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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

EXPOSIZIONE DEL SACERDOTE GIOVANNI BOSCO AGLI EMIMTISSIMI CARDINALI DELLA SACRA CONGREGAZIONE DEL CONCILIO S. PIER D’ARENA

 

TIPOGRAFIA DI SAN VINCENZO DE' PAOLI

1881. {13 [49]} {14 [50]}

 

 

 

 

INDEX

 

Ragioni di questa esposizione  2

Proemio  2

[1873] 3

1873  3

1874  5

1875  7

1876  10

1877  13

1878  23

1879  23

1880  24

1881  28

Conseguenze  34

Una preghiera  35

Protesta  36

 


Ragioni di questa esposizione

 

            Sono ormai dieci anni, dacchè il sottoscritto e la nascente Congregazione Salesiana soffrono gravi vessazioni per parte dell’Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi, le quali, oltre agli innumerevoli disturbi che ci hanno arrecato, c’impedirono eziandio di attendere alla salute delle anime. Imperocché questo Prelato ora ci vietò di servirci delle facoltà conceduteci dalla Santa Sede; ora contro le prescrizioni ecclesiastiche pretese d’ingerirsi nel regime interno e disciplinare della nostra Congregazione, come se fosse solamente un Istituto diocesano; sovente senza ragione rifiutò { [51]} di ammettere i nostri Chierici alle Sacre Ordinazioni; talvolta per futili pretesti negò ai nostri Sacerdoti la facoltà di predicare e di confessare ed anche di celebrare la Messa nella sua Diocesi; talora li sospese senza colpa canonica e senza far precedere le formalità richieste dai Sacri Canoni; ci proibì di pubblicare nella sua Diocesi Brevi ottenuti dal Sommo Pontefice a favore delle nostre Opere; biasimò Instituzioni benefiche già commendate e benedette dal Santo Padre; scrisse lettere a grandi e a piccoli, e stampò e pubblicò persino libelli per infamare i Salesiani ed il loro Superiore. Tutti questi atti paiono essere stati promossi dal nemico di ogni bene, per soffocare e distruggere la nostra povera Congregazione, o metterle almeno intoppi sopra intoppi, perchè non possa conseguire quel fine, per cui venne stabilita ed approvata dalla Santa Sede.

            Tutte queste ed altre innumerevoli molestie noi abbiamo fin qui tollerate in silenzio. I tempi corrono diffìcili per la Santa Chiesa, e io non voleva recarle disturbi, provocando solennemente l’autorevole e supremo suo giudizio a {4 [52]} nostro sostegno. Mi doleva eziandio reclamare contro un Personaggio, verso il quale nutrii sempre stima e venerazione.

            Noi avremmo continuato ancora a sopportare in silenzio simili molestie e difficoltà; ma ultimamente l’Arcivescovo deferì alla Sacra Congregazione del Concilio, e pubblicò cose infamanti pel sottoscritto e per tutta la Pia Società Salesiana, invocandone provvedimenti; e perciò io mi trovo dal dovere dell’ubbidienza costretto a fare alla Santa Sede la presente Esposizione.

            Siccome io compio questo doloroso uffìzio con grande ripugnanza dell’animo mio, così passerò sotto silenzio molti fatti e detti, che riguardano solamente l’umile mia persona, esponendo invece quelli, che riflettono alla Congregazione o a me stesso, siccome Capo e Superiore della medesima.

            Torino, 15 Dicembre, ottava della festa

                        di' Maria Immacolata, 1881.

Sac. GIOVANNI BOSCO. {5 [53]} {6 [54]}

 

 

Proemio

 

            È da premettersi che S. E. Rev.ma Monsignor LORENZO GASTALDI quando era soltanto Canonico ed eziandio quando divenne Vescovo di Saluzzo si dimostrò costantemente amico dell’opera degli Oratorii, perciò della Congregazione Salesiana. Ma fatto Arcivescovo di Torino, invece di farsene benevolo protettore, come si aveva motivo a sperare e come egli stesso aveva assicurato, cominciò a manifestare alcune freddezze in una lettera del 9 Novembre 1872 in risposta ad una dello stesso giorno direttagli da D. Bosco. In essa l’Arcivescovo in certo modo mette in canzone i giusti lamenti del povero D. Bosco intorno al nuovo suo contegno assunto verso alla nascente Congregazione Salesiana, senza mai averne voluto dire la ragione. Mentre cento altri Vescovi ci fecero sempre da padri e da benefattori, quello di Torino trovava sempre difficoltà ogni volta, che doveva trattare affari concernenti i Salesiani.

            Alcuni fatti ricavati dalle stesse lettere di Monsignor Arcivescovo ci vengono in appoggio. Qui ne accenneremo alcuni anno per anno. {7 [55]}

 

 

[1873]

 

            Il 24 Ottobre 1872 l’Arcivescovo scrive a D. Bosco:

            “Prego V. S. di dare gli ordini opportuni acciò tutti gli alunni aggregati alla sua Congregazione, i quali desiderano di ricevere la Tonsura oppure gli Ordini minori o maggiori si presentino personalmente da me almeno quaranta giorni prima del giorno dell’Ordinazione, e che porgano un attestato sottoscritto da V. S. o da chi lo rappresenta, in cui sia indicato il nome e cognome dell’alunno, il nome del suo padre, il luogo della nascita, e la Diocesi in cui nacque ed a cui appartiene per qualche ragione, l’età precisa che ha, in che anno entrò nell’Oratorio di S. Francesco di Sales fondato da V. S., ed ivi quanti anni attese allo studio della latinità e delle belle lettere, quanti allo studio della Teologia, ed in che luogo abbia atteso a tali studi, ed in che anno e giorno abbia emesso i voti triennali, o li abbia rinnovati.”

            L’Arcivescovo di Torino, non curandosi delle concessioni pontificie, con lettera di proprio pugno comincia a negare il suo consenso a che nella Notte del SS. Natale si celebrino le tre Messe di seguito, sebbene a porte chiuse al pubblico, nella nostra Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice in Torino.

            Egli scrive il 19 Dicembre: “Non do il mio consenso a che si celebrino le tre Messe nella Notte del SS. Natale quantunque si celebrassero januis clausis: perchè mi spiace che si voglia andare a ritroso di ciò che la Chiesa ab immemorabili ha ordinato, cioè che siavi una Messa nella Notte, l’altra nell’Aurora, e l’altra più tardi, e desidero che la nuova Congregazione religiosa di V. S. sia tenace delle antiche usanze della Chiesa.”

            Con queste parole egli in certo qual modo dà un biasimo alla Santa Sede di aver concesso quel favore alla nostra Congregazione ed a moltissimi altri Istituti e a Chiese pubbliche e private, come se con detta concessione ella {8 [56]} andasse a ritroso di ciò che la Chiesa ha ordinato ab immemorabili. Sembra all’Arcivescovo che egli conosca meglio lo spirito della Chiesa che non lo conosca il Papa.

 

 

1873

 

            Al 4 Gennaio di questo anno l’Arcivescovo fece una benevola Commendatizia, affinchè le Costituzioni Salesiane fossero dalla S. Sede approvate, e la consegnò nelle mani del Superiore Generale; ma con grande sua sorpresa Don Bosco giunto a Roma trovò lettere scritte dall’Arcivescovo medesimo alle Sacre Congregazioni, nelle quali biasimava quanto aveva poco prima commendato.

            Quasi nel medesimo tempo (11 Gennaio) Monsignore spediva una Circolare segreta ai Vescovi del Piemonte e Genovesato, affinchè, se richiesti da D. Bosco per una Commendatizia, la facessero secondo le norme e le condizioni imposte da lui Arcivescovo.

            Parecchie di queste lettere non benevole dell’Arcivescovo fecero parte della posizione fatta per la domanda di approvazione della Società di S. Francesco di Sales.

            In una specialmente di queste lettere, colla data 9 Gennaio 1874, sono imputate cose turpi a taluni, che non hanno mai appartenuto alla Congregazione Salesiana, ma che egli le getta sui Salesiani allo scopo d’infamarli. Dice pure quivi che non pochi di essi usciti di Congregazione andavano a dar lagnanze nelle loro Diocesi; mentre fino a quel tempo niuno dei Salesiani era uscito dalla Congregazione, eccetto il P. Federico Oreglia, che si fece Gesuita per continuare i suoi studi pel sacerdozio, ed ora lavora con molto zelo nella Compagnia di Gesù.

            Nel mese di Aprile gli fu dimandata la dichiarazione che non teneva le sacre Ordinazioni in Sitientes, e ciò per inviare due religiosi a ricevere il Presbiterato in altra Diocesi. Egli rispose invece con queste parole: “Tutte le {9 [57]} volte, che alcuno degli ascritti alla Congregazione dell’Oratorio di S. Francesco di Sales si presenta alla Curia Arcivescovile di Torino per essere promosso agli Ordini,” o per ottenere la dichiarazione richiesta per ricevere gli Ordini in altra Diocesi, deve presentare un attestato in cui il Superiore di detta Congregazione o chi ne fa le veci esponga il cognome, nome, età dell’Ordinando, il luogo nativo e la Diocesi, ed attesti:

            1° Che esso è entrato nella Congregazione o nell’Oratorio prima degli anni 14;

            2° Che presentemente ha fatto i voti triennali e ne è ancora legato;

            3° Che ha subito lodevolmente l’esame nella Curia Arcivescovile di Torino;

            4° Il perchè non si presentò all’Ordinazione quando questa era amministrata dall’Arcivescovo.

            Un tale attestato si presenti per i due Diaconi Lasagna Luigi e Bacino Giovanni.”

            L’Arcivescovo non poteva pretendere questo esame sulla scienza teologica, il quale appartiene al Vescovo ordinante, come prescrive il Concilio Tridentino. Tuttavia fu appagato. Ma allora che cosa fece egli? Avendo in animo di vessarci in qualsiasi modo, tosto aggiunse che i due Diaconi dovevano fare la loro dimanda quaranta giorni prima. Non essendo più tal cosa possibile, ed essendovi penuria di Sacerdoti, fu nuovamente pregato di voler fare soltanto la dichiarazione in conformità della Costituzione di Benedetto XIV che non teneva Ordinazione al Sabbato Santo; ma non fu possibile nè farli ammettere, nè di ottenere la mentovata dichiarazione.

            Poco dopo l’Arcivescovo rinnova le suddette pretese, e vuole che l’Ordinando stesso debba quaranta giorni prima presentarsi da Lui per essere interrogato del mime, cognome, patria, luogo in cui ha fatto gli studi primarii e secondarii prima di entrare in Congregazione: anni di religione, se ha fatto i voti triennali o perpetui, e da quanto tempo; che cosa lo mosse ad entrare in Congregazione, se è contento del suo stato, perchè abbandonò la sua Diocesi, ecc. {10 [58]} Con questo minuto e severo esame l’Arcivescovo entrava nell’interno della Congregazione, e la rendeva esclusivamente una Istituzione diocesana.

            Tale suo procedere verso religiosi, che da molti anni vivevano tranquilli di loro vocazione, cagionò in alcuni non leggiere turnazioni ed inquietudini di coscienza, ad altri fece anche perdere la medesima vocazione. Tuttavia sempre pre bono pacis si giudicò bene di accondiscendere, sebbene un tale esame fosse contrario alla disciplina ecclesiastica. (Collectanea pag. 724).

            Ma le esigenze di Monsignore non si arrestano quivi.

            Al 7 di Maggio egli rinnova per iscritto che non ammette i Salesiani alle Ordinazioni, senza la formale promessa scritta che non si riceva tra noi alcuno che abbia appartenuto al Clero della Diocesi. Scrive adunque: “Che non può ammettere all’Ordinazione alcuno dei membri della Congregazione dell’Oratorio di S. Francesco di Sales in fino a che non vi sia una promessa, che non vi sarà più ricevuto alcun giovane in nessuna delle Case Salesiane già appartenente al Clero della Diocesi di Torino, senza il consenso per iscritto della Curia Arcivescovile.”

            Si appagò l’Arcivescovo e il 29 di detto mese fecesi la seguente dichiarazione:

            “Il sottoscritto, sempre lieto di poter secondare i desiderii di S. E. Rev.ma l’Arcivescovo nostro di Torino, di buon grado dichiara:

            1° Che non riceverà mai nelle Case della Congregazione Salesiana come Chierico alcun allievo, che abbia appartenuto ai Chierici seminaristi di questa nostra Arcidiocesi; eccetto che fossero già stati accolti nelle Case di detta Congregazione prima dei quattordici anni, oppure chiedessero di venire ad imparare qualche arte o mestiere;

            2° Che tale è la nostra pratica finora seguita, e non si farà alcuna eccezione di sorta senza il permesso o consenso della Curia Arcivescovile;

            3° Persuaso eziandio di interpretare fedelmente i voleri della prelodata S. E. Rev.ma intende che questa {11 [59]} dichiarazione sia fatta colle riserve e limiti prescritti dai Sacri Canoni, stabiliti per tutelare la libertà delle vocazioni religiose;

            4° Occorrendo ulteriori schiarimenti saranno dati colla massima prontezza ad un semplice cenno del Superiore Ecclesiastico, i cui consigli saranno sempre un tesoro per lo Scrivente.

Sac. Gio. Bosco.”

 

            Tutto andava bene, ma la clausola del N. 3°, che cioè con quella dichiarazione s’intendevano salvi i Sacri Canoni o prescrizioni della Chiesa stabilite a tutelare la libertà, delle vocazioni religiose, dispiacque all’Arcivescovo, e quindi respinse questa dichiarazione.

            Per questi fatti s’aumentarono gli scresci e gli scoraggiamenti tra i Soci Salesiani, ed alcuni vedendosi cosi osteggiati e respinti dalle Sacre Ordinazioni abbandonarono la Congregazione Salesiana.

            Malgrado tutte queste ostilità D. Bosco non cessò mai di essere ossequioso e sostenitore dell’Autorità Arcivescovile.

            Di fatto il 14 Maggio scrive all’Arcivescovo informandolo che pochi giorni prima dovette fare non piccoli sacrifizi, per impedire la pubblicità di certi articoli infamanti sopra un giornale contro la sua venerata Persona. Questo ed altri fatti consimili, furono noti all’Arcivescovo. Qui segnaliamo che a motivo di una sua pastorale fatta stampare nella nostra tipografia di Torino l’Arcivescovo era citato davanti ai tribunali; e Don Bosco per liberarlo da questa molestia, come Direttore della tipografia si assunse ogni responsabilità per lui, facendosi condannare in contumacia e pagando la multa imposta. Di questi ed altri servizi l’Arcivescovo ci retribuiva con vessazioni ognor più dolorose.

            Il 22 Agosto vennegli presentato un nostro Suddiacono per le Ordinazioni con tutti i requisiti necessarii, ma egli si rifiuta di ammetterlo, adducendo che S. Pio V con sua Bolla del 1568 lo proibiva, e conchiude cosi: “L’Areivescovo di Torino non pensa di poter conferire gli Ordini ad individui sprovveduti di patrimonio ecclesiastico o patrimonio privato, se questi non portano l’attestato di {12 [60]} aver emessi i voti perpetui religiosi innanzi ad un Sacerdote, il quale abbia e mostri un Rescritto Pontificio che lo autorizza ad accettare tali voti.”

            Con questo fatto egli dimostrava che non teneva in niun cottto i Decreti della Santa Sede in data del 23 Luglio 1864, e del 1° Marzo 1869, coi quali si approvava in genere la Congregazione Salesiana, e se ne stabiliva Don Bosco Superiore generale, sua vita durante, colla facoltà di dare le Lettere Dimissorie per gli Ordini minori e maggiori ai Chierici della nostra Congregazione. Di questi Decreti l’Arcivescovo di Torino aveva copia autentica presso di sè.

            Nel Settembre dell’anno medesimo un Chierico del suo Seminario domandò di poter venire nella nostra Congregazione, ma non potè mai avere nè l’assenso, nè le Testimoniali dell’Arcivescovo, e ciò contro i Decreti della Sacra Congregazione sopra lo stato dei Regolari in data 25 Gennnaio 1848, coi quali la Santa Sede impone ai Superioriori degli Ordini di domandare le Testimoniali, ed ordina ai Vescovi di rilasciarle.

 

 

1874

 

            In quest’anno non permette che alcun Prete della Diocesi di Torino entri nella nostra Congregazione. Ciò si è specialmente verificato in due Sacerdoti già nostri antichi allievi. Anzi per quanto sta in lui si oppone anche a quelli di altre Diocesi.

            Intanto il 13 Giugno accusa D. Bosco che abbia stampato o stia per dare alle stampe alcune sue lettere, e ciò a sua insaputa. Fugli risposto dal medesimo, che ciò non passò mai neppure per la sua mente. Non volle credere, e ripetè quindi lagnanze sopra lagnanze.

            Al 9 Agosto scrive che ammetterà un nostro Chierico all’esame per le sacre Ordinazioni da prendersi in Settembre, cioè quaranta giorni dopo, purchè “munito di attestato dei voti perpetui fatti, degli studi compiti, {13 [61]} degli Ordini già ricevuti, e dichiarazione della Diocesi a cui appartiene”, e si presenti a lui, per subire il noto esame di vocazione. Giunto poi alla vigilia dell’Ordinazione (18 Settembre) fa scrivere dal suo segretario T. Chiuso: “che gli si rimetta immediatamente una copia di un invito sacro, che egli chiama Circolare, con cui D. Bosco invitava alcuni professori e maestri secolari (per lo più suoi antichi allievi) agli esercizi di Lanzo,” che da molti anni solevano dettarsi nelle ferie autunnali. Succedono tafferugli perchè non si trovano più copie di quello stampato, indi guai e dispiaceri. “Che se poi, dice Monsignore con altra lettera dello stesso giorno 18 Settembre, non gli si manda di questa sera una copia di detta Circolare, si avverta il Chierico Ottonello che domani mattina non si presenti alla Sacra Ordinazione, e nel caso che non esista più alcuna copia stampata si mandi il manoscritto od alcuna delle bozze.”

            Non trovandosene più copia, a fine di appagarlo fu giuocoforza mandargli in sull’istante una sudicia bozza di stampa, rimasta a caso in mezzo a carta straccia nella tipografìa. Egli la spedì tosto al S. Padre con una lunga lettera di lamenti e di accuse.

            Di poi in varie lettere di questo stesso mese di Settembre accusa Don Bosco “d’aver mandato il detto invito sacro (che egli continua a chiamare circolare) a tutti i Paroci della Diocesi di Torino relativamente ad una muta di Esercizi Spirituali nel Collegio di Lanzo” appartenente alla Congregazione Salesiana.

