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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

VITA DI SAN MARTINO VESCOVO DI TOURS 

per cura del sacerdote Bosco Giovanni

 

 

TORINO

TIPOGRAFIA RIBOTTA

Piazzetta della Consolata, No 5.

1855. {I [389]} {II [390]}

 

 

 

 

INDEX

Avviso importante  2

Capo I. Prima educazione di s. Martino Vescovo di Tours. 3

Capo II. Martino lascia il servizio militare, e va a Poitiers. 4

Capo III. Nel passaggio delle Alpi cade nelle mani degli assassini. - Giunge in sua patria e converte sua madre ed altri alla fede di Cristo. 5

Capo IV. S. Martino in Italia. - Ritorna a Poitiers. 6

Capo V. Risuscita due morti: - È fatto Vescovo di Tours. 7

Capo VI. Sua sollecitudine pastorale. Fonda il monastero di Marmoutier. 9

Capo VII. Opera due miracoli e converte molti idolatri. 10

Capo VIII. S. Martino alla corte dell'imperatore Valentiniano I, e a quella dell'imperatore Massimo. 12

Capo IX. Sua pazienza, similitudine del prato. Fa parlare l'ombra d'un morto. 14

Capo X. Altri miracoli ed ultime fatiche di s. Martino. 16

Capo XI. Preziosa morte di s. Martino. 17

Capo XII. Sepoltura e tomba di san Martino. 18

Capo XIII. L'invocazione e il culto dei Santi. 18

Capo XIV. Reliquie dei Santi. 20

Il martire Geronimo  22

Nota  23

Il purgatorio  23

Indice  25

 


Avviso importante

 

            La venerazione a s. Martino si può dire sparsa in tutta la cristianità; nell'Europa poi sarà difficile trovare un paese in cui non sia chiesa, altare o qualche altro monumento religioso che attesti segnalati favori ottenuti da Dio per intercessione di lui a pro delle famiglie e delle campagne; oppure renda gloriosa testimonianza di miracoli pubblicamente riconosciuti ed operati a pro della sofferente umanità. Giova perciò sperare che tornerà cosa gradita ai nostri lettori il vedere qui {III [391]}

compendiate le meraviglie di quel Santo, di cui è così universale la venerazione.

            Ma parlare di miracoli in questi tempi! forse che saranno creduti? Adagio, cristiano lettore, non farti illusione per certi discorsi di alcuni nemici del Cristianesimo. Se tu osservi che leggiamo essersi operati miracoli grandi, siccome vediamo notati ne' sacri libri; se tu osservi che il Salvatore ha detto che i predicatori del Vangelo ne avrebbero fatti dei più strepitosi, cesserà lo stupore, la sorpresa. Notiamone alcuni.

            Un serpente che parla ad Adamo e ad Eva nel Paradiso terrestre; un diluvio universale che copre tutta la terra; una pioggia di fuoco che incendia ed inabissa le città della Pentapoli; la moglie di Lot cangiata in una statua di sale; un Angelo che rattiene il braccio e parla ad Abramo affinchè non uccida il proprio figliuolo; le dieci piaghe dell'Egitto; la verga di Mosè, la quale prima è mutata in serpente e poi divide le acque del Mar {IV [392]} Rosso; la manna che piove dal cielo per quarantanni; l'Arca dell'alleanza che ferma la corrente del fiume Giordano; l'asina di Balaam che parla con voce umana; il sole che si ferma al comando di Giosuè; i corvi che portano regolarmente il pane al profeta Elia; morti risuscitati; l'olio e il pane moltiplicati; queste, dico, ed altre infinite maraviglie, che tu trovi registrate nella storia del mondo, non è egli vero, che mentre ti recano grande sorpresa, ti appariscono però ad un tempo quali fatti i più certi e indubitati, siccome quelli che si trovano registrati in un libro divino qual è la Bibbia?

            Che diremo poi di quanto leggiamo nel Vangelo? Quivi una stella annunzia la nascita del Salvatore; una schiera di Angeli ne dà festevole annunzio ai pastori; l'acqua si cangia in vino; con poco di pane si nutrono abbondantemente più mila uomini; i sordi acquistano l'udito; i ciechi la vista; i muti la parola; i lebbrosi sono mondati; malattie dall'arte umana insanabili {V [393]} instantaneamente guarite; uomini morti da quattro giorni e già incadaveriti e puzzolenti, e che pur risorgono a nuova vita, parlano, camminano. Il Vangelo è ripieno di fatti di simil genere. Pure il Salvatore disse che i suoi seguaci avrebbero operato cose maggiori. Perciò non avvi stupore che tali maraviglie siano state ripetute dagli Apostoli e dai loro successori nella predicazione del Vangelo e segnatamente da s. Martino siccome noi siamo per raccontare.

            Dobbiamo piuttosto dedurne una conseguenza grave; vale a dire, che trovandoci noi in quella religione in cui si compiono le promesse di G. C., abbiamo un certissimo ed evidentissimo argomento che ci assicura che fortunatamente ci troviamo nella sua santa religione, mentre vediamo che le azioni dei Santi sono letteralmente la pratica delle verità proposte dal Divin Salvatore e registrate nel santo Vangelo.

            È bene eziandio di avvisare il lettore che di quanto siamo per dire intorno {VI [394]} alle azioni di s. Martino non vi è fatto che non sia stato scritto e pubblicato da autori contemporanei; autori che per santità e dottrina sono in credito presso ai medesimi protestanti; come sono Sulpizio Severo; s. Gregorio vescovo di Tours; s. Gregorio Magno papa ed altri molti. Inoltre di tutti i fatti prodigiosi che sono in questo racconto riferiti non ce ne è neppur uno che non abbia il suo simile nella Bibbia e in modo anche più luminoso; neppure uno che non abbia sostenuto e possa sostenere la critica più severa. Siccome poi in questi tempi i nemici della cattolica religione studiano di allontanare i cattolici dal culto dei Santi e dalla venerazione delle loro reliquie, si pensò bene di aggiungere in fine una breve appendice in proposito.

            Questo Santo glorioso, che tanto faticò perla predicazione del Vangelo; che operò tanti prodigi per diffondere la fede di Cristo fra gli idolatri e conservarla fra gli eretici mentre era mortale in terra; ora che è Beato in cielo {VII [395]} si degni volgere uno sguardo pietoso sopra di noi, e ci ottenga da Dio perseveranza e coraggio da poter vivere e morire nella santa cattolica religione, unica vera, unica santa, unica confermata da miracoli, unica che in ogni tempo abbia avuto uomini santi, e fuori della quale niùno può salvarsi. Così sia. {VIII [396]}

 

 

Capo I. Prima educazione di s. Martino Vescovo di Tours.

 

            La vita di san Martino è un vero modello di virtù, carita e perfezione cristiana, tessuta di una serie di fatti i più curiosi e piacevoli. La Storia Ecclesiastica parla di questo santo come di un grande luminare del secolo IV. La vita ne fu scritta da Sulpizio Severo scrittore contemporaneo e che visse insieme col santo[1]. {9 [397]}

            Egli era nato l’anno 310 nella città di Sabaria nella Pannonia (oggidì Zombateli nell'Ungheria). I suoi genitori erano onorati e ricchi assai secondo il mondo, ma idolatri, cioè professavano una religione, in cui si adoravano le creature, come sono il sole, la luna, gli animali, le piante ecc. in vece del vero Dio. Perciò i parenti di Martino erano affatto lontani dalla religione di Gesù Cristo. Suo padre era ascritto nella milizia Romana, e giunse a divenir tribuno di una legione; carica che in quel tempo era una delle prime nell'armata poco presso come presentemente i colonnelli. Per circostanze di guerra avendo egli dovuto venire in Italia condusse seco a Pavia Martino ancora bambinello. Quivi Martino ebbe la prima educazione, non già cristiana, ma idolatra, e nulla si risparmiò per affezionarlo al paganesimo ed allontanarlo dal culto del vero Dio. Ma quando Iddio ha qualche disegno {10 [398]} sopra gli uomini, sa guidarli in mezzo a tutti i pericoli e additar loro le vie da seguirsi onde giugnere all'eterna salute.

            Martino era di un'indole buona, e fin da quella età sapeva già affezionarsi i fanciulli ben educati, e schivar destramente coloro che nelle loro azioni, o discorsi si danno a conoscere scostumati. Egli provava un gran piacere quando poteva trattenersi con qualche fervoroso cristiano, e sebbene fosse ancora privo di battesimo, nulladimeno interveniva molto volentieri agli, esercizi di pietà. Si recava sovente alla Chiesa dei cristiani, e in età di dieci anni, contro il volere de' suoi genitori, dimandò con istanza di essere catecumeno, cioè essere inscritto tra quelli che desiderano di farsi istruire nelle verità della fede per ricevere il battesimo. Fu appagato il suo desiderio, e si mostrò ben degno del favore coll'assiduità alle istruzioni che si facevano ai catecumeni.

            Sebbene egli frequentasse le istruzioni e le pratiche di pietà coi Cristiani, tuttavia non tardò a conoscere i gravi pericoli cui vanno soggetti i giovani che vivono nelle grandi città; perciò risolse di ritirarsi in una solitudine per convivere {11 [399]} con alcune persone dabbene, e per attendere unicamente alla salvezza dell'anima. Avrebbe eseguito questo suo progetto, se la tenera età, la proibizione dei parenti non glielo avessero impedito.

            In quel medesimo tempo Costantino era divenuto padrone di tutto il Romano impero, e dopo aver fatto cessare le persecuzioni contro ai Cristiani, egli stesso professava pubblicamente il Cristianesimo. Ma dovette fare una grande leva militare per combattere contro ad alcuni nemici che tentavano d'invadere l’impero. Col decreto di quella leva comandava eziandio che tutti i figliuoli dei tribuni fossero arruolati e condotti a sostenere la guerra.

            Allora il padre diè ordine che si cercasse Martino, il quale toccava appena l'età di quindici anni, e gli fece prendere le divise militari. Come figlio di un Tribuno avrebbe potuto tener seco parecchi famigli, farsi servire lautamente; ma egli conosceva già che il lusso e l'intemperanza sono cose da fuggirsi da tutti gli uomini dabbene. Menò seco solamente un servo, il quale ei trattava come suo uguale. Sobrietà nel mangiare, riservatezza nel discorrere, puntualità nel servizio, erano le virtù che il virtuoso {12 [400]} giovane faceva risplendere nella sua condotta, che perciò merita di essere proposta a modello a chiunque professa il mestiere delle armi. Egli reputava di servire a Dio adempiendo i suoi doveri; era umile cogl'inferiori, affabile e liberale coi poveri, compassionevole e misericordioso con tutti. Seppe egli guardarsi da quei vizi in cui pur troppo è solita a cadere la gente di guerra; si studiava di acquistarsi l'affetto e la stima di tutti quelli che vivevano con lui; era così sobrio e moderato nel vitto che pareva un monaco, non un soldato. Mentre poi mostravasi costantemente sofferente dei difetti altrui, soccorreva alle necessità di ognuno con istraordinaria carità, consolando gli afflitti, assistendo gl'infermi, pascendo i famelici.

            Il maggior suo piacere era di poter coprire i nudi, nella qual opera di pietà è molto memorabile il fatto seguente. Trovavasi l'esercito Romano nelle Gallie (oggidì Francia) e correva un'invernata assai più crudele del solito. Molti uomini morivano agghiacciati nelle case e nelle strade. Or avvenne che l'esercito, in cui era Martino, passando per la città di Amiens, un poverello tremante, quasi {13 [401]} nudo e colle carni esposte alla rigidezza dell'aria chiese qualche soccorso da quei soldati. Il misero non era stato esaudito da veruno di loro. Giunto Martirio davanti a lui si ferma, lo rimira e dice tra sè: bella occasione di coprire un nudo! Intanto mette la mano in tasca e non trova più danaro, perchè già tutto aveato speso a favore dei poveri. Che fare? La carità è industriosa e trova sempre modo di beneficare. Depone il proprio mantello, trae fuori la spada, lo taglia per metà, e dandone una parte al povero, coll'altra alla meglio che può, ricopre se stesso.

            A cotal vista di abito contraffaltto e di panni squarciati alcuni non poterono contenere le risa; ma gli altri più sensati ammirarono la grande azione di Martino. Iddio medesimo dimostrò quanto quell'azione fosse a lui gradita, imperciocchè nella seguente notte gli apparve Gesù Cristo coperto colla metà del mantello che egli aveva donato a quel miserabile, e lo intese a dire ad una schiera di angeli che lo circondavano: Martino ancora catecumeno mi ha ricoperto con questa veste. Colle quali parole il Divin Redentore confermava quanto aveva detto nel Vangelo, e che dirà nel giorno del giudizio: {14 [402]} Tutto quello che fate ad uno dei minimi miei fratelli, lo fate a me. «Quamadiu fecistis uni ex fratribus meis minimis, mihi fecistis» (S. Matteo, c. XXV). Questa consolante visione ben lontano dal fargli prender vanagloria, contribuì invece a fargli vie più ammirare la grande bontà di Dio, e si senti tutto infiammato a servirlo con maggior umiltà e fervore, sicchè senza più indugiare dimandò di ricevere il battesimo; essendo allora in età di anni diciotto.

