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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

IL PONTIFICATO DI S CAIO PAPA E MARTIRE

PER CURA DEL SACERDOTE BOSCO GIOVANNI.

 

N.

 

La lett. dell'alfabeto indica il num. de' fascic. delle vite dei Papi.

 

TORINO

TIP. DELL'ORAT. DI S. FRANC. DI SALES

1863. {1 [363]} {2 [364]}

 

 

 

 

INDEX

Capo I. L'era dei Martiri. 3

Capo II. Patria ed elezione di S. Cajo. - Suo decreto sui giudici degli Ecclesiastici. - Le cause degli Eretici e dei Gentili contro ai medesimi non sono da ascoltarsi. 4

Capo III. Tonsura. - Ostiariato. - Lettorato. - Esorcistato. - Accolitato. - Suddiaconato. - Diaconato. - Presbiterato. - Episcopato. 5

Capo IV. Carino e Numeriano imperatori. - La persecuzione di Diocleziano. - Principj di s. Sebastiano. 6

Capo V. S. Cajo manda s. Policarpo in Campania e ritiene s. Sebastiano in Roma. - Esorta i cristiani alla fermezza nella fede. - Zelo del giovanetto Tiburzio. 7

Capo VI. S. Cajo si ritira nella casa di Castulo. - Tiburzio operando un miracolo converte tre infedeli che conduce al Pontefice pel battesimo. 8

Capo VII. Martirio di S. Sebastiano e de' suoi Compagni. 9

Capo VIII. S.Pancrazio e S. Dionigi vanno a trovare il Pontefice da cui sono instruiti nella fede. 11

Capo IX. S. Cajo amministra il battesimo e la cresima a s. Pancrazio e a s. Dionigi - Morte di questo, e martirio di s. Pancrazio. 12

Capo X. Gabinio instruisce Susanna nella virtù e la conduce a s. Cajo. 14

Capo XI. S. Cajo in casa di Gabinio. - Susanna ricusa ogni sorta di nozze e consacra a Dio la sua castità. 15

Capo XII. Cajo Papa parla della fede a Claudio: lo esorta alla penitenza, promettendogli il perdono dei peccati. 16

Capo XIII. Claudio con sua famiglia riceve il battesimo. - Il Pontefice amministra loro la confermazione e la santa Eucaristia. 17

Capo XIV. Carità di Claudio. - L'Imperatore manda Massimo per avere definitiva risposta di Susanna. 18

Capo XV. Massimo in casa di Gabinio e di Cajo è instruito nella fede e domanda il battesimo. 19

Capo XVI. Massimo riceve il battesimo - Distribuisce i suoi beni ai poveri. - Con Claudio riporta la palma del martirio. 20

Capo XVII. Susanna in casa di Diocleziano - Suo martirio - Cajo muta in chiesa la casa di Susanna. 21

Capo XVIII. Martirio di s. Gabinio. - Ultime fatiche e morte di s. Cajo. 22

Capo XIX. Eresia di Gerace. - S. Macario confuta l'eresiarca e lo confonde con un miracolo. 23

Capo XX. Vita, martirio di s. Grisanto e di s. Daria. 24

Capo XXI. Azioni e martirio de' fratelli Ss. Cosma e Damiano. 26

Varietà. Fatto contemporaneo. Una lettera spedita al Cielo. 27

Indice  28

 


Capo I. L'era dei Martiri.

 

            I tre primi secoli della Chiesa si possono appellare trecento anni di sangue e di persecuzione. In questo periodo di tempo la Santa Religione di Cristo fu continuamente oppressa dai gentili, dai principi e dai Sacerdoti idolatri: ma essa protetta dal braccio divino traversò gloriosa in mezzo a quelle dolorose vicende, combattendo troni e monarchi, atterrando ed annientando idoli, templi, filosofi e carnefici. È vero che costò la vita a migliaja e migliaja di martiri; gli {3 [365]}stessi Romani Pontefici, non avendo ancora alcun dominio temporale dove proclamare liberamente la verità del Vangelo, dovettero sostenere l'indipendenza della Chiesa col prezzo della vita. Ma in questi sanguinosi combattimenti la vittoria fu sempre del Vangelo, così che l'umile Chiesa di Gesù Cristo potè stendere il suo regno non solo nel cuore dei sudditi del Romano Impero, sibbene anche salire trionfante sul Campidoglio. La stessa croce avuta sino a quel tempo come segno dispregevole divenne il più glorioso ornamento del trono dei Cesari. Ma chi lo crederebbe? In queste lunghe e sanguinose battaglie i Cristiani non usarono mai altre armi se non la pazienza ed il perdono. La pazienza con cui sostennero ogni genere di tormenti; il perdono rendendo bene per male ai persecutori, pregando Iddio che loro usasse misericordia in contraccambio dei prolungati supplizi che loro facevano patire. Questo si avverò in tutte le antecedenti persecuzioni, ma nella decima specialmente. Questa si appella {4 [366]} persecuzione di Diocleziano, ovvero l’era dei Martiri. Si dice di Diocleziano perchè questo imperatore la decretò, la promosse, e ne portò il rigore alla ferocia. Dicesi poi era dei Martiri pel grande numero di fedeli di ogni età e condizione, che diedero la vita per la fede; per le studiate atrocità che furono poste in opera dai persecutori, ed infine pel coraggio sovrumano con cui i Cristiani sostennero tanti e così prolungati patimenti. L'eroismo cristiano in questa ultima persecuzione andò tant'oltre, che il martirio non era più considerato quale oggetto di affanno, ma piuttosto di giubilo e di piacere. Si vedevano scienziati e donnicciuole, forti guerrieri e fanciulli, uomini delle più ricche famiglie e dei più poveri gareggiare per essere fra i primi esposti ai supplizi. I padri e le madri stimavano il giorno più bello della loro vita quello in cui i proprii figliuoli fossero stati coronati del martirio. I figliuoli poi reputavano segnalato favore quando loro si concedeva di partecipare della morte dei {5 [367]} loro genitori e compiere il martirio per quel ferro e per quel fuoco stesso per cui quelli morivano. Che più? non di rado si videro carnefici, giudici, soldati, tribuni, governatori delle città, generali di eserciti, e talvolta i primi personaggi dello stato, i più stretti parenti degli imperatori, abbandonare impiego, dignità, ricchezze per professare pubblicamente il Vangelo e affrontare con gioja i patimenti del martirio.

            Ora quale fu mai la cagione per cui uomini di tanto diverse condizioni andavano a gara per sacrificare la propria vita? Chi mai potè infondere tanto coraggio nel loro cuore? La risposta ce la dà chiaramente la storia degli stessi martiri: la sola cagione del martirio era il confessare in vista delle più gravi minacce, e dei più gravi supplizi che la vera religione era quella di Gesù Cristo e che Gesù Cristo era vero figliuolo di Dio fatto uomo. Iddio soltanto era colui che colla sua grazia poteva infondere nel cuore di tutti quel coraggio e quella fermezza, {6 [368]} per cui spesso paurosi fanciulli, timide donne diventarono invincibili in faccia ai più formidabili tiranni.

            I Pontefici poi erano di preferenza perseguitati e non potendo avere domicilio sicuro, per lo più dimoravano ora nelle solitudini, ora nelle case dei privati, di rado in casa propria. Ma loro ordinaria dimora era l'esilio, oppure le catacombe. Anzi spesso loro avveniva di dover trattare le cose del Sacro Ministero e difendere e predicare il Vangelo in mezzo ai medesimi carnefici. Ma Iddio fece che questi intrepidi campioni non venissero mai meno. Non mai promessa, lusinga, minaccia o supplizio o morte valsero ad affievolire il loro coraggio. Ucciso uno ne sottentrava subito un altro, che predicava la medesima dottrina, governava la medesima Chiesa, proponeva i medesimi sacramenti, siccome abbiamo veduto praticarsi da tutti i papi da Gesù Cristo fino a S. Cajo di cui intraprendiamo a scrivere la vita. {7 [369]}

 

 

Capo II. Patria ed elezione di S. Cajo. - Suo decreto sui giudici degli Ecclesiastici. - Le cause degli Eretici e dei Gentili contro ai medesimi non sono da ascoltarsi.

 

            Nella Dalmazia sulla riva Orientale del mar Adriatico sorgeva anticamente la città di Salona molto celebre pei personaggi che ivi ebbero il loro natale[1].

            Alla metà del secolo terzo vivevano due fratelli che divennero assai rinomati ambidue ma per ragioni opposte. Uno di nome Cajo che fu modello di virtù e dalla Chiesa venerato come {8 [370]} Santo. L'altro di nome Diocleziano che divenne fatalmente celebre per la lunga e terribile persecuzione da lui mossa contro ai Cristiani[2].

            Cajo aveva due figliuoli uno eziandio di nome Cajo, l'altro Gabinio. Questi si diede alle scienze profane, al commercio, ai pubblici impieghi: Cajo cominciò a provar gusto per le scienze filosofiche ed in generale per le scienze che trattavano di religione. Il padre per secondarlo il mandò a Roma. Qui cominciò a trattar con Cristiani, lesse i loro libri, e innamorato delle bellezze della fede ricevette il battesimo {9 [371]} mentre era ancora in giovanile età. Fatto cristiano prese tanto amore alla religione, e sentissi talmente trasportato alla pratica della virtù che deliberò di abbracciare lo stato ecclesiastico. Compiè regolarmente i suoi studj; passò per tutti gli ordini sacri e fatto sacerdote si mise con zelo a lavorare per la salute delle anime. Faticò non poco nella predicazione del Vangelo durante il Pontificato di S. Felice e di S. Eutichiano, e quando quest'ultimo riportò la corona del martirio egli trovavasi a Roma tutto intento a sostenere i fedeli divenuti il bersaglio della persecuzione.

            La sede Pontificia fu soltanto vacante nove giorni, dopo cui si radunò il clero Romano ovvero i Cardinali ed elessero Cajo che fra tutti risplendeva per dottrina, santità e miracoli.

            Esso è il ventesimonono nella serie dei pontefici dopo Gesù Cristo; la sua elezione succedeva il 16 dicembre del 283 mentre era Caro imperatore. Quando s. Cajo intraprese il governo della Chiesa Universale non vi era alcun {10 [372]} decreto speciale che comandasse di perseguitare i cristiani; ma si lasciavano in vigore varie leggi per cui potevano essere favoriti o perseguitati, secondo la bontà o la malvagità dei giudici e dei governatori. La elezione di s. Cajo passò qualche tempo inosservata onde il novello Pontefice diè tosto mano a mettere in ordine alcune cose messe sossopra dalle antecedenti persecuzioni.

            Cominciò dallo stabilire diverse regole da osservarsi tra i fedeli quando avessero dovuto comparire dinanzi ai tribunali civili; e considerando che i semplici laici non sono giudici competenti nelle cose di religione decretò che i sacerdoti non fossero citati davanti a giudici laici. Pel contrario stabilì un tribunale ecclesiastico dove si dovessero trattare le cause che in qualche modo riguardassero alla religione od ai ministri della medesima. Questa legge ecclesiastica fu sempre nei tempi posteriori osservata nella Chiesa, la quale non ricorse mai ai giudici civili nelle questioni religiose {11 [373]} o riguardanti ai sacri ministri. Questo aveva già prescritto s. Paolo nella lettera scritta ai fedeli di Corinto; V. Burio e il libro pont.

            S. Cajo riparò un altro disordine prodotto dall'odio degli eretici e dei pagani contro a' cristiani. Spesso avveniva che quando un cristiano era accusato non altro scampo gli rimaneva che sottoporsi alla sentenza, giusta od ingiusta che fosse. Il Santo Pontefice considerando che cotali delazioni provenivano per lo più da odio o da spinto di vendetta, decretò che le deposizioni, le accuse fatte dagli eretici o dai gentili contro ai cristiani non fossero di alcun valore; luogo citato.

            Ma la cosa, che rese assai notevole il pontificato di s. Cajo, fu l’avere stabilito che niuno potesse salire al Vescovado, senza prima passare per tutti gli ordini ecclesiastici. {12 [374]}

 

 

Capo III. Tonsura. - Ostiariato. - Lettorato. - Esorcistato. - Accolitato. - Suddiaconato. - Diaconato. - Presbiterato. - Episcopato.

 

            L'ordine ovvero la sacra ordinazione è un Sacramento instituito da Gesù Cristo, e con esso si conferisce la podestà di esercitare il ministero sacerdotale. Che sia stato instituito da Dio apparisce dal Vangelo e dalle parole degli Atti degli Apostoli dette a s. Paolo e a s. Barnaba: Attendete a voi ed a tutto il vostro gregge, in cui lo Spirito Santo vi pose Vescovi a governare la Chiesa di Dio; Att. Apost. 20, 28.

            La Chiesa Cattolica considera come eretico chiunque nega essere la sacra ordinazione un Sacramento instituito da Nostro Signor Gesù Cristo.

            Sebbene la sacra ordinazione sia un solo sacramento, nulladimeno costituisce una gerarchia per modo che {13 [375]} da ordini minori quasi come preparazione e per gradi si passa agli ordini maggiori. Questi ordini sono sette: Tonsura che è come l'introduzione agli ordini minori, Ostiariato, Lettorato, Esorcistato, Accolitato, Suddiaconato, Diaconato, Presbiterato, e in fine quello che è il complemento e supremo grado della gerarchia, l'Episcopato. Noi daremo breve spiegazione di ciascuno affinchè i fedeli capiscano quali prove e quale santità richieggansi in coloro che desiderano di salire al Sacerdozio.

            Tonsura. La tonsura non è ancora un ordine propriamente detto, sibbene una semplice cerimonia ecclesiastica con cui un laico viene ascritto nel numero dei Chierici. La tonsura dicesi anche cherica e si porta rotonda sul capo in memoria della corona di spine da cui fu addolorato il santo capo del Salvatore nella sua passione.

            Ostiariato. L'ostiariato è il primo dei quattro ordini minori e si definisce un ordine con cui si conferisce ad alcuno la potestà di aprire la chiesa {14 [376]} ai fedeli e di chiuderla a quelli che ne fossero indegni. Onde un cherico che sia ostiario deve custodire le porte della chiesa, chiuderle agli scomunicati ed ai pubblici peccatori che cercassero di turbare le sacre funzioni. A lui tocca suonare le campane a tempo debito per convocare il popolo alle funzioni religiose.

            Lettorato. Il secondo ordine minore è il lettorato. Per mezzo di esso il cherico riceve la podestà spirituale di leggere nelle chiese le Sacre Scritture e di instruire il popolo nelle verità della fede, di fare il catechismo ai fanciulli e di spiegare ai semplici fedeli i principali misteri della fede.