            Si cercò di persuadere l’Arcivescovo che non si è mai sognata quella Circolare, ma non ci fu verso; e per compiacerlo fu d’uopo sospendere i progettati Esercizi Spirituali pe' maestri e professori di scuola secolari.

            Qui domandiamo: Non potevano quei maestri e professori, come altrettanti buoni amici, unirsi insieme in una Casa Salesiana per attendere alla salute della loro anima?

            Il 15 Settembre i Salesiani si raccolgono in Lanzo per gli Esercizi Spirituali della Congregazione, e l’Arcivescovo ordina al Vicario Foraneo di Lanzo quanto segue: {14 [62]}

            “Prego V. S. di sapermi esporre riguardo al Collegio di Lanzo:

            1° Se quivi si diano Esercizi Spirituali o si tengano Conferenze a maestri estranei alla Congregazione Ecclesiastici o secolari;

            2° Se Ecclesiastici, procurarsene e darmene il cognome, nome, uffìzio di ciascuno di essi;

            3° Chi sieno i Predicatori e conferenzisti, loro cognome e nome;

            4° L’ordine di tutte le funzioni.”

            Risponde il Vicario di Lanzo notando che ivi non vi sono che Salesiani; nè D. Bosco voler fare niente di spiacevole al suo Arcivescovo.

            Monsignore non soddisfatto con altra lettera (17 Settembre) scrive di nuovo allo stesso Vicario:

            “Chiedo di nuovo, in modo più esplicito, e quindi una risposta esplicita:

            Negli Esercizi che si danno attualmente nel Collegio di Lanzo sono persone estranee alla Congregazione di San Francesco di Sales, le quali cioè non sieno nè professi, nè novizi della Congregazione, nè alunni nè inservienti del Collegio?

            Se vi sono tali persone, sono esse tutte secolari, o vi sono Sacerdoti e Chierici di questa mia Archidiocesi?

            Se vi sono di questi, intendo averne l’elenco e di questi Sacerdoti e di questi Chierici.

            La prego quindi d’informarsi, se nella prossima settimana siano persone non professi nè novizi della Congregazione, nè alunni od inservienti del Collegio.”

            Il Vicario nello stesso giorno risponde che i Predicatori ed i Confessori erano egli stesso e D. Bosco e nessun altro, nè fra gli esercitandi esservi alcuno estraneo alla Congregazione. Tuttavia l’Arcivescovo non volle acquietarsi; quindi scrisse ancora altre e poi altre lettere, ripiene d’invettive e di accuse con disturbi e dispiaceri di tutti gli esercitandi.

Di questa disgustosa vertenza l’Arcivescovo giudicò moverne persino lagnanze alla Sacra Congregazione dei Vescovi {15 [63]} e Regolari; perciò a richiesta di Monsignor Vitelleschi di felice memoria, allora Segretario della medesima, si dovette mandare una minuta relazione di tutto l’avvenuto. Il prelodato Monsignore dichiarava: “Un invito di tal natura non mi pare che attenti ai diritti dell’Ordinario.”

            Nel mese di Novembre non ammette all’esame per avere le Patenti dì Confessione un Sacerdote Salesiano, Don Paglia Francesco, che, oltre al corso del quinquennio teologico, aveva fatto il triennio di morale nel Convitto Ecclesiastico della Consolata, adducendo per ragione, che non aveva ancor emessi i voti perpetui.

            Sul finire di quest’anno (1874) si rifiutò pure di dare le Testimoniali ad alcuni Chierici, che chiedevano venire nella Congregazione Salesiana, dimostrando così di continuare a tenere in niun conto le disposizioni della Suprema Autorità della Chiesa.

            Il 4 Dicembre l’Arcivescovo, essendo venuto a sapere che un Paroco della Diocesi di Como chiedeva di farsi Salesiano, scrisse tosto lettera all’Ordinario di quel luogo, nella quale diceva: “Si prevenga il D. Guanella (ne è il nome) che venendo in quest’Archidiocesi non potrà mai ottenere nè il Maneat, e molto meno la facoltà di ascoltare le Confessioni Sacramentali.”

            Il 24 Dicembre, Vigilia del SS. Natale, l’Arcivescovo mandò un singolare augurio di buone feste a D. Bosco; mandò cioè un Decreto (in data 17 Novembre 1874) col quale toglieva tutte le facoltà, favori e privilegi concessi da' suoi antecessori e da lui medesimo alla Congregazione Salesiana ed alle Chiese di essa. Quindi tolseci anche i diritti parochiali cagionandoci disturbi e danno alle anime.

            Appena approvate definitivamente le Costituzioni della Congregazione Salesiana il 3 Aprile 1874, se ne diede tosto comunicazione all’Arcivescovo di Torino da Don Bosco medesimo, che portogli in persona copia delle Regole, del Decreto d’approvazione, e della facoltà di dare le Dimissorie. Ma egli non vi prestò fede e continuò a rifiutare le Ordinazioni ai Chierici Salesiani. Allora Monsig. Vitelleschi con lettera 31 Maggio 1874 scrisse a D. Bosco, dicendogli {16 [64]} che per togliere a Monsignor Arcivescovo ogni pretesto d’opposizione se ne manderanno copie autentiche da Roma; “che se poi, il detto Arcivescovo, ne farà ancora taluna irragionevole, la S. Congregazione è sempre per sostenere le grazie e i diritti conceduti dalla Santa Sede.”    Non ostante che l’Arcivescovo fosse di tutto informato, tuttavia il 23 Settembre egli fa i seguenti dubbi o quesiti alla S. Sede:

            1° Le Costituzioni della Congregazione fondata da D. Bosco sono definitivamente approvate dalla S. Sede?

            2° Questa Congregazione è posta nella classe degli Ordini Religiosi? e quindi soggetta immediatamente alla S. Sede ed esente dalla giurisdizione vescovile?

            3° È tolta al Vescovo la facoltà di visitare le Chiese e le Case di tale Congregazione?

            4° È lecito al Rettore di accettare, far vestire e professare, o anche accettare semplicemente come maestri,” assistenti ecc. i Chierici della Diocesi senza il previo beneplacito, ed anche col dissenso del Vescovo?

            5° È lecito al suddetto ricevere nella Congregazione i Chierici, cui il Vescovo ha fatto deporre l’abito perchè li ha giudicati inabili al sacro Ministero, e ciò senza consenso ed anche col dissenso del Vescovo?”

            Diremo tra poco la risposta che gli venne fatta da Roma.

 

 

1875

 

            Il 5 Gennaio il prelodato Monsignor Vitelleschi consola D. Bosco nelle sue tribolazioni, dicendogli che la Sacra Congregazione già tiene preparata una lettera per l’Arcivescovo, in cui si risponde ad alcuni suoi quesiti (i sopranotati), e della quale si darà pure copia a lui, D. Bosco, e che se l’Arcivescovo si porta in Roma egli (Mons. Vitelleschi) ed altri gli parleranno “perchè desista da una OPPOSIZIONE, CHE HA QUALGHE COSA DI SISTEMATICO.” Giova {17 [65]} qui riferire questa lettera privata scritta a D. Bosco, cui diremo seguire la lettera scritta officialmente a Monsignor Arcivescovo.

            “Sig. D. Bosco PREGIATISSIMO,

Roma, 5 del 1875.

 

            Ringrazio Lei dei buoni augurii fattimi nel S. Natale e nuovo anno, ed accolga quelli sincerissimi che io gli ritorno per ogni bene spirituale e temporale suo e della sua Congregazione.

            Rilevo dalle sue lettere quanto quella sia combattuta costà, ove è la Casa Madre; ma ove si opera il bene, Dio permette ne' suoi consigli imperscrutabili che sia segno di contraddizioni; sa Ella insegnarmi che non devesi uno sgomentarsene.

            Sappia intanto con riserva che la S. Congregazione ha preparata una lettera a questo medesimo Arcivescovo, responsiva ai quesiti che aveva egli fatto relativi alla Congregazione Salesiana, di cui sarà data a Lei confidenziale copia per sua norma. Nella di Lui venuta in Roma, che Ella mi annunzia, io ed altri gli parleremo perchè desista da una opposizione, che ha qualche cosa di sistematico.

            Gradisca i saluti ed i buoni augurii di tutta la mia famiglia; mi abbia presente nelle sue orazioni, e mi creda con rispettosa stima

 

Suo devotissimo Servo

S. VITELLESCHI Arciv. DI SELEUCIA.”

 

            Ecco ora la lettera della Sacra Congregazione in risposta ai quesiti promossi dall’Arcivescovo:

            “La Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari riceveva da V. S., con lettera dei 23 Settembre decorso anno, varii quesiti relativi alla Congregazione Salesiana, la di cui Casa Madre esiste in codesta sua Archidiocesi, intorno ai quali, previo l’oracolo del S. Padre, Le trasmetto la seguente risposta: {18 [66]}

            Con Decreto riportato dall’Udienza di Sua Santità li 3 Aprile 1874 vennero definitivamente approvate le Costituzioni dell’Istituto Salesiano; ciò che non deve Ella ignorare, dappoichè ho motivo a ritenere con sicurezza che il Superiore Generale del medesimo ne desse allora a V. S. comunicazione. Può Ella facilmente rilevare dal tenore del citato Decreto, di cui unisco copia, non che dall’altro a Lei noto e precedentemente emanato sull’apio provazione dell’Istituto stesso, quale sia la condizione al medesimo fatta, riportandosi nell’uno e nell’altro espressamente queste parole: Salva ordinariorum iurisdictione ad praescHptum Sacrorum Canonum et Constitutionum. Tale condizione importa in ogni Istituto di voti semplici e quindi eziandio nel Salesiano, che trattone il caso in cui fossegli dalla Santa Sede concesso alcun Privilegio, sono quelli Istituti esenti, ossia non soggetti alla giurisdizione degli Ordinarli, soltanto in tutto ciò che è contenuto nelle Costituzioni dalla stessa S. Sede approvate. Circa poi il libero ingresso dei Chierici secolari negl’Istituti di voti semplici, onde con grave iattura della Ecclesiastica disciplina non siano impedite le vocazioni allo” stato più perfetto, ha dichiarato questa S. Congregazione” che ai medesimi è estesa la Costituzione del Sommo Pontefice Benedetto XIV “Ex quo dilectus”, nella quale è pure abbastanza provveduto a qualche caso urgente e straordinario che reclamasse una contraria disposizione. Discende poi come una legittima conseguenza della or ora citata Costituzione Benedettina ciò, che nel Decreto della S. Congregazione “Super statu Regularium Romani” Pontifices dei 25 Gennaio 1848 viene prescritto sotto il numero II, che cioè agli Ordinarii non è mai libero di negare le Lettere Testimoniali ai Postulanti l’ingresso in qualunque Ordine anche di voti semplici. Non dubitando che vorrà la S. V. attenersi a tutte e singole queste disposizioni, prego Iddio che la feliciti.”

            Rincresce a dirlo, ma l’Arcivescovo di Torino non tenne in conto veruno questa autorevole risposta della Sacra Congregazione de' VV. e RR.; quindi continuò come prima a {19 [67]} rifiuttare le Ordinazioni ai nostri Chierici, ed a negare le Lettere Testimoniali a tutti quelli, che glie ne facevano domanda per entrare nella nostra Congregazione.

            Nel mese di Gennaio (1875) il S. Padre Pio IX, di sempre venerata memoria, dava incarico al compianto Cardinale Berardi di scrivere a Monsig. Fissore Arcivescovo di Vercelli, affinchè interponga la sua mediazione per togliere le divergenze insorte tra l'Arcivescovo di Torino e Don Bosco. L'Arcivescovo di Torino in conclusione promette di ammettere i Salesiani all’esame tanto per le Ordinazioni, quanto per essere abilitati ad ascoltare le confessioni dei fedeli, a condizione che non si riceva più alcun Chierico, ch'abbia appartenuto al suo Seminario, in nessuna delle Case Salesiane. D. Bosco accondiscende, assicurando però Monsignore che fino a quel tempo non ve n'era alcuno.

            Ma la buona armonia fu di breve durata. - Sebbene Monsignor Gastaldi in presenza dell'Arcivescovo di Vercelli e del Sac. Bosco abbia ripetutamente assicurato che egli non aveva alcun motivo da lagnarsi dei Salesiani, tuttavia continuò a scrivere lettere di vario genere in disfavore dei medesimi, e specialmente alla S. Congregazione dei VV. e RR.

            In fatti egli, malgrado la fatta promessa di ammettere i nostri Chierici alle Ordinazioni e la risposta avuta ai suoi quesiti dalla S. Congrezione, non si tien pago, ma il 25 Maggio risponde al Card. Bizzarri, di felice memoria, Prefetto della sopra lodata Congregazione, e fra le altre cose asserisce:

            “Mi duole il dover osservare a V. E. die io non ebbi mai comunicazione alcuna dei Decreti Pontificii, coi quali sia stata approvata la detta Congregazione, o siano state approvate le sue Costituzioni ecc.”

            Da queste parole siamo almeno indotti a supporre che l'Arcivescovo abbia dimenticato di aver ricevuto il Decreto autentico e dalle mani di D. Bosco, e poscia direttamente dalla Sacra Congregazione dei VV. e RR., come risulta dalla lettera sopra riportata.

            Dopo le parole premesse, Monsignore passa a rinnovare le solite lagnanze contro la Congregazione Salesiana in questi termini: {20 [68]} “Osservo poi a V. E. che nelle Case della Congregazione Salesiana non sono solamente i membri della medesima o come professi o come novizi, ma anche altri, e laici ed Ecclesiastici, i quali sono là come maestri ed assistenti, o in altri uffizi senza nessuna intenzione di legarsi mai con voti perpetui alla Congregazione. Riguardo a questi non mi sembra che estendasi la Costi-tuzione Ex quo dilectus di Benedetto XIV; ed è di questi Ecclesiastici che io ho mosso e prosieguo a movere lagnanze, che cioè senza il mio consenso sieno ricoverati in quelle Case.”

            A noi basta solo osservare, che questi tali non cercarono mai di esimersi dalla sua autorità; e poi avremmo noi forse dovuto cacciarli in mezzo ad una strada? Ed ancorchè non intendessero di legarsi con voti perpetui, non era forse loro permesso di legarsi coi voti triennali, secondo le stesse Costituzioni approvate dalla Santa Sede?

            L'Arcivescovo avrebbe dovuto rispettare un poco di più le disposizioni della Santa Sede a lui ben note; ma invece egli in data del 18 Aprile domanda che gli si trasmetta immediatamente il catalogo di tutti i Sacerdoti che abitano nelle Case della Congregazione dentro la Diocesi di Torino, indicando di ciascuno se sia professo con voti perpetui o solo triennali; oppure sia realmente inscritto sul catalogo dei Novizi: oppure sia aspirante,o semplicemente residente o domiciliato; ed in caso che sia aspirante o solo residente, e sia estradiocesano, se abbia l’Exeat e il Maneat con data non ancora scaduta.”

            Evidentemente qui l'Arcivescovo s'ingerisce nelle cose interne della Congregazione come anche asseriva Mons. Vitelleschi con lettera 27 Aprile 1875, e quindi non avrebbe potuto pretendere tale comunicazione. Ma sempre pro bono pacis si accondiscese prontamente in tutto.

            Il 7 ed 11 Giugno il Cardinal Berardi e Mons. Vitelleschi annunziano a D. Bosco che il S. Padre col massimo piacere e di tutto cuore approvò e benedisse l’Opera di Maria SS. Ausiliatrice per le vocazioni dei giovani adulti allo stato ecclesiastico, ma lo consigliano ad impiantarla {21 [69]} fuori della Diocesi di Torino, per evitare i contrasti e le opposizioni ben note dell’Arcivescovo. Quest’Opera venne di fatto impiantata a Sampierdarena presso Genova, dove si ha tutto l’appoggio di quel benevolo e zelante Arcivescovo.

            L’Arcivescovo di Torino, venuto a conoscere tale Istituzione, scrive tosto a Roma biasimando ed opponendosi a tutta forza all’Opera suddetta, sebbene fosse già benedetta e commendata dal S. Padre. Inoltre appena conosciuto tale Progetto il giorno 24 Luglio (1875) scrisse immediatamente una lettera circolare a tutti i Vescovi della Provincia di Torino, Vercelli e Genova, in cui mette in campo ogni cavillo per muovere tutti quegli Ordinarli a sottoscrivere una Protesta al S. Padre contro a questo Progetto. In questo modo non solo si opponeva apertamente alle savie intenzioni del Sommo Pontefice, ma cercava ancora di tirare gli altri suoi colleghi nell’Episcopato alla stessa opposizione. Non basta, poichè con lettere 29 Luglio, 5, 9 e 11 Agosto dirette a D. Bosco, non permette che si stampi dalla Tipografia Salesiana in Torino neppure il Programma dell’Opera di Maria Ausiliatrice, e poscia comanda al Direttore dell’Unità Cattolica, che interrompa la stampa che concerne a quest’Opera medesima.

            Di quest’anno medesimo (1875), dopo essersi per lo addietro rifiutato almeno una trentina di volte di venire a funzionare presso di noi, venne nuovamente pregato che volesse prendere parte a qualche funzione nel Settenario della Consacrazione della nostra Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, e di volere amministrare ai nostri giovanetti interni dell’Oratorio di S. Francesco di Sales il sacramento della Cresima, poichè da circa tre anni non l’aveva più amministrata. Di questo favore lo si pregava tanto più caldamente, in quanto che alcuni giovanetti, di recente ricevuti in grembo a S. Chiesa, dovevano abbandonare l’Ospizio di S. Francesco di Sales per recarsi in Inghilterra, con pericolo di non poter forse più ricevere questo Sacramento. È amaro il dirlo: l’Arcivescovo rispose a tutto negativamente, e neppure volle permettere che vi fosse invitato altro Vescovo a farne le veci. {22 [70]} Questo duplice ritìnto cagionò grande ammirazione nella popolazione di Torino.

            Pel mese di Settembre di quest’anno medesimo egli sospese a D. Bosco le Patenti di confessione senza addurre alcuna ragione. Lasciamo questo fatto al giudizio di chi ama la salute delle anime e il bene della nostra Santa Religione. Notiamo solo che D. Bosco attorniato sempre da chi lo richiedeva per la confessione, per non cagionare scandali, dovette in quel tempo abbandonare la Diocesi di Torino e ritirarsi in quella di Casale.

            Al principio di questo medesimo anno (1875) rifiutò la facoltà di predicare a due nostri Sacerdoti; di cui uno, Don Domenico Milanesio (oggidì Missionario in Patagonia), era Direttore delle Scuole gratuite degli esterni e dell’Oratorio festivo di S. Francesco di Sales; e l’altro, D. Pietro Guidazio (presentemente Direttore del Collegio di Randazzo in Sicilia) Professore di quinta Ginnasiale nel detto Oratorio Salesiano pei giovani interni.

