno accennare ancora rapidamente, riassumendo esse, nel loro complesso, le principali caratteristiche della figura artistica del chiarissimo compositore.

                A noi sembra che ogniqualvolta il Pagella traccia l'ampia linea polifonica, servendosi ad un tempo dei colori i più vividi, si trovi egli nell'ambitus e nell'atmosfera più confacente alla sua indole in piena corrispondenza alle proprie idealità estetiche. Da ciò le pagine [424] migliori della “Messa in onore del Beato Giovanni Bosco” quali il Kyrie, il Gloria e l'Agnus Dei.

                Quando invece si propone egli un disegno più semplice il quale trovi la propria efficacia nella espressività melodica, che è a dire nella genuina inspirazione spoglia del magistero della complessa polifonia, allora, pur mantenendosi in una linea nobile e dignitosa, il compositore rimane come circoscritto nei confini e nei limiti di quella musica liturgica che ha formato e forma il repertorio più noto ed in uso in questi ultimi decenni nel quale musicisti egregi hanno acquistato bella fama, senza riuscire però ad elevarsi nella sfera di quelle idealità estetiche che nelle pagine migliori dello stesso Maestro Don Pagella, con altri mezzi e con diversa tecnica, si scorgono, si sentono e si comprendono.

                Un'altra osservazione dobbiamo fare. La Missa XIX del Maestro Pagella al certo presenta momenti di difficile esecuzione, non tanto per la sua orditura polifonica quanto per la tessitura di una delle voci: quella dei soprani. Al la acuto, e col seguito di qualche difficile melisma sull'e e sull'i, neppur Palestrina, a ricordo nostro, è mai arrivato. Il coro salesiano di Maria Ausiliatrice è certamente allenato sino a poter sostenere una simile difficoltà vocale. Ma potranno gli altri cori trovarsi in grado di cimentarsi in sì ardua prova? Ne dubitiamo!

                Nel giorno lontano in cui il Beato Giovanni Bosco, quasi inconsapevolmente, ebbe a dettare la sua piccola melodia Ah si canti in suon di giubilo, come nel sogno che gli fece apparire la visione del mondo morale quale da Lui attendeva d'essere rigenerato, avrà Egli presentita la possibilità che la frase sgorgatagli dal cuore e dalle labbra in un momento di ingenua e santa letizia, per l'arte di un suo valoroso discepolo, potesse risuonare in suo onore sotto le volte della Basilica di Maria Ausiliatrice da Lui eretta, ma più ancora nell'anima dei fedeli oranti presso la Sua Salina benedetta elevata alla gloria degli altari? No dì certo!

                Ma in quest'ora di gaudio spirituale e di superbo trionfo, da que' Cieli immensi che del Grande Iddio narrano la gloria suprema ed eterna, riascolta Egli, indubbiamente, la propria voce attraverso le voci multiple de' suoi figli, mentre riguardando ad essi con sorriso paterno, benedicente, ripete ed esclama: Da mihi animas, cetera tolle!

 

GIOVANNI TEBALDINI. [425]

 

14.

                Risposta fatta in nome del Papa alle perorazioni e implorazioni degli Avvocati Concistoriali per la Causa di Don Bosco e per altre tre.

 

                Quam pro amplissimo vestro munere digne perorastis causam, ea profecto eiusmodi est, ut Summi Pontificis mentem ad assentiendum summopere commoveat. Etenim Beati caelites, de quibus agitis, quamquam instar caeli siderum alii alio splendore in Ecclesiae fastis enitent, omnes tamen ita virtutum laudibus excellunt, ita mirabilibus signis per cos a Deo patratis refulgent, ut, quantum possit ac valeat ad sanctissime conformandos animos ad resque praeclare agendas divinae Redemptionis opus luculenter inde patefiat. Id siquidem egregie praestitore Beati confessores Ioannes Bosco et Pompilius Maria Pirrotti, qui non modo ad summum sanctitatis fastigium omni nisu contenderunt, sed etiam pro sua cuiusque temporum condicione iuventutem praesertim Christianis praeceptis Christianisque moribus instituentes ad Iesu Christi regnum per se per suos amplificandum tantopere elaborarunt. Id praestiterunt itidem Beata Michaëla ab Augusto Sacramento ac Beata Ludovica de Marillac, quae turbulentissimis aetatis suae temporibus, cum divinae potissimum caritatis muneribus ac solaciis indigerent homines, tam sollertem atque impensam ad eam assequendam deducendarnque in usum dederunt operam, ut nullum prorsus esset aerumnarum genus ab iisdem neglectum, quaelibet vero corporum animorumque infirmitas pro facultate relevata.

                Cur igitur non exoptet Sanctitas Sua Beatos hos caelites sanctitudinis diademate decorare cosque omnibus ad intuendum ad imitradum proponere? Vult tamen, ut in re sane gravissima, quae cum intemerata catholicae religionis integritate arete coniungitur, tradita a maioribus instituta nulla ex parte intermittantur. Quapropter necessarium autumat, antequam inviolati magisterii sui sententiam dicat, semipublicum, quod vocant, haberi Consistorium, in quo et Purpuratos Patres et cos omnes. qui aderunt, Patriarchas, Archiepiscopos et Episcopos iudicium cuusque suum de more rogabit. Atque per me interea vos admonet universos, ut ad uberiorem sibi impetrandam superni luminis copiam Sanctum Paraclitum Spiritum adprecemini. [426]

 

15.

                Risposta del Papa alle tre istanze.

 

                A INSTANTER. - Dum nostra lac aetate victoriae palma, magno cum admirantium plausu, its interdum tribuitur, qui in causa vel nullo vel fese nullo praeconio digna primas obtinent, haec sollemnia, quibus christiani herois nomen consecratur, videntur equidem non sine gravi monitu atque exemplo celebrasi. Tantum enim christianae sanctitudinis laudes fluxae ac periturae hominum gloriae antecellunt, quantum terrae praestat pulcritudine caelum, quantumque sempi­ternae beatitatis gaudia miseras caducae huius vitae voluptates exsuperant atque evincunt. Ut igitur per sollemnes huiusmodi caeri­monias, quibus iubilaris anni cursus decoratur eiusque, augentur salutares fructus non tara ad germanae sanctimoniae praestantiam satius altiusque reputandam, quam ad rectum atque arduum eius iter volenti animo ingrediendum excitentur omnes, Beatissimus Pater vehementer exoptat. Id profecto fiet per legitimam Ioannis Bosco consecrationem, a Romano Pontifice peragendam; Ioannis Bosco, dicimus, Italiae totiusque Bcclesiae decoris; Ioannis Bosco, qui non modo ad evangelicae perfectionis fastigium totis viribus citatoque gradu contendit, sed tot etiam filios - florentem praesertim aetatem christianis praeceptis christianisque moribus conformando - Iesu Christo peperit.

                Quapropter quod instanter perorando postulastis quodque innu­mera beati huius caelitis familia fieri gestit suisque precibus matu-ravit, id benigne excipere communibusque votis satisfacere percupit Sanctitas Sua. Vult nihilominus ut antea, ex vetustissimo Apostolicae Sedis more, ad rem fauste feliciterque definiendam, caelestis Curiae supplicatio a nobis omnibus interponatur.

                A INSTANTATIUS. - Procul dubio admotae ad caelestem Aulam preces supplicationesque efficacissimae exstitere; procul dubio, quod nos cupimus omnes, angelorum itidem sanctorumque agmina exoptant; ac Deo ipsimet voluntas est novum hoc sanctitudinis ornamentum atque exemplum militanti Ecclesiae dilargiri. Verumtamen, quamquam nullus relinquitur ambigendi locus beatum Ioannem Bosco sempiterna in caelis beatitate perfrui, quam, divina aspirante gratia, per sanctissima rerum gesta promeruit, per me nihilo secius edicit Beatissimus Pater velle se, antequam inerrans edatur oraculum, Superni Spiritus lumen, ad rem religiosissime perficiendam, sibi ab omnibus concilietur.

                A INSTANTISSIME. - In lac rerum hominumque maiestate, quae caelestis Aulae fulgorem refert divinosque concentus, eventum mox [427] visuri sumus, quod in Dei gloriam communemque salutem maximopere conferet. Etenim, nulla iam interposita mora, Iesu Christi Vicarius optatissimam fallique nesciam sententiam suani laturus est. Eam prona fronte gratoque animo excipiamus; ac caelestia munera, quae hodie procul dubio e beati huius caelitis manibus uberiora pro fluunt, cum nobis, tura laboranti Ecclesiae conciliemus.

 

16.

Formula della canonizzazione.

                Ad honorem Sanctae et individuae Trinitatis, ad exaltationem fidei catholicae et christianae Religionis augumentum, auctoritate Domini Nostri Iesu Christi, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli . ac Nostra; matura deliberatione praehabita et divina ope saepius implorata, ac de Venerabilium Fratrum Nostrorum S. R. E. Cardinalium, Patrarcharum, Archiepiscoporum et Episcoporum in Urbe exsistentium consilio, Beatum Ioannem Bosco Sanctum esse decernimus et definimus, ac Sanctorum catalogo adscribimus; statuentes ab Rcclesia universali eius memoriam quolibet anno, die natali illius, nempe die XXXI Ianuarii, inter Sanctos Confessores non Pontifices pia devotione secoli debere. In nomine Pa † itris et Fi † lii et Spiritus † Sancti.

 

17.

                L'Omelia del Santo Padre.

                Venerabiles Fratres ac diletti Filii,

                Geminata hodie perfundimur laetitia ac Nobiscum universa afficitur Ecclesia, quod victoriam ex mortis et ex inferorum potestate a Iesu Christo partam celebramus, quodque hodie Nobis licuit praeclaris viris feminisque non paucis, per huius anni sancti decursum ad sanctitudinis honores evectis, sollemnem hane Ioannis Bosco consecrationem quasi in cumulum adiicere: Ioannis Bosco, inquimus, quem paucis abhinc annis in Beatorum numerum rettulimus, quique iuventutem Nostram - gratum adhuc subit recordatio animum - non modo adspectu suo suoque alloquio recreavit, sed per mirabilium etiam rerum gesta virtutisque praestantiam in sui admirationem rapuit. Iamvero, quamvis eius vita tot sit egregie factis referta atque illustrata, ut vix queat adumbrari paucis, cupimus tamen haec, quae praecipua Nobis videntur, admirationi imitationique vestrae proponere.

