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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

EPISODI AMENI E CONTEMPORANEI RICAVATI DA PUBBLICI DOCUMENTI

 

TORINO

TIP. DELL’ ORAT. DI S. FRANC. DI SALES.

1864. {1 [117]} {2 [118]}

 

 

 

[è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco

 

 

 

 

INDEX

Episodio I. Il segno della santa Croce. 2

Episodio II. Capo I. Cenno sulla vita di Gio. Enrico Reher. 3

Episodio II. Capo II. Il miracolo della Madonna di Re nella Valle Vigezzo, e conversione di Enrico. 4

Episodio II. Capo III. Premura di Giovanni Enrico nell’ istruirsi e prepararsi alla sua riconciliazione. 6

Episodio II. Capo IV. Abiura e Battesimo. 6

Episodio III. Le Suore di Carità non possono esistere che nel Cattolicismo. 7

Episodio IV. Una buona lettura. 8

Episodio V. Una doppia elemosina. 8

Episodio VI. Atto eroico d’ una giovinetta. 9

Episodio VII. La lettura della passione di Gesù Cristo. 10

Episodio VIII. Il miglior modo di far orazione. 10

Episodio IX. La ghinea dei poveri Irlandesi a Pio IX. 11

Episodio X. Il Maresciallo d’ alloggio che arrestò Pio VII convertito da un Cardinale Arcivescovo. 11

Episodio XI. Brevi cenni sulla vita del canonico Giuseppe Cottolengo. 12

Episodio XII. Il segno della santa Croce  15

Episodio XIII. Un frutto della Confessione. 15

Episodio XIV. Il Coscritto. 15

Episodio XV. La Corona. 16

Episodio XVI. I tre Pater noster. 16

Episodio XVII. La vigilia del mese di maggio. 17

Episodio XVIII. Un piccolo seminario salvato dall’ incendio. 17

Episodio XIX. I cattivi libri sentenziati da una fanciulla. 18

Episodio XX. Una predica del Vescovo d’ Orlèans. 19

Episodio XXI. La morte d’ un taglialegna. 19

Episodio XXII. Il Papa e l’ Eucaristia. 22

Episodio XXIII. Un assassinio fallito per intercessione della Madonna d’ Oropa. 24

Episodio XXIV. Pio IX ed un contadino Brettone. 25

Episodio XXV. Risposta d’ un Pastorello. 26

Episodio XXVI. Bontà del nostro S. Padre, Pio IX. 26

Indice  26

 


Episodio I. Il segno della santa Croce.

 

            Raccontiamo un fatto che ha un intiero paese per testimonio; dobbiamo soltanto tacere il nome del luogo ed il cognome delle persone pei motivi che da questo medesimo racconto ognuno può argomentare.

            Non è gran tempo che un giovanetto partiva da una casa di educazione e si recava in patria per passarvi le vacanze pasquali. Giunto a casa, all’ ora di mettersi a mensa, secondo che era stato ammaestrato, egli fa il segno della santa Croce e la solita preghiera che i buoni cristiani sogliono fare prima e dopo il {3 [119]} cibo. A quell’ atto religioso un suo fratello assai maggiore di età comincia a motteggiarlo, gettando mille spropositi in fatto di religione, e dopo varie domande e risposte si tenne fra di loro questo discorso:

            - Come tu, o Francesco, (tale era il nome di quell’ allievo), tu che sei andato a scuola e che pretendi saperne tanto, ti lasci ancora dominare da questi pregiudizi?

            - Caro Domenico, (così chiamavasi il fratello maggiore), non sono pregiudizi, ma sono pratiche religiose, che ci furono insegnate dai nostri genitori, dai nostri maestri, dal nostro parroco.

            - Queste sono favole, e le favole non sono più pei nostri tempi; mettiti a mangiare e lascia a parte queste anticaglie.

            - Io non so dove tu abbia imparato queste brutte maniere di parlare. Io trovo che sono cose ragionevoli, il catechismo ci dice che dobbiamo fare il segno della santa Croce prima e dopo il cibo, e trovo questa pratica ragionevolissima; {4 [120]} perciocchè gli animali soltanto mangiano e bevono senza mai badare al loro Creatore. Ma noi non siamo bestie, siamo creature ragionevoli, noi dobbiamo riconoscere la santa mano del Creatore in ogni opera e in ogni momento del giorno e specialmente quando andiamo a ricevere gli alimenti che Dio ci dà per conservare questa vita, che Egli eziandio ci ha donata e che ad ogni momento ci può togliere.

            - Giacchè tu dai tanto peso a queste inezie facciamo così: tu fa il segno della santa Croce, io mangerò la tua pietanza, dopo vedremo chi sarà più benedetto e chi avrà meglio pranzato.

            - Come vuoi, e, se così ti piace, io rinuncio volentieri alla mia pietanza affinchè tu mi lasci in libertà di compiere i miei doveri religiosi.

            Mangiarono l’ uno soltanto minestra e pane, l’ altro mangiò per due. Nel corso di quella giornata, Francesco fu oggetto di burla al fratello e ad altri suoi compagni malamente educati. {5 [121]} La sera all’ ora di cena Domenico disse di nuovo al fratello: Siamo intesi, tu farai il segno della santa Croce, pregherai a piacimento, ed io farò la mia preghiera mangiando la tua pietanza.

            - Non m’ importa il cederti un po' di pietanza, ma mi rincresce poi, che tu abbia così perduta la religione. Credimi, o fratello, io ne sono profondamente addolorato; che se tu non vuoi praticarla, almeno non burlartene, poichè il mio superiore mi ha detto e più volte ripetuto, che col Signore non si burla, e che la religione è una spada a due tagli che ferisce chiunque tenta d’ impugnarla. Credimi, col Signore non si burla.

            - Bene, bene, tu mangi le mie preghiere, ed io mangierò le tue pietanze.

            Cenarono ambidue; ma quale non fu la meraviglia, quando videsi entrare in casa buon numero di compagni che si unirono a Domenico per burlare il fratello Francesco di quanto aveva fatto. Io non voglio qui ripetère {6 [122]} le scempiaggini degli ani e le salde risposte date dall altro. Dico solo le cose essere giunte ad un punto che tutti insieme schiamazzarono contro di Francesco, mentre il povero giovane non poteva più dire altro se non che: col Signore non si burla.

            Giunsero intanto le dieci ore di sera, ma quando i compagni erano per partirsene, Domenico fa intendere di sentirsi alquanto male. Tutti si fermano, gli prestano i servizi che possono, e tornando inutile ogni cosa o portano a letto. Violente convulsioni lo assalgono, acutissimi dolori d’ intestini lo costringono a mandare grida spaventevoli. I compagni sono sbalorditi, la stessa vedova madre, che pure era assai trascurata nelle cose di religione, non sapeva che dire e mandò tosto pel medico. Francesco soltanto si avvicina al fratello e gli dimanda se è contento, che esso vada a chiamare il Parroco. Facendo segni di furia gli minaccia uno schiaffo e per un momento lo respinge dal {7 [123]} letto; ma tosto lo chiama e fa segno che vada presto dove aveva detto.

            Giunsero poco dopo quasi contemporaneamente il Parroco ed il Medico; ma Domenico era già cadavere. Egli era stato soffocato dalle convulsioni e da una rottura al petto. Le ultime sue parole furono queste: Compagni, non disprezzate mai la religione, col Signore non si burla, io muoio percosso dalla mano del Signore in castigo della mia intemperanza e delle bestemmie proferite contro di Lui.

            Speriamo che questo giovane sia spirato nella misericordia del Signore. Fu per altro una terribile lezione a quei compagni, che non giudicarono di fare opera migliore, se non coll’ andare al più presto possibile ad un convento di cappuccini per confessarsi e fare la loro Pasqua.

            Il buon Francesco piange tutt’ ora la morte del fratello, e prega ogni giorno pel riposo dell’ anima di lui. Mentre per altro cresce nella scienza e nel timor di Dio, si mostra ognora più coraggioso senza mai badare a {8 [124]} dicerie mondane quando trattasi dell’ adempimento dei doveri di un buon cristiano.

 

 

Episodio II. Capo I. Cenno sulla vita di Gio. Enrico Reher.

 

            Giovanni Enrico Reher nacque nell’ Holsthein in Danimarca da genitori luterani, che con ogni cura congiuntamente ai loro ministri e maestri l’ educarono nella loro religione. Fino all’ età d’ anni sedici l’ occupazione sua principale era lo studio di essa ed in modo speciale della Sacra Bibbia, che anche oggidì nell’ anno suo trigesimo terzo sa in gran parte a memoria. Nell’ anno decimo sesto fu ammesso, secondo la consueta cerimonia solita ad usarsi da' suoi correligionari, alla comunione; dopo di che, esercitato per un anno l’ uffizio di maestro di scuola, si diede alla professione di legnaiuolo.

            Giovanni Enrico trasmigrò dalla patria nel 1844, e si recò nel Vallese {9 [125]} ad esercitarvi l’ arte sua presso un suo zio convertitosi dal protestantismo al cattolicismo. Questo uomo rattiepiditosi a poco a poco dal primo fervore si era dato in balìa al vizio dell’ ubbriachezza, e ad altro vizio più abbominevole che Enrico non mai volle nominare. Tale pessima condotta osservata nello zio ed in alcuni altri cattolici lo teneva sempre più alieno ed avverso ai sentimenti di conversione per tal maniera, che non volle neppure arrendersi alla promessa fattagli dallo zio di lasciarlo erede di tutte le sue sostanze. In questo frattempo fu soprappreso da una grave malattia, e accostatosi a lui un sacerdote cattolico lo interrogò a che religione apparteneva. A cui Enrico rispose bruscamente e con istizza: sè essere luterano. Il buon prete cercò maniera di convertirlo. Ma ben presto s’ avvide che gettava le parole senza pro' ; perchè Enrico dopo alcune risposte severe voltò altrove la faccia, nè oltre parlò. Scrisse più volte alla madre sua, che non avrebbe abbandonata {10 [126]} la sua setta per qualunquesiasi cosa del mondo; e la madre non cessava per lettera di tenervelo fermo, esortandolo a non dar retta agli inviti dei cattolici, ed istruendolo nei pregiudizi che i protestanti ritengono contro la Romana Chiesa. Egli era tuttora in queste disposizioni d’ animo, allora che parti dal Vallese per recarsi a Domodossola. Giovanni Enrico essendo d’ animo risentito e pronto, venuto una volta a contesa collo zio, prodotta in parte dal vizio dell’ ubbriachezza, a cui lo stesso zio erasi anima e corpo abbandonato , erasi determinato di lasciarlo. Stabilitosi in Domodossola esercitovvi la sua professione per lo spazio di sette anni. In questa città trovò chi die' pascolo alla sua curiosità e al suo amore per la lettura; ma pascolo funesto, pascolo dannosissimo, pascolo empio. Ègli si diede a leggere con ardente avidità libri i quali erano pieni zeppi di errori, distruttori d’ ogni fede, corruttori d’ ogni morale, e conducenti all’ incredulità. Dalla {11 [127]} lettura di questi libri il nostro povero Enrico ricavò funestissimo frutto. Quante volte ne pianse poi di dolore! Abborriamo, o lettore, da libri si perniciosi; ed ove non abbiamo abbastanza discernimento a conoscere quali siano i proibiti libri consultiamo prima di leggerli persone dotte e pie, e cosi non ci pentiremo poi di essere stati senza accorgerci ingannati. Gio. Enrico benchè un po' sdegnoso era adorno di belle naturali virtù. Trovandosi egli in viaggio senza pane e senza denari, entrò in una città e domandò sussidio da alcuni cittadini che gli furono larghi a sufficienza per ristorarlo per tutta quella giornata. Enrico di ciò lieto proseguiva cantarellando il suo cammino, quando s’ imbattè in un povero che fattoglisi innanzi chieselo di elemosina, a cui rispose dolcemente e ridendo, che mal si era abbattuto; lui non avere un soldo. Ma in pari tempo frugatosi nelle scarselle vi rinvenne ancora cinque centesimi che subito donò al vecchierello, pago assai d’ aver avuto {12 [128]} di che consolare quell’ infelice. Di tali ed altre belle doti d’ animo era fregiato, fedele nel suo servizio, leale, incapace d’ ingannare, superiore e indipendente da certi rispetti umani, che fanno piegare l’ animo di alcuni miserabili di sua condizione a seguir l’ impulso de' libertini che li conducono all’ empietà. E di ciò diede saggio a Domo allorchè da monelli di quella città, spinti e pagati da non si sa chi, fischiavasi in pubblica piazza l’ Eccellentissimo Vescovo della Diocesi; egli sgridò e rimproverò coloro che osavano fare un tale scandalo dicendo: Che se non volevano rispettare la persona, avessero almeno riguardo al carattere.

            Vedi, o cristiano, il bell’ esempio che ci dà un protestante! onoriamo anche noi i ministri del Santuario chiamati dal Signore la pupilla de' suoi occhi. Se ami Iddio, rispetta il suo ministro. {13 [129]}

 

 

Episodio II. Capo II. Il miracolo della Madonna di Re nella Valle Vigezzo, e conversione di Enrico.

 

            Correva l’ anno 1494, undecimo dell’ età di Martino Lutero; allorchè Maria volle far mostra quanto amasse l’ Italia, le valli circostanti alla Valle Vigezzo, ed in modo specialissimo i popoli di Vigezzo. La verità di un avvenimento cosi straordinario è constatata e resa evidente dal seguente processo giudiziale, che io qui intendo tradurre letteralmente dal testo latino. Da esso si vedrà come Maria ha veramente e miracolosamente messo vivo sangue dalla sua Immagine, essendo i testimonii sottoscritti all’ originale degni di tutta fede, perchè non rozzi, non soli religiosi, ma eruditi e gravi secolari.