            Egli desiderava di abbandonare il servizio militare per darsi unicamente a quello di Dio; ma rimase ancora sotto le insegne due anni per amore del suo tribuno, il quale ne lo aveva pregato, e che gli aveva promesso di farsi egli pure Cristiano, e rinunziare al mondo tostochè fosse giunto al termine del suo servizio. In questo intervallo di tempo egli non pensò più ad altro che agli obblighi impostigli dal santo Battesimo. Stava colla persona in campo e col pensiero in coro dove si cantavano le lodi del Signore, cosicchè si poteva chiamare soldato più di nome che di esercizio; sempre impaziente che giugnesse il momento da lui aspettato di vivere unicamente in servizio di Dio. {15 [403]}

 

 

Capo II. Martino lascia il servizio militare, e va a Poitiers.

 

            Iddio non tardò molto ad appagare i desiderii di Martino. L'occasione in cui dimandò di essere sciolto dal servizio militare fu questa. I Germani, popoli barbari che abitavano a mezzanotte dell'Europa, fecero in quel tempo una nuova scorreria nelle Gallie, cagionando gran danno alle provincie governale dall'Imperatore Romano. Giuliano, soprannominato l'Apostata, perchè aveva rinnegato la propria religione, e che divenne di poi imperatore e gran persecutore del Cristianesimo, fu mandato dall'imperatore Costantino a combattere quei nemici dell'impero. Comandava adunque le truppe di spedizione, e quando si trovò a fronte dei nemici, prima di venire a battaglia, pensò d'affezionarsi ed incoraggiare i soldati facendo loro un donativo. Cominciarono secondo il solito ad essere chiamati ad uno ad uno i capi della milizia. Martino stimò quella una buona occasione per chiedere il suo congedo; e venuto {16 [404]} alla presenza di Giuliano con libertà cristiana gli disse: «Cesare, sin qui ho militato sotto le vostre insegne; ora vi domando permesso di poter in avvenire unicamente militare sotto a quelle di Gesù Cristo. Il dono che siete per fare a me datelo ad un altro.»

            A queste parole sdegnato Giuliano lo guardò con mal viso, dicendogli: «Capisco: tu chiedi licenza non per divozione, ma per timor della battaglia di domani. No, rispose Martino con tranquillo sembiante, non ebbi mai timore alcuno ne' pericoli maggiori, neppure presentemente pavento di combattere e dare la vita per l'imperatore: che se volete attribuire a viltà la mia condotta, vi dirò che son pronto ad andar domani al cominciar del combattere incontro ai nemici innanzi alle prime file senza armi di sorta, munito del solo segno della santa croce: con quest'arma sola mi metterò dentro alle più folte squadre dei barbari.»

            Da si animosa risposta acceso dal desiderio di farne la prova, Giuliano lo fece subito mettere in prigione per inviarlo il di seguente disarmato in faccia ai nemici. Questa cosa diede molto a ragionare {17 [405]} all'esercito, e con diversi affetti dell'animo stavano tutti aspettandone la riuscita. Quando al mattino per tempo contro ad ogni aspettazione veggono gli ambasciatori di quella gente feroce venire rispettosi, non solo a chieder pace, ma eziandio a porsi umilmente all'ubbidienza di Giuliano. Questo fatto si reputò un vero favore del cielo, e quelli che in particolar maniera conoscevano la santità di Martino attribuirono ai meriti di lui sì repentina mutazione e sì facile vittoria. È vero che Iddio avrebbe potuto altrimenti salvare là vita del suo servo in mezzo a migliaia di spade e di lancie nemiche, nondimeno fu più conforme alle soavi disposizioni della divina Provvidenza il liberarlo col mezzo di simile accordo senza uccisioni e senza strage.

            Fatto così libero dalle sollecitudini del mondo, dopo cinque anni di servizio militare egli si portò presso san Ilario, personaggio di gran dottrina e santità, vescovo di Poiliers, che è una città considerevole di Francia.

            Questo prelato conobbe tosto il merito del nostro Martino, e i disegni della divina Provvidenza che lo chiamava a lavorare per la salute delle anime; perciò {18 [406]} dopo di averne attentamente considerato la pietà, la purezza di costumi, la scienza non ordinaria, e la grande sua propensione ad occuparsi a vantaggio delle anime, voleva ordinarlo diacono della sua Chiesa. Martino dal canto suo comprese subito la gran virtù e santità del suo maestro, pose in lui tutta la confidenza e nulla faceva senza il suo parere; tuttavia per umilia non acconsenti di ricevere il diaconato, e si lasciò solamente ordinar esorcista, che è uno degli ordini minori ecclesiastici, con cui si riceve l'autorità di esercitare alcuni uffizi al servizio della Chiesa.

 

 

Capo III. Nel passaggio delle Alpi cade nelle mani degli assassini. - Giunge in sua patria e converte sua madre ed altri alla fede di Cristo.

 

            Una cosa doleva grandemente all'animo del nostro santo; ed era il pensare che la sua patria e i suoi genitori medesimi fossero involti negli errori del gentilesimo. Ma Iddio pietoso che chiama tutti gli uomini alla conoscenza della verità, nella {19 [407]} guisa che mandò Pietro a battezzare il Centurione e la sua famiglia, fece altresì conoscere a Martino come era volontà sua che egli si recasse in patria onde lavorare per la conversione de' suoi genitori. Chiese egli pertanto licenza a san Ilario, il quale solo accondiscese per non opporsi ai divini voleri, e a condizione che egli quanto prima ritornasse.

            Partì il Santo da Poitiers, e passando le Alpi si abbattè in una banda di malandrini. Lo assalirono, lo spogliarono, ed uno di essi teneva già alzato il ferro per colpirlo. Ma un suo compagno, meno crudele di lui, gli trattenne il braccio; sicchè si limitò a legargli dietro le mani e affidarlo ad un altro assassino che lo custodisse e lo menasse in parte più remota. Mentre il conduceva, era pieno di stupore rimirando la serenità che traspariva dal volto di Martino, e a poco a poco deposta la solita sua aria feroce, quasi provasse compassione per lui e volesse consolarlo, cominciò a dimandargli chi fosse e dove andasse. Martino rispose: io sono Cristiano. Hai tu paura? soggiunse il ladro. Niente affatto, rispose Martino. Non ebbi mai paura di cosa alcuna in mezzo ai più gravi pericoli, perchè {20 [408]} so esservi la divina Provvidenza che veglia sul destino degli uomini, e nei maggiori pericoli non manca di venire in soccorso di chi confida in Lei. Una cosa però mi duole in questo momento, ed è di veder che ti rendi indegno dei divini favori colla vita che fai. Così ragionando Martino potè poco per volta fargli conoscere le verità del Vangelo. Le sue parole fortificate dalla grazia di Dio commossero quell'animo in guisa che deliberò di mutar costume e mettersi a seguire Gesù Cristo per guadagnarsi la vita eterna. Pertanto egli condusse segretamente Martino fuori di pericolose gli raccomandò che pregasse per lui.

            Il Signore che vuole la conversione e non la morte del peccatore compiè l'opera sua; quel ladrone lasciò i suoi compagni, abbracciò la vita religiosa, e fu egli medesimo che raccontò quanto era avvenuto tra lui e Martino, quando nel trapassar le Alpi cadde tra le mani degli assassini.

            Ammiriamo in questo fatto la grande bontà di Dio che in tante e sì diverse maniere ci chiama a lui. Fortunato quell'assassino che secondò gl'impulsi della divina grazia! Fortunati noi, se ascolteremo {21 [409]} gli avvisi che ogni giorno ci dà il Signore per invitarci a fuggire il male e a praticare il bene!

            Il nostro santo seguendo il suo viaggio traversò il Piemonte, venne a Milano, e valicando quelle montagne, che si chiamano Alpi Giulie, in pochi giorni giunse in Sabaria sua patria, dove i suoi genitori avevano di nuovo stabilita la loro dimora. Egli attese con zelo alla salute de' medesimi e riuscì a guadagnare sua madre che si allontanò dalle tenebre del paganesimo per ricevere il battesimo; ma non potè guadagnare l'anima di suo padre, il quale non curandosi di religione volle vivere e morire nel suo acciecamento: dimostrando così avverato quello che leggiamo nel Vangelo, cioè: di due che ascoltano la parola di Dio uno riporta frutto, si converte a Gesù Cristo e si salva; l'altro la rifiuta, continua nel male e si danna: Unus assumetur et alter relinquetur.

            Questo viaggio di Martino contribuì eziandio alla salvezza di molti, i quali mossi dall'esempio e dalle esortazioni di lui abbracciarono la fede cristiana. In questo medesimo viaggio ebbe occasione di far uso dei talenti da Dio ricevuti, {22 [410]} e dimostrare lo zelo che aveva per la santa fede combattendo gli Ariani, eretici che negavano la divinità di Gesù Cristo, e che si erano sparsi in gran numero nell'Illiria[2]. Quegli eretici vollero provarsi a disputare con lui, ma poichè non potevano resistere allo spirito del Signore che fortificava le parole del Santo, si appigliarono al medesimo partito già posto in opera dai persecutori di s. Stefano primo martire della Chiesa. Lo assalirono, gli soffocarono la voce cogli schiamazzi, e dopo d'averlo aspramente battuto colle sferze il cacciarono fuori della città.

            Contento egli, che ad esempio degli Apostoli era stato degno di patire qualche cosa pel nome di Gesù Cristo, preso il cammino verso la Francia.

 

 

Capo IV. S. Martino in Italia. - Ritorna a Poitiers.

 

            Il Salvatore nell'atto che mandava i suoi discepoli a predicare il Vangelo {23 [411]} disse, che, qualora fossero perseguitati in una città, fuggissero in un'altra, perchè la parola di Dio non è legata; e quando è rifiutata in un paese, andassero a predicarla in un altro.

            Così s. Martino vedendo che l'ingrata sua patria rifiutava la visita che Iddio faceva per mezzo suo, coll'animo addolorato pei grandi mali che vedeva sovrastare a que' popoli, e che sovrastano a tutti quelli che non ascoltano la parola di Dio, partì da quei paesi con animo di ritornarsi in Francia presso all'amato suo maestro s. Ilario. Ma giunto in Italia intese che in Francia le cose di religione erano sossopra, e quello che gli cagionò sensibile afflizione fu che lo stesso s. Ilario era stato perseguitato dagli eretici e per loro arte mandato in esiglio. Allora egli giudicò meglio di fermarsi in un ritiro vicino alla città di Milano dove cominciò a condurre vita austera e penitente, adoperandosi, nel tempo stesso a sostenere la fede cattolica, e combattere gli errori degli ariani.

            Ma la vita de' veri servi di Dio è un tessuto di tribolazioni: perciò anche quivi insorsero persecuzioni contro a Martino. Un furibondo ariano, di nome Ausenzio, {24 [412]} teneva sgraziatamente la sede vescovile in questa città, e informato dello zelo che Martino dimostrava per la religione, si diede a perseguitarlo per modo, che lo costrinse ad uscire dalla sua diocesi.

            Mentre dimorava in Milano, contrasse amicizia con un virtuoso sacerdote, il quale, rapito dalla santità di Martino, eragli divenuto affezìonatissimo e volle accompagnarlo nella partenza da quella città. Andarono entrambi in una piccola isola della Gallinaria sulla costiera della Liguria presso Albenga, ove vissero qualche tempo sconosciuti. Ambidue amanti della virtù, ambidue desiderosi di servire Iddio con tutto l'affetto del cuore, passavano gran parte della notte nella preghiera, pigliavano scarso riposo, si cibavano di radici e di erbe selvatiche. Avvenne qui ciò che il Salvatore disse nel Vangelo, cioè che i suoi credenti, purchè avessero fede, quand'anche avessero bevuto il velino, non avrebbe loro recato alcun danno: et si mortiferum aliquid biberint, non tocebit eis.

            Ecco il fitto. Un di s. Martino senza accorgersene mangiò dell'acconito, ovvero elleboio, pianticella velenosa che anche in poca quantità fa sentire acutissime {25 [413]} doglie e spesso cagiona la morte. Di fatti egli fu per tramandare l’ultimo respiro. Già si rassegnava di fare ciò che Dio avrebbe meglio giudicato di lui, quando pieno di fiducia alza gli occhi al cielo e prega. Le sue preghiere giungono a Dio e meritano pronta guarigione.

            Fin qui la vita di s. Martino fu piena di contrasti e di tribulazioni; ma poichè Dio promette a suoi servi fedeli copiose benedizioni anche nella presente vita, così la Divina Provvidenza in mezzo ai travagli andava preparando a Martino giorni più lieti e più tranquilli. Cominciò esso a provare grande consolazione quando ricevette la notizia che s. Ilario doveva ritornare alla sua diocesi. Quel coraggioso prelato dopo aver tollerati lunghi e gravi patimenti per la fede, aveva sfidato gli Ariani a venir con lui ad una pubblica disputa Essi, ben sapendo che questa sarebbe tornata a loro vergogna, si rifiutarono, e per levarsi d'impaccio s. Ilario, impegnarono l'imperatore Costanzo a rinandarlo da Constanlinopoli, ove dimorava, nelle Gallie. Questo fatto avvenne l’anno 360.

            S. Martino tutto ansioso di rivedere il {26 [414]} suo amico e maestro, portossi a Roma sperando di poterlo quivi trovare: ma il santo vescovo era partito quando egli giunse colà. Martino gli tenne dietro finchè lo raggiunse. Ognuno può facilmente immaginarsi con quale espansione di cuore, e con quali vive dimostrazioni di affetto e di amicizia egli lo abbia accolto. Uno era qual figlio che dopo lunghi sospiri giunge a rivedere suo padre; l'altro era qual padre che appagava i suoi desiderii nel rivedere un figlio amato e adorno di tante virtù.