                Divinae gloriae animarumque saluti procurandae omnino deditus, [428] ex Dei resse voluntaté faciendum, id, etsi temerario ausu dignum videbatur; nulla aliorum diffidentia distràctus,  ac vlas etiam rationesque animosus ingressus, quas nova induxerat aetas, ad effectum deducere enitebatur. Itaque; cum pueros, per unbis vias vagantes, pene innumros vidisset, a panentibus derelictos omnique cera destitutos, eos ad se paterno animo vocavit; eosque, per opportuna omne genus oblectamenta ipsorum animis potitus, et catholicae religionis praeceptis imbuit, et ad iisdem praeceptis per virtutìs disciplinam perque crebriorem sacramentorum susceptionem sese conformandos allexit atgee permovit. Nostis profecto quantum utilitatis iuventuti recte instituendae et a vitiorum illecebris revocandae ex huiusmodi institutis, quae Festiva vocantur Oratoria, sit ortum; quae quidem Oratoria non modo Augustae Taurinorum condidit et in vicinioribus urbibus atque oppidis, sed ubicumque etiam, quo suam invexit religiosam familiam. Praeterea, cum frequentissimae huic adulescentium iuvenumque turbaē honestum vitae genus impertire cuperet, quo iidem et slbi possent et futurae proli consulere; illa constituit domicilia, in geibus ipsi exciperentur, et ad fabriles artes addiscendas, cuique consentaneas, praepararentur. Neque iuventuti defuit litteris humanioribusque disciplinass deditae, in cuius commodum multa collegia condidit, in geibus eadem tuto, itinere ad altiorem etiam, si vellet, doctrinam adipiscendam contendere et, benè morata, in spem Ecclesiae Nationisque suae succrescere posset.

                Quam ad rem animadvertendum est idcirco Ioannem Bosco, in peerorum iuvenumque animis fingendis educandisque, felicissimos edidisse fructus, quod germanam eam veri nominis educationem alacri perspicacique animo suscepit, quam catholica Ecclesia tantopere commendat, quamqué Nosmet ipsi, occasione data, saepenumero

                - commendavimus. Illam nimirum quae evangelicis praeceptis praeclarisque Iesu Christi exemplis imbuitur tot per omnesque venas alitur; illam, qua, christiana religione virtuteque duce, ita iuveniles rediguntur ac componuntur mores, ut omnino digni evadant, quos et tenrestris patria dilaudet, et caelestis tandem aliquando nom periturae coronae praemio remuneretur. Illam denique, quae si corporis vires exercet, at amimum 'potissimum - inconditos inordinatosque eius motus compescendo et ad virtutìs convertendo studia - confirmat atque conroborat; quaeque, si humanas omnes disciplinas, ad praesentem vitam excoleudam ornandamque opportunas, discipulis impertit, at quod est praecipuum non neglegit, Creatoris nempe ac Remuneratoris Del doctrinam atque Ecclesiae praecepta.

                At nom heic consistit neve laxatur alacrr eius animus, sed, superna caritate compulses, quam condiderat religiosorum hominem ac mulierum familiam, eam; mirabili quodam modo ob divinae gratiae opem magis usque magisque increbrescentem, per universum mittit terrarum orbem, evangelii lucem christianumque cultum laturam. [429]

                Quae tot tantaque incepta atque opera dum Noster instituit ac perficit, non ex humanarum rerum defectione neque ex aliorum diffidentia atque irrisu concidit animo, sed caelesti fretus auxilio, ulterius cotidie tranquilla serenaque fronte progreditur. Quodsi interduin suscepta ab se in animarum bonum consilia in difficultates se. illidere videbantur, quae humana ope devinci non possent, hilaris atque erectis in caelum oculis, dicere sollemne habebat: «Dei optatum est, atque adeo ex eius voluntate faciendum; quapropter ipsimet quodammodo - officio est necessaria adiumenta suppeditire». Atque ita, praeter omnium expectationem, res ad laetum exitum adducebatur; homi numque sugillationes in communem admirationem commutabantur.

                Quem igitur, venerabiles fratres ac dilecti filii, çhristianae sanctitatis heroem, per praecipua animi sui lineamenta, venerationi vestrae proposuimus, in eum omnes, studiosae imitationis causa, intueantur. Ita enim, eo auspice eoque deprecatone, profecto fiet ut, quam Iesus Christus rettulit de mortis deque tenebrarum potestate victoriam, eam nos quoque omnes feliciter assequamur; utque, a peccatorum servitute liberati sempiternaque in caelis beatitate fruituri, paschale canticum una fide unaque voce concinamus omnes:

                Ut sis perenne mentibus

                Paschale, Iesu, gaudium,

                A morte dica criminum

                Vitae renatos libera Amen.

18.

 

Inno della canonizzazione.

 

Don Bosco, deh guarda! - Per queste contrade,

di stuoli blasfemi - già sede spregiata;

qui, dove nell'ansia - uscivi a cercare

i primi fanciulli - conquista agognata;

fremente di gioia - si stringe, si accalca

innumere turba. - di giovani squadre:

è il gregge infinito - già visto e sognato,

che ardente Ti acclama: - Apostolo e Padre!

D. Bosco, ecc.

 

Chiamato per nome - dal Cielo a nov'anni,

dall'Alma Regina - a mano guidato,

per erti sentieri - per orme cruente

dei giovani figli - lo stuolo hai creato.

[La pagina 430 contiene spartiti musicali] [431]

 

Siam noi, che frementi - Ti alziam su l'altare

e al mondo gridiamo - con eco infinita:

“É questi il Maestro, - che al ver ci ha guidati:

che al male sottratti - ci addusse alla Vita”.

 

                D. Bosco, ecc.

 

Fra noi Tu venisti - col volto irradiato

dal nimbo soave - del tuo sorriso;

or cinge tua fronte più vivo splendore,

che irradia da Dio lassù in Paradiso.

Ci desti per Madre - la Madre tua stessa,

del popol cristiano - l'Aiuto potente;

cibasti nostr'alme - col Pane divino

che nutre e ristora - la vita languente.

 

                D. Bosco, ecc.

 

Don Bosco, procedi! - Ti attendon le madri

che supplici i figli - Ti porgon fidenti,

perchè Tu li segni - col segno di Croce,

perchè Tu li guardi - cogli occhi fulgenti.

E mentre Tu passi si desta un fragore

qual d'onde agitate d'oceani umani,

e un grido prorompe - dai petti concordi

ascoltaci, o Santo - fra noi qui rimani!

 

                D. Bosco, ecc.

 

19.

 

URBIS ET ORBIS

 

Fesfum Sancti Joannis Bosco Confessoris ah universa Ecclesia cum Officio of Missa propria celebrandum decernitur.

                DECRETUM.

                Universo Christiano populo summae laetitiae fuit, quod sacro recurrente decimonono saeculo a salvifica Redemptione supremos caelitum honores Beato Ioanni Bosco Summus Pontifex Pius Papa XI decreverit. Quo ex tempore non Salesiana Familia tantum, sed et quam plurimae dioeceses $um veluti iuventutis patrem peculiari honore prosecutae sunt. Succrescente vero in dies devotione, ut ube­riores sanctitatis fructus in fidelium praesertim iuvenum animis efllorescerent, [432] innumeri sacrorum Antistites Summum Pontificem Pium Papam XI humillimis et instantibus precibus rogaverunt, ut ad universam extenderetur Ecclesiam cultus tanti viri, de re catholica optime meriti. Sanctitas porro Sua, referente infrascripto Cardinale ' Sacrae Rituum Congregationis Praefecto, in audientia diei 25 martii 1936 vota tot S. R. E. Cardinalium, Archiepiscoporum et Episco­porum benigne excipiens, Festum Sancti Ioannis Bosco, tamquam confessoris non pontificis, ab universa Ecclesia sub situ duplici mi­nori cum Officio et Missa huic decreto adiectis die 31 ianuarii celebrandum decrevit, translat ad diem 28 ianuarii Festo S. Petri No­lasci confessoris. Contrarlis non obstantibús quibuscumque.

                Datum Romae, ex Secretaria S. Rituum Congregationis, die 25 martii 1936.

C.. Card. LAURENTI, Praelectus.

A. CARINCI, Secretarius. [433]

 

 

DOCUMETNI E FATTI ANTERIORI

 

I

 

Due lettere di domanda.

 

                Gli autografi appartengono alla Sig.ra Benedetta Terzago in Chinetto, domiciliata a Bianzè (Vercelli). Essa le trovò fra le carte dello zio Don Giuseppe Terzago di Bianzè, alunno dell'Oratorio nell'ultimo decennio della vita di Don Bosco. Chi sia la Marchesa, Dama di Corte, alla quale furono indirizzate, e come siano venute in potere del detto sacerdote, , non è stato possibile scoprire.

                La Lotteria menzionata nella prima è quella di cui parla Don Lemoyne - nel vol. V (pag. 263 segg.). La scarsità dei mezzi che obbligò a ridurre notevolmente il numero degli operai nella costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, derivava dal rivolgimento economico causato dal trasferimento della capitale e dai preparativi per la terza guerra dell'Indipendenza (Cfr. Lemoyne, VIII, pag. 341 e 366).

 

A.

 

                               Benemerita Sig.ra Marchesa,

 

                Non ho finora raccomandato a V. S. B.[enemerita] i biglietti di Lotteria, perchè concorrendo già largamente in sollievo delle nostre miserie, nol credeva opportuno. Ora nel pensiero che in questa occasione possa affidarne alcuni ai Reali Personaggi che al presente dimorano tra noi, gliene mando decine 30 e li raccomando alla carità di Lei e a quella di chi Ella giudicasse conveniente parlarne.

                Come Ella sa, vi è tempo, e quello che non si ritiene si trasmette di nuovo in fine alla Lotteria.

                Dimani mattina tutte le funzioni funebri e preghiere che avranno luogo in questa casa saranno secondo la pia di Lei intenzione e del Sig. Marchese. Le indirizzino come meglio loro sembrerà nel Signore. [434]

                Ogni Santo del cielo faccia discendere una benedizione speciale sopra di Lei e sopra tutta la rispettabile di Lei famiglia, mentre ho l'onore di professarmi con gratitudine

                Di - V. S. B.

 

                Torino, I° novembre 1855.

Obbl.mo Servitore

   Sac. Bosco Gio.

 

 

B.

 

                                Benemerita Sig.ra Marchesa,

 

                Maria Ausiliatrice si raccomanda a Lei, Sig. Marchesa; i lavori della chiesa sono assai bene avviati, ma per mancanza di mezzi invece di trenta muratori ne ho solamente otto. E questo nel tempo più opportuno per lavorare.

                Ho molte promesse e fondate speranze, ma è tutto in ritardo. Se può fare qualche mutuo alla Madonna, sarebbe tempo il più propizio, e credo che ne avrebbe interesse che molto eccederebbe il 5 per cento legale.

                Ne parli col Sig. Marchese, e poi faccia quel che può a maggior gloria di Dio.

                Lunedì dal mattino alle 10 sono in casa; di poi dalle I alle 3 ci sarò parimenti.

                Dio benedica Lei, e tutta la sua famiglia e mi creda quale mi protesto

                di V. S. B.

 

                Torino, 21 ap. 66.

Obbl.mo Servitore

  Sac. Bosco Gio.

 

 

II

 

Cinque lettere a Mons. Masnini.