            «Dio glorioso, e nostro Signore Gesù Cristo, e la grazia dello Spirito Santo degninsi d’ illuminare i cuori di coloro che descrivono si grandi {14 [130]} prodigi. Sul muro esterno della chiesa di s. Maurizio nel villaggio di Re, Valle Vigezzo, Diocesi di Novara, sotto il portico della stessa avvi un’ Immagine della Vergine gloriosa Maria, già da molti anni dipinta, coll’ immagine parimenti dipinta del suo Unigenito Figlio, che posa nel grembo della Vergine stessa. Questa Immagine della Vergine nell’ anno del Signore 1494 in giorno di martedì 29 aprile cominciò a spargere sangue dalla fronte bagnando il volto della Vergine e del suo Figlio Unigenito. Lo stesso sangue usci per più giorni dallo stesso luogo della fronte a bagnar le Immagini stesse della Vergine e dell’ Unigenito, e molte gocce caddero sulla terra sopra un pannolino, e in un calice sottoposto al luogo dove cadevano le gocce di sangue, che spirò un odore meraviglioso. Divoratasi la fama delle maraviglie sopra narrate nei paesi della Valle Vigezzo, il commendevole personaggio D. Daniele DeCrespi patrizio Milanese, Podestà di detta Valle, con {15 [131]} tutti i Chierici e nobili, e altri nomini de' luoghi della Valle, si recarono al luogo della Chiesa, dove vedesi dipinta l’ immagine, per esaminare l’ accaduto. Esaminarono infatti l’ Immagine, e il sangue che appariva sparso dalla fronte dell’ Immagine stessa, e che continuava vedersi miracolosamente. Il sullodato Podestà, e gli altri Chierici e nobili personaggi, esaminarono primamente i muri della Chiesa e le singole parti di essi onde conoscere, se mai quell’ emanazione fosse composta ad arte, e toccarono con mano, che quel sangue non per arte alcuna, ma per miracolo appariva e usciva dalla fronte dell’ Immagine. E perchè si vede il luogo alquanto ripercosso, il sovracennato Podestà, il quale ebbe conoscenza, che un certo Giovanni Zunoni nello stesso giorno di martedì aveva scagliato un sasso contro quell’ Immagine prese alcuni testimonii per mezzo di Pietro Balcone, Notaio e Cancelliere del Podestà, che facesse fede delle cose narrate più sopra. {16 [132]} Tennero parimenti dietro segni, prodigi e miracoli registrati nella stessa chiesa. E sebbene il villaggio di Re, dove si venera l’ immagine sia all’ intorno cinto di selve, e gli abitanti ne sieno poverissimi, intrapresero tuttavia a fabbricare in lode ed onore della Vergine un tempio sontuoso, che non polendo per la loro povertà condurre a fine, sono costretti ad implorare soccorso dai Fedeli cristiani.»

            L’ immediato successore del Crespi fu il dottore Angelo Romano, a cui sulle prime parve tanto incredibile, che un’ Immagine dipinta sul muro potesse spargere vivo sangue, da non voler se non dopo molte istanze, recarsi sul luogo per assicurarsi della veracità del fatto. Recatosi tuttavia vinto dall’ importunità di molti, e fermatosi dinnanzi all’ Immagine sacrata, fu talmente commosso a divozione, che non potè tener le lagrime; parendogli, dice egli, di essere ripreso di durezza e d’ incredulità. Dopo che ebbe con somma accuratezza osservato {17 [133]} per iscoprire se ciò fosse derivato da malizioso umano artifizio, rese pubblico elogio e testimonianza al miracolo, la quale testimonianza conservasi pure in carta pergamena nella suddetta chiesa parochiale. Fra i Vescovi della Diocesi Novarese che specialmente promossero la divozione alla Madonna di Re, devesi far menzione del venerabile Carlo Bessapè, il quale per mezzo dei Vicari foranei, invionne a tutti i preti l’ immagine venerata. I sommi PP. Clemente IX, Pio VII, Leone XII e Gregorio XVI concedettero indulgenze plenarie e parziali a coloro che visiterebbero il Santuario della Beata Vergine di Re. La sacra Congregazione de' Riti già dal 5 settembre 1839 concedette la facoltà di celebrare la festa nel giorno 30 aprile con officia e messa di rito doppio maggiore. E per ultimo sua Eminenza il Cardinale Morozzo vescovo di Novara di felice memoria, incoronò nel giorno 5 agosto 1824 la sacra Immagine, e concedette 100 giorni  d’ indulgenza a chi visiterà il {18 [134]} Santuario nel dì 24 giugno o fra la sua ottava[1].

            Per tale prodigio i popoli della Valle Vigezzo si accesero di una filiale tenerissima divozione verso Maria. Testimonio ne è il voto che le popolazioni della Valle fecero di recarsi a Re ogni anno il giorno 23 aprile onde ringraziarla di altro segno manifesto di suo patrocinio.

            I Giacobini francesi non sazii di avere immersa l’ intera Francia nell’ orrore dell’ anarchia, di averla allagata di sangue, coperta di stragi, guardavano con occhio minaccioso le belle contrade d’ Italia. Già nel 1798 erano per piombare in Vigezzo a riversarvi dopo il saccheggio tutta l’ empietà della loro irreligione. I Vigezzini non credettero aver altre armi ad opporre che un filiale ricorso a Maria. E Maria? Maria arrestò la sciagura che li minacciava, e i {19 [135]}

            Vigezzini furono salvi dall’ empietà, dall’ errore.

            Correva il giorno 24 aprile del 1854. In tale giorno e non nel 23, a motivo della domenica, le popolazioni di tutte le parochie di Vigezzo si recarono processionalmente a Re per sciogliere il voto sovranarrato, come pure per ottenere la pioggia sulle campagne arse dalla siccità. Giovanni Enrico, che, come più volte raccontò egli stesso, non credeva ai miracoli della Madonna, e stimava peccato l’ invocarla, colla processione di Vogogno recossi al detto Santuario, condottovi da sola curiosità. Colà giunto entrò in chiesa; vedeva i circostanti all’ altare, che divotamente pregavano; ammirava la divozione esemplare di un parroco che all’ altare di Maria celebrava la messa; ma non vedeva l’ Immagine sacra. Maria però vedeva lui, e si preparava a fargli la più segnalata grazia, quella della sua conversione. Non sapendo Enrico dove fosse l’ Effigie della Beata Vergine esci di chiesa, e pregò un uomo che gliela additasse. Rientrarono {20 [136]} ambidue, fissò l’ Immagine miracolosa, una luce nuova ed insolita gli folgoreggia nell’ animo; ciò che prima a lui pareva peccato or non è più; s’ inginocchia e vi recita una preghiera. 0 Maria come siete grande! Sentesi tutto intieramente commosso; cessa l’ avversione a farsi cattolico; pensieri di conversione occupano tutta la sua mente; ogni sforzo da lui adoperato per discacciarli riesce vano, trionfa la grazia; egli è in suo cuore cattolico. Meditabondo più che mai per più giorni non sapeva a che partito appigliarsi; infine per trovar riposo al suo cuore cerca di un prete cattolico, che l’ istruisca, da cui prima tanto fuggiva.

 

 

Episodio II. Capo III. Premura di Giovanni Enrico nell’ istruirsi e prepararsi alla sua riconciliazione.

 

            Il padrone di Enrico addossatasi la caritatevole premura, condusselo da un sacerdote a cui candidamente {21 [137]} apri la sua ferma risoluzione di rendersi al cattolicismo. Dichiarò più volte non esser mira d’ interesse temporale che lo determinasse ad un tal passo, ma l’ unico desiderio di salvar l’ anima sua. Esposti i primi pregiudizi, dei quali era stato dall’ infanzia imbevuto e nei quali era in questi ultimi tempi confermato dai cattivi cattolici, e convinto della loro futilità ed insussistenza, si fece ad esaminare dietro le spiegazioni dategli, i caratteri ed i segni della vera Religione. La mancanza di unità nella Fede per le continue variazioni da diversi capi riformatori introdotte, la privazione di un capo supremo, che visibilmente regga la chiesa riformata, furono gli argomenti più convincenti che l’ indussero a rigettare come falsa la Chiesa luterana e tutte le altre nate da lei, e a credere più che mai fermamente che la vera Chiesa di Cristo era la Cattolica Romana, che unica possiede l’ unità della fede, unica ha un capo supremo nel successore di s. Pietro, il Romano Pontefice, Vicario di Gesù {22 [138]} Cristo sulla terra. Egli si diede a studiare la nostra santa Religione con un zelo particolare; non omise difficoltà che occorressegli alla mente; anche in mezzo al lavoro pregava e rimetteva sulle cose udite. Il tempo di riposo lo spendeva nella lettura di libri cattolici, e nello studio del Cattolicismo. Per brama di vie più istruirsi si privava perfino in parte del sonno dopo le giornaliere fatiche alle stanche membra necessario. In somma, tanto fu l’ impegno da lui  messo in opera per addottrinarsi ne' due mesi e mezzo avanti la sua abiura, che ne soffri nella salute, e fu d’ uopo consigliargli moderazione. Nè fermavasi solo la cura sua nell’ imparare le verità di nostra santa Religione, ma con più ardore disponevasi a ricevere con frutto i ss. Sacramenti. Dal giorno di sua conversionein poi si astenne dall’ uso di liquori che soleva prima bere oltre misura, si privò dei giuochi, non usò più all’ osterie, si diede all’ orazione. I giorni festivii li impiegava nelle pratiche di divozione, e nelle letture di {23 [139]} divozione e nella lettura spirituale. Nella chiesa trattenevasi con tale modestia, attenzione e raccoglimento che i vicini l’ osservavano pieni d’ ammirazione.

 

 

Episodio II. Capo IV. Abiura e Battesimo.

 

            Intanto si avvicinava il tempo di sua riconciliazione colla nostra santa Cattolica Chiesa. Esaminato da un Reverendo Padre dell’ Istituto di Carità, come intelligente della lingua tedesca, da monsignor Vescovo di Novara appositamente delegato, fu giudicato istrutto e disposto a ricevere i Sacramenti. Di ciò informata sua Eccellenza con decreto del giorno 6 luglio dell’ anno 1854, delegò il molto reverendo teologo D. Carlo Bombasotti, arciprete di Craveggia, perchè ne ricevesse l’ abiura, e gli conferisse il Battesimo sotto condizione. Fu designato a compiere {24 [140]} una funzione cosi solenne, commovente e consolante per la Religione nostra santissima il giorno 16 di detto mese, sacro a Maria Vergine sotto il titolo del Carmine, che correva in Domenica. La Chiesa parochiale solennemente apparata, il Municipio che spontaneo intervenuto in corpo con molti signori del paese e numeroso popolo venuto dai paesi vicini per veder l’ opera della misericordia di Dio, aggiunse maggior lustro e rispetto ad una cerimonia già per se stessa imponente. Uscito dalla casa parochiale accompagnato dai padrini, dal prete assistente, dal Municipio e Signori, e giunto alla porta della Chiesa fece all’ arciprete delegato, l’ abiura degli errori della sua setta, e la professione della fede cattolica. Diedesi quindi principio alla funzione del Battesimo, che gli fu amministrato sotto condizione ai cancelli dell’ altare maggiore e prese il nome di Antonio Maria Carlo, quindi fece per la prima volta, la sua Sacramentale confessione. Nella Messa {25 [141]} solenne, egli riceveva per la prima volta il Corpo, il Sangue, coll’ Anima e Divinità di Gesù Cristo. Chi sa esprimere la commozione di quell’ anima quando sentì a riposare sopra il cuore il caro suo Gesù! Per più giorni egli non sapea fare altro che lodare e benedire quel Dio che si era degnato di venirlo a visitare. La sacra funzione fu chiusa con processione del santissimo Sacramento che Antonio Maria Carlo accompagnò con torcia accesa, mentre si cantava l’ inno Ambrosiano in rendimento di grazie, e benedizione. La divozione del neofito in tutto il corso della sacra Funzione corrispose alla preparazione premessa, ed a più d’ uno cavò le lagrime dagli occhi. L’ allegrezza sua era tale, che bisognato sarebbe leggergliela in cuore, che non sapeva esprimerla a parole. Non mai provò giorno cosi felice in tutto il corso ,di sua vita, vero trionfo della nostra santa Religione, che sola sa infondere quella pace nei cuori, che, giusta l’ Apostolo s. Paolo, è superiore ad ogni senso. {26 [142]}

            Dopo la sua riconciliazione il neofito scrisse una lunga lettera a sua madre nella quale avvisavala della sua conversione, e de' motivi che lo determinarono a questo passo. La lettera era commovente, piena di testi della sacra Scrittura, co' quali asseriva la verità de' dogmi cattolici e notava la falsità de' Protestanti nella interpretazione de' testi sacri. Dimostrava a lungo la santità del culto reso a Maria, l’ utilità dell’ invocarla, e finiva esortando ella stessa ad abiurare. Trascrivevale sul fine in tedesco l’ Ave Maria, fisi tò però a spedirla non tanto pel timore del dispiacere che le avrebbe recato, ma più perchè pensando come sua madre per la lettura di quella lettera sarebbe escita dalla buona fede in cui si credeva, non convertendosi di poi sarebbesi dannata. Ma infelice! Visse e morì nella sua setta. Enrico nella sua disgrazia non si dimenticò del cielo, e raccomandò a Maria sua madre celeste l’ anima della madre terrena. Chi sa se nell’ ultim’ ora, conoscendo Ella il suo errore, non lo abbia condannato, e non {27 [143]} sia morta cattolica? Enrico aveva pregato tanto!

            Egli non cessa tuttora di praticare quella religione che conobbe tardi, ed a cui lo aveva chiamato il Signore nella sua misericordia. Ed ancora adesso egli è un vivo esempio di quello che possa fare Maria presso il trono del suo figliuolo.

            Cristiano, ne' tuoi bisogni non dimenticarti che abbiamo in cielo una potente pr

 

 

Episodio III. Le Suore di Carità non possono esistere che nel Cattolicismo.