 

 

Capo V. Risuscita due morti: - È fatto Vescovo di Tours.

 

            S. Martino visse più anni a Poitiers, prestandosi a quelle cose cui il suo vescovo lo destinava, avendo però sempre di mira di santificare se stesso e guadagnare anime a Dio sia cogli esempi, sia colle parole. La sua santità fu confermata per mezzo dei miracoli che cominciò ad operare in gran numero, come appunto riferiscono unanimi gli scrittori della vita di san Martino. Non ci deve {27 [415]} recar maraviglia il numero e la grandezza dei miracoli operati dai Santi. Perciocchè, come abbiamo altrove notato, sebbene il Divin Salvatore abbia operato miracoli i più strepitosi, pure assicurò che i suoi discepoli avrebbero operato miracoli maggiori de' suoi. Ciò noi vediamo perfettamente compirsi nella vita di s. Martino. Ecco pertanto alcuni dei molti miracoli che Dio compiacquesi di operare per mano del servo di Dio, siccome sono riferiti dal citato Sulpizio Severo, stimato dai medesimi protestanti.

            Il primo miracolo fu a favore di un catecumeno, ricevuto da poco tempo tra i suoi discepoli. Mentre Martino per motivo del divin servizio era da tre giorni lontano da casa, quel suo discepolo fu assalito da una febbre violenta, e contro ad ogni aspettazione fu tolto di vita senza che potesse ricevere il battesimo. Martino al suo ritorno trovò ogni cosa apparecchiata per le esequie. Egli ne fu dolentissimo, e con lui tutta la comunità provò gran rincrescimento. Martino nel suo dolore si sentì inspirato a far prova della potenza divina. Pieno di fiducia in Dio si accosta al cadavere del defunto; ravviva il fervore di spirito; fa uscire tutti dalla {28 [416]} stanza, chiude le porte, e come aveva fatto il profeta Eliseo, si stende sopra le fredde membra del caro fratello. Ravviva vie più la fede, fa fervorosa orazione, invocando il nome di Gesù Cristo sopra il defunto. Il miracolo è operato. Quelle membra incadaverite incominciarono a prender moto, palpitare, e aprire gli occhi per ricevere l'uso dei sentimenti. Allora Martino non potè astenersi dal gridare ad alta voce: Deo gratias, grazie a Dio. Quelli che stavano fuori aspettando, mossi a quella voce entrano prestamente in casa, e con infinito stupore vedono vivo e rinvigorito il cadavere cui erano in procinto di dare la sepoltura. Dopo un benefizio sì grande non tardò il catecumeno a ricevere il santo battesimo, cui sopravvisse molti anni.

            Il lettore forse dimanderà, dove sia andata l'anima di quel defunto dopo che fu separata dal corpo. Fu da Dio giudicata, o no? Iddio non ci ha voluto rivelare chiaramente questa verità. Pare certo che il Giudice supremo non avesse ancora proferita la sentenza, perchè questa sarebbe inappellabile. Lazzaro rimase cadavere quattro giorni prima che fosse dal Salvatore richiamato a vila; e il Vangelo {29 [417]} non ci dice dove sia stata l'anima di lui in quello spazio di tempo. In quanto poi al morto risuscitato da s. Martino, ecco quanto il medesimo risuscitato soleva poscia raccontare di sè.

            Come l'anima sua fu separata dal corpo si presentò al tribunale del Giudice supremo, ed era stata condannata ad una spaventevole prigione: ma avendo due angeli detto quell'anima essere appunto quella per cui pregava Martino, egli (il divin Giudice) comandò loro di rimetterla a ravvivare il corpo, e farne un presente al servo di Dio, per cui, con suo contento, videsi tornare in vita. Questo fatto è uno di quelli che dimostra esserci qualche luogo di mezzo tra il paradiso e l'inferno, ovvero il purgatorio[3].

            Di tal guisa Iddio faceva palesi la virtù e la santità del suo servo, dandogli così qualche compenso di quanto aveva dovuto fino allora soffrire: è questo il primo miracolo da lui operato, cui tennero dietro molti altri.

            Qualche tempo dopo passando il Santo vicino all'abitazione di un personaggio assai ragguardevole, di nome Lupicino {30 [418]} sentì il pianto e le strida di una moltitudine di gente. Mosso a compassione ricerca quale ne sia la causa, e gli fu risposto che un servo di quel signore con un laccio si era tolta la vita. Ciò udito entra in quella casa, si porta nella stanza ove giaceva il corpo morto del servo. Colà ravvivando la fede, e invocando il nome di Gesù gli ottenne di ritornare in vita. Presolo poi per mano lo rizzò in piedi, e lo presentò a quelli che già lo piangevano morto, e che ora in vederlo vivo e sano piangevano per allegrezza rendendo grazie al Signore, il quale aveva conceduto un polere così grande agli uomini.

            Questi ed altri strepitosi miracoli di s. Martino resero celebre il suo nome, e siccome la virtù è a guisa di un balsamo odoroso che dilata e sparge il suo odore verso tutti quelli che gli si avvicinano; così la virtù di s. Martino divenne tanto nota che ognuno lo teneva per un gran santo. A segno che essendo rimasta vacante la sede vescovile di Tours, il clero ed il popolo pensarono di eleggerlo per loro pastore. Ma sapendosi che egli avrebbe certamente ricusato di accettare una tale carica, convenne usare {31 [419]} un pio stratagemma per cavarlo dal monastero; e fu di mandargli un uomo a richiederlo che venisse istantemente a benedire un ammalato che dimandava i conforti della religione. Corre egli prontamente per prestar quell'opera di carità; ma giunto sulla porta del convento una folla di gente lo prende e sotto buona guardia lo conduce in città, dove con universale acclamazione fu consacrato vescovo.

            Alcuni di quelli che si trovavano presenti, giudicando le cose umanamente biasimavano una tale elezione, perchè vedevano in Martino una persona povera, mal vestita, di poca presenza, e coi capelli scarmigliati. Ma la loro disapprovazione fu giudicata una pazzia, perchè quanto dicevano in suo discredito era appunto quello che formava il più bello elogio di lui e lo rendeva degno del vescovado. Egli fu posto in possesso della cattedra vescovile con somma contentezza di tutto il clero e del popolo, il 14 luglio 374. {32 [420]}

 

 

Capo VI. Sua sollecitudine pastorale. Fonda il monastero di Marmoutier.

 

            È difficile a comprendersi come egli nell'amministrazione e nel governo della vasta sua diocesi abbia potuto corrispondere a tanti e sì gravi bisogni del suo gregge. Non vi fu pericolo che egli non abbia affrontato; non fatica che egli abbia risparmiato; non industria che egli non abbia usata per promuovere la gloria di Dio ed il vantaggio delle anime. Mutò nulla nel trattamento della persona: il vitto ed il vestito erano quelli di prima: solo per abitazione scelse una camera più vicina alla chiesa cattedrale; dove essendo molto disturbato dalle frequenti visite volle procurarsi un luogo ove poter raccogliere lo spirito e pascere l'animo suo di teneri affetti verso Dio. A tale scopo stabilì un nuovo monastero in luogo deserto posto tra una montagna ed un fiume detto Loira, che passa vicino a quella città. Vi si notarono fino ad ottanta monaci, i quali avevano tutti la loro cella separata e quasi tutte scavate {33 [421]} nel sasso di quel monte. Così cominciò la celebre badia di Marmoutier che vuol dire monastero maggiore, ed è il più antico della Francia. Non vi si poteva giungere se non per un sentiero strettissimo. Martino abitava in una cameretta fatta di legno; ma quasi tutti gli altri abitavano entro a cellette scavale nel sasso. Vi si vede ancora oggidì una di queste celle ove si dice che il nostro Santo abbia abitato per qualche tempo. Quei monaci tutti penetrati del pensiero, che niuno può giungere al cielo se non colla innocenza o colla penitenza, nella loro austerità emulavano il rigore dei più mortificati eremiti, e molti a cagione della loro santità sono venerati come santi; e quando si rendeva vacante qualche sede vescovile in Francia per lo più si ricorreva al monastero di Marmoutier. Fra quei monaci niuno riteneva cosa propria: tutto si metteva in comune: non era permesso nè di comperare, nè di vendere. Tutti erano indistintamente dati all'esercizio della penitenza e della più eminente pietà. Non esercitavano altro mestiere che quello di copiar libri; cosa allora assai necessaria per le scienze, non essendo ancora conosciuta la stampa, {34 [422]} e vi s'impiegavano solamente i giovani, giudicando una tale occupazione utile per loro istruzione e per contenere la vivezza della immaginativa.

            I più attempati attendevano alla contemplazione delle cose celesti. Rare volte alcuno usciva di cella, se non quando si radunavano nell'Oratorio a far preghiera in comune. Mangiavano tutti insieme assai parcamente una volta al giorno e sul tardi. Non si dava vino ad alcuno eccetto agli infermi. La maggior parte portava pungenti cilici intorno alla persona. I panni e le vesti alquanto delicate erano da ognuno abborrite come scandalo manifesto; cosa tanto più da ammirare in quanto che la maggior parte di loro erano nobili appartenenti a famiglie agiate e delicatamente allevati, che solo per amore di Cristo si erano volontariamente sottoposti alla penitenza. San Sulpizio Severo mosso dalle grandi cose che in ogni luogo si pubblicavano intorno al nostro Santo, si partì di lontano paese per andarlo a visitare. Egli asserisce come il nostro Santo soleva accogliere amorosamente e con cortesia i suoi ospiti offrendo alle anime un soave cibo di spirituali ragionamenti, esortandoli {35 [423]} con affetti ad evitare e fuggire i piaceri della vita presente ed a lasciare i pericolosi impacci del secolo, a seguire le pedate del Salvatore ed avviarli per l'arduo sentiero che guida al cielo.

            Un personaggio di nome Paolino andò egli pure a visitare il Santo e fu talmente rapito dalla dottrina e santità di lui, che distribuì ai poveri le molte sue ricchezze ed abbracciando la povertà giunse ai più eminenti gradi di santità. Égli è celebre nella Storia Ecclesiastica, e fu san Paolino vescovo di Nola.

            Tuttociò che egli incontrava gli somministrava occasione di santificare sè stesso o dare agli altri lezione di virtù: esempio bellissimo e ben facile a seguirsi. Vedendo un giorno una pecora di recente tosata, disse piacevolmente a quelli che erano seco: Ecco una pecora che ha osservato il Vangelo: essa aveva due vesti e ne ha data una a quello che ne mancava; imitiamola.

            Altra volta alla vista di un uomo coperto di stracci che guardava i porci, ei disse: ecco Adamo scacciato dal Paradiso, spogliamoci anche noi del vecchio Adamo, cioè del peccato, per rivestirci dell'uomo nuovo, cioè della grazia di Gesù Cristo. {36 [424]}

            Un giorno sulla riva di un fiume gli avvenne di vedere alcuni uccelli che tentavano di pigliare dei pesci: ecco, egli disse, l'immagine dei nemici della nostra salute: essi stanno itn aguato per pigliare le anime nostre e farne loro preda. Quindi ordinò agli uccelli di andarsene, e quegli animali irragionevoli furono immediatamente obbedienti alla voce di quell'uomo, cui la morte medesima era sottomessa, e tutti volarono via.

            Con siffatti paragoni e con precetti cavali dalla sacra Scrittura andava Martino eccitando alla virtù quanti gli si paravano innanzi. Ciò che reca particolar maraviglia si è che mentre il suo cuore era intento a far bene agli altri, egli stesso coi detti e coi fatti dimostrava che non usciva mai dalla presenza di Dio.

 

 

Capo VII. Opera due miracoli e converte molti idolatri.

 

            Lungo sarebbe il voler ripartitamene descrivere tutte le opere di virtù e di zelo di quest'uomo straordinario. La storia {37 [425]} lo chiama l'Apostolo della Francia e ben con ragione, perciocchè egli impiegò la intera sua vita confutando le superstizioni dei gentili, distruggendo i loro idoli, convertendo in chiese del vero Dio quei luoghi dove rendevasi a quelle divinità un culto nefando. Dovunque egli predicava la fede, i suoi passi, le sue parole erano accompagnate da alti eroici di virtù, e confermati con una quanti là di miracoli.

            Andando un giorno nella città di Antrico, che oggidì appellasi Chartres, per esercitare il sacro ministero, gli convenne passare per un villaggio tutto abitato da' Pagani. Costoro alla fama del Santo uscendo dalle loro case correvano in folla per vederlo; era tanta la moltitudine dei contadini, che si vedea una vasta pianura tutta coperta di gente. A tal vista di pecorelle traviate e smarrite, pensando che per quelle era inutile la Passione e morte del Salvatore, il santo Prelato si sentì profondamente commosso, ed animato dallo Spirito del Signore si pose a predicar loro la parola di Dio, esortandoli a non differire di usare i mezzi necessarii per conseguire la loro eterna salute. {38 [426]}

            Mentre stava così ragionando si presentò una donna alla quale poco prima era morto il figliuolo unico. Desolata e piangendo si fa innanzi, e colle proprie mani depone il cadavare dei figlio ai pie' di san Martino, dicendo: sappiamo che tu sei amico di Dio: rendimi il mio figliuolo, questo è l'unico che mi restava. Alle preghiere della madre dolente si aggiunsero i singhiozzi e le preghiere dei circostanti; sicchè vedendo egli che un miracolo sarebbe forse stata la conversione di quelle turbe, alza gli occhi e la niente al cielo, ravvivando la fede, che sempre gli ardeva in cuore, confidando nella divina onnipotenza e volontà, si mette in ginocchioni, prende quel corpo tra le sue braccia, e dopo breve preghiera tutti videro quel giovanetto riprendere il respiro, aprire gli occhi, parlare, alzarsi e camminare. La madre attonita e quasi fuori di sè per allegrezza corre ad abbracciare il figlio risuscitato. Allora si alzò un grido tra quella immensa moltitudine, e tutti confessando Cristo per vero Dio, correvano a schiere e con impeto verso s. Martino, pregando istantemente che li facesse Cristiani. Ed egli pieno di giubilo, imposte sopra di {39 [427]} loro le mani, li benedisse, li fece ascrivere fra i catecumeni adoperandosi che per mezzo suo e coll'aiuto di altri sacerdoti fossero istrutti nelle verità della fede, quindi potessero quanto prima ricevere il Battesimo.