 

                Mons. Santo Masnini, insignito dei titolo prelatizio per opera di Don Bosco, era venuto in intima relazione col Servo di Dio nel tempo che era segretario di Mons. Ferré, Vescovo di Casale. Nato a Belgioioso (Pavia), morì a Terlizzi (Bari), dov'è sepolto. Fondò le Ancelle del Santuario. La prima di queste lettere è indirizzata a Roma durante il Concilio Vaticano.

                Gli originali: della Ia presso il Dottor Nullo Martini a Fidenza; della 2a e 4a presso i Salesiani di Fidenza; della 3a presso Don Celso Ghiozzi, Arciprete di Zibello (Parma); della 5a nell'archivio salesiano di Torino (num. 1188). [435]

 

 

A.

 

PICCOLO SEMINARIO

DI MIRABELLO MONFERRATO

 

 

 

                               Carissimo Sig. Canonico,

 

                Qui da Mirabello mi rimane un po' di tempo per scrivere a V. S. secondo il mio desiderio. Riguardo alle lettere giacenti alla posta, abbia la bontà di leggerle e se trova cosa essenziale me la comunichi, altrimenti le seppellisca.

                La ringrazio della sollecitudine che si dà per me e di tutto il disturbo che si offre di sostenere per le nostre case.

                Se può promuova le Letture Cattoliche e la Biblioteca Italiana. Io vivo e lavoro per questi libri: il Santo Padre li benedice e mi raccomanda la diffusione. Le persone con cui può conferire di ciò sono: Conte Vitelleschi, Marchese Villarios, Contessa Calderini e la Presidente di Torre dei Specchi.

                Ho trovato Giannino Ferrè in buona salute: egli è soprapensiero per la vocazione. L'ho esortato a pregare e d'essere assai buono fino a maggio. Allora potrà risolvere qualche cosa.

                Tutto il piccolo Seminario si unisce meco nell'augurare ogni celeste benedizione a Lei ed a Monsignor nostro, mentre con tutta affezione mi professo di V. S.

 

                II marzo 1870.

 Obbl.mo Servo

Sac. Gio. Bosco.

 

 

B.

 

ORATORIO

S. FRANCESCO DI SALES

 

                Monsig. Car.mo

 

                In questo anno con le altre miserie si aggiunge quella di dover riscattare quindici chierici dalla leva militare. Potrebbe Ella venirmi in aiuto?

                Qualunque cosa mi giova assai; avvi tempo circa un paio di mesi. Ecco come questo questuante va a disturbare la gente pacifica. Me ne dia compatimento.

                Dio le conceda ogni bene, preghi per questo povero ma sempre in G. C.

 

                 3 ott. 73.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Prego de' miei umili ossequi alla Sig.a Mamma e famiglia. [436]

 

C.

 

                               Monsignor mio carissimo,

 

                La Contessa Bricherasio è tuttora inquieta pel suo affare che essa credeva ultimato.

                Abbia dunque la bontà di leggere le due lettere del Prevosto di Fubine e poi se avvi qualche cosa a fare me lo dica.

                Io sono giunto in questo momento da un giro fatto fino a Marsiglia. Oh quante cose avremmo a direi! Spero lo faremo di presenza.

                Mille ossequi a Lei, a Monsignor Vescovo e gli ripeta che noi vogliamo sempre essere suoi figli, e che tutte le nostre cose sono sue senza riserbo.

                Preghi per me, e per le cose nostre prepari un sacchetto di marenghini o un grosso pacco di biglietti di banca; sebbene siano brutti assai, tuttavia li accetto come roba nazionale.

                Io le sarò sempre in G. C.

 

                Torino 28 - 3 - 77.

Aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

 

D.

 

                                Carissimo Mons. Masnini,

 

                Se io restassi sciolto dall'attuale ufficio volo tosto fra i Salesiani. Così disse più volte. Ora quando viene?

                La sua camera è preparata a Torino ed altrove; un posticino a mensa non mancherà. Dunque? A rivederla.

                Dio la benedica e preghi per questo poverello che come fratello le sarà sempre in G. C.

 

                Vignale, 12 ott. 79.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Sono a Vignale per oggi; domani parto alla volta di Torino dove dimorerò stabilmente.

 

E.

 

                               Red.mo Monsig. Masnini,

 

                Il Sig March. Del Pezzo a mio nome deve trattar un affare con V. S. Car.ma. Faccia in modo di venir ad una buona conclusione e farà anche un gran piacere al Can.co D'Avanzo.

                Dio benedica le nostre imprese e mi creda in G. C.

 

                Lanzo Torinese, 15 sett. '80.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [437]

 

III

 

Quattro lettere a Mons. Sciandra, Vescovo di Acqui.

 

                Gli originali sono in Vaticano, nell'Archivio della Segreteria di Stato dove passarono, dopochè ne avemmo tratto copia.

 

A.

 

                                Eccellenza Rev.ma.

 

                Fra i chierici che fanno qui i loro studi con animo di far parte della nostra congregazione avvi il giovane Boido Giuseppe che per mezzo mio ricorre a V. S. Rev.ma per un certificato da presentare al comando militare onde avere l'esenzione dal servizio. Quelli della diocesi di Torino l'ebbero dal nostro Arcivescovo o dalla diocesi cui appartengono; questi lo dimanda dalla sua bontà.

                Non so se abbia già potuto vedere questa nuova legge; per ciò che riguarda al caso presente è necessario che Ella dichiari N. N. essere della diocesi di Acqui, cattolico, far i suoi studi del io corso di Filosofia nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, avviato alla carriera ecclesiastica. Noi poi faremo confermare tale dichiarazione dal sindaco di Torino e la porteremo al comando militare.

                Quante volte sono andato col pensiero a farle visita, ma non ho mai potuto andare di fatto. Ella poi non verrà ad onorarmi qualche volta di sua presenza e celebrare una sua santa messa nella chiesa di Maria A.? Noi l'aspettiamo e la desideriamo ardentemente.

                Mentre noi preghiamo Dio che l'aiuti nell'ardua impresa del sacro pastorale Ministero, ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante sue preghiere implorando la sua benedizione specialmente sopra [chi] nella sua pochezza ha l'onore di professarsi

                di V. S. Rev.ma

 

                Torino. - 5 - 4 - 72.

Obbl.mo Umil.mo

Sac. Gio. Bosco.

 

B.

 

                               Rev.mo e car.mo Monsignore,

 

                La perdita inaspettata del povero nostro Don Pestarino mi ha veramente sconcertato. Ho immediatamente mandato Don Bodratto come persona del paese e pratico di tutti gli affari del compianto defunto. Ora avrei divisato stabilire colà Don Cagliero Giuseppe, attualmente [438] Direttore spirituale nel collegio di Varazze. È persona sicura per la moralità e scienza, ed ha attitudine alla predicazione. Ma prima di tutto desidero il santo di Lei parere.

                Resta poi inteso che la casa di Mornese è sempre a sua disposizione ogni volta Ella desideri andare a fare un po' di campagna; anzi la prego di voler continuare verso di quella casa quella benevolenza e quella autorità patema che finora si degnò usare.

                Spero poter fare colà una gita fra non molto tempo.

                Ci raccomandiamo tutti alla carità delle s[ante] sue preghiere e mi professo con profonda gratitudine

                Della E. V. Rev.ma

 

                Torino, 22 - 5 - 74.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

C.

 

                                Eccellenza Rev.ma,

 

                Prima d'ora avrei dovuto ringraziarla per la commendatizia che  ha fatto pei noti progetti; ma i continui tafferugli mi hanno letteralmente rubato il tempo. Ogni cosa è posta in corso regolare e il S. Padre trovò tutto di suo gradimento. Gratitudine e ringraziamenti siano vivissimi verso di V. E. Ora avrei bisogno di altro favore.

                Il ch. Giuseppe Bovoir (sic) maestro di scuola a Mornese ha terminati i suoi corsi, ed essendo definitivamente aggregato alla congregazione salesiana, fornito delle necessarie doti per dimandare di essere ammesso alle ordinazioni, io farei dimanda o meglio preghiera di volerlo ammettere alla Tonsura per le prossime ordinazioni.

                Compagno del Bovoir è il ch. Campi Francesco. Don Cagliero e Don Costamagna mi assicurano che ha la scienza sufficente. Moralità eroica.

                Noti che si tratta solo di Tonsura coi quattro minori; prima di ammetterli agli ordini sacri Ella avrà tempo a far qualsiasi osservazione.

                Qui pure so di essere in ritardo, e avrei ancora differito fino a settembre, ma quell'istituto e lo stesso paese chiedono sospirando un maestro sacerdote, che non ho. Se accomoda di più pigliare qualche domenica a suo piacimento, il dica pure, chè per loro è lo stesso.

                Quanto prima avrei [bisogno] di poterle parlare, e chiederle qualche consiglio!

                Intanto gradisca i sentimenti della mia viva gratitudine; mi doni la sua benedizione e mi creda in G. C.

 

                Torino, 11 - 5 - 75.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco. [439]

 

D.

 

                                Reverend.mo e car.mo Monsignore,

 

                Don Bosco è nato per fare esercitar la pazienza a tanti e segnatamente a V. S. Rev.ma. Qualche disturbo nella sanità, una serie di premurose occupazioni mi hanno fatto trascurare il mio dovere verso di Lei.

                Le dirò adunque che il chierico Piccagno non ha ancora terminati i voti triennali è perciò non pare sia caso nè vi sia motivo sospenderli. Tanto più che il suo tempo scadrebbe col mese di settembre. In quell'epoca egli farà i suoi esercizi spirituali, dopo cui è pienamente libero di rinnovarli o restituirsi presso al suo Ordinario.

                Essendo in Varazze non posso darle i particolari di sua condotta. In generale la sua condotta è abbastanza buona: ma finora la sua vocazione allo stato ecclesiastico non presenta ancora tutti i dati richiesti. Per lo studio ha sufficente ingegno e può fare buona riuscita purchè occupi il tempo in istudi che lo riguardino. A suo tempo avrà la distinta dei voti di studio e pietà per tutto il tempo del chericato.

                Vado ogni giorno col pensiero a fare una gita a Strevi[109] e sospiro il tempo di poterci andare e passarvi alcuni giorni che farebbero un gran bene all'anima e al corpo; ma quando ciò io possa effettuare non posso saperlo. Io però la ringrazio ben di cuore dell'invito e o più presto o più tardi me ne approfitterò.

                Accetto il cherico di cui parla e potrà quando che sia mandarlo a Sampierdarena. Sarà assistito e coadiu[va]to da quel savio e prudente Direttore che è il Sac. Don Paolo Albera.

                Dimando umilmente la sua santa benedizione e mi raccomando alla carità delle sue preghiere mentre con profonda gratitudine e stima ho l'onore di potermi professare

                di V. S. Rev.ma e car.ma[Torino] 1 - 7 - 78

Obbl.mo Servitore

   Sac. Gio. Bosco.

 

 

IV

 

Scherzo rimato.