            Similmente verso il fine dell’anno, cioè nel mese di Dicembre, rifiutò la medesima facoltà a due altri nostri Sacerdoti, di cui uno, Don Giovanni Branda, era Prefetto, e l’altro, D. Angelo Bordone, Professore nel nostro CollegioConvitto di Valsalice, e ciò senza mai darne ragione alcuna.

            Nel mese di Ottobre alcuni male informati, credendo alla voce che faceva D. Bosco avverso all’Arcivescovo, gli presentarono una infame Biografia del medesimo, con una vistosa somma di danaro perchè ne procurasse la stampa. Don Bosco si fece lasciare il manoscritto per esaminarlo, che oltrepassava le mille pagine; ma conosciutone il contenuto, si affrettò di consegnarlo intieramente alle fiamme. Questo fatto ebbe gravi conseguenze, il cui peso è tuttora sentito da D. Bosco; ma egli fu sempre contento, quando anche con sacrifizi di qualunque genere potè impedire uno scandalo e tutelare l’onore del suo Arcivescovo, che egli ha sempre amato e rispettato.

            Altra volta potè sapere che il Collaboratore di un pessimo giornale aveva una serie di articoli preparati e prezzolati contro l’Arcivescovo. D. Bosco si risolse di ricoverare {23 [71]} un figlio di quel miserabile e soccorrere lo stesso gettiteli a condizione che gli venissero consegnati quegli scritti infami, nè mai più si desse ai medesimi alcuna pubblicità. Si ottenne l’intento.

            Questi ed altri fatti di tal genere sono assai noti all’Arcivescovo stesso, il quale per compenso accusò i Salesiani di aver pubblicati libelli contro di lui!

 

 

1876

 

            Il 20 di Marzo di quest’anno Monsig. Gastaldi, per opporsi a che si concedessero Privilegi alla Congregazione Salesiana, fra le altre cose scrive a Roma: “Che se si /tanno” da conferire nuovi Privilegi alla Congregazione Salesiana si aspetti almeno il mio decesso, o mi si dia tempo” di ritirarmi dal posto che occupo.” Ma qui si potrebbe fare questo dilemma: Se il conferimento di nuovi Privilegi alla Congregazione Salesiana è una cosa buona, perchè non vuole egli che sia fatto fin d’ora? Se è cosa cattiva, perchè domanda egli che sia fatto dopo il suo ritiro o dopo il suo decesso?

            Nel principio della quaresima di quest’anno medesimo vennero presentati due Chierici Salesiani a Mons. Arcivescovo per le Ordinazioni del Sabato Santo. Saputosi poi che in quel tempo egli non teneva Ordinazioni, si chiese facesse loro una dichiarazione per potersi presentare al Vescovo di Susa. L’Arcivescovo aspettò a rispondere nel Venerdì Santo, e ad un’ora dopo mezzo giorno, quanto segue:

            “I Candidati Moysè Veronesi da Bovisio e Michele Vota da Rivarolo non possono ottenere nè dall’Arcivescovo di Torino, nè da alcuno della sua Curia la carta che domandano per l’Ordinazione del Diaconato da riceversi domani, se dentro quest’oggi 14 Aprile non si presentano al Can. Peyretti o al Can. Zanotti a subire l’esame su due trattati diversi da quelli, che esposero per {24 [72]} l’esame del Suddiaconato, e inoltre sul Diaconato, e riportano all’Arcivescovo l’attestato per iscritto di averlo subito lodevolmente.”

            Come si disse i due Ordinandi ricevettero questa lettera un’ora dopo mezzogiorno, perciò, senza neppur potersi cibare, dovettero in tutta fretta correre in Curia per la delegazione, poi cercarsi gli esaminatori, subire precipitosamente l’esame, ritornare in Curia a portarne il voto, onde ricever l’attestato d’averlo subito lodevolmente, e presentarlo all’Arcivescovo per ottenerne la chiesta dichiarazione; quindi partire in sull’istante per Susa, a fine di trovarsi a posto per l’Ordinazione del mattino seguente Sabato Santo. Monsignor di Susa li accolse con molta benevolenza; ma udì con sorpresa come fossero già stati esaminati dall’Arcivescovo di Torino, dicendo spettare un tal diritto, secondo il Concilio di Trento, al Vescovo Ordinante e non a quello di residenza. Ciò fu messo fuori di ogni dubbio dalla seguente decisione della Sacra Congregazione del Concilio:

            “Congregatio Concila censuit, Superiores Regulares posse suo subdito itidem Regulari, qui praedilus qualitatibus requisitis Ordines suscipere voluerit, Litteras Dimissoriales concedere, ad Episcopum tamen Dioecesanum, nempe illius Monasterii, in cuius familia ab iis, ad quos pertinet, is Regularis positus fuerit: Et si Dioecesanus abfuerit, vel non esset habiturus Ordinationes, ad quemcumque alium Episcopum, dum tamen ab Eò Episcopo, qui Ordines contulerit, examinetur quoad doctrinam etc.”

            Nel mese di Maggio venne presentato dall’Oratorio Salesiano alla Curia di Torino una nota di Chierici per le Ordinazioni di Pentecoste, ma il 5 di detto mese sotto futili pretesti Monsignore la respinse.

            Il 24 Maggio solennità di Maria Auxilium Christianorum, dopo essersi rifiutato lui di venire, si lagna acremente che un Prelato di S. Santità sia venuto a celebrare e funzionare nella Chiesa di Maria Ausiliatrice in abito pavonazzo, e lo proibisce immediatamente nei Vespri dello stesso giorno di usare tali divise nella sua Diocesi. {25 [73]} Il Prelato Monsig. D. Santo Masnini, in ossequio all’autorità era andato prima per chiederne il permesso, ma non potè avere udienza.

            Il 2 Giugno l’Arcivescovo scrive a D. Bosco:

            “Che nessuno dei Neo Sacerdoti membri di questa Congregazione (Salesiana), e domiciliato nelle sue Case, sia licenziato a celebrare nè la prima Messa, nè le seguenti, almeno per quindici giorni, in alcuna delle Parrocchie dell’Archidiocesi Torinese.”

            Se questo sia secondo i Sacri Canoni e conforme alla carità di N. S. Gesù Cristo ne lasciamo il giudizio ad altri.

            Dal 1873 in poi malgrado i ripetuti inviti e preghiere si rifiutò costantemente di venire a funzionare nelle nostre Chiese e a dar la Cresima nei nostri Istituti, e non permise ad altri Ordinarli di venirlo a supplire

            Una volta sola il Direttore del Collegio Valsalice si permise d’invitare Mons. Manacorda, Vescovo di Fossano, a funzionare in occasione che si festeggiava S. Luigi Gonzaga in detto Collegio. L’Arcivescovo di Torino appena saputolo gli fa scrivere immediatamente dal suo segretario una lettera di biasimo del tenore seguente:

“Torino, 15 Luglio 1876.

 

                        M. Rev. SIGNORE,

            Sua E. Revma Mons. Arcivescovo mi incarica di esporre a V. S. essere egli vivamente disgustato, che Ella abbia commesso un’infrazione alle leggi ecclesiastiche, chiamando a far funzioni e specialmente predicare nel Collegio Valsalice, senza aver ottenuto il permesso dell’Arcivescovo stesso, un Vescovo di altra Diocesi. Anche senza considerare che questo non è il modo di conciliarsi la benevolenza di Monsignor Arcivescovo, le osservo che tale mancanza è tale da non lasciarsi passare senza animadversione, massimamente dopo che un tal punto fu ripetutamente raccomandato al Sig. Superiore dell’Oratorio. Converrà che Ella stessa dia a S. E. esposizione del come andò la cosa, e fargliene le scuse.” {26 [74]} Monsig. Manacora udite le rimostranze dell’Arcivescovo di Torino, per tranquillare il Direttore del Collegio Valsalice D. Francesco Dalmazzo, gli scrive la seguente lettera:

 

                        “CARISSIMO ED ILL. SIG. DIRETTORE,

            Non si preoccupi dei dispiaceri che mi si vonno procurare in conseguenza della festa di S. Luigi, della quale io godo assai anche al presente. Se quel.....mi scriverà, risponderò, mandandolo a scuola di diritto canonico. Gli ricorderò il Tridentino, Bonifacio VIII, Paolo V, Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIV, trattato: De Sacrificio Missae, De Synodo Dioecesana e Bullario. Più il Commentario del Card, di Pietra, Super Consta. Urbani V, ecc.

            E basti, per non allungarmi in citazioni incontestabili, atte a provare che il Vescovo può innalzare altare e celebrare in qualunque Diocesi senza che: Petere eius rei veniam db Episcopo locali teneatur; così rispose la Congregazione del Concilio; e così stabilì Clemente XI: His enim casibus licita erit iis (Episcopis) ERECTIO altaris ad effectum praedictae celebrationis, non secus ac in domo propriae ordinariae habitationis. E così avrei fatto io, se non avessi trovato già eretto l’altare in Valsalice.

            Nel mio particolare poi avrei potuto anche Pontificare senza tema di violare i diritti altrui, che in un Congresso di Vescovi reciprocamente ci siamo autorizzati a pontificare, funzionare ecc. liberamente in ciascuna Diocesi appartenente ai presenti ecc.

            Fossano, 17 Luglio 1876.

Aff.mo Servo

EMILIANO Vescovo.”

 

            Da questo fatto si appalesa sempre più chiaramente che l’Arcivescovo di Torino, per vessare i poveri Salesiani, non si peritava di mettersi in urto cogli stessi Vescovi suoi colleghi, misconoscendo i Sacri Canoni e le stesse sue concessioni. {27 [75]}

            Con lettera 16 Luglio Mons. Gastaldi si lagna acremente che contro alle Prescrizioni Sinodali e della Chiesa siasi praticata la musica istrumentale nel Tempio di M. SS. Ausiliatrice.

            Gli si rispose che quella era relazione senza fondamento, e che dal 24 Maggio 1875 (epoca della proibizione) sino al 2 Agosto 1876 (giorno in cui si rispose), non vi fu più musica istrumentale nella nostra Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice.”

            Si noti però che mentre con tanta severità egli proibiva di usare la musica istrumentale nelle Chiese Salesiane la permetteva poi nelle altre Chiese di Torino.

            Nella stessa lettera accusa pure D. Bosco “che abbia pubblicato il libro COOPERATORI SALESIANI senza soltoporlo alla Revisione Ecclesiastica.” Il 2 Agosto gli si risponde pure “che non fa pubblicato, e che la prima copia fu mandata a lui, pregandolo di volerla accogliere e permetterne la stampa.”

            Rifiutandosi egli ricisamente, se ne eseguì la stampa coll’approvazione Ecclesiastica in altra Diocesi.

            L’undici Ottobre egli rinnova il suo divieto che venga stampato in sua Diocesi il Breve Pontificio (in data 9 Maggio 1876) in favore dei Cooperatori Salesiani.

            Tale era l’accoglienza che egli faceva ad un documento della Santa Sede in favore di un Associazione, di cui erasi pronunziato Capo lo stesso Sommo Pontefice.

            Il 15 Agosto l’Arcivescovo di Torino, dopo essersi rifiutato costantemente per circa quattro anni di venir a dar la Cresima ai giovanetti dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, fa scrivere, che egli non dissente, ma intanto si lagna che siasi ricorso a Monsig. Fissore Arcivescovo di Vercelli.

            In questo medesimo anno predicando nella Chiesa dello Spirito Santo in Torino raccomandò l’Opera a favore dei Chierici poveri, e poi aggiunse: “È vero che in un angolo di questa città si fanno molti Chierici, ma sono mandati ben lontani, perciò a noi di nissun giovamento.”

            Tutti gli uditori capirono che egli mandava una lanciata contro la Congregazione Salesiana, che è la sola in Torino che spedisca Missionarii all’estero. {28 [76]} Intanto con quelle parole egli non solo biasimava quello che era degno di lode, ma dimostrava di tenere in niun conto il grande servizio che la nostra Congregazione prestava alla sua Archidiocesi, alla quale aveva già dato la maggior parte del suo Clero.

            E questo basti per l’anno 1876.

 

 

1877

 

            Nel mese di Febbraio di quest’anno l’Arcivescovo di Torino, per mezzo del suo Segretario Can. Chiuso, spedì a tutti i Cardinali e ad altri moltissimi uno stampato intestato: L’Arcivescovo di Torino e la Congregazione di San Francesco di Sales in Torino, diretto a denigrare la Congregazione medesima.

            Il 15 Aprile si fece domanda per le Ordinazioni di alcuni nostri Chierici, ma egli impone le seguenti condizioni, con cui a dispetto dei Sacri Canoni e delle Costituzioni Pontificie s’ingerisce apertamente nel regime disciplinare della Congregazione.

            “Si ammettono, egli dice, i detti giovani agli Ordini;” ma si abbisogna sapere:

            1° Se essi prima di entrare nel Noviziato, od almeno prima della Professione abbiano presentato i Testimoniali prescritti dal Decreto Pontificio 25 Gennaio 1848, od almeno consti positivamente dell’assenso dei loro Vescovi rispettivi;

            2° Se nelle Case della Congregazione esistenti in questa Diocesi non sia alcuno dei giovani Diocesani di Torino, il quale dai Superiori sia presentato per gli Ordini o minori o maggiori a qualche Vescovo fuori della Archidiocesi Torinese.”

            Il 22 Marzo un musico cantante Salesiano e capo della nostra Tipografia manda alla Revisione un Sacro Invito per la festa di Maria SS. Ausiliatrice; e intanto fa rispettosamente osservare che nelle primarie Chiese di Torino e nella {29 [77]} stessa Metropolitana si usano nelle sacre funzioni strumenti musicali, e dice che nella nostra Chiesa non si sarebbe fatto di più che in quelle altre. L’Arcivescovo si offende di questo semplice riflesso, e fa tosto scrivere al Prefetto della nostra Congregazione, perchè gli faccia la debita correzione per quell’atto, che egli chiama irriverente.

            Nel Maggio fu stampato per cura di D. Bosco dalla Tipografia Salesiana di Sampierdarena un fascicolo delle Letture Cattoliche colla revisione della Curia Arcivescovile di Genova. L’Arcivescovo di Torino per mezzo dei giornali protestò contro questa pubblicazione, che non aveva da far niente colla sua Diocesi; protesta che mentre feriva i Salesiani offendeva l’autorità dell’Arcivescovo di Genova.

            Nel mese di Giugno l’Arcivescovo di Buenos-Ayres Monsignor Federico Aneyros, essendo andato a Roma ad ossequiare il Sommo Pontefice, fece sapere che passando per Torino prenderebbe albergo nell’Oratorio di S. Francesco di Sales. D. Bosco scrisse preventivamente a Monsignor Gastaldi, pregandolo a voler permettere che quel Prelato col suo Clero potesse celebrare in sua Diocesi e fare un Pontificale il giorno dei ss. Pietro e Paolo (29 Giugno) nella nostra Chiesa. L’Arcivescovo ne dà ampio permesso, ogni cosa è preparata, e i giornali ne danno pubblico avviso; quand’ecco con lettera del giorno 24 Giugno Monsignore revoca tale permesso. Questo atto per niente motivato cagionò pubblica ammirazione, per cui quei buoni Americani dovettero immediatamente partire da questa città con una pessima impressione.

            Il 4 Agosto scrive una lettera Circolare a tutti i Parroci dell’Archidiocesi Torinese, con cui dà biasimo a coloro, che si adoperano a preparare giovani per le Missioni estere, ed insinua che lo stato religioso non è più perfetto dello stato secolare. Chiunque legge quella Circolare, e conosce la Congregazione Salesiana, dice subito che è fatta contro di essa. E intanto quale concordanza tra le Encicliche dei Sommi Pontefici, che raccomandano tanto vivamente le missioni estere, e questa Circolare di Monsignor Gastaldi, che le combatte a carico dei Salesiani! {30 [78]} Sul finire di Agosto alcuni pellegrini del Brasile nel loro ritorno da Roma passando per Torino vennero ad o spitare nell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Tra quelli v’era Monsignor Pietro Lacerda Vescovo di Rio Janeiro e due suoi Preti. L’Arcivescovo di Torino richiesto a viva voce aveva concesso ampia libertà di pontificare a quell’insigne Prelato nella nostra Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice; ma appena quel venerando Vescovo si fu partito Mons. Gastaldi con lettera del 19 Settembre si lagna fortemente, dicendo d’avergli dato la facoltà di pontificare per una sol volta, e rimprovera quindi ed accusa la Congregazione Salesiana, come ribelle a' suoi ordini.

            Si vede da ciò che egli va a pescare gli appigli per ogni dove, onde tormentare i poveri Salesiani.

            Il 22 e 23 Agosto il sig. Canonico Chiaverotti segretario della Curia di Torino d’ordine di Mons. Arcivescovo domanda a D. Giuseppe Lazzero Vice-Direttore dell’Oratorio di San Francesco di Sales: “Se vi è quivi un certo D. Perenchio, se dice la Messa e da quanto tempo.” Si risponde a tutto affermativamente, ma che vi era come aspirante alla Congregazione.

            Il 24 Monsignore fa intimare al Superiore dell’Oratorio, che non si lasci più celebrare il D. Perenchio nella Chiesa della Congregazione, e che nè esso, fosse pur accettato come novizio, nè anche alcun professo può celebrare nelle Chiese non istrettamente dell’Ordine religioso, senza permesso dell’Ordinario; e che se la Congregazione Salesiana non osserva queste disposizioni sarà obbligato di usare la sua autorità e fare reclami alla Santa Sede.

            Nel medesimo dì il Vice-Superiore dell’Oratorio Salesiano, D. Giuseppe Lazzero, per ispirito di pronta ubbidienza ed ossequio all’Autorità Arcivescovile, insieme con D. Michele Rua, Prefetto della Congregazione, dà ordine che il D. Perenchio cessi immediatamente dal celebrare. Intanto stante la grave ingiunzione che i Salesiani non andassero più a celebrare fuori delle loro Chiese senza il permesso dell’Arcivescovo, il prelodato Sac. Lazzero scrive eziandio ai Rettori delle Chiese, dove essi andavano prima a celebrare, affinchè si {31 [79]} provvedessero della voluta licenza dell’Ordinario. Siccome i Salesiani andavano a celebrare la Messa fuori del loro Istituto a servigio di molte Parrocchie e Comunità religiose, e ciò a solo titolo di carità, cosi si sollevarono tosto reclami e critiche da tutte parti. E allora che cosa fece l’Arcivescovo? Gettò la colpa di tutto sopra i Salesiani e li dipinse come insubordinatori. Anzi fece di più: e il 26 Agosto senza premettere le debite ammonizioni, senza indicare la causa canonica, è violando anzi tutte le savie prescrizioni di Santa Chiesa, sospende per diciotto giorni il Sacerdote D. Giuseppe Lazzero dall’udire le confessioni dei fedeli per tutta l’Archidiocesi.