 

            Un ricco Inglese protestante di religione vedendo quanto bene fanno le ammirabili figlie di s. Vincenzo de' Paoli alla povera e travagliata umanità, venne in pensiero di volere istituire un ordine consimile fra i protestanti. A questo scopo si recò a Parigi, onde {28 [144]} studiare nella sua fonte l’ istituto delle Suore di Carità. Ma più egli progrediva in questo studio, tanto più gravi ostacoli gli si affacciavano innanzi provenienti appunto dalla diversità di Religione. Ciò non ostante a qualunque costo voleva istituire qualche cosa di simile in mezzo ai protestanti. Vedendo che non poteva raggiungere lo scopo, risolvette di consultare un santo e vecchio Sacerdote di Parigi, onde conoscere da lui il giusto mezzo per istabilire tale istituzione.

            Il Sacerdote lo accolse con somma affabilità e cordialità, e udita la cagione che a lui l’ aveva condotto, così prese a dirgli: Signore, se voi volete istituire Suore di Carità, non avete che a servirvi dei mezzi che adoperò il santo od immortale suo Istitutore.

            - Di grazia, quali sono questi mezzi?

            - È necessario il voto di castità.

            - Ah! questa condizione è alquanto difficile; ma per altro si può ottenere.

            - Devono le Suore frequentare la santa Comunione. {29 [145]}

            - Ah! qui non c’ è alcuna difficolta.

            - Devono di più frequentare sovente la santa confessione.

            - Questo poi è impossibile. In una parola, soggiunse il protestante, voi volete dire, che per esistervi un ordine uguale al vostro, è necessario di essere cattolico.

            - Ecco, qui appunto sta tutto il segreto, perchè fuor del Cattolicismo, non vi è, nè può esservi vera carità.

            Fu colpito quel ricco Protestante da queste parole e conobbe la verità di quello che gli diceva il prete cattolico. Studiò ancora per qualche tempo quella religione che rendeva così forte il sesso chiamato debole, vide che era divina ed alla fine si deliberò di abiurare gli errori della sua setta. Abbracciò di più lo stato religioso, introdusse senza difficoltà le Suore di s. Vincenzo nella sua patria, ed ora egli medesimo è un zelantissimo, e fervoroso missionario. (Dal Messager de la Charitè.) {30 [146]}

 

 

Episodio IV. Una buona lettura.

 

            Un uomo assai ricco, ed istrutto, ma pessimo cristiano, possedeva una magnifica biblioteca, i cui numerosi volumi erano ben lungi dall’ essere edificanti.

            La sua moglie, e la sua giovine figlia ne gemevano, senza osare però fargliene rimprovero. Solamente gli posero sotto gli occhi un libro, che parlava della carità; lo lesse, ne restò tocco, e vivamente impressionato al punto di trovarsi in collera con se stesso per averne pianto. E si andava dicendo: Bah! tutto questo va bene; l’ autore certamente non è sincero. Se ne parte, e va a trovarlo con intenzione ben ferma di farlo scomparire, col metterlo in contraddizione col suo libro. Per buona fortuna l’ autore se ne stette in calma. L’ uomo invece si arrabbiava. Con tuttociò si separarono da buoni amici; ma il cuore retto e sincero di questo personaggio ne era stato {31 [147]} colpito. Fece ritorno di lì a pochi giorni; era commosso, la sua anima era agitata: il bene, ed il male si combattevano terribilmente. L’ autore che è un prete, senza ambagi lo consigliò a confessarsi per trovare quella pace di cui andava in cerca. A questa proposizione il nostro personaggio si leva, si agita, si mette a girare intorno alla tavola.

            Io confessarmi! a me si osa far tale proposta? E batte sulla tavola gridando: Io confessarmi! lo confessarmi! Ma intanto la grazia del Signore che lo aveva là condotto non cessava di operare in quel povero cuore. Dopo una breve agitazione egli cade in ginocchio, e come mutato in altro, domanda instantemente di confessarsi. Incomincia la confessione, la continua e si alza con la gioia nell’ anima: i suoi occhi bagnati di lagrime esprimono ciò che interiormente prova, e con i suoi sguardi, e con le affettuose strette di mano caldamente ringrazia la pietà del sacerdote.

            Giunto a casa si affretta a raccontare quanto gli avvenne alla sua moglie, ed {32 [148]} alla sua figlia. Esse però ignare ancora dell’ avvenuto non gli vogliono credere.

            - Oh! dicevagli la moglie, non vogliate prendervi giuoco di noi, sarebbe questa troppo grande fortuna!

            - La prova che mi son confessato si è, che voglio mettervi a parte della mia penitenza, pregandovi ad ajutarmi a farla.

            - Ma, la moglie gli rispose, dato anche che diciate il vero, voi ben sapete, la penitenza ciascuno dover farla da sè stesso e non darne una parte agli altri.

            - Tranquillatevi pure, le rispose, ve ne ha per tutti noi tre ed anche per i domestici. Fate accendere fuoco nel mezzo del cortile.

            Detto questo egli ascende alla sua biblioteca con la moglie e la figlia, e quanto vi era veramente di cattivo viene portato da essi e dai domestici giù a basso, e gettato sul fuoco. Vero fuoco di gaudio per il Cielo, e per la terra!

            (Mullois.) {33 [149]}

 

 

Episodio V. Una doppia elemosina.

 

            Un allegro e spiritoso vecchio incontratosi in un prete in un pubblico passeggio gli si avvicina e gli chiede l’ elemosina; e poscia ciascuno continua la sua strada. Bentosto di nuovo s’ incontrano, ed il vecchio di nuovo avvicinandoglisi gli stende la mano per la elemosina.

            Ma, mio amico, gli dice il prete, or ora vi ho dato l’ elemosina! - Oh! perdono, signor Abate, rispose il mendico, io credeva che voi non lo sapeste. - Come sarebbe a dire?- Che avendo voi fatto la elemosina colla mano diritta, ora io mi rivolgeva alla mano sinistra, supponendomi che voi pratichiate il precetto del Vangelo: Che la vostra mano sinistra non sappia ciò che fa la mano destra. Il motto era cosi naturale, e così furbesco, che il Sacerdote ne restò incantato nel sentirlo, epperciò gli diede per la seconda volta l’ elemosina. {34 [150]}

            Disgraziatamente un sergente di città, che passava per colà, vide la scèna, ed arrestò il vecchio in flagrante delitto.

            Costui comparve nel lunedì seguente innanzi al tribunale della Polizia correzionale sotto la prevenzione del delitto di mendicità.

            Il Sacerdote venne chiamato in testimonio. Ma il buon prete invece di farglisi accusatore, si fece di lui patrocinatore; il testimonio diventò avvocato, e si diportò cosi bene, che guadagnò il processo del suo improvvisato cliente. Si rilasciò il prevenuto, che il degno Sacerdote aveva cosi bene difeso. E tutti due a braccio a braccio uscirono dall’ udienza in mezzo ad una generale commozione. (Messager de la Charitè n. 159-1857).

 

 

Episodio VI. Atto eroico d’ una giovinetta.

 

            Non avvi cosa alcuna che possa dare una idea adequata dei terribili uragani , che scoppiano in tempo d’ autunno {35 [151]} sulle Alpi, e sulle montagne del Giura. Pare talvolta che tutte le cataratte del cielo siano aperte sopra questo punto del globo, ove dei neri nugoloni si trasformano in pochi minuti in fiumi immensi ed impetuosi, recando ben lungi la rovina, la devastazione e la morte. Questi accidenti riescono terribili sopratutto nelle valli, perciocchè in esse non si possono prevedere, e allorquando la tempesta comincia a farsi sentire, il poter fuggire diventa quasi impossibile ai pastori ed alle greggi.

            Scoppiò nell’ anno 1857 una di queste tempeste sì subite e sì violenti nelle vicinanze d’ un piccolo villaggio della Savoja. Ai primi sintomi dell’ uragano, persone e bestie si affrettarono di cercare un rifugio nel villaggio. Poco dopo il cielo era tutto in fuoco; dal seno dei neri nuvoloni, che parevano toccare la terra, partivano senza posa dei lunghi lampi che infiammavano l’ orizzonte; e il rumore del tuono ripetuto dall’ eco delle montagne congiunto al frastuono del vento, gettavano {36 [152]} il terrore nell’ animo dei più coraggiosi abitanti di questo paese.

            In mezzo a questo universale spavento, un vecchio, di nome Francesco, trovavasi immerso nel più gran dolore. Sua figlia ed il genero erano morti da un anno, avendo lasciato dietro due avvenenti fanciulli, Franceschina di nove anni e Giuliano di dieci. Questi due orfani fin dal mattino avevano condotto al pascolo le vacche della masseria al presente governata dal loro avo; epperciò dovevano essere stati sorpresi dall’ uragano nel bel mezzo della valle.

            «Mio Dio, diceva lo sfortunato vecchio, torcendosi le braccia e battendosi il petto, prendetevi la mia vita, ve ne scongiuro, ma salvate questi due poveri fanciulli!»

            E di quando in quando faceva degli inutili tentativi onde avanzarsi per le strade, che le acque invadevano. Impetuosi torrenti, spingendosi in giù dall’ alto delle montagne con gran fracasso, si gettavano nella valle, schiantando e strascinando alberi grossisimi {37 [153]} ed enormi pezzi di roccie. In poco tempo le acque si scaricarono adosso alle case del paese; uomini ed armenti furono obbligati a ricoverarsi sopra le colline adiacenti. Si dovette strascinare il vecchio, che ostinavasi a voler andar in cerca de' suoi nipoti per salvarli o morir con essi loro.

            Intanto ai primi lampi della folgore Franceschina e Giuliano, precipitosamente abbandonata la pastura e spingendo le loro vacche innanzi, erano giunti a poca distanza dal villaggio; ma colà appunto essi trovaronsi avvolti come in un mare furioso, le cui onde andavansi accavalcando nello stretto vallone, ove avevano osato innoltrarsi. Non si tardò dalla collina a vedere questi poveri orfani tenersi stretti per le mani, e lottare contro l’ impeto delle acque, che ingrossavano ad ogni momento.

            - Coraggio, Franceschina, diceva il piccolo Giuliano, se ci è dato di poter arrivare a quell’ albero, che tu vedi innanzi a noi, siamo salvi; monterai sopra le mie spalle, abbrancherai {38 [154]} i rami; io poi m’ arrampicherò anche solo dopo te ed attenderemo colà il finir della tempesta.

            «- Mio Dio, gridò la tenera fanciulla, non posso più reggere.»

            Il fratello la sostiene col braccio, si sforza a strascinarla, ma le sue forze mancando al suo coraggio cadde; ed era cosa disperata per questi coraggiosi fanciulli. All’ impensata, dal luogo ove trovavansi radunati gli abitanti del paese, una giovine fanciulla di quindici anni per nome Adelina cedendo ad un movimento di sublime entusiasmo si slancia ed entra nelle acque; s’ avanza, attaccandosi ai tronchi degli alberi, o alle sporgenti roccie. Per ben due volte è sbattuta dalla violenza della corrente, e per due volte si rialza. Finalmente raggiunge la sfortunata Franceschina, che aveva smarriti i sentimenti; la prende, la porta e la viene a depositare ai piedi dell’ avo. Poscia affrontando di nuovo il pericolo con novello ardore, si slancia verso il giovine garzone, che la corrente strascinava giù, lo prende {39 [155]} pei capelli, lo strascina sopra un monticello, ove l’ acqua batteva con meno violenza, se lo carica sopra le spalle e lo trasporta accanto alla sorella.

            Rinunziando a dipingere il contento del buon vecchio, allorquando questi due fanciulli, che avevano in poco tempo ricuperato l’ uso dei loro sensi, corsero a gettarsi nelle sue braccia; lacrime di contentezza e di riconoscenza scorrevano sopra il suo venerando volto; voleva rendere grazie alla generosa giovane, ma la gioia gli toglieva il respiro; va verso di lei a braccia aperte e se la stringe al cuore senza poter proferire parola.

            (Messager de la Charitè, 1857)

 

 

Episodio VII. La lettura della passione di Gesù Cristo.

 

            Un uomo del basso popolo piuttosto cattivo cristiano un giorno, mentre sua moglie trovavasi in chiesa, per non sapere che fare si mise a leggere la passione di Gesù Cristo. Questa lettura {40 [156]} lo sconvolse affatto e la prima parola, che disse alla moglie quando rientrò in casa fu questa: «E perchè tu non mi hai detto, che Gesù Cristo è stato così buono, e che tanti tormenti gli fecero soffrire? Ho letto la sua Passione e mise in sconvolgimento tutto me stesso, ed ho pianto molto.»

            E mentre diceva queste cose gli cadevano le lacrime dagli occhi. Poco tempo dopo egli andò a confessarsi e divenne fervoroso Cristiano. (Messager Mulbù, 1858, n. 18 ,pag. 186, col. 1)

 

 

Episodio VIII. Il miglior modo di far orazione.

 

            Fu un giorno s. Eleazzaro richiesto dal confessore qual metodo seguisse nel far l’ orazione, e qual santo si fosse scelto per suo Patrono speciale. Il santo rispose: Ho scelto per mia avvocata la gloriosa Vergine Maria, e quando voglio prepararmi a far orazione, prima di tutto rifletto sulla mia indegnità e sulla mia miseria; poscia mi rivolgo alla Madre {41 [157]} delle grazie ed umilmente La supplico ad ispirare al mio cuore ed a mettere sulle mie labbra ciò che riesce accetto a Lei ed al suo Divin Figliuolo. Le offro colla maggior possibile divozione un’ Ave Maria, dopo la quale non mai mi si fa difetto di materia per meditare le cose divine.