            Esorcistato. Il terzo ordine minore è l'esorcistato. Per mezzo di esso si dà la facoltà al chierico di cacciare il demonio da quelli che ne fossero invasi. Questa facoltà per altro non si può esercitare senza l'autorizzazione del vescovo che non la concede se non in casi particolari e soltanto ai preti che siano assai conosciuti per virtù e per dottrina. {15 [377]}

            Accolitato. Il quarto ordine minore è l'accolitato con cui si conferisce al chierico la facoltà di preparare le ampolle del vino e dell'acqua per la santa messa e di porgerle al Suddiacono nelle messe solenni e di portare i lumi quando si canta il Vangelo.

            È bene qui di notare che talvolta nelle solenni funzioni, non potendosi avere chierici già insigniti degli ordini che dovrebbero esercitare, soglionsi usare semplici cherici ed anche laici con abito ecclesiastico pel decoro del divino servizio.

            Suddiaconato. Il suddiaconato è un ordine con cui si conferisce al chierico la facoltà di servire al diacono nelle Messe solenni. Il principale suo ufficio è di preparare la patena coll'ostia, il calice col vino e porgerli al Diacono nella messa solenne. È parimente suo ufficio di leggere l'epistola. Anche qui non potendosi talvolta avere un suddiacono per le funzioni solenni si suole sostituirgli un semplice chierico che per altro si veste degli stessi abiti, ma senza manipolo. {16 [378]} Dai più remoti tempi il suddiaconato è considerato fra gli ordini maggiori, e coloro che desiderano di esserne insigniti devono far voto di perpetua castità, recitare l'uffizio ecclesiastico ossia il breviario ed avere un titolo ovvero il patrimonio ecclesiastico.

            Diaconato. È questo un ordine sacro con cui si dà al suddiacono la facoltà di servire più da vicino al Sacerdote nelle solenni funzioni e di cantare il Santo Vangelo. I diaconi possono anche predicare, amministrare il Sacramento dell'Eucarestia e del Battesimo in certi casi particolari. I primi diaconi furono consacrati dagli Apostoli poco dopo la venuta dello Spirito Santo. Ne elessero sette fra cui Santo Stefano.

            Presbiterato. Il presbiterato si suole definire un ordine con cui si dà al diacono la facoltà di consacrare il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo, di assolvere dai peccati e di instruire il popolo cristiano nelle verità della fede.

            Episcopato. L'episcopato è l'ordine supremo ossia l'ultimo dei gradi della sacra ordinazione, con cui si {17 [379]} conferisce al Sacerdote la podestà di amministrare il Sacramento della Confermazione, di dare gli ordini sacri e di governare i fedeli ed i sacerdoti della rispettiva diocesi con dipendenza dal Sommo Pontefice.

            Debbo qui avvisare il lettore che s. Cajo non è l'institutore di questi ordini; imperciocchè essi furono sempre praticati nella Chiesa, e noi ne abbiamo già più volte parlato nella vita dei Sommi Pontefici. Ma per la violenza delle persecuzioni si trascuravano alcune cose, che riguardavano alle cerimonie, agli uffizi, attempo ed al modo di conferire questi ordini. S. Cajo mise in vigore quanto erasi in passato praticato e decretò che niuno potesse prendere un ordine superiore senza essere prima insignito degli ordini inferiori e dopo di averli qualche tempo esercitati nella Chiesa. {18 [380]}

 

 

Capo IV. Carino e Numeriano imperatori. - La persecuzione di Diocleziano. - Principj di s. Sebastiano.

 

            Con un po' di tranquillità passava l'anno primo del pontificato di s. Cajo quando un avvenimento inaspettato turbò di nuovo la pace della Chiesa e diede non poco a faticare al Santo Pontefice.

            L'imperatore Caro mentre andava a combattere contro ai Persiani fu colpito dal fulmine e privato di vita. A lui succedettero Carino e Numeriano suoi figliuoli il cui regno fu molto breve, ma abbastanza lungo perchè la persecuzione contro alla Chiesa potesse procurare il martirio a molti cristiani. Se non che questa persecuzione fu soltanto la preparazione ad un'altra assai più tremenda suscitata dall'imperatore Diocleziano. Come si è detto costui era zio di s. Cajo, e con lui aveva passata la sua giovinezza. Arruolatosi come semplice soldato in {19 [381]} breve tempo col valore e col coraggio giunse ai primi gradi della milizia. L'anno 284 essendo stato ucciso Numeriano, veniva egli stesso proclamato Imperatore. Desideroso di far cosa grata a' suoi sudditi decretò che la sola idolatria fosse la religione dell'Impero, pena la morte a chi pubblicamente non la professasse. Siccome poi il suo decreto tendeva a distruggere il cristianesimo, così egli aggiunse che niuno potesse più nè vendere nè comperare cosa alcuna se prima non offeriva incenso agl'idoli. Quindi sugli angoli dei palagi, delle vie, delle piazze; accanto ai pozzi, alle fontane, alle botteghe de' commestibili cransi poste delle piccole statue rappresentanti idoli, e niuno poteva fare acquisto di cosa alcuna se prima non faceva un sacrifizio a quell'idoletto. Di qui cominciò la decima persecuzione sotto a Diocleziano, comunemente appellata l'era dei Martiri[3]. {20 [382]}

            In mezzo a questi gravi pericoli s. Cajo adoperavasi con tutte le sue forze per provvedere ai bisogni della Chiesa. Mandava nuovi sacerdoti in varie parti del Romano Impero a propagare la fede e a confortare coloro che erano esposti al pericolo di perderla. Essendo poi in Roma il centro della persecuzione egli metteva in opera ogni sorta di industria per impedire la prevaricazione. Radunò intorno a se i più fervorosi Cristiani laici e sacerdoti, e dando loro opportune istruzioni stabilì in quali luoghi della città dovessero specialmente trattenersi per promuovere il bene delle anime. Celebre fra gli altri è s. Sebastiano[4] che era un {21 [383]} prode generale e dei più confidenti el medesimo imperatore. Esso disimpegnava i suoi doveri di valoroso e diligente militare e in segreto professava fervorosamente la religione cristiana. Il Santo Pontefice ravvisando in questo giovine militare un cristiano pio, dotto, prudente, ed intrepido in mezzo a tutti i pericoli lo costituì difensore della Chiesa Romana. La dignità di difensore della Chiesa consisteva specialmente nel raccogliere e conservare le memorie, i detti, le azioni dei martiri, e nel promuovere cogli scritti, colle opere e coi discorsi tutto ciò che potesse contribuire all'incremento e splendore della Chiesa.

            Marco, Marcelliano, Tranquillino, e lo stesso prefetto di Roma di nome Cromazio con tutta la sua famiglia con più di mille persone, tutti i servi furono guadagnati alla fede da Sebastiano e dal santo Pontefice accolti nella Chiesa.

            Cajo ringraziava Iddio delle molte conversioni che per opera di Sebastiano succedevano, e intanto procurava {22 [384]} di servirsi dei mezzi intellettuali ed anche materiali dei novelli convertiti per fare del bene agli altri. Mandò egli un giorno a chiamare Cromazio che era uomo ricchissimo e già divenuto fervoroso cristiano. Cromazio, gli disse, Dio ti aprì una strada per impiegar bene le tue ricchezze: tu vedi le angustie e le necessità in cui sono posti i tuoi fratelli cristiani, loro è tolto il mezzo di poter vivere senza perder l'anima o la vita. Tu che sei ricco e potente puoi liberarli da questo pericolo. Considera tutti i cristiani come figliuoli tuoi siccome sono tutti figliuoli di Dio. Esso te li raccomanda per mezzo mio affinchè tu li mantenga colle tue ricchezze e ne avrai un dì largo guiderdone.

            Nulla più stava a cuore a Cromazio che poter santamente impiegare le sue sostanze; per mezzo de' suoi amici fece raccogliere nascostamente quanti cristiani potò nel suo palazzo. Colà egli, come a propria famiglia, dava loro per amor di Dio ogni giorno il necessario mantenimento. Così per mezzo {23 [385]} dei poveri metteva le sue ricchezze in mano di Dio da cui ne attendeva il cento per uno.

            Ma tante erano le spie poste ad ogni luogo per andar in traccia di cristiani, che Cromazio giudicò necessario uscir di Roma per sottrarsi agli occhi degli esploratori. Adducendo per motivi la sua età e le sue infermità dimandò ed ottenne dall'imperatore di potersi condurre a vivere in un suo grande e bellissimo tenimento che possedeva nella Campania sulle rive del mare Mediterraneo. Partendo da Roma disse al papa e a s. Sebastiano, che tutti i cristiani i quali avessero voluto fuggire la rabbia de' persecutori avrebbero potuto liberamente andare con lui, dove sarebbero ben accolti, mantenuti e provveduti di quanto occorreva per la vita. {24 [386]}

 

 

Capo V. S. Cajo manda s. Policarpo in Campania e ritiene s. Sebastiano in Roma. - Esorta i cristiani alla fermezza nella fede. - Zelo del giovanetto Tiburzio.

 

            Molti partirono alla volta della Campania, parecchi altri rimasero in città. Ma trattandosi di mandar qualcheduno ad assistere quei novelli cristiani e continuare ad istruirli nella fede, nacque una gara fra s. Policarpo e s. Sebastiano. Uno di loro doveva essere mandato per accompagnarli ed avere cura delle anime loro; l'altro doveva rimanere presso al Pontefice per confortare i martiri alla costanza nella fede; che è quanto dire trovarsi ogni momento al pericolo della morte. Ambidue amavano di rimanere in Roma per combattere e morire per amore di Gesù Cristo.

            Commosso a que' replicati segni di fervore il Santo Pontefice sciolse la {25 [387]} gara con queste parole: Voi, o prodi, desiderate ambidue ardentemente la corona del martirio, e non pensate a quella povera gente testè da voi guadagnata a Gesù Cristo. Se lasciate andar quelle anime senza che alcuno di voi le instruisca e le conforti, sarebbero esposte a grave pericolo. Ceda adunque uno di voi al bisogno dei fratelli, e sii tu, o Policarpo, come sacerdote e più instruito nella scienza sacra, destinato ad accompagnare e sostenere nella fede questi novelli discepoli di G. Cristo. Si compia così sopra di te e sopra di loro la divina volontà.

            Policarpo, che era uomo di grande virtù, sebbene gli rincrescesse di rinunziare alla palma del martirio che già gli pareva tenere in mano, tuttavia per ubbidire al s. Padre e per amore di que' fedeli di buon grado si arrese e si apparecchiò alla partenza. Di poi s. Cajo voltosi a Sebastiano disse: tu, o Sebastiano, che da Dio avesti il dono del coraggio e della fortezza, e puoi sotto alle divise militari {26 [388]} liberamente assistere gli altri fratelli rimasti qui a Roma, dove minaccia terribile persecuzione, sii da me nominato difensore della Chiesa.

            S. Sebastiano accettò quella carica e raddoppiò di zelo per mostrarsene degno. Intanto venne la domenica e Cajo invitò i cristiani a radunarsi nella casa di s. Cromazio per ascoltare la s. messa. Terminata che fu il santo Pontefice si volse ai Fedeli radunati e tenne loro questo discorso: Gesù Cristo Signor nostro conoscendo le debolezze umane ha posto innanzi due gradi di perfezione a' suoi servi; l'uno del martirio, l'altro della confessione del suo santo nome. Ciascuno di voi pensi a se stesso e consulti le sue forze. Chi paventa i tormenti pigli la strada e se ne vada con Cromazio fuori della battaglia contentandosi di essere confessore del nome di Gesù Cristo col lodarlo e benedirlo. Quelli poi che sentonsi più forti e pronti a combattere e morire rimangano meco con Sebastiano. Gli altri ci ajutino colle loro preghiere ed abbiano il conforte {27 [389]} del prete Policarpo e di Tiburzio.

            Questo Tiburzio era figliuolo del Prefetto Cromazio. Egli aveva intrapreso lo studio delle leggi e per ingegno e per ricchezze vedovasi aperta la più luminosa carriera nel mondo. Ma instruito nella fede da s. Sebastiano ricevette il Battesimo e rinunziò ad ogni studio e ad ogni speranza mondana consacrando tutta la sua vita all'amore di Gesù Cristo. Per essere da poco tempo battezzato ed in età molto giovanile il Pontefice non giudicava di ritenerselo seco a Roma e voleva mandarlo col padre fuori di pericolo; ma altro era l'animo ed il coraggio del giovane. Sentendosi egli così annoverato coi deboli fuor della pugna acceso di fede e di fervore alzò la voce e disse: Deh padre Santo e Vescovo di tutta la Chiesa, perchè tu mi allontani dalla gloriosa compagnia dei soldati più animosi di Gesù Cristo? Vuoi tu ch'io volti le spalle al nemico fuggendo la persecuzione? Credimi, o Santo Padre, io non sento nè paura nè timore della morte, anzi avrei caro {28 [390]} e mi riputerei a somma gloria il morire non una, ma mille volte per onore di Gesù Cristo vero Dio. Io guardo con ansietà la corona di gloria, ed aspetto impaziente quella vita beata ed immortale che nessuno mi potrà togliere e che non finirà più. Permettimi adunque di rimaner teco al cimento cogli altri, e non temere di me che coll'ajuto del Cielo mi sento animo di affrontare ogni pericolo e reggere a tutte prove.

            Il santo Pontefice maravigliato a tanto fervore scioglievasi in lagrime ed abbracciando Tiburzio mille volte il benedisse pregando Iddio per lui e per tutti quelli che restavano a Roma, affinchè dall'esempio di quel giovanetto animati tutti arrivassero alla corona del martirio pei meriti di Gesù Cristo. {29 [391]}

 

 

Capo VI. S. Cajo si ritira nella casa di Castulo. - Tiburzio operando un miracolo converte tre infedeli che conduce al Pontefice pel battesimo.

 

            Quando Cromazio partì per la sua villeggiatura con que' fedeli che lo vollero seguire il Pontefice coi due fratelli Marco, Marcelliano e col padre loro Tranquillino rimasero in Roma. Con essi erano molti altri guidati da s. Sebastiano, tutti pieni di coraggio e ansiosi di dare la vita per la fede.

            Ma saputosi il sito dove solevano radunarsi i cristiani, Cajo non si giudicò più sicuro nella casa di Cromazio da lui cangiata in Chiesa, e andò ad abitare in casa di certo Castulo Zettario dell'imperatore. Zettario dicevasi il capo cameriere della casa imperiale. Esso abitava nel medesimo palazzo, ma nelle camere più elevate dell'edifizio. Il santo Pontefice si pensò di essere colà sicuro perchè niuno sarebbesi {30 [392]} immaginato, che i cristiani avessero voluto radunarsi nella reggia medesima dell'imperatore loro acerbissimo nemico. Cajo prese una camera di quelle abitate da Castulo e la mutò in una chiesa.

            Esercitando colà il sacro suo ministero, ordinò prete Tranquillino e consacrò diaconi i due figliuoli di lui Marco e Marcelliano.