            Il suo zelo si estese fino nella Borgogna, che è un'altra provincia della Francia, e quivi parimenti guadagnò molte anime a Cristo. Niuna cosa vi era che fosse capace di fargli ostacolo; non le fatiche dei viaggi, nè le persecuzioni dei gentili, non le opposizioni dei falsi Cristiani. Trovandosi un giorno in un borgo abitato da gentili, tentò, come aveva fatto altrove, di convertirli a Dio, e indurli ad abbandonare le loro varie superstizioni e specialmente a recidere e gettare a terra un grande albero da loro tenuto in venerazione. Noi lo faremo, risposero i gentili, purchè ti contenti di starvi sotto da quella parte dove pende e dove sarà per cadere. Il santo vescovo pieno di quella fede che, come dice il Salvatore, trasporta le montagne, accetta la condizione. L'albero si taglia; prende il pendìo dalla parte di s. Martino di maniera che tutti lo credono schiacciato. Ma quando vede l'albero cadergli sopra, {40 [428]} egli fa un segno di croce; l'albero si raddrizza e va a cadere dalla parte opposta ove erano i Gentili, molti dei quali sarebbero periti, se non si fossero salvati colla fuga. Iddio si servì di questo miracolo per ammollire la durezza di quegli idolatri e indurli ad abbracciare la cristiana religione.

            Voglio qui farvi notare un rimprovero che fanno i Protestanti ai Cattolici, e in maniera particolare a s. Martino relativamente al segno della croce. Dicono essi essere questa una novità da disapprovarsi perchè di esso nulla si dice nella Bibbia e nei primi tempi della Chiesa. Noi cominciamo a dire che questo segno fatto in forma di croce da tutti i cristiani, dicendo: nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo ha luogo colle medesime parole lasciateci da Gesù Cristo nel Vangelo (Matteo, cap. 28). Perciò sebbene non si facesse alcuna menzione di esso nei primi secoli della Chiesa, nulla ci sarebbe a rimproverare facendosi ciò che è scritto nel Vangelo.

            Possiamo però dire che erra grandemente chi asserisce nei primi tempi della Chiesa non essersi praticato il segno della santa croce. Tertulliano, che viveva nel {41 [429]} secondo secolo, dice precisamente «a «tutte le nostre azioni, allorchè entriamo «od usciamo di casa; allorchè prendiamo i nostri abiti, andiamo ai bagni o «a tavola, o al letto; allorchè prendiamo «una sedia o un lume, noi facciamo il «segno di croce sopra la nostra fronte. «Queste pratiche non sono comandate «da una legge formale della Scrittura; «ma la tradizione le insegna, l'uso le conferma, e la fede le osserva.» De cerona militis, c. IV.

            I cristiani opponevano questo segno venerando a tutte le superstizioni dei pagani. San Cirillo raccomanda questa pratica ai fedeli, e san Basilio dice, che tal pratica è di tradizione apostolica. I santi Padri c'insegnano che l'unzione del Battesimo e quella della Cresima si faceva sulla fronte del battezzato; e attestano che si facevano miracoli per mezzo del segno della croce, e che questo segno potente bastava per mettere in fuga gli spiriti maligni, e sconcertare tutte le loro pratiche nelle malefiche cerimonie[4]. {42 [430]}

            Poichè è tanto manifesta la pratica di questo segno tra i fedeli primitivi, noi dimandiamo ai protestanti perchè vogliono rigettarlo, mentre pretendono di osservare e praticare tutto ciò che osservava e praticava la Chiesa primitiva? È questa una delle solite contraddizioni. Noi pertanto altamente raccomandiamo ai fedeli cristiani di far uso frequente di questo segno di salute, siccome è praticato in tutta la cristianità. La Chiesa poi ripete continuamente questo segno nel santo sacrifizio della messa, nell'amministrazione dei Sacramenti, nelle benedizioni, in tutto il culto esterno, e ciò per ammaestrarci che niuna pratica, nessuna cerimonia può produrre effetto alcuno se non in virtù dei meriti della passione e morte di Gesù Cristo, il quale per salvare il genere umano ha sparso tutto il suo sangue per noi sulla croce.

 

 

Capo VIII. S. Martino alla corte dell'imperatore Valentiniano I, e a quella dell'imperatore Massimo.

 

            Benchè il santo Vescovo evitasse le corti dei principi, nè amasse di trattare {43 [431]} coi grandi del secolo, tuttavia la carità verso del prossimo lo costrinse di portarsi due volte alla corte imperiale. La prima volta fu nell'anno 379, quando andò a Milano ove risiedeva l'imperatore Valentiniano I per intercedere la grazia ad alcuni, che correano pericolo di perdere le sostanze e la vita. Saputosi il suo arrivo a Milano ed il motivo per cui era venuto, l'imperatore, d'indole severa, eccitato da sua moglie che professava l'eresia d'Ario, diede ordine che Martino non fosse ammesso alla sua presenza; e ciò faceva per torgli l'occasione di fargli la grazia che domandava. Il buon servo di Dio tentò più volte di avere udienza, ma sempre invano.

            Martino non perdendosi di animo, nè turbandosi per le ripulse, colla solita sua fede ricorse alle armi già altre volte usate, cioè all'orazione, al cilicio, al digiuno, per ottenere da Dio quello che gli veniva negato dagli uomini. Passò egli sette giorni e sette notti intiere vestito di cilicio, asperso di cenere senza mangiar nulla. Nel settimo giorno gli apparve un angelo, il quale gli disse: Va pure alla corte, troverai le porte aperte, entrerai nella stanza dell'imperatore senza alcuno impedimento. {44 [432]} Così di fatto avvenne. Martino si reca al palazzo imperiale, passa in mezzo alle guardie e senza far parola di sorta va direttamente nella camera dell'imperatore. Questi nel vederlo comparire davanti contro gli ordini dati, e senza che ne fosse avvisato secondo il solito, se ne mostrò sdegnato e si fece a sgridare le guardie che lo avevano introdotto. Le guardie erano sbalordite e non sapevano che cosa rispondere. Mentre l'imperatore stava tuttora immobile senza rispondere, nè fare alcuna sorta di accoglienze, ecco ad un tratto un fuoco improvviso attorniare la sedia imperiale. La fiamma si appicca con veemenza a quella parte ove appoggiavasi il corpo dell'imperatore. Salta esso velocemente in piedi e tutto tremante ed umiliato saluta il servo di Dio e accoglie colla massima cortesia colui che poco prima rifiutava di vedere, e incontanente senza aspettar suppliche gli fece grazia di quanto desiderava. Di poi lo chiamò più volte a ragionamenti famigliari, e al partire gli offerì diversi ricchi presenti, che il sant'uomo, siccome amico della povertà, non volle accettare. Così con grande edificazione {45 [433]} dell'imperatore e di tutta quella corte, Martino ritornò alla sua diocesi.

            La seconda volta che per motivo di carità gli convenne andare alla corte fu nell'anno 383, in cui per intercedere grazie andò a Treveri[5] dall'imperatore Massimo: Costui era stato proclamato imperatore nella Gran Brettagna dalle legioni romane coll'uccisione di Graziano, cui sarebbe toccato l'impero, ed erasi impadronito delle Gallie e di tutta la Spagna. Per tale rivoluzione dell'impero molte persone, che avevano tenuto il partito di Graziano, e si erano opposte con vigore a Massimo, correvano pericolo di essere private dei loro beni e condannale alla morte. Eravi inoltre certo Itacio vescovo spagnuolo, il quale aveva indotto l'imperatore a spedire nelle {46 [434]}

            Spagne parecchi uffiziali, acciocchè privassero di vita gli eretici Priscillianisti, così detti da Priscilliano loro capo[6]. S. Martino che era tutto carità non voleva che si venisse a questa strage, e andò a presentarsi all'imperatore medesimo dimandando perdono pei primi, e facendo vive istanze che non si mandassero in Ispagna gli uffiziali destinati contro ai Priscillianisti, perchè, egli diceva, {47 [435]} sotto a tale pretesto saranno eziandio perseguitati que' buoni cattolici, che menano vita penitente, come se appartenessero a quella setta, ed anche perchè la Chiesa di Gesù Cristo desidera e procura la conversione degli eretici e non la loro morte.

            Sebbene Martino fosse accolto con grande onore da Massimo, nondimeno egli mostrò grandissima ripugnanza a comunicare nei sacri misteri con quel principe, e ricusò anche di assidersi alla sua mensa, dicendo con zelo apostolico che non poteva mangiare con un uomo che aveva spogliato un imperatore de' suoi stati ed aveva privato un altro di vita. Massimo protestò di non avere accettato l'impero se non perchè vi era stato sforzato dall'esercito; che le sue fortunate imprese parevano manifestare la volontà di Dio, e che di tutti i suoi nemici neppure uno era stato ucciso ad eccezione di quelli che avevano perduta la vita in battaglia.

            Infine il Santo si arrese, e Massimo ne fu sì lieto che scelse quel giorno per fare una gran festa. Volle che fossero invitate le persone più ragguardevoli della sua corte, tra cui un suo zio e suo {48 [436]} fratello che coprivano le prime cariche dell'impero. A mensa s. Martino ebbe il primo posto accanto all'imperatore. A mezzo il pranzo un famiglio del Sovrano secondo l'uso presentò la tazza all'imperatore, il quale ordinò di presentarla a Martino dalla cui mano desiderava riceverla. Ma il santo Vescovo dopo aver bevuto, la diede al prete che lo accompagnava, e che sedeva alla stessa mensa, siccome persona più degna di quanti vi erano colà radunati; alla quale azione applaudì grandemente l'imperatore e tutta la corte. Questo fatto ci dimostra come s. Martino, l'imperatore e tutta la sua corte riputassero la dignità ecclesiastica superiore a tutte le cariche del mondo.

            L'imperatrice, donna di gran virtù e pietà, volle conoscere il santo, e udire insieme col marito le parole di virtù che uscivano dalla sua bocca. Egli parlava ad ambidue con libertà apostolica; e i suoi discorsi erano sempre sulla caducità delle cose presenti, sulla premura che si deve avere per le cose eterne, sulla gloria celeste che godono i beati in cielo e sulle pene che i dannati soffrono nell'inferno. Lo invitò pure coll'imperatore {49 [437]} alla sua tavola. Martino osservando che uri rifiuto poteva dar motivo a non conseguire quei favori di cui abbisognava nella corte, vi acconsentì non senza sua ripugnanza; perocchè quantunque egli avesse più di settant'anni non conversava mai con donne, salvochè la necessità o la carità lo obbligasse. Oltremodo contenta l'imperatrice volle ella medesima servirlo a tavola. «Ella «adunque, sono parole di Sulpizio Servero, colle sue stesse mani mette all'ordine un modesto e sobrio pranzo, «imbandisce la mensa; porge l'acqua «alle mani, porta il cibo che ella stessa «aveva preparato. Sedendo poi Martino «a tavola, ella stette in piedi ferma ed «immobile a guisa dei servi con mirabile modestia ed umiltà. Finito il mangiare, ella raccoglie gli avanzi e le bricciole del pane anteponendole alle regie «vivande.

            «Nissuno adunque, soggiunge Sulpizio, si abusi dell'esempio di Martino «per sedere a mensa con donne. Considerino che a Martino già settuagenario serve una sol volta in vita non «una vedova, non una donna sfacciata, «ma una pia regina maritata per cui {50 [438]} «prega lo stesso suo marito. Questa stette «in piedi mentre egli mangiava, non sedette con lui; non ardì partecipare del «convitto, ma si contentò di servire.»

