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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

VITA DE' SOMMI PONTEFICI S. LINO, S. CLETO S. CLEMENTE

per cura del Sac. BOSCO GIOVANNI

 

C

 

TORINO

TIP. DI G. B. PARAVIA E COMP,

1857. {1 [337]} {2 [338]}

 

 

 

 

INDEX

Capo I. Della Chiesa e de' suoi vari nomi. 2

Capo II. Del Romano Pontefice - Suoi vari titoli. 3

Capo III. Elezione del Sommo Pontefice. Il conclave. 5

Capo IV. Gerarchia ecclesiastica. - Cardinali - Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi. 5

Capo V. S. Lino 2° Papa. 6

Capo VI. Lino va a Besanzone- Battezza il Tribuno Onosio; guadagna molti a Cristo; sua partenza da quella città. 7

Capo VII. Eiezione di s. Lino. La forinola non vedrai i giorni di Pietro. Morte di Nerone. 9

Capo VIII. Eresia di Menandro e di Cerinto. Morte di questo Eresiarca. 10

Capo IX. S. Lino comanda il velo alle donne. - Consacra Vescovi e Sacerdoti. - Suoi scritti. - Suoi miracoli. - Suo martirio. 10

Capo X. Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei. 11

Capo XI. Apostolato e morte di s. Bartolomeo e di s. Tommaso Apostoli. 12

Capo XII. S. Cleto III Papa. - Sua patria, sua educazione, incontra s. Pietro. - Presbiteri - Sacerdoti - Le formole salutem et Apostolicam benedictionem - Pax vobis - Dominus vobiscum. - Dall'anno di G. C. 80 al 93. 13

Capo XIII. Origine delle stazioni. - Prime chiese cristiane. - Seconda persecuzione. - Martirio di s. Cleto nell'anno 93. 14

Capo XIV. Martirio di S. Giovanni Evangelista. 15

Capo XV. S. Clemente I. quarto Papa - Sua educazione, sue relazioni con S. Pietro e S. Paolo - Succede a S. Cleto - I Sette notai - Abiti sacerdotali - Canone della Messa - Benedizione dei frutti della terra. 16

Capo XVI. Scisma di Corinto e lettera di S. Clemente. 17

Capo XVII. Martirio de' santi Nereo, Achille e Domitilla. 19

Capo XVIII. Interrogatorio, esilio e martirio di S. Clemente - miracoli avvenuti alla sua tomba. 20

Capo XIX. S. Mattia e s. Matteo Apostoli. 22

Capo XX. S. Filippo. 23

Capo XXI. S. Simone e Giuda. 23

Capo XXII. S. Andrea. 24

Capo XXIII. Ultime azioni di S. Giovanni Evangelista. 26

Indice  27

 


Capo I. Della Chiesa e de' suoi vari nomi.

 

            Dopo la vita di s. Pietro io intendo di proseguire a raccontare le azioni degli altri sommi Pontefici, che dopo di lui governarono la Chiesa. Ma siccome in questa storia dei Papi ci toccherà spesso di dover usare parole non tanto facili ad intendersi; così io mi adoprerò di dare qui una breve spiegazione delle principali. Comincerò dallo spiegarvi i vari significati della parola chiesa. Questa parola deriva dal greco e significa semplicemente radunanza. S. Paolo però la usa ora a significare il luogo ove i fedeli soglionsi radunare; ora la medesima moltitudine di fedeli radunati; talvolta chiama chiesa i fedeli di un regno, di una città, di una famiglia Lett. 1 e 2 ai Cor. {3 [339]}

            Queste maniere di parlare dovremo anche usarle noi nel raccontare i fatti che riguardano alla vita dei Papi. In generale poi si usa la parola chiesa a significare l'unione di quelli che professano la religione del vero Dio. Se si considera quest' unione prima della venuta di G. C. scolsi denominare Sinagoga, come ancora oggidì si appella presso agli Ebrei, ed ha la medesima significazione di chiesa cioè radunanza.

            Quando poi si parla della chiesa di G.C. suole prendere tre denominazioni, e sono: chiesa trionfante, chiesa purgante e chiesa militante. Per chiesa trionfante s'intendono tutti i santi e beati che godono la felicità del cielo. La chiesa purgante abbraccia le anime di quelli che sono trattenuti nel purgatorio finchè abbiano soddisfatto alla divina giustizia. Noi però nella storia dei Papi intendiamo di parlare specialmente dei fatti che riguardano la chiesa militante che abbraccia i fedeli cristiani che sono in tutto il mondo.

            La chiesa intesa in questo senso si definisce dai cattolici: la congregazione o società di tutti i fedeli cristiani, che professano la fede e la dottrina di G. C. {4 [340]} sotto al governo del sommo pontefice, che è vicario di lui in terra.

            Dicesi primieramente congregazione, non perchè i cristiani debbano essere radunati e formare un' adunanza materiale, ma perchè devono essere uniti nello spirito di fede, di speranza e di carità, nella pratica de' sacramenti e nell' ubbidienza ai legittimi pastori.

            Dicesi società di tutti i cristiani, perchè la chiesa di Gesù Cristo abbraccia gli uomini di tutti i luoghi, e di tutti i tempi purchè vogliano venire all'amoroso suo seno.

            Si aggiugne la parola cristiani fedeli, per distinguerla dalle altre società, che si vantano anche cristiane, ma che non professano tutta la dottrina del vangelo, come sono gli Eretici, i Scismatici, i quali sono separati dalla vera chiesa, ed anche gli Ebrei, Turchi ed i Pagani, i quali non hanno relazione alcuna colla chiesa di Gesù Cristo.

            Un' altra ragione per cui si aggiugne la parola fedeli cristiani, si è per significare che que' cristiani, i quali sono battezzati, e non praticano o disprezzano la dottrina di Gesù Cristo, o non vogliono {5 [341]} ubbidire al Capo della chiesa costoro, dice il Salvatore, si devono considerare come infedeli e pubblicani. Si Ecclesiam non audierit, sit tibi tamquam ethnicus et Publicanus Matt. 18, 7.

            La chiesa presa così per la società dei fedeli cristiani è figurata con molti fatti della Sacra Bibbia. La prima è quella del paradiso terrestre. Siccome non vi era alcuna felicità fuori del paradiso terrestre, così fuori della chiesa cattolica non si può avere nè salvezza nè felicità eterna. S. Ag. lib. 4 cont. Don.

            La seconda figura è Eva. Questa madre di tutti i viventi formata dal costato di Adamo è figura della chiesa cristiana, che, uscita dal costato dei Salvatore morto in croce, doveva essere la madre dei cristiani di tutto il mondo e di tutti i tempi. S. Ag. in Ioan. trac. 9.

            Parimenti siccome quelli che erano fuori dell'arca di Noè tutti perirono nel diluvio, così di quelli che muoiono fuori della chiesa cattolica niuno può aver salute. S. Girol. epist. a s. Damaso.

            Inoltre siccome nella legge antica in tutto il mondo eravi un solo tempio in cui era adorato il vero Dio; così nella {6 [342]} legge del vangelo non vi è che una sola vera chiesa di G. C. in cui Dio possa essere adorato con quel culto che egli vuole dagli uomini. S. Ag. Trac. 4.

            Nel nuovo Testamento poi vi sono molte altre figure. La pesca copiosa che il Salvatore fece fare a' suoi apostoli; la tunica senza cucitura del medesimo Divin Salvatore; il lenzuolo che vide s. Pietro nella sua misteriosa visione, pieno d'ogni sorta di animali mondi ed immondi; tuttociò dimostra la grande estensione della chiesa, la sua unità, la moltitudine e la differenza dei membri che la compongono, cioè i buoni ed i cattivi.

            La medesima cosa ci fa conoscere il divin Salvatore nella parabola del campo, che racchiude frumento e zizzania; nella rete che raccoglie pesci d'ogni specie; nel pascolo, ove sono agnelli e capretti che si pascolano insieme; nel convitto nuziale; ove sono buoni e malvagi; nell' aja, ove si contiene paglia mista col buon frumento, finchè sia giunto il tempo della separazione.

            Queste figure vanno tutte d'accordo a rappresentarci la santa chiesa cattolica, apostolica, Romana, la quale a guisa di {7 [343]} madre amorosa in ogni tempo, in ogni luogo ha sempre ricevuto e riceve coloro che vogliono unirsi a lei per fare un solo gregge nell'ovile di G. C, che ne è Pastore supremo. Talvolta la chiesa di G. C. è chiamata Latina, Greca, Gallicana, i quali nomi derivano dai luoghi ove dimora quella parte di cristianità; ma s'intende sempre la medesima Chiesa Cattolica sotto il governo del supremo Pastore che è il Papa.

            Qualora però avvenisse che qualche chiesa fosse chiamata con nome particolare, e con tal nome intendesse di non più obbedire, e non essere unita alla Cattolica, ella non sarebbe più unita a Gesù Cristo. Perciò la chiesa Luterana, Calvinista, Valdese, Anglicana, le quali non sono unite alla Chiesa Cattolica, sono fuori della vera chiesa, perchè non sono unite al Capo supremo stabilito da Gesù Cristo. Laonde quelli che vivono in tali società sono seguaci di Calvino, di Lutero, di Valdo o di altri che abbiano dato il nome alla loro setta; ma non mai seguaci di Gesù Cristo.

            Costoro sono come pecore senza pastore, {8 [344]} rami tagliati dall' albero della vita che è Gesù Cristo.

 

 

Capo II. Del Romano Pontefice - Suoi vari titoli.

 

            Questa congregazione cattolica, che abbraccia i cristiani di tutto il mondo, ha un Capo visibile cui Gesù Cristo disse: io darò a te le chiavi del regno dei cieli ciò che tu legherai in terra sarà anche legato in cielo; ciò che tu scioglierai in terra sarà sciolto in cielo. Pascola le mie pecorelle.

            Primo Capo della chiesa stabilito da Gesù Cristo fu s. Pietro; ma siccome egli era un uomo, e come tale doveva cessare di vivere, perciò era necessario che a lui succedesse un altro Capo a fare le veci di G. C. sopra la terra. Questo Capo sebbene sia un solo, suole però chiamarsi con vari nomi. I principali sono; Vicario di Gesù Cristo; successore di s. Pietro, supremo Pastore, Papa, Beatissimo, Santissimo Padre, Sommo Pontefice, Romano Pontefice, servo dei servi di Dio. {9 [345]}

            Noi daremo una breve spiegazione di ciascuno di essi. Dicesi adunque: Vicario di Gesù Cristo; perchè G. C. è Capo invisibile della Chiesa, che la assiste dal cielo fino alla consumazione dei secoli; ma ha dato una suprema autorità a s. Pietro e a' suoi successori di fare da Vicari, cioè di fare le sue veci sopra la terra. Qui è bene di notare che i Papi non sono successori di G. C, perchè essendo egli Pontefice eterno ed onnipotente non può venire meno, perciò non può avere alcun successore; egli ha solamente un vicario che esercita la sua autorità in vece sua, siccome disse egli stesso: sicut misti me Pater et ego mitto vos. S. Gio. 20, 21. La facoltà datami dal Padre Celeste, io la do a voi. Ciò che scioglierai in terra sarà sciolto in cielo.

