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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

VITA DE' SOMMI PONTEFICI S. PONZIANO, S. ANTERO, E S. FABIANO

 

per cura del Sac.

BOSCO GIOVANNI

 

H

 

La lettera dell'alfabeto segna il numero progressivo de' fascicoli riguardanti la Vita dei Papi

 

 

TORINO

TIP. DI G. B. PARAVIA E COMP.

1859. {1 [409]} {2 [410]}

 

 

 

 

INDEX

Capo I. Elezione di S. Ponziano Il Confiteor nella Santa Messa. 2

Capo II. S. Ponzio va da S. Ponziano da cui è instruito nella fede. 3

Capo III. Ponzio diventa catecumeno, tratta della fede con suo padre, ed ambidue col rimanente della famiglia ricevono il battesimo. 4

Capo IV. S. Ponziano è mandato in esilio nell'isola di Sardegna. Prima lettera di questoPontefice. 6

Capo V.Seconda lettera di S. Ponziano. 8

Capo VI. Morte dell'imperatore Alessandro. Massimino gli succede. - Sesta persecuzione. La corona del soldato. 10

Capo VII. Morte di S. Barbara. Patimenti e martirio di S. Ponziano. 11

Capo VIII. Errore sulla successione dei Papi. Elezione di S. Antero. Suo viaggio a Roma. 13

Capo IX. Atrocità di Massimino. Sollecitudine di S. Anterò per raccogliere gli atti dei martiri. Suo decreto sulla residenza dei Vescovi. Suo martirio. 13

Capo X. S. Fabiano. Sua prodigiosa elezione. Protonotari. Suddiaconi regionarii per l'assistenza dei poveri. 14

Capo XI. Morte dell'Imperatore Massimino. Successione di Filippo. 15

Capo XII. S. Ponzio offre le sue sostanze a S. Fabiano a favore dei poveri. Instruisce l'imperatore nella fede. 16

Capo XIII. S. Ponzio conduce all'imperatore S. Fabiano che instruisce lui e suo figlio nella fede e ad ambidue amministra il battesimo. 18

Capo XIV. Filippo proibisce i luoghi e le canzoni oscene. - Sua sommissione a S. Fabiano. - La confessione prima di comunicarsi. 18

Capo XV. Origene. - Sue virtù. - Viene a Roma. - Sua sommissione alla Chiesa. - Sua lettera a S. Fabiano. - Sua morte. 19

Capo XVI. Sollecitudini di S. Fabiano pei sacri edilìzi. Condanna l'eretico Privato. Suoi scritti. 21

Capo XVII. Settima persecuzione. Morte dei due Imperatori Filippi. Martirio di S. Fabiano. 22

Capo XVIII. Missionari spediti nelle Gallie dal Pontefice S. Fabiano. 23

Capo XIX. Prigionìa di S. Ponzio. È preservato dall'eculeo, dagli ardori del fuoco. Suo martirio e sepoltura. 24

Indice  27

 


Capo I. Elezione di S. Ponziano Il Confiteor nella Santa Messa.

 

            Noi abbiamo percorso, cristiano lettore, lo spazio di dugento trentatre anni descrivendo le principali azioni de' Sommi Pontefici che sono i capi visibili della Chiesa di Gesù Cristo, che è pontefice eterno secondo l'ordine di Melchisedecco, cioè secondo il vero sacerdozio stabilito da Dio. Da S. Pietro all'anno 233, diciotto Papi si succedettero nel governo della cattolica Chiesa. Ora siamo a san Ponziano, che ne è il diciannovesimo.

            Questo Pontefice era romano di nascita. Tali furono per la maggior parte i Papi dei primi secoli; perciocchè il bisogno di aver {3 [411]} presto un capo che governasse la Chiesa, e dall'altro lato la persecuzione rendendo difficili le relazioni cogli stranieri, ne avveniva che per lo più si eleggessero Papi romani, o che per zelo, dottrina e santità erano in quella città maggiormente conosciuti. Ponziano era figliuolo di Calpurnio. ed avea passata la sua giovinezza fra il Clero di Roma, che era una specie di collegio o seminario in cui i giovanetti erano educati nella scienza e nel santo timor di Dio. Aveva già lavorato molto sotto ai Papi suoi antecessori, e quando S. Urbano fu coronato del martirio, i principali membri del Clero di Roma, che ora diciamo cardinali, si radunarono ed elevarono Ponziano alla Sede Pontificia. Questo fatto compievasi in giorno di sabato, il 24 di giugno, trenta giorni dopo la morte di S. Urbano l'anno 233.

            Due cose occuparono specialmente san Ponziano nel suo pontificato, e sono la riforma di alcune cose riguardanti alla disciplina della Chiesa ed il sostenimento della fede durante la sesta persecuzione.

            Il novello Pontefice adunque cominciò dallo stabilire alcune regole riguardanti al canto de' salmi nelle chiese. Non già che egli abbia stabilito il canto, poichè fin dal {4 [412]} tempo degli Apostoli, anzi quando era ancora il Salvatore fra gli uomini, si cantavano già salmi ed inni a Dio creatore. Il santo Pontefice decretò soltanto alcune regole sul modo di cantare nel corso delle sacre funzioni.

            A S. Ponziano si attribuisce l'istituzione del Confiteor che è una specie di confessione che si fa specialmente sul principio della Messa. A questo proposito è bene che si noti come nella legge antica i sacerdoti ed i profeti servivansi già di alcune formole somiglianti a questa per confessare a Dio i loro peccati nel principio delle loro preghiere. Le più usate sono queste: «Peccavimus, inique egimus, iniquitatem fecimus: Abbiamo peccato, abbiamo agito iniquamente, abbiamo fatto delle iniquità.» Questa formola di accusarsi colpevoli fu pure praticata dagli Apostoli[1] ma con parole diverse. Di modo che nei tempi di san Ponziano avvenivano spesso alcune variazioni ne diversi paesi, sebbene il senso fosse ovunque lo stesso. Lo zelante Pontefice ordinò che le parole fossero le stesse in ogni luogo. Presentemente il Confiteor {5 [413]} si usa in principio della santa Messa, prima della comunione de' fedeli. quando si porta il Viatico agli infermi, o loro si amministra l'olio santo, o loro si dà la benedizione papale: si usa pure in varie parti dello ufìzio ecclesiastico. Nella Messa poi si dice alternativamente prima dal sacerdote, poi dall'inserviente che lo dice a nome di tutti i fedeli che si trovano presenti. Quando dice mea culpa, si batte il petto per indicare che il pentimento de' nostri peccati deve partire dal cuore ad esempio del pubblicano di cui parlasi nel Vangelo, il quale percuotendosi il petto diceva: «O Signore, usatemi misericordia, che io sono un gran peccatore.»

            Si batte tre volte il petto, per indicare che dobbiamo essere sinceramente pentiti de' peccati commessi in pensieri, parole ed opere.

            Presentemente niuno può nè aggiungere, nè togliere, nè cangiare cosa alcuna nel Confiteor senza espressa autorizzazione della S. Sede. Poichè il Confiteor si può trovare con gran facilità stampato ne' libri di divozione, io mi limito di metterlo qui tradotto in italiano. Eccolo: «Io confesso a Dio onnipotente, alla Beata Maria sempre {6 [414]} Vergine, al Beato Michele Arcangelo, al Beato Giovanni Battista, ai santi Apostoli Pietro e Paolo e a tutti i Santi, perche molto peccai con pensieri, parole ed opere per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Perciò prego la Beata Vergine Maria, il Beato Michele Arcangelo, il Beato Giovanni Battista, i Ss. Apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi ad intercedere per me presso il Signor nostro Iddio.»

            S. Ponziano mentre si occupava per far rifiorire la disciplina ecclesiastica, guadagnava molti alla fede. La qual cosa fu cagione che i sacerdoti de' pagani fossero grandemente sdegnati, vedendo i loro templi quasi abbandonati. Il loro odio era specialmente diretto contro ai ministri di Gesù Cristo, come quelli che sostenevano i Cristiani nella fede, ed ogni giorno convertivano idolatri al Vangelo.

 

 

Capo II. S. Ponzio va da S. Ponziano da cui è instruito nella fede.

 

            Fra i gentili ricevuti alla fede da san Ponziano  fu S. Ponzio. Noi parliamo volentieri {7 [415]} di questo Santo perche la vita di lui è una serie di fatti curiosi e nel tempo stesso edificanti; tal vita fu scritta da san Valerio testimonio oculare e compagno del Santo[2].

            II padre di Ponzio chiamavasi Marco, ricco senatore romano; sua madre Giulia. Gli oracoli avevano predetto che quel figliuolo avrebbe rovinato il tempio di Giove e spezzato gli idoli. Per la qual cosa la madre appena nato voleva ucciderlo affine di impedire, come ella diceva, tale disastro. No, rispondeva il padre: non ucciderlo; se Giove il vuole, si difenda egli medesimo dal suo nemico. Per tal motivo Ponzio non fu mai condotto nei templi degli Dei. Giunto all'età capace fu istruito in ogni ramo di scienze dai più dotti maestri di quel tempo. Aveva una memoria così prodigiosa che, come dice l'autore di sua vita, trasportando nel suo piccolo corpo una moltitudine di libri e di volumi, che una biblioteca non avrebbe potuto {8 [416]} contenere, tutti li riteneva felicemente a memoria.

            L'essere Ponzio escluso dai templi degli Dei servi a secondare i disegni della Divina Provvidenza, che lo chiamava alla cognizione del Vangelo. Eccone il racconto.

            Andava una volta di buon mattino a scuola e giunto ad un punto della via, udi le voci di una moltitudine di cristiani che insieme radunati cantavano lodi al Signore e loro presiedeva S. Ponziano. Le parole che si cantavano erano queste: «il nostro Iddio è nell'alto de' cieli. Egli ha fatto quanto ha voluto in cielo e in terra. I simulacri e gli idoli dei gentili sono oro ed argento, opere delle mani degli uomini. Questi simulacri hanno la bocca, ma non parlano; gli occhi ma non vedono; le orecchie, ma senza l'udito; le narici, ma non hanno l'odorato; le mani, ma non hanno il tatto; hanno i piedi, ma non camminano; hanno la gola, ma non possono mai formare un grido, nè mai da loro uscirà un alito di fiato: diventino simili a quelli, coloro che li stimano e che ripongono in essi la loro confidenza. (Salmo 113).»

            Il giovanetto Ponzio, che allora era nella {9 [417]} età di circa 14 anni, udite cotali parole, si era fermato ad ascoltarle colla massima attenzione, di poi, tratto dal cuore un sospiro, andava riflettendo sul senso di quanto si cantava. In quel momento la grazia del Signore gli si fe' strada nel cuore, sicchè tutto commosso si pose a piangere. Alzando poscia gli occhi e le mani al cielo, disse: «Tu, o Dio, a cui si cantano tali lodi, deh! mi sii pietoso e fa che io ti possa conoscere.» Ciò detto si avvicina alle porte di quell'edifìzio e cominciò a bussare a colpi ripetuti.

            A quel battere e ribattere, alcuni si fauno ad una finestra guardando chi fosse, poscia dicono a S. Ponziano: avvi un giovanetto che batte alla porta, vuoi che andiamo ad aprirgli? Il Papa disse: sì, andate pure ad aprirgli e lasciale ch'egli venga tra noi, imperciocchè di questi tali è il regno de' cieli. Allora Ponzio lasciò i domestici nella strada e preso seco soltanto un suo compagno di scuola, chiamato Valerio, che è lo scrittore di queste cose, entrarono ambidue in quella adunanza.

            Rimasero pieni di stupore al vedere il racccglimento e la divozione con cui quei fedeli assistevano alla celebrazione dei santi misteri; e non osando portarsi troppo innanzi, nè profferire parola, si posero silenziosi {10 [418]} in un angolo ad osservare finchè i divini uffizi fossero terminati. Allora il giovanetto Ponzio avvicinandosi al Papa, tutto commosso si prostrò a' piedi suoi baciandoli e bagnandoli di lacrime. Io vi prego, diceva sospirando, o Santissimo Padre, io vi prego di insegnarmi quel cantico che poco fa voi andavate cantando: sì, ripetetemi quelle dolci parole: il nostro Dio è in cielo, le statue dei gentili sono oro e argento, sono simulacri muti, cicchi e sordi; non hanno l'odorato nè il tatto. E ciò che mi ha maggiormente sbalordito, si è l'avervi udito a dire: diventino simili a quelli tutti coloro che ripongono in essi confidenza.

            S. Ponziano con bontà paterna prese ad istruirlo così: figliuol mio. dà gloria a Dio, perchè il tuo cuore fu da lui illuminato e mosso ad andare in cerca della verità. Non ti par egli vero che tutti i simulacri dei gentili siano formati di metallo, di oro e di argento, o di bronzo, tutte cose ricavate dalla terra? Chi non sa che le statue di pietra sono state staccate dalle rupi delle montagne, collocate sopra carri e tratte da' buoi finchè furono collocate in mezzo a qualcheduna delle nostre piazze? Queste statue non sono Dei ma sono opere fatte di terra e presto dovranno {11 [419]} ritornare in terra. Il nostro Iddio, in cui noi abbiamo riposta la nostra confidenza, abita in cielo; non si può vedere cogli occhi del corpo, ma lo vediamo cogli occhi della fede, il cui lume ci risplende nel cuore. Imperocchè chi può avere speranza in quelle cose che si vedono, si toccano e si fanno per industria degli uomini?

            Ponzio comprese benissimo il significato di quelle parole, e soggiunse: Santo padre, chi è che non sappia tutti i nostri simulacri essere senz'anima e senza moto? Imperocchè per tutte le contrade, per tutte te piazze, sul Campidoglio, nei templi avvene tale moltitudine, che non si possono numerare; e tutti fatti in modo che dimostrano l'abilità e l'ingegno degli artefici. Ma chi non vede essere le loro basi consolidate con ferro e intonacate di piombo perchè stiano immobili e non siano dal vento agitate e rovesciate a terra? Inoltre sappiamo che spesse volte furono rubati dagli uomini e portati via dai ladri; or come potranno liberare gli altri dai mali mentrechè essi sono dagli uomini custoditi o derubati? {12 [420]}

 

 

Capo III. Ponzio diventa catecumeno, tratta della fede con suo padre, ed ambidue col rimanente della famiglia ricevono il battesimo.

 

            S. Ponziano ascoltò con vera compiacenza il discorso di Ponzio e fu grandemente maravigliato che dalla bocca di un giovanetto di così tenera età uscissero così sublimi sentimenti. Trasportato dalla tenerezza gli diede una stretta di mano, e lo fece sedere accanto a lui. Ponzio confuso a quel segno di bontà, come, disse, avrò il coraggio di sedere accanto a voi, io che insegno cose vane e inutili, e voi che insegnate a conoscere Iddio? Io sederò accanto d'un uomo che invece del sentiero dell'errore mi addita la via della verità, invece dell'oscurità insegna la luce?