            Nè di ciò fu ancor pago. Passati alcuni di l’Arcivescovo manda a chiamare per mezzo del Vicario Generale l’originale della lettera del Canonico Chiaverotti per verificarne il contenuto, e fugli mandata dello stesso giorno. Avuto nelle mani quel documento, l’Arcivescovo mosse varii reclami ed accuse contro la Congregazione Salesiana presso la S. Sede. Allora ci fu necessario riavere l’originale di quella lettera.

            D. Lazzero pertanto si rivolge al Vicario Generale della Curia, perchè pregasse Monsignor Arcivescovo di rimetterglielo. Il 19 Settembre l’Arcivescovo glielo rimise, ma accompagnato dalla sospensione assoluta di confessare e di assolvere i fedeli penitenti. Che bel modo di usare delle pene ecclesiastiche!

            Il Sacerdote Lazzero, non sapendo darsi ragione di questa nuova ed assoluta sospensione di assolvere sacramentalmente, si rivolge al Vicario Generale perchè implori da Monsignore la grazia della riammessione ad audiendas fidelium confessiones, od almeno lo preghi a sapergli dare qualche ragione di questa sì dannosa e grave misura usata verso di lui, che trovasi alla Direzione di una Chiesa e di un Istituto di circa 900 poveri fanciulli, i quali domandano inutilmente di confessarsi, come anche di una grande quantità di fedeli esterni, che vengono a circondare invano il suo confessionale.

            Ma il Vicario Generale il 4 Ottobre risponde che non crede conveniente impegnarsi in tale affare, e che in quanto {32 [80]} alle ragioni della sospensione ne sa nulla. Crediamo che non le sapesse neppure Monsignor Arcivescovo, perchè non esistevano.

            Tuttavia il 9 Settembre egli fa scrivere: “Se D. Lazzero e gli altri Superiori, che concorsero nel gravissimo disturbo dato il 26 ultimo Agosto, ed originato evidentemente da un errore enormisssimo, non ne siano dolenti e ne chieggano venia, per mezzo di lettera sottoscritta da Don Lazzero, o da Don Rua o da Don èosco, egli farà quanto gli parrà conveniente pel mantenimento e decoro dell’Autorità di cui esso è investito da Dio.”

            Ma che cosa avevano fatto di male per domandare venia? Il disturbo gravissimo e l’errore enormissimo, se vi fu, venne prodotto dalle citate parole scritte a suo nome dal suo segretario, il Canonico Chiaverotti, cioè: “Nè alcun professo (Salesiano) può celebrare nelle Chiese non istrettamente dell’Ordine religioso senza permesso dell’Ordinario, e che se la Congregazione Salesiana non osserva queste disposizioni sarà obbligato ad usare la sua autorità e fare reclami alla Santa Sede.” Dovevano dunque i Salesiani dimandargli perdono per avergli obbedito? Tuttavia nella fiducia di mettere il suo animo in pace abbiamo allontanato dalla nostra Casa il Sac. Perenchio, che era stato causa o pretesto di quelle vertenze.

            Sebbene avesse già scritte due lunghe lettere di accuse infamanti alla S. Congregazione dei VV. e RR. su questa questione, tuttavia il 15 Ottobre l’Arcivescovo pubblicò ancora un opuscolo di 12 pagine assai spaziose diretto ai Prelati di S. Chiesa, cioè agli Eminentissimi Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, ed in carattere corsivo “ed a qualche Ecclesiastico che vi ha speciale interesse, in cui fece molte e gravissime accuse generiche e prive di fondamento contro la Congregazione Salesiana, ed in questo modo tentò disonorarla in faccia a tutta la Chiesa. Di questo opuscolo abbiamo fatto fin d’allora una piena confutazione manoscritta, una copia della quale esiste presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. {33 [81]}

            Il 28 Agosto 1877 l’Unità Cattolica,pubblicò un, articolo in favore della Chiesa ed Ospizio di S. Giovanni Evangelista, che i Salesiani hanno incominciato ad erigere in opposizione al vicino tempio Valdese di Torino; in fine poi di detto articolo v’aggiungeva una lettera commendatizia, sottoscritta dal Vicario Generale Monsig. Zappata d’ordine ed a nome ai S. E. Monsignor Arcivescovo Alessandro Riccardi, di felice memoria, in data 30 Ottobre 1870

            Questa pubblicazione non fu di gradimento all’attuale Arcivescovo di Torino, quindi egli comanda che gli si mandi immediatamente l’originale della lettera commendatizia; ma questo conservandosi in Curia, non si potè portargliene che una copia, di cui non fu soddisfatto, e continuò a darci disturbi sopra disturbi per volere da noi un documento, che egli teneva presso di sè.

            Il 3 Novembre domanda alla Congregazione Salesiana, se Monsignor Ceccarelli, che dimorò per qualche tempo nelle nostre Case “sia fornito delle carte necessarie a ciò gli sia concesso l’esercizio del Ministero; e queste carte siano state presentate alla Curia.”

Perchè mai questa domanda, mentre il detto Prelato faceva parte del corteggio dell’Arcivescovo di BuenosAyres, per cui erasi dato ampio permesso di celebrare e di predicare?

            Il Sac. Angelo Rocca Salesiano nativo di Rivara, ed oggidì Direttore delle nostre scuole di Spezia, era stato invitato dal suo Paroco di recarsi in patria a celebrare e a predicare nella solennità di S. Giovanni Battista. Il Paroco ne chiese il permesso all’Arcivescovo, e questi lo rifiutò. Anzi ih una lettera del 9 Novembre l’Arcivescovo per vessare vie più il detto Sacerdote e i suoi Superiori asserisce pure “che il Sacerdote D. Rocca uscì dal Seminario di” Torino ad insaputa di lutti, ed entrò nella Congregazione Salesiana senza chiedere i Testimoniali al suo” Arcivescovo.”

            Il 12 Novembre fugli risposto da D. Michele Rua Prefetto della Congregazione Salesiana “che il D. Rocca uscì di Seminario col permesso dei Superiori del medesimo {34 [82]} per motivi di salute, ed entrò in Congregazione dopochè egli ed io (D. Rua) avevamo fatto dimanda delle Testimoniali. Non avendole potuto ottenere si ricorse alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, secondo i Decreti del 25 Gennaio 1848 sullo Stato dei Regolari.”

            Il 13 Novembre l’Arcivescovo fa rispondere negando recisamente che gli siano stati richiesti i Testimoniali per D. Rocca, ma solo il consenso, che egli non diede.

            Il 15 Novembre l’Arcivescovo scrive a D. Bosco per impedirgli che pubblichi nell’Archidiocesi di Torino le Indulgenze concesse ai Cooperatori e Cooperatrici dal Pontefice Pio IX; anzi già divisava di divulgare un avviso ai Paroci, con cui dimostrare loro l’invalidità di quelle Indulgenze, ma desistette avvertitone da persona prudente.

            È bene qui di notare che il Breve, il quale riguarda quelle Indulgenze ai Cooperatori Salesiani, non fu pubblicato nella Diocesi di Torino, ma sibbene in quella di Albenga e poi di Genova coll’approvazione Ecclesiastica.

            Nè si contentò di scrivere a D. Bosco, ma usò tutti i mezzi per fare annullare da Roma il Breve medesimo. A questo fine scrisse più volte al Cardinale Asquini Segretario della Sacra Congregazione dei Brevi, ed al Cardinal Prefetto delle Sacre Indulgenze, per far abrogare le indulgenze concedute dalla s. m. di Pio IX ai Cooperatori Salesiani, cagionando molti disturbi alle sullodate Congregazioni. Egli non cessò di molestarle, finchè non gli venne scritto che l’Associazione dei Cooperatori Salesiani era canonicamente eretta con Decreto speciale dall’Arcivescovo di Genova nella sua Archidiocesi, e che il medesimo ne aveva pure stabilito il centro nell’Ospizio Salesiano di S. Vincenzo in Sampierdarena. Ciò non ostante non volle mai permettere che il Breve venisse stampato nella Diocesi di Torino, e noi permette neppure al presente.

            Siccome, come abbiamo detto, egli ne aveva scritto a D. Bosco, così Don Bosco gli rispondeva con lettera, da cui rileviamo il passo seguente:

            “Quanto alla questione delle Indulgenze per i Cooperatori mi rincrescerebbe assai che il giudizio fattone da {35 [83]} V. Eccellenza Rev.ma venisse portato dinanzi al pubblico fosse anche dei soli Parrochi, prima che essa sia esaminata dalla Congregazione delle Indulgenze. Perchè sono persuaso che questa pubblicazione sarebbe uno scandalo e pietra di offensione pei fedeli e per gli increduli, che non mancherebbero di averne notizia. Certamente ne verrebbe danno alla Congregazione, perchè un’accusa tanto grave non potrebbe non farle torto; ma forse il peggior danno non sarebbe per la Congregazione nè per me. Il solo conoscere l’esistenza di questa vertenza sarebbe già occasione di molte critiche, e di opposti giudizi non tutti disfavorevoli a me. Sarebbe allora necessario per parte mia il ricorrere alle Congregazioni Romane; e se, come credo, la vertenza mi fosse favorevole, quale inconveniente quando si venisse a conoscere tale decisione! Non intendo con questo impedire per nulla che Vostra Eccellenza faccia quello che il suo zelo per la Religione le detta; ma conceda ad un indegno suo servo di pregarla, che prima di fare questo passo, voglia interrogarne persone assennate e prudenti, non fosse che per mettersi al coperto da ogni critica e dalla malevolenza degli avversari, come già Vostra Eccellenza ha fatto per qualche lettera pubblicata nel Calendario. E poi perchè non rimettersi anzitutto a' maturi ed autorevoli giudizi delle Romane Congregazioni, che non mancheranno di trattare le cose ponderatamente e giudicare secondo diritto?

            Per dirle sinceramente tutto quello che penso, mi rincrebbe assai che la questione della proibizione delle Messe non sia stata trattata in questo stesso modo, e che uno stampato, che porta il nome di riservato, sia venuto a pregiudicare la decisione.

            Dacchè la controversia era stata da Vostra Eccellenza deferita a Roma, non era forse più opportuno che colà si fosse aggiustata? La Sacra Congregazione vedrà se veramente questa pubblicazione sia giunta a proposito.

            Ora a mio malgrado dovrò rispondere, e certamente una difesa sopra accuse sufficientemente gravi, nella {36 [84]} quale sono persuaso di avere ragione, non potrà mai essere senza censura proporzionata agli appunti ed ai rimproveri esposti da Vostra Eccellenza contro il mio modo di agire.

            Io le dimando preventivamente perdono, e se le parrà che io ecceda in qualche cosa, lo attribuisca al bisogno della difesa ed al veemente dispiacere che ne provo. Ma perchè non trattare queste difficoltà con misure paterne, e con quella indulgenza che merita una Congregazione nascente, che vuole sinceramente il bene, e può bene errare per ignoranza, ma non certo per malizia?

            Dio giudicherà Vostra Eccellenza ed il suo povero servo intorno alla rettitudine delle nostre intenzioni, della cristiana carità ed umiltà con cui avremo operato, dello studio che avremo messo a trovare i mezzi proporzionati a difendere e promuovere gli interessi della sua santa Religione. In Lui mi affido!

            Non devo lasciare senza risposta l’osservazione fattami di aver ricevuto nella Congregazione senza Testimoniali un Chierico (ora D. Rocca). Vostra Ecc. mi permetta di ricordarle che le Testimoniali furono richieste cinque volte dal Chierico Rocca, altra volta da D. Rua, ed una volta dallo scrivente, senza averle mai potuto ottenere. In conseguenza di ciò si è andato oltre, secondo le istruzioni della Sacra Congregazione sulla disciplina regolare, date ai 25 Gennaio 1848. (Collectanea pag. 891).

            Baciandole ossequiosamente le mani mi protesto

                        Di Vostra Eccellenza Reverendissima

                                    Torino, 22 Novembre 1877.

                                                Devot.mo ed Osseq.mo Servitore

                                                            Sac. Gio. Bosco.”

 

            In Ottobre un nostro Sacerdote, D. Gius. Pavia, Direttore di un Oratorio festivo di giovanetti, già approvato per ascoltare le confessioni dei fedeli nella Diocesi di Albano Laziale, non potendo presentarsi prima della Solennità dei Santi al voluto esame, chiese di poter ascoltare le confessioni de' suoi giovanetti almeno per quei giorni di grande {37 [85]} concorso. L’Arcivescovo risponde che fino a tanto che i suoi Superiori non facevano venia ài non si sa qual fallo, egli non pensava di dare alcuna facoltà.

            Un altro Sacerdote Salesiano, D. Porrani, già munito delle Patenti di confessione, venne sottoposto a novello esame. Ciò fece di buon grado. L’esame riusci col voto peridoneus; ma chiesta la debita Patente, ossia la facoltà di confessare, fu risposto col solito ritornello della venia da farsi. Intanto nella Solennità di Tutti i Santi e nell’Ottavario de' Morti molti fedeli chiedevano invano di potersi confessare.

            Questi fatti sono essi secondo le prescrizioni dei Sacri Canoni? Servono essi a promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime? Sono essi ad aedificationem oppure ad destructionem?

            Il 4 Novembre il Sacerdote Rua Michele Prefetto della Congregazione Salesiana, saputo il motivo del rifiuto della facoltà di confessare ai due mentovati Sacerdoti, s’affrettò a fare la richiesta venia per iscritto “pregando il Segretario a voler notificare a S. E. Reverendissima Monsignor Arcivescovo che noi siamo rimasti dolenti del dispiacere che S. E. ebbe a provare, quando nello scorso Agosto avvenne l’inconveniente delle Messe;” ma egli fa scrivere che non tiene per buona tale dichiarazione, sia perchè fatta troppo tardi, sia perchè non risponde a quella prescritta da lui.

            Il 24 Novembre dice: 1° “Che la Tipografia Salesiana è colpevole di grave mancanza verso la Curia Arcivescovile di Torino, e le leggi Ecclesiastiche, per avere ristampato l’opuscolo MARIA AUSILIATRICE, che non fu approvato dalla Curia, ma solo dal P. Saraceno, Revisore ecclesiastico, e fu pubblicato contro le intenzioni di esso Monsignore: e che la edizione del presente anno 1877” manifestamente ha delle aggiunte: e che quando anche fosse vero, che non si è MUTATA UNA VIRGOLA, non poteva pubblicarsi senza sottometterlo di nuovo alla Revisione.” Il libro di cui è qui parola fu pubblicato nel 1875 colla Revisione del P. Saraceno, stabilito Revisore Ecclesiastico {38 [86]} dallo stesso Arcivescovo; e nel 1877 se ne fece una nuova senza aggiugnervi nè togliervi neppure una virgola.

            2° “Che ha promesso di ammettere all’Ordinazione Bonora ed Amerio solo nella fiducia che D. Bosco faccia quanto esso Arcivescovo gli ha consigliato nella sua lettera di ieri, di presentarsi cioè al suo Arcivescovo con nessun altro spirito che quello dell’umiltà e della carità a fare venia delle colpe commesse.” Colpe per altro, che Monsignore non seppe mai dire quali fossero.

            Riguardo alla stampa si deve notare il rigorismo, che l’Arcivescovo usa verso la nostra Tipografia di Torino. Primieramente egli non si appaga che presentiamo alla sua Revisione i manoscritti originali prima di stamparli, come si usa; ma esige le bozze di stampa sino all’ultima pagina, sopra la quale soltanto mette il Visto. Quindi, che avviene? Avviene talora che, dopo aver stampato un’opera qualunque, il Revisore arcivescovile fa delle mende o ricusa di mettere il Visto, come già avvenne, e allora noi abbiamo il peso delle correzioni, e talvolta ci troviamo anche di aver lavorato invano, e dobbiamo rimandare l’opera sua all’autore, sottostando noi alla spesa della composizione con grave perdita di tempo e danno della nostra Casa. - Non basta; si portano le bozze nella Curia per la Revisione, e il Cancelliere Can. Chiuso, incaricato di ciò dall’Arcivescovo, non dà loro libero il corso, e rimangono ferme per intiere settimane.

            Le stesse ristampe stereotipe (che sono invariabili), si vogliono esaminare ogniqualvolta vanno sotto i torchi. Indi incagli nei nostri lavori tipografici; indi lamenti da parte degli autori e dei committenti, perchè noi non possiamo dare il lavoro compiuto pel tempo assegnato.

            Mentre poi si usa tanto rigore per le opere che escono dalla nostra Tipografia, si vedono uscire in Torino stessa, ed anche fuori di Diocesi, ma colla Revisione ecclesiastica Torinese, opere anche voluminose, contenenti dottrine per nulla gradite al Santo Padre, e piene di astio contro quei dotti, anche Eminentissimi, i quali le combattono.

            Domandiamo se sia questo il modo di promuovere la stampa cattolica? Parecchie volte invece di stampare certe {39 [87]} opere in Torino, abbiamo dovuto mandarle alla nostra Tipografìa Salesiana, di S. Pier d’Arenar perchè la Curia Arcivescovile di Genova ci favorisce con una prestezza degna di singolare encomio.

            Il 25 Novembre l’Arcivescovo scrive a D. Bosco:

            “Nel caso che V. S. desse alle stampe, o producesse colla litografia od altri mezzi qualche scritto sfavorevole all’attuale Arcivescovo di Torino; oppure scrivesse a mano o sua o di altri qualche carta sfavorevole a questo Arcivescovo; e la presentasse a qualunque sia persona, eccettuati il Sommo Pontefice e gli Eminentissimi Cardinali, membri delle Sacre Congregazioni Romane, le dichiaro fin d’ora, che in quell’istante cessa per lei la facolta di ascoltare le confessioni sagramentali e di assolvere, e ciò ipso facto, nella mia Diocesi; imperocchè evidentemente io non potrei più porre in lei la fiducia necessaria per affidarle la direzione delle coscienze di alcuno de' miei diocesani, o delle persone che mi sono suddite riguardo alla confessione; e quindi fin d’ora ritirerei la facoltà da V. S. pel punto di tempo, in cui avvenisse il caso più sopra espresso.”