            Successore di s. Pietro. All'opposto il Papa dicesi successore di s. Pietro, perchè l'autorità suprema deve durare nella Chiesa per tutti i secoli, ed essendo morto Pietro doveva di necessità succedere, come difatto succedette, un altro papa nella medesima carica. Di qui deriva la maravigliosa successione dei sommi Pontefici da s. Pietro fino ai nostri giorni, che in ogni tempo governarono la Chiesa {10 [346]} insegnando la medesima dottrina, proponendo i medesimi dogmi. Di qui nasce la grande prerogativa della Chiesa Cattolica, che partendo dal regnante Pio IX da un Pontefice all' altro rimonta fino a s. Pietro, stabilito dallo stesso G. C. Capo visibile della Chiesa.

            Al contrario tutte le altre società che si vantano cristiane possono solamente numerare i pastori fino ai loro fondatori, e non più in giù. Così i Calvinisti possono andare fino a Calvino, i Luterani fino a Lutero, i Valdesi fino a Pietro Valdo, e là finisce la serie dei loro pastori. La qual cosa contro agli Eretici è un terribile argomento, che dimostra come essi appartengono ad una società, che non è la chiesa di G. C.

            Supremo Pastore. Gesù Cristo nel Vangelo chiama la sua chiesa ovile: et fiel unum ovile Gioan. 10, 16; egli medesimo disse che è il buon pastore: ego sum pastor bonus Gio. 11, 14; ed incaricò s. Pietro di fare il supremo pastore nella chiesa quando disse: pasci le mie pecore; pasce oves meas, pasce agnos meos Gio. 21, 15. E poichè un pastore ha diritto di proporre o proibire alle sue pecore que' cibi che conosce {11 [347]} utili o dannosi al bene delle medesime, così il sommo pontefice supremo pastore visibile, può stabilire quelle cose che egli conosce necessarie ed utili pel bene spirituale ed eterno delle pecore del suo gregge. Per la medesima ragione può proibire que' cibi, cioè quegli scritti, quelle massime e quelle dottrine che egli giudica contrarie a questo bene spirituale ed eterno.

            Sommo Pontefice. Dicesi Sommo Pontefice o Pontefice Massimo, perchè in fatto di religione egli copre la più sublime carica del mondo. Di fatti egli rimettendo o ritenendo i peccati può aprire o chiudere il cielo, separare i perversi dalla comunione dei buoni; col tesoro della Chiesa cioè colle indulgenze può rimettere la pena temporale dei peccati, giudicare e definire quale sia il vero senso della Bibbia ecc.

            Santissimo o Beatissimo Padre. Gli si dà questo nome non come vogliono i nemici di nostra religione quasi che noi volessimo adorare il Papa come se fosse Iddio, oppure venerarlo come se fosse riconosciuto santo. No; questa non è dottrina cattolica. Noi cattolici chiamiamo il Papa Santissimo o Beatissimo, per la santità e {12 [348]} la sublimità della carica di vicario di Gesù Cristo, per la santità delle cose che amministra ed anche per la virtù di cui il Papa deve essere adorno; giacchè quando viene eletto si sceglie sempre colui, che fra i cardinali è riconosciuto maggiormente adorno di dottrina, virtù e santità.

            Papa. È questo il nome più comune con cui è quasi sempre stato qualificato il Capo della chiesa. Questo titolo è interpretato in varie maniere: padre della patria; padre dei padri; pastore dei pastori; padre dei poveri. Perciocchè il Papa è veramente il padre spirituale di tutti i fedeli cristiani che sono in tutto il mondo. Anticamente il nome di Papa si dava anche ai vescovi ed ai primari preti; perchè anch' essi devono essere i veri padri dei popoli. Più tardi fu solamente attribuito al Vescovo di Roma.

            Pontefice Romano. Il Papa è così chiamato perchè è Vescovo della chiesa di Roma; e perchè la città di Roma che fu tanto tempo la capitale del mondo, sembra essere stata dalla divina provvidenza stabilita capitale e centro della cristianità. S. Zozimo Papa nell'anno quattrocento {13 [349]} diciotto s'intitolava vescovo di Roma. S. Leone I Papa nel 450 s'intitolava vescovo della chiesa cattolica che ha la sua sede nella città di Roma.

            È però bene di notare che non è necessario che il Papa dimori a Roma per essere riconosciuto Capo della Chiesa; perchè furono e possono pur troppo di nuovo succedere tempi calamitosi in cui il Papa debba allontanarsi da Roma, come ha fatto Pio VII ai tempi di Napoleone, quando fu costretto di recarsi a Fontainebleau in Francia e come pure dovette fare Pio IX in questi ultimi tempi quando fuggi a Gaeta. Appena il Romano Pontefice è eletto e consacrato, ovunque egli dimori, può esercitare la sua autorità di vicario di Gesù Cristo, perchè l'autorità conferita da Gesù Cristo alla sua chiesa non è limitata ad un luogo, ma è conferita a' suoi vicari perchè la esercitino per tutto il mondo.

            Servo de' servi di Dio. Il Papa dà a se stesso questo titolo per due ragioni: primo per indicare che egli è disposto a tutto fare e tutto patire per guadagnare anime a Cristo, che per la nostra salute mori sulla croce. La seconda ragione {14 [350]} è per dare a conoscere a tutti i cristiani che in qualunque stato e condizione si trovino, devonsi mantenere nell'umiltà e considerarsi come servi dei servi nelle cose che riguardano alla gloria di Dio e alla salute delle anime.

            Il primo Papa ad usare la formola servus servorum Dei, fu s. Gregorio Magno nel secolo sesto; e questo fece per abbassare la superbia del patriarca di Costantinopoli il quale si arrogava il titolo di Vescovo Universale.

 

 

Capo III. Elezione del Sommo Pontefice. Il conclave.

 

            S. Pietro fu eletto sommo pontefice dal medesimo G. C; il quale diedegli certamente le norme da seguirsi nella elezione de' suoi sucessori. Così s. Pietro quando s'accorse che era imminente la sua morte designò s. Lino, s. Cleto, s. Clemente affinchè un di loro fosse eletto e consacrato suo successore.

            Nei primi tempi della Chiesa il sommo {15 [351]}

            Pontefice si eleggeva dal Clero io presenza del popolo. Alla testa del Clero erano i preti della chiesa romana, che più tardi furono detti Cardinali. Il popolo però non dava voto, ma soltanto faceva testimonianza delle virtù di colui che dovevano eleggere. Così s. Pietro quando elesse l' apostolo s. Mattia domandò il parere dei fedeli nel cenacolo congregati. S. Paolo prima di conferire la sacra ordinazione a Timoteo domandò una buona testimonianza da quelli che lo conoscevano.

            Dopo il quarto secolo i re e gli imperatori vollero mischiarsi nella elezione dei Papi. Primo ad ingerirsi a tale sacra funzione fu l'imperatore Onorio.

            Odoacre, famoso capitano dei barbari e di poi anche re d'Italia, portò più oltre le sue pretese, e pubblicò una legge con cui proibiva di eleggere il Papa senza il suo consenso. Questa legge è sempre stata disapprovata dalla Chiesa. Finalmente Gregorio VII ricusò tale dipendenza dall'Imperatore; e d'allora in poi non si aspettò l'assenso dell' Imperatore per la definitiva consacrazione del Papa.

            Non vi era però ancora il conclave; {16 [352]} perciò alla morte di un Papa i Cardinali si radunavano in alcuna delle principali chiese di Roma o nella chiesa cattedrale di quel luogo dove potevano radunarsi. Dato il voto, ciascuno andava a sua casa, ritornando nel medesimo luogo finchè fosse terminata la elezione; cioè finchè alcuno avesse ottenuto due terzi di voti. La qual cosa talvolta prolungava la elezione con danno della religione.

            Finalmente Gregorio X nell'anno 1274 in un concilio convocato in Lione stabili il conclave e le leggi in esso da osservarsi. Quel pontefice erasi a ciò deliberato perchè nella sua elezione la santa sede fu vacante per due anni, nel qual tempo i cardinali non poterono andar d'accordo nei loro voti.

            Il conclave è un luogo ossia un gran palazzo dove si radunano i Cardinali alla morte di un Papa. Vi si chiudono tutti dentro; si murano fino le porle, nè alcuno può uscire di là, neppure aver relazione colle persone esterne finchè non sia terminata la elezione del novello Pontefice. {17 [353]}

 

 

Capo IV. Gerarchia ecclesiastica. - Cardinali - Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi.

 

            La Chiesa di G. C, siccome leggiamo nel Vangelo, è simile ad un regno. E poichè in un regno ben ordinato deve essere un Capo che comandi, di poi vi sono molti altri ministri inferiori che lo aiutino nell'amministrazione degli affari; così pure avviene nella Chiesa. Il suo re supremo ed invisibile è G. C. vero Dio e vero uomo il quale dal Cielo assiste la sua Chiesa usque ad consummationem sæculi Matt. 28, 20. Re e Capo visibile è il Romano Pontefice da cui dipendono altri sacri ministri inferiori, i quali uniti a lui formano quell’ ordine e quella dipendenza che si chiama Gerarchia ecclesiastica. Questa parola è greca e significa sacro principato ed è quell’ ordine di ministri l' uno dall' altro dipendenti in guisa, che tutti sono soggetti al Romano Pontefice come a centro e Capo supremo. I membri poi che compongono {18 [354]} questa sacra gerarchia sono il Papa, i Cardinali, Patriarchi, Primati, gli Arcivescovi, i Vescovi ed i Sacerdoti[1]. {19 [355]}

            Ma questi pastori dipendono tutti dal Papa. Di maniera che possiamo dire che i semplici fedeli sono uniti al proprio parroco; i parroci al vescovo, i vescovi al Papa; il Papa ci unisce con Dio. Che {20 [356]} se mai qualcheduno di questi pastori disgraziatamente venisse a ricusare ubbidienza al Papa, egli cesserebbe di appartenere alla chiesa di Gesù Cristo e non dovrebbe più essere ascoltato. {21 [357]}

 

 

Capo V. S. Lino 2° Papa.