            S. Ponziano rispose: Figliuol mio, non ti maravigliare; vedrai ben altre cose maggiori di queste: sappi che il nostro maestro G. C. insegnò che noi tutti dobbiamo trattarci ed amarci come fratelli, e che ciascheduno deve fare al suo simile ciò che egli ragionevolmente desidera che sia fatto {13 [421]} a lui. Ma dimmi, o giovane caro, come ti chiami? hai ancora tuo padre e tua madre?

            Ponzio. Il mio nome è Ponzio: mia madre è morta due anni sono. Mio padre è ancor vivo, ma è in età molto avanzata, tutta la sua consolazione è riporta in me suo unico figliuolo.

            Poziano. Tuo padre è cristiano o gentile?

            Ponzio. Ah! padre santo, egli è un idolatra, ostinatissimo nel culto dei demonii.

            Ponziano. Abbi fiducia, o figliuol mio, e spera nella bontà di Dio: Egli che aprì gli occhi della tua mente senza che uomo ci avesse parte, può anche cangiare il cuore di tuo padre e renderlo mansueto, e così egli per tuo mezzo impari a conoscere la vita immortale, mentre tu per mezzo di lui riconosci di essere venuto in questa vita mortale. Tu poi, figliuol mio, prendi il mio consiglio, credi a Gesù Cristo e fa dì ricevere presto il battesimo. Mediante questa rigenerazione l'anima tua sarà mondata dalla colpa e tu potrai evitare l'ardore del fuoco eterno. Continuando il venerando Pontefice in simili discorsi passò tre ore spiegando ai due giovanetti nel modo più semplice e popolare le verità {14 [422]} della religione, e facendo loro conoscere il regno di N. S. G. C. Dopo li lasciò andare a casa loro.

            Appena usciti i fortunati giovanetti, come se avessero fatto il più gran guadagno del mondo, andarono exultantes et laetantes sicut agni pieni pascuo, cioè esultando e pieni di tale allegrezza che si può paragonare colla soddisfazione che provano gli agnelli dopo di essersi pasciuti di pascoli i più saporiti: ma la loro allegrezza era grande perchè avevano trovato alte anime loro un vero pascolo, che sono le verità della fede e le vie dell'eterna salute. Ogni giorno venivano ambidue a trovare quell'uomo di Dio e facevano maravigliosi progressi nella dottrina del Vangelo.

            Un bel dì il padre di Ponzio gli fece questa dimanda: fìgliuol mio, hai imparato qualche cosa di bello da' tuoi maestri?

            Ponzio rispose: dal tempo che io vo a scuola, non ho mai imparato da' miei maestri cose tanto belle ed amene quanto quelle che imparai ieri ed oggi.

            Suo padre udendo tali cose godeva in cuor suo, persuaso che egli avesse imparato qualche cosa della filosofia dei pagani. Ma Ponzio cercava l'opportunità per guadagnare {15 [423]} suo padre a G. C., perciocchè gli doleva assai che egli adorasse le stupide divinità, e così seguisse una strada che l'avrebbe certamente condotto all'eterna perdizione. Un giorno pertanto fattosi animo ed invocato il divino aiuto volse a suo padre questo discorso: caro padre, ho udito a dire da molti, che gli Dei, che noi adoriamo, sono vani e fallaci, cosicchè non hanno in loro, come dicono, alcuna maestà, siccome noi stessi vediamo dall'esterno. È vero che hanno i lineamenti e gli altri membri del corpo, ma tali lineamenti non valgono a rendere alcun servigio. Imperciocchè chiunque può cercarsi un artefice, farselo venire in casa e dar ordine che gli lavori un Dio: uno sarà d'oro, l'altro sarà di argento, o di bronzo, o di altro metallo che più gli torni a grado. Dimmi di grazia, o padre, hai forse qualche volta udito a dire che gli Dei di casa nostra abbiano fatto qualche azione od esercitato qualche virtù da che sono stati fatti?

            Marco ammirò il discorso del figlio e gli rispose francamente: È vero, fìgliuol mio, non ho mai veduti i nostri Dei nè muoversi, nè parlare, nè fare cosa di sorta.

            Dunque, conchiuse Ponzio, perchè vuoi far loro sacrifizi ed offerir incenso? {16 [424]}

            Il padre giudicò tali parole come un disprezzo, che andava a cadere sopra gli Dei, che egli tanto amava, sicchè in un istante fattosi tutto furore sguainò la spada e minacciava di percuotere il figlio dicendo: così ardisci ingiuriare i miei Iddii? Ponzio chinò il capo e stette in silenzio. Poco dopo il padre confuso per quel trasporto di collera si calmò e disse: figlio, facendo come dici, noi saremo i soli senza Dei e senza sacrifizi in ogni città del mondo.

            Ponzio soggiunse rispettosamente: in questa città vi sono molti che conoscono e adorano il vero Dio e a lui fanno il vero sacrifizio.

            Era quello il momento che il Signore col lume della sua grazia voleva illuminare le folte tenebre del cuore di Marco, onde con una specie di ansietà disse al figlio: dove sono costoro, dove noi potremo trovarli?

            Ponzio tosto rispose: dammi soltanto il permesso ed io andrò e ti condurrò qui un personaggio che ti spiegherà ogni cosa nel modo più chiaro.

            Il padre commosso non disse più altro se non queste parole: va pure, figliuol mio, va presto. {17 [425]}

            Allora Ponzio, non potendo più trattenere la gioia in cuore, si volse al suo compagno Valerio: questo cangiamento, gli disse, è opera di Dio; egli solo perchè onnipotente potè cangiare il cuore di mio padre. Quindi partì tosto e andò a raccontare ogni cosa a Ponziano. Il S. Pontefice ringraziò Iddio che in tante maravigliose maniere chiama gli uomini a sè, poscia andò alla casa di Marco.

            Marco, siccome abbiamo detto, era Senatore Romano, e quando seppe che Ponziano era il capo dei cristiani, lo ricevette coi più grandi segni di stima e di rispetto. Il discorso si portò tosto intorno alle cose di religione, e in breve Marco conobbe la santità del cristianesimo o la vanità degli idoli dei gentili. Di poi quasi sdegnato contro di sè, perchè aveva adorato quelle ridicole divinità, prendeva le statue degli idoli e coll'aiuto di suo figlio li spezzava e ne gettava la polvere al vento. Finalmente per mano del Sommo Pontefice Marco, suo figlio Ponzio e tutta la sua famiglia dopo la debita istruzione ricevettero il Battesimo.

            Dopo qualche tempo il padre di Ponzio pieno di giubilo, perchè aveva abbracciata {18 [426]} la fede di Cristo, moriva nella pace dei giusti. Il giovanetto Ponzio rimase inconsolabile per la perdita fatta, e potè soltanto trovare consolazione pensando che il genitore era morto da buon cristiano. Ma Dio aveva scelto S. Ponzio come istrumento atto a guadagnare anime pel cielo, perciò dispose che egli fosse chiamato a succedere al padre nella dignità di Senatore. Queste cose avvenivano in tempo che l'Imperatore Alessandro meditava di mandare in esilio S. Ponziano.

 

 

Capo IV. S. Ponziano è mandato in esilio nell'isola di Sardegna. Prima lettera di questoPontefice.

 

            Ponziano aveva con tranquillità governata la Chiesa alcuni anni; l'Imperatore, da che era ritornato a Roma vittorioso dalle guerresche sue imprese, lasciò qualche tempo i cristiani in pace. Almacchio per la venuta dell'Imperatore perdette la illimitata sua autorità, perciò non poteva più oltre esercitare la sua tirannia contro ai cristiani. Anzi giova credere che quel principe, nemico della crudeltà, abbia {19 [427]} disapprovato gli eccessi di Almacchio. Ha la debolezza del suo carattere il lasciò piegare a dare ascolto alle calunnie degli idolatri. Alla vista che i loro templi erano pressochè deserti, i sacerdoti degli idoli si presentarono all'Imperatore, gli dipinsero il Vescovo di Roma come nemico degli Dei e perciò nemico dell'impero. Notavano particolarmente che egli predicava una religione contraria anzi distruggitrice della religione dei Romani. A queste imputazioni aggiunsero poi molte calunnie. Alessandro stette qualche tempo dubbioso intorno a ciò che dovesse fare. Non voleva inimicarsi i sacerdoti degli Dei, neppure voleva spargere il sangue dei cristiani perchè erasi già potuto persuadere della santità della loro religione. Onde egli pensò di prendere un temperamento col mandare Ponziano in esilio. Fu pertanto emanato un ordine imperiale in forza di cui il Pontefice dovette abbandonare Roma e recarsi in una selvaggia isola allora detta Bucina, ed ora detta del Tavolato che è in vicinanza e a levante della Sardegna. Compagni del suo esilio furono due preti, uno di nome Ipolito, l'altro Filippo. Così quell'isoletta, che si può chiamare un arido {20 [428]} scoglio, fu per lo spazio di due anni il soggiorno del Sommo Pontefice. Come capo della Chiesa egli di là mandava i suoi ordini per tutta la cristianità e accoglieva tutti quelli che ricorrevano a lui ne' grandi affari spettanti alla religione.

            Da quest'isola S. Ponziano scrisse due lettere che contengono ammaestramenti molto utili ai cristiani. La prima tratta dell'onore con cui devonsi riguardare i sacri ministri[3]. Ella è indirizzata ad un fervoroso cristiano di nome Felice Succibono, che alcuni credono che fosse un dotto e fervoroso causidico di Roma. Il tenore della lettera è il seguente:

 

PONZIANO VESCOVO

A FELICE SUCCIBONO SALUTE.

 

            Il nostro cuore prova viva consolazione pensando alla grande sollecitudine che usate per istruirvi nella santa religione, e alla grande carità con cui venite in soccorso dei fratelli oppressi dall'afflizione {21 [429]} studiandovi di renderli forti nella fede. Per la qual cosa noi invochiamo la misericordia del nostro Salvatore affinchè colla sua santa grazia vi aiuti a mettere in opera le buone risoluzioni che egli stesso vi ha fatto concepire.

            Di tali opere buone tanto più grande sarà il premio, quanto più grande sarà la sollecitudine e la fatica sostenuta nel farle. E poichè possiamo far nulla senza l'aiuto della grazia di Dio, noi con assidue preghiere invochiamo la clemenza di Dio onnipotente perchè vi doni buona volontà di fare del bene e vi conceda grazia e forza di poterlo compiere. Mentre vi preghiamo dal Signore l'aiuto di poter compiere con frutto tali opere lo preghiamo altresì a volervi guidare per quella via che il Salvator nostro, qual pastor supremo, ci ha insegnato. Così col suo santo aiuto voi potrete compiere quelle opere buone che avete incominciate.

            Abbiamo poi inteso con vera consolazione dell'animo nostro, che voi vi date sollecitudine per assistere i sacri ministri prendendo parte a difenderli contro alle insidie degli uomini malvagi. Sappiate che voi fate cosa molto gradita a Dio. Egli {22 [430]} chiamò quelli per servirlo e se li fece suoi familiari a segno che per loro mezzo vuole ricevere i sacrifizi degli altri fedeli; per mezzo di loro concedere ai fedeli il perdono de' peccati e riconciliarli a lui. Essi colla propria loro bocca consacrano il corpo del Signore, che di poi distribuiscono ai fedeli nella santa Comunione. Di loro sta scritto ne' libri santi: Chi rattristerà voi, dice Iddio, rattristerà me, e chi fa ingiuria a voi, riporterà il fruito dell'iniquità che ha commesso. Altrove dice il Salvatore: Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me; chi poi disprezza me, disprezza il mio Padre Celeste che mi ha mandato. Pertanto i sacerdoti non sono da molestare, ma da onorare; non infestandi sed honorandi. Se voi onorate i sacri ministri, onorerete Iddio medesimo di cui eglino fanno le veci sopra la terra. Che se taluno di essi cadesse in mancanza, dovrebbesi dai fedeli sollevare e compatire. Ma non devono mai essere accusati da uomini infimi e facinorosi, o inimici o non appartenenti alla cristiana religione. Se un sacerdote commette un fallo, sia corretto da altro sacerdote. Ma in ogni cosa dipendano sempre dai Sommi {23 [431]} Pontefici, nè mai siano rimproverati e tanto meno accusati da uomini secolari o di mala vita. Il dolore che voi avete provato nella morte del vostro fratello fu pure a noi cagione di non lieve tristezza. Per la qual cosa preghiamo Iddio onnipotente, che vi consoli colla infusione della sua santa grazia, e col suo celeste aiuto vi difenda dagli uomini perversi e vi custodisca dagli spiriti maligni. Imperciocchè se dopo la morte di lui dovete sostenere i tumulti di alcuni agitatori, non fatene maraviglia. Se voi volete un giorno godere la felicità del cielo, bisogna che tolleriate i mali che gli uomini vi fanno patire sopra la terra. Ricordatevi che noi siamo pellegrini su questa terra, e chi sospira per giungere alla patria, egli prova un gran tormento vivendo in esilio, sebbene il luogo dell'esilio apparisca lusinghiero. Ma sento che voi, oltre i sospiri che andate facendo verso la patria celeste, dovete eziandio tollerare le oppressioni degli uomini. Il che avviene per una maravigliosa disposizione di Dìo onnipotente, affinchè, mentre Iddio ci chiama per via dell'amore, il mondo presente allontani da sè l'animo nostro per via delle tribolazioni che va eccitando; e tanto più {24 [432]} facilmente l'animo si stacchi dall'amor di questo secolo, quanto più facilmente vi è sospinto quando ne è allettato.

            Pertanto continuate ad usare ospitalità siccome avete cominciato, siate perseverante nella preghiera e nei sospiri verso il cielo. Le limosine che sempre faceste con piacere, ora fatele con maggior abbondanza, affinchè in cielo vi sia data tanto maggior ricompensa della vostra opera buona, quanto maggiore sarà la fatica impiegata nel farla quivi in terra. Inoltre mentre con paterna dolcezza vi salutiamo, vi invitiamo a perseverare con fermezza nelle buone opere che avete cominciato. Badate che niuno vi allontani da tali opere, anzi diportatevi in modo che i sacerdoti, i servi di Dio, e tutti i cristiani che dimorano tra di voi, per amore di Gesù Cristo e di S. Pietro, provino in ogni cosa la pienezza della vostra carità e siano aiutati in tutte le cose di cui possano aver bisogno. Adoperandovi in simile guisa per difendere e soccorrere chi si trova nel bisogno, noi vi saremo debitori dei più grandi ringraziamenti, ed il nostro Signor G. C. vi compenserà coll'eterna felicità, e il beato apostolo Pietro principe degli apostoli vi aprirà la porta di quella gloria che si gode per tutti i secoli. {25 [433]}

            Scritta il 21 gennaio sotto al consolato di Quinziano e Severo personaggi chiarissimi: cioè l'anno 237 quinto del pontificato di S. Ponziano.