            Con Cajo dimoravano molti altri fedeli passando i giorni e le notti nel digiuno e nella preghiera. I cristiani che occultamente vivevano nella città avendo inteso essersi formata una chiesa nella casa di Castulo sceglievano tempo opportuno per recarsi ad ascoltare la parola di Dio e rinforzarsi mercè la presenza e le parole del Vicario di Gesù Cristo. Colà parimenti menavano infermi, paralitici, zoppi, ciechi, e quei santi amici di Dio pregando per loro o solamente toccandoli rendevano a quei miserabili la sanità. Mentre queste cose avvenivano in casa di Castulo accadde un fatto maraviglioso per le vie di Roma. {31 [393]}

            Un giorno Tiburzio si abbattè in una folla di gente atterrita da sinistro accidente. Un giovanetto caduto da un luogo assai alto sopra il selciato erasi rotta la testa e fracassato tutto il corpo per modo che giaceva morto sull'angolo di una piazza. I parenti oppressi dal dolore si preparavano a dargli sepoltura. Tiburzio alla vista della costernazione dei genitori del giovane, fu eziandio egli commosso, e desideroso di recar qualche conforto loro si accostò e disse: Volete ch'io faccia una prova per questo vostro figliuolo e che reciti presso di lui un certo mio canto? Forse lo riavrete sano. Ben volentieri, risposero i parenti e gli fecero luogo. Egli si accosta all'orecchio del defunto e gii recita il Pater noster ed il Credo.

            Mentre egli faceva questa orazione ecco tutte le ossa già stritolate e sconnesse, davanti agli occhi della moltitudine, si rassodarono per modo che egli prese respiro e ritornò sano e fresco come prima. Tiburzio ringraziò Iddio e voleva andarsene, ma i buoni genitori lo ritennero dicendogli: Questo {32 [394]} nostro figliuolo era morto ed ora vive per opera tua; egli è cosa tua; ricevilo per tuo servitore e con lui noi ti diamo tutte le nostre sostanze; anzi ci offriamo noi medesimi per tuoi servi.

            A queste parole Tiburzio soggiunse: Da che voi volete ricompensarmi della vita renduta a vostro figliuolo, io vi dico che non vorrei questa vita che voi mi offerite, ma ne vorrei un'altra assai più preziosa. Trattili quindi in disparte li instrui brevemente intorno alla dottrina del Signor nostro Gesù Cristo e intorno alla virtù del suo santo nome. Credete in lui, conchiuse, ed io mi terrò abbastanza ricompensato di questo servigio. Mossi tutti dal miracolo operato, e dalle instruzioni ricevute e vie più dalla grazia di Dio che operava nel loro cuore credettero tutti in Gesù Cristo.

            Tiburzio allora li condusse dal santo Pontefice e mostrandoglieli così disse: Vedi ora, o Padre Santo, vedi costoro? Essi sono il primo frutto della mia fede, sono tre anime che ho guadagnato {33 [395]} al Cielo. Il santo Pontefice li interrogò intorno a più cose e scorgendoli abbastanza instruiti e fermi nella fede, se ne rallegrò con Tiburzio, ringraziò Iddio, di poi amministrò a tutti e tre il sacramento del Battesimo.

 

 

Capo VII. Martirio di S. Sebastiano e de' suoi Compagni.

 

            Il tempo di una prova terribile si avvicinava ed i fedeli dovevano sostenere una grande battaglia. La prima cui toccò questa bella sorte fu Zoe moglie di Nicostrato, la quale per opera di s. Sebastiano aveva acquistato l'uso della favella. Questa donna soleva recarsi, come facevano gli altri cristiani, alla tomba di s. Pietro per dimandare da Dio fortezza nella fede, e fu appunto sorpresa nell'atto che faceva colà orazione. Legata con catene venne tosto condotta dal giudice che la sottopose a molti interrogatorj, le fece patire vari tormenti, ed in fine {34 [396]} fu gettata nelle fiamme ove rimase soffocata. Poco dopo Tranquillino era condannato a morire sotto una pioggia di pietre che gli furono scagliate addosso.

            A poca distanza sulle rive del Tevere passeggiavano Nicostrato marito di Zoe con Claudio suo amico. Furono ambidue presi e dopo di essere stati in molte guise tormentati si legarono loro grosse pietre al collo e furono gettati nel Tevere. Indi a poco Tiburzio ebbe tronca la testa. Marco e Marcelliano attaccati pei piedi in alto furono fatti morire a colpi di freccia e di lancia. Molti altri fedeli furono contemporaneamente martirizzati.

            Il sostegno di quei valorosi, l'animo per così dire di quei confessori della Fede era Sebastiano. Vestito da militare egli penetrava nelle carceri, negli ospedali, in faccia ai giudici e in mezzo ai medesimi carnefici, dove animava i martiri alla perseveranza additando il paradiso che loro già stava aperto.

            Ma il prefetto di Roma essendone {35 [397]} stato informato lo denunziò all'Imperatore che tosto lo fece venire alla sua presenza. Diocleziano cominciò a parlargli così: Mi hai veramente ricompensato dell'onore che ti feci! Ti ho tenuto nel numero de' miei più cari amici, nel mio medesimo palazzo, vicino a me, nei primi gradi della milizia; e tu abusando della mia benevolenza mi ti sei ribellato, hai disprezzato la vita mia e gli Dei dell'impero.

            Sebastiano che era coraggioso soldato ed intrepido Cristiano con fermezza prese a rispondere così: Della tua vita, o Principe, non hai più caldo e tenero sostenitore di me; l'onore ch'io rendetti e che rendo tuttora a Gesù Cristo riguarda alla tua salute e a quella dell'impero: non ho adorato nè posso adorare i tuoi Dei, perchè ho creduto e credo essere da pazzo il porre speranza in sassi lavorati dalla mano degli uomini.

            Questa risposta fece montare in furore Diocleziano che interrompendo ogni discorso comandò che in mezzo {36 [398]} de' suoi soldati legato ad un palo, fosse come un bersaglio da saettatori trafitto da freccie in tutto il corpo. Legato tosto ad uno stipile fu dall'esercito con un nembo foltissimo di dardi saettato per forma che il suo corpo rimase coperto da acuta e dense saette. Reputandolo morto i soldati se ne andarono. Una donna di nome Irene segretamente cristiana e cameriera dell'imperatore accorse di notte con altri fedeli per dare sepoltura al corpo del Santo Martire. Ma che? trovò che era vivo. Piena di maraviglia il condusse a casa sua, che era quella del fervoroso Castulo di lei marito. Curandogli diligentemente le ferite in pochi giorni ritornò sanissimo.

            I fedeli Cristiani colle lagrime agli occhi lo pregarono di fuggire, e così evitare lo sdegno del principe furibondo. Ma Sebastiano non era uomo da parlargli di fuga, o di salvare la vita. Egli, fatta a Dio orazione e abbandonandosi nelle mani della divina provvidenza, discese dalla camera e {37 [399]} andò giù a fermarsi sopra certa gradinata detta di Eliogabalo dove soleva passare l'imperatore. Diocleziano al primo vederlo rimase spaventato pensandosi di vedere uno spettro, ma Sebastiano cominciò tranquillamente a parlargli così: I vostri pontefici istigandovi contro ai Cristiani li calunniano chiamandoli vostri nemici, e nemici della Repubblica, quando al contrario ne sono i proteggitori e il sostegno pregando Iddio per la prosperità dell'Imperatore e dei sudditi.

            A Diocleziano sembrava un sogno quanto realmente accadeva, credendo che Sebastiano fosse realmente morto. Come, disse, sei tu veramente quel Sebastiano che io aveva comandato che fosse ucciso colle saette? Sono desso appunto, rispose il Santo e riconosci la grazia del mio Signor G. Cristo, che amandoti e volendoti condurre a conoscere la verità ha per te fatto questo miracolo che tu vedi, risuscitandomi da morte a vita per mandarmi anche a dirti di non credere alle colpevoli suggestioni dei nostri nemici che ci {38 [400]} calunniano presso di te e per protestare in faccia di tutto il popolo essere ingiusta la persecuzione che tu hai mossa contro ai Cristiani.

            Anche questa grazia tornò inutile a quel principe, anzi troncando il discorso del Santo lo fece tanto battere con bastoni che spirò 1'anima sotto ai colpi di quelli. Il corpo rimaneva nelle mani dei carnefici, ma l'anima volava gloriosa a ricevere da G. Cristo la corona di gloria immortale. La Chiesa Cattolica celebra la festa di S. Sebastiano il giorno del suo martirio che avvenne il 20 Gennajo l'anno 289. In tutta l'antichità si ebbe grande venerazione a questo glorioso eroe della fede, e la Chiesa Cattolica lo annovera nella serie dei più luminosi modelli di virtù che formano le Litanie dei Santi. {39 [401]}

 

 

Capo VIII. S.Pancrazio e S. Dionigi vanno a trovare il Pontefice da cui sono instruiti nella fede[5].

 

            Fra quelli che numerosi furono ricevuti da s. Cajo nella fede, mentre viveva nelle catacombe, fu il glorioso s. Pancrazio con s. Dionigi suo zio. Questo giovinetto era nato in Sinnada città della Frigia nell'Asia Minore. I suoi genitori annarlenevano alle più illustri e ricche famiglie di quel tempo, ma essendo idolatri ignoravano le verità del Vangelo. Costoro morirono {40 [402]} quando Pancrazio toccava appena l'età di anni 10. Il padre morendo lo affidò a suo fratello Dionigi, che poco dopo la morte dei genitori giudicò bene di trasferirsi col nipote a Roma. Suo scopo era di poter meglio amministrare i beni che Pancrazio possedeva pressola capitale del Romano Impero, ed anche procurare al medesimo maggior comodità d'instruirsi nelle scienze. Andò a fissare dimora in un suo podere che racchiudeva un aggregato di case detto Cuminiana sopra il monte Celio proprio vicino a quel sito ove oggidì sorge la Chiesa di s. Giovanni in Laterano. Intorno al monte Celio eranvi molte caverne, o catacombe, alcune fatte dalla natura, altre a bella posta scavate. In uno di questi antri stava nascosto s. Cajo.

            La moltitudine de' miracoli che questo santo Pontefice operava, e le luminose virtù che praticava giunsero a notizia di Pancrazio e di Dionigi. Per soddisfare ad una innocente curiosità risolsero di andar anch'essi {41 [403]} a vedere quell'uomo che èra divenuto l'oggetto dell'ammirazione di tutti i buoni.

            Giunti all'entrata di quel sotterraneo si misero a picchiare. Corse il portinajo del papa, di nome Eusebio, uomo da tutti tenuto in fama di grande santità, totius sanctitatis vir[6]. Aprì questi una finestrella che colla sua picciolezza davagli agio di vedere gli altri senza essere veduto. Alla vista dei due cavalieri Pancrazio e Dionigi posti ginocchioni appiè della porta, dimandò che cosa chiedessero. Chiediamo, risposero, di essere ammessi all'udienza del Pontefice.

            Eusebio li assicurò del pronto suo ufficio, e partecipò l'ambasciata al papa dicendo: Beatissimo Padre, sono alla porta due illustri personaggi che dimandano di essere ammessi alla vostra presenza.

            Il Pontefice aveva già avuto poco prima rivelazione di due pecore erranti che cercavano salvezza. Perciò {42 [404]} alle parole di Eusebio provò grande allegrezza e ringraziò Iddio dicendo: Vi ringrazio, o Signor mio Gesù Cristo re dei Re e Signore dei Signori, che vi siete degnato di far conoscere me ultimo dei vostri servi a quelle anime da voi elette. Dipoi comandò che fossero immediatamente introdotti.

            Come furono alla sua presenza, non proferendo parola si prostrarono ai suoi piedi. Che volete da me, disse cortesemente il Pontefice. Noi vogliamo, risposero, che ci facciale conoscere quel Dio che voi stesso adorate. Il Pontefice li pregò di alzarsi in piedi assicurandoli che sarebbesi adoperato di far loro conoscere il vero Dio, e la santa sua legge, poscia soggiunse: Dio vi benedica e vi sia ognor propizio. Egli ha ascoltate le vostre suppliche. Ora calmate i vostri affanni e rallegratevi nella divina bontà che è infinita ed incomprensibile. Mediante il Battesimo voi presto giungerete al possesso della fede Cristiana, consolatevi di poter conoscere il Dio dei Cristiani che è tanto buono e che {43 [405]} già vi ha fatto tanti benefizi. Quando lo avrete conosciuto voi proverete certamente grave rincrescimento per aver cotanto ritardato di venire a lui.

            Per un mese Dionigi e Pancrazio si recarono ogni giorno dal Pontefice per essere instruiti nella fede. Tutte le verità di nostra santa religione facevano grande impressione in queste menti in modo straordinario illuminate dalla divina grazia. Ma quando Cajo giunse a spiegare come il Battesimo era la chiave che chiudeva loro le porte dell'inferno ed apriva quelle del paradiso, facendoli veri figli di Dio, ed eredi di una felicità infinita si sentirono ardere del più vivo desiderio di riceverlo al più presto possibile.

            Rivolgendo pertanto il loro discorso al Papa, perchè, dicevano, prolungate di più le nostre pene, perchè differite, o Beato Padre, di aprirci colle vostre chiavi quel cielo di cui Iddio vi ha fatto usciere? Perchè non lavar tosto le macchie delle anime nostre coll'acqua del Santo Battesimo? temete {44 [406]} forse che le persecuzioni debbano far vacillare la nostra costanza? No, no, non sarà. Quel medesimo Iddio onnipotente che a tanti Cristiani ha già infuso forza e coraggio da disprezzare onori, ricchezze e piaceri per amor suo, infonderà la medesima forza e il medesimo coraggio a noi e ci renderà forti e pronti anche a dare la vita per amore di quel Gesù che prima è morto per noi. Ah sì, ci sarà di gioja e non di pena il patire per voi, si per voi, amorosissimo Iddio, che per nostro amore avete tanto patito!

            Il Pontefice non istimò di differire più a lungo il Battesimo, ma prima di amministrarlo indirizzò loro queste parole: Miei figli, godo che la grazia di Dio siasi diffusa nei vostri cuori, e vi abbia fatto conoscere la verità. Egli è la luce, la vita, la verità, e chi vive lontano da lui vive nelle tenebre, nell'errore e nelle ombre di morte. Ma notate bene che il nostro Dio non è come gli Dei del Paganesimo. Egli solo è eterno, onnipotente, {45 [407]} infinito, e infinitamente benefico. Egli è padrone di quanto avvi nel Cielo e nella terra: nella maestà è invariabile, nella gloria inesplicabile, e ne' suoi decreti imperscrutabile. In una parola egli è colui che ha creato e conserva tutte le cose; è colui che ha preparato un bene eterno a chi lo serve e minaccia un supplizio a chi oltraggia la sua santa legge. Questo Dio di bontà infinita, mosso a compassione del genere umano, mandò il suo divin figliuolo dal cielo in terra a patire e morire per salvarci. A fine poi di comunicare alle anime nostre i meriti infiniti della sua passione e della sua morte egli instituì i suoi sacramenti. Tra essi avvi il battesimo che voi con ragione sospirate e che tra breve vi sarà amministrato. Ravvivate adunque la vostra fede nel gran pensiero che mentre poche gocce d'acqua lavano il corpo, la grazia di Dio purifica le anime vostre e le rende monde da ogni colpa, sia originale, sia attuale. {46 [408]}

            In questa guisa voi diverrete figli del vero Dio, fratelli di Gesù Cristo, eredi delle ricchezze cdel Cielo.