 

Patria, educazione di s. Lino. - Suo incontro con s. Pietro - lo consacra Vescovo e lo costituisce suo Vicario.

 

            Ora che abbiamo spiegato i vari nomi che occorre usare nella storia Ecclesiastica riusciranno molto più facili a capirsi le cose che siamo per raccontare nella vita di s. Lino e degli altri sommi Pontefici. La divina provvidenza che sembra aver destinato l'Italia come centro del cristianesimo, e Roma per capitale del mondo cattolico, dispose che il primo successore di s. Pietro fosse italiano. E siccome Gesù Cristo voleva fare un solo gregge tra gentili ed Ebrei pare essere cosa ragionevole che a s. Pietro di nazione {22 [358]} ebreo succedesse un Papa di nascita gentile.

            Il primo successore adunque di s. Pietro fu s. Lino. Questo nome vuol dire filo ed anche rete, quasi per significare che doveva succedere a quel gran pescatore, nella cui rete avrebbe accolto l'immensa moltitudine di cristiani. Egli nacque in Volterra città di Toscana poco distante da Pisa. Suo padre chiamavasi Ercolano. I suoi genitori procurarono di educarlo nella religione pagana; ma giunto all'età di ventidue anni suo padre vedendolo ben istrutto nelle scienze che poteva apprendere in Volterra lo mandò a Roma perchè facesse i suoi studi nella casa di certo Fabbio molto amico di suo padre.

            Il suo cuore essendo naturalmente buono provava in se stesso avversione al vizio e amore alla virtù; ma ignorava quella religione santissima, senza la quale ogni vizio trionfa, ogni virtù vien meno. Iddio però che è ricco nella sua misericordia e che non manca di venire in aiuto a chi con cuor puro lo invoca, dispose che quasi nel medesimo tempo, l'anno 42, s. Pietro venisse a Roma per dar principio alla predicazione del Vangelo. {23 [359]} Andatolo ad ascoltare Lino conobbe tosto di aver trovato un maestro che gli proponeva una dottrina di gran lunga superiore a quella dei filosofi di tutta l'antichità, e fin d'allora divenne affezionatissimo a s. Pietro, e se lo propose per modello di virtù.

            S. Pietro dal canto suo conobbe eziandio nel suo allievo un' eminente attitudine allo studio ed alla pietà, un cuor docile ed umile. E per assicurarsi meglio della riuscita volle egli stesso assumersene una cura particolare, instruendolo nella fede e formandolo alla virtù secondo la dottrina del Vangelo. Lino corrispose così bene alle sollecitudini del maestro che in breve tempo lo trovò adorno delle virtù necessarie per fare un buon ministro della Chiesa e lo consacrò sacerdote.

            L'anno 50 di G. C. dovette s. Pietro allontanarsi da Roma sia per portare la luce del vangelo in lontani paesi, sia anche per intervenire al concilio di Gerusalemme, ove fu sciolta la questione sull' obbligo della circoncisione, e delle cerimonie della legge di Mosè. Non volendo lasciare il suo gregge senza pastore ordinò vescovo s. Lino, facendolo poi {24 [360]} vicario insieme con s. Cleto durante la sua assenza. Lino aveva cura del gregge entro le mura di Roma, s. Cleto governava le chiese fondate nei sobborghi della città e nei paesi circonvicini. Nel suo ritorno s. Pietro conobbe di non essersi ingannato intorno allo zelo e alla virtù del suo discepolo. Ammirò la pastorale sollecitudine di lui e la carità che gli guadagnavano la stima e il cuore di tutti. Un antico scrittore esprime queste virtù di s.Lino chiamandolo virum magnum plebique probatum: Uomo grande e riconosciuto di gran virtù presso la plebe. Apud Fest. pag. 635.

 

 

Capo VI. Lino va a Besanzone- Battezza il Tribuno Onosio; guadagna molti a Cristo; sua partenza da quella città.

 

            Il Principe degli Apostoli volendo mandare nella Gallia, ossia Francia, un predicatore a portare la luce del Vangelo in quel vasto regno tutto immerso nelle tenebre dell' idolatria, volse il suo pensiero {25 [361]} a s. Lino. Senza apporre difficoltà egli si arrese alla proposta del maestro, e pieno dello spirito che anima gli apostoli di G. C. passò le alpi, entrò in quei paesi, dove non era ancora giunta alcuna notizia del Messia, e si pose coraggiosamente a predicare Gesù Cristo. La notizia delle cose da lui operate in questa lunga e faticosa missione, non ci sono abbastanza note. Si sa soltanto dalle memorie antiche della chiesa di Besanzone come egli andò a predicare in quella città dove è riconosciuto per protettore e per primo vescovo. Fra le altre cose si legge quanto segue[2].

            Nell'arrivare Lino a Besanzone a distanza di 100 passi dalla città, si abbattè in un uffiziale chiamato Onosio, il quale era tribuno, cioè era primo magistrato stabilito per aver cura del popolo qualora fosse stato oppresso da qualche ingiustizia. Quel tribuno rapito dall'aria e dalla modestia dello straniero si fa ad interrogarlo così:

            - Chi sei, donde vieni?

            - Io vengo d'Italia. {26 [362]}

            - Dove sei per andare?

            - Io son venuto qua a predicare la religione di G. Cristo.

            - E qual è questa religione?

            Lino giudicando buona occasione per fargli conoscere la cristiana religione, prese a parlare così: Sappi che io adoro l'unico e solo vero Dio, onnipotente, eterno creatore di tutte le cose. Io prego questo Dio che ti sia propizio. Questo medesimo Iddio ha un figliuolo unico anch'esso eterno ed onnipotente, il quale mosso dalla miseria degli uomini, si è fatto uomo per la loro salute. Questo figliuolo di Dio si chiama Gesù Cristo. Esso come uomo mori sopra una croce pei nostri peccati, ma essendo vero Dio tre giorni dopo la sua morte risuscitò glorioso. Ora vive in cielo e vivrà in eterno insieme con coloro, i quali abbracciando la sua religione, la osserveranno e morranno in grazia sua.

            In udir tali cose Onosio o per leggerezza, o perchè non le capisse, si mise a ridere. Tuttavia curioso di sapere la storia di G. C., pregò s. Lino di andare a casa sua e raccontargliela. S. Lino accettò l' offerta. Il nuovo ospite e {27 [363]} coll'esempio di sue virtù e col raccontare la vita di G. C., istruì Onosio nella fede. Quel tribuno illuminato dalla grazia del Signore dimandò il Battesimo, e divenne presto un fervoroso cristiano, e ardente predicatore. Diede poscia al santo una casa di cui fece una piccola chiesa, sotto al titolo della Risurrezione del nostro Signore, della Madre di Dio e di santo Stefano. Il numero dei fedeli cresceva ogni giorno, e Besanzone era oramai tutta cristiana, quando il demonio mosso da invidia pei progressi del Vangelo, pose in opera ogni arte per arrestarlo.

            Quei pagani per fare una festa solenne in onore de' loro Dei, andavano preparando le vittime da offerire. Lino tutto commosso al vedere che davasi a sozze creature la gloria che unicamente è dovuta al Signore del cielo e della terra, provò un grande orrore. Va perciò nella piazza dirimpetto al tempio in cui dovevansi fare i sacrifizi; e colà alla presenza d'immenso popolo, alza la voce esclamando: che fate mai, o popoli ingannati? A chi volete fare sacrifizio? Non sapete che l'incenso che voi abbruciate, le vittime che voi loro offerite valgono di più degl'idoli medesimi? {28 [364]} Qual segno di divinità trovate voi in quei tronchi di alberi, o di sassi, lavorati dagli artefici a colpi di martelli, mentre non possono liberare nè gli altri nè se stessi dal fuoco, nè dalla caduta? Sappiate adunque che non può esservi che un Dio solo, creatore del cielo e della terra. Questo è quel vero Dio che vi predico, egli solo merita il nostro amore, il nostro rispetto, la nostra adorazione. Cessate adunque di adorare queste vili creature, e aprite gli occhi alla luce della verità che Dio per mezzo mio vi annunzia.

            Queste parole proferite con fervore e con fede, furono come un fulmine, che gettando a terra una colonna del tempio, ridusse in polvere la statua dell'idolo sopra quella collocato. Un prodigio cosi grande atterri tutto il popolo, e già in gran numero correvano a Lino per essere istruiti nella fede, quando i sacerdoti degli idoli si posero a gridare ad alla voce cosi: presto, o popoli, venite qui; se voi non farete vendetta dell'ingiustizia fatta ai nostri Dei dagl' incantesimi di questo mago, tutta la città è per profondare negli abissi.

            Il popolo che appena cominciava ad aprire gli occhi alla verità, spaventato da {29 [365]} tali parole cambia la venerazione in furore, e si lancia contro al santo, lo balte, e lo caccia dalla città. Il Signore si contentò, che il suo servo gettasse le prime fondamenta di quella chiesa che fu una delle più celebri della Francia. Intanto Lino, secondo il consiglio del Salvatore che dice: dove non sei ascoltato cessa di parlare, ritornò a Roma, dove Dio lo chiamava a succedere al suo maestro s. Pietro nel governo della Chiesa.

 

 

Capo VII. Eiezione di s. Lino. La forinola non vedrai i giorni di Pietro. Morte di Nerone.

 

            La missione fatta da s. Lino nella città di Besanzone è quella che è a noi più conosciuta; la maggior parte delle altre sue azioni o non sono state scritte, o le notizie ne andarono perdute. Si sa però che egli lavorò pel vangelo in compagnia di s. Paolo, e quando questo santo Apostolo celebrava i divini misteri s. Lino lo assisteva e gli faceva da Diacono: Ep. B. Igratii ad Trall. {30 [366]}

            In compagnia del medesimo s. Paolo egli affrontò i più gravi pericoli, e neppure lo abbandonò quando fu posto in prigione; anzi in quella occasione gli rese importanti servigi. Allorchè il santo apostolo dalla prigione scrisse la seconda lettera a Timoteo, lo saluta da parte di s. Lino e di s. Claudia, che si crede essere di lui madre. 2. lett. a Tim. Capo 4.

            Da ciò si può dedurre, che la famiglia di Lino fosse divenuta tutta cristiana, e che da Volterra si fosse trasferita a Roma.

            Dalla Gallia Lino giunse a Roma nei giorni che maggiormente infieriva la persecuzione di Nerone. S. Pietro lo attendeva, e. annunciandogli imminente il suo martirio, gli raccomandò caldamente i bisogni della Chiesa. Egli si adoperò con zelo infaticabile per conservare la fede, e incoraggire i fedeli al martirio, durante la prigionia di s. Pietro e di s. Paolo; accompagnò il caro maestro, e lo seguì fino al momento in cui fu crocifisso col Capo all' ingiù l' anno settantesimo di Gesù Cristo.