 

 

Capo V.Seconda lettera di S. Ponziano.

 

            Questa lettera è indirizzata a tutti i fedeli cristiani e tratta della carità fraterna con cui i cristiani si devono prestar aiuto, e de' mali che da ogni fedele si devono fuggire. Essa può dirsi una raccolta di sublimi ammaestramenti ricavati dalla sacra scrittura, ed io mi raccomando che sia letta e fatta leggere attentamente da tutti quelli che desiderano di mettere in pratica la regina delle virtù, la carità. Questa lettera è del tenor seguente:

 

PONZIANO Vescovo della santa Chiesa cattolica a tutti quelli che di cuore adorano il Signore e sono amanti del divin culto, salute.

 

            Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis (Luca c. 2). Gloria a Dio nell'alto de' cieli e pace in {26 [434]} terra agli uomini di buona volontà. Queste parole, o carissimi, non sono degli uomini, ma degli angeli. Nè furono immaginate da mente umana, ma proferite dagli angeli stessi nella nascita del Salvatore. Dalle quali parole ognuno può facilmente comprendere che la pace viene data dal Signore non agli uomini di cattiva, ma di buona volontà. Di fatto il Signore per bocca di un suo profeta dice: Quanto mai è buono il Dio d'Israele verso di quelli che hanno un cuor retto. Ma i miei piedi tremarono ed io sono quasi traviato, vedendo la grande sua bontà verso gli iniqui, perchè io sono stato commosso osservando la prosperità, che Dio lascia godere ai colpevoli, e vedendo la pace dei peccatori. Salmo 72.

            Ma ascoltiamo ciò che dice il Salvatore dei veri cristiani: Beati quelli che sono mondi di cuore, perchè essi vedranno Iddio (Matt. 5). Non si possono dire mondi di cuore coloro che in cuore pensano male contro ai loro fratelli; perchè il vero fedele vuol male a nessuno ed ama più di ascoltare le cose che fanno bisogno, che dire quelle che non sono da dirsi. Onde chi pretende di essere fedele si guardi dal {27 [435]} parlar male o tender insidie contro al suo simile. In questo appunto si distinguono i figliuoli di Dio dai figliuoli del demonio. I figliuoli di Dio sempre pensano e si sforzano di fare le cose che piacciono a Dio, e si adoperano con grande sollecitudine a favor del prossimo, nè mai vogliono recar danno ad altri. Al contrario i figliuoli del demonio macchinano sempre cose perverse e dannose, perchè sono perverse le loro azioni. Intorno a costoro il Signor Iddio per bocca del profeta Geremia parla così: Verrò io a giudicare tutta la malizia delle loro opere, e verrò io stesso a fare l'esame a voi e pronunzierò il mio giudicio co' medesimi vostri figliuoli (Ger. 2).

            Queste parole, o fratelli, sono da temersi e ognuno deve farne gran conto. Ciascuno badi a se stesso, nè mai faccia o mediti di fare contro al suo fratello quelle cose che egli stesso non vorrebbe tollerare. Nè mai al vero fedele venga in pensiero di fare o dire contro agli altri quello che non vuole fatto o detto a se stesso. Per la qual cosa i nostri antecessori colla loro apostolica autorità decretarono che non fossero ammessi come accusatori o testimonii coloro che fossero sospetti, o inimici, {28 [436]} o amanti delle liti, quelli che non godono buona fama, che tengono una vita perversa, o che non hanno o non insegnano la vera fede; tutti costoro non siano ammessi a far l'accusatore o il testimonio avanti ai tribunali.

            Noi pure aderendo alle disposizioni dei nostri antecessori confermiamo quanto essi hanno decretato, cioè allontaniamo ed escludiamo in presente ed in futuro tali uomini da queste incumbenze; affinchè per colpa loro non cadano quelli che noi dobbiamo sostenere e salvare; affinchè il giudicio di Dio non cada sopra di loro e, che Dio ce ne liberi, sopra di noi con nostra e loro eterna rovina. Imperciocchè sta scritto: «sei tu fatto capo? abbi cura de' tuoi subalterni, affinchè a motivo di loro abbi a rallegrarti e ne ricevi ornamento e gloria speciale. (Eccl. 52.)» Un discorso perverso rovina il cuore, da cui nascono il bene e il male, la vita e la morte e quanto proferisce la lingua che domina ogni cosa.

            «Ecco quanto dice il Signore a questo proposito: Ama l'amico, e mantienti fedele a lui. Che se svelerai i suoi segreti, perderai la sua amicizia. Perocchè l'uomo che viola l'amicizia è simile a colui che per la {29 [437]} morte perde l'amico: o come uno che si lascia scappare di mano l'uccello, così tu hai lasciato andare l'amico e nol ripiglierai. Non gli andar dietro perchè egli è già molto lontano e fuggirà da te, come capra selvatica fugge dal laccio, perchè violando la sua amicizia l' hai ferito nell'anima; nè potrai più guadagnarlo. Dopo le ingiurie di parole vi è luogo alla riconciliazione; ma lo scoprire i segreti dell'amico toglie ogni speranza all'anima angustiata. Vi sarà un finto amico il quale con esterne dimostrazioni sa adularti, mentre macchina cattive cose e niuno lo rigetta da sè, anzi in faccia a te stesso dirà parole dolci e ammirerà i tuoi ragionamenti; ma alla fine muterà linguaggio, e dalle tue parole trarrà occasione di rovinarti. Io ho in odio molte cose, ma niuna cosa tanto abborrisco quanto un amico di tal fatta: egli è anche odiato dal Signore. Se uno getta in alto una pietra essa cadrà sul suo capo; e il colpo dato a tradimento aprirà le piaghe del traditore; colui che aperse la fossa vi cadrà dentro, e chi ha messo pietra d'inciampo dinanzi al prossimo vi inciamperà egli pure, e chi ad altri prepara il laccio, pel medesimo laccio perirà. {30 [438]} Il disegno perverso si rivolgerà a danno di chi lo ordisce, ed egli non saprà d'onde venga il male. È proprio dei superbi l'insultare con improperii e scherni, ma la vendetta di Dio li sorprenderà qual leone e li divorerà: periranno nel laccio coloro che si rallegrano della caduta dei giusti, e il dolore li opprimerà prima che muoiano. L'ira e il furore sono due cose da aversi in esecrazione, e l'uomo peccatore le avrà seco. (Eccl. 27).

            Chi desidera la vendetta, proverà la vendetta del Signore, il quale terrà esatto conto de' peccati di lui. Perdona al prossimo tuo che ti ha fatto torto, e allora pregando ti saranno rimessi i peccati tuoi. Forse un uomo che cova lo sdegno contro di un uomo pretenderà il perdono dal Signore? Egli non usa misericordia verso il suo prossimo e chiede perdono de' suoi peccati? Egli, che pure è fatto di carne, nutre l'odio nel suo cuore, e chiede che Dio gli sia propizio? Chi intercederà pei suoi peccati? Ricordati de' tuoi novissimi, e deponi le inimicizie: perocchè la corruzione e la morte ti sovrastano siccome è comandato dal Signore.

            Temi Iddio e non adirarti col tuo {31 [439]} prossimo. Ricordati dell'alleanza e delle leggi del Signore, e non far caso dell'ignoranza del tuo prossimo. Guardati dalle risse, e fa diligente esame de' tuoi peccati: perocchè l'uomo iracondo accende le contese, e l'uomo peccatore mette discordia tra gli amici, e semina inimicizie tra quelli che stavano in pace.

            L'incendio è proporzionato alle legna del bosco, e l'ira dell'uomo è proporzionata al suo potere; secondo le ricchezze che egli ha, l'ira di lui sarà più forte. La contesa precipitosa accende il fuoco della discordia, e la rissa temeraria va allo spargimento del sangue, e la lingua minacciosa è causa di morte. Se soffierai sopra di una scintilla, si alzerà una specie d'incendio, e se vi sputerai sopra, ella si spegnerà: l'una cosa e l'altra viene dalla bocca.

            Il mormoratore e il menzognero sono maledetti; perchè metteranno scompiglio tra molti che stanno in pace. La lingua di un terzo, che colle mormorazioni si mette in mezzo a due amici, ha turbato la pace di molti e gli ha mandati dispersi da un popolo all'altro. Questo uomo di due lingue distrusse città forti e ricche, e rovino {32 [440]} dalle fondamenta case di potenti. Annichilò le forze di popoli e dissipò nazioni valorose. La lingua maledica fece che i mariti cacciassero dalle loro case mogli piene di virtù, privandole dei beni che colla loro industria avevano messi insieme nella casa de' loro mariti. Chi dà retta a questa lingua non avrà più pace, nè avrà più amico in cui confidare. Il colpo di sferza fa lividura, ma i colpi della lingua spezzano le ossa. Molti perirono sotto al taglio della spada, ma assai più perirono per colpa della loro lingua. Fortunato chi va sicuro dalla lingua cattiva, e non va soggetto al furore di lei, nè sopportò il giogo di lei, nè fu avvinto dalle sue catene. Perciocchè il suo giogo è giogo di ferro, e la sua catena è catena di bronzo. La morte che viene da una lingua maledica è morte pessima e da temersi più del medesimo inferno. La lingua calunniatrice non avrà lunga durata, e solamente regnerà nelle vie degli iniqui, nè la sua fiamma farà alcun male ai giusti. I peccatori in pena dei loro peccati saranno da Dio abbandonati al furore della cattiva lingua, la quale li tormenterà e li infamerà, e qual fuoco divoratore li abbrucierà, e qual fiera crudele {33 [441]} li sbranerà. Fa una siepe di spine alle tue orecchie e non ascoltar la mala lingua, e metti una porta ed un chiavistello alla tua bocca. Fa fondere il tuo oro e il tuo argento per farne una bilancia, su cui pesare le tue parole e per farne un freno di giustizia alla tua bocca. Bada di non peccar colla lingua onde tu non cada per terra in vista de' tuoi nemici che t'insidiano, e non sia insanabile e mortale la tua caduta. (Eccl. 28).

            Non tardare a convertirti al Signore, e non differire da un giorno all'altrò la tua conversione. Perocchè repentinamente scoppierà l'ira di Dio, ed egli nel tempo della vendetta ti disperderà. Non essere ansioso nell'acquistarti ricchezze ingiuste: perciocchè a nulla ti gioveranno nel tempo dell'oscurità e della vendetta, cioè al punto della morte.

            Non ti piegare ad ogni vento, nè camminare per ogni strada, perciocchè in questa maniera si conosce il peccatore che ha due lingue. Sta tu costante nella via del Signore, nella verità de' tuoi sentimenti e nella tua scienza, venga sempre teco la parola di pace e di giustizia.

            Quando tu sei interrogato sopra qualche {34 [442]} dubbio o difficoltà, ascolta con pazienza per ben capire la cosa di cui si tratta, affine di poter dare con saviezza una risposta verace.

            Se tu hai intelligenza e ti senti capace, rispondi al tuo prossimo allorchè ti chiede consiglio: altrimenti mettiti il dito alla bocca affinchè per qualche imprudente risposta non abbi ad essere coperto di vergogna. L'onore e la gloria seguono il discorso dell'uomo sensato; ma la lingua dell'imprudente è la sua rovina. Guardati dal nome di detrattore, nè mai la tua lingua sia tuo laccio e tua vergogna. Imperciocchè la confusione e il pentimento sta sopra il ladro; e infamia grandissima sopra l'uomo di due lingue; al detrattore poi è riserbato l'odio, l'inimicizia e l'obbrobrio di tutti. Rendi giustizia egualmente al piccolo che al grande: cioè sia presso di te sacra ed inviolabile la fama del prossimo, e, sia egli piccolo o grande, parlane egualmente con rispetto e non mai contro verità e giustizia. (Eccl. c. 5).

            Guardati bene, che invece di amico ti faccia inimico del prossimo, poichè lo uomo malvagio porta sempre seco l'obbrobrio e l'ignominia come appunto avviene {35 [443]} al peccatore invidioso e che ha due lingue. Non lasciarti trasportare dai pensieri di superbia, come un toro che vanta la sua forza; perchè hai a temere che la tua virtù sia annientata per tua stoltezza, ed ella consumi le tue foglie e disperda i tuoi frutti e tu rimanga come una pianta secca in mezzo al deserto; cioè insensibile e come morto davanti al Signore. L'anima malvagia distrugge l'uomo presso cui ella si trova, e lo fa argomento di gaudio pei suoi nemici, e lo condurrà alla sorte degli empii, vale a dire, all'eterna perdizione. (Eccl. c. 6).

            Queste sono le parole, o fratelli carissimi, che il Signore per mezzo mio fa sentire a voi. Studiatevi adunque di sollevare gli oppressi e portar soccorso ai bisognosi. Imperciocchè colui che consola il fratello afflitto, egli lo libera dalle angustie, lo consola nell'afflizione, e ne sarà largamente ricompensato da colui che dice: ciò che avete fatto ad uno da' miei minimi, lo avete fatto a me. (Matteo c. 25).

            Sforzatevi, o fratelli, di compiere queste opere buone, affinchè possiate godere quivi in terra il frutto del bene operato e mercè la grazia del Signore goderlo in etèrno, {36 [444]} che è quanto dire: dopo la presente vita possiate essere accolti nella patria dei beati.»

«Il 27 aprile sotto il consolato di Severo e Quinziano uomini chiarissimi; anno 237.»

 

 

Capo VI. Morte dell'imperatore Alessandro. Massimino gli succede. - Sesta persecuzione. La corona del soldato.

 

            L'Imperatore Alessandro per assicurarsi che S. Ponziano non fuggisse dall'isola Tavolara e nel tempo stesso per rendergli più sensibili le pene dell'esilio, aveva posto guardie intorno alla sua persona onde continuamente lo custodissero. Ma Iddio non tardò molto a vendicare gli oltraggi che si facevano al capo della religione[4].

            Alessandro aveva poco prima riportato una gloriosa vittoria contro i Persiani; e persuaso del trionfo delle sue armi, marciava contro ad alcuni popoli barbari della Germania. Questi avevano già passato il Reno ed il Danubio, ovunque devastando le {37 [445]} provincie del romano impero. L'imperatore era già arrivato presso alla città di Magonza; i barbari atterriti ripassavano il Reno con precipitosa fuga, quando a tradimento venne assalito da alcuni de' suoi medesimi soldati e da loro venne trucidato. Mammea madre di lui, che accompagnava il figliuolo in mezzo a qualsiasi pericolo, fu anch'essa trucidata con alcuni uffiziali accorsi per difenderla.