 

                Don Edoardo Mac Kiernan fu uno dei primi Irlandesi venuti all'Oratorio per farsi salesiani. Morì a Londra nel 1888, nella prima casa salesiana aperta ivi da Don Bosco nel 1887 - Vi aveva ufficio di parroco e direttore. Contava appena 27 anni di età. Allorchè Don Bosco gl'inviò da Roma questo grazioso saluto, era chierico nell'Oratorio. [440]

 

                                Caro Mackiernan,

                                               Che fai, che dicimi,

                                               Caro Edoardo,

                                               Che a scrivere lettere

                                               Sei tanto tardo?

                                               Ti benedica

                                               Pietoso Iddio;

                                               Per me tu pregalo,

                                               Lo prego anch'io.

 

                Roma, 22 - 77.

Aff. in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

 

V

 

Lettera a una signora.

 

                L'originale è posseduto dall'Avv. Bassetti di Forlì, che lo rinvenne casualmente in mezzo a cartacce. Don Bosco nel poscritto manda saluti alla famiglia Burlamacchi, che era domiciliata a Lucca.

 

                               Rispettabile Signora,

 

                É certamente una cattiva posizione quella di suo figlio. Età, scienza, sostanze sono lacci terribili di cui il demonio si serve per condurre tanti incauti giovanetti alla rovina spirituale e corporale. Una madre cristiana in questi casi deve:

 

                I° prenderlo alle buone, accompagnarlo ovunque, se egli lo soffre. Ragionarlo, consigliarlo ai SS. Sacramenti; alle prediche, alle buone letture. Se non si arrende, abbia pazienza, ma continui.

                2° Se vuole può dire con certezza, che se non sì regola meglio, la sua vita sarà di molto abbreviata e forse...

                3° Si adoperi per associarlo con parenti o con altre persone oneste, e di allontanarlo dai cattivi compagni.

                4° preghiera a Dio e a S. Monica.

                Nella mia pochezza, farò anche speciali preghiere a Maria A...

                Io poi ho molto bisogno della sua carità spirituale e corporale. Ho una messe copiosissima tra mano; si potrebbero guadagnare molte anime, ma mi mancano i mezzi materiali.

                Dio benedica Lei la sua famiglia tutta e preghi anche per me che le sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 11 - 11 - 78

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Mille ossequii alla famiglia Burlamacchi se trovasi ancora costì. [441]

 

VI

 

Biglietto di Don Bosco.

 

 

                É indirizzato a Nizza Marittima, forse a quel Direttore. Manca ogni intestazione.

 

                La contessa di S. Paulet passando per Nizza desidera parlarti all'oggetto di trovare una persona di servizio che va cercando. Se puoi favorirla io te ne fo raccomandazione.

                Da essa saprai nostre notizie, e ti noto che questa Signora sarà una delle più zelanti Signore del Comitato per la Navarra e S. Cyr.

                Abbimi sempre in G. C.

 

                Torino, 10 giugno 80.

  Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

 

VII

 

Lettera di Don Bosco a Don Albera.

 

 

                Manca la data. Dev'essere del 1884, anno del colera e anche di questo o antidoto” largamente distribuito. Alla Signora Magliano, Don Bosco scriveva il 16 agosto da Pinerolo: e Il nostro antidoto è sicuro”. Il colera tornò nel 1885; ma la diffusione dell'antidoto” non vi fu più. Il 15 novembre 1884 al medesimo Don Albera aveva scritto da Torino: Io temo che l'anno venturo siamo di nuovo visitati dallo stesso flagello; ma io non mi sento di promettere che il colera non venga a molestarci”.

                Difatti il morbo ritornò nell'estate del 1885; ma il 31 gennaio Don Bosco aveva detto: L'anno scorso potevo assicurare con certezza che le medaglie di Maria Ausiliatrice portate indosso colle condizioni prescritte avrebbero preservato le persone. Ma quest'anno non so ancora se la Vergine vorrà dimostrarsi egualmente pietosa in tale circostanza”. (Cfr. M. B., vol. XVII, pag. 242). L'originale è presso le Figlie di M. A. a Torino.

 

                                Car.mo Don Albera,

 

                Antidoto sicuro contro al Cholera. Fa mettere in collo a' tuoi giovani una medaglia di M. A. colla giaculatoria: O Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Frequente comunione.

                Comunica questa ricetta a chi tu giudichi opportuno.

                Fa tenere l'unita lettera a M.me Prat con una medaglina di argento.

                Noi preghiamo, pregate anche voi per noi.

                Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia. Amen.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [442]

 

VIII

 

Giudizio su Don Bosco nel 1844.

 

                Nell'archivio salesiano (84 - XI) si conserva copia di una interessante lettera scritta da un Sig. Allamano Illuminato al Conte Senatore Mola de Larissé, abitante allora a Torino e motto più tardi trasferitosi a Carignano, patria del Missionario Don Carlo Peretto. Questi potè avere in prestito l'originale che Don Berto copiò. Lo scrivente, che doveva essere un professore, scrive al Conte (29 luglio 1844) proponendogli di affidare a Don Bosco la preparazione del figlio Luigi, agli esami. Ecco il tratto più importante:

 

                Se la S. V. I. fosse contenta, io le manderei un Sacerdote, mio amico, e compatriota (il suo nome è Don Bosco), persona a cui non manca neppur uno dei pregi che si convengono ad un eccellente Sacerdote. Virtù, dottrina, e candore di costumi in costui fanno a gara per renderlo amabile alle persone che lo conoscono.

                Tale è colui che mi deliberai di proporre alla S. V. Ill.ma affinchè l'accetti nella sua nobile casa, dove potrà fare le mie veci; io non ho bisogno di raccomandarglielo, giacchè quando lo conosca, son certo che i suoi meriti sono per lui la più efficace raccomandazione.

 

IX

 

Don Bosco dai Conti Callori di Vignale.

 

                La Contessa Viry, figlia dei Conti Callori, in un suo lavoro inedito Pagine senza date (cartelle 112 - 3) scrive di Don Bosco:

 

                Veniva ogni anno a passare qualche giorno di vacanza in campagna presso mia madre. Celebrava la Messa con una pietà angelica; ma poi si prestava gentilmente ai giuochi dei ragazzi e prendeva parte ai pasti di famiglia, sapendosi comportare tanto a tavola come nel salotto da persona fine e distinta. Bisogna avere un tatto speciale e  una rara intelligenza per sapersi contenere in un mondo e in una società in cui non si è nati; la mediocrità ci arriva difficilmente, e ha sempre l'aria di fare uno sforzo.

                Un giorno gli si presentò una bambina di tre anni che non voleva recitare il Paternoster intero, ma arrivata alla seconda parte Dateci oggi il nostro pane quotidiano, si fermò e non ci fu mezzo di farla continuare. Senza sgridare la bambina, testarda ma non lacrimante, perchè era troppo fiera per piangere, Don Bosco le disse semplicemente e con dolcezza: - Domandate al Signore il pane, e vedrete [443] che egli avrà la bontà di mandarvi anche dei dolci e della cioccolata. Da quel giorno la ragazzina recitò costantemente il Pater fino alla fine.

                Diciotto anni più tardi la stessa bimba diventata giovanetta chiese al buon Prete il suo parere su un giovanotto che le era stato proposto. Chiudendo gli occhi e raccogliendosi in se stesso, semplicemente disse: - Non lo conosco personalmente, ma so che è una bell'anima. Questo giudizio mi fu sufficiente ed effettivamente trovai un'anima bella in colui che tre mesi dopo diventò mio marito. Ma il consigliatore non dimenticò punto la piccola testarda nel rivederla giovanetta, e le disse con graziosa malizia: - Ora che dice così bene il Pater intero, vede che il Signore le ha mandato anche la cioccolata e i pasticcini. Bisogna dunque che si ricordi dei poveri, ai quali Egli non dà che il pane asciutto.

 

X

 

L'occhio di Don Bosco.

 

                Stralciamo da una relazione di Don Luigi Terrone, che mise in iscritto una lunga conversazione avuta il I° novembre 1937 nel collegio salesiano di Torino con Don Pietro Fracchia. A Don Fracchia che parla del tempo in cui era alunno dell'Oratorio.

 

                Un giorno, andando da Don Bosco, incontrai Don Berto, il quale mi annunciò: - C'è Fracchia. - E Don Bosco ad alta voce: - Avanti venga Fracchia, che vuol sempre conservarsi senza macchia.

                Don Bosco stava scrivendo, ed io era seduto presso di lui. Stavo osservando attentamente un certo movimento che egli faceva nello scrivere: girava lentamente la testa da sinistra a destra, accompagnando e seguendo la direzione della penna verso il termine del foglio. Io non capiva il perchè. Allora pensai subito di interrogarlo, usando della grande confidenza che egli mi dava. Quando adunque egli depose la penna e appoggiò le sue mani una sull'altra contro il petto, com'era solito fare, io lo guardai sorridendo e poi con tutta libertà e semplicità gli dissi:

                 - Permette, Don Bosco, che le domandi una cosa?

                 - Di' pure, mio caro Pietro.

                 - Perchè mentre stava scrivendo, così con la testa bassa, si voltava verso destra e accompagnava la penna?

                Don Bosco sorridendo rispose: - La ragione è questa. Vedi? Da quest'occhio Don Bosco non ci vede più, e da quest'altro poco, poco, poco.

                 - Ci vede poco? ripresi io, Ma allora come va che l'altro giorno in cortile, mentre io" era lontano da lei, mi lanciò uno sguardo vivissimo, luminoso, penetrante, come un raggio di sole? [444]

                 - Ma va' là! Voi altri pensate e vedete subito chi sa che cosa... cose grosse, anche straordinarie, dove non c'è proprio nulla.

                Così, finito quel discorso, cominciammo a parlare delle nostre cose. Ora ecco il fatto dello sguardo.

                Un giorno io mi trovava in cortile a fare ricreazione. Secondo il solito, ero tutto immerso nel giuoco. A un dato punto, mentre mi era momentaneamente fermato, sento un forte vociare di giovani. Mi volto e scorgo in lontananza Don Bosco, circondato da un gran numero di giovanetti. Erano molti, un folto gruppo, come sempre avveniva quando Don Bosco scendeva in cortile, e parlavano tutti forte ed allegramente con lui. Io, tutto intento al mio giuoco, non aveva voglia di avvicinarmi. Rimasto così in atteggiamento d'incertezza, rivolsi di nuovo l'occhio verso il gruppo in mezzo al quale si trovava Don Bosco; ed ecco d'improvviso restai colpito da un raggio luminoso che dall'occhio di lui veniva fino a me. Io non so come descrivere quel raggio. Lontano almeno trenta passi da Don Bosco, non ero proprio di fronte a lui, ma alquanto ad angolo, e Don Bosco era assiepato dai giovani, gran parte dei quali egli teneva per le mani. Ho presente la scena con tutta precisione, come se fosse avvenuta ieri. Dico che era un raggio luminoso, come un rubino splendentissimo, un diamante, qualche cosa d'inconcepibile, paragonabile alla luce della folgore. A quella vista io rimasi incantato e inconsciamente mi avvicinai al gruppo. Giunto là, senza che io cercassi di farmi largo e senza che io mi accorgessi, mi trovai preso dalle mani di Don Bosco, che poi, tenendole strette e nulla dicendomi, continuò a passeggiare. Non mi guardò, non mi disse nulla e quando finì la conversazione, mi accomiatai come tutti gli altri e non palesai mai a nessuno quello che allora vidi.