            Intanto il vescovo Itacio, che godeva il favore dell'imperatrice, indispettito perchè Martino faceva andare a vuoto i suoi disegni e mosso eziandio all'invidia dalle accoglienze che egli riceveva alla corte, non poteva soffrire di vedersi co' suoi seguaci separato dalla comunione di sì grande prelato, quale era Martino, e perciò indusse Massimo a negargli le grazie che aveva dimandate se non comunicava con lui e con quelli del suo partito. Il debole Massimo guadagnato da Itacio fece dire a Martino, che se non si trovava la mattina seguente alla consacrazione di Felice, che doveva essere ordinato vescovo di Treveri, con Itacio e con gli altri suoi amici, avrebbe fatto morire tutti coloro pei quali aveva dimandato grazia. Il molivo che lo allontanava dal trattare con Itacio era il sentimento barbaro con cui voleva persuadere l'imperatore ad uccidere gli eretici, e Martino desiderava persuaderli e convertirli secondo ciò che Dio dice nella Bibbia: {51 [439]} non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

            S. Martino combattuto per una parte dalla delicatezza della sua coscienza, e per l'altra dalla carità che lo stimolava a salvar la vita a tante persone, infine si lasciò vincere da questa ed intervenne alla consacrazione di Felice. Sebbene in questa condiscendenza non si possa ravvisare colpa alcuna, tuttavia Martino ne provò grave rimorso, perchè le anime pie paventano il peccato e l'ombra medesima del peccato. Finita la funzione il santo Vescovo se ne partì subito, e per la strada andava mesto rimproverando a se stesso la sua troppa condiscendenza. Giunto ad una selva distante quattro miglia dalla città si sentì agitato da mille affannosi pensieri, e, non sapendo più trovar alcun conforto nelle cose terrene, fece quello che il Salvatore dice nel Vangelo: Chi è travagliato dall'afflizione venga a me, ed io lo solleverò. Onde con cuore tutto umiliato si pose a pregare; ed ecco apparirgli un angelo che per confortarlo gli disse: «meritamente ti affliggi, o «Martino, ma non potevi uscire in altro «modo da quell'impaccio; prendi animo {52 [440]} «e fatti coraggio, per non mettere a rischio la tua fama e la tua salute.»

            Questa si può dire l'unica colpa che egli abbia commesso in vita sua, e che egli pianse amaramente. A questo proposito soleva dire che da quel tempo in poi egli provava maggiori difficoltà a far miracoli ed era costretto a fare più lunghe preghiere che non faceva prima per discacciare gli spiriti maligni. Per questo modo avviene che una debolezza è cagione che ci siano sottratte grazie sensibili, insino a che non sia riparata coll'umiltà e col pentimento. Sovente il Signore ce ne priva per mettere alla prova la virtù e mantenerci nell'umiltà.

 

 

Capo IX. Sua pazienza, similitudine del prato. Fa parlare l'ombra d'un morto.

 

            Giunto Martino a Tours, fu accolto dal suo popolo come un angelo di pace. Sebbene fosse assai avanzato negli anni, non diminuì punto le sue austerità, nè le sue apostoliche fatiche. Sopportava tutte le contraddizioni, le molestie, come in penitenza del fatto commesso a Treveri. {53 [441]} Col medesimo spirito tollerò gli insulti che gli fece uno de' suoi per nome Brizio. Costui da giovanetto era stato ricevuto nel monastero di s. Martino ed aveva menato una vita molto edificante. Il santo Prelato nella persuasione che egli avesse perseverato nella virtù, lo fece chierico, di poi lo ordinò sacerdote.

            Ma come spesso avviene che coloro i quali sono di bassa condizione facilmente si lasciano guadagnare dalla superbia quando sono innalzati a qualche onorifica dignità; così quel sacerdote insuperbitosi cominciò a raffreddarsi nelle pratiche di pietà ed a poco a poco si diede ad una vita mondana. S. Martino lo rimproverò più volte. Ma la superbia rende vana ogni correzione, e perciò corrispose al suo benefattore colla massima ingratitudine.

            Un giorno il Santo avendogli fatto quella correzione che giudicò conveniente, acciocchè si emendasse, Brizio montato in furore lo caricò d'ingiurie, e poco mancò che non giungesse fino a percuoterlo. Mentre Brizio così sfogava la furiosa sua collera alla presenza di molti, s. Martino vide due spiriti maligni {54 [442]} che da una rupe vicina attizzavano Brizio, e con festa gli andavano dicendo: a te, Brizio, animo Brizio. Soffrì Martino colla sua solita mansuetudine gli oltraggi e le villanie di quel disgraziato. Vi fu chi lo voleva persuadere a fare il dovuto risentimento, a cui Martino soleva rispondere: Cristo ha tollerato Giuda, e perchè io non tollererò Brizio? Anzi dalla sopraddetta visione avendo conosciuto che Brizio era dai demonii incitato contro la sua persona, non cessava di porgere calde preghiere al Signore per la sua conversione. La carità, le preghiere, la pazienza del Santo riuscirono a far rientrare Brizio in sè stesso e ad emendarsi de' suoi cattivi costumi. Tocco egli dalla grazia divina, entra in se stesso, riflette al male fatto a Dio, e all'ingratitudine usata al suo benefattore, e tutto commosso va a gettarsi ai piedi del Santo; chiede umile perdono de' suoi trasporti, ne fa lunga e penosa penitenza; e giunse a tal grado di virtù che alla morte di s. Martino meritò di succedergli nel vescovato, come egli aveva predetto, e viene dalla Chiesa venerato come santo.

            In questa maniera il Signore con moltiplicati {55 [443]} tratti di bontà compensa la rassegnazione e la pazienza di coloro che soffrono per suo amore.

            Visitando il Santo Prelato la sua Diocesi, gli accadde di passare vicino ad un luogo dove una santa donna viveva ritirata in una sua casa di campagna con fama di gran bontà. Credè il Santo di onorare quella santa religiosa con una sua visita, ed ognuno credeva che ella dovesse molto rallegrarsi nell'essere visitata dal suo vescovo, uomo così illustre ed operatore di tanti miracoli. Ma ella era decisa di evitare non solo i pericoli dell'anima, ma fin l'ombra di pericolo. Perciò erasi fatta una legge di non volere per nissun riguardo trattare con persone di sesso diverso, quindi non volle rallentare il rigore di non ricevere visite, di alcun uomo, neppure di un santo, perchè ella conosceva che tali visite quantunque tra persone dotte e pie racchiudono sempre qualche pericolo. Onde mandò una sua serva a farne scusa al Santo e a ringraziarlo.

            Egli fu molto lieto e contento di avere in sua Diocesi una donna di tale virtù; e la lodò più volte alla presenza di molte persone. Sopra questo fatto Sulpicio Severo {56 [444]} esclamai così: «o Vergine esimia, «che neppure da Martino si lasciò visitare! Oh beato Martino! che non si «ebbe a male questa ripulsa; ma piuttosto celebrando con giubilo la sua «virtù, si consolava di aver trovato in «quei paesi un contegno così modesto «e singolare. Ascoltino le vergini questo «esempio, e tengano le porte loro chiuse «ai buoni, se vogliono tenerne lontani «i cattivi; nè abbiano riguardo di escludere dalla lor casa i sacerdoti ancora, «per impedire più facilmente l'accesso «ai malvagi.»

            Faceva il Santo la visita della sua Diocesi a piedi ed in povero arnese accompagnato sempre da alcuni suoi discepoli. Nel camminare teneva sempre la sua mente sollevata a Dio, e, come già si disse, da tutte le cose prendeva motivo di far discorsi edificanti. Passando un giorno vicino ad un prato vide che una parte di quello era stata pascolata dai buoi, una altra parte era stata scavata e guasta dai porci, e l'altra parte era intatta e coperta di erbe e di fiori vaghissimi. «Quella parte, disse il Santo, che è stata «pasciuta dai buoi, e spogliata della «vaghezza dei fiori è l'immagine dei {57 [445]} «coniugati. La parte poi che gli animali «immondi hanno guasta e scavata rappresenta gli uomini sozzi e dati alla «immodestia. La terza infine, che è intatta ed ornata di odorosi fiori, mostra «la gloria della verginità. Indi continuò: «o bellezza della verginità! quanto sei «felice e degna di Dio, non vi è cosa «da mettersi in paragone con questa «virtù; ella è adorna di fiori, come di «lucidissime stelle. Quanto è beato chi «la possiede e la custodisce!»

            In una di queste visite della diocesi avvenne un fatto che dimostra quanta riserbatezza abbia in ogni tempo usato la Chiesa nel proporre ed approvare il culto dei Santi. In un luogo molto discosto dal suo monastero trovò una chiesa con un altare eretto dai suoi predecessori: vicino a quell'altare era stato sepolto un uomo che taluni o per malizia o per troppa credulità pretendevano che fosse un martire. Il Santo prima di proferire sentenza in affare di tanto rilievo volle fare le dovute indagini, per evitare il pericolo di prestar fede a cose incerte. Ricercò diligentemente il nome del defunto, il genere e il tempo della morte, ma non potè avere alcuna prova nè favorevole, {58 [446]} nè contraria. In questo dubbio egli si astenne dal prestargli culto alcuno.

            Intanto egli prende seco alcuni dei suoi monaci, entra in quella chiesetta, e si mette a pregare il Signore, acciocchè si degni di manifestargli chi sia la persona ivi sepolta. Ed ecco dalla parte sinistra gli appare un'ombra sordida e feroce, che manifesta il suo nome e i suoi misfatti e dice essere stato a' suoi giorni un assassino ucciso per le sue scelleratezze, e non avere alcuna parte coi martiri; questi trovarsi in gloria, lui nell'inferno. Quelli che erano presenti udivano la voce di chi parlava, ma nulla vedevano. Martino espose ciò che aveva veduto, e diede ordine che fossero tosto di là allontanate quelle ossa per liberare quel popolo dal pericolo di superstizione.

            Questo fatto dimostra a quanti gravi pericoli possano andar soggette le pratiche religiose tra quelli che sono fuori della Chiesa, ove ciascuno propone quelle pratiche, le quali tornano più al genio di ciascuno. Dimostra inoltre con quanta venerazione e con qual fede si debbano osservare quelle cose che sono {59 [447]} approvate dalla Chiesa cattolica, la quale oltre la grande sollecitudine, che usa nell'accertarsi dei fatti che riguardano alla religione, in particolar maniera è assistita, illuminata dallo Spirito Santo in tutte le sue decisioni fino alla fine del mondo: ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi.

 

 

Capo X. Altri miracoli ed ultime fatiche di s. Martino.

 

            A riferire tutti i miracoli operati da questo maraviglioso servo di Dio ci vorrebbero parecchi volumi. Oltre a quelli che abbiamo più di sopra riferiti, diremo in generale che, ovunque passava, riportava qualche vittoria sopra il demonio col distruggere l'idolatria, innalzare qualche trofeo a Gesù Cristo sopra le rovine degli idoli. Un giorno avendo veduto una specie di processione di pagani, riputando che essi andassero a sacrificare ai loro dei, con una breve preghiera li fermò tutti ad un tratto. Ma avendo riconosciuto che andavano per seppellire {60 [448]} un morto, fece una seconda preghiera, e loro restituì la libertà di camminare.

            Egli rovinò molti templi degli dei, atterrò parecchi alberi che i pagani adoravano come sacri. Spesso fu esposto al pericolo di perdere la vita; ma egli non si risparmiò mai in alcun rischio. Una volta arrestò la violenza del fuoco, che da un tempio, che egli voleva abbruciare, si era appiccato ad una casa vicina. Egli vi si gettò nel mezzo, fece il segno della santa croce e il fuoco fu spento. Altra volta furono veduti angeli armati che l'aiutavano a demolire un tempio idolatra, difendendolo dagl'insulti dei pagani. Soventi volte fu con miracolo liberato dalle mani degli empii che volevano strangolarlo; i quali guadagnati dalle sue parole e dalla sua carità risolsero di rovesciare eglino stessi i loro templi.

            A Parigi guarì un lebbroso con un bacio; a Treveri donò la sanità ad una giovine paralitica con olio benedetto; liberò dalle mani dello spirito maligno uno schiavo di certo Tetrato, uomo costituito in gran dignità. Le frangie dei suoi abiti, il suo cilicio, le medesime lettere guarivano dalla febbre. S. Paolino, che fu di poi vescovo di Nola, fu guarito dalla {61 [449]} cataratta, malattia che si giudica quasi incurabile da ogni arte umana.

            Egli stesso fu prodigiosamente preservato dall'incendio di sua camera, dove era circondato da fiamme, mentre dormiva. Una volta fu guarito istantaneamente da contusioni cagionate da una caduta, per cui era stato quasi sfracellato. Sovente Iddio gli mandava degli Angeli per assisterlo, istruirlo, o manifestargli i suoi voleri. Egli era divenuto il terrore dei demonii. «Un giorno che pregava nella «sua celletta (così s. Sulpizio Severo) «il demonio gli si fece vedere circondato di luce, vestito di abiti eleganti, «con una corona d'oro e di pietre preziose in testa ed in fine con uno esteriore tutto proprio ad ingannare chiunque non avesse avuto lo spirito del «Signore. Il demonio disse due volte «ch'egli era Gesù Cristo; ma siccome «l'umiltà è un mezzo efficacissimo per «iscoprire gli artifizi dello spirito maligno, il quale è tutto orgoglio, Martino non tardò a persuadersi che quello «era l'angelo delle tenebre: Gesù Cristo, «egli disse, non ha detto che sarebbe «venuto coperto di porpora, nè coronato di prezioso diadema. Perciò io non {62 [450]} «riconoscerò giammai per Gesù Cristo «colui che non mi presenterà i simboli «del Salvatore paziente, e che non porterà sul suo capo i segni della croce. «A queste parole il demonio disparve.»

            Il Santo continuò a guarire malati, a liberare i posseduti dal demonio, ad esercitare l'umiltà, la pazienza, la carità pregando per coloro che lo perseguitavano, e facendo del bene a chi gli faceva del male. Finalmente dopo molti travagli e viaggi intrapresi pel bene della Chiesa e pel sollievo degli infelici, egli ebbe particolare rivelazione da Dio dell'avvicinarsi di sua morte. Per la qual cosa fu pieno di contentezza, perchè ogni sua azione, ogni parola era stata rivolta a quell'ultimo giorno di vita; anzi verso il finire de' suoi giorni pareva impaziente di essere sciolto dai lacci del corpo per unirsi a Gesù e così ricevere quel gran premio che il Salvatore ha promesso a quelli che lo amano e lo servono in vita.