            Capo dei ribelli era un generale di nome Cajo Massimino, che io stimo bene di farvi conoscere perchè succedette ad Alessandro nell'impero e poscia divenne un feroce persecutore dei cristiani.

            Massimino era di nazione barbaro, nativo della Tracia, paese che oggidì chiamiamo Romania nella Turchia Europea. Tutto era strano in quest'uomo. Nella sua gioventù conducendo al pascolo gli armenti aveva dato segno d'incredibile forza contro le bestie feroci e contro ai masnadieri. Aveva più di otto piedi, circa quattro metri, di altezza. Con un calcio spezzava la gamba ad un cavallo, correva velocemente come un destriere, da solo traeva un carro comunque fosse carico. Quaranta libbre di carne appena bastavano a soddisfare il vorace {38 [446]} suo appetito, ed un grosso barile di vino non poteva estinguere la sua sete. Egli si arruolò come semplice soldato fra i romani e col solo suo valore riusci a conseguire i primi posti nella milizia. Alessandro gli aveva conferito il potere di fare nuove leve di genti e di addestrarle per la guerra. Egli però si servì di tal benefizio per far assassinare il suo benefattore e porre se stesso sul trono.

            I Romani e specialmente i cristiani abbonavano l'atroce assassinio commesso sulla persona dell'imperatore Alessandro che era molto amato dal popolo; e questo fu il motivo per cui Massimino principiò ad averli in grande avversione e coglieva ogni pretesto per poterli perseguitare. Imputava loro tutte le sciagure dello stato; la perdita nelle battaglie, la peste, la carestia, i terremoti e simili disgrazie, che in quel tempo affliggevano il romano impero, secondo lui avvenivano per colpa dei cristiani. Di qui cominciò la sesta persecuzione contra i cristiani.

            Ma il fatto, che eccitò maggiormente a sdegno l'imperatore, fu lo zelo ed il coraggio di uno de' suoi soldati. Allorchè Massimino fu proclamato imperatore, giusta il {39 [447]} costume fece alcuni donativi alle sue truppe. Ogni uomo d'armi doveva presentarsi a ricevere tali doni con una corona, d'alloro sul capo. Se non che un soldato, credendo essere tal cosa un segno di idolatria, la portava in mano. Un uffiziale gli chiese la ragione di tale singolarità: perchè sono cristiano, gli disse il soldato, e la mia religione non mi permette di portare le vostre corone che io reputo segno d'idolatria. Egli fu sull'istante spogliato delle sue divise militari, e messo in prigione. Alcuni fedeli pensavano che tale corona si potesse portare come segno di festa civile. Ma Tertulliano scrisse un libro col titolo della corona del soldato in cui dimostra tale esteriorità essere un vero segno d'idolatria.

 

 

Capo VII. Morte di S. Barbara. Patimenti e martirio di S. Ponziano.

 

            Massimino da prima decretò la persecuzione contro a tutti i cristiani, ma quando si accorse che la maggior parte de' suoi sudditi erano cristiani, si limitò a proibire d'abbracciare la religione cristiana, con {40 [448]} ordine di mettere soltanto a morte i vescovi come autori dei progressi del cristianesimo. Tuttavia molti semplici fedeli conosciuti più zelanti furono eziandio messi a morte. Fra essi annoverasi la gloriosa santa Barbara ammaestrata nella fede da Origene. Da prima ella fu assoggettata ai più crudeli tormenti da parte dello snaturato suo padre e quindi terminò colla corona del martirio nella città di Nicomedia. Ma la principale vittima del furore di C. Massimino fu S. Ponziano. Egli sapeva che questi era il capo dei cristiani e diceva tra sè: io non otterrò il mio intento, se non quando avrò tolto dal mondo il capo dei cristiani. Costoro sono come pecore e saranno certamente disperse, se io farò morir colui che chiamano loro pastore: percutiam pastorem et dispergentur oves. Il folle Massimino ignorava che Gesù Cristo è capo invisibile della sua Chiesa, e che egli impegnò la sua parola di assistere il suo vicario e proteggere la sua Chiesa sino alla fine dei secoli: usque ad consummationem saeculi. Deputò un capo visibile, che è il Papa, pastore supremo della Chiesa, il quale deve visibilmente governarla in mezzo alle vicende dei tempi sino alla fine del mondo. Ve ne furono e tuttora {41 [449]} ve ne sono che follemente dissero: ucciso il capo, dee finir la Chiesa. No, dice Iddio, non temete gli assalti degli uomini, io vi difenderò, vi proteggerò e sarò con voi tutti i giorni: ecce ego vobiscum sum omnibus diebus. Forse qualche cristiano non molto istruito nelle verità della fede dirà: che sarà della Chiesa quando si mandano in esilio o si mettono a morte i suoi medesimi pastori? Lasciate pure che gli uomini facciano i loro sforzi; essi non varranno mai a cangiare i decreti di Dio. Si uccide un vescovo? Dio sa suscitarne un altro. Un papa è mandato in esilio? Di là egli governa la Santa Chiesa. Sarà condannato a morte? Un altro tosto succede, che con egual coraggio e fortezza intraprende il governo della Chiesa, predica lo stesso Vangelo, la stessa fede, la stessa legge, lo stesso battesimo istituito da nostro Signor Gesù Cristo. Così fu e sarà per l'avvenire finchè sia compiuto il numero degli eletti.

            Erano adunque già trascorsi due anni da che S. Ponziano pativa la fame, la sete ed altri mali che sono la conseguenza di un esilio in luogo inospite e selvaggio. Egli però non aveva mai dimenticato il {42 [450]} bene della Chiesa. Accoglieva con grande bontà quelli che andavano a lui, li incoraggiva ad essere costanti nella fede. Scriveva lettere ovunque ne scorgesse il bisogno. E per avere ministri nella predicazione del Vangelo, oltre a quelli che erano ordinati dai vescovi in varii paesi della cristianità, tenne egli stesso due volte la sacra ordinazione nel mese di dicembre, che era l'epoca specialmente fissata a conferire gli ordini sacri. In queste due ordinazioni consacrò cinque diaconi, sei preti e sei vescovi, che mandò in varie diocesi ove più grave appariva il bisogno. In questa ultima ordinazione creò vescovo un zelante ecclesiastico di nome Caro, che mandò a governare la diocesi di Atina - (oggidì Atino), città del regno di Napoli. Egli governò quella diocesi 23 anni con gran zelo e prudenza, e riportò un glorioso martirio. Questo santo vescovo è celebre pei molti miracoli che si operarono a sua intercessione prima e dopo morte.

            Intanto Ponziano sfinito dalle fatiche e consumato dai patimenti, nulla più gli mancava, se non la corona del martirio che gli era vicino. Le parole con cui gli autori esprimono il genere di morte di {43 [451]} questo pontefice sono: Maximini iussu fustibus mactatus martyrium consummavit: vale a dire S. Ponzano fu preso, legato, sottoposto a lungo interrogatorio e vedendolo fermo nella fede per comando dello imperatore Massimino fu condannato ad essere ucciso a colpi di bastone[5]. Il degno Vicario di Gesù Cristo, richiamando a memoria i flagelli a cui fu sottoposto il Divin Maestro mentre era in terra, sostenne con gioia i più spietati tormenti, finchè tramandò l'ultimo respiro. La morte di lui avveniva in giorno di domenica il 19 novembre l'anno 237, dopo aver tenuta la santa sede quattro anni, quattro mesi e venticinque giorni.

            Parecchi fedeli lasciarono che i carnefici si allontanassero, di poi presero il cadavere di lui e lo portarono ad essere onorevolmente sepolto in una tomba appositamente preparata. Tre anni dopo il Pontefice san Fabiano, di cui avrò presto a parlarvi, fece trasportare le ceneri di S. Ponziano a Roma con grande solennità. Con un naviglio spedito apposta, accompagnato totius cleri supplicationibus, con una processione {44 [452]} di tutto il clero romano, il corpo del santo Pontefice ripassava in que' luoghi medesimi dove era passato cinque anni prima, con questa diversità che allora era condotto in catene accompagnato da manigoldi i quali bestemmiando quella religione che non conoscevano, studiavano ogni mezzo di fare patire S. Poliziano che ne era capo; adesso egli ritorna a Roma, accompagnato da fervorosi cristiani, che cantando lodi al Signore, invocano la prolezione del Santo, che sciolto dai legami del corpo gode e godrà in eterno ogni bene presso il Creatore. Le sue reliquie furono portate nella via Appia nelle catacombe di S. Callisto, in una diramazione che da questo pontefice fu di poi detta cimitero di S. Ponziano.

 

 

Capo VIII. Errore sulla successione dei Papi. Elezione di S. Antero. Suo viaggio a Roma.

 

            Alcuni scrittori, specialmente protestanti, poco attenti alla verità storica, dicono che a S. Ponziano succedette un Papa di nome Marco, il quale dopo un anno di pontificato vi rinunziò per accompagnare S. Orsola {45 [453]} e le sue compagne in Colonia, ove riporto seco loro la palma del martirio. Tale rinunzia e tale pellegrinaggio è molto censurato dai protestanti. Noi diciamo semplicemente che questa è una favola. Nissuno scrittore antico, nissun catalogo dei Pontefici parla di questo S. Marco. Inoltre S. Orsola che visse oltre ducento anni dopo (S. Orsola fu martirizzata il 21 ottobre dell'anno 453), come mai potè intraprendere quel pellegrinaggio col successore di S. Ponziano? Noi pertanto diciamo che l'immediato successore di S. Ponziano nella Sede pontifìcia fu S. Antero che è il ventesimo nella serie dei Sommi Pontefici.

            Egli era nato in Petilia città della Magna Grecia, che ora diciamo Italia meridionale. Quella parte d'Italia dicevasi Magna Grecia perchè anticamente era stata abitata da colonie greche venute ivi ad abitare. Petilia trovavasi in quella parte del regno di Napoli che dicesi Calabria. Il padre di Antero nominavasi Romolo. Sia per evitare i tumulti del mondo, sia per servire Iddio con maggior fervore, egli erasi ritirato in Sardegna e conduceva vita romitica. Cioè viveva ne' deserti cibandosi per lo più di frutti secchi e di erbe selvatiche. La sua {46 [454]} scienza però, la sua virtù, i suoi miracoli non poterono rimanere nascosti, e quando fu condotto al martirio S. Ponziano, si radunò tosto quella parte del clero Romano che si potè in quell'Isola medesima ed unanimi elessero il solitario S. Antero[6].

            Egli era appena eletto Papa quando ricevette notizie che la persecuzione contro ai cristiani infieriva orribilmente a Roma. Deliberò tosto di partire alla volta di quella grande capitale, sia per confermare nella fede quelli che erano da poco tempo convertiti, sia per incoraggire quelli che erano condotti al martirio, sia anche per impedire che i libri sacri e gli atti de' martiri non fossero consegnati alle fiamme. Perciocchè affine d'impedire la cognizione del cristianesimo si facevano tutti gli sforzi per consegnare alle fiamme (o far perdere altrimenti) tutti i libri che trattassero di religione.

            Nel suo cammino si fermò a Fondi, città di una provincia Romana, detta Campania ed oggidì Terra di Lavoro, a poca disianza da Terracina. Egli trovò colà molti cristiani ed anche de' sacerdoti che lavoravano per la fede, ma non v'era alcun Vescovo. Sant'Antero {47 [455]} scelse un sacerdote segnalato per virtù, scienza, prudenza e lo consacrò vescovo di quella città, indi continuò il suo viaggio per Roma.

 

 

Capo IX. Atrocità di Massimino. Sollecitudine di S. Anterò per raccogliere gli atti dei martiri. Suo decreto sulla residenza dei Vescovi. Suo martirio.

 

            Per farci un'idea della ferocia di Massimino contro ai cristiani basti il riflettere al modo con cui trattava i medesimi suoi soldati. Chi avesse detto di averlo conosciuto in patria, o gli avesse ricordato alcuno de' suoi parenti, che erano tutti povera gente, era sull'istante condannato a morte. I primi magistrati, i primi ufficiali dell'esercito, gli stessi consoli spesso erano condotti a morte o perchè non avevano la fortuna di piacergli, oppure avevano lasciato sfuggire una parola o dato un segno che dispiaceva a quel monarca. Da ciò ognuno può argomentare quali siano state la crudeltà esercitate contro ai cristiani, la cui vita esemplare era un continuo rimprovero alla sua barbarie, contro ai cristiani {48 [456]} che dai barbari e dai gentili erano giudicati nemici degli Dei, e per conseguenza nemici del medesimo Imperatore. Vittima di queste barbarie fu S. Anterò. Per comprendere bene il motivo per cui questo Pontefice fu messo a morte è bene di richiamare a memoria l'uffizio dei notai. Erano costoro stati instituiti da S. Clemente sul finire del primo secolo dell'era cristiana, ed avevano per iscopo di scrivere gli atti dei martiri. Per riuscire in questo arduo lavoro si facevano altrettante cassettine aperte soltanto verso il petto di chi le portava. Mischiandosi di poi nella folla e penetrando nei medesimi tribunali scrivevano con maravigliosa velocità quanto pativano ed operavano i martiri; notando le risposte e le sentenze che proferivano davanti agli stessi carnefici in mezzo ai più atroci supplizi. La prestezza con cui scrivevano que' notai viene espressa con questi due versi:

 

            Currant verba licet, manus est velocior illis. Nondum lingua suum, destra peregit opus.

(Martiale lib. 14.)

 

            La mano scrive le parole con celerità maggiore che non potrebbe la lingua proferire. {49 [457]}

            La lingua non ha ancor terminato di proferir le parole, che la mano le ha già scritte.

            I cristiani si davano la massima sollecitudine per conservare le memorie di quegli eroi della lede, e lo stesso Pontefice lavorava indefesso per ricevere da' notai gli atti dei martiri e radunarli negli archivi della Sede Apostolica. Ma questo suo coraggio gli costò ben caro, perciocchè essendo stato denunziato al prefetto, di nome Massimo, come nemico degli Dei dell'impero, egli fu sorpreso mentre aveva tra le mani un fascio di que' manoscritti che tentava di mettere in salvo. Venne sull'istante circondato dalle guardie e a ripetuti colpi messo a morte. Il suo martirio finiva con aver tronca la testa il 3 gennaio del 238.

            Il corpo di lui fu preso dai fedeli, che accompagnati da uno zelante sacerdote, di nome Fabiano, che gli succedette nel soglio pontificio, fu portato ad essere sepolto nel cimitero di S. Callisto, dove per molto tempo furono sepolti i Sommi Pontefici. Il suo pontificato durò soltanto un mese circa.