 

 

Capo IX. S. Cajo amministra il battesimo e la cresima a s. Pancrazio e a s. Dionigi - Morte di questo, e martirio di s. Pancrazio.

 

            Terminata questa esortazione, il Santo Padre si mise indosso i sacri abiti per la funzione del battesimo. Quindi assistito da alcuni ministri che cantavano a Dio inni e cantici li battezzò dicendo a ciascuno: lo ti battezzo nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

            Siccome erano anche già abbastanza instruiti nelle verità della fede, e da un altro canto vi era pericolo da un momento all'altro di essere messi a morte; così fu loro amministrato il Sacramento della Cresima, e il Sacramento {47 [409]} dell'Eucarestia che ricevettero con ammirabile fervore.

            Così quei novelli Cristiani partirono dal Sommo Pontefice pieni di una allegrezza che tale mai non avevano provato in vita loro. Sentivansi ardere il cuore d'amore verso Dio che li aveva colmati di tanti favori, e sebbene da poco tempo battezzati erano già fervorosi al punto di offerirsi pronti a dare la vita per la fede qualora Iddio ne avesse data loro occasione.

            Oh noi mille volte felici, andava dicendo Pancrazio, se ci fosse dato di sacrificare noi medesimi colla morte per giungere più presto al nostro Dio.

            Noi avventurosi, rispondeva Dionigi, se fossimo fatti degni di morire per amore di un Dio, che per noi morì crocifisso. Beati noi, replicò Pancrazio, se col perdere questa vita facessimo acquisto di una gloriosa eternità. Ah noi fortunati, conchiuse Dionigi, se per la fede di Cristo dando questa miserabile vita, potessimo dall'esilio volare alla patria beata del Paradiso. {48 [410]} Non sarebbe questo, o caro nipote, un bel cambio? morire per amore di Dio una volta penando, per vivere con Dio eternamente godendo?

            Finalmente dissero ambidue insieme: Fate, o grande Iddio, che da noi si provi la soavità di morire per voi, e poi fate di noi ciò che volete. Iddio per altro disponeva altrimenti di Dionigi. Col battesimo egli aveva acquistata la bella stola dell'innocenza e Dio lo voleva chiamare a se con una morte tranquilla. Difatto cadde tosto in una malattia sì grave, che pochi giorni dopo il battesimo volò a ricevere la ricompensa eterna in Cielo.

            Il nipote Pancrazio non tardò molto ad andare a raggiungere l'amato zio nella patria dei beati. Pochi giorni dopo mentre veniva dall'abitazione del Pontefice, una turba di birri si accorsero che egli era cristiano. Il lasciarono entrare nella propria casa, dipoi gli tennero dietro e strettamente legato lo condussero dinanzi a Diocleziano. Il tiranno lo sottopose ad un lungo e grave interrogatorio, {49 [411]} in cui Pancrazio spiegò una fortezza degna non di un giovanetto, ma di un eroe. Diocleziano adirato e confuso dalle pronte e severe risposte del confessore non sapendo più che dire ordinò che gli venisse troncato il capo. Come mansueto agnello Pancrazio si abbandonò nelle mani dei carnefici. Rimirando poi le catene che lo stringevano esclamò: Oh fortunate catene! A me è più prezioso il vostro ferro che ogni tesoro del mondo! Di quanto sono a voi obbligato, poichè per mezzo vostro comincio ad essere simile al mio Gesù. Rivolgendosi poi ai ministri di giustizia disse: Voi, o ministri, riferite all'Imperatore, che non poteva offrirmi un dono più prezioso di queste catene, le quali sono a me più care di tutti i diamanti della terra. Che cosa mai potrò io desiderare se non finire la vita con un colpo di spada, e così liberare l'anima mia dalle carceri del corpo e volare al cielo? Ma dove andiamo, o fratelli, deh non indugiate più, conducetemi presto al luogo dove {50 [412]} io dovrò essere colpito dal vostro ferro!

            Assorto in questi pensieri giunse al luogo del supplizio. Pieno della gioja che provano quelli che sono vicini a conseguire il più gran bene del mondo si prostrò ginocchioni e baciò il terreno dicendo: O fortunato Campidoglio (tale era il nome del luogo del suo martirio) o fortunato Campidoglio! Eccomi finalmente giunto a godere, in te la gloria del trionfo. Gli antichi guerrieri erano qui condotti in trionfo dopo di aver vinti i nemici della patria, ed erano accolti fra gli applausi dei cittadini; io spero di riportare compiuta vittoria dei nemici di Dio per essere accolto da Gesù, e dai Santi nel Cielo. Alzati poi gli occhi al Cielo e incrocicchiate le braccia al seno, favellò così: Dio onnipotente, Dio pietoso, avvalorate le deboli mie forze, degnatevi di assistermi in questo mio ultimo combattimento. Voi mi chiamaste alla vera fede, e con un tratto di special bontà ora mi concedete di dare la vita in testimonio di questa fede medesima. Grazie, {51 [413]} o grande Iddio, grazie vi rendo che mi fate degno di morire per voi. Spiacenti solo di non potere come vorrei non una ma mille volte mor ... (voleva dir morire) e in quel momento gli fu vibrato un colpo di scimitarra che troncandogli le parole sulle labbra gli spiccò il capo dal busto e l'anima sua innocente e piena di meriti volò al cielo. Il corpo di lui rimase insepolto lungo il giorno; fattasi notte, una pia matrona Romana di nome Ottavilla andò di nascosto a prenderlo e ungendolo di odoriferi aromi lo avviluppò in pannilini, e rispettosamente lo seppellì in un sepolcro nuovo fatto per lui preparare. Pancrazio compieva il suo glorioso, martirio il 12 Maggio nel 293 in età di circa quattordici anni. {52 [414]}

 

 

Capo X. Gabinio instruisce Susanna nella virtù e la conduce a s. Cajo.

 

            Colla morte di s. Sebastiano e col martirio di s. Pancrazio si compievano nove anni del pontificato di s. Cajo. Altre battaglie si preparavano che dovevano terminare colla sua morte. Si può dire che egli impiegò tutta la sua vita per ajutare i fedeli nei pericoli. Ma per evitare le ricerche dei persecutori abitava ora in sua casa, ora in quella di Gabinio. Finchè non avendo più luogo sicuro per radunare i cristiani, d'altronde il suo ospite Castulo essendo stato coronato del martirio, egli si allontanò da quella casa per ricoverarsi nelle catacombe. A certi tratti delle catacombe vi erano delle cripte, parola greca che vuol dire nascondiglio. Le cripte erano a guisa di camere sotterranee in cui solevano radunarsi i fedeli per assistere ai divini misteri. S. Cajo passò circa sei anni nelle cripte, conosciuto soltanto {53 [415]} dai cristiani che a lui ricorrevano in caso di bisogno. Egli dimorava colà nascosto non per timore della morte, ma per vie meglio provvedere ai bisogni della Chiesa. Di qui non di rado usciva fuori e andava ora in uno e ora in altro luogo secondo che sapeva esservi bisogno. Fra le altre relazioni importanti oltre a quella con s. Pancrazio ci furono conservate memorie delle cose che passarono con s. Gabinio suo fratello e con altri suoi parenti.

            S. Gabinio era stato educato con s. Cajo nella casa paterna nella città di Salona. Venuto a Roma con s. Cajo si diede con lui alla studio, e conosciuta la santità della cristiana religione ricevette il battesimo. Secondo che la sua condizione richiedeva contrasse matrimonio e n'ebbe una figliuola di nome Susanna. Ma rimasto vedovo in giovanile età abbracciò lo stato ecclesiastico, e consacrò ogni sua cura allo studio della bibbia e della religione. Compose alcuni libri contro i pagani, a segno che in Roma era {54 [416]} riputato fra i più dotti nelle scienze divine ed umane.

            Sua grande cura era d'instruire nella scienza e nella virtù sua figliuola. Essa era eziandio molto celebrata per le sue doti di animo e di corpo, ed in Roma il nome di Susanna era quello di una delle più illustri letterate. La fama di sue rare qualità giunse all'imperatore Diocleziano che deliberò di chiederla in isposa a Massimiano suo genero. Questo Massimiano è detto figlio di Diocleziano perchè sposò Valeria di lui figliuola, di cui rimase vedovo; si dice anche figliuolo, ma soltanto adottivo perchè associato all'impero, la qual cosa gli conferiva il titolo d'imperatore e facevalo erede del trono alla morte di Diocleziano. In occasione che in Roma celebravasi una grande festa, l'Imperatore spedi suo cugino[7] di nome Claudio a Gabinio {55 [417]} suo nipote a fine di chiedere il consenso pel desiderato sposalizio.

            Presentatosi Claudio a Gabinio gli disse: Oggi è solennità pei nostri sovrani, ed io sono lieto di poter in questo medesimo giorno presentarmi a te portatore di liete novelle. L'Imperatore informato delle rare virtù di Susanna tua figlia la dimanda in isposa per Massimiano suo figliuolo.

            Gabinio: la cosa che tu proponi è di grande importanza. Dammi pertanto un po' di tempo a pensarci ed anche per conoscere la volontà della figliuola.

            Claudio accondiscese e fissato il tempo del ritorno, andò pei fatti suoi.

            Gabinio chiamò tosto Susanna e le disse: desidero che andiamo a fare una visita a mio fratello e tuo zio Cajo, affinchè la volontà di Dio si spieghi a tuo favore, e non ritornino invano i doni che lo Spirito Santo ti ha compartiti. Nel tempo stesso mandò a pregare s. Cajo che segretamente venisse presso di lui per un affare d'importanza. Il Pontefice usci dai {56 [418]} suoi nascondigli e si recò a casa di Gabinio che gli narrò quanto era passato tra lui e Claudio.

 

 

Capo XI. S. Cajo in casa di Gabinio. - Susanna ricusa ogni sorta di nozze e consacra a Dio la sua castità.

 

            Cajo e Gabinio dopo avere alquanto parlato tra di loro chiamarono Susanna e le esposero ogni cosa nei termini seguenti: Diocleziano imperatore ci spedi Claudio nostro cugino per chiederti in isposa a Massimiano suo figlio. Che ne dici, o Susanna?

            Susanna rispose: Dove andò, o padre mio, quella vostra sapienza con cui mi ammaestraste ad amare il servizio del Signore, e specialmente la regina delle virtù, la castità? Come volete risolvermi a dar la mano ad un idolatra crudele, che voi stessi rifiutaste di riconoscere per vostro parente ed amico? Diamo pertanto gloria a Dio onnipotente che mi fece cristiana {57 [419]} e mi aggregò ad una schiera di santi confessori. Ho riposta tutta la mia fiducia nel Signor nostro Gesù Cristo, in lui spero e tutta a lui mi consacro nella dolce speranza che rifiutando questi sponsali giungerò più presto alla palma del martirio.

            Gabinio rispose: Ottima risoluzione, o figliuola, e sii costante nella promessa che fai e nella fede che professi.

            Cajo soggiunse: Ringrazio di cuore Iddio, che ti abbia inspirata questa santa risoluzione. Iddio ti ajuti a mantenerla. Egli è pieno di misericordia verso coloro che in lui confidano.

            Susanna indirizzando il discorso a s. Cajo ed a suo padre continuò così: Amato padre e voi, venerato zio, voi mi avete fatto conoscere il pregio della virtù, e secondando i vostri sapienti consigli ho sempre usata massima diligenza per conservarla e per farne dono al nostro Signor Gesù Cristo. Finora col suo santo ajuto l'ho conservata e spero di conservarla in avvenire. Voi mi avete data a Dio, a {58 [420]} lui solo voglio servire, in lui solo confido, nè mai amore profano venga a turbare la pace del mio cuore.

            Cajo pontefice: Ti sei già una volta consacrata a Dio, custodisci pure i precetti di lui e riponi in lui ogni tua confidenza. Non darti affanno per quello che sarà di te, poichè il Salvatore si degnò d'instruirci nel santo Vangelo dicendo: quando sarete dinanzi ai re ed ai presidi non vogliate premeditare che cosa abbiate a rispondere, lo vi metterò in bocca quanto dovrete rispondere in quei momenti. Non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo che parla per mezzo di voi.

            Susanna soggiunse: Sia tutto come dite: io spero nel Signor nostro Gesù Cristo che mediante le vostre preghiere diventerò degno tempio di Dio.

            Passati tre giorni ritornò Claudio per avere una decisiva risposta. Lo accolsero con allegria, e come parente e come amico dei cristiani, perciocchè sebbene fosse tuttora pagano, egli li rispettava molto per la loro fedeltà e buona condotta, e si tratteneva {59 [421]} spesso a parlare della loro religione. Claudio indirizzò il discorso a Cajo dicendogli: Vostra santità sa certamente il motivo della mia venuta.

            Cajo. Sì, o Claudio, lo so, ma non posso nasconderti che per la nostra volgare condizione sembraci di essere indegni della parentela di cui ci parli.

            Claudio. Io vi prego a non opporre difficoltà, anzi fate in modo di appagare la volontà di un principe che è padrone di tutto il mondo.

            Gabinio. Ciò che diciamo noi sono tutte cose buone, ma siccome è un affare che riguarda interamente alla fanciulla, così noi dobbiamo intendere quale sia la volontà di lei.

            Susanna con fermezza cominciò a parlare così: Ricuso e ricuserò sempre quanto mi proponete, anzi se tu, o Claudio, me lo permetti, vorrei darti un consiglio assai vantaggioso; tu dovresti far penitenza de' tuoi peccati e ricevere il battesimo in nome del Padre, del figliuolo, e dello Spirito Santo. {60 [422]}

 

 

Capo XII. Cajo Papa parla della fede a Claudio: lo esorta alla penitenza, promettendogli il perdono dei peccati.

 

            Claudio rimase alquanto turbato da quei ragionamenti e dall'invito che Susanna gli aveva fatto di ricevere il battesimo. Ma la grazia facendosi a popo a poco strada nel suo cuore con animo risoluto disse a s. Caio: Se l'uomo che crede in Gesù Cristo è migliore di colui che crede negli Dei, purificatemi ne ho piacere.