 

XI

 

Una guarigione portentosa.

 

                É sempre il medesimo Don Fracchia che racconta:

 

                Un giorno assistevo in cortile ad una partita al pallone. Era una gara fra studenti e artigiani, superiori, chierici[110], capi e vicecapi. Quella volta io non giocava, ma da buon giocatore o tifoso, come direbbero adesso, prendeva viva parte allo svolgimento della partita. Presso di me stava un chierico, mio compagno, ora non potrei più assicurare con precisione, ma sono quasi certo che era il chierico Bonavia[111].

                Mentre adunque ero tutto intento al giuoco e null'altro avevo [445] in mente, mi sento penetrare distinte nell'orecchio, queste parole: - Va' in sagrestia, che Don Bosco sta per fare un miracolo. - Mi volto e non vedo nessuno all'infuori del mio compagno chierico. Dimenticando senz'altro e giuoco e cortile, dò un forte colpo sulle spalle del compagno chierico, dicendo: Andiamo in sagrestia, che Don Bosco sta per fare un miracolo. E mi misi a correre velocemente. Non sentendo dietro di me il rumore dei passi del compagno, mi voltai indietro, molto maravigliato che non venisse.

                Arrivai dunque nella sagrestia; dirò meglio nell'antesagrestia, là dove Don Bosco confessava regolarmente. Don Bosco era circondato da un gruppo di signori e signore e si avviava adagio verso la sagrestia propriamente detta. Quasi meccanicamente io mi accodai al gruppo e m'incamminava con quelle persone; ed ecco, anche questa volta senza saper come, io mi trovai proprio al fianco sinistro di Don Bosco, tra tutte quelle persone e con loro arrivai nel centro della sagrestia.

                Tutto ad un tratto sentiamo dietro di noi un forte rumore; poi un gran vociare. Si avanzava una povera donna, conducendo una figliuoletta di circa dieci o dodici anni, la quale aveva un braccio paralizzato. La madre, giunta davanti a Don Bosco e presentando la fanciulla, si getta ai suoi piedi e con lacrime supplica: - Don Bosco, mi guarisca questa mia figliuola, che  non può più muovere il braccio: me la guarisca. - Don Bosco con la massima naturalezza e con un tono semplice, rivolgendosi alla fanciulla, dice:

                 - Bene, bene, Guarda, fa' così. Fa' il segno di santa croce.

                 - Ma no, interrompe la madre gridando, non può farlo. É ammalata nel braccio; non lo può muovere.

                 - No, no, figliuola, riprende Don Bosco con la stessa calma. Fa' il segno di croce, come ti dico.

                E la povera madre ancora una volta voleva spiegare che la poverina non poteva compiere quell'atto. Don Bosco replicò ancora: - Così, così! - E con gesti facendo segno alla madre di stare tranquilla e zitta, invitava la bambina a fare il segno di croce.

                In quell'istante io volsi lo sguardo a Don Bosco e vidi la sua faccia che si trasformava, assumendo un colore tutto speciale, che io non saprei in alcun modo definire. Pareva trasumanato. Diede la benedizione alla bambina e questa senz'alcuna fatica fece contemporaneamente un ampio segno di croce. La madre era fuori di sè dalla commozione e quei signori guardavano esterrefatti. Don Bosco si rivolse allora alla madre e le disse: - Ora andrete in chiesa e reciterete tre Pater, Ave, e Gloria al Santissimo Sacramento e tre Salve Regina a Maria Ausiliatrice, in ringraziamento della grazia che vi han fatto. Subito dopo egli uscì con quei signori dalla sagrestia. Era il giorno della festa di Maria Ausiliatrice, nel tempo della ricreazione dopo la colazione. [446]

                Uscendo, con le forti impressioni di quello a cui avevo assistito, io mi figurava di sentir gridare da ogni parte al miracolo. Ma nessuno fiatò e io non ci pensai più. In seguito cercai nelle varie opere che parlano di Don Bosco, se di quel fatto si fosse fatto cenno; ma non ho mai trovato nulla in proposito. Ho letto qualche altro fatto portentoso analogo a quello da me visto; ma non era il medesimo, perchè tutte le circostanze erano ben differenti.

                Ciò che è anche più incredibile si è che io non pensai mai a chiedere al mio compagno, perchè non fosse venuto; nè io gli raccontai mai la cosa. Mi sono perfino chiesto molte volte se quella voce io avessi realmente udita e se io avessi realmente rivolto al compagno l'invito a seguirmi. Ma il tutto è reale e non mi è sfuggita di mente nessuna particolarità.

 

XII

 

Don Bosco legge nella coscienza.

 

                Francesco Alpi, già allievo a S. Giovanni Evangelista, poi infermiere nell'Oratorio e da ultimo maestro a Pagno (Saluzzo) narrò a Don Luchelli un caso, che questi subito dopo riferì per iscritto a Don Albera il 20 aprile 1916. Riportiamo dalla sua lettera:

 

                Francesco Alpi, giovane di 15 o 16 anni, fu accettato nel collegio di Alassio per raccomandazione di un tal Don Nenci, degno sacerdote della diocesi di Imola. Tre o quattro giorni dopo la sua entrata in collegio sentì dire nel sermoncino della sera che sarebbe arrivato Don Bosco in viaggio per la Francia e che i giovani, i quali avessero avuto desiderio di confessarsi da lui, l'avrebbero potuto fare. Il giovane Alpi non aveva mai sentito parlare di Don Bosco, e pensò tra sè. - Dal momento che viene un prete forestiero che rimane qui un giorno o due e poi scompare, è meglio che mi, confessi da lui e che faccia una confessione generale. Così eviterò di farla in seguito da un prete che, essendo in casa, avrà poi occasione di conoscermi. - E difatti la mattina seguente andò a confessarsi da Don Bosco senza sapere chi fosse. Cominciando la confessione, egli si raccomandò al confessore che lo aiutasse; poi espose tutti i peccati di cui si ricordava. Finita la sua accusa, quando non sapeva proprio più che cosa dire, Don. Bosco gli disse: - Ti dimentichi di dire quel peccato che hai fatto nel tal luogo e nel tal tempo. - E disse lui con tutte le più minute circostanze ciò che Alpi aveva fatto dai dieci agli undici anni, e soggiunse: - A vero che tu non hai fatto il peccato di opera, come i tuoi due compagni, ma l'hai fatto di pensiero, di desiderio, e anche col pensiero, col desiderio si offende il Signore.

                Sentendo una simile cosa, il giovane fu colpito da tale stupore [447] che lì ai piedi di Don Bosco, sudò freddo e quasi gli pareva di svenire. Appena finita la confessione, si portò subito da Don Cerruti e gli disse spaventato e piangente: - Ma chi è mai quel prete che mi ha confessato? Certamente è un diavolo o un santo. Mi ha detto un peccato segretissimo, di cui io non mi ricordava più e che non riteneva neppure che fosse peccato. - Don Cerruti, sorridendo, gli disse che era Don Bosco e lo mandò via tranquillo.

 

XIII

 

Don Bosco a Velletri.

 

                Dovunque andasse, Don Bosco lasciava di sè un ricordo incancellabile. Finora non sì sapeva che egli fosse stato anche a Velletri; ora Mons. Rotolo, Ausiliare di quel Cardinale Vescovo, ha potuto avere notizie sicure di una sua visita alla città. Non è possibile determinare la data. Se vi andò nel tempo che stettero aperte le case salesiane di Albano e dell'Ariccia (1876 - 9), la cosa potrebbe essere avvenuta nel 1877; ma sul posto si propende per il maggio 1882, festeggiandosi il centenario della Madonna delle Grazie. In quel mese difatti Don Bosco si trovava a Roma.

                Egli celebrò la Messa nella cappella delle Maestre Pie Venerine. La Sig. Elvira Pereno, che da educanda vi assistè, dovette riceverne un'impressione straordinaria, se a tanti anni di distanza rammenta ancora “la figura dì Don Bosco nell'atto di celebrare”. Ma essa rammenta pure che la Madre Superiora gliene aveva preannunciata la venuta, dicendole che doveva venire un gran santo. Don Bosco fu pure nella casa di lei. “Lo ricevemmo, scrive, nel salone grande e molto si trattenne nella camera da pranzo, dandoci a noi piccoli la santa benedizione. A me sembra ancora di vederlo”.

                La famiglia che abita oggi l'appartamento dov'egli fu ricevuto, attribuisce alla protezione del Santo su quella casa la pace e la tranquillità che vi gode e la buona riuscita di tutta la numerosa figliuolanza.

                Egli era ospite del Sig. Luigi Francesco Argenti, zio materno della signora suddetta, “uomo religiosissimo”. Una figlia del Sig. Argenti, la Sig. Anna De Angelis, moglie del Colonnello presidente del tribunale militare a Mogadiscio e presidente diocesana delle donne di azione cattolica della Somalia, scrive a Monsignore: “Con l'animo profondamente commosso ho letto la lettera dell'Ecc. Vostra, che, in tarda età e in questa lontana terra nell'Impero, è venuta a suscitare in me uno dei più graditi e più commoventi ricordi della ormai lontana mia prima' fanciullezza: la patema benedizione avuta dal Grande San Giovanni Bosco! Ricordo perfettamente che il Santo fu in casa [448] nostra, ospite del mio padre, in occasione della sua venuta a Velletri, ed ho buona la visione netta del Santo, impartente la santa benedizione a noi piccoli, che inginocchiati eravamo dinanzi a lui quasi in adorazione”.

                Suo fratello, Canonico Vincenzo, allora seminarista, non potè essere presente, ma Don Bosco pensò a lui. Infatti per lui lasciò una copia della sua Storia d'Italia, che il padre gli volle portare egli stesso e consegnare con le proprie mani.

 

XIV

 

Alla presenza di Don Bosco.

 

                Il Benedettino Don Gregorio Campeis descrive così (Praglia, 2 Settembre 1911) un suo incontro con Don Bosco, molto probabilmente in Roma a S. Paolo.

 

                Ricorderò sempre l'impressione particolare di venerazione ch'ebbi al trovarmi per la prima volta al cospetto del Sac. Don Bosco (settembre 1883). Quel sorriso amabile, quella sua compostezza e gravità non disgiunta da un tratto affabilissimo, quella sua parola insinuante e ponderata mi si impressero profondamente nell'anima, e dinanzi a nessun altro personaggio, neanche dinanzi agli stessi Sommi Pontefici Leone XIII o Pio X, dai quali ebbi l'onore di essere ricevuto in private udienze, ebbi a provare l'impressione avuta dinanzi a Don Bosco. Pensavo alla santità personificata.