            Durante questo breve pontificato giunse alla santa Sede una dimanda fatta dai vescovi {50 [458]} della Spagna per sapere, se era permesso ad un vescovo di passare dal governo di una a quello di un'altra diocesi. S. Antero fece loro la seguente risposta: «I vescovi possono passare da una diocesi in un'altra quando la necessità e l'utilità della Chiesa lo richiedano. così S. Pietro apostolo dalla città di Antiochia trasferì la sua Sede a Roma pel bene universale della Chiesa. Dopo di lui molti vescovi in caso di bisogno passarono da una diocesi ad un'altra, ma tal cosa fecero sempre col consenso della santa Sede Apostolica». Queste parole dimostrano che in tutti i tempi non solo i semplici fedeli, ma i medesimi vescovi furono sempre dipendenti dal vescovo di Roma, riconoscendo in lui il successore di S. Pietro ed il Vicario di Gesù Cristo.

 

 

Capo X. S. Fabiano. Sua prodigiosa elezione. Protonotari. Suddiaconi regionarii per l'assistenza dei poveri.

 

            Quel sacerdote, di nome Fabiano, che con religiosa sollecitudine diede sepoltura {51 [459]} al corpo di S. Antero, gli fu successore nella Sede pontifìcia. Egli era di patria Romano, nato in quella parte di Roma che dicesi Monte Celio, oggidì S. Giovanni in Laterano. Suo padre era un agiato cittadino di nome Fabio. Ebbe una cristiana educazione. Secondando il consiglio de' suoi genitori passò allo stato matrimoniale, ma rimasto vedovo in giovanile età rinunciò ad ogni idea di mondo, e per servire il Signore in un modo più perfetto abbracciò lo stato ecclesiastico. In quel tempo di persecuzione spesso avveniva che i cadaveri dei cristiani, specialmente martiri, erano dati per nutrimento alle fiere, e talvolta lasciati insepolti nelle pubbliche piazze, o ne' luoghi del supplizio. S. Fabiano era tutto zelo per ogni opera di carità, ma più per dare sepoltura ai cadaveri di quei cristiani che erano lasciati qua e là dispersi, destinati per lo più a servire di pascolo alle bestie feroci. Faceva pure alcune corse a predicare il Vangelo nelle campagne dove molti guadagnava alla fede, mentre altri già convertiti incoraggiva ad essere costanti nella religione abbracciata. Egli esercitava in simile guisa il sacro ministero quando ebbe notizia che il clero {52 [460]} di Roma erasi radunato per eleggere il novello Pontefice. Mosso dal desiderio di sapere quale fosse per essere il Vicario di Gesù Cristo, venne in città e andò a prendere posto presso a quelli che dovevano venire all'elezione; anzi credesi che egli stesso fosse già prete della Chiesa Romana, che noi diciamo cardinale, e per ciò uno dei votanti. Erano tutti sospesi nella scelta del candidato e non potevano andare d'accordo, allorchè succedette il medesimo prodigio dell'elezione di S. Zefirino; cioè una colomba entrò nella sala dell'adunanza, e dopo aver fatto un largo giro, volando andò a posarsi sul capo del sacerdote Fabiano, facendo udire questa voce: Romae Episcopus coronaberis. Sarai coronato pontefice di Roma. (V. Eusebio lib. 6. Pietro de nat. 1, 2.).

            Come una colomba discesa sul capo del Salvatore fu simbolo dello Spirito Santo che sensibilmente manifestava agli nomini essere Gesù Cristo il Messia; così il clero Romano accolse quel segno come chiara manifestazione della volontà di Dio, e ad una voce elessero pontefice S. Fabiano.

            Salito egli alla cattedra di S. Pietro diede opera a perfezionare l'istituzione dei {53 [461]} notai destinati, come si è detto, a raccogliere gli atti dei martiri. Roma era divisa in quattordici rioni ovvero regioni. S. Clemente aveva stabilito sette di tali notai detti regionari, perchè ognuno di loro doveva aver cura di scrivere le azioni dei martiri in due regioni. Il qual numero era divenuto insuficiente soprattutto quando infierivano le persecuzioni. Affinchè ognuno potesse compiere bene il proprio ufficio, il santo Pontefice aggiunse altrettanti suddiaconi detti pure regionarii, il cui officio era di assistere i notai ed aiutarli a raccogliere gli atti de' martiri e quindi riportarli nell'archivio della santa Sade.

            Cessato il tempo delle persecuzioni volsero le loro cure a scrivere i fasti della Chiesa di mano in mano che succedevano avvenimenti degni di essere mandati alla posterità. Il capo di que' notai dicevasi primicerio, parola che vuol dire primo nel catalogo cerato, perchè il nome di que' regionarii solevasi scrivere con uno stilo, che è una specie di penna di ferro, sopra tavolette di legno incerato. Questi notai, questi suddiaconi, che più tardi ebbero eziandio il titolo di cardinali, furono i benemeriti scrittori che ci conservarono i preziosi e gloriosi monumenti {54 [462]} della storia ecclesiastica specialmente dei tre primi secoli della Chiesa.

            Due altri uffizi erano proprii dei suddiaconi regionarii: il primo era di aver cura dei poveri e dei fanciulli ignoranti od abbandonati, per cui i Sommi Pontefici si diedero in ogni tempo la più grande sollecitudine. L'altro ufficio era l'annunziare al popolo cristiano quando e dove il Pontefice celebrava la santa messa o facevansi processioni, o vi erano stazioni. Dicevansi stazioni que' luoghi ove si radunavano i fedeli per udire la spiegazione della parola di Dio ed assistere alla celebrazione dei divini uffizi.

 

 

Capo XI. Morte dell'Imperatore Massimino. Successione di Filippo.

 

            Da due anni l'imperatore Massimino perseguitava fieramente i cristiani; S. Ponziano, S. Antero e molti altri erano stati vittima delle barbarie di lui, e forse andava meditando di mettere a morte il novello Pontefice, quando la divina provvidenza, che attenta vigila sul bene della {55 [463]} Chiesa, le venne in aiuto in due modi: togliendo dal mondo il motore della persedizione, e facendo salire sul trono un imperatore che conobbe la santità della fede cristiana, professandone i precetti.

            Il disprezzo che Massimino dimostrava verso la cristiana religione e verso i medesimi dei dell'impero l'aveva reso degno di disprezzo. Le sue ingiustizie e le sue crudeltà rendevano il suo giogo insopportabile. Cominciò a scoppiare una rivoluzione in cui venne proclamato imperatore un generale di nome Gordiano. Sebbene suo malgrado questi accettò tale dignità, associandosi suo figlio anche di nome Gordiano. Ma tre mesi dopo furono sconfitti dai soldati di Massimino. Il senato per opporre un argine alla ferocia del tiranno creò Puppieno e Balbino imperatori; e creò Cesare Gordiano figlio dell'antecedente. Massimino risolse di combatterli tutti tre e andò ad assalire i suoi rivali vicino ad Aquileia, città poco distante da Venezia sulle rive dell'Adriatico. Cercò di entrare in città, ma gliene furono chiuse le porte. Si sforzo di abbattere le porte e respingere i difensori, ma ne fu sempre egli medesimo respinto. Montato allora sulle furie accusava i suoi {56 [464]} soldati de' cattivi successi delle sue armi; e non potendosi altrimenti sfogare, si volgeva contro di loro coprendoli di orribili imprecazioni e trafiggendone parecchi colla propria spada. Abusando in simile guisa della sua forza brutale, non fu eccesso cui non siasi lasciato trasportare, finchè la longanimità volgendosi in furore, i suoi soldati lo assalirono nella propria tenda e lo trucidarono di mezzo giorno. Così terminava i suoi giorni il feroce Massimino, e colla sua morte ebbe fine la sesta persecuzione.

            Morto Massimino tenne il regno Gordiano III sotto cui i cristiani non ebbero a provare alcuna persecuzione. Cominciava egli appena a regnare, quando dovette andare in Oriente contro ai Persiani. Colà Filippo, capo dei pretoriani, fece assalire Gordiano, il quale ucciso, venne egli stesso proclamato imperatore. È questo il primo degli imperatori romani che abbiano abbracciata la religione cristiana; egli venne alla fede per opera di S. Ponzio, senatore romano siccome noi siamo per raccontare. {57 [465]}

 

 

Capo XII. S. Ponzio offre le sue sostanze a S. Fabiano a favore dei poveri. Instruisce l'imperatore nella fede.

 

            In mezzo alle calamità di quei tempi, S. Fabiano, come vero padre dei poveri, impiegava tutte le sue sostanze a favore dei bisognosi. I fedeli vedendo che le sostanze del Pontefice non bastavano pei bisogni ognor crescenti, gli venivano in aiuto con generose oblazioni. S. Ponzio, che tenerissimamente amava il Pontefice, portò a' suoi piedi ogni suo avere, affinchè lo ripartisse ai poveri specialmente a quelli o che avevano patito per la fede o che lavoravano per guadagnare anime a G. C.

            Dio benedisse la carità di S. Ponzio e lo consolò con un guadagno che apportò gran bene alla religione. Il fatto avvenne così: Nel 249 celebravasi l'anno secolare della fondazione di Roma, la qual festa accadeva ogni cento anni in memoria: della fondazione di quella famosa città, e poichè quello era il decimo anno secolare così cadeva pure l'anno millesimo, la quale cosa faceva che tutti si preparassero a celebrarla {58 [466]} colla massima pompa. L'imperatore amava assai S. Ponzio per le qualità; morali ed assai più per la sua sapienza e virtù, onde lo invitò ad accompagnarlo nelle funzioni or sacre, or profane di quella maravigliosa solennità. Disse dunque a S. Ponzio: vieni con noi, e andiamo a renderci propizi gli Dei, quegli Dei che hanno conservato questa nostra città dalla fondazione di Roma sino a questo giorno. Il figlio dell'imperatore, che chiamavasi anche Filippo, ripeteva il medesimo invito.

            Ponzio studiavasi di evitare la proposta con diverse scuse. Ma l'imperatore e suo figlio lo stimolavano coi più grandi segni di amicizia ad intervenire. Allora Ponzio giudicando esser quella una favorevole occasione di parlar loro della cristiana religione disse: Principi, essendo voi stati fatti monarchi da Dio, perchè non onorate colui che tale onore vi ha concesso? perchè non lo adorate e a lui solo non fate il debito sacrifizio?

            Filippo il padre rispose: egli è appunto per rendere il debito onore ai nostri Dei che io desidero di fare un sacrifizio al nostro gran Giove da cui riconosco il sovrano mio potere. {59 [467]}

            Ponzio sorridendo disse: non v'ingannate, o prìncipe: avvi un Dio nell'alto dei cieli, il quale con una sola parola ha creato tutte le cose, e colla grazia dello Spirito Santo tutte le anima e le conserva.

            I due imperatori stupiti a questa insolita maniera di parlare dissero ad una voce: tu ci parli in modo, o Ponzio, che noi non sappiamo dove vadano a riferirsi le tue parole.

            Ponzio disse: forse da principio esisteva già il vostro Giove?

            Rispose l'imperatore: no, perchè Saturno padre di Giove è più antico di lui, ed egli governava allora con maravigliosa moderazione i popoli d'Italia.

            Ponzio soggiunse: e quando Saturno regnava nell'isola di Creta (Candia), prima che fosse cacciato dal regno per arte di Giove suo figlio, forse non vi erano popoli in Italia? Forse appena cacciato, siccome raccontano le nostre storie, egli fu tosto ospitalmente ricevuto in Italia? Principi, non lasciatevi ingannare dalle invenzioni dei poeti. Persuadetevi: avvi un solo Dio in cielo, creatore di tutte le cose, il quale col suo Figliuolo e collo Spirito Santo conserva in cielo e in terra quanto ha fatto colla sua infinita potenza. {60 [468]}

            L'imperatore l'interruppe dicendo: se vi è un solo Dio, che tu dici essere nei cieli, perchè soggiungi ch'egli ha un figlio?

            Ponzio prese ad instruirlo intorno al figliuolo di Dio, e intorno alla nostra santa religione col seguente ragionamento.

            Avvi un solo Dio, che fece il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che in essi vi sono; finalmente creò l'uomo immortale ad immagine e somiglianza sua. Egli ha dato in potere dell'uomo tutte le cose che sono entro la terra, sopra la terra, o si trovano nelle acque del mare. Ma il demonio che per la sua superbia era stato cacciato dal cielo, vedendo l'uomo innalzato a tanto onore, mosso da invidia, lo persuase a fare una grande disubbidienza al Creatore, a quel Creatore che gli aveva dato tutte le cose. Con questa disubbidienza l'uomo si spropriò dell'immortalità, e la morte entrò nel mondo. Nè solo questo primo uomo ma tutta la sua posterità fu condannata alla morte e a molte pene nell'anima e nel corpo. Il demonio non pago di aver ingannato l'uomo, lo indusse ancora a farsi degli idoli e adorar miserabili creature invece del Creatore, e così lo allontanò dal Dio supremo. Ma Iddio pietoso, {61 [469]} non volendo che l'opera rappresentante la sua immagine andasse perduta, mandò dal cielo in terra il suo unico figliuolo, per cui tutte le cose furono create e in cielo e in terra. Questo figliuolo, che dicesi anche Verbo Eterno, prese carne immacolata da una vergine, si fece uomo per riparare la caduta dell'uomo, e confinare il demonio co suoi seguaci nel fuoco eterno. Questo figlio di Dio operò in terra tali maraviglie, che simili non furono mai vedute. Egli dava la vista a quelli che erano ciechi dalla nascita; i paralitici che da molti anni erano attratti e non potevano moversi, li restituì alla loro primiera e florida sanità. I leprosi coperti di piaghe fetidissime furono risanati e ricoperti di carne vegeta e vermiglia. Che più? Egli chiamò i morti dalle tombe, e tra gli altri, alla presenza di molti richiamò a vita Lazzaro morto da quattro giorni e già fetente nel sepolcro. Queste e molte altre cose, che si possono dire senza numero, i Giudei non vollero credere e mossi da invidia condussero il loro Salvatore a Ponzio Pilato governatore della Giudea, e così misero in croce colui che era venuto nel mondo per salvarli. Egli però qual figliuolo di Dio e Dio egli stesso risuscitò da {62 [470]} morte tre giorni dopo, siccome era stato predetto, e dopo la sua risurrezione conversò cogli uomini per molti giorni. Colla sua morte distrusse la morte che il demonio aveva cagionato agli uomini; e colla sua risurrezione diede a noi la vita. Ora siccome il figliuolo di Dio dopo la sua morte risorgendo, non sarà più per morire, così noi dopo breve e miserabil vita risorgeremo, e vivremo con lui in eterno. Imperciocchè egli salì al cielo, e con questa sua ascensione dimostrò a' suoi seguaci la strada per potervi essi pure andare. Perciò se alcuno trascurasse questi mezzi di salvezza egli sarà condannato in eterno coi demonii; al contrario chi crederà in Gesù Cristo e metterà in pratica i suoi precetti, egli regnerà in eterno con lui nel regno delle delizie.