            Il 1° Dicembre di buon mattino egli scrive di nuovo a D. Bosco la seguente lettera:

            “In aggiunta e correzione di quanto scrissi a V. S. il 25 ultimo scorso Novembre, le dico, che se Ella presenta o fa presentare uno scritto qualunque sfavorevole all’attuale Arcivescovo di Torino, sia questo scritto a mano di V. S. o di altri, sia esso a stampa, o litografato, o fotografato, a qualunque sia persona, eccettuati il Sommo Pontefice, il Cardinale Segretario di Stato, ed i Cardinali Prefetti delle Sacre Congregazioni dei Vescovi e Regolari e del Concilio, io da questo istante dichiaro che per V. S. in tal caso cessa la facoltà di assolvere sagramentalmente, e perciò di ascoltare le confessioni in questa Arcidiocesi; e cessa ipso facto senza bisogno di altra dichiarazione: siccome la dichiaro già cessata, se mai V. S. avesse già fatto ciò, in vista di che intendo revocare da lei la facoltà suddetta. - LORENZO Arcivescovo”. {40 [88]} Con queste due lettere Monsignor Arcivescovo mirava a chiudere la bocca e legare le mani al povero Don Bosco, affinchè non potesse difendersi nè dalle accuse passate, che in varii scritti e stampati Sua Eccellenza aveva mosse a lui e alla nascente Congregazione Salesiana, nè da altre qhe intendeva ancora di muovere in avvenire.

            Le minacce di sospensione contenute nelle due suesposte lettere perdurano tuttora. Ma e i Sacri Canoni? I Sacri Canoni l’Arcivescovo di Torino non li stima per nulla, quando si tratta di fare del male ai Salesiani, soprattutto al loro Capo.

            Il 5 Dicembre egli fa scrivere a D. Bosco che: “Ieri per la posta si ricevette copia di uno stampato sottoscritto da un COOPERATORE SALESIANO; che è una serie di menzogne ed inesattezze contro la Sacra Persona di S. E. Reverendissima Monsignor Arcivescovo di Torino. Quindi d’ordine di Mons. Arcivescovo si invita il signor D. Bosco e in sua assenza D. Rua, a dichiarare prima del 15 del corrente mese che essi (i Salesiani) condannano, o biasimano, o respingono questo stampato. Tracorso il 15 Dicembre senza che siasi mandato all’Arcivescovado una tale dichiarazione sottoscritta da D. Bosco, od in sua assenza da B. Rua, Monsignore farà quanto stimerà conveniente per il decoro della sua Autorità.”

            Il 9 Dicembre Don Bosco risponde all’Arcivescovo con questa lettera:

 

                        “ECCELLENZA REVERENDISSIMA,

            Ieri l’altro per posta venne pure un foglio stampato ad uno di questa Casa, che tosto me lo consegnò, e si riferiva ad una stampiglia di data assai anteriore, ma riguardante la Congregazione di S. Francesco di Sales. Non è a dire quanto io l’abbia letto con dispiacere e rincrescimento. Perciocchè ho sempre abborrito e detestato la difesa per mezzo della pubblica stampa.

            Io pertanto posso assicurare la E. V. Rev.ma che:

            1° Ho ignorato ed ignoro tuttora chi l’abbia composto o chi l’abbia diffuso; {41 [89]}

            2° Non ci ho preso parte alcuna nè colla stampa, nè colla autografia, litografia o scrittura per me o per mezzo mio o di altri da me dipendenti;

            3° Mi rincresce assai e biasimo il modo indecoroso con cui si parla di Vostra Eccellenza, e come ho già avuto l’onore di scrivere a V. E. io non sarò mai per usare questi bassi mezzi per far valere alcuna ragione specialmente adesso che la E. V. deferì la vertenza al S. Padre, Giudice Supremo delle controversie ecclesiastiche, al quale preventivamente di tutto buon grado ed umilmente mi sottometto.

            Prego però V. E. di notare che, chiunque sia colui che si è sottoscritto Cooperatore Salesiano, non pare che sia esso che abbia dato pubblicità alla sua lettera, ma quel Parroco che gli mandò il primo e il secondo stampato.

            Mi raccomando infine di non fare stampare altre cose su questo argomento, per unica ragione che parecchi nemici miei e della E. V. attendono ansiosi tale pretesto, per venire ad altre più insolenti pubblicità.

            Ella poi si assicuri che nei Salesiani non avrà mai nemici, ma poveri individui che faranno quanto possono pel bene di questa Diocesi, sebbene spesso incagliati dalle difficoltà che loro si oppongono.

            Dal canto mio sarò sempre lieto di potermi professare con rispetto e venerazione grandissima.

            Della E. V. Reverendissima

Umilissimo Servitore

Sac. Gio. Bosco.”

            L’Arcivescovo non è pago di questa lettera, ma il 10 Dicembre fa scrivere a D. Bosco dal Segretario:

            “S. E. Rev.ma Monsignor Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. per informarla che esso ha ricevuto la sua in data dei 9 corrente; ed aggiugnere che V. S. è in istrettisssimo obbligo di pubblicare sull’Unità Cattolica e sull’Emporio al più presto possibile un’energica protesta sottoscritta da sè, in cui in nome suo e di tutta la {42 [90]} Congregazione Salesiana condanni e respinga quanto è scritto in quel libello infamatorio, largamente diffuso in Torino, nella Diocesi e fuori Diocesi.”

            Don Bosco risponde a questa lettera così:

“Torino, 12 Dicembre 1877.

 

            “ECCELLENZA REVERENDISSIMA,

            La lettera scrittami ieri l’altro d’ordine di V. E. mi ha dato da riflettere assai.

            Desidero vivamente di compiacerla, d’altro canto non vorrei compromettere la povera Congregazione Salesiana in faccia alle Congregazioni di Roma.

            Pertanto Ella abbia la bontà di dirmi oltre al modo indecoroso quali siano le cose, che io sia in obbligo strettissimo di respingere e condannare.

            Rinnovo qui che io non ebbi alcuna parte nel noto foglio stampato, e che nè io nè la Congregazione Salesiaria intendono di prenderne alcuna responsabilità.

            Mi rincresce assai il dare nuova pubblicità, che sembra essere la provocazione di nuove stampe.

            Tuttavia io obbedisco e stampo quanto sarà per dirmi essere erroneo, e perciò da disdirsi e condannarsi.

            L’assicuro pure che io non ho mai avuto nè ho alcuna animosità verso di Lei, e che mi reputo sempre a gloria di potermi professare

                        Della E. V. Reverendissima

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.”

            L’Arcivescovo non rispose più a questa lettera di Don Bosco, ma preparossi a vessare in varie guise alcuni Salesiani ordinandi.

            Verso il 10 o 12 Novembre, cioè quaranta giorni prima, gli si fece domanda formale, perchè volesse ammettere alle Ordinazioni di Natale (22 Dicembre 1877) tre nostri Chierici, Amerio SecondoBonora Francesco ed il Conte Carlo Gays di Giletta. {43 [91]} Il 23 Novembre Monsignor Gastaldi risponde che li ammetterà.

            Il 24 Novembre scrive che non li ammetterà più.

            Il 6 Dicembre i due ordinandi Amerio e Bonora si presentano in Curia pregando che venisse loro significato, se erano ammessi all’esame per le prossime Ordinazioni. Fu risposto negativamente. Il giorno stesso si presenta pure il Conte chierico Cays, e si risponde che egli era ammesso, ma gli altri due no. Allora egli dice ripetutamente che è Salesiano come gli altri due, e voler esserlo fino alla morte.

            Temendo pertanto che questo potesse produrre dicerie di parzialità, il giorno appresso (cioè il 7 Dicembre) il Segretario Arcivescovile scrive che erano ammessi tutti e tre all’esame. Fu insomma per varii giorni un’alternativa di sì e di no da muovere alle risa, se non ne fosse andato di mezzo l’onore di Dio e il bene delle anime.

            Intanto i tre Chierici ordinandi Amerio, Bonora e Cays subiscono l’esame con esito favorevole, e ne portano il voto in Curia.

            Il 12 Dicembre alle ore 3 pomeridiane il Canonico Chiaverotti fa chiamare i due primi e loro presenta una lettera anonima intestata: Lettera sull’Arcivescovo di Torino e sulla Congregazione di San Francesco di Sales, da sottoscrivere con questa formola apposta da Monsignore di proprio pugno: “Io condanno tutto ciò che è contenuto in questa lettera.” E questo fu posto come condizione indispensabile per essere ordinati. I due Chierici, ignari affatto di quella lettera, risposero che prenderebbero consiglio dal loro Superiore prima di ciò fare.

            Ecchè? Dovevano essi condannare uno stampato che ignoravano, e non ne sapevano neppure il contenuto? Eppure per questo rifiuto l’Arcivescovo negò a loro due le Sacre Ordinazioni, e con una visibile contraddizione le diede al Conte Cays, Salesiano ancor esso al pari degli altri.

            Il 17 e 18 Dicembre Monsignore, sicuro che Don Bosco non poteva più difendersi nè cogli scritti nè colle stampe per causa della minacciata sospensione, convocò il Capitolo della Metropolitana invitando i Canonici a condannare la {44 [92]} lettera mentovata, che senza fondamento persisteva a supporta di qualche Salesiano. I Canonici, forse perchè le cose colà esposte erano avanti ai tribunali della Santa Sede, si limitarono a biasimare il modo indecoroso con cui si parlava della Autorità Vescovile, invitando l’Arcivescovo a giustificarsi contro a quelle imputazioni. Redatta perciò una specie di indirizzo venne consegnato privatamente all’Arcivescovo. Ma il giorno 20 Dicembre contro la loro aspettazione lo vedevano comparire sull’Emporio Popolare giornale torinese.

            Questa pubblicazione fu come una scintilla che cagionò grande incendio, e quel foglio, che era noto a pochissimi, fu con ansietà ricercato, letto e fatto tema di ogni sorta di giornali, facendosi falsamente supporre uscito dalla penna dei Salesiani, giusta il desiderio dell’Arcivescovo.

            Il giorno 21 dello stesso mese radunò i Parroci della Città di Torino, perchè facessero altrettanto. Ma essi non vollero mischiarsi in tale questione, perciò nè condannarono, nè biasimarono lo stampato proposto, perchè sarebbe stato un prevenire il giudizio della Santa Sede.

            Procurò che fossero di nuovo convocati i Canonici, affinchè pronunciassero esplicita condanna contro al noto foglio e contro la Congregazione Salesiana. Ma limitaronsi a scrivere al S. Padre, pregandolo ad interporre la sua Autorità per mettere un termine a quelle vertenze.

            Non contento di questi risultati, con apposita Circolare l’Arcivescovo convocò di nuovo tutti i Parroci della Città di Torino pel giorno 2 di Gennaio 1878 nel suo Episcopio. Quivi dopo aver inculcato l’unione dei Parroci col loro Pastore, invocava il loro appoggio per un affare di grande importanza, che entro breve tempo avrebbe loro manifestato. Tutti capirono, che si alludeva ad un altro prossimo invito per unirsi con lui a danno dei Salesiani.

            Qui è pur bene di notare che, a fine di impedire ogni sorta di pubblicità, il Sacerdote Bosco avea tentato fin dal passato Ottobre una prova di accomodamento per mezzo del Vicario Foraneo di Lanzo, incaricandolo di assicurare il nostro Arcivescovo che i Salesiani non volevano che il bene {45 [93]} della Diocesi, ubbidire, lavorare e non dispiacergli per nulla. La risposta ottenuta è di tal genere, che non sì può trascrivere, e si conserva soltanto in modo confidenziale a parte.

            Finalmente il Conte di Castagnette, antico Ministro di Stato, conosciuti questi scresci, si presentò a D. Bosco per vedere di appianare le difficoltà tra l’Arcivescovo e la Congregazione Salesiana. Quel dotto e cattolico Personaggio volle ascoltare tutto, accettò da Don Bosco i pieni poteri con una protesta del medesimo contro al foglio anonimo. D. Bosco metteva queste sole due condizioni: Che l’Arcivescovo considerasse la Congregazione Salesiana come le altre della stessa Città, e che, per dimostrare pubblicamente che non esistevano più scresci, venisse a celebrare una Messa od a fare qualche religiosa funzione nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. Prova inutile; come si può vedere nelle due seguenti lettere, che esprimono il risultato della mediazione del Conte di Castagnette.

 

                        “BENEMERITO SIGNORE,

            Ho differito fino a domani la mia partenza per Roma, per attendere l’effetto de' suoi buoni uffizi presso S. E. Reverendissima nostro sempre veneratissimo Arcivescovo. Ella potè conoscere quanto fosse grande il mio desiderio di venire ad un qualche accomodamento. Ora apprendo con sommo rincrescimento che le savie di Lei sollecitudini tornarono inutili. Pazienza! Anche in questo è forza di adorare la permissione del Cielo. Il trovarmi capo di una. Congregazione, cui si nega agli uni le Sacre Ordinazioni, agli altri la facoltà di predicare, a questo di confessare, a quello di celebrare la S. Messa, mi mette nella necessità di recarmi al legittimo e assoluto Superiore per avere istruzioni e consiglio.

            Se mai Ella può ancora vedere S. E. l’Arcivescovo, la prego di assicurarla che io non vado per accusare, ma unicamente per rispondere ai reclami che la stessa E. S. ha giudicato di fare presso l’Augusta Persona di Sua Santità. {46 [94]} La ringrazio in modo speciale pel disturbo che si degnò assumersi per questa povera Congregazione, che non mancherà di pregare Iddio che spanda copiose le sue benedizioni sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia.

            Ella fu sempre un nostro insigne Benefattore; ci continui la sua benevolenza specialmente col pregare, affinche la misericordia di Dio ci aiuti a togliere di mezzo gli ostacoli, che si oppongono alla salvezza delle anime.

            Con profonda gratitudine ho l’alto onore di potermi” professare

                        Di V. S. Benemerita

            Torino, 17 Dicemhre 1877.

Obbligatissimo Servitore

Sac. Gio. Bosco.”

 

            A questa lettera di D. Bosco l’illustre Patrizio Torinese rispondeva colla seguente.

“Torino, 23 Dicembre 1877.

 

                        M. REV. E VENERATO D. Bosco,

            In seguito alla conferenza tenuta colla S. V. Rev.ma intorno alle rincrescevoli divergenze con Monsig. Arcivescovo e più specialmente alla lettera anonima, io mi sono recato da S. E. non senza prima averle chiesto l’ora che le sarebbe comodo di ricevermi.

            Esposi il sunto del nostro colloquio ed il vivo desiderio di D. Bosco di essere in armonia col suo Superiore Ecclesiastico, a cui lo vincolavano tante rimembranze. Ch’egli non poteva a meno di vedere quali gravi conseguenze derivassero alla sua Congregazione da questo screscio, ed anche il doloroso effetto nella pubblica opinione.

            Dopo ciò io presentai a Monsignore il progettato articolo da inserire nell’Unità Cattolica, soggiungendo che io aveva tutta la fiducia che il Teologo Margotti si sarebbe fatta una premura di pubblicarlo.

            L’Arcivescovo lesse e rilesse il progettato articolo, poi mi disse: - Don Bosco senza estendersi in questa lunga {47 [95]} dichiarazione, avrebbe dovuto adottare fa formola molto breve, che giorni fa io gli aveva trasmessa. Qui si disdice la forma dello scritto anonimo tacciandolo d’indecoroso e sconveniente, ma non si condanna la sostanza dei fatti incriminati: qui B. Bosco non fa cenno della disapprovazione de' suoi dipendenti. -

            Io allora dissi a Monsignore, che posto che egli mi aveva autorizzato a prender parte in questa discussione, mi permettesse di parlare con libertà. Che io vedeva nel proposto articolo una bastante disapprovazione, e che una tal dichiarazione fatta dal Superiore doveva estendersi a tutti i suoi dipendenti della Congregazione.

            Che S. E. riflettesse alle difficoltà dei tempi ed al desiderio dei tristi di vedere una dissensione nel Clero. Che mai fu tanto necessaria la unità, e che un conflitto tra l’Arcivescovo ed un Ecclesiastico tanto benemerito della Chiesa, quale si è il Rev. D. Bosco, non poteva che dar ansa alla stampa irreligiosa e produrre lagrimevoli conseguenze.

            Quanto a me avrei desiderato che si cancellasse la memoria di questi fatti con un amichevole accordo, e che Monsignore fosse il protettore della Congregazione, e si recasse una delle prime Domeniche a celebrare e benedirli.

            Al che mi rispose che non era ancora il caso di questo, e che toccava a lui di vedere il tempo ed il modo: che intanto vi erano ancor molte cose da regolare.

            Soggiunse S. E. che avrebbe redatto egli stesso una formola dell’articolo e me l’avrebbe comunicato.

            La sera del nostro colloquio io stava aspettando questo scritto, quando ho ricevuto un piego di Mons. Arcivescovo contenente la restituzione del progettato articolo di D. Bosco, ed insieme l’annessa carta di visita con complimenti.

            Capii che non doveva più ingerirmi in quest’affare, ed ora, a richiesta del nipote ed amico Conte Cays, faccio questa relazione al venerato D. Bosco, salutandolo distinta mente e raccomandandomi alle sue orazioni.

            Rispettosamente e con affettuosa osservanza

Dev.mo ed Obbl.mo Servitore

Conte Di CASTAGNETI” {48 [96]}

 

            Questa lettera non abbisogna di riflessi. Essa dice abbastanza chiaro, se il torto stesse dalla parte di D. Bosco ò da quella dell’Arcivescovo.

 

 

1878

 

            Il giorno 8 Gennaio di quest’anno 1878 Mons. Gastaldi pubblicò una Circolare, in cui al N. 8° si legge:

            “I RR. SS. Superiori dei Regolari manderanno, secondo l’usato, direttamente alla Curia le Patenti dei loro Confessori e Predicatori, avvertendo di metterle per ordine alfabetico e di uniformarsi al prescritto pei Sacerdoti secolari in tutto quello che li può riguardare, ed esplicitamente dichiarando, se i loro sudditi si siano accostati frequentemente alla Confessione Sacramentale.”

            I Superiori dei Regolari in Torino non giudicarono che l’Arcivescovo potesse pretendere tale dichiarazione, epperciò la considerarono come non avvenuta. Ma i Salesiani per amor di pace accondiscesero anche in questo.