            S. Pietro per timore che la Chiesa rimanesse priva di pastore in quei tempi calamitosi, prima di sua morte, nominò {31 [367]} tre vescovi maggiormente conosciuti per zelo e santità, i quali dovessero succedergli nel pontificato uno in mancanza dell'altro. Questi furono Clemente, Lino, Cleto. Pare che s. Clemente sia stato designato il primo, ma forse perchè era più giovane cedette il suo posto a Lino, il quale fu con universale applauso eletto, e riconosciuto Papa nell' anno 70 di Gesù Cristo. V. Baron. ad ann. 70.

            Si dice che nella consacrazione di s. Lino siasi introdotta la seguente formola: non videbis dies Petri, cioè non avrai un Pontificato lungo come quello, di Pietro; la qual formola fu eziandio usata nella elezione di altri pontefici, e sebbene non sia più praticata oggidì, tuttavia l'esperienza fece conoscere, che de' Pontefici che finora governarono la santa sede, niuno ebbe un pontificato lungo come quello di s. Pietro. V. Sandini in vita s. Petri.

            Dopo la elezione di Lino, la Chiesa di G.C. potè godere qualche tempo di calma per la morte di Nerone. Questo tiranno dopo di avere esercitato ogni genere di crudeltà verso i cristiani, cadde in disprezzo di tutti i suoi sudditi; e fattasi {32 [368]} centro di lui una rivoluzione, proclamarono un altro imperatore di nome Galba. A tale notizia Nerone dalla paura parve tratto fuor di senno. Gettò a terra con violenza la tavola su cui pranzava, ruppe in mille pezzi due vasi di cristallo di gran valore, batteva la testa nelle pareti. Quando poi gli fu recata la nuova che il senato lo aveva condannato a morte, egli si vide costretto di notte tempo ad uscire dal suo palazzo, correre di porta in porta ad implorare soccorso da' suoi amici, i quali tutti lo fuggivano, perchè i malvagi non hanno veri amici.

            Per tentare in qualche maniera di salvarsi monta sopra un cavallo, si fa coprire con un logoro mantello, e fra le maledizioni passa sconosciuto in mezzo a' suoi nemici, che gli gridano morte da tutte le parti. Giunto alla casa di campagna di un suo servo di nome Faone, provò di nascondersi; ma scorgendo tosto il suo asilo attorniato di soldati, non sapendo più a che partito appigliarsi per iscansare il pubblico supplizio, si trapassò da se stesso la gola con un pugnale, Cos'i moriva il più crudele dei tiranni, e l'autore della prima delle dieci persecuzioni dagl'imperatori {33 [369]} romani suscitate contro ai cristiani. Anno di Cristo 71.

 

 

Capo VIII. Eresia di Menandro e di Cerinto. Morte di questo Eresiarca.

 

            Cessarono le persecuzioni per parte dell' imperatore; ma ne sorsero altre di genere diverso, sempre però dirette a combattere la verità e a propagare la menzogna, e queste furono le eresie. Era morto Simone il Mago, ma con lui non morirono i suoi errori. Un suo discepolo di nome Menandro, anch'egli Samaritano, si adoperò per far rivivere la dottrina del suo maestro. Egli diceva che era la virtù di Dio e che niuno poteva salvarsi se non era in suo nome battezzato; che il mondo non era stato creato da Dio, ma dagli Angeli. Per meglio impegnare la gente a seguirlo, aggiunse che tutti coloro, i quali venissero battezzati nel suo nome sarebbero divenuti immortali anche in questo mondo. I fatti però dimostrarono che egli era un menzognero, perciocchè {34 [370]} egli stesso e i suoi discepoli dovettero soggiacere alla morte. Egli fu autore di un sistema, ossia di una dottrina con cui inventò una lunga serie di genii o divinità nominate Eoni. Essi erano parte buoni e parte malvagi. I buoni operavano il bene in questo mondo, i cattivi erano autori del male. Cose le più ridicole, ma che furono seguite anche da molti altri. Quasi nell'anno stesso, cioè nel 73 di Gesù Cristo, Cerinto diede mano a Menandro per propagare presso a poco i medesimi errori; aggiungendo contro al concilio di Gerusalemme che la legge di Mosè era necessaria alla salute, e che alla fine del mondo gli uomini avrebbero goduto mille anni di piaceri terreni prima del giudizio universale. La morte però di Cerinto servì a disingannare molti de' suoi seguaci, che lo riputavano profeta ed immortale. Essendo egli andato a prendere un bagno in una casa, ove si trovava l'apostolo s. Giovanni, subito questo santo ne ebbe orrore, e appena lo vide, si parti dicendo a' suoi compagni: partiamoci di qua affinchè non rimanghiamo oppressi da questa casa. Appena partiti succedette un terremoto che fece cadere {35 [371]} quell'edifizio, e Cerinto si trovò ivi prima seppellito che morto. V. Bermi v. I.

            Contro a questi eretici tutto si impiegò lo zelo di s. Lino, e come s. Pietro aveva allontanato dalla chiesa Simon mago, così Lino suo successore condannò le dottrine degli eretici e cacciò dalla Chiesa gli autori delle medesime, e con ragioni ricavate dalla sacra scrittura dimostrò che quel medesimo Dio che aveva parlato a Mosè era il creatore di tutti gli uomini e di tutti gli angeli e di tutte le cose che nel cielo e nella terra si contengono. Sismondi Tom. 2°.

 

 

Capo IX. S. Lino comanda il velo alle donne. - Consacra Vescovi e Sacerdoti. - Suoi scritti. - Suoi miracoli. - Suo martirio.

 

            Fra le usanze molto praticate a quei tempi presso ai Gentili eravi quella che le donne andavano in chiesa immodestamente vestite, col Capo scoperto e adorne come se andassero a profani spettacoli. S. Pietro aveva già egli stesso conosciuto questo {36 [372]} disordine, e non avendo egli avuto tempo di porvi rimedio, prima del suo martirio comandò al suo discepolo di effettuarlo. Lino pertanto memore del comando fattogli dal maestro ordinò che le donne non entrassero in chiesa se non col Capo coperto da un velo. Alcuni protestanti vorrebbero deridere un tale provvedimento come poco degno delle cure di un Pontefice, come se una cosa la quale serve a prevenire il male non fosse degnissima del Capo della Chiesa. Un tale precetto non potrebbe riguardarsi come inutile se non tra quelli presso cui il pudore avesse squarciato ogni velo. V. Lib. Pont, detto di Gelasio.

            Noi cristiani diciamo che s. Lino non ha fatto altro che eseguire gli ordini di s. Pietro e rinnovare quello che s. Paolo aveva già comandato ai cristiani di Corinto (Lett. 1 Cap. 11). Il quale precetto fu rinnovato da altri sommi pontefici e si osserva tuttora nella Chiesa cattolica.

            S. Lino vedendo crescere ogni giorno ed in ogni parte il numero dei Fedeli, a fine di avere degni ministri degli altari ed appagare le dimande che da più luoghi gli venivano fatte, ordinò molti {37 [373]} sacerdoti e consacrò parecchi vescovi. Non ostante le continue sue occupazioni pel bene universale della Chiesa, egli trovò tempo a scrivere molte cose importanti. A lui siamo debitori della storia di quanto avvenne tra s. Pietro e Simon Mago. Scrisse anche due libri sul martirio di s. Pietro e di s. Paolo, di cui era stato testimonio. Bisogna pero notare che gli scritti di s. Lino furono guastati dagli eretici, i quali sparsero in essi vari errori. Quelli che attualmente corrono sotto al nome di s. Lino non sono più i libri scritti da lui.

            Questo santo Pontefice tanto celebre per la sua fede e per la sua pietà riempiva Roma collo splendore delle sue virtù e de' suoi miracoli. Il solo suo nome rendeva muti i demoni e col semplice segno della croce li costringeva ad allontanarsi da coloro che ne erano posseduti. La morte stessa ubbidiva alla sua voce, e nel corso del suo Pontificato risuscitò molti morti a vista d'immensa moltitudine. Non solo i cristiani ma i medesimi pagani veneravano la sua virtù, e nelle loro infermità venivano a cercar soccorso dal santo Papa. {38 [374]}

            Saturnino, uomo consolare, cioè uno dei governatori di Roma, avendo una sua figliuola inferma, ricorse al nostro santo, il quale col segno della santa croce la liberò sull' istante dallo spirito maligno che da molto tempo la travagliava. Un miracolo di questa fatta avrebbe dovuto convertire alla fede Saturnino. Ma i sacerdoti degli idoli gli riferirono che egli con quell'atto aveva fatto ingiuria agli dei e perciò incontrato lo sdegno del sovrano. Il debole governatore per paura di perdere l'amicizia di quegli idolatri e la grazia dell' Imperatore, per far vedere come egli non aveva alcuna relazione co' cristiani ordinò, che fosse messo in prigione s. Lino, a cui poco dopo fu tagliata la testa. Così il primo successore di s. Pietro riportava la corona del martirio il 23 di settembre l'anno 80 di Gesù Cristo, dopo aver governata la Chiesa undici anni, due mesi e ventitrè giorni, calcolando il tempo da che s. Pietro fu messo in prigione. Il suo corpo fu seppellito dai cristiani sul colle Vaticano vicino a quello di s. Pietro.

            Si attribuisce a s. Lino l'istituzione del pallio pontificale, che è un ornamento {39 [375]} largo due dita, fatto quasi a forma di frangia. Esso cinge il collo ed ha due striscie lunghe un braccio, delle quali una pende sul pollo e l'altra di dietro. Il pallio dei vescovi è piccolo; quello del Papa è assai più grande, e gli copre pressochè tutta la persona per indicare la pienezza di autorità a lui conferita da Gesù Cristo. V. Burius. Brevis notitia Summ. P.

 

 

Capo X. Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei.

 

            Gli avvenimenti più notevoli del pontificato di s. Lino, oltre a quanto abbiamo detto, sono la morte di Nerone, la rovina di Gerusalemme e il martirio degli Apostoli s. Bartolomeo e s. Tommaso. Della morte di Nerone abbiamo già parlato, qui parleremo della rovina di Gerusalemme. È questo un fatto dei più terribili che leggansi nella storia. I profeti avevano molti secoli prima predetto che gli Ebrei in pena della loro {40 [376]} ostinazione contro la dottrina del Vangelo e del deicidio che avrebbero commesso contro la persona del Salvatore, sarebbero cacciati dai loro paesi, dispersi nelle varie parti del mondo senza re, senza tempio, senza sacerdozio. Gesù Cristo poi predisse ancor più chiaramente la sventura degli Ebrei, asserendo che sarebbero assediati in Gerusalemme, ridotti a strettezze inudite, che sarebbe distrutta la città, incendiato il tempio, tutto il popolo disperso; e che tali cose sarebbero avvenute prima che altri succedesse alla presente generazione.