            Cajo ripigliò il discorso, e cominciò così ad instruire Claudio nella Fede: Claudio fratello, ascolta le mie parole. È bene che io ti parli franco e senza esitazione. Io credo che tu sii venuto per una cosa e che Iddio disponga che ne riesca un'altra. Iddio per mezzo di Susanna vuole alleggerirti del peso che tu qui hai portato. Ascolta quello che il Salvatore dice nel Vangelo: Venite a me, o voi tutti, che siete stanchi ed oppressi dai gravi {61 [423]} pesi ed io vi solleverò. Certamente non vi è al mondo peso maggiore dei peccati, quali sono appunto quelli che l'uomo commette adorando gli idoli. Il peccato è un grande avvilimento dell'uomo che Dio volle in tanti modi nobilitare. Dio lo ha egli stesso creato; per l'uomo Gesù Cristo si degnò, discendere dal cielo in terra, nascere da una Vergine, umiliarsi e morire in croce per salvarlo, cancellargli i peccati, alzarlo dagli abissi di perdizione e condurlo al regno de' cieli.

            Claudio interruppe quel discorso dicendo: Santissimo Padre, io sono disposto di fare quanto mi dite, purchè appaghiate la dimanda dell'Imperatore.

            Cajo. Claudio fratello, comincia tu a fare quanto ti proponiamo per salvare l'anima tua, dipoi ti saranno concesse le altre cose purchè siano buone e non contrarie alla santa legge di Dio.

            Claudio. Io sono convinto e credo a quanto voi dite. Ora ditemi soltanto quali cose io debba fare, e vi assicuro che eseguirò puntualmente i vostri {62 [424]} comandi; ma quando mi presenterò all'Imperatore e sarò da lui interrogato intorno alla commissione affidata che cosa potrò rispondere?

            Caio. Non temer nulla, fa quanto ti dico, sii soltanto fedele al sommo Iddio, fa penitenza del sangue cristiano che hai fatto spargere, ricevi il battesimo, e non pensare ad altro. Iddio si degnò egli medesimo di darci le opportune istruzioni per casi somiglianti. Quando sarete, egli dice, dinanzi ai re ed ai governatori non vogliate premeditare a quello che avete a rispondere; io vi darò favella e sapienza cui non potranno resistere tutti i vostri avversari. Luc. 21, 15.

            Clau. Anche di questo sono contento, ma ditemi ancora: mentre riceverò il battesimo saranno poi certamente cancellati tutti i miei misfatti?

            Cajo. Di questo ti assicuro; nell'atto che riceverai il battesimo, l'anima tua sarà purificata e tutte le tue colpe saranno perdonate purchè tu abbia fede nel nostro Signore Gesù Cristo.

            Susanna udendo le espressioni di {63 [425]} viva fede di Claudio disse a s. Cajo: Santo Padre, per amor di Gesù Cristo vi scongiuro a non differire a riscattare l'anima di Claudio dalla schiavitù del demonio mediante il battesimo.

            Cajo. Niente si oppone al suo battesimo, interroghiamolo solamente colle solite formole per conoscere se egli creda colla sincerità del cuore.

            Claudio. Sulla vostra parola io credo quanto mi dite, e spero nella divina misericordia che mi saranno perdonati i miei peccati.

            Cajo. I tuoi peccati saranno perdonati non in forza della nostra parola, ma nel nome e pei meriti del S. N. Gesù Cristo e di Dio Padre onnipotente. In quel momento Claudio si gettò ai piedi di Cajo e spargendosi di polvere il capo dava sfogo all'interna commozione con queste parole: Signor mio Dio, lume eterno, perdonatemi tutti i misfatti che ho commessi contro ai vostri servi; ho fatto cose inique, ma ne spero il perdono perchè le feci ignorantemente. Ne {64 [426]} farò la debita penitenza e fin d'ora rinunzio a quell'idoli infami a cui stoltamente ho fatto sacrifizio. Da me solo per altro non posso far nulla, riempite il cuor mio della vostra grazia efficace, e fate si che io, i miei figliuoli, mia moglie vi conoscano, e possano anch'essi dire che voi salvate tutti coloro che sperano in voi.

            Assicurato così il Pontefice annoverò Claudio fra i catecumeni, gli diede alcuni salutari avvisi, dipoi lo mandò a casa indicandogli il giorno in cui avrebbe potuto ritornare per essere battezzato.

 

 

Capo XIII. Claudio con sua famiglia riceve il battesimo. - Il Pontefice amministra loro la confermazione e la santa Eucaristia.

 

            Quanto mai sono maravigliosi i disegni della divina Provvidenza! Claudio erasi recato da Gabinio per motivi temporali, e Iddio si servi di essi {65 [427]} per procacciargli il più gran bene spirituale, la salvezza dell'anima. Giunto a casa egli andava con gioja raccontando a sua moglie la grande misericordia del Signore usata verso di lui.

            Prepedigna, tale è il nome della moglie di Claudio, udendo queste cose rimase assai consolata. Essa amava molto i cristiani, conosceva già alquanto la loro religione. Assai prima sarebbesi fatta cristiana, se non l'avesse trattenuta il marito, che per secondare gl'iniqui comandi del suo sovrano perseguitavali accanitamente. Con animo ilare si volse a Claudio e gli disse: Chi mai ti ha insegnato queste cose che tu mi accenni intorno alla religione cristiana?

            Claudio. Queste cose mi furono insegnate dal Pontefice Cajo mio fratello e da Gabinio sacerdote, e la zitella Susanna ne ebbe grande parte.

            Prepedigna nulla più disse: Uscita di casa montò sopra una piccola vettura, e andò da Cajo per esporgli quanto la grazia aveva in lei operato. Mentre il Pontefice ringraziava il Signore {66 [428]} con una affettuosa preghiera, Prepedigna si gettò a' suoi piedi dicendo ad alta voce: Deh per pietà salvate l'anima mia e quella de' miei figliuoli! In quel momento giunse Susanna e di lì a poco Claudio con due suoi figliuoli. Claudio commosso cominciò a parlare così al Pontefice: Per l'amore del Signor nostro Gesù Cristo ti prego di non differire a battezzar me, mia moglie ed i miei figliuoli.

            Furono appagati. Si cominciò a preparare pel battesimo di Claudio. Gabinio prese dell'acqua e la benedisse, imperciocchè fin da quel tempo, come oggidì, si benediceva l'acqua destinata pel battesimo, ad eccezione dei casi di necessità, in cui si può usare qualunque acqua purchè sia naturale.

            Gabinio fece a Claudio questo interrogatorio che è quasi lo stesso praticato presentemente presso ai cattolici nell'amministrazione di questo sacramento. {67 [429]}

            Gabinio, Credi tu, o Claudio, in Dio padre onnipotente?

            Claudio, stando in atto di essere battezzato, rispose: Io credo con tutto il mio cuore.

            Gab. Credi in Gesù Cristo Signor Nostro?

            Claud. Io credo.

            Gab. Credi in Gesù Cristo concepito per opera dello Spirito Santo?

            Claud. Io credo, o Signore, io credo.

            Gab. Credi in Gesù Cristo nato di Maria Vergine?

            Claud. Credo.

            Gabinio soggiunse: Se tu credi con tutto il tuo cuore io umile servo di Dio e suo ministro ti battezzo coll'acqua nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, in remissione dei peccati e risurrezione della carne.

            Appena uscito Claudio dal fonte battesimale andava con maraviglia esclamando: Ah mentre tu, o Gabinio, mi amministravi il battesimo, ho veduto un lume più raggiante del sole che mi venne ad illuminare. Onde in {68 [430]} tutto e per tutto io credo in Dio Padre onnipotente, e nel S. N. Gesù Cristo suo divin figliuolo.

            S. Cajo allora amministrò il sacramento della confermazione a Claudio, dipoi battezzò Prepedigna, Alessandro e Cutia suoi figliuoli. In fine per ringraziare debitamente il Signore celebrò per loro la s. messa, infra cui ricevettero tutti dalla mano del Pontefice la santa Comunione. Gli atti di questi martiri dicono che il Pontefice diede loro del latte e del miele. Usavasi questo anticamente per ricordare l'effetto del battesimo. Siccome gli Ebrei dopo di aver vagato nel deserto giunsero nella terra promessa, dove per significare l'abbondanza e la fertilità si dice che scorreva il latte ed il miele: così i cristiani ricordano quel fatto per significare, come per mezzo del battesimo essi passano dallo stato del peccato nella vera terra promessa che è la Chiesa, dove abbonda la carità e la grazia del N. S. Gesù Cristo con tutti quei mezzi di santificazione che egli {69 [431]} ha instituito per le anime nostre. Così Tertulliano.

 

 

Capo XIV. Carità di Claudio. - L'Imperatore manda Massimo per avere definitiva risposta di Susanna.

 

            Nel giorno stesso, in cui Claudio ricevette il battesimo, cominciò a vendere le sue sostanze e distribuirne il prodotto ai poveri cristiani. Siccome poi essi erano stati da lui perseguitati, così egli desiderava di riparare a quello scandalo, impiegando vita e sostanze in benificarli. Si metteva denaro in saccoccia e con un fascio di abiti sulle spalle andava di giorno e di notte negli ospedali, nelle case dei privati, fin nelle carceri, portando soccorso ai cristiani e vestendo coloro che ne avessero avuto bisogno. Inoltre molti essendo stati da lui posti in prigione, condannati a patire la fame, così egli colle proprie sue mani portava vari generi di alimenti, e prostarandosi {70 [432]} ai loro piedi domandava perdono degli oltraggi che loro aveva fatto. Usando poi dell'autorità che ancora conservava faceva mettere in libertà tutti quelli che aveva fatto incarcerare per motivi di religione. Egli faticava da 40 giorni in queste opere di carità, e badando solo a soddisfare agli obblighi che aveva verso Dio, non aveva più pensato alla commissione che l'Imperatore gli aveva affidato. Aspettò questi la risposta un mese e mezzo, nè vedendo alcuno a comparire dimandò che cosa fosse avvenuto di Claudio. Gli fu detto che era trattenuto in casa da infermità. L'Imperatore per averne giuste novelle mandò a lui un certo Massimo, che era conte ovvero amministratore del patrimonio privato della casa imperiale.

            Costui è anche detto fratello ovvero cugino in primo grado con Claudio, e volentieri si recò a fargli visita. Ma che? Lo trovò nella propria casa vestito di cilicio, genuflesso a terra che divotamente pregava. A quella vista fu sorpreso da un gran tremito {71 [433]} e quasi fuori di se prede a parlare così: Caro Claudio e fratello carissimo, perchè ti sei così abbassato a fare quello che fai? Claudio alzò gli occhi e dandogli uno sguardo amorevole disse: Se tu volessi ascoltare, io ti racconterei per quale cagione mi trovo in questo stato.

            Massimo vie più commosso lo abbraccia e lo alza in piedi e gli dice: Si raccontami quale cosa ha cagionato un simile malore al tuo corpo. Claudio a lui: Faccio penitenza dei miei peccati, io ho secondato i crudeli comandi del nostro sovrano, io ho sparso il sangue innocente dei cristiani, io li ho fatti perseguitare e trucidare. Ora ne fo la penitenza e ne spero da Dio perdono perchè cio feci ignorantemente.

            Massimo. Io non ti capisco, il nostro Imperatore ti mandò a chiedere la figliuola di Gabinio per isposa a suo figliuolo e tu mi vai dicendo cose le più strane invece di darmi l'opportuna risposta.

            Claudio. Io sono andato a compiere {72 [434]} l'ufficio affidatomi, ma conobbi che Susanna è una santa zitella, piena di celeste sapienza e benedetta dall'eterno Iddio, e da lei ho cominciato a conoscere il lume della verità. O caro Massimo, io ardentemente desidero che tu eziandio conosca esservi un Dio onnipotente che vuole e può salvare tutti gli uomini. Se vuoi sapere le cose più chiaramente, andiamo alla casa di Cajo, da cui conoscerai il lume eterno della verità.

            Mass. Quando mai io potrei andare colà?

            Claud. Andremo insieme nottetempo per non essere da alcuno osservati.

            Mass. Le tue parole mi commovono, io sono pronto a far quanto sarai per dirmi.

 

 

Capo XV. Massimo in casa di Gabinio e di Cajo è instruito nella fede e domanda il battesimo.

 

            Massimo partì da Claudio travagliato da molti e diversi pensieri. Le verità {73 [435]} udite dal fratello, l'idolatria fino allora professata, la grazia di Dio che cominciava a farsegli strada nel cuore lo tenevano in grande agitazione. Stabilita la notte e l'ora con Claudio si recò da Gabinio e da Cajo che ambidue dimoravano vicino al foro di Sallustio.

            Foro, palazzo, orti di Sallustio essendo tre nomi spesso usati nella storia ecclesiastica e profana io stimo bene di darne breve spiegazione. Dai Romani dicevansi orti le magnifiche villeggiature dove facevasi uno sfarzo di pompe e di ricchezze. Magnifici edifizi, larghi e spaziosi viali, alberi del paese e forestieri, animali preziosi, statue di lavoro ricercato, giuochi e zampilli di acqua fatta venir di lontano, piazze per lo più lastricate in mosaico, piantagioni e frutti d'ogni genere erano le cose che adornavano e coprivano un vastissimo recinto cui davasi il nome di orto. Per lo più questi siti amenissimi prendevano il nome dal fondatore che li stabiliva e li sosteneva. Uno di essi {74 [436]} dicevasi di Sallustio, perchè fabbricato da un ricco Romano di nome Sallustio. Quest'orto trovavasi annesso alla città di Roma tra la porta Salaria e la porta Numentana.

            In una parte di questo locale vi era un edifizio straordinario, detto palazzo di Sallustio. Davanti al medesimo estendevasi un gran porticato noi cui mezzo era una spaziosa piazza detta foro di Sallustio. Accanto a quel palazzo ma fuori dell'orto eravi la casa di Gabinio e di Cajo poco distanti l'una dall'altra.

            Gabinio accolse Massimo e Claudio con grande cortesia; quindi a poco intervenne Susanna per salutare lo zio. Mentre tra loro discorrevano, ne fu portata notizia a Cajo invitandolo a recarsi colà al più presto. Pensandosi esso di dover forse essere condotto al martirio vi si recò tostamente. Ma la maestà de' suoi abiti, la subita ed inaspettata comparsa li spaventò tutti a segno che caddero a terra sbalorditi. Cajo fece loro animo dicendo: Sono io, non temere, io vengo nel {75 [437]} nome del Signore. Dopo si pose a pregare così: Signor Iddio Padre del S. N. Gesù Cristo, il quale per salvare tutti gli uomini mandasti dal cielo in terra il Signor Nostro Gesù Cristo per così liberarci dalle tenebre del peccato, dà a cotesti tuoi servi la fermezza nella fede, perchè tu sei potente e regni nei secoli de' secoli. Tutti risposero con una sola voce: Amen, così sia.

            Dopo si misero tutti a sedere per udire con maggior comodità Cajo a ragionare.