            Fin dall’anno 1870, e quindi molto prima che in Torino si ponesse mano alla Chiesa di S. Secondo, la Congregazione Salesiana, mediante l’appoggio dei suoi Cooperatori e soprattutto del grande Pontefice Pio IX, nostro insigne Benefattore, attendeva alla costruzione della Chiesa, Ospizio e Scuole annesse di S. Giovanni Evangelista, per opporre un qualche rimedio al male, che vi facevano i Valdesi col loro tempio, ospizio e scuole innalzati in quel sito. Fin d’allora si aveva in animo di erigere quel sacro ediffizio in ossequio a Pio IX; ma finchè Egli fu in vita non si credette conveniente pubblicare questa intenzione. Succeduta la dolorosa sua morte si giudicò di palesare il fine che si aveva, di ricordare cioè con quell’edifizio le glorie di Lui. Ma questo divisamento non gradì all’Arcivescovo di Torino, il quale vi si oppose con tutte le sue forze, volendo che per monumento a Pio IX servisse soltanto la Chiesa di S. Secondo. {49 [97]} Scrisse perciò ripetutamente alla Sacra Congregarzione dei Vedovi e Regolari ed allo stesso Card. Franchi allora Segretario di Stato, accusandoci di voler far concorrenza a' suoi progetti. Era questa una cosa affatto insussistente, e lontana le mille miglia da quello che egli supponeva. Tuttavia Monsignore trovò modo di recarci dei gravi fastidii.

            A questo proposito il 20 Luglio egli scriveva ancora a D. Bosco: “Di avvertire lo scrittore del Bollettino Salesiano di non pubblicare più oltre alcuna notizia o avviso, invito od esortazione riguardo alla suddetta Chiesa (di S. Giovanni Evangelista) come una memoria di Pio IX.”

            Si rispose che il Bollettino Salesiano si stampa a Sampierdarena, che non si fece mai alcun appello ai fedeli della Diocesi di Torino, ma unicamente ai Cooperatori Salesiani sparsi nelie varie parti del mondo, e che sono gli ordinarii nostri benefattori. - Tuttavia egli continuò nel suo divieto.

            Nel mese di Giugno di quest’anno medesimo 1878, in una Casa della Congregazione Salesiana in Chieri, si aperse una pubblica Cappella ed Oratorio festivo, per raccogliere ed istruire nella Religione le fanciulle della città. Di qui cominciò per parte dell’Arcivescovo una serie di inauditi fatti dolorosi e vessatorii, tra cui la sospensione per tutta la Diocesi del Sac. Salesiano Gio. Bonetti, primo Direttore di quell’Oratorio; sospensione inflittagli senza far precedere le richieste ammonizioni, nè tre, nè due, nè una; senza addurre la colpa canonica, perchè non esisteva; infamando cosi senza ragione per tutta l’Archidiocesi un Sacerdote Salesiano, che appoggiato a Privilegi Pontifìcii, in una Chiesa del suo Istituto, a solo titolo di carità, aveva per più mesi sacrificata la sua vita pel bene religioso e morale di oltre a 500 povere giovanette.

            Il maggior numero delle vessazioni fatteci dall’Arcivescovo negli anni 1879-80-81 riguarda la detta vertenza. Quindi, essendo esse pressochè tutte stampate nella causa intentata dal prelodato Sacerdote a Mons. Arcivescovo presso la Sacra Congregazione del Concilio, qui ne segnaleremo solamente qualcuna. {50 [98]}

 

 

1879

 

            Il 12 Gennaio di quest’anno l’Arcivescovo di Torino si porta nella città di Chieri, raccoglie a capitolo i Canonici deila Collegiata, e, per indurli a dare un atto di sfiducia all’Oratorio da D. Bosco aperto in quella città a vantaggio delle giovinette, paragona i Salesiani alle macchine a vapore, che escano dalle loro rotaie, producendo più male che bene.

            Non avendo potuto avere i suffragi necessarii contro il detto Oratorio, Monsignore il 12 e poi il 14 di Febbraio ne sospende il Direttore Salesiano dall’udire le confessioni in tutta l’Archidiocesi, come abbiamo detto di sopra.

            Il 20 Febbraio, essendo fuori dalla nostra Casa principale di Torino D. Bosco e i principali Superiori, l’Arcivescovo venne improvvisamente senza invito a prender parte ad una rappresentazione del nostro teatrino, mentre pochi giorni prima aveva mandato a D. Bonetti la sospensione dall’udire le Sacramentali Confessioni non solo per Chieri, ma per tutta la Diocesi, come si disse. - Dopo ciò egli scrive che “intervenne alle nostre rappresentazioni sceniche nel carnovale, in prova della non dubbia sua benevolenza verso la Congregazione Salesiana.”

            Noi domandiamo: Perchè Monsignore ricusò tante volte di venire a fare funzioni nella nostra Chiesa, ed anche ad amministrare la Cresima quando era invitato, e poi viene al teatro senza invito alcuno?

            Il 26 Maggio scrive a D. Bosco che passi da lui per cosa gravissima. La cosa gravissima era la faccenda di Don Bonetti, al quale per certe lettere venutegli da Roma aveva da prima fatto dire, che gli restituiva assolutamente la facoltà di ascoltare le Confessioni, ma poscia gli notificava che era tuttora sospeso per Chieri, facendolo credere colpevole nel campo stesso dei suoi sudori. D. Bosco nella sera stessa si porta da lui, e Monsignore dichiara che restituisce nuovamente a D. Bonetti la facoltà di confessare in qualunque {51 [99]} luogo, lasciando alla prudenza di Don Bosco l’inviarlo a Chieri sì, o no. Questa notizia portata a casa da D. Bosco rallegrò tutti; ma fu di breve durata, perchè al mattino I per tempo Monsignore gli spedisce una nuova lettera, colla quale disdice quanto aveva detto la sera prima. Ecco questa lettera singolare:

“Torino, 27 Maggio 1879.

 

 

                        REVmo SIGNORE,

            La necessità in cui sono di sopprimere senza indugio le discordie suscitate in Chieri m’obbliga ad assicurarmi che D. Bonetti ne siano (?) allontanato infino a che io stesso abbia riesaminate sul luogo le cose, e presa una conclusione con pieno conoscimento di causa; e quindi reputo necessario che per tutto questo tempo questo Sacerdote non eserciti in Chieri il ministero di Confessore; e conseguentemente ritiro da D. Bonetti (se la ritira, dunque è segno che la sera innanzi l’aveva data) la facolta di assolvere sacramentalmente insino al tempo suaccennato, che, stante lo stato fisico in cui mi trovo, non mi è possibile ora il determinare. Questo è quanto io aveva dichiarato a D. Rua sul principio di questo mese; e quanto, riflettendo sopra a tutta la nostra conversazione di ieri sera, penso dover dichiarare a V. S. Revma di cui mi professo

Dev.mo Servitore

LORENZO Arcivescovo.”

            Di chi dunque è la colpa, se fin da principio non si potè addivenire ad un pacifico accomodamento?

 

 

1880

 

            Il 22 Marzo l’Arcivescovo di Torino inviava al Sacerdote Giovanni Cagliero una lettera, colla quale offriva una casa, terreno ed il frutto di L. 6,000 a patto, che la Congregazione Salesiana aprisse un Oratorio festivo e due scuole {52 [100]} elementari quotidiane gratuite pei ragazzi della Parrocchia del S. Cuore di Gesù in Torino.

            Esaminata ogni cosa e tenuto calcolo che la stessa offerta era già stata fatta ad altre Corporazioni religiose, che non l’avevano accettata, e che la Congregazione Salesiana, già mancante di personale e di mezzi, non era in grado di aprire una nuova Casa coi pesi voluti con sole L. 300 annue, quali risultano dall’offerta di L. 6,000, FU RISPOSTO, che per allora non era nella possibilità di sobbarcarsi agli oneri risultanti da tale esibizione. L’Arcivescovo stesso, trovate giuste le osservazioni di D. Cagliero, convenne anche che la Congregazione non avrebbe potuto tenere aperta una Casa con sole L. 300 annue, e fu detto di sospendere le trattative fino all’apertura della nuova Chiesa e Casa di S. Giovanni Evangelista posta in prossimità del sito offerto, donde si sarebbe potuto con maggior facilità mandare i due Maestri per la scuola mattino e sera. Non andò guari che egli, dimentico di queste intelligenze, ne mosse querela al Card. L. Nina nostro benevolo Protettore, e, per disporlo contro dei suoi protetti, gli dice che la detta offerta era stata accolta dai Salesiani con molta freddezza, e stava tuttora in attesa di una definitiva risposta.

            Ricevuta simile rimostranza Sua Eminenza Revrma il 23 Giugno ne scriveva a D. Bosco domandandogli informazioni; e D. Bosco informava l’Eminentissimo colla seguente lettera, alla quale un’altra ne univa di D. Cagliero che aveva in persona trattato la cosa con Mons. Arcivescovo.

 

            “EMINENZA REVma,

 

            L’affare che si riferisce a Monsignor Arcivescovo di Torino (lettera 23 Giugno ultimo scorso) essendo stato trattato da altri nella mia assenza, ho giudicato bene farlo conscienziosamente esporre da chi ne ebbe tutta la parte. E non posso a meno di sentire amaro rincrescimento nel vedere le cose in cotale guisa travisate.

            Di questo genere fu la sospensione inflitta al Sac. Giuseppe Lazzero Direttore di questa Casa Madre, senza {53 [101]} osservare alcuna forma canonica. Altrettanto avienne ora del Sac. Giovanni Bonetti.

            “Presentemente ancora gravitano due lettere minacciose, una in data 25 Novembre 1877, l’altra del 1° Dicembre 1877, in forza di cui sono ipso facto sospeso, se scrivo, stampo o per me o per mezzo di altri alcuna cosa, che torni a carico dell’Arcivescovo di Torino, e la mando a chicchessia, ad eccezione del Sommo Pontefice. Dopo di che egli, Monsignor Arcivescovo, ha scritto quello che gli piacque a carico dei poveri Salesiani anche alle Sacre Congregazioni di Roma, senza che si possano fare le dovute risposte.

            Ciò non ostante vi sono oltre a duecento Salesiani, che lavorano alacremente nella Diocesi di Torino senza mai dimandare nè impieghi, nè onorario di sorta. Contro a costoro niuno finora potè fare parola di rimprovero.

            A Monsignor Arcivescovo di Torino io non ho mai dimandato altro, se nonchè me la dica quando c’è qualche cosa, ma non la scriva travisata alla Santa Sede. Ciò tutto inutilmente.

            Di qui hanno origine le gravi difficoltà che incontriamo presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, per mettere l’umile Società Salesiana in uno stato normale, come appunto si trovano tutti gli altri Istituti religiosi approvati definitivamente dalla S. Sede.

            Con tutto ciò io non intendo di muovere reclamo: i tempi sono troppo difficili; aumenteremo il nostro buon volere a lavorare per la gloria di Dio e non di più.

            I Salesiani si uniscono meco a ringraziare la E. V. per la benevola protezione che ci presta. Preghiamo Dio che La conservi in buona salute, ed invocando la santa di Lei benedizione, con gratitudine profonda ho l’alto onore di potermi professare a nome di tutti

            Di V. E. Revma

Torino, 10 Luglio 1830.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco” {54 [102]}

 

            In una lettera del 29 Dicembre, scritta alla Sacra Congregazione del Concilio, l’Arcivescovo asserisce che quando il Collegio di Valsalice di questa città (Torino) stava per sciogliersi, io mi sono adoperato, affinchè i Sacerdoti Salesiani ne ottenessero la proprietà da mantenerlo aperto come Casa privata di D. Bosco. Allo scopo ho sborsato del mio lire diecimila in estinzione di debiti, giacchè il M. Rev. D. Bosco non voleva assumersi l’obbligo di pagare debiti fatti dall’Amministrazione del Collegio.”

            Dunque le 10 mila lire non le diede ai Salesiani, ma agli antichi amministratori, per soddisfare cioè ai loro debiti. Perchè dunque se ne vanta come di una beneficenza fatta ai Salesiani? Osserviamo ancora che da dieci anni Monsignore percepisce ogni anno mille lire, che il regio Economato fissava pei nostri poveri giovanetti, e finora egli non cercò ancora di consegnarcele.

            Non è poi secondo verità che Egli siasi adoperato, affinchè i Sacerdoti Salesiani ottenessero la PROPRIETÀ del Collegio di Valsalice, imperocchè essi a fine di averne la PROPRIETÀ dovettero comperarlo a loro conto, cioè coi proprii danari e pel suo valore reale. Inoltre dovettero sottostare ad ingenti spese pel rilevamento di tutta la vecchia mobilia del Collegio. E ciò essi fecero di buon grado a fine di compiacere l’Arcivescovo, il quale in compenso non cessò mai di torturarli in tutti i modi.

            Insomma questo acquisto fu una vera compera e non un DONO come vorrebbe far credere Monsig. Arcivescovo, scrivendo alla Sacra Congregazione del Concilio.

            La stessa asserzione egli la stampò nella causa del Teologo Gaude nel 1876; e in due diversi suoi libelli contro alla Congregazione Salesiana nel 1877, che mandò a tutti i Cardinali, Vescovi ed Arcivescovi ecc. Specialmente nel 1° di essi uscito nel Febbraio chiaramente afferma:

            “L’Arcivescovo in prova della sua grande fiducia nella Congregazione Salesiana e nel suo Fondatore, le offerì questo Collegio (di Valsalice), invitandola a guardarlo d’ora in poi come cosa sua. {55 [103]}

            Ma diciamo: Il Collegio era proprietà dei Fratelli delle Scuole Cristiane; come poteva dunque l’Arcivescovo offerire quello che non era suo?

            Il giorno 8 Aprile 1880 ècrive di nuovo a D. Cagliero:

            “L’avverto che, quando il Vescovo Diocesano acconsente a che un Religioso si rechi a ricevere le Ordinazioni fuori Diocesi, ha obbligo di sottoporlo all’esame prescritto dal Concilio di Trento e dal Pontificale; e che è stata una mia mancanza di riflessione, quando a voce ho permesso a V. S. di prendere dalla mia Curia l’attestato necessario per mandare alcuni Salesiani ad essere ordinati extra, benchè non li abbia prima sottoposti al detto esame.”

            Eppure la Sacra Congregazione del Concilio ha deciso che quest’obbligo spetta al Vescovo Ordinante. A chi si deve dunque credere ed obbedire?

            Nella primavera di quest’anno medesimo 1880, e dopo la bella festa celebrata nella nostra Chiesa di Torino in onore di Maria SS. Ausiliatrice, l’Arcivescovo ripetè alla Congregazione dei Sacri Riti l’accusa già mossa più volte dallo stesso alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari nel 1877-78; che cioè la Congregazione Salesiana stampava miracoli della B. Vergine Maria nella sua Diocesi, senza il suo permesso e contro le prescrizioni ecclesiastiche. Invece il fatto è che tutti i libri contenenti racconti di grazie o favori ottenuti dai divoti per intercessione della SS. Vergine Ausiliatrice, pubblicati da noi portano ognuno in principio od in fine il Decreto di Urbano VIII, e il Visto del Revisore della Curia Torinese per quelli, che si stamparono in Torino, o di quella di Genova per quelli, che uscirono dalla nostra Tipografia di Sampierdarena.

            Ma che importa? Egli cercava di recarci dei disturbi, e ci riusciva, facendoci perdere ore preziosissime, che avremmo potuto occupare alla maggior gloria di Dio e al bene delle anime, e invece dovevamo spenderle per rispondere ai suoi reclami fatti senza alcuna ragione.

            Anzi nel suddetto reclamo egli andò tant’oltre, che accusò persino i Salesiani di fare turpe mercimonio delle grazie {56 [104]} e favori ottenuti dai fedeli per invocazione alla Vergine Santissima, venerata nel nostro Santuario di Torino sotto il titolo di Auxilium Christianorum. A questa gravissima accusa rispose per noi trionfalmente il Revmo Mons. Lorenzo Salvati, promotore della Fede, in un Votum pro veritate, redatto per ordine dell’Emmo Cardinale Bartolini, in data del 16 Luglio 1880.

            Il giorno 12 del mese di Ottobre l’Arcivescovo di Torino senza alcun preavviso od invito di sorta si recò, sua sponte, a visitare la nostra Casa di S. Benigno Canavese, dove fu accolto cortesemente dal Direttore e condotto a vedere i varii laboratorii degli artigiani.

            Di tutto rimase soddisfatto, come dice egli stesso, ma perchè nell’officina dei legatori da libri e dei calzolai, essendo entrato all’improvviso, i giovanetti apprendisti non fecero in tempo ad assettarsi, pulirsi le mani imbrattate di pasta o di pece, per venir subito a prostrarsegli dinanzi e baciargli l’anello, egli prende appiglio da ciò per iscrivere una lettera di lagnanza a D. Bosco. Ma diciamo noi: Oltre ad inginocchiarsi per terra per ricevere la sua benedizione, voleva egli che quei poveri giovanetti artigiani, timidi e riguardosi, lo imbrattassero di pasta e di pece per farglisi da presso e baciargli la mano?

            E poi è da notarsi che le Case della Congregazione Salesiana, in quanto al regime disciplinare e amministrativo, sono esenti dalla giurisdizione e dalla visita degli Ordinarli, e che, oltre a ciò, quella di San Benigno trovasi nella Diocesi d’Ivrea.... Eppure Monsignor Gastaldi, Arcivescovo di Torino, volle vedere, sapere e visitar tutto, e non trovando da criticare in niun luogo, ne va a cercare materia nelle officine di alcuni poveri artigiani!

            In data 17 Novembre la S. Congregazione del Concilio, volendo terminare la causa di D. Bonetti, spediva a D. Bosco un piego con entro una lettera, diretta e da consegnarsi in proprie mani all’Arcivescovo.

            Il Sacerdote latore di questa lettera, non potendo avvicinarsi a Monsignore, chiese in Curia e poi a chi stava nell’anticamera una riga di ricevuta per sua tranquillità, {57 [105]} ma non potè ottenerla. Allora temendo di dovere rendere conto di quella lettera, in caso che non venisse a mano dell’Arcivescovo, quel Sacerdote giudicò di consegnarla al Segretario in presenza di un testimonio. Questo fatto mise sottosopra Mons. Arcivescovo, il quale rimandò la lettera a D. Bosco, e costrinse la Sacra Congregazione del Concilio a intimargliela da Roma. Anzi Monsignore ne scrisse alla Sacra Congregazione medesima, dipingendo la cosa coi più neri colori, a fine di mostrare i Salesiani irriverenti alla sua persona. Ma un eccellentissimo Personaggio romano disse: “Monsignor di Torino ha fatto una gran tempesta in un bicchier d’acqua.”