            Fra le regole domestiche di questo santo si trovano scritte le seguenti parole: Voglio in tutte le mie terre introdurre la divozione verso la santa Madre di Dio, perciò io voglio che tutti i miei sudditi la scelgano per padrona; perciocchè quando noi abbiamo bisogno della misericordia di Dio, non possiamo meglio fare che ricorrere a questa potentissima Regina, che è sempre desiderosa di riceverci sotto la sua protezione, e si mostra il rifugio di tutti i peccatori. Proibisco assolutamente nelle feste consacrate al suo culto d’ adoperarsi in qualsiasi opera servile, e voglio che in questi giorni tutti i miei sudditi assistano alla messa ed agli altri officii divini.

            (Rosier de Marie, pag. 156) {42 [158]}

 

 

Episodio IX. La ghinea dei poveri Irlandesi a Pio IX.

 

            Pio IX intenerito piangeva, non è gran tempo, in presenza degli Auditori della ruota loro esternando le consolazioni che risentiva nella sua anima.« Impossibile mi riesce a narrarvi, loro diceva, tutti i meravigliosi segni d’ amore e di divozione che mi giungono da tutte le parti del mondo cattolico. Tuttavia non posso lasciare di citarvene uno che mi ha profondamente commosso. I poveri Irlandesi, questi poveri figli, che sono dipinti come sofferenti tutti gli orrori della miseria, mi hanno mandato una ghinea; li ho benedetti questi miei cari figli con tutto l’ amore del mio cuore» esclamò egli. (Rosier de Mar. n, 6, pag. 67) {43 [159]}

 

 

Episodio X. Il Maresciallo d’ alloggio che arrestò Pio VII convertito da un Cardinale Arcivescovo.

 

            Abbiamo la comunicazione del seguente fatto dalla benevolenza d’ un nostro amico, che trovavasi presente quando uno dei più grandi Prelati della Francia lo raccontò nello scorso aprile alla numerosa gioventù d’ un collegio di Bordeaux.

            Nel passato inverno, diceva questo prelato, trovavami in casa d’ un paroco onde fare la visita della parochia. Egli mi parlò una sera d’ un vecchio di quel luogo, che pericolosamente infermo si rifiutava di ricevere i Sacramenti, senza poter da lui comprendere la ragione di questo rifiuto ostinato. Voglio vedere di questa sera ancora questo ammalato, dissi io allora. Ma la casa di costui trovavasi lontano dal paese, la strada in detta stagione era impraticabile per una vettura e di più facevasi notte. Mentre si {44 [160]} pensava al modo di aver un cavallo, una guardia ci offri il suo. Accettai l’ offerta, e partii.

            Giunsi alla casa del vecchio. Grande fu la sua sorpresa: la visita d’ un arcivescovo ad undici ore di notte lo colpì! Dopo alcuni momenti di conversazione, lo esortai a confessarsi.

            «Ah! non posso confessarmi rispose egli in una maniera brusca.

            «- E perchè?...

            «Perchè ho messo questa mano sulla sacra persona del Papa Pio VII, e ben lo sento, io sono perduto. Eravamo dieci soldati, quando ci presentammo al Papa: io era maresciallo di alloggio, ed io fui il primo a mettere le mani adosso al Pontefice. Sulle prime noi esitavamo, e non osavamo appressarci alla sua sacra persona.... Ma pure noi avevamo degli ordini... Si, ben lo sento, non avvi più speranza per me!...

            «Ma, amico mio, eccomi qui, io Cardinale della Chiesa Romana venuto a bella posta a trovarvi, onde offrirvi il perdono. Io ve lo {45 [161]} offro, nome di Pio IX ed a nome di Pio VII, se vivesse ancora. Assicuratevi, che se il santo Padre passasse per questi paesi, verrebbe egli stesso a vedervi, non già per maledirvi: lo potreste solo sospettare? no, me ne rendo io mallevadore per lui, ma per benedirvi e darvi l’ assoluzione.» A queste parole il vecchio tutto commosso si arrende, e il suo cuore che da lungo tempo già sentiva il pentimento si apri alla speranza ed alla grazia divina. Ricevette adunque dopo la confessione il santo Viatico, l’ Olio Santo, ed anche la Cresima, la quale non aveva ancor ricevuta benchè in età avanzata. Con tutto ciò il misericordioso Dio non lo volle ancora chiamare a sè: gli rendette la sanità, ed al presente il buon vecchio è il più fervoroso Cristiano della sua parochia. Ecco in qual modo la Chiesa fa le sue vendette.

            (Rosier de Marie, n. 6, pag. 62,67) {46 [162]}

 

 

Episodio XI. Brevi cenni sulla vita del canonico Giuseppe Cottolengo.

Chantal Cristi urget nos.

 

            Se tu, o cortese lettore, ti porti nella nostra capitale verso il santuario della Consolata e discendi alquanto verso la Dora, ti si presenta allo sguardo una elegante statua in marmo rappresentante un venerando sacerdote in atto di dare limosina ad un poverello che dimanda aiuto. Questo sacerdote è il maraviglioso canonico Giuseppe Cottolengo della cui vita stiamo per dare breve cenno.

            Nacque egli in Bra, una fra, le più religiose città del Piemonte addi 3 maggio 1786 da Giuseppe Antonio Cottolengo e Benedetta Sarotti nativa di Savigliano. 11 genitore di lui occupato nell’ amministrazione della discreta sua fortuna lasciò la cura dell’ educazione di Giuseppe, primogenito che fu di dodici figli, alla madre donna di {47 [163]} molta pietà, attentissima ad educare la sua prole nel timor santo di Dio. Alle materne cure ben corrispose il figlio e fin da fanciullo dimostrò pei poveri ed infelici una particolare predilezione. Tutto quello che riceveva in dono da' suoi genitori a premio della sua docilità ed ubbidienza egli allegramente distribuiva ai poveri poveretti come egli soleva dire. Erano queste come le prime scintille di quel fuoco di ardentissima carità che doveva più tardi incendiare tutta la bell’ anima sua. Attese con amore ad imparare i rudimenti della lingua latina adempiendo con esattezza tutti i doveri di diligente scolaro. Addi 5 dicembre 1802 potè veder soddisfatto il suo vivissimo desiderio di consacrarsi intieramente al servizio di Dio ed al sollievo degli infelici avendo in quel giorno ottenuto da' suoi genitori e dai superiori ecclesiastici di poter indossare l’ abito ecclesiastico. E ne era ben degno; poichè se l’ abbracciare lo stato ecclesiastico vuol dire sacrificare intieramente se stesso per procurare la gloria di Dio e la {48 [164]} felicità del nostro prossimo niuno più del giovine Cottolengo sentiva potente in cuor suo questo spirito, dirò meglio questo bisogno di sacrifizio. A motivo delle continue guerre che afflissero in quei tempi la nostra povera Europa e fors’ anche a motivo di sanità i suoi studi clericali furono piuttosto irregolari e dovette attendervi in parte nella sua patria e in parte nel seminario di Asti alla cui diocesi apparteneva di quei giorni la città di Bra; nè li potè compire che dopo nove anni dacchè aveva vestito l’ abito clericale. Fu ordinato sacerdote nella cappella del seminario di Torino da Monsignor Paolo Giuseppe Solaro già vescovo di Lucca, il giorno 8 giugno 1811 e l’ indomani giorno sacro alla santissima Trinità, di cui fu sempre divotissimo, potè celebrare per la prima volta il santo sacrifizio della Messa con quel fervore e con quell’ allegrezza che i teneri sentimenti di pietà che l’ animarono sin da fanciullo non avran mancato di proccaciargli. Egli la celebrò nella sua terra natale ove rimase sino al {49 [165]} novembre del 4845 inteso a perfezionarsi in ogni sorta di virtù, ben sapendo che non avrebbe potuto senza pericolo dimenticare più tardi intieramente se stesso in pro degli altri se prima non si fortificava colla pratica della meditazione e dell’ esterna ed interna mortificazione. Nel novembre del detto anno fu chiamato al laborioso, ma in pari tempo nobilissimo ufficio di vicecurato nella parochia di Cornegliano presso Alba. Là egli seppe col zelante esercizio del suo ministero, colla sua umiltà, colla sua vivissima brama di far del bene a tutti, conciliarsi tanta stima e sincera affezione che oggidì ancora se ne conserva e se ne benedice la memoria. Ma dubitando egli nella sua profonda modestia di non essere ancora abbastanza istruito nelle scienze teologiche pensò di riprendere il corso di teologia ed essendosi in quel tempo appunto riordinati gli studi e riaperto il Real collegio della provincia di Torino egli vi si recò tosto come convittore a profittare di quel segnalato beneficio, a {50 [166]} compiere gli studi e a laurearsi in teologia. Ricevuta la laurea egli si restituì alla casa paterna in Bra ed ivi con gran zelo si adoperò al disimpegno dei molteplici e grandi doveri dell’ ecclesiastico ministero assistendo con peculiare amore gli infermi nell’ ospedale e sollevando con cristiana carità ogni sorta d’ infelici. Si preparavano allora in lui i germi della grandezza che raggiunse dappoi, ma ciò in maniere non viste, segrete, perchè i veri tesori della virtù non si trovano mai nello splendore di che ella talor si circonda ma bensì nell’ oscuro e solitario asilo, che la nasconde. Nell’ anno 1818 essendo morto uno dei canonici della congregazione del Corpus Domini di Torino i membri superstiti posero gli occhi su del nostro degno sacerdote e quantunque pienamente sconosciuto di persona ai suoi elettori fu non di meno da essi anteposto ai Torinesi e chiamato a far parte della loro congregazione. Era la provvidenza che lo spingeva ed egli ubbidiva alla voce che lo chiamava, ignaro di ciò che Ella dimandasse da {51 [167]} lai ma determinato di far sempre in tutto la volontà del Signore sicuro essere questa l’ unica via per fare vero bene e molto bene. Predicare, confessare, visitare gli infermi, sollevare i poveri, impiegare il resto del giorno e spesso anche la notte nello studio, nella meditazione, nella preghiera furono le occupazioni sue durante i molti anni che egli passò in quella congregazione amato e venerato da tutti.

            Costretti a racchiudere in poche pagine la vita di un uomo che richiederebbe volumi noi non faremo altro che accennare ciò che l’ ha maggiormente illustrata.

            Nel giorno 2 settembre 1827 trovavasi in Torino proveniente da Milano sua patria e diretto a Lione Pietro P.... colla sua moglie Giovanna Maria G.... di Chazelle dipartimento di Lione e con tre figli; erano alloggiati all’ albergo della Dogana Vecchia. Repentinamente ammalatasi la moglie fu trasportata all’ ospedale di s. Giovanni, di là all’ ospizio della Maternità, quindi nuovamente all’ albergo, perchè in forza {52 [168]} di alcuni rispettivi ordinamenti non poteva essere ricevuta nè in questo nè in quello dei due stabilimenti sovraccennati. Fosse il disagio del trasporto, fosse altra causa l’ infelice donna appena riposta nel suo letto si trovò in pericolo imminente di morte. Mandavasi tosto alla parochia del Corpus Domini per un prete e vi accorreva il canonico Cottolengo a porgere i soccorsi della religione alla povera inferma che cessò di vivere in sulla sera. Testimonio il Cottolengo del luttuoso avvenimento, delle smanie della disperazione del marito sventuratissimo dopo averlo confortato come seppe meglio si recò a pregare a pie' dell’ altare della B. V. delle Grazie nella Chiesa del Corpus Domini. Di là ritiratosi a casa espose ai canonici suoi colleghi il divisamente di appigionare alcune stanze e tenere qualche letto preparato per accogliere malati in condizione grave, siccome quella donna cui allora aveva assistito o altrimenti per dar ricovero ad infelici raccolti per le pubbliche vie. Approvarono i canonici del Corpus {53 [169]} Domini la proposta del loro collega cui affidarono la cura principale dell’ opera. Questa fu l’ origine di quella casa del miracolo, come la chiamò il regnante Pontefice Pio IX, che prese più tardi il nome di piccola casa della divina provvidenza. Nel 1828 s’ aperse l’ infermeria denominata il deposito, nella casa detta della Volta Rossa e si cominciarono a ricoverare malati che non potessero essere accolti negli spedali e che veramente fossero abbandonati. Costretto il Cottolengo, stante il pericolo del cholera morbus, a chiudere nel 1831 temporalmente il piccolo ricovero aperto nel cortile della Volta Rossa egli confidato unicamente nella provvidenza senza mezzi pecuniari si decise di trasportarlo fuori di città nel sito in cui ora si trova maravigliosamente accresciuto. Poco per volta malgrado delle previsioni in contrario dei prudenti del secolo questa bella istituzione si dilatò e potè dedicarsi alla cura d’ ogni sorta d’ infelici, infermi, epilettici, sordomuti, storpi, fatui, imbecilli, orfani, giovani pericolanti, {54 [170]} convertite, in breve: ogni sorta di miserie fisiche e morali trovarono e trovano in questa casa rimedio e conforto. Ben oltre trenta mila sono le persone che vennero soccorse quivi dalla divina provvidenza nel giro di poco più di trentanni che venne fondata questa casa e di presente contiene poco meno di due mila individui che in varii spartimenti divisi (ventiquattro e più) vivendo dell’ altrui carità magnificano grandemente la divina provvidenza.

            Ora aggiungerò una parola sola su quella illimitata confidenza in Dio che fu, si può dire, perfetta nel Cottolengo. Anzi tutto egli non voleva mai andare a riposo senza prima avere tutto speso il denaro ricevuto nel giorno, osservando letteralmente l’ evangelico detto: Non vogliate essere solleciti pel dimani. Quando non poteva diversamente egli lo dava in limosina. Un giorno ad una suora che aveva nascosto un po' di denaro per poi usarlo in pro' della famiglia cui presiedeva diede un severo avvertimento. Egli tutto affidato alle promesse di Dio che non sarà mai per {55 [171]} abbandonare chiunque in lui confida non si lasciava mai smarrire a petto di tutti quei gravi ostacoli che necessariamente doveva incontrare e nell’ impresa e nel governo della grandiosa opera. Egli sempre lieto, sempre col suo bel Deo gratias sulle labbra metteva la confidenza in tutti quanti lo avvicinavano. E ben a ragione rispose il suo direttore di spirito ad alcuni suoi amici che gli si erano presentati perchè lo distornasse dall’ agglomerar tanta gente senza aver mezzi sicuri per alimentarla, che il Cottolengo si doveva lasciar libero nella sua azione, perocchè tanta era la sua fede da superare quella di lutti i Torinesi insieme.