 

 

Capo XIII. S. Ponzio conduce all'imperatore S. Fabiano che instruisce lui e suo figlio nella fede e ad ambidue amministra il battesimo.

 

            Dal ragionamento fatto da S. Ponzio i due principi poterono conoscere che Gesù {63 [471]} Cristo è figliuolo di Dio e Salvatore degli uomini. Laonde ambidue illuminati dalla grazia del Signore, si diedero per vinti e risolsero di abbracciare la fede. A tale effetto pregarono Ponzio di ritornare nel dì seguente per istruirli più a lungo intorno ai misteri della salute e così poter evitare, com'essi dicevano, il fuoco eterno, ed acquistare l'eterna felicità dove si gode coi santi senza fine. Cominciarono pertanto i due principi dal non prendere più parte alcuna ai sacrifizi degli idoli, e nella festa che si stava facendo in memoria della fondazione di Roma, si limitarono ad assistere ad alcuni spettacoli pubblici che non avevano relazione alcuna con le cose di religione.

            Allora S. Ponzio stimò bene di partecipare tale notizia a S. Fabiano e andargli a raccontare minutamente quanto era passato tra lui e i due imperatori. Il santo Pontefice ascoltò con grande compiacenza le maraviglie che la grazia del Signore aveva operato, e pensando al gran bene, che avrebbe potuto fare un imperatore cristiano, si pose ginocchioni a terra con S. Ponzio e fece questa preghiera: «Signore mio G. C, io vi  ringrazio di tutto cuore che {64 [472]} per mezzo del vostro servo Ponzio vi siate degnato di condurre alla cognizione di voi medesimo gl'imperatori dei popolo romano. Degnatevi, o Signore, di compiere l'opera di misericordia che avete cominciato.»

            Il dì seguente Ponzio e Fabiano si recarono insieme al palazzo imperiale. Fabiano si trattenne a lungo coi due principi, spiegò loro i misteri della fede, finchè ravvisandoli abbastanza instruiti e fermi nella verità, che avevano conosciuto, amministrò loro il sacramento del battesimo. Quale sia stata allora l'allegrezza pei cristiani si può piuttosto accennare che esprimere. Da prima per ordine degli imperatori fu atterrato il tempio di Giove, come era stato predetto. S. Fabiano e S. Ponzio secondando i pii pensieri del Sovrano spezzarono tutti gli idoli che erano in quel medesimo tempio. Fatta così piena libertà a ciascheduno di abbracciare la fede, i gentili correvano con gioia ad ascoltare la predicazione del Vangelo ascrivendosi a lieta ventura il potersi annoverare fra i cristiani. Anzi in quei luoghi dove si atterravano i templi degli idoli, colà tosto si innalzavano chiese al vero Dio. Queste cose ebbero luogo per quattro anni in cui regnarono i due {65 [473]} Filippi padre e figlio, dopo aver ricèvuto il battesimo.

            Debbo qui notare che l'imperatore padre, prima che abbracciasse la religione cristiana, era dato a molti vizi, come sono la collera, la crapola, l'ambizione e simili; ma ricevuto il battesimo e contratte relazioni con S. Fabiano intraprese una maniera di vivere del tutto opposta, e divenne temperante, paziente, amante della virtù e del pubblico bene.

 

 

Capo XIV. Filippo proibisce i luoghi e le canzoni oscene. - Sua sommissione a S. Fabiano. - La confessione prima di comunicarsi.

 

            Due cose in Roma erano sorgente di pubblica immoralità. Eravi un luogo infame dove insegnavasi la scostumatezza alla gioventù. S. Fabiano consigliò l'imperatore a porre un rimedio a questo male; e quel principe proibì tali nefande adunanze, e fece chiudere quei luoghi di pubblica iniquità.

            Eravi pure un altro disordine da riparare, ed erano i canti osceni. I poeti, abusando {66 [474]} dell'ingegno che la Divina Provvidenza loro aveva dato, componevano canzoni immorali, le andavano cantando ora sulle pubbliche piazze, ora nelle adunanze che avevano luogo nei teatri o nelle case private. La gioventù vi accorreva in folla per soddisfare la propria curiosità, e intanto loro si riempiva la mente ed il cuore di idee e di pensieri osceni, che hanno per conseguenza l'irreligione e la perdita irreparabile dell'innocenza de' costumi. L'imperatore, sempre secondo i consigli di san Fabiano, cominciò a proibire il canto e la propagazione di quelle seducenti canzoni, e sottopose a gravi pene i violatori di questa legge. Di più reputando infami quelli che esercitavano tale mestiere, li escluse dai pubblici impieghi, nè alcun poeta era ammesso al pubblico insegnamento.

            Dio volesse che tale esempio fosse seguito dai cristiani, e si proibissero certi scritti, e certe canzonacce oscene che sono la rovina dei costumi e della religione di tanti sventurati cristiani, e all'opposto si facessero risuonare belle canzoni morali o religiose che onorassero il nome cristiano e promovessero la gloria di Dio e il bene delle anime. (V. Baronio anno 249). {67 [475]}

            Questo imperatore sebbene fornito di molte virtù si lasciò talvolta trasportare a gravi ingiustizie anche dopo aver ricevuto il battesimo. Ha calmatosi dalla collera entrava con facilità in se stesso, confessava i suoi peccati e ne faceva anche pubblica penitenza. Diede un gran segno di umiltà nell'occasione che egli si presentò per fare la santa comunione.

            Era il giorno di Pasqua e tutti i fedeli cristiani si davano sollecitudine a purificare l'anima loro col sacramento della penitenza per rendersi degni di ricevere l'Ostia Santa. L'imperatore si mise egli pure tra le file dei cristiani, ma perchè da poco tempo convertito non badò ad andarsi prima a riconciliare con Dio che egli aveva pubblicamente e gravemente oltraggiato.

            S. Fabiano, che appunto distribuiva il Pane Eucaristico, riflettendo che tale cosa avrebbe cagionato non piccolo scandalo tra i fedeli, colla franchezza degna del Vicario di Gesù Cristo, avvisò l'imperatore, dicendogli che prima di ricevere la Santa Eucarestia andasse a fare la confessione dei suoi peccati per non ricevere la sua dannazione col Corpo del Signore. Forse voi direte: quell'imperatore avrà egli tollerato {68 [476]} tale umiliazione? non si rivoltò contro al Pontefice? non si lasciò strascinare a qualche eccesso? Niuna di queste cose. Quel principe ravvisava G. C. nella persona del Santo Pontefice. Esso come capo dei cristiani poteva e doveva dire al principe quanto gli era necessario per l'anima sua; era principe, ma agli occhi di Dio era un cristiano colpevole. Laonde si umiliò, si allontanò dalle file dei fedeli, andò a fare la sua confessione, quindi ritornò e fece esemplarmente la sua Comunione. (V. Eusebio lib. 6).

 

 

Capo XV. Origene. - Sue virtù. - Viene a Roma. - Sua sommissione alla Chiesa. - Sua lettera a S. Fabiano. - Sua morte.

 

            Abbiamo già parlato qualche volta di Origene, ma perchè questo famoso scrittore finì i suoi giorni sotto il Pontificato di san Fabiano, con cui ebbe speciali relazioni, sembra a proposito il dare qui un cenno intorno alla vita di lui. Egli era nato in Alessandria d'Egitto. Suo padre, di nome Leonida, lo educò con singolare affetto e sollecitudine {69 [477]} nelle scienze e nelle virtù del cristianesimo e lo avviò sin dalla più tenera età allo studio delle divine scritture. Sì grande era il profitto del figlio nella pietà e nella scienza, che Leonida stesso godeva in cuor suo, e quando dormiva lo andava a visitare con santa compiacenza, e talvolta gli baciava il petto, ringraziando il Signore perchè in quel cuore abitava lo Spirito Santo come in un tempio vivente. Egli aveva 17 anni quando suo padre, sotto allo imperatore Settimio Severo, fu messo in prigione per la fede.

            Appena Origene seppe che il genitore era per essere condotto al martino, sentissi ardere dal desiderio di patire per Gesù C, e voleva da se stesso offrirsi ai giudici pagani. Il suo ardore pel martirio giunse a tale, che per impedirlo sua madre nascose sotto chiave tutti gli abiti di lui e così lo costrinse a sospendere il suo disegno. Tuttavia scrisse una bellissima lettera a suo padre, esortandolo a dar volentieri la vita per la fede senza lasciarsi intimorire od affliggere da cosa alcuna.

            Martirizzato il padre, e secondo il solito confiscati tutti i beni, la sua famiglia fu immersa in deplorabile miseria. Allora Origene, {70 [478]} così giovine com'era, cominciò ad essene il sostegno della madre e di sei fratelli, e per avere mezzi onde sostenere la intera famiglia, intraprese a dar lezioni di gramatica e di belle lettere. Siccome nella sua scuola spesso prendeva occasione di parlare della dottrina di G. C. e della santità di cui deve essere adorno un cristiano, il vescovo di Alessandria offri un vasto campo a quel grande ingegno, dandogli la cattedra di catechista in quella famosa scuola del cristianesimo mentre aveva appena 18 anni.

            Per riuscire meglio nella sua carica ed assicurarsi di seguire la dottrina di G. C, egli (an. 221), intraprese un viaggio a Roma affine di osservare attentamente gli usi di quella Chiesa ch'egli chiama principale e maestra di tutte le altre chiese del mondo. Ritornato in patria continuò le sue lezioni. Egli era ascoltato con venerazione dagli stessi idolatri, a segno che, mentre molti suoi discepoli erano incarcerati e poscia martirizzati per la fede, molti pagani si convertivano al vangelo.

            Per meglio intendere e spiegare la Bibbia egli si diede allo studio della lingua ebraica nell'età di 30 anni. Ebbe grande aiuto da un ricco personaggio di nome {71 [479]} Ambrogio, ch'egli aveva convertite dalla eresia de' Valentiniani. A costui scrisse di poi un'esortazione al martirio sotto all'imperatore Massimino nel 237. Al medesimo indirizzò un trattato sulla preghiera. Diedesi poi a comporre i così detti esapli, ottolpli e tetrapli, i quali erano edizioni delle Sante Scritture con due colonne, del testo ebraico in lettere ebraiche e greche, e con altre colonne delle quattro o sei traduzioni greche che di quei tempi esistevano, o delle sole quattro principali traduzioni greche. Questo lavoro fatto con una diligenza squisita gli costò venti anni di fatiche e divenne utilissimo alla scienza sacra. Diede anche alla luce la traduzione greca della Bibbia della dei settanta interpreti, con varie utili annotazioni. Dal che si può scorgere come la Chiesa Cattolica sino dai primi secoli fu molto premurosa per tutti quegli studi che in qualche modo potevano contribuire all'intelligenza delle Sacre Scritture.

            Nello stesso tempo che Origene dava alla luce i suoi sublimi lavori faceva pure scuola, e i suoi discepoli aumentavano ogni dì. Non si sa comprendere come un uomo solo bastasse a dettare giorno e notte a' suoi sette {72 [480]} segretarii, ed a conferire con tutti quelli che andavano da lui per aver consigli.

            La fama di lui era divenuta così grande che niuno andava in Alessandria, fosse cristiano, fosse pagano, senza andarlo a visitare. Egli stesso molte volte faceva viaggi ora per conferire cogli uomini dotti di quei tempi, ora per soddisfare ai desiderii dei vescovi della Palestina. Essi lo invitarono, e quantunque laico, lo fecero predicare in alcune adunanze, e conosciutane la sapienza e le soavi virtù lo ordinarono sacerdote. Mamea madre dell'imperatore Alessandro Severo, la quale si crede aver ricevuto il battesimo, si giovò molto de' lumi e de' consigli di Origene. L' imperatore Filippo e la sua moglie di nome Severa ebbero pure relazioni con Origene, che indirizzò a ciascun di loro una lettera piena di sublimi consigli e di sentimenti di pietà.

            Dedicò gli ultimi anni di sua vita a scrivere i suoi celebratissimi commentarii sulle sacre scritture, non che varie operette, tra le quali una contro Celso. Quei commentarii spiegano il senso letterale, il senso mistico, il senso morale dell'antico e del nuovo testamento con grande erudizione e con maravigliosa chiarezza. L'opera contro {73 [481]} Celso dimostra la verità della religione cristiana, e confonde gli scritti di questo pagano che andava pubblicando molte favole da lui inventate in discredito del cristianesimo.

            Ma questo grand'uomo ebbe pure le sue grandi tribolazioni, le quali gli furono suscitate perchè da giovane aveva spinto troppo oltre lo zelo onde preservarsi dalle tentazioni, e perchè era stato ordinato sacerdote fuori di diocesi ad insaputa del suo vescovo, ed anche perchè nella moltitudine de' suoi scritti aveva lasciato sfuggire alcuni errori. Per questi motivi dovette allontanarsi da Alessandria e portare altrove la sua scuola.

            Siccome era vissuto cattolico e voleva morire da buon cattolico, così per assicurarsi della verità indirizzò al Sommo Pontefice S. Fabiano una lettera umilissima con cui dichiara le sue intenzioni e spiega con quale modo gli sono stati apposti errori, che egli non aveva mai nè insegnato nè scritto. Confessa di aver errato qualche volta ne' termini o nelle opinioni disputabili, e infine si sottomette ad ogni giudizio della santa Chiesa. Non contento di questa filiale sommessione volle venire in persona a Roma per ispiegare i {74 [482]} suoi pensieri al Sommo Pontefice e ricevere da lui tutti quegli avvisi e consigli che potessero assicurargli di vivere nella Chiesa cattolica, in cui egli intendeva di conservarsi fino alla morte. Un tal rispetto usato da Origene verso la cattedra di san Pietro è esemplare per tutti i secoli. D'altronde è certo che riguardo ai dommi dell'unità e trinità di Dio, dell'incarnazione del Figliuol di Dio, del santo sacrifizio della Messa, del Sacramento della Confessione, dell'invocazione de' Santi, della gerarchia del Sommo Pontificato nella Chiesa, egli è stato in molti luoghi delle sue opere un fedele testimonio della religione cattolica nel terzo secolo. Questo insigne dottore ebbe molto a patire nella crudele persecuzione di Decio di cui avremo presto a parlare. Egli fu caricato di catene, posto in prigione e sottoposto a gravi tormenti. Origene stette fermo nella fede, reputandosi a gloria di poter patire per la fede. Dalla medesima prigione non cessava di scrivere lettere a' suoi discepoli, loro raccomandando di essere perseveranti nella fede. Mori nella città di Tiro nell'anno 69 di sua età nel 253. S. Girolamo dice che sebbene nella moltiplicità dei {75 [483]} suoi scritti sia caduto in qualche errore, tuttavia la sua retta intenzione e la sua sommissione alla Chiesa cattolica, fanno sperar bene della sua eterna salute.