            Iddio, che è infinitamente misericordioso, volle prevenire quel popolo colla predicazione e cogli avvisi dei santi Apostoli e con molti segni spaventosi, e fare, per così dire, l' ultima prova onde condurlo a penitenza. Questi segni sono raccontati dagli scrittori cristiani e dai medesimi ebrei. Giuseppe Flavio, dotto Ebreo, il quale ebbe gran parte in quei disastri, racconta fra le altre cose, che nel giorno della Pentecoste fu udita una voce nel tempio che senza sapere donde venisse, fortemente rimbombava: usciamo di qui, usciamo di qui. Un uomo chiamato{41 [377]} Anano venne dalla campagna alla festa dei Tabernacoli in tempo in cui non si parlava ancora di guerra. Egli si pose improvvisamente a gridare cosi: guai al tempio, guai a Gerusalemme, voce dall'oriente, voce dall'occidente, voce dai quattro venti, guai al tempio, guai a Gerusalemme. Egli fu preso, messo in prigione, flagellato a morte, ma non si tenne mai dal correre e gridare per la città con gagliarda voce per tre anni: guai al tempio, guai a Gerusalemme! Un giorno poi correndo sopra i bastioni mandò una gran voce esclamando: guai a me stesso; e in quell'istante fu colpito da una pietra sul capo, e spirò.

            Una notte alle nove ore intorno al tempio ed all' altare risplendette una luce sì viva, che per lo spazio di mezz'ora pareva pieno giorno. Una porta del tempio di bronzo era di un peso così enorme, che ci volevano venti uomini per chiuderla: questa porta si trovò da se stessa aperta senza che uomo l' abbia toccata. Alcuni giorni dopo in tutti i paesi vicini a Gerusalemme si vedevano in aria eserciti schierati che la cingevano di stretto assedio. Comparì {42 [378]} una cometa che vomitava fiamme a guisa di fulmine, ed una stella a forma di spada stette sospesa per un anno intiero colla punta rivolta su quella città.

            Tali sono i principali segni che annunziavano imminente la rovina di Gerusalemme. I romani, certamente senza saperlo, furono gli strumenti dell'ira divina per compiere i disegai del cielo. A Nerone era succeduto un imperatore di nome Galba e poi un altro di nome Vitellio, i quali pei loro vizi e per la loro tirannia furono deposti dal trono, ed in loro vece proclamato un gran generale di nome Vespasiano. Costui amava la giustizia ed era da tutti amato per la sua affabilità, pel suo coraggio. Lo stesso Nerone lo aveva inviato contro agli Ebrei. Quando poi Vespasiano fu proclamato imperatore lasciò un figlio di nome Tito a continuare quella guerra. Gran numero di quelli che trovaronsi presenti alla morte del Salvatore vivevano ancora allorchè gli eserciti romani vennero ad assediare Gerusalemme. L'assedio cominciò in un tempo che un gran numero di forestieri era ivi accorso per celebrare le feste pasquali. Quella sventarala {43 [379]} città dopo ostinata ed inutile resistenza fa ridotta a tali strettezze che l'un l'altro si strappavano di mano le cose più sozze per non morir di fame. E ciò che è orribile a dirsi le madri nella loro disperazione giunsero a cibarsi della carne dei loro figliuoli. Un milione e cento mila Ebrei rimasero trucidati, distrutta la città, arso il tempio, il resto di quel popolo fu disperso per le varie parti del mondo E siccome Iddio aveva predetto che gli Ebrei sarebbero per sempre dispersi, cosi malgrado ogni loro sforzo non poterono mai più ritornare in patria, nè riunirsi altrove per formare un corpo di nazione. Quegli stessi avanzi che si conservano dispersi tra noi o in altri luoghi sono pei cristiani argomento di verità della cristiana religione. Perciocchè quelli che si convertirono alla fede sono un segno non dubbio che la conobbero divina, quelli poi che non si convertirono sono un argomento del pari convincente, perchè in loro si avvera ogni giorno una profezia del Vangelo, cioè che questo popolo vive disperso senza re, senza tempio, senza sacerdote ed improntato dal marchio della divina maledizione. S. Lino {44 [380]} potè vedere gli Ebrei fatti schiavi giungere, a Roma a schiere a schiere, ed essere condannati a gravi lavori per innalzare un arco trionfale a Tito, ove si osserva tuttora il candelliere con sette rami tolto dal tempio di Gerusalemme. V. Artaud in s. Lino.

            Egli si valse certamente di quel fatto terribile per confermare nella fede gli Ebrei già convertiti, e guadagnare quelli che erano meno ostinati; giacchè in quello sterminio i romani non fecero altro che prestare il braccio alla vendetta celeste. Melch. Cesarotti. Vite dei 100 primi Pont.

 

 

Capo XI. Apostolato e morte di s. Bartolomeo e di s. Tommaso Apostoli.

 

            L'anno quinto del medesimo pontificato di s. Lino e di G C. 75, riporto la corona del martirio s. Bartolomeo. Questo santo Apostolo di nazione Galileo, di professione pescatore, da che fu chiamato a seguire Gesù Cristo, non si allontanò {45 [381]} più da lui. Egli si trovò presente ai miracoli operati dal Divin Maestro durante la sua vita mortale. Dopo la venuta dello Spirito Santo egli predicò nella Giudea, dipoi in molti paesi, e finalmente nell'Armenia. Quivi operò molti prodigi in conferma delle verità che predicava, e dopo molte fatiche e molti patimenti riuscì a guadagnare alla fede dodici intere città. La qual cosa eccitò grande invidia tra i sacerdoti idolatri. Costoro per disfarsi del santo Apostolo eccitarono contro di lui Astiage fratello del Re e seppero cosi bene armarlo di collera, che fatto prendere il nostro Santo ordinò che fosse scorticato vivo; dopo di che vedendolo ancora a dare qualche respiro fecegli tagliar la testa.

            L'anno settimo del pontificato di s. Lino e 77 di G. C. compì pure le sue fatiche l'apostolo s. Tommaso. Dacchè gli Apostoli si separarono per andare a predicare il Vangelo ne' vari paesi del mondo, Tommaso si portò verso le parti di Oriente. Egli predicò nella Persia e in molti altri paesi barbari e feroci. Nei suoi viaggi fra gli altri si crede ch'egli abbia battezzalo i Re magi, queglino {46 [382]} stessi che erano venuti ad adorare Gesù Bambino alla capanna di Betlemme. Dopo di che in compagnia del santo Apostolo si diedero a predicare il Vangelo tra quelle nazioni infedeli e coronarono la loro vita col martirio. Finalmente il nostro Apostolo penetrò nelle Indie, dove nella città di Calamina coronò anch'egli il suo apostolato con un glorioso martirio. Così la Chiesa di Gesù Cristo si andava ogni giorno dilatando a guisa di un grande albero, il quale coltivato dai predicatori del Vangelo, inaffiato dal sangue del Salvatore e da quello de' suoi Apostoli produceva frutti copiosi per tutta la terra.

            Questi soldati di Gesù Cristo, colle fatiche e colla vita, sostennero l'onore del Re del cielo; dando così luminoso esempio di ciò che deve fare ogni fedel cristiano; cioè essere pronto a qualunque fatica, a qualunque patimento, affinchè il nome di Dio sia da tutti glorificato, ed il suo regno si estenda sopra tutta la terra, siccome diciamo in principio dell'orazione domenicale: venga il regno tuo. {47 [383]}

 

 

Capo XII. S. Cleto III Papa. - Sua patria, sua educazione, incontra s. Pietro. - Presbiteri - Sacerdoti - Le formole salutem et Apostolicam benedictionem - Pax vobis - Dominus vobiscum. - Dall'anno di G. C. 80 al 93.

 

            È bene qui di notare come i cristiani hanno bensì goduto tranquillità durante il regno di Vespasiano che fu di nove anni, e sotto a quello di Tito suo figlio che fu di due anni; tuttavia gli editti di persecuzione non rivocati e l'odio dei pagani fecero immaginare delitti da imputare ai cristiani. Inoltre dopo la distruzione di Gerusalemme gli Ebrei che avevano disperatamente combattuto contro ai Romani, erano in ogni luogo trattati siccome schiavi e perseguitati crudelmente. Per la qual cosa spesso avveniva che dai gentili confondendosi gli ebrei coi cristiani erano gli uni invece degli altri perseguitati, posti in prigione, ed anche condannati a morte. Perciò anche durante il pacifico regno di Vespasiano e di Tito la Chiesa di Gesù Cristo ebbe molti fedeli coronati {48 [384]} del martirio. Ciò premesso passiamo a parlare di s. Cleto.

            Appena portato il corpo di s. Lino ad essere seppellito vicino a quello di s. Pietro sul colle Vaticano si pensò alla scelta di un successore. Questi avrebbe dovuto essere s. Clemente siccome aveva indicato s. Pietro prima di sua morte; ma anche questa volta egli per umiltà volle cedere il posto a Cleto d' età maggiore di lui; e Cleto fu da tutti riconosciuto per terzo Papa, successore di s. Pietro e vicario di Gesù Cristo. La parola Cleto significa chiamato quasi che il nome stesso venisse ad indicare come egli era in particolar maniera chiamato a governare la Chiesa in tempi difficilissimi.

            Esso era Romano; suo padre era gentile e chiamavasi Emiliano; per conseguenza il nostro Santo fu educato, come s. Lino, nell'idolatria. Fortunatamente egli si recò a Roma quando s. Pietro ivi predicava il Vangelo. Il suo vivo desiderio per la verità, coadiuvato dalla grazia, gli fece presto conoscere la nullità dell'idolatria e la santità del cristianesimo, e si pose interamente alla sequela del santo Apostolo, sia per prestargli quei {49 [385]} servigi di cui era capace, sia per vie più istruirsi nella fede. Sotto alla direzione di tal maestro, quale era s. Pietro, egli fece maraviglioso progresso nella virtù e nella dottrina, sicchè ricevuto il Battesimo divenne presto il modello della crescente cristianità. La sua mansuetudine guadagnava il cuore degli stessi pagani. Il suo amore verso Gesù Cristo faceva a tutti conoscere che egli andava maravigliosamente ricopiando dal suo Maestro la tenerezza ed il fervore verso il Salvalore. S. Pietro non ebbe più difficoltà di ordinarlo prete e di poi vescovo, affinchè in sua assenza facesse le sue veci nei borghi e nelle città vicine a Roma. Quando poi s. Pietro era a Roma lo teneva per coadiutore, cioè prestavagli quei medesimi servigi che attualmente i Cardinali prestano al Sommo Pontefice. Durante il pontificato di s. Lino egli erasi con gran zelo adoperato sia per sostenere la fede in Roma, sia per andarla a portare in quei paesi dove non era ancora stato udito il nome di Gesù Cristo. Alla morte poi di Lino i tempi erano critici per la Chiesa, specialmente per la successione di Domiziano all' impero, che {50 [386]} era avversissimo al cristianesimo. Perciò era propriamente necessario un uomo che avesse l'ingegno e la pietà di s. Cleto per governare la Chiesa. Egli qual pastore supremo facendosi tutto a tutti soccorreva largamente i poveri colle limosine, consolava gli afflitti colle istruzioni e colle lettere e inspirava a tutti santità e coraggio colle sue virtù. In una parola egli provvedeva a tutti i bisogni del gregge, comunque fosse numeroso.