            Quando stretto dalle maggiori angustie pei bisogni de' suoi ricoverati il Cottolengo non aveva più una moneta da dare in elemosina agli estranei che accorrevano del continuo ad implorarla da lui, egli (mirabile confidenza nell’ aiuto divino) distribuiva loro gli oggetti che primi gli capitavano sotto le mani; ed allora pensava agli ingrandimenti {56 [172]} quando maggiore era il difetto di mezzi pecuniarii.

            Diciamo ora della sua morte. Nel giorno 21 aprile 1842 affranto il Cottolengo dalle gravi fatiche sopportate per assistere i molti malati di tifo che erano nella casa, assalito egli stesso dal morbo micidiale, dopo aver benedetto per l’ ultima volta i suoi cari, usci dalla chiesa accompagnato dalle lagrime di tutti che temevano grandemente della vita di lui. Il medico lo esortava a mettersi a letto, ma egli rifiutava dicendo che le medicine non gli avrebbero giovato, che Dio voleva usare anche a lui misericordia e si recò a Chieri presso del degno suo fratello teologo Luigi canonico di quella Collegiata. Non tardò a raggiungerlo il medico, ma tornarono vane le cure. Egli andava dicendo al suo fratello addolorato: Ebbene, se Dio mi vuole, eccomi a lui; credi tu che alcun affetto mi trattenga quaggiù? No, sono sciolto da tutto, son pronto alla voce divina: In Domino!

            Lo assale il delirio, ma anche allora {57 [173]} va esclamando: Paradiso! Paradiso! Vergine santa or tocca a voi! e ripetendo per ben due volte le belle parole del salmista mi sono allegrato all’ annunzio della mia partenza per la casa del Signore sorridendo spirò la sua bell’ anima alle ore otto pomeridiane del sabbato 30 aprile nel detto anno 1842. Ma egli vive tuttora: vive in cielo ove ha raccolto il premio della sua ardentissima carità, della sua fede illimitata: vive nella memoria di quanti il conobbero o udirono parlare di lui, vive nella riconoscenza di quanti furono da lui beneficati, vive nell’ opera sua maravigliosa che ben lungi dall’ estinguersi con lui, come pensavano i prudenti del secolo, si va ogni giorno ingrandendo: vive finalmente in modo particolarmente sensibile fra noi per molti celesti favori che ogni giorno a sua intercessione s’ invocano e si ottengono. Imperciocchè la santità della sua vita, l’ esercizio eroico delle virtù, l’ efficacia delle sue preghiere che spesso provarono mentre era in vita eccitarono fedeli cristiani ad invocarlo dopo morto {58 [174]} con gran frutto. Per questo motivo la Chiesa iniziò il processo di sua beatificazione, e da oltre due anni si stanno esaminando le virtù eroiche da lui praticate in vita e le grazie non ordinarie a sua intercessione ottenute dopo morte. Faccia Iddio che la carità di questo fedele servo del Signore abbia molti ammiratori e molti seguaci e chi trovasi in qualche bisogno spirituale o temporale faccia con fiducia ricorso a lui e proverà certamente gli effetti della efficace sua protezione presso Dio[2]. {59 [175]}

 

 

Episodio XII. Il segno della santa Croce

 

            Un Missionario scrive da Boston città dell’ America in data del 20 luglio dell’ anno 1863 il fatto seguente. Nel giorno in cui era succeduto un forte combattimento tra gli Americani del Sud e del Nord, il generale Smith dell’ esercito di una parte belligerante, arrivava troppo tardi per sapere quale era la parola d’ ordine, o come dicono il segno di passaggio. Prevedendo egli che avanzandosi si esporrebbe al fuoco della sua parte, si presenta alla testa del suo Corpo, e domanda se v’ ha qualcuno che abbia il coraggio di sacrificare la sua vita per salvare quella di molti. Un giovine soldato usci dalle file, offrendosi pronto a fare quello che il generale desiderava. Il generale, rincrescendogli di esporre a sì grave pericolo un giovane di sperimentata virtù, gli mosse qualche difficoltà, quasi per allontanarlo, se fosse stato {60 [176]} possibile, da quella eroica risoluzione. Sai tu che cosa fai? gli disse sorridendo il Generale.

            «Si, generale!

            «Ma ti ammazzeranno.

            «Sì, generale!

            Allora il generale Smith scrisse sopra un foglio di carta: mandatemi il segno. Generale Smith.

            Il coraggioso eroe in mezzo all’ universale stupore de' suoi compagni, ripone il suo biglietto in tasca e s’ avvicina con passo sicuro alle sentinelle avanzate.

            «Chi è là?

            «Amico! risponde con voce franca.

            «Dà il segno! gli viene soggiunto.»

            Il giovane colà che si portava appunto per sapere qual fosse il segno, senza dir nulla s’ avanza e tutti i fucili si spianano contro di lui. Si ricorda in quel momento delle parole della madre, che gli diceva, ne' tuoi pericoli ricorri alla protezione del Cielo, e ne uscirai sempre salvo.

            Fa in fretta il segno della croce, alza la mano destra al Cielo e raccomanda {61 [177]} l’ anima sua a Dio. Ed ecco che i facili ritornano al loro luogo, ed è lasciato passare con grande suo stupore.

            Ma cessò la sua meraviglia e ringraziò di tutto cuore Iddio quando seppe i segni che egli aveva fatto essere precisamente quelli, che il generale Beaulegard cattolico esso pure, aveva dato il mattino al suo esercito. Questo pio atto di religione salvava la vita al giovinetto.

 

 

Episodio XIII. Un frutto della Confessione.

 

            Tempo fa un Sacerdote curato di Ronen presentossi da un negoziante, che in sul principio non volle riceverlo. Ma, siccome il prete insisteva, il negoziante montato sulle furie, lo richiese con alterigia, se avesse mai la pretensione di fargli mangiar la confessione, prevenendolo di non essere assuefatto a questo cibo. No, Signore, gli disse il prete, solo ve ne porto i fratti; e {62 [178]} nel medesimo tempo gli rimise una somma di sei cento lire, che un penitente gli aveva dato da restituire al negoziante. Costui sorpreso e commosso, donò subito al buon curato una considerevole elemosina per i poveri , ed egli volle subito gustare i dolci frutti della confessione. (Annales de saint Sacrament, n. 2 pag. 323).

 

 

Episodio XIV. Il Coscritto.

 

            In un Comune del Delfinato, un coscritto accostandosi all’ urna della sorte fece il segno della santa Croce prima d’ estrarne il numero. Questo segno di cristiana fede fu accolto da scoppii di risa, che il prefetto subito represse, ammonendo la gioventù che lo attorniava non essere motivo di riso, che l’ uomo nelle circostanze più importanti della vita, riccorra agli atti religiosi. Il sindaco appoggia le parole del Prefetto presidente della sessione, ed ambidue verificano poscia la {63 [179]} scheda estratta dal coscritto. Egli aveva estratto il penultimo numero, che certamente rendevate esente dal servizio militare. (Annales de saint Sacrament, n 2, pag. 356)

 

 

Episodio XV. La Corona.

 

            Scrive il corispondente del Rosier: Eccovi un fatto, che posso darvi per certo.

            Avevamo per vicino un piccolo negoziante che si recava a tutte le fiere del circondario, facendo trasportare le sue merci sopra due cavalli. Le strade a quei tempi non permettevano di servirsi dei carri. Il negoziante di nome Francesco si recò alla fiera di Lassay. A questa medesima fiera trovaronsi due scrocconi. Verso sera quando si incontrarono, si andavano lamentando di aver perduto il tempo inutilmente non avendo potuto fare bottino, quando uno di essi disse: Hai tu osservato Francesco? Egli fece una buona fiera {64 [180]} coll’ aver molto venduto delle sue mercanzie, ed ha perciò molto denaro. Parte sempre il più tardi che può; noi lo inseguiremo, e potremo così facilmente compensarci del tempo perduto.

            Fattosi sera, Francesco piega il rimanente delle sue merci, e si mette in viaggio, seguitando a piedi i suoi due carichi cavalli. Per recarsi a casa doveva fare più di 20 chilometri di cammino per istrade profonde, ed in certi luoghi scavate più di dieci metri nelle terra ed avendo pure da traversare inospiti lande, e folti boschi. Francesco fece il suo viaggio senza disgrazia, e senza dubitar di alcuna cosa. I due ladri lo seguirono per tutti i 20 chilometri, vedendogli sempre in sua compagnia un uomo, sentendoli persin a parlare senza poter distinguere il soggetto del loro discorso; speravano che quest’ uomo lo avrebbe finalmente abbandonato, e che allora avrebbero potuto commettere il loro furto, ma costui lo accompagnò sino a sua casa. {65 [181]}

Poco tempo fa uno di questi ladri disse a Francesco: mio caro, voi siete tornato molto tardi dalla fiera di Lassay. È vero, rispose, era già oltre la mezzanotte. - Chi era mai quell’ uomo che vi accompagnò? - Che mi accompagnò! Io era solo, e non ho incontrato alcuno nel mio viaggio. - Eppure qualcuno v’ ha visto accompagnato da un uomo e vi senti a conversare. - Si è ingannato, rispose Francesco, io non ho parlato con persona. Ma essendo solo, ho dato di piglio alla mia corona, e l’ ho recitata a mezza voce per tutta la strada.

            Più tardi questi due ladri furono condannati alla galera per altri delitti, e tutti due sono morti ai bagni di Biest. Furono essi che raccontarono il loro progetto che non poterono effettuare stante la presenza di quell’ uomo. Ed è in questo modo che la Vergine protesse il suo fedel servo.

            Coloro che raccontarono questo fatto erano persuasi che quell’ uomo era il buon Angelo del negoziante che gli servì di guardia, e che Dio rendè visibile {66 [182]} ai ladri affinchè non eseguissero il loro colpevole progetto.

 

 

Episodio XVI. I tre Pater noster.

 

            Fu interrogata un giorno da un sacerdote una fanciulletta in età di anni sei circa, se sapeva il Pater noster; a tale interrogazione fissando ella i suoi intelligenti occhi sul sacerdote in atto di maraviglia: Oh, sì signore, rispose, non solo uno ma tre io ne so. - Oh la brava ragazza, riprese il prete, e quali sono questi tre Pater noster che sai? Dimmeli su. - Allora la fanciulla compostasi tutta in sè disse: Il primo si è quello che mi insegnò mia madre, e recitò per intiero il Padre nostro in italiano; il secondo si è quello che imparai a scuola, e lo recitò in latino; ed il terzo si è quello che cantano i preti in chiesa, e lo cantò sullo stesso tono, che si canta nelle messe solenni.

            Genitori, l’ esempio di questa fanciulla vi dovrebbe servire di stimolo {67 [183]} ad avere una massima cura della educazione cristiana della vostra figliuolanza; che bella consolazione avrete poi nella vostra vecchiaja!

 

 

Episodio XVII. La vigilia del mese di maggio.

 

            Una famiglia del Belgio illustre per nobiltà, e per fede ricevette dalla ss. Vergine prova non dubbia della sua bontà, del suo amore, e della sua potenza, la vigiglia del mese di maggio nel 1839.

            Nel principio di detto anno Paolo che era il più giovane dei tre figliuoli, che i pii genitori cristianamente educavano era tormentato dalle febbri intermittenti , da cui non poteva liberarsi, essendo riusciti inutili ogni sorta di rimedii. Alla vigilia del mese di maggio il fanciullo si mise a letto, più che altra volta dal male assalito terribilmente. Mentre grandemente soffriva riguardando l’ afflitta sua madre, le disse: Madre, domani la febbre non verrà più... domani io sarò guarito. {68 [184]} Chiestogli perchè sperasse in tal modo la sua guarigione, rispose, con tono pietoso ed ingenuo: Ma, e non è domani, che comincia il mese di maggio?

            Questa confidenza nei soccorsi della ss. Vergine venne ricompensata. All’ indomani , egli si trovava perfettamente sano.

            Il piccolo privilegiato di Maria si affrettò di far conoscere questo beneficio a' suoi genitori, e andava ripetendo: Non l’ aveva già io detto?.... Io ne era convinto. La santa Vergine aveva appagata la sua aspettazione. La febbre era scomparsa, il male che erasi fatto quasi periodico, cessò affatto: il fanciullo restò perfettamente sanato nel primo giorno del mese di Maria sua Madre amorosissima.

 

 

Episodio XVIII. Un piccolo seminario salvato dall’ incendio.

 

            Il piccolo seminario della città di Sable (Francia) si distingue in ispecial {69 [185]} modo per la sua tenera divozione verso la SS. Vergine Maria. Essendo essa stata dichiarata patrona della casa, ne è anche la sovrana; e di più nella festa dell’ Immacolata Concezione ne venne proclamata Regina coll’ offerta di un piccolo scettro d’ argento, simbolo della reale dignità, e le venne pagato un leggiero tributo in riconoscenza del suo dominio sovrano sopra il seminario.

            Nella notte del 27 dicembre 1835, circa alle ore due, gli abitanti del piccolo seminario erano tutti sepolti nel più profondo sonno.