 

 

Capo XVI. Sollecitudini di S. Fabiano pei sacri edilìzi. Condanna l'eretico Privato. Suoi scritti.

 

            S. Fabiano seppe approfittare dei tempi pacifici che la Chiesa godeva durante il regno dei due Filippi. Cominciò egli a far costruire alcune chiese, o piuttosto consacrò ad uso di chiesa alcuni privati edifizi che vari ricchi fedeli di Roma offerivano volentieri al Pontefice perchè li destinasse al divin culto. Fece pure eseguire molti lavori nelle catacombe. In quei lunghi e profondi sotterranei non v'era che oscurita, nè vi penetrava altra luce che quella del fuoco, delle fiammelle dei lumi e delle lampade. Di più potendosi ivi difficilmente formare correnti di aria, riusciva malsana la dimora in que' luoghi. Lo zelante Pontefice fece aprire certi lucernari che cominciando dalla superficie della terra, a guisa di altrettanti pozzi, andavano a spandere {76 [484]} alquanto di luce nelle cripte che sono scavi più spaziosi fatti in certi siti determinati per servire di chiesa. Que' lucernari, oltre i raggi di luce che tramandavano, formavano eziandio correnti d'aria, e rendevano assai più salubre la dimora per quelli che avessero dovuto ivi abitare in tempo di persecuzione, oppure vi andassero per divozione o per eseguire qualche lavoro (V. lib. Pont. Boll. 20 maggio).

            La Chiesa ebbe pure non lievi disturbi per arte di un eretico di nome Privato. Egli era vescovo di Lambesa città dell'Africa: caduto in gravi errori fu avvisato da altri vescovi, a cui egli non diede ascolto. Allora fu convocato un concilio di novanta vescovi che unanimi condannarono la condotta e la dottrina di Privato. Neppure si acquetò a tale condanna, finchè la causa fu deferita a S. Fabiano come oracolo supremo nelle cose di religione. S. Fabiano esaminò attentamente i delitti di Privato, la dottrina da lui insegnata e dopo aver confermato quanto i vescovi dell'Africa avevano fatto, come dice S. Cipriano, rimproverò severissimamente l'eretico perchè dopo tanti avvisi non èrasi emendato. (V. S. Cipriano lett. 55). {77 [485]}

            Non vorrei, o lettore, che tu rimanessi sorpreso o quasi titubante nella fede nel rimirare la caduta del vescovo Privato. Ti devi rammentare che fra dodici apostoli vi fu Giuda traditore, perciò non dobbiamo raffreddarci alla vista veramente deplorabile di un vescovo che cade nell'errore. Ma siccome i veri apostoli furono quelli che si mantennero fedeli a Gesù Cristo e furono sempre da lui dipendenti; così noi riputeremo sempre per vescovi legittimi e veri pastori della Chiesa, coloro che sono uniti e d'accordo col Papa che è il Vicario di Gesù Cristo, e che da lui dipendono in tutto ciò che riguarda alle cose di religione.

            A S. Fabiano sono attribuite tre lettere in cui trattò di varii punti riguardanti la disciplina ecclesiastica, difendendola contro gli eretici che in que' tempi alquanto pacifici usavano grande scaltrezza per diffondere i loro errori. {78 [486]}

 

 

Capo XVII. Settima persecuzione. Morte dei due Imperatori Filippi. Martirio di S. Fabiano.

 

            La pace, che i cristiani godevano durante l'impero di Filippo, lasciò liberi i sacri ministri di predicare e propagare il Vangelo. Ma cessando il terrore delle persecuzioni si raffreddò anche il fervore tra i fedeli, sicchè molti in luogo di esercitarsi nelle virtù cristiane pensavano solo a procacciarsi comodità temporali. Iddio pertanto volendo far prova de' suoi eletti permise una nuova e tremenda persecuzione. Questa fu fatta conoscere con molti segni sovranaturali. San Cipriano vescovo di Cartagine scrive a questo proposito quanto segue:

            Iddio ha voluto darci segni terribili per avvisarci dei flagelli che egli era per mandare sopra la terra. Fra gli altri avvi il seguente: Apparve un uomo che qual padre di famiglia stava seduto, ed alla sua destra aveva un giovanetto, che angustiato, con volto tristo e malinconico appoggiava la faccia sopra la mano. Nella parte sinistra aveva un altro giovanetto che tenendo {79 [487]} una gran rete minacciava di volerla stendere e prendere il popolo che vi stava attorno. Pieno di maraviglia fu dimandato che cosa ciò volesse significare, e fu risposto così; il giovane che siede a destra si rattrista e si duole perchè i suoi comandi non sono più osservati; quello poi che sta a sinistra gode e si rallegra perchè gli è data occasione di ricevere la potestà dal padre di famiglia, cioè da Dio, di poter incrudelire. Questa visione, dice S. Cipriano, fu fatta molto prima che scoppiasse la persecuzione. (S. Cip. ep. 8).

            Per questo motivo il santo prelato eccitava il popolo a placare l'ira di Dio con preghiere, con digiuni, e piangendo i proprii peccati. L'istrumento di questa terribile persecuzione fu l'imperatore Decio. Questi era generale, quando mandato da Filippo nella Pannonia e nella Mesia per sedarvi una ribellione di soldati, si ribellò egli stesso contro a Filippo suo legittimo sovrano. L'Imperatore sebbene di età avanzata volle opporsi, e messosi alla testa del suo esercito andò ad incontrare Decio presso alla città di Verona. Lo scontro fu sanguinoso. Filippo perdette l'esercito e la vita. Mentre egli cadeva combattendo a Verona, {80 [488]} suo figlio in età di circa anni 14 era messo a morte a Roma.

            Così l'anno 253 finiva il regno dei due Filippi e lasciava sciolto il freno a Decio di poter infuriare contro i cristiani. Appena salito sul trono pubblicò un editto di persecuzione che diramò a tutti i governatori delle provincie. L'esecuzione fu fatta con sommo rigore. I magistrati non si occupavano d'altro che di immaginar supplizi per tormentare i cristiani. Le prigioni, le verghe, il fuoco, le fiere, la pece bollente, la cera liquefatta, le punte acute, le tanaglie infuocate, erano gli strumenti usati per far patire e mettere a morte i cristiani.

            Il Pontefice S. Fabiano vedendo i gravi pericoli a cui erano esposti i fedeli lavorava indefesso sia per sollevare e consolare quelli che erano nelle carceri, sia nell'assistere ed accompagnare coloro che erano condotti al martirio. Ma non andò molto che egli stesso fu denunziato come cristiano; anzi capo dei cristiani, perciò fu fatto cercare e condotto in prigione. Dopo lunghi e gravi patimenti egli fu condotto al martirio ed ebbe tronca la testa il 20 gennaio l'anno 253, dopo aver governata {81 [489]} la Santa Sede 15 anni e quattro giorni.

            S. Cipriano avendo ricevuto dal clero di Roma la relazione della morte di S. Fabiano, rispondendo si esprime così: «era già corsa voce fra noi, che il glorioso Pontefice Fabiano era morto; e tale notizia vagava incerta quando ho ricevuto una lettera che mi dà piena contezza della gloriosa sua morte.

            Mi sono assai rallegrato in cuor mio che abbia così gloriosamente coronate le fatiche dell'apostolico suo ministero. Voi pure dovete meco moltissimo rallegrarvene.

            Io debbo pur grandemente rallegrarmi con voi perchè celebrate la memoria di lui con tante solennità e venerazione. In questa maniera la gloriosa memoria del Vicario di Gesù Cristo è a voi di gloria, e a noi un bel esempio di costanza nella fede e nella virtù.» (S. Cip. Ep. 4).

            S. Fabiano tenne cinque volte la sacra ordinazione in cui ordinò 22 preti, 7 diaconi, 11 vescovi che mandò in varri paesi. Il corpo di lui fu dai fedeli portato nella via Appia e sepolto nel cimitero di S. Callisto.

            Questo Pontefice fu sempre tenuto in grande venerazione in tutta l'antichità, ed {82 [490]} i fedeli cristiani solevano ricorrere a lui con gran fiducia per ottenere celesti favori. Egli è per questo motivo che il nome di S. Fabiano fu dalla Chiesa collocato nella serie di que' beati comprensori, che per la santità della vita e pei favori che si ottenevano da Dio a loro intercessione, furono a preferenza di tanti altri annoverati tra quelli che formano le così dette Litanie de' Santi.

 

 

Capo XVIII. Missionari spediti nelle Gallie dal Pontefice S. Fabiano.

 

            Fra i vescovi ordinati da S. Fabiano si fa speciale menzione di sette, che furono mandati nelle Provincie della Gallia sia per succedere ai vescovi defunti, sia per stabilire nuove chiese. Perciocchè in ogni tempo da tutta la cristianità fu sempre riconosciuto il Romano Pontefice come capo della Chiesa, da cui hanno sempre i fedeli ricevuto i loro pastori, reputando separato dalla Chiesa di Gesù Cristo chiunque non dipenda dal suo Vicario, o non sia a lui strettamente unito. {83 [491]}

            Le azioni di questi sette vescovi sono a lungo descritte da S. Gregorio vescovo di Tours. Essi sono Trofimo di Arles, Paolo di Narbona, Dionigi di Parigi, Graziano di Tours, Saturnino di Tolosa, Marziale di Limoges ed Austremonio di Alvernia.

            S. Paolo si fermò dapprima in Begiers. Ma lo splendore delle sue virtù e de' suoi miracoli determinò gli abitanti della città di Narbona a chiamarlo presso di loro. Egli lavorò molto, e con una santa morte coronò in pace il suo lungo episcopato.

            S. Austremonio si stabilì nella città di Alvernia, detta più tardi Clermont. Esso coronò le sue apostoliche opere colla palma del martirio.

            S. Marziale predicò il Vangelo in Limoges dove prima del fine di sua vita ebbe la consolazione di vedere abbattuti gli idoli, e la città diventata quasi tutta cristiana.

            S. Graziano fondò la chiesa di Tours. Questa città era in preda alla più sordida idolatria. Egli lavorò per lo spazio di 50 anni pel bene delle anime, e la città divenne poscia un campo de' più fecondi del regno di Gesù Cristo.

            L'apostolo della Francia, S. Dionigi, si avanzò fino a Parigi, ove confermò nella {84 [492]} fede quella florida chiesa fondata da S Dionigi Areopagita nel primo secolo dell'era volgare; mentre molti compagni da Roma mandati sparsero la luce della verità nelle città vicine e fino nel Belgio.

            Tolosa venne illuminata dalla luce del Vangelo precisamente nell'anno 250. Questa città era come la sede della superstizione dei Galli, ed aveva al pari di Roma un tempio che portava, il nome di Campidoglio. Colà si rendevano oracoli, a udire i quali accorreva il popolo da ogni parte. L'arrivo di S. Saturnino impose silenzio ai demonii, e ben presto egli riuscì a guadagnare a G. C. un sufficiente numero di fedeli per fondare una chiesa.

            Il luogo di questo sacro edifizio era assai vicino al Campidoglio di maniera che Saturnino per andarvi dalla sua casa doveva passar innanzi a quel tempio profano. La condotta di lui era attentamente osservata, ed alcuni credettero di accorgersi, che nel momento in cui egli passava, l'oracolo rimaneva muto. I sacerdoti idolatri, afflitti di tal cosa, dichiararono un giorno al popolo, che il capo della setta cristiana, la quale si andava formando in Tolosa, accendeva la collera degli Dei contro a quella {85 [493]} città cotanto favorita dal cielo, e che non era possibile riconciliarsi con essi se non versando il sangue del colpevole. Era questo appunto il momento del sacrifìcio, e già il toro che doveva immolarsi avvicinavasi coronato di fiori e di nastri, allorchè vedendo da lungi Saturnino si esclamò: ecco il nemico de' nostri dei; colui che consiglia di rovinarne i templi, e impedire i loro oracoli. Egli sia preso, sia condotto qui affinchè renda pacifici i nostri protettori prendendo parte a quegli onori che loro noi rendiamo, e divenga egli stesso la loro vittima. A queste parole una turba furiosa afferra il venerando prelato e lo strascina al Campidoglio eccitandolo a sacrificare. Saturnino coraggiosamente rispose: i vostri dei altro non sono che demoni impotenti, perchè temono Saturnino il quale non è che un uomo. La moltitudine era troppo irritata per intendere ragioni. Attaccarono pei piedi il santo vescovo alla coda del toro destinato al sacrificio, e prima di mettere questo animale in libertà lo fecero montare in furia. La testa di Saturnino si spezzò sui gradini medesimi del Campidoglio, e il toro continuò a strascinarlo finchè si ruppe la corda {86 [494]} che lo teneva legato. In tale forma il generoso confessore consumò il suo martirio dopo di aver colà stabilita la fede per modo che potè perpetuarsi dopo di lui. (V. Henrion vol.v. Bercastel vol. 2. Orsi vol. 3).

 

 

Capo XIX. Prigionìa di S. Ponzio. È preservato dall'eculeo, dagli ardori del fuoco. Suo martirio e sepoltura.

 

            S. Ponzio dopo la morte di S. Fabiano, che egli chiama suo padre e maestro, desiderava ardentemente di conseguire anch'egli la corona del martirio, per andarlo a raggiungere nella patria dei beati. Intanto impiegava le sue sostanze, la sua scienza e le sue fatiche nel promuovere la gloria di Dio ed il bene delle anime. Ma il momento di fare tal sacrifizio non sembrandogli ancor giunto segui il consiglio del Signore che dice: Se siete perseguitati in una città, fuggite in un'altra. Ponzio adunque traversò l'Italia e andò in Cimella antica città ai pie delle Alpi vicino a Nizza marittima. Claudio governatore di una parte della Gallia con un suo assessore {87 [495]} di nome Anabio andarono nella città di Cimella per compiere i loro civili doveri. Per cattivarsi la benevolenza del popolo decretarono di fare un sacrificio ai demonii, e a tale scopo innalzarono un tribunale sulla pubblica piazza con ordine di far venire tutti i cristiani a prendervi parte. S. Ponzio fu dei primi ad essere scoperto e condotto al tribunale dal Governatore che cominciò ad interrogarlo così: tu adunque sei quel Ponzio, che non so con quale inganno hai messo sossopra la città di Roma? sei tu colui che con raggiri hai allontanati i pii nostri principi dal culto degli dei?