            S. Pietro negli ultimi anni di sua vita aveva conosciuto il bisogno di ripartire la cura dei fedeli di Roma tra più ministri, affinchè ciascuno avesse cura di quella porzione di gregge che venivagli affidata. Non avendo egli potuto ciò fare, attesa la fierezza della persecuzione di Nerone, ordinò che lo facessero i suoi successori. S. Cleto pertanto secondo il comando del suo maestro scelse venticinque presbiteri e a ciascuno di loro diede la cura di una parte di fedeli, a guisa di altrettante parrocchie. Quei parroci ovvero quei sacri ministri erano detti presbiteri cioè vecchi, non perchè fossero tutti di età avanzata; ma per la scienza e santita che in loro è necessaria e che {51 [387]} devono possedere. Più tardi i presbiteri furono detti sacerdoti quasi dote sacra, perchè i sacerdoti debbonsi considerare come un dono intieramente offerto e consacrato al Signore.

            Raccontano pure accreditati scrittori che s. Cleto sia stato il primo ad usare le parole: salutem et apostolicam benedictionem, salute ed apostolica benedizione; della quale formola si servono i sommi pontefici per salutare i fedeli cristiani quando loro indirizzano qualche scritto. Con questa formola il Papa viene a qualificarsi sommo Pontefice e successore degli Apostoli.

            I Vescovi come successori degli Apostoli, dicono: pax vobis, la pace sia con voi; le quali parole sono state proferite da Cristo allorchè comparve agli Apostoli dopo la sua risurrezione.

            I sacerdoti poi come inviati da Dio ad eseguire i suoi ordini in terra dicono ai fedeli cristiani: Dominus vobiscum, il Signore sia con voi. Le quali parole sono state usate dall'Angelo Gabriele allorchè salutò la B. Vergine, come pure furono usate da un altro angelo quando disse {52 [388]} a Gedeone: Dominus tecum, il Signore sia con te.

 

 

Capo XIII. Origine delle stazioni. - Prime chiese cristiane. - Seconda persecuzione. - Martirio di s. Cleto nell'anno 93.

 

            Sotto al pontificato di s. Cleto si levò la seconda persecuzione contro alla Chiesa, suscitata dall'imperatore Domiziano. Il rigore era estremo, e Cleto per dare comodità ai cristiani di potersi recare da lui in caso di bisogno e praticare i doveri di religione fece una chiesa della stessa sua casa che era situata in un quartiere di Roma detto le Terme di Filippi nel Rione dei Monti. Si dice che dal concorso che i cristiani facevano a questa chiesa abbiano avuto origine i pellegrinaggi alle varie chiese di Roma; che furono di poi detti Stazioni, perchè il popolo giunto al luogo stabilito si fermava per ascoltare la parola di Dio o per assistere ai divini misteri.

            Questi luoghi destinati al culto di Dio, {53 [389]} cominciarono fin d' allora a prendere il nome di chiese per distinguerle dai templi, col qual nome i gentili solevano chiamare i luoghi ove erano soliti a radunarsi per adorare le loro false divinità. V. Burio e Novaes vita di s. Cleto.

            Erano dodici anni che s. Cleto governava la Chiesa colla saviezza e vigilanza degna di un discepolo di s. Pietro quando l'imperatore Domiziano spinse a spaventosi eccessi la persecuzione contro ai cristiani. Tertulliano dice che la crudeltà di costui partecipò di quella di Nerone. Nel suo orgoglio o piuttosto nella sua pazzia egli voleva essere riconosciuto e adorato qual vero Dio. Con tali nefandità pel Capo risolse di volere a qualunque costo distruggere la cristiana religione, come quella che propone ed ammette un solo vero Dio creatore del cielo e della terra. Non si possono esprimere le crudeltà usate da questo tiranno contro ai servi di Dio. La persecuzione fu tremenda in tutto l'impero; si contano a migliaia le vittime che ogni giorno erano sacrificate al suo furore.

            Ma egli stimava poco lo sterminio del gregge, finchè restava in vita il pastore. {54 [390]} Comandò pertanto che fosse cercato il Pontefice; e fu facile il trovarlo, perciocchè dì e notte egli scorreva nelle case e nelle campagne per amministrare i santi sacramenti ed incoraggire i fedeli a mantenersi fermi nella fede, e dare la vita piuttosto che rinnegare Gesù Cristo. Cleto fu arrestato e condotto in prigione carico di catene.

            L'allegrezza che egli dimostrò quando fu incatenato e messo in prigione, il vivo desiderio di dare la vita per Gesù Cristo, riempì tutti di stupore. L'impazienza poi del tiranno di farlo morire, lo rese esente da molti supplizi. Egli fu martirizzato nel dì 26 aprile dell'anno 93 di Gesù Cristo, dopo avere governata la chiesa dodici anni e sette mesi. Il suo corpo fu seppellito vicino a quello di s. Pietro in Vaticano.

            La città di Ruo nelle Calabrie, regno di Napoli, onora s. Cleto per suo patrono. Le memorie antiche di questa chiesa ci assicurano che l'anno 44 di Gesù Cristo, s. Pietro inviò s. Cleto in questa città a portare la luce del Vangelo, ed avendone convertiti gli abitanti nè fu il primo vescovo. V. Fasti della chiesa ne' suoi santi vol. 4. Ricard art. Ruo. {55 [391]}

 

 

Capo XIV. Martirio di S. Giovanni Evangelista.

 

            Il modo con cui Domiziano trattò le persone più qualificate, e perfino i suoi più prossimi parenti, ci fa conoscere fino a qual punto fosse giunta la violenza della persecuzione. Fece egli morire un console di nome Flavio suo cugino. Altri moltissimi furono condannati a morte, o mandati in esilio o spogliati dei loro beni. Ma ciò che rende famosa questa persecuzione fu il martirio di s. Giovanni apostolo ed Evangelista.

            Questo discepolo di Gesù Cristo aveva già sofferta la prigione, le battiture ed il disprezzo con s. Pietro nella persecuzione, che i Giudei mossero agli Apostoli dopo la morte di s. Stefano. Egli era andato a predicare il Vangelo in varie città dell'Asia. Dopo la morte di s. Pietro e di s. Paolo, egli si diede a percorrere le chiese da lui fondate, e per provvedere ai bisogni delle altre chiese vicine, stabilì sua regolare dimora nella città di Efeso. {56 [392]}

            Egli patì molti mali da parte dei Gentili, che secondando la tirannia dell'imperatore volevano distruggere in ogni luogo la religione cristiana. Il santo apostolo fu bandito da Efeso, e dopo qualche tempo condotto a Roma carico di catene, chiuso in orrida prigione. L'imperatore informato del carattere e delle qualità di questo eroe cristiano volle vederlo. San Giovanni comparve davanti al tiranno colla modestia, e coll' aria di dolcezza e di santità, che fu sempre il carattere distintivo di questo caro discepolo del Salvatore. La sua età lo rendeva ancora più venerabile, e l'imperatore parve percosso alla vista di quel vecchio venerando.

            Volle egli stesso interrogarlo sopra la sua religione. Bisogna, gli disse Domiziano, che tu rinunzi ad una religione la cui morale è nemica dei piaceri del senso, e i cui dogmi sono incomprensibili; è meglio che tu passi alla nostra, dove tu potrai finire i tuoi giorni in pace. A questa proposizione il santo apostolo si fece a rispondere cosi: non credere, o imperatore, che noi ci lasciamo allettare dalle promesse. Non vi è che un solo Dio, e questo Dio è colui che io adoro. La più {57 [393]} grande ventura per me si è di dare per lui il mio sangue; egli è lungo tempo che io aspetto e sospiro un cosi bel momento.

            L'imperatore parve sorpreso per la fermezza e la nobile risposta del Santo. Di poi scosso dal suo stupore, e dando nelle smanie ordinò che sull'istante il santo fosse gettato in una caldaia d'olio bollente, e così fatto morire.

            Avvi in Roma una grande piazza vicino alla porta chiamata Latina, perchè essa conduce alle città del Lazio, ovvero paese di un antico popolo detto Latino, che oggidì si chiama Campagna di Roma. Tale piazza fu scelta per luogo del supplizio del nostro apostolo. Fu ripiena d'olio una grande caldaia, e collocata sopra un ardente fuoco. L'età, la riputazione, la magnanimità del santo attirò il senato e la più gran parte dei cittadini.

            Il santo apostolo fu spogliato e crudelmente battuto secondo le leggi romane, che ordinavano questo supplizio a tutti quelli che erano condannati a morte. Dopochè ebbe il corpo tutto lacero e tutto grondante di sangue fu preso e attuffato nella caldaia bollente. Il Signore però voleva dare al suo servo la gloria {58 [394]} del martirio, come aveva predetto ma voleva ancora conservarlo pel bisogno della Chiesa con nuovo miracolo, simile a quello operato in favore dei tre fanciulli gettati nella fornace di Babilonia. Quell'olio bollente divenne pel santo un bagno rinfrescante che guarì sul momento tutte le sue piaghe. E poichè gli esecutori degli ordini imperiali si davano la più grande sollecitudine per rendere il fuoco violento, furono colpiti dalle stesse fiamme, che fomentavano. Il miracolo era troppo evidente e troppo sensibile per essere senza effetto. Tutti ne furono commossi ed un gran numero si convertì alla fede. Lo stesso imperatore, avuta di ciò relazione dal senato, parve così spaventato, che più non cercò la morte del valoroso atleta, ma si contentò di mandarlo in esilio in una piccola isola del mare Egeo, o Arcipelago, chiamata allora Patmos, ed oggidì Potina o Palmosa, dove restò fino alla morte di Domiziano. Mentre il nostro santo era colà in esilio, fu grandemente consolato da maravigliose rivelazioni, che furono da lui scritte e formano un libro sacro che noi chiamiamo Apocalisse. I cristiani volendo onorare la memoria {59 [395]} di questo glorioso avvenimento fabbricarono fin dai primi secoli una chiesa sotto al titolo di s. Giovanni avanti la porta Latina, e si conserva ancora oggidì là in quel luogo medesimo, ove il santo apostolo fu gettato nell'olio bollente. V. Tert. Bolland. 6 magg.