            Il Santo Pontefice allora proferì queste parole: Io ringrazio Iddio, o caro fratello Massimo, perchè ti ha inspirato il santo pensiero di venirci a fare questa visita.

            Massimo. Ci sono venuto veramente con piacere, e sebbene io non sia cristiano, tuttavia mi piego volentieri a baciarti i piedi. Debbo ciò non ostante dirti che sono venuto anche per un altro speciale motivo.

            Cajo: Dì pure il motivo per cui sei venuto e li ascolteremo volentieri. {76 [438]}

            Mass. Io sono venuto a nome dell'Imperatore per avere una decisiva risposta intorno alle nozze di Susanna con Massimiano.

            Cajo. Questa fanciulla ha già ricevuto uno sposo da Dio padre Onnipotente e questo sposo è Gesù Cristo.

            Mass. Tutto quello che è dato da Dio è eterno.

            Caio. Se tutto ciò che è dato da Dio è eterno, ricevi anche tu da lui la vita eterna.

            Mass. Quale è questa vita eterna?

            Claud. La vita eterna è quella che io ho già conosciuta.

            Mass. Da qualche tempo desidero anch'io di essere informato di quanto mi dici, ma la dignità della nostra nascita, la nobiltà della nostra parentela coll'Imperatore ...

            Cajo. Massimo, ascolta le mie parole: noi ti diciamo che tu creda nel S. N. Gesù Cristo, Dio egli stesso e figliuolo eterno del medesimo Iddio. La nobiltà e la dignità di cui tu parli e che noi vediamo co' nostri occhi, è cosa temporale che dura poco e poi {77 [439]} svanisce; ma quella nobiltà e quella dignità che ti proponiamo noi è amabile, non reca alcun incomodo che anzi ci rende felici e dura in eterno.

            Massimo commosso disse risolutamente: Con gran piacere io vorrei possedere questa vita eterna.

            Cajo. Amato fratello, tu conosci le cose che noi abbiamo abbandonate, quanto abbiamo sofferto e quanti beni abbiamo dovuto consegnare nelle stesse vostre mani senza speranza di guiderdone. Noi ciò tutto abbiamo fatto per amore del S. N. Gesù Cristo, per cui viviamo ed in cui è riposta tutta la nostra gloria.

            Massimo. Le tue parole, o amato Cajo hanno eccitato in me vivo desiderio di possedere al più presto possibile questa vita eterna. Non tardare pertanto ad appagarmi; concedimi presto quanto tu conosci essermi necessario.

            Cajo allora raccomandò più cose a Massimo, gli disse di ritornare a casa, di fare qualche digiuno, dipoi fosse {78 [440]} ritornato per vie meglio instruirsi nella fede.

 

 

Capo XVI. Massimo riceve il battesimo - Distribuisce i suoi beni ai poveri. - Con Claudio riporta la palma del martirio.

 

            Dopo cinque giorni Massimo ritornò con ansietà da Cajo dicendo: Io ti scongiuro, o signor mio e fratello veneratissimo, per amore di colui, nel cui nome hai illuminato eziandio le tenebre della mente mia. Imperciocchè dal giorno che ti sei degnato di parlarmi con parole di vita eterna, io provo il più grande affetto verso del Signor nostro Gesù Cristo.

            Cajo. Non avvi alcuna difficoltà ad appagare questo tuo desiderio, purchè tu voglia piegare il tuo cuore a credere e sperare nel Signor Nostro Gesù Cristo.

            Massimo. Si che io credo e spero {79 [441]} nel Signor Nostro Gesù Cristo. Io miserabile ed infelice creatura vi prego per la vostra bontà a voler salvare l'anima mia, e di togliermi dall'abisso dell'idolatria, dalle tenebre del peccato e di condurrai alla vera luce della verità.

            Cajo. Tu sarai, o fratello, immediatamente appagato se con tutto il tuo cuore credi nel S. N. Gesù Cristo, se rinunzi alle pompe mondane ed ai ministri di satana.

            Mass. Ho già rinunziato una volta al mondo, al demonio, ai piaceri del corpo e di nuovo ci rinunzio perchè voglio in tutto e per tutto tenermi ai vostri consigli e seguire il vostro esempio.

            Essendo ogni cosa così preparata il Pontefice amministrò a Massimo il Sacramento del Battesimo, poscia quello della Cresima.

            Per compiere vie più solennemente quell'augusta funzione il Santo Pontefice offerì a Dio il sacrifizio della s. Messa, in cui parteciparono tutti della Santa Comunione. {80 [442]}

            Massimo volendo mostrare il suo distacco dalle cose del mondo deliberò di vendere le sue sostanze e distribuirne il prodotto ai poveri. Ma siccome non avrebbe potuto far questo senza compromettersi pubblicamente, così egli servivasi di un nobile e fervoroso cristiano di nome Trasone. Costui era stato instruito nella fede da s. Cajo molti anni prima, ed il medesimo Pontefice lo aveva battezzato. Egli era un pubblicò impiegato, perciò poteva vendere e comperare senza essere notato. Dopo aver fatto quanto gli prescriveva il suo ufficio, impiegava il resto del tempo a raccogliere gli atti dei martiri, di notte poi li ordinava e ne teneva accurata custodia. Spesso eziandio notte tempo andava qua e là nelle vie, nelle case, nelle carceri in cerca di fedeli per dar loro opportuno soccorso.

            Erano quindici giorni da che Massimo impiegava se e le sue sostanze in sollievo dei poveri cristiani, quando la cosa venne a notizia dell'Imperatore. {81 [443]} A quella notizia altamente sdegnato egli chiamò tosto un certo Giulio, uomo crudele e gli disse: Ho mandato due persone a me carissime ad un cotale per dimandare una moglie per mio figlio, ma cotestoro ingrati ai favori compartiti disprezzarono gli ordini mici e quello che è più si fecero cristiani.

            Giulio che avrebbe dato corpo ed anima per acquistarsi la benevolenza dell'imperatore rispose: Tutti i dispregiatori de' precetti dei principi, quando anche comandassero cose ingiuste, devono essere severamente puniti come trasgressori dei vostri comandi.

            Diocleziano contento di aver un uomo capace di servirlo gli diede soldati e carnefici affinchè eseguisse gli ordini suoi secondo la sentenza. Claudio e Prepedigna sua moglie, Alessandro e Cutia suoi figliuoli, e Massimo, furono presi, strettamente legati, condotti in esilio nella città di Ostia. Colà fu acceso un gran fuoco in cui precipitati perirono tutti fra {82 [444]} le fiamme, e i loro cadaveri furono gettati nell'acqua.

            Cajo fulasciato in libertà, ma Gabinio e Susanna si tennero rinchiusi in una prigione.

 

 

Capo XVII. Susanna in casa di Diocleziano - Suo martirio - Cajo muta in chiesa la casa di Susanna.

 

            Gabinio e Susanna furono trattenuti in prigione quarantacinque giorni, senza che sapessero quale sorte fosse loro riservata. Poscia Diocleziano comandò che Susanna fosse condotta da Serena sua moglie affinchè la inducesse a rinunziare alla religione Cristiana ed accettare le nozze con suo figlio Massimiano. Come Susanna fu davanti all'imperatrice le fece profondo inchino in segno del dovuto rispetto. Serena contenta di vedere colei di cui tanto aveva udito a parlare le disse: Il Signor {83 [445]} N. Gesù Cristo si rallegri con te e riempia il tuo cuore colla sua grazia. A quelle parole Susanna conobbe che Serena era cristiana, quindi piena di contentezza esclamò: Sia ringraziato Dio che in ogni luogo è padrone, ed in ogni luogo ha degli adoratori. Si strinse fra di loro la più intima e la più santa amicizia; tutto il tempo che potevano il passavano insieme in preghiere e in cantici spirituali.

            Diocleziano stava aspettando un buon risultato in rapporto a Susanna; ma quando seppe che la cosa era riuscita al contrario montò in furore. Ma frenando gli impeti dello sdegno, mandò Gabinio e Susanna a casa loro limitandosi a rimproverare sua moglie perchè aveva deluse le sue speranze. Dipoi spedì un certo Macedonio a casa di Susanna con ordine di costringerla a qualunque costo a fare un sacrifizio agli Dei. Macedonio partì tosto per eseguire gli ordini del suo padrone portando seco una preziosa statuetta d'oro che rappresentava Giove. Giunto alla casa di Susanna le {84 [446]} disse: Sta al mio consiglio, o Susanna, fa un inchino al nostro grande Giove e sarai felice in tutta la vita.

            Susanna al vedere quell'idolo diede un sospiro, poscia gli sputò contro e inginocchiandosi a terra così pregò: Mio Signore e mio Dio, fate che io non vegga il demonio rinchiuso nel metallo di questa statua.

            Allora Macedonio con voce sdegnata disse: Alzati su e adora il Dio di Cesare.

            Mentre Susanna si alzava scomparve quella statua senza che nessuno se ne accorgesse. Birbante che sei, gridò Macedonio, dove mi hai portato il mio Giove? Certamente l'amor dell'oro ti ha condotta a farmi questo furto.

            Dio mi liberi, ella rispose, dal commettere furto di sorta; egli è il mio Dio, che inviò l'Angelo suo ad allontanare dagli occhi miei quell'oggetto di abbominazione.

            In quel momento entrò un servo di Macedonio annunziando che il povero {85 [447]} Giove giaceva immerso nel fango sulla piazza vicina.

            Dopo molte altre prove Macedonio scorgendo inutile ogni sforzo riferi tutto all'imperatore, il quale vedendo tante fatiche coronate da un esito così infelice comandò che Susanna nella medesima sua casa fosse punita di spada.

            Macedonio eseguì egli medesimo l'ordine sovrano, e con un colpo tagliò la testa alla santa vergine, che lasciava così il corpo nella sua casa terrestre, mentre l'anima sua volava a godere la beata eternità nella patria del cielo. Essa andava al possesso della gloria dei Vergini e dei martiri l’11 agosto 295.

            D'accordo col pontefice Serena fece dare onorevole sepoltura alle reliquie della santa. Gli atti del martirio di s. Susanna terminano così: Da quel giorno s. Cajo consacrò quella casa, e la mutò in una chiesa dove interveniva il più spesso che poteva a celebrare la s. messa in onore di santa {86 [448]} Susanna a favore del popolo Boll. 11 agosto.

 

 

Capo XVIII. Martirio di s. Gabinio. - Ultime fatiche e morte di s. Cajo.

 

            Dopo la morte di Susanna Gabinio continuava ad essere tenuto prigioniero. Il martirio di sua figliuola aveva eccitato in lui vivo desiderio di andarla a raggiungere nella patria dei beati. Ma esso dovette ancora rimanere in oscura prigione oltre a sei mesi, in cui fu sottoposto a molti tormenti, ed a molti interrogatorii. Fame, sete, disprezzi sono i mali che consumarono la sua vita. Oppresso da questi gravi patimenti cessava di vivere il 18 febbrajo 296.

            S. Cajo come seppe la morte di suo fratello usci dalle catacombe, studiò il mezzo di avere il cadavere di lui che accompagnato da alcuni fedeli portò a seppellire nel cimitero di san Callisto. {87 [449]}

            Questo coraggioso pontefice governava da dodici anni la Chiesa. Nei primi quattro anni potè ancora tenere ordinaria dimora presso alla casa di Gabinio. Ma nel furore della persecuzione egli dovette ritirarsi nelle grotte che la storia suole appellare cimiteri, cripte, tombe, catacombe, arenarii, che sono una specie di lunghi corridoi sotterranei, dove solevansi nascondere i cristiani in tempo di persecuzione. Alcuni passavano colà i giorni e le notti, e per lo più in quei luoghi stessi davasi sepoltura ai cristiani, specialmente a quelli che morivano per la fede. S. Cajo dimorava da otto anni in quegli oscuri nascondigli. Colà riceveva, instruiva nella fede tutti quelli che facevano a lui ricorso come fece con s. Pancrazio, con s. Dionigi, e con molti altri. Di là eziandio non di rado usciva in soccorso di quelli che avesse saputo trovarsi in bisogno. Faceva anche frequenti gite a casa di Cromazio, a quella di Castulo e quella di suo fratello Gabinio. Gli ammalati degli ospedali, i giovanetti poveri ed {88 [450]} abbandonati, gli infermi, i poveri, i carcerati, e tutti insomma i bisognosi erano oggetto della sua carità e del suo zelo. Ma compiuti questi tratti di santo ministero ritiravasi tosto nelle catacombe.

            Quella vita di continuo lavoro, di continuo affanno, quel riposare e mangiare malamente, quel respirare un'aria insalubre l'avevano condotto ad una estrema debolezza. Laonde si poteva dire la sua vita essere consumata per la fede. Nulla più mancava al compimento de' suoi desideri che terminare gli ultimi giorni colla palma del martirio. Questo martirio desiderava di ottenere pubblicamente per servire di pubblico esempio a coloro che erano cercati a morte per la fede. Diocleziano dopo aver fatto morire Claudio, Massimo, Susanna, Gabinio e altri suoi parenti, esitò alquanto a condannare colui che era stato il custode della sua infanzia, che egli stesso conosceva per uomo di grande virtù e che aveva sempre amato e venerato. Avrebbe deliberato che fosse anche stato compreso {89 [451]} e condannato cogli altri cristiani, ma fino allora non aveva proferita nominale sentenza contro di lui. In fine per giungere al pazzo intento di annullare la religione cristiana pensò disfarsi del Capo che era Cajo. Affinchè poi la morte di lui fosse inosservata, e non servisse agli altri di esempio ordinò che fosse di nascosto ucciso.

            Pertanto due mesi dopo la morte di s. Gabinio, cioè il 23 aprile, veniva scoperto e raggiunto dai carnefici che furiosi gli troncarono la testa senza che siansi potute raccogliere maggiori circostanze del suo martirio. Questo fatto compievasi l'anno 296 nel tredicesimo dell'impero di Diocleziano dopo di aver egli governata la Chiesa dodici anni, quattro mesi e cinque giorni. Siccome fecero i suoi antecessori egli tenne eziandio cinque volte la sacra ordinazione nel mese di dicembre in cui creò otto diaconi, ventotto preti e cinque vescovi, che mandò in vari paesi a fondare nuove {90 [452]} diocesi, oppure a rimpiazzare quelli che erano morti per la fede.

            Il suo corpo fu dai fedeli portato ad essere seppellito nel cimitero di s. Callisto nella via Appia. Le sue reliquie furono sempre tenute in grande venerazione presso ai cristiani; ora la maggior parte del suo corpo è nella Basilica Vaticana. Ma ne furono staccate parecchie reliquie e concesse a molti paesi della cristianità, ove sono gelosamente venerate e conservate a maggior gloria di Dio e del suo vicario con grande vantaggio dei popoli che nei loro bisogni spirituali e temporali ricorrono con fede all'intercessione di questo santo. V. Farlato. Illyricum sacrum.