            L’ infermiera, che sola trovavasi svegliata, sente improvvisamente un insopportabile odore di fumo. Inquieta si mette con molta attenzione ad osservare in ogni parte e vede le fiamme, che s’ innalzano al disopra del cammino dell’ infermeria. Dal fracasso che ella fece nell’ andarad avvertire il superiore, alcuni alunni furono svegliati, e tosto il dormitorio rimbombò del terribile grido: al fuoco! al fuoco! Chi può figurarsi il tumulto, la confusione, che sorprese gli alunni in simile guisa {70 [186]} svegliati! Precipitansi chi di qua chi di là mezzo vestiti; chi trasporta le sue robe per nasconderle in fondo al giardino; chi corre a trovare un rifugio nelle sale di studio, nelle quali i superiori comandano di ricoverarsi; altri poi vanno scorrendo per la città invocando aiuto.

            Le tenebre della notte, la rossastra luce, che si spande nel cortile, e nel giardino; il tristo suono della piccola campana del seminario, che chiama a soccorso; il fragore delle fiamme, che aumenta di continuo, quello dei mobili, che vengono precipitati dalle finestre, tutto concorre ad aumentare la desolazione di questa scena. Intanto tutti i cittadini accorrono in soccorso del loro piccolo seminario; già l’ incendio aveva bruciato tre camere; ed invasala travatura del tetto. Per colmo di sfortunio non vi erano trombe con cui spegnere l’ incendio, e per di più pochissima acqua; aggiungasi un furioso vento, che soffiava elevando vortici di fiamme che già consumavano il tetto. Invano intrepidi operai saliti sulle {71 [187]} travi infocate con la morte sotto i piedi si sforzavano d’ impedirne la comunicazione; ogni sforzo sembrava inutile, e il seminario intiero trovavasi nel più grande pericolo, quando il superiore, l’ abbate Dalin, mosso senza dubbio da divina ispirazione corre in cerca dello scettro' d’ argento, di cui più sopra si fece menzione; e cadendo in ginocchio supplica Maria ss. di rammentarsi, che Ella è la Regina della casa, che era giunto il momento di far vedere, non portare invano Ella un tal titolo; e, pieno di confidenza , getta lo scettro nel luogo ove il fuoco dominava con più violenza. Forse non venne mai preghiera esaudita si prontamente: nel medesimo istante il vento cangia direzione, trasportando le fiamme dall’ altra parte. Si potè tosto padroneggiare il fuoco, e quando sorse il giorno, gli alunni ed i maestri ebbero la dolce consolazione, in mezzo alle tante rovine, di pensare di non essere sforzati ad abbandonare il loro caro seminario.

            E che avvenne dello scettro gettato in {72 [188]} mezzo alle fiamme? La Vergine ss. lo volle conservato a perpetua memoria del suo beneficio. Dopo lunghe ed infruttuose ricerche, finalmente venne trovato in mezzo alle fumanti ceneri, all’ ora appunto che si stava per intraprendere una processione in ringraziamento del beneficio ricevuto. Si trovò intatto, solo era divenuto nero, ma non parve mai cosi bello, come in quel giorno; tutti accorrevano a baciarlo, e venne portato in processione con vera ebbrezza. Accorsero pure moltissime altre persone dell città a vedere, ed a venerare il miracoloso scettro. Ma la riconoscenza dei maestri e degli alunni non si limitò a questo; si fece un voto di ringraziare la Vergine per tre anni con una solenne processione, nella quale si recherebbe in trionfo il miracoloso scettro; e poscia si fece fare una litografia in cui si rappresentò l’ incendio, e la Vergine ss. che dal Cielo toccava con quello scettro l’ incendio.

            Non inutilmente adunque si ricorse e si ricorre alla Madre delle misericordie; {73 [189]} a Lei rivolgiamoci che ci voglia liberare dall’ incendio eterno, che ben meritiamo pei soli nostri peccati.

 

 

Episodio XIX. I cattivi libri sentenziati da una fanciulla.

 

            Si discorreva un giorno in presenza d’ una fanciulla del danno che recano i cattivi libri, e particolarmente i cattivi giornali, che pur troppo anche certe persone oneste, e cristiane sovente si procurano spinte da una inesplicabile curiosità, come esse dicono, di sapere l’ opinione di questi fogli; come se fosse cosa veramente necessaria, ed interessante il conoscere le scaltrezze dei malvagi e le calunnie dell’ empietà! Si scusano col dire, che esse sono abbastanza ferme nella loro fede e nel loro onore per temere di esser danneggiate da tali scritti. Questi erano precisamente i pretesti, che adduceva una di quelle persone: «Io leggo i cattivi giornali, diceva, ma subito {74 [190]} io dimentico che ho letto, ela loro lettura non mi reca alcun danno». Ma le faceva osservare una persona di senno che qualche cosa vi resta sempre, che lo spirito si perverte; e poi essere sempre un contribuire alla perversa industria di questi giornalisti, scambiando con essi il nostro denaro pei loro articoli perversi. Io vi assicuro, rispondeva la signora, io non approvo niente di tutto questo; e non resta nella mia immaginazione nè un’ idea falsa, nè una cattiva impressione di sorta, e tutto affatto mi dimentico. - Signora, prese a dire modestamente la fanciulla di cui si parla, lasciamo questi discorsi; potreste voi dirmi precisamente ciò che voi avete mangiato pranzo nell’ ultima domenica? - Oh! certo no! - Ciò non ostante, o signora, questi cibi dimenticati, vi hanno nutrita?

            Tutti ammirarono la sagacità della divota figlia; non vi restò cosa da rispondere a questo ragionamento. Questo è quanto avviene di tutte le cattive letture, che si fanno; vi resta sempre {75 [191]} qualche residuo in fondo all’ anima che la nutrisce. E questo nutrimento qual mai può essere? La corruzione che nella medesima produce.

 

 

Episodio XX. Una predica del Vescovo d’ Orlèans.

 

            Monsignor Dupânloup, l’ ammirabile Vescovo, oratore e scrittore convocò le sue pecorelle un giorno nella Cattedrale di Santa Croce. La Chiesa era piena zeppa di gente per l’ ora indicata. Il Prelato ascende sul pulpito; la sua omelia fu brevissima. Eccola:

            - Miei cari fratelli, disse Egli, non è questo il momento di far lunghe prediche, essendo il tempo di fare grandi opere. Voi conoscete gli sfortumi di cui oggi peroro, la causa, la orribile miseria degli operai della Senna Inferiore. Un re, il cui nome restò fra voi grande e popolare, diceva un giorno ai suoi compagni di armi, nei quali egli riponeva con tutta ragione ogni fiducia: «Miei amici, {76 [192]} io sono il vostro re, voi siete francesi, ecco l’ inimico; andiamo.» Io pure non dirò altre parole in questo giorno: io sono il vostro vescovo, voi siete cristiani, non abbiamo nemici, è vero, da combattere, ma fratelli che soffrono; corriamo a soccorrerli.

            Poscia il grande Vescovo disceso dal pulpito si mise a limosinare. Ricevette in denaro, gioie, diamanti, e pietre preziose quindici mila ducento quarantanove lire, per non far parola di 1600 chilogrammi di patate imballate, e fatte partire franche di porto sotto la condotta di tre Orleanesi dalla stazione d’ Orlèans a quella di Rouen in quello stesso giorno. Era questo il dono d’ una delle più piccole e più povere parecchie della città d’ Orlèans. Ciò che vi è di superfluo, dice il Signore, datelo ai poveri, e perciò beati coloro che ascoltano la parola di Dio. {77 [193]}

 

 

Episodio XXI. La morte d’ un taglialegna.

 

            Alcuni anni sono, la sorte, o meglio, la Provvidenza, senza i cui ordini nulla arriva, mi fece essere testimonio della morte di un taglialegna.

            Verso gli ultimi giorni del mese di maggio di buon mattino quando gli uccelli si van svegliando, lasciai il mio letto per recarmi ad udire i loro canti e respirare il dolce odore della novella verdura. Passeggiava lungo le siepi di bianco spino già in fiori, e qua e là i cespugli delle violette mi facevano sentire i loro profumi. Io mi avanzava senza ad altro pensare che al piacere di trovarmi in aperta campagna, sciolto dalle mie fatiche, e cure quotidiane; andai sino al bosco, ed in esso penetrai onde riposarmi all’ ombra delle piante, giacchè il sole si era di molto avanzato durante la lunga mia passeggiata.

            Non aveva fatto nella selva che breve tratto di cammino, quando vidi un vecchio {78 [194]} taglialegna, che dava della score con tutte le sue forze senza interruzione sul piede d’ un grosso rovere: l’ osservai per un momento a lavorare, e scambiai con lui alcune parole, e poscia mi allontanai vedendo venire altri quattro operai, forniti ciascuno di corde destinate a dirigere l’ albero nella sua caduta. M’ andai a sedere poco distante, e cavando dalla scarsella un libro, mi posi a leggere. Il continuo rumore però che facevano i colpi della scure, mi fece ritornare a colui che io aveva visto; ed ecco che strada facendo, le mie orecchie sono colpite da un orribile grido. Compresi tosto esservi succeduta qualche disgrazia, allora mi misi a correre col cuore oppresso da viva inquietudine verso colà ove io aveva veduto il vecchio taglialegna. I suoi quattro compagni si affannavano intorno a lui, gli uni gridando, gli altri anche bestemmiando. L’ albero era caduto , ma ad onta di tutte le precauzioni prese; nella sua caduta venne a colpire il vecchio. Egli è morto! dicevano i suoi {79 [195]} compagni allorquando m’ inchinai sopra di lui. Io era del loro stesso sentimento: quando un medico della vicina città, che stava raccogliendo erbe medicinali poco lungi, giunse quasi insieme con me, e dichiaro, che il taglialegna benchè ferito mortalmente, viveva però ancora. Venne trasportato nella sua capanna, e dopo poco tempo riprese i suoi sensi: «Pietro, disse egli al più giovane de' suoi bravi compagni, va a cercarmi il Parroco, poichè io sono mortalmente ammalato.»

            - Ah! non già quanto voi vi pensate, mio zio, rispose Pietro volgendosi nel mentre ad asciugare le sue lacrime.

            - Va presto, mio caro, e sbrigati; quanto più presto andrai, tanto meglio sarà, riprese a dire il vecchio.

            Pietro ben si accorse essere inutile il tentare d’ ingannarlo. Siccome faceva difficoltà d’ abbandonarlo, mi offersi io stesso per compiere questa commissione. Pietro consultò l’ infermo e questi riguardandomi disse: {80 [196]}

            - Sarà questa una vera pena, che voi, o signore, vi volete prendere; recherete però piacere a questo giovane che brama di starsene qui.

            Partii tosto, promettendogli che non avrei tardato molto a ritornare. Ebbi per altro la fortuna, prima ancora di entrare nel paese, d’ incontrare quello, il cui ministero andava cercando; gli narrai in poche parole quanto era accaduto, gl’ indicai la strada che doveva tenere, e mentre egli con tutta sollecitudine se ne andò, io mi posi in cerca dei diversi oggetti, di cui il dottore aveva bisogno. Allorchè io rividi l’ infermo, trovavasi in quella tranquillità che i suoi patimenti gli permettevano: e parlava con il prete mentre gli altri se ne stavano alla porta della capanna per essere pronti a recargli i necessarii soccorsi. Vedendosi intanto il medico fornito di quanto gli occorreva per medicare il ferito, si accostò al povero letto ed il Paroco l’ aiutò per quanto potè sia nel prestargli la sua opera, sia nell’ esortar il ferito alla pazienza. {81 [197]}

            - Io credo che voi faticaste invano, disse il taglialegna quando tutto fu finito, tuttavia ve ne ringrazio ugualmente di tutto cuore.

            - E perchè mai ciò, mio caro amico? rispose, il dottore. Noi abbiamo fatto dal nostro canto, quanto da noi si doveva fare, Iddio farà il rimanente.

            - Dio certamente è un gran medico, soggiunse il prete, egli può guarire, quando lo vuole, qualunque mortale malattia.

            - Sia adunque fatta la sua santa volontà, disse il vecchio. Son già molto fortunato che mi abbia tosto somministrati i necessari ajuti.

            - Egli è perchè vuole, che voi continuiate a vivere, o mio zio, prese a dire Pietro che cominciava ad avere qualche speranza.

            - Ma se egli non lo volesse, ne è il padrone, o Pietro. Coraggio, non piangere in questo modo, disse il moribondo. Egli non è che un mio nipote, o signor paroco, soggiunse egli, vedendo il prete a riguardare con interesse la simpatica figura del giovane {82 [198]} taglialegna, io l’ amo come mio figlio. Io l’ allevai, ed è già più di dieci anni che lavora con me. E poi è un si bravo giovane, e sperava...,.

            - Io comprendo il vostro desiderio, o mio amico; ed avete perciò ragione di chiedere che la volontà di Dio sia fatta, rispose il paroco.

            - Ho sempre domandato ogni giorno di far la volontà di Dio; non voglio cambiare al presente.

            - È certamente una bellissima preghiera che voi faceste, è appunto quello che i più gran santi han sempre preferito.

            - Oh! i gran santi ne dicevano sicuramente molte e non solamente questa; ma le povere persone, come son io, non sanno dire di più: si dice il Pater noster e l’ Ave Maria, ed ecco tutto. Che volete mai si faccia quando non si sa nè leggere, nè scrivere? Per nostra buona fortuna, Iddio è tanto buono.

            Queste semplici parole prendevano un certo non so che di sì affettuoso per le circostanze in cui erano prònunciate {83 [199]} e per l’ espressione con cui erano accompagnate, che mi sentiva venir le lagrime agli occhi, e la voce del sacerdote era commossa, quando rispose:

            - Si, mio caro amico, Iddio è buono, e siccome egli legge nel cuore, egli ama meglio un ignorante che prega, che un sapiente che ragiona. D’ altronde un uomo, per sapiente che sia, non potrà mai fare una preghiera così bella come il Pater noster, giacchè è il nostro stesso Signore che l’ ha composta.

            Intanto il dottore vedendo il suo infermo piuttosto tranquillo, esortandolo a non faticarsi di troppo, si allontanò promettendo di venir a vederlo verso sera.