 

 

Capo XV. S. Clemente I. quarto Papa - Sua educazione, sue relazioni con S. Pietro e S. Paolo - Succede a S. Cleto - I Sette notai - Abiti sacerdotali - Canone della Messa - Benedizione dei frutti della terra.

 

            Quando s. Paolo dalle prigioni di Roma scriveva ai cristiani di Filippi, annoverò fra i suoi coadiutori Clemente con altri santi predicatori il cui nome era scritto nel libro della vita. Quel Clemente è quello stesso che fu più tardi eletto Papa.

            Egli era figlio di un senatore Romano di nome Faustino; sua madre nominavasi Mattidia. Clemente già illustre per nascita, si rese assai più celebre per merito personale. Dotato d'ingegno egli fece maravigliosi progressi nelle belle lettere, {60 [396]} nella lingua greca e nella filosofìa profana. Ma gli mancava la cosa più essenziale cioè la cognizione delle verità della fede, senza cui nulla vale l'ingegno degli uomini.

            Essendosi recato a Filippi gli avvenne di udire s. Paolo a predicare. Illuminato dalla parola e dalla grazia di Dio risolse di farsi cristiano; e s. Giovanni Grisostomo dice che fin d' allora divenne compagno dell'apostolo delle genti, come lo furono S.Timoteo e s. Luca. Avendo s. Clemente seguito s. Paolo a Roma, ebbe la bella sorte di udire a predicare s. Pietro, e di essere testimonio dei miracoli che i due apostoli operarono. Istruito alla scuola di tali maestri ne approfittò in modo straordinario, e come dice s. Ireneo, egli aveva così profondamente scolpite nella mente e nel cuore le loro massime, i loro precetti, che pareva sentirsegli risuonare continuamente all'orecchio.

            S. Pietro lo scelse pel suo coadiutore e a tal fine lo aveva consacrato vescovo e suo vicario, affinchè lo aiutasse specialmente nel tempo che egli si allontanava da Roma; anzi il medesimo s. Pietro lo mandò a predicare in vari paesi. {61 [397]}

            Egli vide i due principi degli apostoli a finire la vita col martirio, la qual cosa contribuì ad infiammare la sua carita, a rafforzare il suo zelo e a rendere immobile la sua fede. Pare che s. Pietro lo abbia nominato suo successore; ma poichè s. Lino e s. Cleto erano maggiori d'età, per solo spirito di umiltà volle cedere ai suoi compagni il posto nel Pontificato, contento di potersi seco loro adoperare per sostenere i cristiani nella fede, e per convertire i gentili. Di qui avviene che alcuni hanno creduto essere stato s. Clemente immediato successore di s. Pietro. Ma egli non ne fu se non coadiutore durante il Pontificato di s. Lino e di s. Cleto. L'anno 93 di G. C., mentre infieriva la persecuzione di Domiziano, egli fu eletto a governare la Chiesa dopo il martirio di s. Cleto.

            Appena Clemente, primo di questo nome, assunse il governo della chiesa, mostrò chiaramente come lo spirito di s. Pietro erasi in lui trasfuso, governandola con ammirabile mansuetudine e saviezza. Siccome i cristiani erano in gran numero condotti al martirio, spesso avveniva che le loro azioni e le loro parole {62 [398]} passavano inosservate in mezzo alle turbe. Egli pertanto stabilì sette notai, ovvero scrivani, ai quali divise la città di Roma in sette rioni ossia scompartimenti affidandone uno a ciascheduno. Era cura di questi notai di scrivere con diligenza e verità i trionfi dei martiri, gli interrogatorii sostenuti, le risposte date quando si trovavano dinanzi ai giudici, dinanzi agli imperatori, ed anche quando erano in mezzo ai supplizi. In questa maniera giunsero a noi quelle preziose notizie, che servono mirabilmente per eccitarci a seguire i loro esempi di eroica pazienza e fortezza nel sostenere la fede di G. C., colla speranza del medesimo premio che essi già godono in cielo. Questa disposizione di s. Clemente dimostra quanta sollecitudine abbia in ogni tempo usata la Chiesa per tramandare con esattezza le azioni dei martiri, e dovrebbe anche appagare coloro che non sanno comprendere come que' tratti di eroismo, quei sublimi discorsi, e quei medesimi prolungati colloqui abbiano potuto venire sino a noi.

            Si crede che s Clemente abbia mandato s. Dionigi l'areopagita nelle Gallie {63 [399]} a continuare la predicazione del Vangelo già cominciata da s. Lino 25 anni addietro. Egli poi ovunque si fosse trovato amministrava la divina parola con tal fervore, che molti gentili abbandonando i loro errori, entrarono nell' ovile di Cristo, e divennero modelli di santità.

            Siamo debitori a s. Clemente di più cose da lui stabilite pel divin culto. Egli ordinò la forma di vari abiti sacerdotali, di cui servonsi i sacri ministri nella santa Messa. Volle che i corporali, cioè quelle piccole tovaglie sopra cui il sacerdote depone l' ostia od il calice nella celebrazione della Messa, fossero lavati in un vaso a ciò preparato. A lui pure si attribuisce quella parte della Messa che dicesi Canone. Affinchè poi i cristiani riconoscessero la divina provvidenza in tutte le cose stabilì una formola con cui dovessero benedirsi i frutti della terra. Ordinò pure che al battezzato venisse amministrato il sacramento della Cresima al più presto possibile.

            Mentre s. Clemente si occupava nello stabilire le cose ordinategli da s. Pietro, e si adoperava per inviare degni ministri a portare la luce del Vangelo in {64 [400]} vari paesi della terra, insorsero due calamità che somministrarono largo campo allo zelo e alla fermezza di questo Pontefice. Queste furono lo scisma di Corinto, e la persecuzione di Domiziano, che continuò ad infierire sotto al suo pontificato.

 

 

Capo XVI. Scisma di Corinto e lettera di S. Clemente.

 

            La città di Corinto era stata istruita nella fede da s. Paolo, e quei fedeli furono per molto tempo proposti come modelli di virtù e santita. Ma dopo la morte del santo Apostolo cominciarono a raffreddarsi nella fede, ed alcuni si studiavano di pervertire la verità del Vangelo, predicando cose affatto contrarie a quanto egli aveva insegnato. Anzi alcuni laici vollero mischiarsi nelle cose di religione e animati dallo spirito di cabala inventarono calunnie contro ai sacerdoti, e perseguitandoli giunsero a farne deporre alcuni dai loro uffizi. Questa insubordinazione all' autorità ecclesiastica dicesi scisma, la qual parola significa rottura o {65 [401]} divisione, ed è quando uno o più cristiani ricusano di obbedire alla Chiesa, o non vogliono credere qualche verità di fede.

            Tieni a mente, o lettore, che quando nascono simili turbolenze religiose, l'immoralità e i disordini trionfano nei popoli. Così i Corinti cominciarono a dispregiare la religione, e facendo quasi più nissun conto de' loro pastori, deridevano le verità, che loro si predicavano.

            In mezzo a quei mali non trovarono migliore spediente che ricorrere alla Chiesa Madre e maestra di tutte le altre, a quella di Roma. Papa s. Clemente ben informato delle cagioni di quei mali, scrisse ai Corinti una lettera molto commovente e nello stesso tempo istruttiva, e si può dire che è uno de' più belli monumenti delle antichità cristiane. Il Pontefice cominciò cosi: «la Chiesa di Dio, che è a Roma, a quella di Corinto, a coloro che sono chiamati e santificati per la volontà di Dio nel nostro Signor Gesù Cristo. La grazia e la pace del Signore onnipotente si accresca sopra ciascuno di voi.» Quindi egli mette davanti ai loro occhi la pazienza e la dolcezza del Creatore verso le creature che egli ha fatto dal {66 [402]} niente, la docilità con cui tutte le creature ubbidiscono alla divina volontà; la sommissione colla quale i cieli, la terra, il mare e tutto il mondo eseguiscono gli ordini del Supremo Signore. «Se noi consideriamo, egli dice, quanto Iddio sia vicino a noi, e come niun nostro pensiero gli può rimanere occulto, noi dobbiamo certamente studiar di evitare tutte le cose che sono contrarie a' suoi divini voleri, e soggettarci a quelli che egli ha collocato sopra di noi. Dobbiamo frenare la nostra lingua e dominarla coll'amor del silenzio. Educate i vostri figli in questi sentimenti, abbiate cura di far loro imparare quanto sia grande la virtù della carità e dell'umilta presso Dio, e quanto sia prezioso il timor di Dio» Il santo vuole che ognuno fugga l'ozio e la negligenza, perchè solamente colui che lavora ha diritto di vivere. Indi continua cosi: «noi dobbiamo perciò fare con zelo tutte quelle opere buone che possiamo, perchè Iddio creatore di tutte le cose si compiace delle nostre proprie opere. Ciascuno mantenga l'ordine e il grado, in cui Iddio per sua bontà lo ha collocato. Colui che è debole {67 [403]} rispetti il forte, chi è ricco assista il povero, e il povero benedica Iddio del modo con cui egli provvede a' suoi bisogni. L'uomo savio faccia vedere la sua saviezza non in parole, ma in buone opere. Chi è umile non parli con vanto di se medesimo, nè faccia pompa delle sue azioni. Colui che è casto non si lasci prendere dalla superbia, sapendo che il dono della purità non viene da lui. I grandi non possono sussistere senza i piccoli, nè i piccoli senza i grandi. Nel corpo umano la testa non può far nulla senza i piedi, nè i piedi senza la testa. Il corpo non può fare a meno dei servizi dei piccoli membri.»

            Cosi il santo Pontefice insegna, che quelli i quali occupano gli ultimi posti nel mondo possono essere i più cari a Dio. Egli ricorda ai pastori ed ai superiori che devono vivere nell'umiltà e nel timore, e non proporsi altro scopo che la gloria di Dio nelle loro azioni. Pieghiamo, egli dice, per tutti quelli che sono divisi, affinchè ottengano la moderazione e l'umiltà, si sottomettano non a noi ma alla volontà di Dio.