            Sul monte Quirinale verso porta Pia avvi una chiesa dedicata a s. Cajo, e si crede sia la stessa casa abitata da questo santo Pontefice. Dopo il martirio di lui cominciò a farsi concorso di fedeli ed in breve quell’edifizio diventò una specie di Santuario. Fu più volte ristorata e conservasi tuttora in buono stato. Ora è annessa al monastero {91 [453]} delle religiose dette Barberine. - V. Nibi. Roma moderna.

            A poca distanza dalla chiesa di s. Cajo avvi quella di s. Gabinio e di s. Susanna dette ad duas domos, perchè si ritiene che le due case di s. Gabinio, padre della santa, e di s. Cajo fossero congiunte. Questa chiesa è posta nel circolo detto di Mamurro che fu un celebre scultore ai tempi di Numa Pompilio. V. Ugonio St. delle Staz.

 

 

Capo XIX. Eresia di Gerace. - S. Macario confuta l'eresiarca e lo confonde con un miracolo.

 

            L'eresia è il mezzo ordinario con cui il demonio suole turbare la pace della Chiesa, e quanto più i sacri ministri sono perseguitati od occupati in gravi cure del sacro ministero, tanto più l'eresia tenta di farsi insidiosamente strada fra i fedeli. Sul principio del pontificato di s. Cajo. appunto {92 [454]} quando cominciava la persecuzione, apparve l'eresia dei Geraciti che aveva per capo un medico di nomo Gerace.

            Esso era nato in Lentopoli città di Egitto. Postosi a studiare la dottrina de' Manichei e de' Gnostici, a fine di essere creduto finse un'austerità ed una santità la più consumata come sogliono fare gli eretici. Pretendeva di appoggiare la sua dottrina sopra la Sacra Bibbia che egli si pose a spiegare nel modo il più strano. Non ammetteva tra suoi seguaci se non vergini e quelli che amavano la vita solitaria, condannava il Sacramento del matrimonio e negava la risurrezione della carne, insegnava che Melchisedecco era lo Spirito Santo.

            Quando poi i suoi seguaci cominciavano a seguirlo allora svelava loro i suoi segreti, dando una compiuta libertà di interpretare la Bibbia e di seguire le massime che a ciascuno tornavano a talento. Con questa ostentazione di santità, e con questo pretesto d'insegnare le pure verità della {93 [455]} Bibbia riuscì a farsi molti seguaci anche tra le persone dotte e date alla pratica della virtù. Percorreva i paesi, le città, i deserti ed era già riuscito a guadagnarsi alcuni solitari che facevano vita santa nei deserti. La sua audacia lo portò sino a sfidare il celebre s. Macario che era capo di molti eremiti.

            Evagrio famoso scrittore di storia ecclesiastica racconta come segue l'incontro di Gerace con s. Macario.

            Gerace colla sua loquacità era riuscito a sedurre molti religiosi della Tebaide, e tentò perfino di guadagnare s. Macario che ne era capo. Cominciò tra di loro una disputa animatissima. Se non che le dispute possono bensì confondere, ma non convertire gli eretici. Macario opponeva ragioni semplici e chiare, cui l'eretico nulla aveva da rispondere, ma colle grida, cogli schiamazzi e coi cavilli scappava in argomenti diversi. Allora il santo vedendo la fede in pericolo presso agli stessi suoi monaci, trasportato da santo zelo, olà, disse, con {94 [456]} te non valgono le ragioni, veniamo ai fatti. La potenza di Dio venga a giudicare la nostra fede. Andiamo ad un cimitero, prendiamo un cadavere, quello di noi che lo farà risuscitare sarà creduto. Tutti approvarono la proposta e lo stesso Gerace fu abbastanza audace da accettarla. Andarono pertanto al vicino cimitero accompagnati da immensa turba di gente ansiosa di essere testimonio di quello spettacolo. Macario disse all'eretico: Eccoci tutti qui; fa in nostra presenza risuscitare uno di questi morti e crederemo che la tua dottrina viene da Dio. Dio soltanto può operare simiglianti miracoli, nè mai il miracolo è da Dio operato in conferma dell'errore. Così fece il profeta Elia quando confuse i sacerdoti di Baal. Gerace a quel punto cominciò a tremare e per aver tempo a studiar modo di cavarsela con minore infamia disse a s. Macario: Tu fosti primo a fare la proposta, comincia parimente tu a far risuscitare il tuo morto, dipoi farò la parte mia.

            Il santo allora si pose ginocchioni {95 [457]} e fece una fervorosa preghiera, dipoi alzò gli occhi al cielo ed esclamò: Tu, o gran Dio, dimostra chi di noi tenga la vera fede facendo ritornare a vita il cadavere di colui che io sono per chiamare. Ciò detto proferì il nome di uno che da qualche tempo era stato sepolto. Subito il morto rispose dalla tomba alla chiamata del santo. A quella cupa e sotterranea voce corrono, gli astanti sull'orlo della tomba, porgono le mani al cadavere già fetente e ritornato a vita, lo traggono fuori, gli tolgono di dosso i cenci di cui era coperto e lo conducono da s. Macario.

            Gerace spaventato a quel successo inaspettato si dà a precipitosa fuga. Gli astanti lo vogliono trattenere, ma non è più possibile, egli vince tutti coll'ajuto delle gambe. Tutti allora lo disprezzano e lo insoguono coi fischi, fino a che non ebbe oltrepassati i confini di quel paese. Così per mezzo di un suo servo trionfava la santa religione di Gesù Cristo a disinganno di coloro che erano stati sedotti dall'eresiarca. V. Evagrio nelle vite dei {96 [458]} Gerace confuso ma non ravveduto si portò altrove e continuò a spargere in altri siti i suoi errori fino all'età di 90 anni quando il Signore lo chiamò a comparire davanti al suo tribunale per render conto dello scandalo che aveva dato ai cristiani. Ma in tutti quei luoghi, ove giungeva la notizia della prova fatta con s. Macario, cessava tosto di avere seguaci, laonde si può dire che questa eresia sia nata e morta coll'autore della medesima.

 

 

Capo XX. Vita, martirio di s. Grisanto e di s. Daria.

 

            Durante il faticoso pontificato di s. Cajo uno sterminato numero di cristiani sostennero il martirio per la fede. Nel corso della vita di questo Papa abbiamo parlato di alcuni, qui aggiungeremo ancora il martirio di s. Grisanto e di s. Daria. Grisanto era egiziano. Suo padre, di nome Pollemio, {97 [459]} lo condusse a Roma dove per le sue ricchezze e per la sua dottrina fu fatto senatore. Suo figliuolo per età, ingegno e scienza dava già le più belle speranze di gloria mondana, quando gli cadde in mano il libro del Vangelo. Lo lesse con avidità da capo a fondo, dipoi riflettendo sulle verità ivi contenute disse tra se: Pel passato ho letto e riletto tutti i libri delle tenebre, non ho trovato che tenebre; ora ohe sembrami in questo libro d'avere trovata la luce dovrò abbandonarla e ritornarmene alle tenebre? non mai. Intanto cercando qualche cristiano che vie meglio lo instruisse, fu condotto da un certo Carpoforo uomo assai dotto nelle divine dottrine, ma che per paura della persecuzione dimorava nascosto in una grotta.

            Carpoforo accolse il nobile giovanetto, lo instruì nelle verità della fede e finalmente gli amministrò il battesimo, trrisanto ne fu così contento, e sentissi tale coraggio che si pose a predicare il vangelo per le vie e per le piazze di Roma. Come Pollemio {98 [460]} venne di ciò informato ne fu sdegnato. Lo mandò a prendere e condottolo a casa il fece mettere in oscura prigione, dove fu esposto a molti patimenti, ma tornando inutile ogni cosa, il padre ordinò che fosse cercata e condotta presso di lui una Vestale che colla scienza, colle promesse e coll'apparente sua pietà lo inducesse a fare un sacrifizio agli Dei. Ma Daria (tale era il nome della Vestale) conobbe tosto la santità della cristiana religione e ricevette anche essa il battesimo. Affinchè poi nessuno li molestasse si accordarono di dire al padre che Grisanto avrebbe accettato Daria per moglie, ma tra di loro eransi intesi di vivere come fratello e sorella.

            Con questo mezzo Grisanto fu liberato dalla carcere. I due novelli cristiani si misero segretamente a diffondere la fede tra i loro parenti ed amici, e in breve molti giovani e molte zitelle vennero alla fede. Pervenute queste cose a notizia di Celerino, prefetto di Roma, mandò a chiamare i due santi {99 [461]} e facendo loro vivi rimproveri li consegnò a Claudio Tribuno acciocchè loro facesse cangiare proposito.

            Il tribuno condusse Grisanto al tempio di Giove per indurlo a fare un sacrifizio a quell'idolo. Si rifiutò coraggiosamente il Santo e per questo venne sottoposto a crudele flagellazione. Perseverando nella sua costanza venne condotto in prigione e caricato di pesanti catene. Ma come il Signore mandò un Angelo a spezzare le catene di s. Pietro così fece a quelle del nostro Santo. Quelle catene si ruppero, si ridussero in polvere. I Ministri di giustizia pensarono di far morire il Santo gettando cose puzzolente e velenose sul pavimento del carcere, ma in vece di puzza si sentì un odore soavissimo, come se quel luogo fosse stato profumato di acqua odorifera.

            A questi ripetuti segni di potenza divina il giudice sempre più infierito ricorse ad un mezzo che egli giudicava sicuro per cagionare la morte al Santo. Fece scorticare un toro e nella pelle così fresca fece avviluppare {100 [462]} e chiudere il Santo, e lo espose un intero giorno ai cocenti raggi del sole ardente, persuaso che colà avrebbe cessato di vivere. Se non che alla sera il trovarono più sano di prima. Lo ricondussero in prigione legato con molte catene, che tosto si ridussero in polvere come era già avvenuto altra volta. Anzi essendo oscuro quel carcere apparve una luce prodigiosa che la fece diventar chiara come il sole di mezzogiorno.

            Il giudice lo fece ancora legare ad un palo perchè fosse crudelmente battuto con verghe di ferro. Ma i manigoldi pigliando le verghe in mano si accorgevano che divenivano morbide come bambagia, nè era più possibile dare colpo alcuno. Fu quello il momento della grazia. Il tribuno non potè più reggere a quei ripetuti tratti di misericordia; fece slegare il Santo e rivestire de' suoi abiti. Dipoi rivolto a' suoi soldati ed uffiziali loro disse: Voi sapete che io ho studiato profondamente la magia più che ogni altro scienziato di mio tempo; non per servirmene {101 [463]} sibbene per conoscere le astuzie e gl'inganni degl'indovini. Ma nel fatto di questo giorno debbo confessare che non vi è arte magica, bensì la potenza di un Dio superiore a tutti i nostri Dei. Laonde mettiamoci tutti davanti a questo servo del vero Dio, preghiamolo a perdonarci il male che gli abbiamo fatto, supplicandolo a dirci quanto dobbiamo fare per conoscere anche noi il suo Dio.

            Grisanto pieno di gioja li abbracciò tutti teneramente, li ammaestrò nella fede per quanto comportava la brevità del tempo, e nello stesso giorno furono battezzati. Così Claudio Tribuno con due suoi figliuoli, Illaria sua moglie col rimanente della famiglia, tutti i soldati ed uffiziali, che erano sotto di lui con molti altri, vennero alla fede.

            Quando l'Imperatore intese queste conversioni ne fu vivamente sdegnato, e senza alcuna forma di processo comandò che fossero tutti fatti immantinenti morire. Claudio fu gettato {102 [464]} nel Tevere con un macigno al collo, e quivi si affogò; gli altri furono decapitati.

            Venute anche a notizia dell'Imperatore le maraviglie che Iddio operava per opera di Grisanto e di Daria non potè più frenare lo sdegno ed ordinò che fossero sull'istante condotti fuori di Roma e coperti di terra e di pietre.

            Allora i nostri Santi furono condotti nella via Salaria, dove fu scavata una profonda fossa entro cui furono lanciati vivi di modo che furono nel tempo stesso martirizzati e sepolti.

            Il giorno, in cui questi Santi riportarono la palma del martirio, divenne molto celebre presso i Cristiani. Solevano essi radunarsi in una grotta presso alla loro tomba per celebrare il loro martirio ed invocarne la protezione, ma un anno dopo la loro morte l'Imperatore avendo saputo essersi colà fatta numerosa adunanza mandò i suoi soldati a chiudere e murare le porte della grotta.

            Quei coraggiosi cristiani vedendo {103 [465]} avvicinarsi la morte fecero celebrare la santa Messa da un sacerdote di nome Teodoro, che era tra essi. Egli disse loro parole d'incoraggiamento, celebrò la s. Messa di poi amministrò a tutti la santa Comunione. Dopo si misero ginocchioni e pregarono Iddio finchè ebbero respiro di vita.

            Gli atti del martirio dei nostri Santi terminano con queste parole. Noi Variano ed Artemio fratelli abbiamo fedelmente scritto le gloriose gesta de' beati Grisanto e Daria, e ne abbiamo mandate molte copie in verse città, acciocchè in ogni parte del mondo si sappia come questi due Santi abbiano ricevuto il premio del loro martirio dal Signore, al quale si dia onore e gloria per tutti i secoli.

            La Chiesa Cattolica celebra la festa di questi Santi ai 25 di Ottobre, e la morte loro fu l'anno 284 quando l'imperatore Diocleziano preparava la più lunga e la più accanita persecuzione contro ai Cristiani. V. SURIO, 25 ott. {104 [466]}

 

 

Capo XXI. Azioni e martirio de' fratelli Ss. Cosma e Damiano.

 

            La persecuzione contro ai Cristiani infieriva non solamente nella capitale, ma in tutte le parti del Romano Impero. Essendo troppo lungo il riferire le gesta di tutti quelli che sotto al pontificato di s. Cajo nelle varie città sparsero il sangue per la fede, ci limiteremo a riferire soltanto le azioni ed il martirio di due santi fratelli medici di professione. Il loro nome è Cosma e Damiano ambidue di Egea città d'Egitto. La loro madre, che la Chiesa venera come Santa, nulla risparmiò per coltivare il loro spirito ed il loro talento. I progressi maravigliosi che fecero nelle scienze non arrestarono quelli che facevano nella virtù. I loro costumi facevano l'elogio di lor religione, ed i pagani stessi non cessavano di ammirare e di amare la lor probità, la loro alienazione {105 [467]} dall'interesse e la loro innocenza.

            Lo zelo per la fede loro inspirò di studiare la medicina, per avere così un mezzo d'insinuarsi nell'animo dei pagani, d'instruirli insensibilmente nella religione.

            Secondo il loro disegno, i Santi fratelli si resero così celebri nella cognizione della natura e della medicina, che in quei paesi non vi era infermo il quale ricorrendo ad essi non ricuperasse la sanità.