 

XV

 

Guarigione di un muto.

 

                Suor Maria Speranza Forte, Figlia di Nostra Signora della Misericordia, ci scriveva da Varazze l'8 settembre 1937.

 

                Ho avuto per ben due volte la fortuna di presenziare dalla nostra abitazione l'arrivo di Don Bosco a Varazze. Nella seconda visita, anno 1886, Don Bosco venne a Varazze, reduce da Arenzano. Nel tragitto dalla stazione al collegio era portato a braccia. Lo seguiva da vicino un uomo, alto della persona, già un po' attempato, un Arenzanese, il quale, sventolando un bianco fazzoletto, gridava: - Ieri fui guarito da Don Bosco. Ero muto. - Mi son presentato a lui, esprimendo con cenni la mia mutolezza e chiedendo grazia. Egli mi disse: Recitate meco l'Ave Maria. E pregai. - Il graziato segui Don Bosco fino al collegio. [449]

 

XVI

 

Don Bosco a Reims.

 

                Non si è mai saputo che Don Bosco fosse stato a Reims, nè si può finora precisare la data di quel passaggio nel 1883. Il Padre Gesuita Journel, dopo aver letto il libro di Don Auffray Un  Saint traversa la France, scrisse all'Autore la seguente lettera:

 

                               Mon Révérend Père,

                Je suis un Père jésuite en résidence à Lille (Nord) 73 rue des Stations, tout près de la rue d'Antin, où les Sueurs Salésiennes font du si bon travail pour la gloire de Dieu. J'ai lu avec le plus vif plaisir, quand ils ont paru, vos vivantes biographies de Saint jean Bosco et de Don Rua; et voici que la Bonne Providence me met entre les mains Un Saint traversa la Frannce!

                Quelle joie de parcourir ces pages si édifiantes et si pittoresques! Mais devinez sur quoi je me suis attardé? Sur la pièce n° 3 de l'Ap­pendice, sur le précieux itinérairel... et voici la raison.

                En 1883, j'étais dans ma seizième année, et je faisais mes études au Collège des jésuites de Reims. Un jour (ne serait-ce pas le 26 Mai?) notre professeur d'Humanités, qui n'était pas homme à laisser échapper une bonne occasion de ce genre, nous dit mystérieusement qu'entre deux trains, le célèbre Don Bosco allait s'arrêter à Reims pour voir, au passage, M. Léon Harmel, venu du Val des Bois pour le saluer. Il nous emmena (du moins quelques-uns) à l'église St-J acques, tonte proche de la gare; c'était le lieu de rendez-vous. Et c'est ainsi que, durant quelques instants, j'ai eu le bonheur de contempler cet homme extraordinaire. dont la sainteté éclatante attirait les foules enthousiastes et commandait la confiance et le respect. C'est un de mes meilleurs souvenirs de jeunesse.

                Dans vos nombreuses recherches, avez-vous trouvé quelque trace de ce très court arrêt de St jean Bosco dans la cité de St Reims? Je serais infiniment heureux de le savoir. J'ai bien 70 ans; il me serait permis de... radoter... mais sur ce point mes souvenirs me pa­raissent bien fidèles.

                Veuillez agréer, mon Révérend Père, avec ma reconnaissance anticipée, l'hommage de mon profond respect.

                Votre serviteur en N. S.

                Lille, le 19 Nov. 1937

M. H. JOURNEL, S. J. [450]

 

XVII

 

Predizione.

 

                Don Rosin, Direttore della Casa di Beitgemal, che pochi mesi dopo doveva essere barbaramente trucidato dagli Arabi, scrisse sul finire del 1937 a Don Salvatore Puddu, Segretario generale della Società Salesiana, la seguente relazione:

 

                Mentre io sottoscritto mi trovavo internato in Angora, ora capitale della Turchia, cioè nel marzo 1918, Don Nerses Baghdikian, prete armeno cattolico, allora vicario patriarcale armeno di quella città, mi narrava che essendo egli Seminarista del collegio armeno di Roma con i suoi compagni fu ammesso a veder Don Bosco, nell'Ospizio, credo, del S. Cuore, l'ultima volta che vi andò per la consacrazione della nuova Chiesa. Il nostro Santo Fondatore si trovava allora in quello stato di deperimento di salute che tutti sanno. Quei seminaristi perciò affine di recargli il minimo disturbo possibile, dovevano contentarsi di passargli innanzi ad uno ad uno e, senza nulla dirgli e nulla attendersi da lui, baciargli la mano e ritornarsene sui loro passi. Così si fece. Don Bosco, seduto, teneva gli occhi e la testa bassi e le mani sulle ginocchia; ma ad un tratto ad un seminarista, mentre gli baciava la mano, disse, rimanendo immobile nella sua posizione, queste parole: “Figliuolo, preparati ad andare in paradiso”. Quel chierico entro il mese moriva.

 

                Beitgemal, 29 Dic. 1937.

 

Don ROSIN MARIO.

 

XVIII

 

Intuizione e profezia.

 

                Suor Celestina, Superiora Generale delle Suore Eucaristine (Via Pirot, - n179, Sofia, Bulgaria) il 9 luglio 1938 scriveva al Rettor Maggiore Don Ricaldone:

 

                La nostra Venerata Madre Fondatrice di Venerata Memoria, Suor Maria Cristina di Gesù, nel secolo Eurosia Alloatti, figlia del fu Pietro Alloatti di Torino, prima di venire in Turchia a Salonicco, per fondare il nostro piccolo Istituto per i Bulgari Slavi nel 1888, volle consultare San Giovanni Bosco sulla sua vocazione non ordinaria. Trovandosi essa alla conferenza dei Cooperatori Salesiani il 23 maggio [451] 1887, andò a baciargli la mano nella sagrestia con la folla. Allora il Santo, prima che essa gli avesse rivelato il suo secreto, la prevenne e le disse: - Eurosia, tu hai domandato un segno alla Santissima Vergine sulla tua vocazione; ebbene, essa ti risponde per mezzo di me. Verrai da me per maggiori spiegazioni. - Ella non tardò ad andarvi ed il Santo l'assicurò che la volontà di Dio era che ella andasse a Salonicco per aiutare il suo fratello Missionario, dove entrambi dovettero fondare una Comunità di Suore indigene per i Bulgari Slavi, e le diede molte altre norme. Ma prima di congedarla le disse: Quando tu partirai per la tua destinazione, verrai ancora a vedermi, ma io non potrò benedirti. - E la profezia si compì. La Madre nostra Fondatrice, dovendo partire il 3 febbraio 1888, andò il 1° febbraio a chiedergli l'ultima benedizione. Quale non fu la sua meraviglia nel trovare il Santo morto e la Salma esposta in chiesa alla venerazione dei fedeli! Subito le vennero alla mente le profetiche parole: - Tu mi vedrai, ma io non ti benedirò. - Di questo fatto storico la Venerata Fondatrice volle fare la deposizione giurata per la causa della Beatificazione.

 

XIX

 

Un incontro con Don Bosco in ferrovia.

 

                Lo raccontava così il Signor Don Damé, dei Preti della Missione, come riferisce il suo confratello Signor Riccardo Bona in una lettera a Don Berruti, Prefetto Generale della Società Salesiana (Torino, 15 dicembre 1938):

 

                Eravamo partiti insieme da Porta Nuova per Genova, ignoti l'uno all'altro; lo scompartimento piuttosto affollato non ci aveva dato comodità di scambiarci altre parole che quelle suggerite dalla convenienza tra confratelli in viaggio.

                Oltrepassati i Giovi, e rimasti ormai noi due soli, quel sacerdote, che fino allora aveva sempre pregato o sfogliato libri, mi rivolse la parola e si incominciò una gaia e amichevole conversazione. Poi volle sapere se ero torinese (dall'abito mi aveva conosciuto per un Prete della Missione di S. Vincenzo), se conoscevo le opere di Don Bosco, che ne pensavo, quale riputazione Egli godeva fra di noi coi suoi birichini, ecc. ecc. Gli risposi che per me Don Bosco era certamente un santo prete, che ammiravo l'opera sua in pro dei giovanetti, che la sua pazienza mi dava l'immagine di quella del divin Salvatore che prediligeva i piccoli e i poveri... Cose queste che evidentemente gli andavano al cuore - e lo facevano insistere nello scrutare il mio sentimento sull'opera sua. - Ma non ha sentito dire di lui, conchiuse, che è un seccante, che cerca sempre danari, che toglie la gioventù [452] dalle parrocchie e dalle famiglie? - Ma mentre io gli soggiungevo che tutte le novità anche buone trovano sempre dei facili censori, che cose perfette si fanno solo in cielo, che anche il Cottolengo per consolarsi delle contraddizioni esclamava: - Bene fare e lasciar cantare - il treno entrò nella stazione di San Pier d'Arena. Il mio interlocutore si levò allora in piedi e prendendomi confidenzialmente pel naso fece l'atto di tirarmelo dicendo: - Parli sempre bene di Don Bosco! Se ne avesse parlato male gliel'avrei tirato il naso tanto da farglielo giungere fin qui. - E accennava al petto. Intanto i giovani che l'attendevano sul marciapiede insieme forse a Don Albera, riconosciutolo, incominciarono a salutarlo: - Don Bosco! Don Bosco! e gli si precipitarono incontro. Con una buona stretta di mano ci salutammo. Non so quale impressione io abbia fatto a lui, per me debbo confessare che mi confermai sempre più nel concetto che avevo di lui, di uomo santo e di abilità straordinaria.

 

XX

 

Sulle due udienze di Don Bosco a Victor Hugo nel 1883.

 

                Ne abbiamo parlato a lungo nel vol. XVI, pag. 156 - 163. La signora Lesclide, moglie del segretario di Victor Hugo, negò il fatto in una sua lettera pubblicata sul Bollettino francese del maggio 1935. L'Assunzionista David Lathour in iena sua breve biografia di San Giovanni Bosco edita nel 1938 (“Saint Jean Bosco l'entreneur des jeunes”, Paris, La Bonne Presse) fa alcune osservazioni, che tolgono ogni valore a detta lettera.

 

                Una delle cause che spinsero il Poeta a visitare Don Bosco dovette essere la scossa patita per la morte della sua compagna luliette Drouet. (M - B - Pag­1157). La Lesclide scriveva: Quant à la mort de Juliette Drouet, enlevée par un cancer de l'estomac qui la martyrisait, son vieil ami considéra ce douloureux événement comme une délivrance bien plus que comme une catastrophe”. Il Lathour osserva (pag. i 85): Mme Lesclide écrit cela dans sa lettre (18 octobre 1929). Elle ne se souvient plus qu'en 1902 che  avait écrit le contraire. On lit, en effet, dans Victor Hugo intime (pag. 263): Cette mort... impressionna fortement le poète. Ce deuil fit, sur l'illustre vieillard, un effet qu'il cercha à se cacher à lui - méme. - Les morts, disait - il, ne sont pas absents: ils sont invisibles. - Mais son amie disparue semblait l'appeler de l'au delà de la tombe”.