            S. Ponzio rispose: Io non ho turbato alcuno, neppure ho messo sossopra la città di Roma; quello che ho fatto non te lo nascondo; ho procurato di allontanare tutti quelli che ho potuto dal culto del demonio, per condurli alla conoscenza del vero Dio.

            Il Governatore disse: i miei padroni e principi avendo saputo che tu appartieni a nobile famiglia ti comandano di fare un sacrifizio agli dei. Questo comando deve essere per te un onore; che se mai per qualche frivolo pretesto stimassi di ricusare, {88 [496]} pensaci bene, tu saresti preso, legato e cacciato in prigione con persone vili, e assoggettato a gravi pene.

            S. Ponzio tranquillamente rispose: Non occorre, che io ti faccia alcun mistero: io sono cristiano e per nissun conto posso accondiscendere a far sacrifizi a' tuoi dei, nè mi spaventano le tue minacce; Gesù Cristo è il mio consolatore. Che se perdessi le mie sostanze terrene, guadagnerei le eterne ricchezze del cielo dove godrò un'immensa felicità cogli angeli e co' beati.

            Claudio l'interruppe dicendo: A che portare il discorso sopra cose dubbie evadendo di rispondermi? o che fai sacrifizio agli dei, o che ti assoggetterò a pene atroci.

            Ponzio rispose risolutamente: Te lo dissi, che io sono cristiano, e non mai sacrificherò ai demonii.

            Allora il Governatore lo fece legare strettamente con ordine di condurlo in prigione; prima però di prendere ulteriori determinazioni, scrisse intorno a Ponzio una lettera all'Imperatore. La risposta fu la seguente: Se Ponzio non vorrà sacrificare agli dei, voi siete autorizzato di farlo morire sotto qualsiasi tormento cui stimiate {89 [497]} di assoggettarlo. Claudio allora, fatto condurre Ponzio alla sua presenza, prese a parlare cosi: Ascolta, o Ponzio, ascolta i salutari avvisi de' tuoi signori padroni; essi hanno comandato che o sacrifichi agli dei, o che sii condannato a gravi tormenti, cui terrà dietro la morte.

            Ponzio con animo pacato rispose: Io non ho alcun padrone, neppure altro signore se non il Signor mio Gesù Cristo, il quale mi può liberare, se vuole, da quei tormenti che tu mi vai minacciando.

            Claudio l'interruppe tosto dicendo: Mi stupisco che tu, persona illustre quale sei, sii venuto a tale bassezza da chiamare Signore un uomo povero e senza onore, che da Pilato governatore della Giudea venne condannato a morte. Tu dovresti piuttosto chiamare signori quelli che sono i padroni della repubblica, e che di essa hanno il supremo dominio.

            S. Ponzio ripigliò il discorso e soggiunse: Anch'io mi stupisco che tu uomo ragionevole quale sei, sii giunto a tale segno di demenza da non conoscere il vero padrone del cielo e della terra, e che per la tua salute non isdegnò di farsi povero; e mi stupisco ancor più che tu osi dire {90 [498]} senza onore Colui che in cielo è dai medesimi angeli onorato. E vero che egli fu accusato dai giudei e condannato da Pilato ad essere crocifisso, ma egli sopportò tali cose volontariamente e per la nostra salvezza, e non per necessità come tu vai dicendo. Oh se mai volessi anche tu umiliarti a questo Dio onnipotente! tosto la mente tua sarebbe sollevata al cielo e conosceresti che tu, e i tuoi dei (i quali altro non sono che demonii) siete immersi in profonde tenebre. Imperciocchè i principi tuoi, che tu dici essere i governatori della repubblica, non solo vanno essi all'eterna perdizione, ma seco traggono anche il popolo che loro è soggetto. Aprite adunque gli occhi, perchè, se continuerete in tale empietà, uscirete pur voi da questo secolo, ma nel giorno del giudizio sarete condannati ad una pena eterna insieme con quegli Dei che voi adorate.

            Il Governatore in vece di aprire gli occhi alla verità montò in collera, e presto, disse ad alta voce ai carnefici: preparate gli istrumenti per tormentare: l'eculeo, gli uncini di ferro, le fiaccole ardenti, i nervi ed ogni altro modo di tormentare siano messi in opera. E porche, la pazzia di costui {91 [499]} sia a tutti fatta conoscere, distendetelo sopra l'eculeo e così soffrirà ogni genere di tormento, e noi vedremo se il suo Dio lo potrà togliere dalle mie mani.

            Mentre ora collocato sopra l'eculeo Ponzio disse: sebbene la tua incredulità ti faccia dire che il mio Dio non possa liberarmi, tuttavia io credo che in nome del Signor mio Gesù Cristo gli apparecchi per tormentarmi saranno ridotti al nulla, nè recheranno alcun dolore al mio corpo. Tali parole eccitarono i carnefici ad usare sommo rigore nell'applicare i tormenti. Ma mentre con funi legavano Ponzio sopra l'eculeo e facevano scorrere le girelle per tendere violentemente le membra del santo martire, si ode un rumore a guisa di cupo suono, ed ecco l'eculeo andare in pezzi senza che nulla più fosse veduto. Tutti quelli che erano presenti rimasero atterriti da quel repentino fragore e caddero morti. S. Ponzio allora elevando gli occhi al cielo e senza aver provato il minimo spavento disse a Claudio: almeno ora. o incredulo, impara che il nostro Signore Iddio può liberare dal pericolo i suoi servi, e credi che nel giorno del giudizio egli può condannare {92 [500]} a pene eterne gli iniqui che oltraggiano la sua santa legge.

            Claudio tra la sua collera e lo spavento non sapeva più nè che dire, nè che fare. Anabio lo consigliò ad appigliarsi al seguente partito: Io credo, egli disse, che noi possiamo fare un'altra prova. Al nostro ingresso in questa città ci furono regalati due orsi di maravigliosa grossezza: se tu ben giudichi noi daremo Ponzio a quegli animali, e così non vi sarà più il disturbo della sepoltura.

            La proposizione è accettata, si prepara l'anfiteatro, Ponzio è trasportato in mezzo all'arena; escono tosto due cacciatori, i quali a sferzate eccitano i due orsi contro al servo di Dio. Escono difatto i feroci animali dalle loro tane, e subitamente si avventano contro ai due cacciatori e li fanno a brani. Di poi vengono a S. Ponzio, e come se non osassero nemmeno di andargli vicino, si prostrarono a qualche disianza a terra senza fare male alcuno al martire di G. C. Allora s'innalza unanime un grido fra tutto il popolo esclamando: Il Dio dei cristiani, che Ponzio adora, egli è il solo vero Dio.

            Il Governatore con superbia e con rabbia {93 [501]} si pose a dire ad alta voce. Presto, portatemi qui gran quantità di legno e tutto ciò che può suscitare fuoco e fiamma, e vedremo se questo mago può comandare al fuoco.

Ponzio rispose: Forse conosci in me qualche delitto, per cui io debba essere condannato alle fiamme? Pensaci bene, o Governatore, che avvi un fuoco terribile che non si estingue mai in eterno, quel fuoco aspetta te. In quanto al mio Dio, se egli vuole, può liberarmi siccome ha liberato tre giovanetti da un'ardente fornace.

            Il tiranno fece legare al santo martire piedi e mani, ordinò di collocarlo sopra una grande quantità di legna trasportata nell'anfiteatro, indi comandò di appiccarvi il fuoco. La fiamma si propaga rapidamente, i vortici s' innalzano e fanno un orribile incendio. Consumato quel gran mucchio di legna, cessano le fiamme e apparisce un'ardentissima bragia. Ma quale non fu la maraviglia di tutti quando in mezzo agli ardenti carboni apparve il santo illeso senza che nemmeno l'orlo delle sue vesti fosse stato guasto!

            Il Governatore coll'accento della ostinazione {94 [502]} disse: Forse tu credi di aver superato ogni genere di tormento, e che non vi siano altri supplizi che certamente non avrai a vantarti di aver superato? Di poi cangiando tono di voce e fingendo compassione pel santo martire soggiunse: Ascoltami, avvi qui il venerando tempio di Apolline, vieni, fa un sacrifizio, ed io ti lascierò in pace, e saremo buoni amici.

            S. Ponzio rispose: Io sacrifico volentieri il corpo mio al mio Salvatore Gesù Cristo, perchè finora mi conservò immacolato dalle sozzure degli idolatri. Ma voi ed i vostri principi, che abusate del vostro potere ed opprimete i servi di Gesù Cristo, sarete in breve colpiti dalla divina vendetta.

            Il Governatore per lusingare il santo volle continuare con parole di dolcezza, e prese a parlare cosi: È vero che anche noi abbiamo dovuto essere da te giudicati quando coprivi la tua carica di senatore, epperciò ora vogliamo usarti la medesima clemenza che si suole usare cogli amici. Rifletti un momento che tu appartieni ai senatori, e bada che tu, confidando in non so quale vana speranza, perdi il tuo potere e le tue ricchezze.

            Ponzio sorridendo rispose: Il potere di {95 [503]} questo mondo e le ricchezze sono simili alla nebbia che apparisce al mattino, e che sembra coprir la terra, il mare e i monti; ma ad un semplice soffiar di vento tosto svanisce. Ma la gloria e l'onore che io desidero non sono così; io desidero un potere ed una ricchezza eterna che non si perderanno mai più.

            Allora alcuni Giudei, che erano presenti a quello spettacolo, si posero a gridare ad alta voce: sia ucciso; sia ucciso quello scellerato.

            Ponzio elevando le mani al cielo esclamò: Vi ringrazio, o mio Signore, perchè siccome i padri di costoro gridarono contro G. C. sia crocifisso, sia crocifìsso, così colle stesse voci costoro gridano contro di me.

            Il Governatore trasportato da spirito diabolico esclamò: Costui non solamente fece ingiurie a me, ma ingiuriò i nostri principi e gli stessi nostri dei: perciò sia preso e condotto alla sommità di quel sasso, che è qua vicino, e tagliata la testa, il capo sia gettato nel rio che passa ai pie di esso. Iddio appagò il desiderio del suo servo: egli consumava il suo martirio con aver tronca la testa il dì 14 di maggio Egli lasciava il suo cadavere qui in terra mentre l'anima {96 [504]} sua beata colla palma della vittoria volava gloriosa in cielo.

            Non passò molto tempo che la predizione di S. Ponzio ebbe il suo compimento riguardo a' suoi giudici. Noi vedremo a suo tempo quanto sia stata funesta la fine degli imperatori Valerio e Gallieno sotto cui avvenne questo martirio. Il governatore Claudio ed il suo assessore Anabio, in quell'ora stessa che S. Ponzio venne decollato, furono invasi da uno spirito maligno che li soffocava. Claudio si mordeva la lingua, ne sputava via i pezzi. Anabio poi, uscitigli gli occhi dalle occhiaie, per la forza del dolore e delle convulsioni pativa ogni genere di tormenti. così ambidue quei giudici nel medesimo momento rendettero l'ultimo respiro.

            Nel luogo del martirio del nostro santo in progresso di tempo fu edificato un santuario dedicato a S. Ponzio vicino a Nizza, che maestoso conservasi ancora oggidì. Ivi intervennero ed intervengono tuttora molti fedeli, che nella protezione di S. Ponzio trovarono sempre un potente benefattore che dal cielo venne in loro soccorso nei bisogni spirituali e temporali.

 

FINE. {97 [505]}

 

Indice

 

Capo I. Elezione di S. Ponziano. Il Confiteor nella Santa Messa

Pag. 3

Capo II. S. Ponzio va da S. Ponziano da cui è instruito nella fede

 7

Capo III. Ponzio diventa catecumeno, tratta della fede con suo padre, ed ambidue col rimanente della famiglia ricevono il battesimo

 13

Capo IV. S. Ponziano è mandato in esilio nell'isola di Sardegna. Prima lettera di questo Pontefice

 19

Capo V. Seconda lettera di S. Ponziano

 26

Capo VI. Morte dell'imperatore Alessandro. - Massimino gli succede. - Sesta persecuzione. - La corona del soldato

 37

Capo VII. Morte di S.a Barbara. Patimenti e martìrio di S. Ponziano

 40 {98 [506]}

Capo VIII Errore sulla successione dei Papi. Elezione di S. Antero. Suo viaggio a Roma

Pag. 45

Capo IX. Atrocità di Massimino. Sollecitudine di S. Antero per raccogliere gli atti dei martiri. Suo decreto sulla residenza dei Vescovi. Suo martirio.

 48

Capo X. S. Fabiano. Sua prodigiosa elezione. Protonolari. Suddiaconi regionarii per l' assistenza dei poveri

 51

Capo XI. Morte dell'Imperatore Massimino. Successione di Filippo

 55

Capo XII. S. Ponzio offre le sue sostanze a S. Fabiano a favore dei poveri. Instruisce l' Imperatore nella fede

 58

Capo XIII. S. Ponzio conduce all'Imperatore S. Fabiano che instruisce lui e suo figlio nella fede e ad ambidue amministra il Battesimo

 63

Capo XIV. Filippo proibisce i luoghi {99 [507]} e le canzoni oscene. Sua sommissione a S. Fabiano. - La confessione prima di comunicarsi

Pag. 66

Capo XV. Origene - Sue virtù - Viene a Roma - Sua sommissione alla Chiesa - Sua lettera a S. Fabiano - Sua morte

 69

Capo XVI. Sollecitudini di S. Fabiano pei sacri edifizi. Condanna l'eretico Privato. Suoi scritti

 76

Capo XVII. Settima persecuzione. - Morte dei due imperatori Filippi. Martirio di S. Fabiano

 79

Capo XVIII. Missionarii spediti nelle Gallie dal Pontefice S. Fabiano

 83

Capo XIX. Prigionia di S. Ponzio. E preservato dall'eculeo, dagli ardori del fuoco. Suo martirio e sepoltura

 87

 

 

 

 

Con approvazione della Revisione Ecclesiastica. {100 [508]}

 



[1] V. Bario e Ciaconio in S. Ponziano.

[2] La vita autentica di S. Ponzio scritta da S.Valerio è rapportata dai Bollandisti al giorno 14 di maggio, con molte utili annotazioni.Tutte le cose che diremo di questo Santo, sono letteralmente ricavate da tale documento.

[3] Il Binio nella storia de' Concili tomo 1° riporta queste due lettere con note assai importanti con cui risponde alle difficoltà che i protestanti adducono contro all' autenticità delle medesime.

[4] V. Vittorelli in S. Pongano.

[5] Ciaconio in S. Ponziano.

[6] V. Ciaconio-Vittorelli in S. Ponziano.




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