            Cominciavano dal face una breve ma fervente orazione, poi informandosi della natura del male facevano il segno della s. Croce sopra l'infermo e nel punto stesso i dolori cessavano, la febbre spariva, e gl'infermi e sovente anche i moribondi, acquistavano perfetta salute. È facile il comprendere che quelle guarigioni miracolose facessero numerose conversioni fra i pagani. Il desiderio di guarire, l'acquisto in molti della sanità inspiravano agli idolatri più ostinati una {106 [468]} stima singolare per la religione cristiana.

            I nostri Santi sapevano servirsi della confidenza che i pagani infermi avevano in essi, per ritirarli dagli errori e dall'empietà del Paganesimo di modo che i nostri medici in quei paesi divennero ben presto due prandi apostoli. La loro alienazione dall'interesse era tanto perfetta e tanto nota che i Greci li hanno denominati Anargiri, cioè senz'argento, perchè esercitavano gratuitamente la loro professione.

            Lo splendore di tanti miracoli, e la loro eminente riputazione furono la causa del loro martirio. Furono accusati come cristiani, e come tali condotti davanti al governatore di nome Lisia, che era stato inviato in quei paesi da Diocleziano a fine di perseguitare i cristiani.

            Voi siete adunque, loro disse Lisia, quei seduttori che andate per le città e per le provincie sollevando i popoli coi vostri incanti contro agli Dei pretendendo in luogo loro far adorare {107 [469]} come Dio un uomo fatto morire sopra di una croce. Se non abbandonate questo Dio crocifisso non vi sarà supplizio ch'io non usi per ridurvi al dovere. Di qual parte siete voi? Qual'è la vostra professione, la vostra famiglia?

            Signor Governatore, risposero i due santi con aria imperturbata, noi siamo fratelli, nati in Arabia ed abbiamo la fortuna di essere cristiani con altri nostri fratelli medici di professione. Non andiamo in alcuna città o provincia se non vi siamo chiamati. Non esercitiamo l'arte nostra per interesse, anzi generalmente noi diamo la sanità del corpo in virtù del nome di Gesù Cristo. Soltanto procuriamo nel guarire le malattie del corpo di far eziandio conoscere non esistervi che un solo Dio che è quello che adoriamo, e tutti gli Dei non essere se non demonii che seducono i popoli.

            A quella franca risposta stordì il governatore; non sapeva se doveva accendersi di sdegno o lodare la loro {108 [470]} moderazione. Sapeva che le cure da essi usate erano considerate come miracoli. Il timore tuttavia di cadere dalla grazia dell'Imperatore gli fece prendere il partito della severità. Comandò di far venire i loro fratelli, e come comparvero dinanzi al suo tribunale, voi siete, loro disse, nobili giovani, sappiate adunque che io tengo ordine dai nostri principi di promettervi l'amicizia di essi e le prime cariche dell'impero se vi sottomettete ai loro voleri. Bisogna sacrificare agli Dei ed abbandonare la vostra religione o morire fra i maggiori tormenti. Pensateci.

            Ci abbiamo già pensato, risposero Cosma e Damiano. I vostri supplizi non ci spaventano, siamo pronti a dare la vita per la nostra religione, non attendete da noi altra risposta.

            Lisia allora li fece mettere tutti alla tortura. Il crudel supplizio non recò ad essi spavento . Se avete altri tormenti a farci soffrire, gli dissero i due medici, metteteli pure in opera la grazia di nostro Signore ce li farà sopportare con pazienza e {109 [471]} con gioja. Infatti essendo usciti dalla tortura senza alcun male, il Governatore piucchè mai irritato ordinò che fossero gettati colle mani e coi piedi legati nel mare. Ma un angiolo avendo spezzato i loro legami, li trasse dall'acqua e li ripose sulla spiaggia.

            Il giudice colpito da si stupendo miracolo mitigò il suo sdegno e domandò con quali sortilegi facessero quelle maraviglie. Signore, risposero i santi fratelli, noi ignoriamo ogni genere di sortilegio, i demoni ci temono invece di servirci. Siamo cristiani e solo in nome di Gesù Cristo e sotto la sua protezione trionfiamo di tutti i vostri supplizi, e tutti i vostri supplizi e tutti i vostri pretesi Dei insieme con tutto l'inferno non possono resistere al solo segno della croce di Gesù Cristo, in cui mettiamo tutta la nostra confidenza.

            Ed io, rispose Lisia, metto la mia nel nostro Dio Apollo, e nel suo nome pretendo di fare gli stessi prodigi. Questa bestemmia fu subito punita; due spiriti maligni lo assalirono, lo batterono {110 [472]} tanto, che era per spirare sotto ai colpi, se i nostri santi mossi a compassione non si fossero posti in orazione, e nel nome di Gesù Cristo non avessero liberato. I santi approfittandosi del miracolo gli dissero: Dubitate voi ancora dopo di questa grazia dell'onnipotenza del nostro Dio? Abbandonate dunque il culto di coloro che ancora più deboli di voi non possono liberare se stessi dagli eterni supplizi, aprite gli occhi alla verità. Il governatore restò insensibile a queste giuste rimostranze e senza rispondere cosa alcuna si contentò di farli condurre in prigione. I pagani temendo che Lisia si facesse cristiano si misero a schiamazzare contro di lui minacciandogli lo sdegno degli imperadori. Laonde nel giorno seguente ordinò di accendere un gran fuoco di sarmenti nel quale feceli gettare. Ma non ne restarono danneggiati più che dagli altri supplizi. Il governatore divenutone furioso comandò che fossero attaccati ciascuno ad un patibolo, e che quattro compagnie di soldati scoccassero {111 [473]} contro a quelli tutte le loro frecce. Ma la mano del Signore, che voleva confondere l'ostinazione del tiranno e di tutti i pagani, li rese invulnerabili e permise che la nuvola di strali ritornasse contro la moltitudine degli spettatori pagani ai quali lo spettacolo costò la vita. L'avvenimento cagionò una sollevazione in tutta la città, a segno che il governatore feceli decapitare nel punto stesso. San Cosma e s. Damiano essendosi posti in orazione supplicarono il Signore a contentarsi di ricevere il loro sacrifizio, e di non più impedire con nuovo miracolo l'esecuzione della sentenza. Furono esauditi, perchè al primo colpo restarono decapitati.

            Furono coronati del martirio il 27 settembre l'anno 285. Si crede che i tre altri fratelli abbiano avuta la stessa sorte.

            La Chiesa cattolica celebra ogni anno la festa di quasti santi nel giorno del loro martirio; i loro nomi sono nella serie di quelli che formano le litanie dei Santi, e dei medesimi {112 [474]} si fa ogni giorno speciale commemorazione dal sacerdote ogni volta che celebra la s. Messa. Le sante reliquie per la maggior parte furono dipoi portate a Roma e poste in una bella Chiesa che s. Felice papa, bisavolo di s. Gregorio Magno, fece fabbricare a loro onore. V. Ruinort att. sinceri de' martiri. {113 [475]}

 

 

Varietà. Fatto contemporaneo. Una lettera spedita al Cielo.

 

            Due poveri coniugi operai di Parigi erano in letto, la moglie già da lungo tempo per non sappiamo quale infermità, e il marito da un giorno a motivo di grave caduta. I loro figli non avevano onde cavarsi la fame. Poveri fanciulli! Per altro fra questi v'era una fanciullina, la quale andava alla scuola, ma che in quel giorno si era fermata nel povero abituro per dare da bere ai due infermi. Trovandosi oppressa dalla fame che fa ella? Dice fra sè: la Suora della nostra scuola ci dice che bisogna indirizzarci al buon Dio quando si è nel dolore; ebbene io m'indirizzerò al buon Dio! Gli scriverò una {114 [476]} bella lettera come quella che la mamma mi ha fatto scrivere alla mia madrina: ho ancora della carta e una penna ... Detto fatto. L'innocente fanciullina scrive la sua lettera, tutta, è vero, imbrattata d'inchiostro, ma ciò non monta, e in essa domanda al buon Dio la sanità pe' suoi parenti, un tozzo di pane per se e pe' suoi fratellini. Poi corre frettolosa sino a s. Rocco, dove scorge il bossolo destinato a raccogliere le elemosine pei poveri, e credendo esser quello il posto delle lettere dirette al buon Dio, vi si appressa riguardando intorno se non è veduta. In questo momento una rispettabile signora, uscita allora dalla chiesa, si trova dietro la povera fanciulla, e vedendola in quello atto, le chiede che voglia fare. La meschinella sorpresa e spaventata si mette a piangere, poi racconta alla dama la sua trista istoria, e ne mostra come prova la lettera che voleva inviare al cielo. La buona dama la consola, e prendendo la lettera, le promette d'incaricarsi di farla giugnere al suo destino. Ma, aggiunge subito, ci hai tu {115 [477]} messo il tuo indirizzo per ricevere la risposta? No, rispose la fanciulla; mi hanno detto che il buon Dio vede tutto. - Ti fu detta la verità, mia cara, disse la dama sorridendo; ma chi egli incaricherà di risponderti non ne saprà forse come lui. Allora la ragazzina le indicò il sito del suo povero alloggio, poi tutta lieta tornò al letto de' suoi parenti. Il mattino seguente, levandosi, ella trovò alla sua porta un'immensa cesta contenente robe da uomo, da donna, da fanciullo, lingeria, zuccaro, danaro, il tutto ben aggiustato sotto una gran carta che diceva: «Risposta del buon Dio.» E qualche ora dopo, un medico venne a visitare i poveri ammalati. Così se la lettera non era salita materialmente in cielo, era per altro stata realmente ricevuta da uno de' suoi angeli.

 

            Con approvazione Ecclesiastica. {116 [478]}

 

 

Indice

 

Capo I - L'era de' martiri

pag 3

Capo II - Patria ed elezione di S Cajo - Decreto sui giudici degli Ecclesiastici - Le accuse degli Eretici e dei Gentili contro ai medesimi non sono da ascoltarsi

 8

Capo III - Tonsura - Ostiariato - Lettorato - Esorcistato - Accolitato - Suddiaconato - Diaconato - Presbiterato - Episcopato

 13

Capo IV - Carino e Numeriano imperatori - La persecuzione di Diocleziano - Principii di S.Sebastiano

 19

Capo V - S Cajo manda S Policarpo in Campania e ritiene S Sebastiano in Roma Esorta i cristiani alla fermezza nella Fede - Zelo del Giovanetto Tiburzio

pag 25 [479]

Capo VI - S Cajo si ritira nella casa di Castulo - Tiburzio operando un miracolo converte tre infedeli che conduce al Pontefice pel battesimo

 30

Capo VII - Martirio di S Sebastiano e de' suoi compagni

 34

Capo VIII - S Pancrazio e S Dionigi vanno a trovare il Pontefice da cui sono instruiti nella fede

 40

Capo IX - S Cajo amministra il battesimo e la Cresima a S Pancrazio e a S Dionigi – Morte di questo, e martirio di S Pancrazio

 47

Capo X - Gabinio instruisce Susanna sua figlia nella virtù e la conduce a S Cajo

 53 {118 [480]}

Capo XI - S Cajo in casa di Gabinio - Susanna ricusa ogni sorta di nozze e consacra a Dio la sua castità

pag 57

Capo XII - Cajo Papa parla della Fede a Claudio; lo esorta alla penitenza, promettendogli il perdono dei peccati

 61

Capo XIII - Claudio con sua famiglia riceve il battesimo – Il Pontefice amministra loro la Confermazione e la SS Eucaristia

 65

Capo XIV - Carità di Claudio - L'Imperatore manda Massimo per avere definitiva risposta di Susanna

 70

Capo XV - Massimo in casa di Gabinio e di Caio è instruito nella fede, e domanda il battesimo

 73

Capo XVI - Massimo riceve il battesimo - Distribuisce i suoi beni ai poveri - Con Claudio riporta la palma del martirio

pag 79 {119 [481]}

Capo XVII - Susanna in casa di Diocleziano - Suo martirio - Cajo muta in chiesa la casa di Susanna

 83

Capo XVIII - Martirio di san Gabinio - Ultime fatiche e morte di s Cajo

 87

Capo XIX - Eresia di Gerace - San Macario confuta l'eresiarca e lo confonde con un miracolo

 92

Capo XX - Vita, martirio di s Grisanto e di s Daria

 97

Capo XXI - Azioni e martirio de' fratelli Ss Cosma e Damiano

 105

 

 

Varietà - Una lettera spedita al cielo

 114 {120 [482]}

 



[1]La sede vescovile di Salona fu innalzata alla dignità di metropolitana da tempo molto antico. Questa città fu rovinata nel 641 ed allora la sede arcivescovile fu trasportata a Spalatro dove sussistette di poi. Ivi si celebrarono due Concili in cui si trattarono cose molto importanti. Il primo si celebrò nel 1075; l'altro nel 1076; V. MANSI, tom. 2°.

[2]Daniele Farlato nel suo Illyricum sacrum impiega quasi tutto il volume secondo della sua grande opera nello scrivere la vita di Diocleziano e della sua famiglia. In questo medesimo volume fa una copiosa raccolta delle cose che riguardano al pontificato e martirio di s. Cajo nipote di quell'imperatore. Chi desiderasse istruirsi più a lungo intorno alle azioni di questo pontefice può consultare l'opera citata che io ho procurato di compendiare e ridurre a quell’ordine che si richiede pei piccoli fascicoli delle Letture Cattoliche.

[3]Quando Diocleziano salì sul trono ordinò che ognuno dovesse datare i fatti ed i pubblici scritti dall'anno in cui egli era stato proclamato imperatore, quindi quell'anno 284 diede principio all'era di Diocleziano. Ma gli Egiziani che furono terribilmente perseguitati cominciarono a chiamarla era dei Martiri, nome che fu dipoi usato dai cristiani per esprimere il sanguinoso regno di Diocleziano: V. SCALIGERO, libro 5.

[4]Tutto quello che si racconta di s. Cajo da questo punto fino alla morte di s. Sebastiano è ricavato dagli atti del martirio di questo Santo comunemente attribuiti a s. Ambrogio; Vedi BOLL. e SURIO, 20 genn.

[5]Chi desiderasse di avere più copiose notizie intorno a s. Pancrazio, legga il libro da noi già stampato nelle Letture Cattoliche col titolo: Vita di S. Pancrazio Martire con appendice sul Santuario a lui dedicato vicino a Pianezza. (1856). Ivi è raccolto quanto si potè trovare presso gli autori antichi e moderni intorno a questo Santo. Di là noi riportiamo qui la parte che ha relazione con s. Cajo. Veggansi anche i Bollandisti ed il Surio al 12 dì Maggio.

[6]Vedi BOLLANDISTI, die 12 maii.

[7]Questi cugini nell'originale degli atti di questi martiri sono appellati germani, ossia fratelli, non perchè fossero tali in parentela, ma per significare la stima e l'affetto che vicendevolmente l'uno all'altro si portavano.




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