            Si noti che qualche mese prima avendo egli ricevuto una lettera della Congregazione dei S. Riti per D. Bosco, e mandatagliela per mano del suo domestico, costui se ne fece dare formale ricevuta prima di consegnarla, e questa gli venne fatta senza difficoltà, quantunque presentata solamente da un laico.

            Il 18 Dicembre Mons. Gastaldi scrisse una lettera ad un pio ed illustre Prelato di Sua Santità, nella quale si lagna acremente, perchè, egli dice, “i Salesiani non sono affezionati e riverenti e subordinati a questa Autorità Arcivescovile.”

            La ragione poi di questo rimbrotto d’insubordinazione è perchè, egli dice, D. Bosco mandò da Torino un suo Salesiano ad amministrare il Viatico, poi l’Estrema Unzione, e finalmente a fare la sepoltura alla salma per le vie pubbliche di Chieri di una Suora di Maria Ausiliatrice morta nel nostro Oratorio di quella città.

            Questo racconto è intieramente falsificato:

            1° Perchè D. Bosco in quel tempo era fuori di Torino, e nulla sapeva della malattia della Suora, perciò non potè mandarvi da Torino alcun Sacerdote Salesiano ad amministrarle gli ultimi Sacramenti;

            2° Il SS. Viatico e l’Olio Santo le vennero amministrati dal Rev. Sig. Canonico Matteo Sona di Chieri, il quale trattandosi di un caso urgente, e supponendo che i Salesiani godessero dei medesimi privilegi delle altre Comunità {58 [106]} religiose della città, giudicò in buona fede poterci rendere questo servizio. Il medesimo Canonico lasciò di questo un apposito attestato, che fu spedito all’Eminentissimo signor Cardinale Nina, in prova della gratuita asserzione di Mons. Arcivescovo contro i Salesiani;

            3° Nessuno dei Salesiani fece sepoltura alla salma per le vie pubbliche di Chieri.

            Nella citata lettera allo stesso Prelato, l’Arcivescovo passa ad accusare i Salesiani, dicendo che coi loro libelli l’hanno infamato per tutta Italia.

            Ma questa imputazione solenne è affatto gratuita. Niuno dei Salesiani o dipendenti da D. Bosco ha pubblicato libelli infamatorii contro l’Arcivescovo di Torino. Ma può Egli affermare con verità altrettanto? Egli per ben sei volte stampò cose disonorevoli contro ai Salesiani! E poi a fine di precludere loro ogni via alla pubblica e privata difesa, minaccia a D. Bosco la sospensione da incorrersi ipso facto per tutta la Diocesi dall’ascoltare le Sacramentali Confessioni dei fedeli, se stampa o scrive per sè o per altri qualunque cosa SFAVOREVOLE ALL’ATTUALE ARCIVESCOVO DI TORINO. Ancora ultimamente nella causa contro D. Bonetti, non avendo altro da dire contro dei Salesiani, andò a tirare fuori una lettera dell’Arcivescovo suo antecessore, la quale aveva niente da fare nella questione.

            Notiamo che questa medesima lettera ebbe a suo tempo una trionfante risposta dal dotto Vescovo di Casale e dallo stesso D. Bosco; ma l’Arcivescovo di Torino si guardò bene dal farne cenno.

            Egli termina la sopra accennata lettera al detto Prelato di Sua Santità, pregandolo che s’adoperi presso il Vescovo di Casale, affinchè induca Don Bosco a cangiar sistema.

            Ciò vale a dire che D. Bosco lasci il sistema finora seguito della pura filosofia di S. Tommaso, come è prescritto nelle nostre Costituzioni approvate dalla S. Sede, ed abbracci il suo, cioè il sistema Rosminiano, vale a dire che proscriva come fece egli dai Seminarii della Diocesi Torinese lo studio della morale del Dottore S. Alfonso e dello {59 [107]} Scavini  e adotti la filosofìa di Rosmini e la morale di un certo autore, che puzza di giansenismo.

            A questa condizione, cioè che D. Bosco cangi sistema, Mons. Gastaldi ci fa sapere in fin della prefata lettera che “è disposto a dimenticare affatto quello che è stato.”

            Ecco il gran perno delle nostre discordie Coll’Arcivescovo di Torino.

            Se i Salesiani concordassero colle sue idee, quantunque fossero idee non gradite al Santo Padre, l’Arcivescovo di Torino li tratterebbe come i suoi beniamini. Ma il confessiamo apertamente: A noi è più caro di sentire e stare col Papa in tutto, anche nelle cose disputabili, che di seguire le opinioni di qualunque altro fosse pur insigne personaggio.

            Ed ora passiamo alle vessazioni dell’anno spirante.

 

 

1881

 

            In quest’anno l’Arcivescovo di Torino nel Calendario Liturgico tra i Monita et Decreta vi stampò questo:

 

 

XIV. De non invitando alieno Episcopo ad Nunia Saera in hac Archidioccesi sine praevia facilitate Archiepiscopi.”

 

            Deest, et quidem graviter, reverentiae quam quisque debet Pastori suo, et dignitati Episcopali, qui Episcopum rogat ad exercendam aliquam Sacram functionem in hac Archidioccesi, quin prius a suo Archiepiscopo facultatem ad hoc explicitam singulis vicibus impetraverit.”

            Pertanto il 2 Maggio un nostro Sacerdote si portò dall’Arcivescovo, pregandolo a voler permettere che Monsignor Lorenzo Pampino Vescovo d’Alba venisse nel giorno 24 Maggio a far qualche solenne funzione nella nostra Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice in Torino, o almeno a predicare. Monsignor Gastaldi bruscamente rispose: Mons. Pampirio se ne stia in Alba ad inveire contro Rosmini. {60 [108]} Il giorno 19 lo stesso Sacerdote ritornò per domandargli che almeno permettesse che Mons. Pampirio pio e valente oratore venisse a fare il Panegirico della Madonna; ma si ebbe il medesimo rifiuto.

            Il giorno 24 Maggio il Vescovo prelodato dovendo passare in Torino per recarsi a Milano, onde assistere alle feste in ossequio a Mons. Calabiana, venne non già a pontificare, ma semplicemente a celebrare la S. Messa nella nostra Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice; ma l’Arcivescovo, appena saputolo, gli scrive una lettera di biasimo, che non poteva permettere la sua presenza nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice.

            Monsignor Pampirio risponde all’Arcivescovo che non avrebbe più fatto alcuna sacra funzione, ma solo il Panegirico della Madonna alla sera, il quale era già stato annunziato; altrimenti badasse allo scandalo che ne sarebbe avvenuto, se la cosa si fosse divulgata tra l’immenso popolo di divoti accorso a quella solennità. L’Arcivescovo acconsente contro sua voglia a che egli faccia il Discorso, ma non gli permette neppure di dar la benedizione col Venerabile.

            Questi fatti non hanno bisogno di commenti.

            D. Bosco, prestando fede ad una lettera dell’Arcivescovo di Torino del 10 Maggio 1881, in cui scriveva: “Sarei molto contento die tra il sottoscritto e V. S. le cose si restituissero come erano e furono dal 1848 al 1872 nello stato più florido che mai potesse desiderarsi, aderì al desiderio più volte espresso dal Can. Colomiatti, avvocato fiscale della sua Curia, di venire ad un pacifico aggiustamento intorno alla questione di D. Bonetti. L’avvocato pertanto si presentò a D. Bosco il giorno 27 Maggio coi pieni poteri, e gli diceva di terminare a nome dell’Arcivescovo la questione.

            Dopo un lungo colloquio, D. Bosco credendo alla lealtà e sincerità delle promesse del Colomiatti, fu stabilito verbalmente che l’Arcivescovo rivocherebbe tutti i reclami spediti a Roma contro D. Bonetti, contro D. Bosco e contro tutta la Congregazione Salesiana in mille modi infamata; {61 [109]} e che D. Bonetti sarebbe sciolto da ogni molestia o sospensione, come era prima del 12 e 14 febbraio 1879, e come pure era già stato concesso dall’Arcivescovo la sera del 26 Maggio dell’anno medesimo.

            A queste sole due condizioni D. Bosco rilasciava nelle mani del Colomiatti il seguente scritto, che dovesse servire come di base al pacifico aggiustamento, da ritornarsi però a D. Bosco, unito ad uno dell’Arcivescovo, in cui vi fosse espressa l’adesione del medesimo alle suddette condizioni.

            Ecco lo scritto rilasciato da D. Bosco nelle mani del Colomiatti, e di cui questi abusò in modo sleale e contro tutte le verbali intelligenze.

            Il sottoscritto, nella qualità di Rettore della Pia Società Salesiana, contento che la vertenza tra il Sacerdote Giovanni Bonetti e Sua Eccellenza Reverendissima Monsig. Nostro Arcivescovo sia stata amichevolmente ultimata, prega l’E.mo Card. Prefetto della S. Congregazione del Concilio a voler ritornare indietro le carte presentate a quest’uopo.

                        Torino, 27 Maggio 1881.

Sac. Gio. Bosco.”

            L’Arcivescovo, appena avuto questo scritto dal Colomiatti, senz’altro vi unisce la seguente sua lettera, e spedisce tosto ogni cosa non già a D. Bosco, perchè riconosca se l’atto è secondo le intelligenze prese coll’avvocato, ma direttamente a Roma all’E.mo Sig. Card. Prefetto della S. Congregazione del Concilio. Eccone il tenore:

            Il sottoscritto, avendo riguardo alle dichiarazioni fatte al suo avvocato fiscale dal Molto Rev.do D. Bosco Gio. nella sua qualità di Rettore Maggiore della Congregazione Salesiana relativamente all’Oratorio femminile tenuto in Chieri dalle Suore Salesiane fin’ora non godenti di alcuna esenzione dalla Autorità Arcivescovile, nel vivo desiderio di ogni bene alla giovane Congregazione Salesiana, dichiara essere sua volontà che non abbia ulteriore seguito la sua contro istanza mossa presso la Sacra Congregazione del Concilio contro D. Bonetti Sacerdote {62 [110]} Salesiano, perchè obbligatovi da querela del Don Bonetti stesso; e quindi prega Sua Em.za Revma il Card. Prefetto a permettergli di ritirare le carte in causa prodotte.

            Torino, 31 Maggio 1881.

LORENZO Arcivescovo.

            Come si vede, questa lettera non fa cenno delle due condizioni verbali; non revoca il divieto fatto a D. Bonetti; e dice di ritirare solo le carte riguardanti la questione di D. Bonetti, e non le altre state intese col Colomiatti; si lasciano insomma le cose nello stato, in cui erano prima della prova di accomodamento; che anzi, in uno stato peggiore. Difatto, parlando in detto atto di Oratorio delle Suore Salesiane, l’Arcivescovo travisa la questione, come; e D. Bonetti fosse stato sospeso solo dall’udire le confessioni in una Cappella privata di monache, e non in una Cappella pubblica appartenente ai Salesiani.

            Che poi quest’atto non fosse secondo le intelligenze, lo dimostra, il Colomiatti stesso colla sua condotta. Egli, invece di riportare in persona a D. Bosco il suo scritto con quello dell’Arcivescovo prima di spedirlo alla S. Congregazione del Concilio, gliene manda solo copia, dopo che gli originali erano stati spediti a Roma. Tanto confessa egli stesso con questa lettera inviata a D. Bosco per posta.

Torino, 1 Giugno 1881.

 

                        REVERENDISSIMO Sig. RETTORE MAGGIORE

                                    della Congregazione Salesiana,

 

            Le rimetto copia dell’atto, che Monsignor Arcivescovo ha fatto e inviato alla S. Congregazione del Concilio, riguardo alla questione D. Bonetti, non appena seppe da me quanto fu concertato tra Lei e me in proposito.

            Aveva vivo desiderio che niuna cosa mi avesse impedito il recarmi nuovamente da Lei al fine di portarle il detto atto; ma che vuole un affare urgente mi costrinse a privarmi di tale piacere. {63 [111]} Di qui è che per non ritardare la comunicazione dell’atto a Lei, mi sono servito della posta.

            Della S. V. Rev.ma

                                                Devotissimo servo

                                                Canonico COLOMIATTI EMANUELE.”

 

            Ricevuta questa lettera colla copia dell’atto Arcivescovile fu scorto subito l’inganno e il giuoco fattoci dal Can. Colomiatti e dall’Arcivescovo; imperocchè l’avvocato aspettò più giorni a darne avviso a D. Bosco; poi invece di ripassare in persona a fare la risposta verbale, come erano le intelligenze, la fa per lettera; non basta, in luogo di mandargli la lettera a mano per far più presto, egli la manda per posta per fare più tardi; così che dall’invio dell’atto dell’Arcivescovo a Roma sino al ricevimento di detta lettera per parte di D. Bosco passò una settimana. Laonde, per impedire le conseguenze che a ragione si temevano, fummo costretti a telegrafare il 2 di Giugno e alle ore 7 pomeridiane al Rev.mo Mons. Verga, Segretario della Sacra Congregazione del Concilio, queste parole: Prego non rimettere fuori uffizio alcuna carta sulle nostre vertenze. Riceverete lettera. - Bosco.”

            La sera stessa D. Bosco scriveva al prelodato Segretario la lettera seguente:

 

                        ECCELLENZA REVERENDISSIMA,

            In questo momento dalla posta ricevo avviso che Monsignor Arcivescovo di Torino inviò a codesta Sacra Congregazione del Concilio un mio scritto, che doveva servire come di base ad un amichevole accomodamento sulla vertenza di D. Bonetti. Quello scritto era confidenziale pel signor avvocato fiscale Can. Colomiatti da mostrare a Monsignore, e poi ritornarmelo con altro scritto relativo alle nostre intelligenze. Questo atto Arcivescovile è di fatto venuto, ma non risponde a quanto fu convenuto col suo avvocato fiscale, vale a dire di togliere la sospensione al D. Bonetti, e ritirare non solamente i reclami {64 [112]} al medesimo relativi, ma eziandio tutte le lettere dirette ad infamare il Sac. Bosco e la sua povera Congregazione. D’altro lato io non l’avrei spedito a Roma, e, quando ciò si fosse, non avrei mandato così un pezzo di carta senza unirvi una lettera quale conviensi ad un Emo Sig. Cardinal Prefetto di sì autorevole Congregazione.

            Pertanto prego la E. V. a voler mantenere la vertenza al punto normale, in cui si trova. Con altra lettera saranno date più positive spiegazioni.

            Mi creda quale ho l’onore di professarmi con alta stima e considerazione

            Di V. Eccellenza Illma e Revma

 

                        Obbligmo Servitore

                                    Sacerdote GIOVANNI Bosco.”

 

            Intanto D. Bosco afflitto da questo inganno scrive contemporaneamente al Can. Colomiatti, pregandolo a far un passo all’Oratorio per intendersi meglio.

            Il Colomiatti ritarda due giorni la sua venuta, e in fine venendo ha il coraggio di negare che nel colloquio antecedente siano state poste le due verbali condizioni per l’aggiustamento. - Don Bosco a questa sorpresa capisce vie più il giuoco dell’avvocato fiscale, e quindi lo licenzia, promettendogli che penserebbe ancora qualche giorno prima di rompere affatto le trattative ; imperocchè, se erasi scritto e telegrafato a Roma, era solo per impedire i temuti equivoci , ma non per chiudere ogni via ad un ulteriore accomodamento. Passati alcuni giorni, D. Bosco gli scrive questa lettera:

 

                        Ill.mo Sig. Can. COLOMIATTI, AVV. fiscale,

            Secondo il suo avviso nel corso di questa settimana ho pensato, pregato ed anche consultato persona molto affezionata al nostro Arcivescovo intorno alla nostra vertenza.

            Ma mi sono sempre più convinto che l’atto Arcivescovile non corrisponde alle nostre intelligenze, lascia D. Bonetti nello stato, in cui si trovava, e non revoca per niente {65 [113]} le carte inviate a Roma a carico dello scrivente e della nostra povera Congregazione. Ciò viene confermato dal contegno che il medesimo Monsig. Arcivescovo mantiene verso di noi, siccome a Lei è ben noto.

            Forse, se Ella avesse osservate le intelligenze di tenere il mio scritto come cosa confidenziale a Lei (vale a dire non mandarlo a Roma così prima di tempo), farlo vedere e poi comunicarmi il tenore di quello che si voleva unire ad esso, la vertenza avrebbe potuto appianarsi con qualche modificazione; ma non fu così. Anzi Ella mi disse che non sarà cangiata parola di quanto fu scritto.

            In questo stato di cose non vedo più altra via che lasciare alla S. Sede lo stabilire i miei torti e le mie ragioni, che di tutto buon grado accetto preventivamente qualunque siano per essere. Credo che Monsignore pure ne sarà contento, perchè è una Superiore Autorità, la quale concede e limita i poteri, e regola l’esercizio dei medesimi.

            Nel mio particolare però io l’assicuro che in ogni cosa sarò sempre lieto quando potrò professarmi

 

                        Di S. V. Illma e Revma

                                    Torino, 11 Giugno 1881.

                                    Umile Servitore

                                    Sac. GIOVANNI Bosco.”

 

            Da tutto questo si vede che noi non abbiamo usato degli inganni, e non abbiamo detto il falso, come ha osato scrivere l’avvocato Colomiatti. Si vede chiaro invece che per mezzo suo l’Arcivescovo, sotto l’aspetto di un accomodamento, altro non intendeva che sorprendere la buona fede del Capo dei Salesiani, e spillarne qualche notizia che ancor non sapeva, e intanto continuare a dare delle molestie a Don Bosco e alla nostra Congregazione, come ha fatto pur troppo. Imperocchè se avesse avuta buona intenzione di aggiustare la cosa, perchè non voler dichiarare che toglieva la proibizione a D. Bonetti di andare a Chieri? Perchè non fidarsi della parola di D. Bosco, che avrebbe usato {66 [114]} prudenza nell’inviarvelo? Bisogna dunque dire che Monsignore voleva accomodare l’affare colla parte contraria, ma col patto di concederle nulla. E dopo tutto ciò egli ha scritto ancora che D. Bosco ha trattato male, e gli dà colpa di aver rotte le trattative!