            Pietro l’ accompagnò non tanto per gentilezza, quanto per domandargli ciò che pensava del ferito. Sentendo suo zio a parlare con tanta libertà di spirito, il povero giovane si lusingava di sua guarigione; ma senza dubbio il dottore lo disingannò, giacche {84 [200]} ritornando presso il vecchio era pallido come la morte.

            - Tu ti affanni, o Pietro, gli disse il vecchio. Eppure tu ben lo sapevi che un giorno o l’ altro sarebbe stato necessità separarci. È vero, questo avviene più presto di quel che ci credevamo; ma con questo dovrai tu dunque tanto rattristarti come tu fai? Pensa invece, o mio buon figlio, qual fortuna fu che l’ albero sia piuttosto caduto sopra di me, che sopra di te, o su di qualche altro dei nostri compagni; perciocchè tu sei giovine e e gli altri hanno dei figliuoli da allevare, io invece son vecchio, e da qui a due o tre anni tutto al più avrei dovuto soccombere, oppure senza poter lavorare restare a tuo carico. Ben lo so che avresti avuto cura di me come di tuo padre; ma giacchè non si può fare altrimenti, tu non ti devi rattristare, non è egli vero, o signor paroco?

            - Senza dubbio, o mio amico; perciocchè se il buon Dio vi chiama, è per darvi la ricompensa della vostra vita pura e laboriosa, e se più presto {85 [201]} vi chiama, si è che vuol che voi siate anche più presto felice.

            - Ma io non ho fatto cosa alcuna per essere ricompensato, o signor curato, io non feci che scarsamente il mio dovere; e quando si è costretto a guadagnarci il vitto col lavoro, non si può andare alla chiesa tutte le volte che si brama. Andava nei giorni di festa senza più poter recarmi in altri giorni.

            - Ed è bastante, Iddio non esige di più; egli è un buon padre di famiglia, che tiene conto a' suoi figliuoli non solamente del bene che hanno fatto, ma anche di quello che avrebbero voluto fare, ma che non poterono fare giustamente impediti.

            Esortavalo intanto il paroco a chiedere il regno di Dio, ed a fare la sua santa volontà, ed il buon vecchio diceva di tutto cuore: Venga il regno tuo, sia fatta la volontà tua.

            Essendo il parroco andato a prendere il ss. Viatico, io mi fermai accanto al povero letto, esortando l’ infermo alla pazienza, ed alla rassegnazione {86 [202]} alla volontà divina. Indugiando alquanto il parroco a venire, si mostrava il moribondo alquanto inquieto, per tema che non giungesse più a tempo a somministragli i sacramenti. Giunse finalmente il sacerdote, e la sua presenza rianimò il moribondo. Ricevette il santo Viatico, di poi l’ estrema unzione con una fede ed un fervore ammirabili; pareva che più non sentisse i suoi dolori, tanto si mostrava contento. Ascoltò con un rispetto misto di  gioia le esortazioni del ministro di Dio, le quali finite, una giovinetta, che era venuta dietro al prete, e che si era tenuta in disparte, s’ avanzò al letto.

            - Ah! sei tu, o Cristina, le disse il moribondo porgendole la mano.

            - Si, o padre Francesco; il Signor parroco mandò ad avvertirmi di quanto vi avvenne, ed io son subito venuta per vedervi, ed anche a prestarvi la mia opera, se posso esservi utile in qualche cosa.

            - Ti ringrazio, o mia figlia; il signor Paroco è molto buono; pensò {87 [203]} che sarei stato molto contento d’ ancor vederti una volta.

            La giovinetta appressò le sue labbra sulla pallida fronte del vecchio, e suo malgrado, lasciovvi cadere sopra una lacrima.

            - Che Iddio vi benedica, ripigliò il moribondo, o miei figli!...

            Poscia si mise di nuovo a pregare; recitava l’ orazione domenicale; quando giunse all’ ultima domanda chiuse la bocca per sempre.

            «Iddio lo liberò da ogni male», disse il prete. E siccome Pietro s’ abbandonava senza ritegno al dolore, soggiunse:

            «Rallegratevi anzi che piangere, perciocch è il giusto ha ricevuto la sua ricompensa.»

            Tanta fu l’ autorità mostrata dal degno parroco nel pronunziare queste parole, tanta la convinzione nel suo accento, che il giovinetto si calmò all’ improvviso, ed un profondo silenzio si fece attorno al funereo letto. Non posso precisare quanto vi durò. Lasciando i due giovani intorno al morto, ce ne uscimmo il sacerdote ed io nel medesimo {88 [204]} istante dalla capanna molto commossi di quanto vedemmo.

            Possa io morire della morte dei giusti, e simile al loro sia il mio fine.

            (Estratto dal Foger des Familles).

 

 

Episodio XXII. Il Papa e l’ Eucaristia.

 

            Il Papa è il primo ministro dell’ Eucaristia, il sovrano Pontefice, il rappresentante visibile di Colui che se ne sta invisibile sotto i veli del sacramento, e che abita tra noi pieno di grazia e di carità.

            Il Papa è la voce della Chiesa, la quale è il corpo mistico, e la sposa di Cristo. Proseguendo a rappresentarlo in questa terra nella sua missione d’ amore e di verità per la felicità e salute degli uomini. Quindi ne avviene che Egli è come la voce del Dio dell’ Eucaristia, e l’ eco vivente del Verbo incarnato. Il Papa è il padre, è il capo dei Vescovi e dei sacerdoti, che ricevettero mediante l’ ordinazione, il sublime {89 [205]} onore di consacrare il corpo e il sangue del Signore, di distribuirlo ai loro fratelli, e di prepararli a riceverlo. Essi ricevono la loro augusta missione fra gli uomini dal padre dei fedeli.

            La sposa di Cristo conserva il deposito delle verità, il tesoro dell’ Eucarestia, la sorgente dei sacramenti, che sono i canali della grazia divina; ella offre a Dio il sacrifizio, che a Lui è gradito, e riposa sopra Pietro come un edificio sopra immobili fondamenta.

            La Chiesa Cattolica sola è veramente una nel suo dogma , nella sua morale, nel suo culto, e nella sua gerarchia. Tutto nella religione cattolica è unito e concatenato insieme, ed i suoi dogmi sono solitari; essi sono tra di loro come le stesse persone della SS. Trinità, colle quali in realtà essi hanno rapporto. I dogmi formano il dogma cattolico; costituiscono la fede una della Chiesa come il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo non formano che un solo Dio; di modo che il negare un dogma rivelato, è lo stesso che il negarli tutti, almeno in principio; perchè {90 [206]} essi tutti si fondano sopra la medesima base della parola di Dio; il difenderne perciò uno, si è il difenderli tutti per la loro solidarietà. Ora la missione del Papa è un dogma che conserva per cosi dire l’ integrità di tutti gli altri dogmi. Il morire per il Papa è dunque morire per la Chiesa, di cui egli è il Sovrano Pontefice; per il Padre principio delle altre due persone; per il Figlio di cui è il vicario visibile, per lo Spirito Santo, che formò la Chiesa, e la regge; per l’ Eucaristia, complesso delle meraviglie divine, di cui è il primo ministro, e che è il principio, e il fine della sua autorità in Cielo, e sulla terra; per la Vergine Maria nella quale il Salvatore s’ incarnò, e che Essa la prima adorò. Ecco come nella Chiesa i dogmi si avvicendano, e si concatenano insieme. Il papato però ne è il diapason che dà il tono in questo sublime concerto di verità rivelate, che raccontano le grandezze di Dio. Le volte delle nostre chiese fanno rimbombare sino ai confini del mondo ed in ogni tempo il Credo immacolato {91 [207]} uscito dalla bocca di Pietro. In tal guisa la Chiesa è un magnifico edificio, la cui base e pietra fondamentale è il Papa. Chi ascolta il Papa, ascolta Dio; chi disprezza il Papa, disprezza Dio; ciò che egli lega, o scioglie sopra la terra, sarà legato, o sciolto in Cielo; ciò che definisce è sanzionato nella celeste dimora; Dio parla por la bocca di Pietro.

            La Chiesa è una società, e si compone di membri, di cui il Papa è in questa terra il capo. E sicccome essa abbraccia non solo i fedeli sulla terra, ma ancora gli angeli e santi in Cielo, e quelli che sono in purgatorio, cosi vilipendere il Papa capo visibile della Chiesa, è fare affronto non solamente al capo invisibile, di cui egli è il raprescntante e l’ ambasciatore fra noi, ma anche ai santi che sono le membra di Cristo unite in comunione con noi, e che godono della sua presenza reale nei Cieli; si è il prendersela contro il mistero della Croce che l’ Eucarestia perpetua e di cui Pietro porta lo stendardo, e con {92 [208]} questo si attaccano tutti i cristiani rivelandone egli la grandezza e la dignità essendo essi uniti tra di loro come gli stessi dogmi. Si viene pure ad assalire l’ Incarnazione, e la Redenzione che sono il principio dell’ Eucaristia e la stessa Eucaristia che è la strada della patria dell’ anime, il cemento dell’ edifizio di cui Pietro è la base. Al contrario il difendere la civilizzazione figlia del Cristianesimo è lo stesso che difendere il suo principio, il Papato, vincolo esteriore dell’ edificio divino, ed in conseguenza si difende l’ Eucarestia, che ne è il vincolo interiore, e suo centro. Giacch è se si scrolla la base, come sussisterà in piedi il monumento?

            Difatto se la Chiesa è una, santa, cattolica ed apostolica, è tale per l’ Eucarestia , legame dei fedeli, loro nutrimento, e loro sacrifizio; si è per mezzo di essa che Gesù Cristo dimora continuamente fra noi, e che ci riunisce in un sol corpo, ed in un solo spirito; ma questo si opera per mezzo della Chiesa romana, vincolo, centro {93 [209]} e punto di partenza esteriore di questa magnifica unità. Perciocchè la Chiesa, come l’ uomo per cui è stata fondata, come il Verbo incarnato, che la fondò, è composta d’ un’ anima e d’ un corpo.

            Il papato è quello che defende, conserva e propaga la credenza dell’ Eucarestia, si feconda in beneficii, e l’ Eucarestia è quella che anima il papato, e lo rende immortale.

            Un celebre scrittore non esitò di scrivere un libro sulla divozione al Papa come si direbbe la divozione all’ Eucarestia. Ed in realtà il papato distribuisce il pane della parola e quella del sacramento, e conserva questo doppio deposito che ha ricevuto da Dio. Egli rappresenta l’ Uomo-Dio, che riposa nella Eucarestia.

            La forza, e la bontà della sposa di Cristo proviene dall’ armonia di tutte le sue parti; questa armonia è formata nell’ interno dall’ Eucarestia e nell’ esterno dal papato. Così adunque, non stanchiamoci di ripeterlo, l’ attaccare l’ Eucarestia, è attaccare il papato, e viceversa non si può in alcun modo fuggire {94 [210]} il posto principio; perciocch è il papato è la chiave della volta, la pietra fondamentale dell’ edifizio, del quale Cristo è l’ architetto ove dimora fra noi, e trova le sue delizie.

            Il Papa, per diritto divino, vero pastore delle pecore e degli agnelli è pure il difensore della giustizia, della carità, dell’ ordine, della pace, della libertà dei figli di Dio; cose tutte che trovano la loro sanzione, il loro principio, il loro modello ed il loro fine nel Dio dell’ Eucarestia. Il prendersela contro il papato direttamente o indirettamente nel suo principio divino, è darsi in braccio all’ apostasia, alla successiva negazione della verità, e della morale, di cui l’ Eucaristia è in certo modo il compendio, il mezzo, la cima, ed il tutto.

            Ed ecco come Gesù Cristo, Dio con noi è il centro da cui partono i raggi nel regno della grazia divina, ed ove tutto ha il suo compimento nella Chiesa! Papato! questa è la più alta espressione del ministero apostolico, da cui irradiano per cosi dire tutti i {95 [211]} ministeri della grazia, ed ove tutti convengono Gesù ostia, e vittima, pontefice invisibile; il Papa grande sacrificatore e sovrano pontefice. Gesù anima della Chiesa, il Papa suo capo visibile, e soventissimo anche martire e vittima. Senza Gesù Emanuele ed il Papa suo rappresentante non si ha altro più che la morte; non havvi più unità, ma divisione; non più amore, ma odio! Gesù vivente nell’ ostia, vive ben anche nel sacerdote, ed in special modo nel Papa gran sacerdote della legge d’ amore, e del nuovo Testamento, come la più alta espressione dell’ autorità divina.

            Così la Chiesa è un corpo avente per capo il Papa, e per anima l’ Eucarestia, e questa l’ accerta della sua immortalità; perchè è la presenza reale di Colui che è la via, la verità e la vita, e senza Lui non possiamo far alcuna cosa. E siccome la fede all’ Eucarestia riposa sull’ autorità della Chiesa infallibile, cosi la presenza reale trovasi tra le mani della Chiesa, ed essa sola ha le chiavi del divino tabernacolo. {96 [212]}

            Dio è presente fra noi in forza dell’ Eucarestia e del Papato, secondo la promessa di Gesù Cristo di far sua dimora fra noi, di non lasciarci orfani, di parlare per bocca della Chiesa, di continuare la sua benefica missione, di guarire e di salvare l’ umanità.

            Non presuma d’ aver Dio per padre quegli che non vuole la Chiesa per madre, fuori della quale non avvi salute. Essendo adunque il Papa l’ organo della Chiesa, è per conseguenza quello pure di Dio stesso.