 

 

Capo XI. Preziosa morte di s. Martino.

 

            L'ora della morte per le anime giuste non è spavento, ma consolazione; e certamente {63 [451]} chi ha amato e servito Iddio nella vita non può far a meno che esser pieno di fiducia nelle divine promesse ed aspettarsi l'eterna ricompensa dopo la morte. Tale era Martino. Egli aveva passato tutta la vita nella virtù, nella carità e nella penitenza. Era già pervenuto all'età di ottantaquattro anni quando gli fu da Dio rivelato essere giunto il tempo di partire di questo mondo ed essere terminato l'esilio di questa misera terra. Tuttavia pienamente persuaso che ogni fatica tollerata pel Signore è largamente ricompensata, non tralasciò di continuare l'adempimento de' doveri del suo pastorale ministero colla solita diligenza e carità. Laonde essendo insorta una controversia fra gli ecclesiastici di una città di sua Diocesi detta Condes, egli deliberò di trasferirvisi in persona per acquetarli, stimando non poter meglio finire la sua vita, che lasciando tutte le sue chiese in buona pace. Colà giunto, aggiustò in breve ogni discordia, e già preparavasi per ritornare al monastero quando cominciò a sentirsi sfinito di forze. Si accorse allora essere quello il tempo e il luogo in cui doveva finirei suoi giorni; perciò radunò i suoi discepoli e {64 [452]} loro disse come egli era prossimo al suo fine e doveva lasciarli. Tale notizia fu un colpo di fulmine a' suoi discepoli, i quali ruppero unanimi in lagrime e sospiri; perciocchè riputavano a massima loro sventura l'essere privati di un padre così buono e così santo.

            Allora tra i sospiri e i singhiozzi si levò una voce comune che diceva: e perchè ci abbandonate, o Padre santo? A chi ci lasciate sconsolati ed afflitti? Assaliranno questo vostro gregge i lupi rapaci, e perduto il pastore chi sarà per difenderci dalle loro fauci? Ben sappiamo che voi bramate di andare a Cristo: ma la vostra mercede è certa, ed il vostro premio non scemerà col differire. Abbiate piuttosto misericordia di noi, che restiamo esposti à tanti pericoli.

            A cotali parole intenerito il servo di Dio non si potò contenere dal piangere egli pure con loro, perciocchè se grande era l'affetto dei discepoli verso il loro maestro e padre, assai più grande era quello di Martino verso di loro, che formavano la delizia e la consolazione del suo paterno cuore. Onde rivoltosi con grande affetto al cielo disse: «O signore, «se io sono ancora necessario al vostro {65 [453]} «popolo non ricuso la fatica, facciasi la «vostra santissima volontà.» Colle quali parole dimostrava il vivo desiderio di andare al cielo, ma che avrebbe ancora differito qualora ciò fosse tornato a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime. Iddio voleva dal suo servo questo novello sacrifizio per accrescergli la ricompensa; ma era giunto il tempo che voleva chiamarlo fra beati in cielo.

            Frattanto il male andava crescendo e la febbre ingagliardiva ogni giorno più; contuttociò continuava a passare giorno e notte in meditazioni e vigilie, sostenendo colla veemenza dello spirito la debolezza del corpo. Giaceva egli, come era solito, su la cenere, e sul cilicio; e i discepoli vedendolo nello stato di estrema debolezza lo pregarono con molta istanza che permettesse almeno di essere posto sopra un pagliariccio: «no, egli «disse, non si conviene, o figliuoli, che «il cristiano muoia in altra maniera che «sopra la cenere, e se io non ve ne do «esempio, me ne chiamo in colpa.» Ciò detto ritornò a porsi supino alzando gli occhi e le mani al cielo. In tale posizione immobile soffrendo assai, e i suoi discepoli vedendolo a consumarsi ad ogni {66 [454]} momento lo esortavano a volgersi almeno sopra uno de' lati e prendere alcun riposo, ed egli loro soggiunse: «lasciacitemi piuttosto guardare al cielo, che «alla terra: così io metto l'anima sul «diritto sentiero che or ora deve intraprendere per andare al suo Creatore.»

            Il nemico del genere umano che negli ultimi istanti fa ogni sforzo per guadagnare le anime, non tralasciò di presentarsi anche a Martino per fare l'ultimo sforzo e provare se mai avesse potuto riportare qualche vantaggio in morte contro a colui che era stato il suo flagello in vita. Il Santo, veduto il demonio presso di sè: «che fai, disse, che fai tu qui, bestia «sanguinosa? nulla in me troverai, o «ladrone. Il cielo mi è aperto e mi «attende.» Mentre proferiva queste parole rese lo spirito al Signore. La sua morte avvenne sulla mezzanotte da un sabbato venendo alla domenica, regnando Onorio e Arcadio imperatori, mentre governava la S. Sede san Silverio papa, l'anno 400 dell'era volgare. {67 [455]}

 

 

Capo XII. Sepoltura e tomba di san Martino.

 

            Poichè la santa anima di Martino se ne volò al cielo, il volto, di lui squallido per le penitenze si fe' rilucente; le sue membra e le sue mani maltrattate e mortificate apparvero sì floride e fresche che pareva si andassero già trasformando nello stato di gloria. Sparsasi la nuova della sua morte concorse ad onorare il suo funerale, o piuttosto il suo trionfo, una immensa quantità di popolo venuto da tutte le parti e specialmente un gran numero di monaci. Tutti piangevano il santo Vescovo, benchè lo credessero già salito al cielo. I monaci lamentavano il loro padre, il popolo la perdita di un santo Pastore.

            Innumerevoli miracoli si operarono al suo sepolcro, di modo che il solo san Gregorio, uno de' suoi successori nel vescovato di Tours, ne raccolse quattro interi volumi. «Oh uomo inestimabile, termina Sulpizio Severo la vita del santo, «uomo nè abbattuto dalla fatica, nè vinto «dalla morte: si confronti il suo trionfo {68 [456]} «con quello dei più illustri eroi del secolo e si vedrà quanto sia incomparabilmente maggiore quel di s. Martino. Quelli con evviva confusi sono «esaltati dalla stoltezza dei popoli; Martino con inni celesti è dai fedeli esaltato. Quelli dopo i loro trionfi sono «gettati nei tartarei abissi, Martino pieno «di gioia e di gloria viene accolto fra «i beati. Martino che visse povero ed «umile entra ricco e grande in cielo, «e protegge quelli che a lui ricorrono.»

            Il corpo di lui fu deposto in un cimitero dei cristiani vicino al luogo dove era stato sepolto san Graziano. Ma san Brizio, in segno di gratitudine verso il suo padre spirituale e benefattore, fece trasportare il corpo del santo suo predecessore in una basilica poco distante e vi innalzò la sua tomba. Questa basilica dapprima fu dedicata a s. Stefano, secondo l'uso dei primi secoli di non consacrare chiese se non alla memoria dei martiri. Ma il numero straordinario di miracoli che si operarono alla tomba di Martino gli procacciarono tosto il nome di santo, e i fedeli venivano da tutte le parti per venerarlo. Quindi la basilica divenne ristretta per contenere tal quantità {69 [457]} di gente, e s. Perpetuo, altro vescovo di Tours, ne fece fabbricare una più vasta nello stesso luogo.

            La custodia delle sue reliquie fu affidata ad un numero scelto de' suoi discepoli, i quali soddisfacevano alla pubblica pietà, celebrando la santa Messa e facendo altre sacre funzioni. Non si può esprimere sino a qual punto sia stata portata la divozione a s. Martino in Francia e in tutta l'Europa.

            Le sante sue reliquie restarono in Tours per lo spazio di circa 400 anni, finchè un esercito di barbari, detti Normanni, vennero ad assediare quella città. Prima del loro arrivo si potè levare il corpo del Santo e liberarlo dal loro furore. Ventun'anno dopo fu riportato con gran pompa nel luogo di prima, e vi continuò ad essere straordinariamente onorato da tutto il mondo, finchè nel secolo XVI gli Ugonotti, ovvero Protestanti soliti a non risparmiare cosa alcuna quantunque sacra e veneranda, nel loro furore contro ai cattolici, dopo di aver presa la città di Tours, bruciarono le sacre ossa di s. Martino. Tuttavia si potè salvare l'osso di un braccio ed una parte {70 [458]} del cranio, preziose ed uniche reliquie tolte al furore di quei nemici del culto cristiano.

 

 

Capo XIII. L'invocazione e il culto dei Santi.

 

            La venerazione che i Cristiani in ogni tempo professarono ai Santi ed alle loro Reliquie, e particolarmente la grande divozione che si ebbe verso di s. Martino, e verso le sue reliquie, ci portano a dire qualche, cosa sopra questa materia.

            In principio di questo libretto abbiamo fatto qualche riflesso intorno ai miracoli; qui aggiungeremo ancora qualche cosa sul culto e sull'invocazione dei Santi e sulla venerazione delle loro Reliquie. Ecco quale è la dottrina della Chiesa cattolica su questa materia. I Santi riconosciuti come tali dalla Chiesa si possono venerare, invocare in nostro aiuto.

            I protestanti che non ebbero mai, nè presentemente hanno alcun santo, e nemmeno fu mai tra di loro chi abbia operato alcun miracolo, ricusano di riconoscere i santi della Chiesa cattolica, e di più accusano i cattolici quasi fossero idolatri, prestando {71 [459]} ai santi un culto, di cui, dicono essi, non avvi traccia nella sacra Scrittura e nei primitivi tempi della Chiesa. Poichè i protestanti hanno sempre in bocca la Bibbia, noi faremo vedere quanto male essi leggano la Bibbia, dimostrando come la dottrina della Chiesa cattolica sia chiaramente contenuta nella Bibbia. Ciò faremo con brevità e solo di passaggio, riserbandoci a trattare altrove appositamente tale materia. Leggiamo pertanto (Salmo 38) che fu raccomandato particolare onore all'arca dell'alleanza, in cui erano racchiuse le tavole della divina legge: Adorate scabellum pedum ejus, quoniam sanctum est. So si può prestare un culto all'arca perchè non si potrà prestare agli angeli e ai santi? altrove leggiamo (Numer. 22) come Balaamo avendo veduto un angelo che stava davanti a lui in mezzo alla strada, pieno di rispetto si chinò fino a terra per venerarlo: Balaam vidit angelum stantem in via, adoravitque eum pronus in terram.

            Giosuè essendosi accorto che gli era apparso il principe dell'esercito del Signore, cadde prostrato e lo adorò: Cecidit pronus in terram et adoravit. Jos. 5.

            Il re Saulle appena si accorse che eragli {72 [460]} comparsa l'anima di Samuele, chinò la sua faccia fino a terra per adorarlo. Intellexit Saul, quod Samuel esset, et inclinavit se super faciem suam in terra et adoravit. Reg. 28

            In questi fatti si usa il verbo adorare o adoravit non in senso di Latria, che è il culto dovuto solo a Dio come supremo creatore e padrone di tutte le cose; ma col culto di Dulia, che è quello che si presta ai santi, come creature eccellenti, amici di Dio e gloriosi in cielo.

            Si possono forse avere parole più chiare di queste che dimostrino come l'arca dell'alleanza, gli angeli ed i santi siano stati tenuti in grande venerazione?

            È parimenti dottrina della Chiesa che gli angeli ed i santi non solo si possano onorare, ma eziandio si possono con frutto invocare da coloro che vivono sulla terra, non affinchè da essi medesimi si ottengano le grazie che dimandiamo, ma affinchè preghino Iddio per noi e da lui ci ottengano le cose dimandate. Questa dottrina è pure contenuta nella Bibbia.

            Il Patriarca Giacobbe fu da un angelo liberato da varie sciagure e infine invitò quell'angelo medesimo a benedire i figliuoli di Giuseppe. Quell'angelo, egli diceva, {73 [461]} che mi liberò da tutti i mali, a cui sono stato esposto nella mia vita, benedica ora questi fanciulli: Angelus qui eruit me de cunctis malis, benedicat pueris istis. Gen. 48, 16.

            Mosè per muovere Iddio ad esaudirlo nelle sue preghiere interpose i meriti di Abramo, Isacco e Giacobbe, che erano stati fedeli servi di Dio. Ricordatevi, o o gran Dio, ricordatevi di Àbramo, di Isacco e di Israele vostri servi fedeli: Recordare Abraam, Isaac et Israel servorum tuorum. Ex. 32.

            Gli Israeliti trovandosi in pericolo di cadere nelle mani de' Filistei ricorsero al profeta Samuele con queste parole: Deh! non cessare di pregare il Signor nostro Iddio per noi, affinchè ci salvi dalle mani de' Filistei. Ne cesses pro nobis ad Dominum Deum nostrum clamare, ut solvet nos de manu Philistinorum. 1, Reg. 7.

            Iddio medesimo del santo Giobbe disse: Giobbe mio servo pregherà per voi. Job servus meus orabit pro vobis. Job. 42.

            L'Apostolo s. Paolo, quel grande Apostolo che ha tanto faticato nella predicazione del Vangelo e che per la sua santità meritò che Iddio gli facesse gustare la gloria del cielo mentre viveva ancora {74 [462]} mortale, quel grande Apostolo, dico, chiudeva quasi tutte le sue lettere raccomandandosi alle preghiere dei cristiani a cui scriveva. Vi prego, egli scrive ai Romani, vi prego d'intercedere per me colle vostre preghiere presso al Signore Iddio. Obsecro vos, fratres, ut adjuvetis me in orationibus vestris pro me ad Deum. Rom. 15.