                L'autore coglie nella lettera una seconda contraddizione sulla pretesa impossibilità della visita notturna (M. B., pag. 160). Scriveva la Lesclide nella lettera: Chez Victor Hugo on se mettait à table à 8 [453] heures; on en sortait vers 9h. 30, et ses hôtes ne le quittaient guère avant II heures ou IIh. 30. Cet ordre établi était invariable. Si vraiment ce régime était invariable, il est impossible d'admettre, selon le texte dicté par Don Bosco, que le poète ait été introduit auprès de lui à II heures du soir après trois heures d'antichambre”. Ma la signora Lesclide aveva scritto nel suo libro (pag. 300): “On sortait de table à 8 heures. Vers 9h.30, le maître fermait les yeux dans son grand fauteuil et ses hôtes prenaient congé”. E il nostro autore commenta: Cet horaire concorde avec la version salésienne. Il permet de penser que, ce soir - là, Victor Hugo s'absenta plus tót du repas et, à l'insu de ses commensaux, profita, comme Nicodème, des ténèbres propices pour se rendre incognito au numéro 12, rue Vill - l’Evêque où il fut recu après environ trois heures d'attente”.

                Nel 1902 la scrittrice aveva certo i ricordi più freschi che nel 1929!

                In nota il Lathour aggiunge. - Elle proclame que Victor Hugo était un pur déiste. Or, dans son livre, che  cite des propos du poète, d'où ressort à l'évidence qu'il croyait à l'intervention discrétionnaire de Dieu dans l'univers (cfr. Pag. 306 - 308).

 

XXI

 

Ricordo della prima Comunione.

 

                Abbiamo rinvenuto nella libreria di un vecchio parroco lombardo defunto una copia tarlata di questo Ricordo con la data manoscritta dei aprile 1863. Proviene dalla litografia dei F.lli Doyen di Torino. Una fantastica cornice con figure angeliche, indumenti episcopali, strumenti liturgici, fronde e fiori inquadra un testo che reca in luogo di firma la dicitura Un amico dei fanciulli; ma consta con certezza che questo amico dei fanciulli era Don Bosco. In alto la mensa con sopra il calice e l'ostia; intorno all'ostia, entro una larga raggiera, la scritta; Pane dal ciel disceso - Pane di vita eterna. In basso, entro un rettangolo sorretto da dite angiolini inginocchiati, il posto per il nome, del comunicante, la data, la chiesa, e più sotto l'esclamazione: Fu un vero giorno di paradiso! Ecco il testo:

 

RICORDO

DELLA PRIMA COMUNIONE

 

                O GIORNO BEATO! Sì, cari Fanciulli, e Ragazzine, tenetelo pur prezioso questo bel giorno. Anche un grande Generale ebbe a dire: Il più bel giorno di mia vita fu quello della mia Iª Comunione. Or, [454] volete gustare per tutta la vita le care delizie di un sì bel dì? Abbiatevi sempre sott'occhio il seguente

 

                MODELLO DI VIRTU' - Savio Domenico, morto or fa pochi anni, sin da ragazzo era sì buono, giudizioso e divoto, che venne ammesso alla

 

                PRIMA COMUNIONE ai 7 anni. Per conservare il frutto prezioso, e la cara memoria di un sì bel giorno scrisse sul suo libretto di divozione questi

 

                RICORDI. Mi confesserò sovente, e farò la Comunione quando il Confessore mi darà licenza. Voglio santificare i giorni festivi. I miei amici saranno Gesù, e Maria. Piuttosto la morte che far peccato.

 

                Leggete sovente questi Ricordi praticateli per tutta la vita. Beati voi! verrà un dì che godrete per sempre là su in Cielo le gioje, e le delizie della prima Comunione.

 

Un amico dei fanciulli.

 

PER LA REVISIONE DELLA PIA SOCIETÀ SALESIANA.

 

Visto: nulla osta alla stampa

 

                Torino 24 maggio 1939

Sac. RENATO ZIGGIOTTI

Cons. Scol. Gen.

 

 



[1] P. BROU in Etudes, 5 ott. 1938, pp. 122 - 123.

[2] Don Perotti, parroco di Moncrivello (Boll. Sal., agosto 1888).

[3] I Cor., IX, 22.

[4] Il P. Agostino da Montefeltro, che predicava la quaresima nel duomo, disse dal pulpito il 29 febbraio: Domani nella chiesa di S. Maria Ausiliatrice avrà luogo il funerale di trigesima pel vostro caro Don Bosco, e l'eminentissimo Cardinale Arcivescovo tesserà l'elogio di questo operoso Uomo della carità. Inutile quindi che io faccia la predica e anzi credo che sarete contenti che io pure mi unisca a voi per udire quanto ha fatto quell'Uomo apostolico ed ispirarmi al suo esempio ”.

[5] Giovanni Bosco e il suo secolo. Torino, Tip. Sal., 1888. Ne fu pubblicata la traduzione spagnuola a Buenos Aires, come vedremo.

[6] Ivi, pag. 81.

[7] Ivi, pag. 48.

[8] Vita intima di Don Giovanni Bosco nel suo primo Oratorio di Torino. Torino, Tip. Sal., 1888. Traduzione francese, Lille, Imprim. Salés., 1889.

[9] Ivi, pag. 20.

[10] Roma, Tip. Befani, 1888.

[11] Pag. 20.

[12] Il valoroso latinista Padre Angelini, gesuita, dettò per l'occasione quattro elegantissime iscrizioni latine. (App., Doc. I).

[13] Il suo discorso è rimasto inedito nei nostri Archivi.

[14] Sii mite e paziente e il Signore Gesù ti farà la grazia di volere e di potere. Il tuo cuore sia costantemente rivolto ai piccoli e ai bisognosi.

[15] Cfr. Mem. biogr., vol. VII, pag. 107.

[16] Casale, Tip. Giovanni Pane, 1888.

[17] Gazzetta di Casale, 10 marzo 1888.

[18] Torino, Tip. Sal., 1888.

[19] Padova, Tip. del Seminario, 1888.

[20] Sampierdarena. Tip. Sal., 1888.

[21] Pag. 22.

[22] Pag. 33.

[23] Pag. 37.

[24] Pag. 39.

[25] App., Doc. 2.

[26] Torino, Tip. Sal., 1888.

[27] Pag. 40.

[28] Torino, Tip. Sal., 1889.

[29] Pecetto 4 maggio 1889.

[30] Nice, Imprim. du Patronage Saint Pierre, 1888.

[31] Recuerdo de la solemne sesión necrológica celebrada por la Associación de Católicos de Barcelona en memoria de su esclarecido miembro de honor y mérito el R.mo P. D. Juan Bosco. Barcelona - Sarriá, Tip. de los Tall. Sal., 1888.

[32] Don Bosco y la caridad en las prisiones. Madrid, Tip. Hermández, 1888.

[33] Pp. 595 - 606.

[34] Mons. Lacerda a Mons. Cagliero: Noticie Bosco. Vescovo. Risposta: Bosco morío. Cagliero.

[35] App., Doc. 3.

[36] App., Doc. 4. Il testo originale in Bollettino spagnuolo, maggio 1888.

[37] Lettera all'Ispettore, 8 febbraio, pubblicata con la Oración funebre (Buenos Aires - Almagro, Tip. dei colegio Pio IX ”, 1888).

[38] El Conservador, 27 aprile.

[39] L'orazione fu pubblicata al seguito della traduzione spagnuola di quella dell'Alimonda (Buenos Aires - Almagro, Tip. Sal., 1888).

[40] Pag. 72. Le parole della lettera di Don Bosco citate sopra, sono da Don Jara riferite a pag. 99.

[41] Lett. di Don Rua a Don Bonetti. Roma, 20 febbraio 1888.

[42] Torino, 19 marzo 1888.

[43] App., Doc. .5.

[44] App., Doc. 6.

[45] App., DOC. 7. Iuramentum calumniae (sott. evitandae in causa) è formula giuridica mutuata dalle cause civili; con essa s'intende di escludere ogni frode nell'intentare e nel sostenere una lite.

[46] Un decreto della Congregazione dei Riti del 26 agosto 1913, accolto nel Codice di Diritto Canonico, stabilisce oggi che tale titolo venga concesso ai Servi di Dio soltanto dopo che sia stato riconosciuto l'eroismo delle virtù.

[47] Lettera di Don Conelli a Don Rua. Roma, 25 luglio 1907.

[48] Questa cassa era in buono stato, perchè sostituita alla precedente nel 1904 in occasione dell'apertura, di cui si parla poche righe più innanzi.

[49] Cfr. vol. XVI, pp. 320 - 9.

[50] Tra l'altro, si desideravano maggiori prove sulla vita di preghiera e sullo spirito profetico di Don Bosco e maggiori schiarimenti sulla questione dei famosi opuscoli (cfr. voi. XV, p. 227 sgg.). Per le prime due cose è in atti un'importante lettera di Don Rinaldi (App., Doc. 8); per la terza ebbero gran peso la lettera di Don Bosco al Cardinale Prefetto del Concilio pubblicata nel vol. suddetto, una del Canonico Sorasio (App., Doc. 9) e un'altra di Don Turchi (ivi, Doc. 10).

[51] Lettere di Don Tomasetti a Don Gusmano, segretario del Capitolo Superiore. Roma, 5 e 27 giugno 1928.

[52] Parole proferite dal Santo Padre nel discorso ai giovani dell’Ospizio del S. Cuore di Gesù a Roma (25 giugno 1922).

[53] L'Osservatore Romano. 15 marzo 1933.

[54] Lettera di Monsignore a Don Filippo Rinaldi. Campos, 26 gennaio 1929.

[55] Su Don Bosco e la Conciliazione un Numero Unico pubblicato dai Salesiani di Roma il 2 giugno 1929 conteneva un articolo importante del Marchese Filippo Crispolti, Senatore del Regno (App., Doc. II).

[56] Sustollunt humeris festo clamore Ioannem

Ludentes iuvenes, quos alit unus amor.

[57] Ognuno dei quadri portava la sua leggenda. Uno: Domina Teresia Callegari laborans polyarthrite acuta infectiva, cui graves alii morbi accesserunt, opem famuli Dei Ioannis Bosco, Institutoris Piae Societatis Salesianae fidenter invocat; illico et plene convalescit. L'altro: Soror Provina Negro invocato patrocinio Venerabilis famuli Dei Ioannis Bosco, fundatoris Piae Societatis Salesianae, ab ulcere rotundo stomachi illico ac perfecte sanatur.