            Egli parla come avente potestà avendola ricevuta dall’ Onnipotente che a lui disse: «Tu sei la pietra fondamentale; va, ammaestra tutte le nazioni con gli Apostoli tuoi fratelli, essendo tu il loro capo. Chi vi ascolta, ascolta me stesso, e chi vi disprezza, disprezza me stesso; voi siete per sempre uniti.» Non potrà dunque perire il Papato come non può perire la parola di Cristo sopra la quale si riposa, il che è pure dell’ Eucarestia. Lo stesso Verbo che disse: Sia fatta la luce: questo è il mio corpo, disse {07 [213]} al Papa: Tu sei la pietra su cui io fonderò la mia Chiesa; e questa parola non mancherà mai. Anzi gli uomini urtando contro l’ angolare pietra resteranno essi stessi schiacciati. Il sollevarsi contro il Papa, è sollevarsi contro gli Apostoli, contro la Chiesa, e contro Dio; è rendersi degno dei fulmini e delle maledizioni del Cielo, scomunicarsi da s è stesso dalla società dei fedeli.

            Preghiamo dunque per il Papa, o Cristiani, perchè pregare per il Papa, è pregare per noi stessi e per la società scossa dai nemici di C. Cristo, e del Papa suo Vicario in terra.

            (Estratto dagli Annales du Saint Sacrament).

 

 

Episodio XXIII. Un assassinio fallito per intercessione della Madonna d’ Oropa.

 

            L’ Arcangelo Raffaele quando si fece conoscere ai due buoni Tobia padre e figlio, loro disse: È cosa lodevole {98 [214]} rivelare ed annunziare le opere di Dio. Per il che io crederei di rendermi colpevole e verso Dio e verso Maria SS. di grave omissione ed ingratitudine , se non rendessi di pubblica cognizione una segnalatissima grazia operata da Maria SS. nella persona d’ un certo Domenico Zanone di Zumaglia paese poco distante dalla città di Biella.

            Solito costui recarsi in ogni domenica per le sue divozioni a Biella, nel giorno 19 di maggio 1861 domenica di Pentecoste secondo il suo solito uscì di casa alle ore 4 di mattina. Giunto sul piano della landa di Ronco, ecco sbucare un uomo dai vicini macchioni , farsigli incontro e chiedere l’ elemosina, e nel mentre che l’ altro, glie la porgea piuttosto discreta, ecco uscire dai medesimi macchioni un altro individuo armato di pistola, e postagliela al petto chiedergli la borsa. Tutto tremante e pieno di spavento il povero Zanone alza gli occhi al cielo per implorare l’ aiuto di Dio; e s’ accorge di trovarsi appunto in prospettiva {99 [215]} del Santuario d’ Oropa. Allora di di tutto cuore implora l’ aiuto della Vergine ed a Lei con fervore si raccomanda perchè lo liberi in un tale frangente. Fatta questa preghiera sente rianimarsi lo spirito e riempirsi di coraggio. Pel che afferra risolutamente la pistola dell’ assassino e si difende come meglio può. Il finto mendico allora tratta una falcetta, minaccia di colpirlo sul capo. Egli si difende sempre con gran coraggio, quando si aggiunse un terzo loro compagno, che con un coltello alla mano gli si avventa contro. In questo pericolo il Zanone lasciando cadere la pistola, che s’ accorse non esser carica, abbranca la mano, ed il coltello del terzo assassino. Mentre egli cosi difendevasi con sommo pericolo di farsi tagliar le mani tenendo da una il coltello, e dall’ altra la fal cetta, venne spogliato di quanto aveva. Cercando poi i malandrini di farlo cadere con dargli urtoni, pugni, calci, egli senza potersi spiegare il come sempre se ne stette in piedi. Per rabbia un di quei scellerati prende la {100 [216]} pistola, e percuote con tanta forza a replicati colpi la fronte scoperta del Zanone da rompere il calce della medesima che pure era di legno di noce sanissimo. Trovandosi lo sfortunato Zanone in queste strettezze si mise a gridare, ed ai malandrini si rivolse dicendo loro: Ma per amor di Dio lasciatemi stare. Appena profferite tali parole, gli assassini fuggirono contale precipizio che lasciarono sul suolo e le armi, ed anche i denari di cui lo avevano spogliato. Non isvenne ad onta di tante percosse, e del sangue che grondava da ben cinque gravi ferite, tre delle quali nella testa; potè ancora recarsi a casa, ed in mezzo allo smarrimento dei congiunti egli solo era calmo e sereno. In poco tempo guari dalle ferite, non provò mai nè mal di cuore, nè sentì dolori acuti come sogliono avvenire in simili occasioni. Tutti questi favori il Zanone attribuì ad una speciale protezione della Vergine d’ Oropa, alla quale erasi votato. Onde non si tosto trovossi in istato di poter viaggiare, che recossi al Santuario {101 [217]} e quivi sciogliendo il suo voto lasciò a perpetua memoria un quadro rappresentante il fatto narrato. Di più di questo fatto venne redatto atto autentico, deposto negli archivii del Santuario sottoscritto da varii testimonii, che recaronsi a Zumaglia ad esaminare il ferito, e sentire da lui tutto l’ avvenuto; persone tutte degne di piena fede, perchè probe, religiose e godenti somma stima nel popolo.

            Oh! quanto è vero adunque quel che dice s. Germano di Maria SS: Essere la grandezza di Lei senza limiti, ed i tratti della bontà di lei senza numero. Felici noi se in ogni nostra necessità ricorreremo con fiducia alla gran Madre di Dio! che abbondanza di favori non riceveremo mai!!...

 

 

Episodio XXIV. Pio IX ed un contadino Brettone.

 

            L’ Esperance di Nantes, e l’ Armonia di Torino pubblicarono il seguente curiosissimo fatto; e noi lo riproduciamo {102 [218]} colle stesse parole di quest’ ultimo giornale.

            «Nel mese di giugno dell’ anno scorso il Giornale di Roma annunziava le commoventi accoglienze fatte dal venerabile Pio IX ad un contadino brettone, ed alla sua famiglia. Quest’ anno nella festa dell’ Epifania l’ eccellente Brettone, sempre sotto l’ incanto delle paterne, e dolci parole del nobile Pontefice, ebbe l’ ingenua inspirazione d’ offrirgli in omaggio di riconoscenza un berlingozzo dell’ Epifania composto da lui medesimo. Si volle stornarlo dal suo disegno, si parlò di convenienza, di rispetto; ma egli non giungendo a capire che una tale azione inspirata dall’ amor figliale potesse essere irrispettosa, fece partire la sua focaccia accompagnata dalla lettera seguente:

            «Aigrefeuille, 4 gennaio 1863.»

 

            Santissimo Padre,

            «Vostra Santità si degnerà perdonare a un povero contadino brettone la libertà che osa prendersi nel venire anche una volta a prostrarsi a' suoi {103 [219]} piedi. La memoria della benevolenza infinita, e della bontà tutta paterna, con cui Ella volle ammettermi alla sua udienza dei 14 giugno 1862 ed accordare alla mia famiglia, ed a me la sua benedizione apostolica, mi fa sperare che Ella farà buon viso ad un atto unicamente inspirato dalla pietà filiale. Figlio devoto della Santa Chiesa Romana, io sono stato lieto di consacrare due de' miei figli alla difesa della sua libertà nel battaglione degli Zuavi pontificii. La mia più grande ambizione sarebbe, santissimo Padre, supplicare di nuovo Vostra Santità, d’ accettare almeno l’ omaggio d’ una di quelle focaccie che sono in uso in quest’ epoca dell’ anno nel nostro paese di Brettagna, e che si chiamano gâ teaux des Rois, composta con un fermento, di cui tutti i fedeli di questa parochia che hanno avuto conoscenza del mio progetto si sono recati ad o nore di somministrare alcuni grani, essa sarà per Vostra Santità il pegno e il simbolo della nostra comunione colla santa Sede, come pure del nostro {104 [220]} amore, e del nostro attaccamento all’ augusta persona di Pio IX Pontefice e e Re.

            «Io sono col più profondo rispetto, sollecitando la sua Apostolica benedizione per la mia famiglia, e per me Santissimo Padre.

 

            Di Vostra Santità

                                    Umili. e dev. figlio

                                                            VILLAINE»

 

            Commosso il santo Padre sino allo lagrime dalla fede e dalla pietà del suo fedele Brettone, si degnò di rispondergli di propria mano:

 

            20 gennajo 1863.

            «Il Signore vi benedica, carissimo figlio, e benedica la vostra famiglia, e vi conduca tutti nel cammino della pace e della salute per il tempo e per l’ eternità.

 

Pio PAPA IX.» {105 [221]}

 

 

Episodio XXV. Risposta d’ un Pastorello.

 

            Un giorno Monsignor De Segur viaggiando per le belle campagne di Roma, incontrò, non lungi d’ Albano un giovane pastorello delle montagne del Lazio. Invaghito dal suo aspetto tutto insieme modesto e schietto, gli diresse la parola, e lo interrogò sul catechismo. «Sai tu ciò che sia il Papa?» - Credo bene di saperlo, rispose il fanciullo con vivacità; e scoprendosi con rispetto il capo; il Papa, disse egli, è Cristo in terra.

            Questo giovane pastore ne sa molto più sul Papa, che i più grandi sapienti delle nostre accademie; compendiò , senza addarsene, tutte le quistioni che si agitano intorno al Sovrano Pontefice; egli profferì il primo e l’ ultimo motto. Si il Papa è Cristo in terra! è il Sacramento di Gesù, Sovrano Pontefice, Sovrano Pastore, Sovrano Dottore, Padre dell’ umanità rigenerata. Egli è il {106 [222]} segno sensibile e permanente dell’ autorità di Gesù Cristo, e della sua infallibilità.

 

 

Episodio XXVI. Bontà del nostro S. Padre, Pio IX.

 

            «Il Santo Padre, dice la Semaine religieuse, visitando l’ ospedale di s. Giacomo vide una donna di mala vita, la quale era moribonda. Egli si avvicina al suo letto e le indirizza qualche parola di benevolenza e di consolazione. Allorchè questa infelice s’ accorse della presenza del Papa, gli stese le braccia, e colle lacrime agli occhi gli domandò con fioca voce, se ella poteva ancora salvare la sua anima dopo tutti gli scandali e i peccati senza numero che aveva commessi. Il santo Padre procurò subito di consolarla con benignità, e la esortò a mettere tutta la sua confidenza nella misericordia di Dio che desidera e vuole la salute di tutti i peccatori che gli chiedono perdono con un vero pentimento. Egli le citò àncora {107 [223]} l’ esempio di s. Maria Maddalena e di santa Maria Egiziaca, le quali sono ora, per la misericordia di Dio, trionfanti e gloriose nel Cielo, dopo essere state grandi peccatrici in questo mondo. In seguito Sua Santità le diede la sua benedizione in articulo mortis, e le presentò la sua propria croce, affinchè la baciasse con pietà, esortandola a mettere la sua confidenza in Gesù Cristo, il quale volle morire sopra una croce per cancellare tutti i nostri peccati. Tutte le persone che assistettero a questa scena furono commosse sino alle lacrime.»

 

 

Laus Deo, viva Gesù, Maria e Giuseppe. {108 [224]}

 

Indice

 

Episodio I Il scrino della santa Croce .

pag 3

Episodio II Capo 1 Cenno sulla vita di Gio Enrico Reher

9

Episodio II Capo II Il miracolo della Madonna di Re nella valle Vigezzo e conversione di Enrico

14

Episodio II Capo III Premuradi Giovanni Enrico nell’ istruirsi e prepararsi alla sua riconciliazione

21

Episodio II Capo IV Abiura e Battesimo .

24

Episodio III Le Suore di carità non possono esistere che nel cattolicismo .

28

Episodio IV Una buona lettura .

31 {109 [225]}

Episodio V Una doppia elemosina 34

 

Episodio VI Atto eroico d’ una giovinetta

35

Episodio VII La lettura della passione di G Cristo

40

Episodio VIII Il miglior modo di fare orazione

41

Episodio IX La ghinea dei poveri Irlandesi a Pio IX

43

Episodio X Il Maresciallo d’ alloggio che arrestò Pio VII convertito da un Cardinale arcivescovo

44

Episodio XI Brevi cenni sulla vita del canonico Giuseppe Cottolengo

47

Episodio XII Il segno della santa Croce .

60

Episodio XIII Un frutto della confessione

62

Episodio XIV Il Coscritto .

63

Episodio XV La Corona

64

Episodio XVI I tre Pater noster .

67

Episodio XVII La vigilia del mese di maggio

68 {110 [226]}

Episodio XVIII Un piccolo seminario salvato dall’ incendio .

pag 69

Episodio XIX I cattivi libri sentenziati da una fanciulla .

74

Episodio XX Una predica del Vescovo d’ Orleans

76

Episodio XXI La morte d’ un taglialegna .

78

Episodio XXII Il Papa e l’ Eucaristia .

89

Episodio XXIII Un assassinio fallito per intercessione della Madonna d’ Oropa

98

Episodio XXIV Pio IX ed un contadino .

102

Episodio XXV Risposta d’ un Pastorello

106

Episodio XXVI Bontà del nostro S Padre Pio IX

107

 

 

            Con approvazione Ecclesiastica. {111 [227]} {112 [228]}

 

 



[1] V. Cavalli, Cenno statistico-storici della Valle Vigezzo, come pure: Nuovissima narrazione storica del miracolo della Madonna di Re.

[2] Soffocando continuamente i pensieri che la profonda ammirazione pel Cottolengo ci suggeriva e non consentendoci il breve spazio di scriverli, noi abbiamo raccolte queste breve notizie sul servo di Dio in due operette che si vendono al prezzo di centesimi 60 cadauna presso la libreria Pietro di G. Marietti, a benefizio della causa della sua beatificazione. L’ una è l’ elogio funebre letto dal canonico Renaldi ora Vescovo di Pinerolo, l’ altra è il discorso del Vescovo di Mondovi pronunciato nell’ apertura del processo della beatificazione. Noi ad esse rimandiamo i nostri lettori e oltrechè troveranno una ben dolce ed utile lettura aiuteranno pure l’ opera santa da lui fondata.




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