            Si aggiungono ancora alcune parole sulla relazione fatta dall’avv. fiscale dell’Arcivescovo intorno alle trattative di un componimento con Don Bosco. L’avv. sig. Can. Colomiatti osò scrivere che il fine delle trattative era di ottenere che Monsignore togliesse a D. Bonetti la sospensione, e non già la proibizione di confessare a Chieri, e per mostrare ciò compone una tela di sofismi. Ma noi la distruggiamo con un semplice ragionamento, e diciamo: Monsignore stesso ha scritto il 29 Dicembre 1880 ed ha stampato ancora ultimamente, che da molto tempo D. Bonetti non aveva più la sospensione, ma solo la proibizione di confessare a Chieri. Ecco le sue parole: “Il Salesiano, a cui accenno, nello stesso anno 1879 e in principio del corrente anno ebbe una prova della mia benevola intenzione verso i Salesiani avvedendosi proibito solo il confessare a Chieri”. Dunque il fine delle trattative era di togliere questa proibizione che ancora esisteva, e teneva tuttora disonorato ingiustamente il Salesiano, e non quella sospensione che non esisteva più. Se lungo la conversazione si fece parola di sospensione fu nel senso non già di sospensione assoluta, ma locale ossia di proibizione, e perciò quando il sig. avvocato dice che D. Bosco non pòteva lamentarsi che Monsignore non avesse tolta la sospensione, perchè difatto l’aveva tolta, apertamente egli cavilla in modo ben poco decoroso. Dunque ancora egli, che osò scrivere che noi dicevamo il falso, è colto di averlo detto egli medesimo ad occhi aperti per compiacere l’Arcivescovo a danno dei Salesiani.

            Il 20 Maggio 1881 il Direttore del Collegio di Valsalice andò a pregare l’Arcivescovo di Torino, che il giorno, nel quale gli fosse più comodo, volesse recarsi ad amministrare il S. Sacramento della Cresima a quei Convittori; ma egli rispose recisamente no, e che non sarebbesi giammai {67 [115]} recato in alcuna, Casa Salesiana. In questa occasione medesima l’Arcivescovo ci mandò a rimproverare, perchè avevamo stampato nella nostra Tipografia, di Sampierdarena il Socialismo del Conte Emiliano Avogadro della Motta, per la ragione che vi ha un’Appendice contro le dottrine e i principii di Antonio Rosmini.

            Il giorno 4 Giugno dello stesso anno il medesimo Direttore, dopo regolare esame sostenuto in questa Diocesi, dopo avere ottenuta la facoltà di ascoltare le Confessioni ed esercitatala per dodici anni in questa Diocesi medesima, venne con lettera avvertito di recarsi nuovamente a subir l’esame di Teologia Morale.

            Questi atti ostili l’Arcivescovo li faceva mentre aveva dato ordine al Can. Colomiatti di trattare con D. Bosco per un amichevole accomodamento sulla questione di D. Bonetti. Da ciò apparisce sempre più chiaro con quale buona fede l’Arcivescovo trattasse coi Salesiani.

            Il giorno 11 e 13 di Luglio il Cancelliere della Curia Canonico Chiuso e poi il Can. Colomiatti fanno chiamare il Sac. Gio. Turchi Rettore dell’Istituto dei Ciechi, e in forma di inchiesta lo sottopongono ad una minuta ed abbominevole requisitoria sulla colpabilità o complicità di D. Bosco nella pubblicazione di libelli, di cui si vorrebbero fare autori i Salesiani. Il D. Turchi fu accolto fanciullo in nostra Casa, qui fece i suoi studi, e lo si vorrebbe obbligare a deporre quello che non è contro a chi gli ha fatto da padre.

            Il giorno 12 pel medesimo fine fu invitato il P. Pellilicani, già Gesuita, a deporre in Curia sul medesimo argomento. Questo Padre ne' tempi passati lamentava con Don Bosco i mali di questa Diocesi, e diceva essere conveniente prevenire di ogni cosa il Santo Padre. Faccia Ella stessa questa esposizione e la mandi al Santo Padre, rispose Don Bosco.

            Il P. Pellicani espose tale colloquio col P. Leoncini Scolopio di Savona, non saprei, se nel suo vero senso o no, e il Padre Leoncini si fece premura di comunicarlo con lunga lettera al medesimo Arcivescovo, esponendo le cose in modo affatto contrario alla verità; lettera che {68 [116]} l’Arcivescovo pubblicò a scredito dei Salesiani. Il P, Pellicani, chiamato nella Curia di Torino all’improvviso, conferma la lettera, ma getta tutto su Don Bosco, tacendo e travisando il discorso precedente.

            E qui domandiamo: Può uno costituirsi giudice in propria causa, chiamare al suo tribunale testimonii a lui soggetti per deporre in suo favore, minacciarli anche di pene ecclesiastiche se non si presentano, farli giurare e simili?

            Intanto si noti l’odiosità delle inquisizioni e delle deposizioni, cercate e richieste dall’Arcivescovo a' suoi Sacerdoti in causa propria, divulgando per tal modo false voci a danno dei Salesiani.

            Si noti che fin dai primi giorni della pubblicazione degli opuscoli incriminati l’Arcivescovo e la sua Curia avevano concepito il sospetto che autore, ne fosse l’ex Padre Pellicani, sospetto formato eziandio dallo stesso P. Leoncini, come questi confessa nella sua lettera.

            Si noti poscia l’odiosità di far chiamare nella Curia Arcivescovile il Pellicani, per deporre a favor suo e a favore dell’Arcivescovo, ma contro dei Salesiani.

            Si noti l’odiosità di stampare nella causa contro D. Bonetti la lettera infamante del P. Leoncini contro D. Bosco, senza prima chiamare l’accusato a darne i dovuti schiarimenti, senza porgergli prima il mezzo di fare le proprie difese.

            Si noti l’assurdità di detta lettera, la quale, tra le altre cose, dopo la pubblicazione di quei libri anonimi, fa dire a D. Bosco che l’autore è egli medesimo siccome committente.

            Si noti anche solo tutto questo, e poi si dica se in tutta questa faccenda non si scorge un intrigo abbominevole contro D. Bosco e la sua povera Congregazione.

            Se l’autore degli opuscoli in discorso non fu ancora prevenuto dalla morte, e noi sarà sì presto, spero che a tempo opportuno avrà il coraggio di svelare il suo nome. Allora il castello di accuse fabbricato sulle spalle di Don Bosco e dei Salesiani cadrà di per se stesso. E questa sarà forse la finale di questo dramma così vergognoso. {69 [117]}

            Aggiungiamo il fatto seguente. Nei mesi di Agosto, Settembre, Ottobre e Novembre di quest’anno, dopo che l’Arcivescovo in causa propria aveva posto alla tortura molti suoi Sacerdoti, tra cui D. Vincenzo Minella, il Canonico Matteo Sona e più altri, cercando di farli deporre contro la Congregazione Salesiana, si finì col ricorrere e subornare un delegato della Questura di Torino, il quale di motu proprio, e all’insaputa del Questore medesimo suo Superiore, mandò guardie vestite e travestite a casa di un povero artigiano, stato già allievo di D. Bosco ed oggi padre di famiglia, e mezzo infermo; gli fece intimorire la povera moglie, tempestandola con cento domande suggestive, e minacciandola della prigione del proprio marito, ove non confessasse se Don Bosco o qualcuno dei Salesiani aveva preso parte alla pubblicazione di certi libri. Poscia fece chiamare lui medesimo al suo uffizio, lo sottopose ad un crudele esame, e lo minacciò di processi e di prigione, se non diceva ciò che non era. Domandata in Questura ragione di queste vessazioni, il Questore disse che non ne sapeva nulla; ma chi avrebbe potuto darne schiarimenti era la Curia dell’Arcivescovo. Il povero artigiano per liberarsi da queste molestie, sul principio di Novembre scrisse al Ministro di Grazia e Giustizia, e nello stesso tempo ricorse al Santo Padre. La copia della lettera scritta a Sua Santità il povero artigiano ce la comunicò, ed è del tenore seguente:

 

                        “BEATISSIMO PADRE,

            Io sono un umile artigiano poco letterato, povero padre di famiglia, malaticcio e colla moglie incapace a guadagnare il pane a' nostri figli. Eppure questo povero individuo viene in questi giorni angustiato, minacciato e disonorato per causa del Revmo Arcivescovo di Torino.

            Questo Arcivescovo si è messo in capo che io conosca l’autore di certi libri scritti e pubblicati contro di Lui, e per sapere la cosa ha fatto chiamare nella sua Curia varii Sacerdoti. Ora Egli è venuto a sapere che io sono {70 [118]} stato uno dei beneficati di D. Bosco, e che per riconoscenza lo vado a trovare sovente e pratico ancora nella Casa, che fu l’asilo della mia giovinezza. Per questo venne in sospetto che io possa sapere, se D. Bosco o qualcuno de' suoi abbia scritto o pubblicato que' libri.

            Per la qual cosa non potendomi far chiamare in Curia è ricorso alla polizia, promettendo chi sa che cosa se mi facevano dire quello che non è, e che non so. Quindi da una settimana e più io mi vedo la casa frequentata da poliziotti ad intimorire mia moglie e i miei figli, come se il loro marito e padre fosse un furfante, mentre non ho mai dato motivo a lagnanze nè alle autorità civili, nè alle ecclesiastiche.

            Quello poi che è più indecoroso si è che ieri l’altro, 7 del corrente, venne in mia casa a tentarmi un poliziotto travestito da prete, annunziandosi per un prete Salesiano. Io credo che abbia usato una tale sacra divisa col permesso e colla connivenza dell’Arcivescovo, perchè agiva per lui.

            Santissimo Padre, io sono stimolato a fare delle pubblicità sopra questi atti indegni; ma non ho voluto farlo. Io sono cristiano, ed ho creduto fare cosa migliore esporre il fatto alla Santità Vostra, perchè sono persuaso che saprà dare gli ordini necessarii all’Arcivescovo, affinchè mi lasci in pace, e non voglia costringermi a mettere in piazza la sua persona.

            Beatissimo Padre,.perdonate questo disturbo che Vi dà un povero operaio, che fu e vuol essere sempre buon Cattolico e Vostro affezionatissimo figlio

                        Torino, 9 Novembre 1881.

                        FERDINANDO BRUNETTI.”

 

            Sia per ultimo il fatto del Sinodo Diocesano, che l’Arcivescovo celebrò il 10 dello scorso Novembre. Egli fece due discorsi, e in ambidue, tanto al mattino, quanto alla sera, diresse parole di mal celata malevolenza contro i poveri Salesiani. Al mattino parlando degli Oratorii festivi pei giovanetti e mostrandone la utilità, l’Arcivescovo non {71 [119]} si degnò neppure di alludere a quelli impiantati e tenuti dà 40 anni in Torino dai Salesiani. Quindi discorse degli Oratorii consimili della città di Brescia diretti dai buoni Filippini “i quali (egli disse) aiutano il proprio Vescovo e non gli recano dei fastidii”. Tutti gli uditori hanno tosto capito che l’Arcivescovo non nominava gli Oratorii di Torino, perchè aperti e diretti dai Salesiani, i quali, secondo lui, gli recano dei fastidii, perchè preferiscono l’autorità del Papa a quella dell’Arcivescovo.

            Anche nel discorso della sera abbiamo avuto il fatto nostro. Inculcando unione, obbedienza e sottomessione all’Arcivescovo, egli lanciò in mezzo al suo Clero queste ed altre consimili dolorose espressioni: “Non fare come certi religiosi, che si mostrano tutta devozione e rispetto al Papa lontano, e poco o nulla al Vescovo vicino; obbedienza alla Cattedra di S. Pietro, e non a quella di San Massimo”. Parecchi Sacerdoti all’udire queste parole dissero tosto: Questo è per Don Bosco e la sua Congregazione.

            In fine venendo alla stampa cattolica usò parole ancor più aspre: “Periodici e giornalacci, che si vantano del titolo di Cattolici, e sono invece una disgrazia per la Chiesa: forse non ve ne ha neppur uno, che non esca dai suoi limiti e non faccia più male che bene”. Queste parole miravano pure alle nostre Letture Cattoliche di Torino, perchè più volte ne biasimò i fascicoli a voce, per iscritto ed anche per mezzo di pubblici giornali.

            Avremmo ancora più altre cose di questi ultimi giorni; ma furono parole dette a persone in privato, e non ne facciamo caso. Poniamo quindi fine a questa nostra Esposizione tirandone alcune conseguenze. {72 [120]}

 

 

Conseguenze

 

            Dall’Esposizione dei fatti appena accennati, ma più diffusamente esposti nelle lettere e nei discorsi e negli stampati di Monsig. Gastaldi, ne risultano varie conseguenze perniciose ai Salesiani e a tutti i Religiosi, e contrarie ai medesimi Sacri Canoni.

            Consegue adunque:

            1° Monsignor Gastaldi si mostra sistematicamente ostile ai Salesiani, perchè per lo spazio di parecchi anni non si recò nelle loro Chiese, nè per fare Funzioni Sacre, nè per amministrare il Sacramento della Cresima, nè permise che altri vi si recassero. Ha due volte concesso che venisse un altro Vescovo in sua vece, ma con mille lamenti e con gran biasimo, e può dirsi costretto per evitare lo scandalo che ragionevolmente si temeva. Si mostra ostile e si oppone ingiustamente ai progetti, che i Salesiani studiano di attivare per la gloria di Dio e pel bene della civile Società. Proibisce che i secolari si raccolgano nelle Case Salesiane per gli Spirituali Esercizi, che perciò da più anni non si dettano più. Impaccia e combatte l’Opera di Maria SS. Ausiliatrice e quella dei Cooperatori Salesiani, due istituzioni lodate, commendate e benedette dal Sommo Pontefice Pio IX e dal Regnante Leone XIII; istituzioni, che nei tempi difficili in cui viviamo, possiamo dire essere il sostegno della Congregazione Salesiana, e specialmente delle nostre Missioni estere nell’Uruguay, nella Repubblica Argentina, nei Pampas, nella Patagonia;

            2° Agisce contro agli stessi Sacri Canoni, quando senza ragione proibisce ai Salesiani di celebrare Messa nelle Chiese della Diocesi Torinese; quando non li ammette alle {73 [121]} Sacre Ordinazioni; quando li sospende, nel modo che ha usato, o loro rifiuta la facoltà di ascoltare le Confessioni dei fedeli, o non dà il permesso di predicare;

            3° Contro alle prescrizioni della Chiesa si insinua nell’interno delle Case Salesiane, vuol sapere quel che si fa, chi fa o non fa gli Esercizi Spirituali, chi ne è predicatore, chi confessore, quali ne sono gli uditori. Vuole entrare nella stessa disciplina della Congregazione, conoscere il numero dei Novizi, il modo di accettazione, del Noviziato, della Professione religiosa, degli studi; esaminare la vocazione, prima di ammetterli alle Ordinazioni;

            Usa tutti i mezzi che sono in suo potere, a fine di impedire che tanto i suoi diocesani quanto gli estradiocesani si facciano ascrivere a questa Congregazione medesima, negando non solo il suo consenso, ma eziandio le Lettere Testimoniali;

            4° Infama questa stessa Congregazione colle parole, cogli scritti e colle stampe. Nel mese di Ottobre 1877 fu mandato il Vicario Foraneo di Lanzo, e poco dopo il pio e dotto Conte di Castagnetto per tentare un qualche accomodamento; ma ambidue non ottennero che espressioni spregevoli verso i Salesiani e il loro Superiore. Sei volte Monsignor Gastaldi ha fatto stampare cose sfavorevoli a questa Congregazione, senza che niun Salesiano abbia fatto alcuna risposta. Tali pubblicazioni egli faceva mentre si stavano discutendo i reclami, che egli stesso aveva mosso presso alla Sacra Congregazione dei VV. e RR. ed al medesimo S. Padre. Coll’Opuscolo poi del 15 Ottobre 1877 diretto agli Emmi Cardinali e Prelati Arcivescovi e Vescovi ecc. assale direttamente la Congregazione dei Salesiani, e vorrebbe farli comparire ignoranti, superbi e, quel che è peggio, non curanti delle stesse leggi della Chiesa. Nel timore poi che alcuno di loro pubblicasse qualche difesa, egli comunicò al Superiore la sospensione ipso facto incurrenda qualora tale cosa avvenisse;

            5° Finalmente colle sue pretese mette il Superiore della Congregazione Salesiana nella dura posizione di disubbidire o a lui o alla S. Sede; perchè egli mostra di non apprezzare {74 [122]} i voti religiosi dei Salesiani, mette condizioni contrarie ai Sacri Canoni, dannose alle altre Congregazioni Ecclesiastiche, ingiuriose alla medesima Santa Sede, che fu e deve essere il solo Supremo, Assoluto, Indipendente Giudice delle controversie religiose, specialmente quando trattasi di Istituti, le cui Costituzioni sono già definitivamente approvate dalla S. Chiesa.

 

 

Una preghiera

 

            Con questa Esposizione io non intendo nè di accusare alcuno, nè di difendere me stesso. Io desidero soltanto di mettere la Santa Sede in grado di conoscere lo stato di questa Pia Società Salesiana, affinchè mi presti il valido suo appoggio, per impedire la rinnovazione di così fatti disturbi, che costarono tempo, fatiche e spese, cose tutte che io bramerei di poter consecrare intieramente alla gloria di Dio e al bene delle anime.

            Fo pertanto umile preghiera agli Eminentissimi Signori Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio, e per mezzo loro al Beatissimo Padre, perchè vengano in aiuto della nostra nascente Congregazione, i cui interessi io sono obbligato in coscienza a promuovere e tutelare.

            La Santa Sede coll’approvare l’umile Società Salesiana, la prese eziandio sotto la sua protezione, e perciò ho piena fiducia che vorrà pure sostenerla, affinchè in mezzo alle calamità dei tempi possa conseguire il fine, per cui fu fondata ed approvata.

            E ciò tanto più presentemente, che Dio misericordioso aiutò i Salesiani da poter fondare 140 Case, in cui hanno educazione cristiana oltre ad 80 mila fanciulli. Di queste Case ben 35 sono nell’America Meridionale ed anche tra i {75 [123]} poveri selvaggi Indii. Tutti questi Istituti richiedono tempo e tranquillità, per poterli governare, amministrare, e far si, che conseguiscano il loro scopo, quale si è la propagazione del Vangelo, e la salvezza delle anime.

 

 

Protesta

 

            Esposti questi pensieri, il Superiore della Congregazione Salesiana si prostra ai Piedi del S. Padre Leone XIII, chiedendo umile scusa del disturbo involontariamente cagionato; assicura di sottomettersi a qualunque disposizione, consiglio ed avviso che a S. S. piacesse dargli; preventivamente promette di accettarli e farne regola inalterabile per sè e per la Congregazione dalla Divina Provvidenza a lui affidata. Questa nacque, si sostenne e si consolidò, mediante l’aiuto morale e materiale del Sommo Pontefice, e perciò tutti i Salesiani saranno gloriosi di vivere e morire per lavorare, servire e compiacere Colui, che loro ha dato e conserva l’esistenza in faccia alla Chiesa, e in faccia aimondo. {76 [124]} {77 [125]} {78 [126]}

 




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