            Ora se è permesso d'invocare gli amici di Dio e interessarli a nostro vantaggio mentre vivono in questa vita mortale; perchè non sarà più permesso di invocarli quando regnano con Dio in cielo? Forsechè quei santi che diedero vita e sostanze per carità, non vorranno più ascoltare chi li supplica ora che sono beati in cielo? Ma la carità di loro è assai più grande di quel che fosse quando vivevano in terra. Forsechè non potranno aiutarci? Ma se potevano aiutare quando erano mortali, perchè non potranno vie più adesso che sono gloriosi ed immortali? Forsechè non possono sapere le nostre preghiere? Se non sanno le nostre preghiere, come possono sapere la penitenza dei peccatori e fare gran festa ogni volta che alcuno si converte a Dio, come dice il Vangelo? Luc. 45.

            Si vorrà forse dire che si faccia ingiuria {75 [463]} a Dio invocando altri fuori di lui solo? Allora nemmeno sarebbe ciò permesso tra i vivi. Potrei addurre molti altri fatti e detti della Bibbia, come pure riferire la tradizione e la pratica costante della Chiesa in tutti i tempi, e l'uso universale di tutti i buoni di raccomandarsi alle preghiere l'un dell'altro. Ma io voglio appellarmi ai protestanti medesimi. Essi mentre rigettano l'invocazione dei santi, leggendo quanto in tal proposito si dice nella Bibbia, non solo invocano la protezione dei santi, ma si raccomandano ai medesimi viventi. Quei protestanti che pretendono di professare maggior pietà sogliono richiedere gli aiuti spirituali degli amici, e nelle loro lettere per lo più si raccomandano sempre alle preghiere di colui, cui scrivono. Una lettera, che mentre scrivo ho avanti agli occhi, scritta da un distinto ministro protestante, conchiude così: Intanto preghiamo l'uno per l'altro acciocchè Iddio ci faccia la grazia di trovarci insieme per tutta l’eternità davanti al divin trono.

            Ecco adunque già due cose provate; cioè il culto e l'invocazione dei santi, basata sopra fatti e sentenze registrate nella Bibbia. Poi non solo basata sopra {76 [464]} la Bibbia la venerazione e l'invocazione dei santi, ma troviamo nei medesimi sacri libri un culto, una venerazione prestata alle reliquie dei santi.

 

 

Capo XIV. Reliquie dei Santi.

 

            Per Reliquie dei santi tra i cristiani s'intendono le ossa, gli abiti o qualche altra parte di un corpo santo. In ogni tempo sono sempre state in venerazione le reliquie; e tutto quello che dissero i nemici della cattolica religione contro a questa pratica dei cristiani non fece che accrescerne il rispetto e la venerazione. Tuttavia per soddisfare alla pietà dei buoni e per far vedere in quanto grande errore siano i protestanti e tutti quelli che sono contrarii al culto delle Reliquie, produrremo alcune delle molte meraviglie da Dio operate in virtù delle Reliquie dei suoi santi; e ciò faremo colla Bibbia alla mano. Apriamo il libro quarto dei Re e troveremo che Elia, mentre sopra un carro di fuoco saliva al cielo, lasciò cadere il suo mantello. Eliseo suo discepolo lo colse. Non avendo alcun mezzo {77 [465]} per traversare il fiume Giordano toccò le acque con quel mantello e queste tosto si divisero per lasciar libero il passo ad Eliseo: Et pallio Eliae, quod deciderat ei, percussit aquam, et divisae sunt huc atque illuc et transiit Elisaeus. 4 Reg., cap. II. Qui vediamo Iddio ad operare un gran miracolo per mezzo di un mantello che appartenne al profeta Elia. Dunque Dio approva che gli abiti de' suoi santi siano venerati e in pari tempo fa conoscere agli uomini che le vesti de' suoi santi sono un mezzo efficace per ottenere i favori celesti.

            Nel medesimo libro dei Re leggiamo pure che alcune persone, mentre portavano un corpo morto a seppellire, incontrarono una banda di ladri, e per timore nascosero quel cadavere nella tomba di Eliseo. Appena quel cadavere toccò le reliquie di Eliseo, subito il cadavere tornò in vita e si pose immediatamente a camminare. Quod cum tetigisset ossa Elisaei, revixit et stetit super pedes suos. Cap. 14.

            Le medesime cose vediamo confermate nel nuovo Testamento. Una donna da dodici anni era travagliata da flusso di sangue. Avendo toccato l'orlo della veste del {78 [466]} Salvatore, ne fu interamente guarita: Et mulier, quae fluxum sanguinis patiebatur, accessit retro et tetigit fimbriam vestimenti ejus, etc. Matth. cap. 11.

            Il Salvatore, ovunque passava, facevasi conoscere colle sue prediche e coi suoi miracoli. La gente stupefatta veniva a Lui da tutte le parti per pregarlo a permettere che gli toccassero le vesti, e ciò bastava perchè tutti ne fossero guariti da qualsiasi infermità: Et rogabant eum ut fimbriam vestimenti ejus tangerent, et quicumque tetigerunt, salvi facti sunt (Matth. XIV).

            Non solamente gli oggetti appartenenti alla persona del Salvatore operavano luminosi prodigi, ma quelli eziandio che appartenevano agli Apostoli. S. Paolo predicava con gran zelo il Vangelo, e confermava la sua predicazione con molti miracoli. Molti di quei prodigi erano operati dal contatto delle sue vesti, che avevano la virtù di guarire da ogni genere d'infermità: Ita ut etiam super languidos deferrentur a corpore ejus sudaria, et semicinctia, et recedebant ab eis languores et spiritus nequam egrediebatur (Act. cap. 19).

            S. Pietro principe degli Apostoli aveva {79 [467]} in ogni luogo acquistata una tale riputazione di santità, che gli infermi erano portati a lui ovunque passava; e la sola ombra di lui faceva guarire ogni sorta di malattia, e cacciava gli spiriti maligni: Ita ut in plateas ejicerent infirmos et ponebant in lectulis, ut veniente Petro, saltem umbra illius obumbraret eos ... qui curabantur omnes (Act. cap. 15).

            In tutti questi fatti abbiamo una serie di prodigi operati in virtù delle sante Reliquie. Il mantello di Elia divide le acque del Giordano; le ossa di Eliseo fanno risuscitare un morto; le Vestimento del Salvatore e di san Paolo operano grandi miracoli; l'ombra di san Pietro fa guarire molte malattie, e caccia gli spiriti maligni. Ora se il Signore non gradisse il culto delle reliquie, confermerebbe la loro venerazione con sì luminosi miracoli e con tanti segnalati favori? Per queste ragioni la Chiesa cattolica fin dai primi tempi ha sempre praticato una venerazione particolare alle Reliquie, e la Storia Ecclesiastica ci assicura tale tradizione derivare dagli Apostoli. Di fatto si vede per gli alti del martirio di sant'Ignazio, che è uno dei più illustri martiri della Chiesa, e che {80 [468]} visse subito dopo gli Apostoli, essersi allora avuto gran rispetto per le Reliquie. Perciocchè appena eseguito il suo martirio, i fedeli corsero a raccogliere con gran rispetto le sue spoglie. La divozione verso quelle di san Cipriano è confermata da tutti gli autori di cose ecclesiastiche. Si legge la medesima cosa di san Policarpo (V. Eusebio, lib. 4).

            Questa venerazione fu così costante nella Chiesa che il Concilio Tridentino condanna come empi quelli che rifiutano di onorare le reliquie dei Santit: Quae viva membra fuerunt Christi, el templum Spiritus Sancti: cioè che noi dobbiamo onorare le Reliquie come oggetti appartenenti a corpi che per la loro virtù e santità furono in parlicolar maniera vivi membri di Gesù Cristo, e templi dello Spirito Santo.

            I protestanti nel leggere queste verità così chiaramente professate dalla Chiesa antica, e appoggiate sopra fatti certi contenuti nella Bibbia, ricorrono ad uno spediente degno di chi segue la menzogna. Dicono che i cattolici sono idolatri perchè adorano i Santi e le loro Reliquie. È questo una vera calunnia, già le mille volte combattuta dai cattolici; ma quelli {81 [469]} senza farci alcun riflesso in proposito dicono sempre lo stesso. Sappiano adunque i protestanti che la Chiesa Cattolica non ha mai insegnato che si debbano adorare le Reliquie. Ecco quale ne è la dollrina su questa materia: 1o Il culto verso le reliquie dei Santi è fondato sopra la Bibbia, e Iddio l'ha confermato con molti miracoli; 2° La Chiesa non ha mai insegnato che si debbano adorare le Reliquie dei santi, ma solamente che si può prestare a quelle una venerazione particolare come oggetti preziosi appartenenti ad amici di Dio, e che ora vivono beati in cielo. Chi dice il contrario proferisce una calunnia contro i cattolici. Nissun papa, nissun concilio, nissun Santo Padre ha mai insegnato che si debbano adorare le Reliquie, ma solo che i fedeli possono loro prestare una venerazione speciale, e che questo è un mezzo efficace per ravvivare in noi la fede, eccitarci a seguire i loro esempi, ma che è in pari tempo un mezzo efficacissimo per ottenerci da Dio celesti favori, siccome ci assicura la Bibbia, e la Storia Ecclesiastica dai primi tempi fino ai nostri giorni. {82 [470]}

 

 

Il martire Geronimo

 

            Negli ultimi mesi del 1853, alcuni artiglieri occupati a demolire un bastione della fortezza detta delle ventiquattr’ore in Algeri, scopersero un sepolcro, ove trovarono delle ossa umane. Lo scheletro conservava la sua forma e la sua posizione; le braccia stavano incrociate dietro le spalle, le gambe riunite, ed una corda che avea servito a legar le mani era aderente al tumulo.

            Si riconobbe ben presto essere quelli gli avanzi preziosi di un martire del sesto secolo, per nome Geronimo, che si sapea giacere sepolto in quel luogo, e le cui spoglie eransi inutilmente ricercate per molti anni addietro. Ecco l'edificante storia di questo martire tramandata fino a noi dai più autentici documenti.

            Geronimo era nativo dell'Arabia. Fu preso ancor fanciullo dagli Spagnuoli padroni in allora della città di Orano in una scorrerìa da essi fatta, in quelle contrade. {83 [471]}

            Un buon sacerdote lo comprò e dopo averlo istruito nella religione cattolica lo battezzò, chiamandolo dal suo nome, Geronimo.

            All'età di nove anni egli fu di nuovo preso dagli Arabi, e, per amore o per forza, ritornò musulmano. Ma la sua mente era sempre occupata dalle memorie della religione cristiana ed all'età di pressochè venticinque anni, vinto dalle attrattive della verità che continuamente l'invitava, fece ritorno ad Orano, abiurò l'islamismo, prese in moglie una donna cristiana e visse varii anni nella pratica della religione cattolica e delle virtù delle quali essa è madre feconda.

            Ma la Provvidenza l'avea scelto per sigillare col proprio sangue la fede che egli avea volonteroso abbracciala e che professava con tale fervore, per cui già il suo nome stava scritto nel catalogo degli eletti.

            Nel mese di maggio 1569 mentre Geronimo stava facendo una corsa sul mare con nove di lui amici, furono sorpresi da pirati arabi e, fattili prigionieri, vennero condotti in Algeri e venduti siccome schiavi. Gli arabi erano in quel tempo padroni di Algeri, ed Alì-Bassà {84 [472]} che ne era il governatore, divenne il padrone di Geronimo.

            Scoprì ben tosto che il suo schiavo era arabo di nascita, e che si era fatto cristiano e cattolico; e tentò tutti i mezzi, adoperando ogni genere di minacce, di castighi e di promesse seducenti per ridurlo ad apostatare dalla fede; ma Geronimo la antepose sempre alla libertà ed alle ricchezze che gli venìano proferte; ed a tutte le seduzioni e minaccie null'altro rispondeva che queste parole: Io sono cristiano.

            Alì-Bassà furioso di questa, da lui così chiamata, ostinazione del suo schiavo, risolvette di prenderne una strepitosa vendetta. Faceva in allora fabbricare una fortezza chiamata al giorno d'oggi il forte delle ventiquattr’ore ed andava spesso a visitarne i lavori.

            Un giorno mentre stava osservando i manovali che pestavano della terra in certi grandi cassoni per formarne dei massi di cemento, gli venne in capo un diabolico pensiero.

            Chiama Michele di Navarra, che era il capo muratore, ed additandogli un cassone già preparato, ma non ancora pieno di terra. Michele, gli dice Alì, lascia {85 [473]} questo cassone vuoto fino a domani, giacchè io voglio far del cemento col corpo di questo cane di Orano, il quale ricusa di far ritorno alla religione di Maometto.

            Ciò detto, egli se ne ritornò a Dar-Soulthan, chiamato al giorno d'oggi Djenina, che era in que' tempi il palazzo dei governatori di Algeri.

            Era prossima la sera; Michele dopo di aver preparato il cassone, raduna tutti gli operai e con essi ritorna alla prigione. Corre subito da Geronimo per raccontargli l'occorso ed esortarlo alla rassegnazione.