[58] Qui c'è un po' di confusione. Il corpo fu esposto nella chiesa di San Francesco, ma il funerale fu celebrato nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Inoltre, i centomila cittadini e tutti gli altri, assistettero non al funerale, ma al trasporto funebre.

[59] Ingrediens templum Bosco venerare Ioannem,

Quem Pius undecimus sancta regnator in urbe

Rite Beatorum fastis adscripsit et ipsum

Exora, ut Stygio tueatur ab hoste iuventam,

Protegat Italicam gentem, quae reddita Christo

Huic immortali Regi det munia laudis.

[60] Il reliquiario era lavoro in cesello del professor Galli. Culminava nella riproduzione del gruppo superiore del monumento di Don Bosco, che sorge a Torino sulla piazza di Maria Ausiliatrice. Alto 47 centimetri era d'argento con le parti ornamentali in metallo dorato. Poggiava il gruppo su doppio basamento. Il basamento in piano, quadrato, aveva ai lati eleganti scorniciature a rettangoli, ove, in lastrine d'argento cesellate, figuravano la Basilica torinese di Maria Ausiliatrice e quella romana del Sacro Cuore; di qua e di là due gruppi, uno di fanciulli con un Salesiano, l'altro di fanciulle con una Figlia di Maria Ausiliatrice. Al secondo piano dei basamento, a forma piramidale tronca, gli stemmi di Pio XI e della Società Salesiana fra testine di serafini con intrecci di gigli e rose, simboli della purità e della carità, e intrecci di quercia, simboli di fortezza. Vi comparivano pure la casetta nativa di Don Bosco e il primo sogno. Serafini con turiboli completavano l'ornamentazione, accompagnata da una scritta ricordante l'avvenimento della beatificazione. Anteriormente, sotto il gruppo, un piccolo vano ovale custodiva la teca della reliquia.

[61] Lett. di Don Tomasetti a Don Rinaldi. Roma, 22 maggio 1929.

[62] Lett. del med. al med. Roma, II giugno 1929.

[63] Quad. del 6 luglio 1929, pag. 75.

[64] Lo commentò assai bene Il Momento. (App., Doc. 12).

[65] Il cofano era stato eseguito su disegno del Salesiano architetto Valotti dagli allievi di S. Benigno Canavese. Quattro putti alati, ritti ai quattro angoli sul risalto della cornice che divide l'urna dalla sua base, sorreggono un festone di simbolici frutti. Al centro dei lati sulla cornice che corona l'urna, campeggiano a destra lo stemma di Pio XI e a sinistra lo stemma Salesiano, annodati entrambi da, nastri all'inizio dei detti festoni. Chiudono i lati maggiori e minori quattro cristalli, che permettono di vedere completo il corpo, rivestito nel modo già descritto. Sormonta l'urna un coperchio mobile a profilo convesso, tutto intagliato a squame con boccioli ai quattro spigoli, e limitato in alto da due listelli e un cordone. La base, divisa dal corpo dell'urna e a grande gola diritta, reca alle due estremità i piccoli stemmi dei Salesiani e delle Suore con ricchi festoncini di edera abbarbicantisi, quale simbolo della riconoscenza degli ex - allievi e delle ex - allieve. D'ambo i lati la gola ha lussureggianti motivi floreali, intercalati da medaglioni con teste di serafini. Nei riquadri palme, rose, gigli, olivo, quercia simboleggiano la gloria, la carità, la purezza, la bontà, la fortezza, preclare virtù del Beato. Foglioni d'acanto ornano gli spigoli della gola, chiusa sotto da un tortiglione e da un listello. Questa base poggia su quattro robuste zampe di leone, simbolo di solidità dell'Opera del Beato.

[66] Di queste Messe dei due Salesiani scrisse con superiore competenza il Maestro Tebaldini. Le sue recensioni rimasero purtroppo inedite; ma non debbono andare perdute (App., Doc. 13).

[67] La Gazzetta del popolo, 10 giugno.

[68] L'Italia di Milano, 14 giugno.

[69] Sembra che il Santo Padre alludesse a un articolo del Bollettino Salesiano di luglio (pag. 2 15) intitolato "La nuova Missione di Saharanpur ".

[70] App., Doc. 14.

[71] Le parole virgolate sono de L'Osservatore Romano (2 - 3 aprile 1934).

[72] Titolo ereditario nella famiglia dei Principi Massimo. Nel tempo in cui si viaggiava in carrozze, il soprintendente alle poste pontificie aveva l'ufficio di far trovare al Papa in ogni tappa o posta tutto l'occorrente per la fermata e la prosecuzione del viaggio.

[73] Il testo latino delle tre risposte è in App., Doc. 15.

[74] App., Doc. 16.

[75] La Messa di S. Giovanni Bosco fu composta da Don Ubaldi.

[76] Il testo latino, in App., Doc. 17.

[77] Il giulio fu una moneta d'argento coniata la prima volta da Giulio II (1503 - 13). Valeva 56 centesimi di lira.

[78] Il colombo arrivato era della razza Bricoux. Portava il numero 65.299. Nel 1933, lanciato alle cinque da Priverno (Napoli) era giunto in serata a Torino. Nel caso nostro, i due messaggeri, lanciati poco prima di mezzodì, erano stati colti dalla notte prima di raggiungere la mèta. Si sa poi che di notte i colombi non viaggiano. Il cattivo tempo li aveva obbligati a cercar riparo, arrestando il volo.

[79] Non vi furono però altri incontri dopo il 1883

[80] Kal. Apr. MCMXXXIV - quo die - Jesu Christo resurgenti sacro - Pius XI - summum Divinae Mentis interpres - humanae Redemptionis - saecularia conclusurus mysteria - gentibus ex orbe universo confluentibus Joannem Bosco - Salesianae Piae Societatis - el Filiarum a Maria Auxiliatrice - Patrem legiferus - Sanctorum Ordinibus adserebat - ad perennandam tanti eventus memoriam - hoc in templo - ipsius Pontificis voluntate excitato - prope ephebeum eius nomine decorum - Salesianorum familia - grati ac gestientis animi documentum - D. D.

[81] Questo narrò il Cardinale Segura a Don Orione e Don Orione al salesiano Don Zaccaria Genghini in America il 30 dicembre 1935. Il 3 agosto

1938 Pio XI parlò di Don Bosco a Mons. Cimatti in una privata udienza, ripetendo cose già da lui dette altre volte sulla vocazione, da cui Don Bosco aveva creduto di essere chiamato a diventare scrittore specialmente di storia, ma che aveva abbandonata a motivo della sua impreparazione scientifica. Il Papa disse d'avergli allora risposto: - Mi pare che Don Bosco sia più che preparato a questo genere di lavori. Conosco un libro in cui Don Bosco dimostra solida preparazione mentale per questo ed altri generi di lavori. - E quale? - interrogò il Santo. - Il suo libro della Storia d'Italia. Allora Don Bosco modestamente, disse il Papa, deviò il discorso. Ciò narrato, il Pontefice conchiuse con queste testuali parole: - Povero Don Bosco! Come aveva veduto bene nel mio avvenire!

[82] L'Osservatore Romano, 6 aprile.

[83] L'Oss. Rom., 7 e 8 aprile.

[84] L'Oss. Rom. 24 maggio e 30 - 31 luglio.

[85] Bulletin Salésien di giugno.

[86] L'Oss. Rom., 9 - 10 aprile.

[87] Ivi, 21, 23 - 4, 30 - 31 luglio.

[88] L'Oss. Rom., 4 - 5 giugno e 9 agosto.

[89] L'Oss. Rom, 15 aprile.

[90] L'Oss. Rom., 17 giugno.

[91] L'Oss. Rom., 24 giugno.

[92] L'Oss. Rom, 7 - 8 e 10 maggio; 27 giugno; 13 luglio

[93] Ivi, 17 maggio.

[94]L'Oss. Rom., 11 - 12 giugno.

[95] L'Oss. Rom., 28 - 29 maggio; 3 giugno.

[96] Archiginnasio (Bologna, Maggio - Giugno 1934): É questa una delle più interessanti e significative composizioni di musica sacra uscite alla luce in questi ultimi tempi. In essa emergono in sommo grado quei caratteri stilistici e quelle forme originali che abbiamo avuto occasione di mettere in rilievo esaminando altre composizioni dello stesso Autore. Si può dire anzi che questa Messa rappresenta l'estrinsecazione totalitaria della forza creativa e della padronanza tecnica dell'Autore [ ... ]. Si tratta di un'opera che segna una reale impronta di originalità e di novità nel quadro della musica sacra moderna e che rivela intendimenti e concetti degni di considerazione e di ammirazione ”.

[97] L'itinerario, che aveva un circuito di 5.300 metri, era il seguente:

Santuario di M. A. - Corso Regina Margherita.

Corso Regina Margherita - Angolo Via Consolata.

Angolo Via Consolata - Piazza Cittadella.

Piazza Cittadella - Corso Oporto.

Corso Oporto - Corso Re Umberto.

Corso Re Umberto - Piazza Solferino. Piazza Solferino - Angolo Via Pietro Micca. Angolo Via Pietro Micca Via XX Settembre. Via XX Settembre - Cattedrale.

Cattedrale - Angolo Corso Regina Margherita.

Corso Regina Margherita - Maria Ausiliatrice.

[98] Versi di Don Rastello, musica di Don Pagella. App., Doc. 18.

[99] Il Regio Provveditore agli Studi A. Mondino, in una sua circolare ai Presidi e Direttori degli Istituti medi aveva scritto: “Desidero che la Scuola torinese, cui è particolarmente cara la figura del Grande Educatore, partecipi al rito di Fede, inviando una rappresentanza dei propri alunni e di professori, con bandiere, al corteo ”.

[100] Memorie Biografiche, vol. I, p. 288.

[101] Il testo latino in App., Doc. 19.

[102] L'Avvenire d'Italia, 9 gennaio 1936.

[103] L’Osservatore Romano, 3 giugno 1938.

[104] Per la descrizione tecnica dell’ampliamento e dell’altare di Don Bosco, si possono vedere due articoli di Don Caviglia, pubblicati prima ne L’Osservatore Romano del 3 e del 4 – 7 giugno 1938 e poi dall’autore fusi in uno per il Bollettino di agosto.

[105] Memorie Biografiche, vol. VII, p. 651.

[106] Bollettino Salesiano, gennaio 1939.

[107] Mons. Emiliano Manacorda, Vescovo degnissimo di Possano in Archidiocesi di Torino, dovette, a quel tempo, chiedere alla S. Sede – e lo ottenne di non dipender più da Mons. Gastaldi, suo Metropolitano.

[108] Dico miracoli già ammessi da tempo in altre Diocesi.

[109] Il Vescovo d'Acqui ha la sua villa a Strevi.

[110] Allora i chierici ascritti e studenti stavano nell'Oratorio.

[111] Don Giovenale Bonavia, santo e colto salesiano, morto nella casa di Battersea a Londra.




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