            Che Dio sia in ogni cosa benedetto! esclama il futuro martire; che questi infedeli non si lusinghino di farmi inorridire al pensiero dell'orribile supplizio che hanno inventato, nè di farmi rinunziare alla vera religione per paura. Quanto chieggo al Signore si è che si degni di usare misericordia all'anima mia, e mi voglia perdonare i miei peccati.

            Quindi Geronimo si andò preparando alla solenne testimonianza della propria credenza che dovea dare il giorno seguente. Eravi nella galera una cappella, e fra gli schiavi si trovava un prete. {86 [474]} Geronimo si confessò, ricevette la santissima comunione, e passò tutta la notte in preghiere.

            II giorno 18 settembre 1569 quattro sbirri di Alì-Bassà, si portarono di buon mattino alla galera cercando Geronimo, il quale avendoli sentiti, uscì dalla cappella ove stava ancora orando.

            - Appena il videro; ebbene! cane, giudeo, traditore, perchè non vuoi tu dunque ritornar musulmano, gli gridarono tutti.

            Il povero schiavo stette in silenzio, e si diede nelle loro mani. Con questa scorta arriva innanzi alla fortezza delle ventiquattro ore, ove già si trovava Alì-Bassà, accompagnato da numerosa comitiva di turchi, di rinnegati e di mori, gente tutta sitibonda di sangue cristiano.

            - Olà! cane, gridò Ali, non vuoi tu ritornare alla religione musulmana?

            - Giammai, rispose Geronimo. Sono cristiano e tale sarò sempre.

            - Ebbene! urlò inasprito il Bassà, vedi tu questo cassone, vi ti fo pestar dentro e sotterrare vivo.

            - Fa ciò che vuoi, rispose pieno di coraggio il martire di Dio, son pronto a tutto e nulla potrà giammai farmi abbandonare {87 [475]} la fede del mio Signor Gesù Cristo.

            Alì-Bassà avvedendosi che nulla valea a smuoverlo da siffatta energica risoluzione, ordinò che gli venissero legati mani e piedi; in tale stato fu preso dai quattro sbirri e gettato nel fondo del cassone.

            Si vide in questa occasione che i più crudeli fra quella masnada feroce erano gli stranieri. Uno spagnnolo chiamato Tamango, che si era reso musulmano prendendo il nome di Diafar, saltò a piè giunti nel cassone sopra Geronimo, afferrò un pestello gridando a tutta gola che gli si apportasse della terra, locchè fu tantosto eseguito. Quest'indegno cominciò a pestare con quanta forza avea sopra il povero martire, il quale non si lascia sfuggire il più piccolo lamento.

            Altri rinnegati per non esser tenuti meno buoni musulmani di Tamango, presi anch'essi dei pestelli finirono di schiacciare Geronimo sotto gli strati di terra.

            Il cassone era ricolmo di terra, ed il martire rimase per tre secoli nella gloriosa sua tomba. Queste tigri, sazie dalla vista dell'orrido supplizio, ritornarono giulive in Algeri seguitando Alì-Bassà, {88 [476]} il quale andava ripetendo per via: Veramente non mi sarei giammai creduto che questo cristiano subisse la morte con tanto coraggio.»

            Tale è storia della morte del martire Geronimo. Ecco come sanno morire i cristiani: ecco altresì come sanno preferire i supplizi e la morte alla vergogna ed al delitto dell'apostasia, certi che Iddio loro tiene preparati in cielo dei godimenti infiniti ed eterni, in premio delle passeggere avversità da essi sostenute in terra, per amore e gloria del suo santo Nome. {89 [477]}

 

 

Nota

 

            (Citata nella pagina 30.)

 

 

Il purgatorio

 

            (A) I Protestanti e segnatamente il ministro Giorgio Ornio dicono essere stato il primo Tertulliano a parlare del Purgatorio. E nelle note che questo ministro fa a Sulpizio Severo, dice, aver cominciato da questo fatto della vita di san Martino il dogma cattolico sul Purgatorio; di cui, dicono essi, non si fa cenno nella Bibbia, neppure nei primitivi tempi della Chiesa. Costretti a tenerci nei limiti della brevità voluta in questi fascicoli non possiamo tuttavia dispensarci dal far conoscere in forma di nota quanto sia grande l'errore dei Protestanti su questa materia. Diremo dunque brevemente: 1o Quale sia la dottrina della Chiesa Cattolica sul Purgatorio. 2° Che questa dottrina è contenuta nella Bibbia. {90 [478]}

 

            1o Quale sia la dottrina della Chiesa Cattolica sul Purgatorio.

 

            Il Purgatorio è un luogo o meglio uno stato in cui le anime dei giusti, uscite da questo mondo senza aver sufficientemente soddisfatto alla giustizia divina pei loro peccati sono costrette di espiarli prima di essere ammesse a godere la felicità eterna. Questa è la definizione ordinaria che dai teologi si suol dare al Purgatorio. Ora ecco quale ne è la dottrina della Chiesa definita nel concilio Tridentino, sessione 6, de justif. can. 30.

            «Se qualcheduno dice che per la grazia «della giustificazione la colpa e la pena «eterna sono talmente rimesse ai penitenti, «che loro non rimane più alcuna pena temporale a soffrire o in questa vita o nell'altra nel Purgatorio, prima d'entrar nel «Regno de' Cieli, sia scomunicato.»

            Nella sessione 22, can. 3, sta scritto:

            «Se qualcheduno dice che il sacrifizio «della messa non è propiziatorio, che non «deve offerirsi pei vivi o per li defunti, pei «peccati, per le pene, per le soddisfazioni «e per le altre necessita, sia scomunicato. «Anathema sit

            Il medesimo Concilio (Sess. 25) ordina ai dottori ed ai predicatori di non insegnare su questo punto, se non la dottrina dei Padri e dei Concili, di evitare tutte le questioni {91 [479]} di pura curiosità e di evitare colla massima cautela tuttociò che può sembrare favoloso, incerto, capace di fomentare la superstizione e favorire un sordido guadagno. Come ognun vede, il Concilio Tridentino non definisce se il Purgatorio sia un luogo in cui le anime siano rinchiuse, come siano purificate; se ciò sia col fuoco o altrimenti; quale sia l'intensità e la durata delle pene. I teologi possono in ciò seguir le differenti loro opinioni; purchè siano di accordo in ciò che vi è un luogo, ovvero uno stato tra il Paradiso e l'inferno: che in questo stato sono trattenute le anime dei giusti che hanno da soddisfare qualche pena temporale alla divina giustizia; che i vivi possono sollevarli. Noi diciamo che la dottrina sul Purgatorio così intesa è chiaramente e letteralmente contenuta nella Bibbia.

 

            2° II dogma del Purgatorio contenuto nella Bibbia.

 

            Leggiamo nel Vangelo di san Matteo (cap. 5), queste parole del Salvatore: «Sii «tosto accondiscendente al tuo avversario, «mentre sei in via con lui; affinchè per «disgrazia l'avversario non ti dia nelle «mani del giudice, e il giudice ti consegni «al ministro, indi passi in prigione. In verità ti dico che non uscirai di colà finchè «non abbi pagato fin l'ultimo quattrino.»

            Questo avversario è il prossimo a cui {92 [480]} facciamo o da cui riceviamo ingiuria; il giudice è Dio, la carcere è il Purgatorio d'onde non usciremo finchè non abbiamo scontato rigorosamente fin la più piccola delle nostre colpe. - V. Martini, Bergier e i Ss. Padri in questo luogo.

            Al capo 12 del medesimo Vangelo di san Matteo, leggiamo: «Chi dice una bestemmia «contro al figlio di Dio, egli potrà ottenere «il perdono; ma a chi bestemmia contro «allo Spirito Santo non sarà perdonato nè «nel secolo presente, nè nel secolo futuro.»

            Dalle quali parole noi siamo fatti certi, che, ci sono peccati che si possono perdonare nell'altra vita, il che non potendo aver luogo nell'Inferno dove le pene sono eterne, deve necessariamente farsi, dove le pene sono temporali, cioè nel Purgatorio. Che cosa può esserci di più chiaro di quanto leggiamo nel libro secondo de' Maccabei? Giuda Maccabeo credendo che alcuni dei suoi compagni morti in battaglia avessero bisogno di suffragio, ordinò una colletta, raccolse una somma di oltre ventimila franchi e la mandò in Gerusalemme perchè ne fossero fatti sacrifizi per le loro anime. Dopo la narrazione del fatto il sacro testo conchiude: Dunque è santo e salutevole il pensiero di pregare pei defunti, affinchè siano sciolti dai loro peccati (Mach., lib. 2, cap. 12) I Protestanti leggano questi e moltissimi altri testi della Bibbia, ma li leggano {93 [481]} senza prevenzione, e se non vogliono negare la medesima evidenza, dovranno ammettere la dottrina cattolica sul Purgatorio. Moltissime cose sarebbero ancora a dirsi in conferma della medesima verità; epperciò noi ci riserberemo di trattare appositamente in un prossimo fascicolo come il dogma del Purgatorio sia contenuto nella Bibbia, creduto nei primitivi tempi della Chiesa; ammesso da tutte le sette che un tempo si separarono dalla Chiesa; ammesso dai più dotti fra i medesimi protestanti.

 

            FINE. {94 [482]}

 

 

Indice

 

Avviso importante .

pag. III

Capo I. Prima educazione di san Martino Vescovo di Tours.

 6

Capo II. Martino lascia il servizio militare e va a Poitiers

 16

Capo III. Nel passaggio delle Alpi cade nelle mani degli assassini. - Giunge in sua patria e converte sua madre ed altri alla fede di Cristo

 16

Capo IV. San Martino in Italia. – Ritorna a Poitiers

 23

Capo V. Risuscita due morti. - È fatto Vescovo di Tours

 27

Capo VI. Sua sollecitudine pastorale. - Fonda il Monastero di Marmoutier

 33

Capo VII. Opera due miracoli e converte molti idolatri

 37 {95 [483]}

Capo VIII. San Martino alla Corte dell'Imperatore Valentiniano I, e a quella dell'Imperatore Massimo

pag. 43

Capo IX. Sua pazienza, similitudine del prato. - Fa parlare l'ombra d'un morto .

 53

Capo X. Altri miracoli ed ultime fatiche di san Martino

 60

Capo XI. Preziosa morte di s. Martino

 63

Capo XII. Sepoltura e tomba di san Martino

 68

Capo XIII. L’invocazione e il culto dei Santi .

 71

Capo XIV. Reliquie dei Santi .

 77

Il Martire Geronimo

 83

Nota. Il Purgatorio

 90

 

 

 

 

            (Con approv. della Rev. Arciv). {96 [484]} {97 [485]} {98 [486]}

 



[1]S. Sulpizio Severo, chiaro, elegante e preciso scrittore latino, qualificato da molti col titolo di Sallustio Cristiano, compilò una storia sacra che comincia dalla creazione del mondo, e finisce all'anno 404 di Gesù Cristo. Fu discepolo di s. Martino, e ne scrisse la vita mentre questi vivea, e che pubblicò dopo sua morte. I Ss. Padri chiamano Sulpizio Severo uomo di rara pietà. Egli aveva cura di due parrocchie, e ne' giorni festivi dopo di aver celebrata la s. Messa in una chiesa recavasi a celebrarla nell'altra. È questo il primo fatto di cui ci siano pervenute le memorie, che un sacerdote abbia celebrato due messe nel medesimo giorno. Baronio, Fleury, Orsi, Henrion, Tillemont, Gervaise, Jadier, Girolamo da Prato, Massini ed altri scrissero la vita di s. Martino.

[2]Si dava comunemente il nome d'Illirio a quei paesi che oggidì si chiamano Dalmazia, Croazia, Bulgaria, Schiavonia, Cervia, Bosnia e Albania.

[3]Veggasi la nota (A) in fine del libretto.

[4]Origene in Ezech. C. IX; s. Ciril. Catec; s. Basil. l. de Spiritu Sancto, c. XXVII; Lattant. de divinis institutionibus, l. IV.

[5]Treveri anticamente Augusta Trevirorum antichissima, popolarissima e celebre città di Alemagna. L'arcivescovo di Treveri era primo cancelliere dell'impero, ed il primo a dire il voto nell'elezione degl'imperatori. La città, conserva molti preziosi monumenti di antichità, e siccome è fabbricata di pietre di straordinaria grandezza, così suol dirsi nel paese, che è stato il diavolo che le ha poste in opera. Ci sono poche città nella cristianità in cui esistano tante chiese; la più bella è la cattedrale.

[6]Priscilliano capo dei Priscillianisti era un ricco signore di Spagna dotato di una grande attrattiva e di una maravigliosa facilità di parlare. Egli era capace di patire la fame, la sete, le persecuzioni e i mali di ogni genere purchè potesse riuscire nelle sue mire. Ma teneva una pessima condotta, ed allettava i suoi seguaci colla dissolutezza come avevano fatto altri eretici detti Gnostici e Manichei. Oltre di perturbare la chiesa i Priscillianisti si mischiarono in cose politiche; perciò la loro dottrina fu condannata dalla Chiesa e dalle autorità civili. E poichè non cessavano mai di cagionare scandali e turbare la pubblica tranquillità furono dall'imperatore Graziano, e di poi dall'imperatore Massimo condannati alla morte.

Lo stesso Priscilliano dopo di aver a lungo difesa la propria causa e quella de' suoi, subì eziandio l'ultimo supplizio con parecchi suoi seguaci verso l'anno 585. Ma la sua morte non estinse la setta la quale si dilatò in molti luoghi, specialmente nella Spagna. Nel sesto secolo vi erano ancora Priscillianisti.




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