            Dopo di aver cosi accennate le virtù {68 [404]} e le obbligazioni proprie di ogni cristiano per conservare la carità vicendevole, fa questo dolce rimprovero: «Perchè esistono tra di voi querele e divisioni? Noi abbiamo tutti lo stesso Dio, uno stesso Cristo, uno stesso spirito di grazia sparso sopra di noi, una stessa vocazione in G. C. Perchè laceriamo le membra sue e facciam guerra al nostro proprio corpo? Siamo forse insensati a segno di dimenticare che siamo gli uni membra degli altri? La vostra divisione, o fedeli, ha pervertito molte persone, altre ne ha scoraggiate, e ci ha tutti immersi nell' afflizione. Togliamo prontamente questo scandalo, gettiamoci ai piedi del Signore, supplichiamolo con un fonte di lacrime a perdonarci e stabilirci nella carità fraterna.»

            I Corinti avevano mandato a Roma un fervoroso fedele di nome Fortunato, per esporre alla santa sede la trista divisione di quella città. S. Clemente mandò lo stesso messaggiere con quattro altre persone a portare la lettera, raccomandando loro di tornar prestamente.

            «Vi raccomando, conchiudeva la sua lettera, dì far presto partire quelli che {69 [405]} vi portano questa lettera, affinchè possiamo tosto sapere se lo scisma sia cessato tra di voi, e se voi godete di quella pace, che noi tanto desideriamo e domandiamo continuamente al Signore colle nostre orazioni; insomma che noi possiamo rallegrarci della carità e dell'ordine stabilito tra voi.» Quella lettera fece tale impressione sopra l'animo dei Corinti, che rientrando in se medesimi si riconciliarono coi propri pastori, chiesero perdono della loro ostinazione e venerarono tutti la parola del Vicario di Gesù Cristo che era in Roma.

 

 

Capo XVII. Martirio de' santi Nereo, Achille e Domitilla.

 

            S. Clemente ebbe pure molto a faticare, molto a patire per la fede per la persecuzione di Domiziano, il quale continuava nel cieco furore di voler distruggere il cristianesimo. Tra i martiri più illustri di questa persecuzione si annoverano due fratelli di nome Nereo ed Achille, e Domitilla, i quali ebbero molta relazione col sommo {70 [406]} Pontefice. Nereo ed Achille erano stati istruiti nella fede da s. Pietro, e da lui stesso battezzati. Divenuti grandicelli furono posti a servizio di Domitilla, che era una principessa nipote dell'imperatore. La santità della loro vita era un modello per tutti. La medesima padrona ne era come incantata, e volendo spesso discorrere di quella religione che faceva i suoi seguaci cotanto virtuosi, giunse essa medesima a conoscere la verità, e deliberò di rinunziare alle nozze vantaggiose che le erano offerte da un principe di nome Aureliano, per consacrare la preziosa virtù della verginità a Gesù Cristo. Deliberata di non voler più piacere ad altri che a Gesù Cristo, ella chiamò a sè Nereo ed Achille, e loro disse: poichè Dio si è servito di voi per inspirarmi il desiderio di consacrarmi tutta a lui, additatemi ancora la via da tenere per averne presto i segni. Ella parlava della benedizione che allora ricevevano le vergini e del velo che portavano in segno di celibato. Nereo ed Achille pieno il cuore di gioia corrono da s. Clemente e gli manifestano la risoluzione della principessa. Il santo Pontefice benedicendo il Signore volle {71 [407]} egli stesso recarsi a casa di Domitilla, e trovandola ferma nel suo proposito le indirizzò queste parole: avete voi pensato, o figlia, al crudo combattimento che dovrete sostenere contro Aureliano, che vi attende in matrimonio? Certamente egli non mancherà di accusarvi presso l'imperatore, e voi non potrete evitare il martirio. E non è questa, rispose la coraggiosa verginella, la più beila ventura che mi possa avvenire? Io conto poco le mie forze, ma attendo tutto dalla grazia onnipotente del mio celeste Sposo; e la persecuzione non farà altro che anticipare la mia felicità e la mia gloria.

            S. Clemente mosso da questa generosa risposta, e ancora più dal desiderio, che la santa dimostrava di volersi intieramente consacrare al Signore, la benedisse e le mise il velo sopra la testa.

            La predizione del santo Pontefice non tardò molto ad avverarsi; lo sposo di Domitilla ne divenne furioso, e dopo di aver impiegato inutilmente le promesse e le minacce, si rivoltò contro a tutti i cristiani come se fossero cagione di quel rifiuto. I primi ad essere messi a dura prova furono Nereo ed Achille. Egli ottenne {72 [408]} che fossero sferzati nel modo più crudele. Ma tornando inutile ogni minaccia e tormento, furono mandati in esilio a Terracina, città dello Stato Pontificio sui confini del Regno di Napoli.

            Il Governatore di quei paesi prevenuto da Aureliano provò la loro costanza usando tutte le arti per risolverli ad offerire incenso agli Idoli. Il loro coraggio sbalordì il tiranno. Noi, risposero, siamo stati battezzati dall'Apostolo Pietro, e illuminati nella fede non possiamo più riconoscere altro Dio che quello dei cristiani. Noi deploriamo la sventura e l'accecamento de' pagani che si studiano di fare quasi altrettanti dei, quanti sono gli uomini malvagi, e vie più li compiangiamo perchè in mezzo a tante divinita adorano le proprie passioni. Una risposta così risoluta irritò il governatore il quale espose i due eroi ai più atroci tormenti e finì col far loro troncare la testa. Questo glorioso martirio avveniva il 12 maggio l' anno 96 di G. C.

            Allora tutta la rabbia si volse contro a Domitilla. Ella fu esiliata nell'isola Ponzia vicino a Terracina, e per abbattere la costanza di lei furonle date compagne {73 [409]} due sorelle di latte della santa di nome Eufrosina e Teodora. Aureliano aveva loro promessi ricchi doni se fossero riuscite a farle cambiar proposito. Non fu arte, industria e lusinga che non sia stata adoperata dalle astute compagne, finchè Domitilla stanca di tante importunità fece loro questa domanda. Ditemi: chi avesse fatto promessa di nozze ad un ricco signore, dovrebbe rinunziarvi per accettare la proposta che fosse per farle uno schiavo? No certamente, quelle risposero; eccetto che si avesse perduta la testa. E perchè dunque, riprese la Santa, mi andate rimproverando se io opero così? Consacrando a Dio la mia verginità, io son divenuta la sposa del suo figliuolo unico G. C. Questa gloriosa alleanza deve durare per tutta l'eternità. I vantaggi di questo stato felice saranno infiniti; che ve ne pare? Debbo io preferire al figliuolo unico del Dio vivente l'alleanza di un uomo, che da un momento all'altro può essere tolto dal mondo?

            A tali parole quelle non sapevano più che dirsi, tuttavia non volevano darsi per vinte, e Teodora si fece a parlare così: Ascoltate, o principessa, se è vero quanto {74 [410]} del vostro sposo divino ci dite, fate che egli renda la vista ad un mio fratello che ha perduto ambi gli occhi, e noi vi crederemo. Vostro fratello è lontano, rispose Domitilla, e il miracolo succederà troppo tardi; ma voi avete una serva muta; fatela venir qui e vedrete più prontamente risplendere la potenza di Gesù Cristo. La muta comparve. Domitilla prega; la serva acquista sull'istante la parola, e il primo uso che ne fa si è pubblicare che non vi è che un solo vero Dio e che quel Dio è quello dei cristiani. A questa maraviglia Eufrosina e Teodora si gettano ai piedi di Domitilla, dichiarano che elleno pure non vogliono più altro sposo che Gesù Cristo, e si manifestano pubblicamente cristiane. Aureliano informato di tale cosa, si accordò col Governatore, nemico mortale dei cristiani, e fece mettere il fuoco alla casa entro cui erano Domitilla, Teodora ed Eufrosina, le quali furono tutte immolate al Dio vivente, consumando così il loro glorioso martirio tra le fiamme. Queste eroine del cristianesimo erano coronate del martirio dopo la morte di Domiziano, quando cominciava {75 [411]} ad infierire la terza persecuzione sotto all'imperatore Traiano.

 

 

Capo XVIII. Interrogatorio, esilio e martirio di S. Clemente - miracoli avvenuti alla sua tomba.

 

            L'imperatore Traiano è molto lodato nella storia per la sua clemenza, e sul principio del suo impero si dimostrò alquanto favorevole ai cristiani, ma dopo alcuni anni mosso dall'amore delle sue divinita; irritato perchè i gentili venivano in folla alla fede abbandonando e lasciando deserti i templi degli idoli, egli cominciò a perseguitare i cristiani. È questa la terza persecuzione, la quale non fu tanto generale e tanto feroce come le antecedenti, ma perchè fu lunga assai, procurò un gran numero di martiri.

            Il Pontefice s. Clemente era più d'ogni altro conosciuto sia per le sue elemosine, sia per la predicazione, sia per la dignità di Capo della Chiesa. Egli era amato da tutti; i medesimi pagani veneravano la sua virtù. Onde non gli si voleva fare {76 [412]} alcun male nella persona, ma solo fargli rinnegare la fede. Preso e condotto alla presenza del governatore di Roma, detto Mamertino, fu da esso accolto con bontà. Dopo di avergli raccomandato di non voler far torto alla grandezza del suo nome; Tu, gli diceva, farai cosa gloriosa, se appagherai il popolo offerendo incenso ai nostri dei. La sua risposta fu conforme alla sua fede, cioè un solenne rifiuto. Allora Mamertino credette bene di avvisare l' imperatore della risoluzione del Pontefice e della sua fermezza nella fede. Traiano acceso di sdegno rispose che fosse immediatamente mandato in esilio.

            Il governatore fece l'ultimo sforzo per guadagnare il Pontefice; ma il generoso confessore rispondeva costantemente che nè l' esilio, ne la morte non l' avrebbero mai indotto ad adorare gli dei dell'impero. Anzi colle risposte e colle ragioni giunse quasi a guadagnare lo stesso Mamertino; che se non riuscì a convertirlo intieramente, potè almeno inspirargli sentimenti più benevoli in favore dei cristiani. Egli fu con rincrescimento che mandò il nostro santo in esilio. Allorchè si separò da lui ne fu intenerito fino alle lagrime {77 [413]} e fra le altre cose gli disse: Io spero che quel Dio che voi adorate non vi abbandonerà, e che nella vostra disgrazia egli vi consolerà e vi porterà soccorso. Così quel governatore sebbene in cuor suo provasse ripugnanza nell' operare il male, tuttavia per timore di perdere l'amicizia del suo sovrano commise un'abbominevole ingiustizia mandando un uomo innocente alla dura e severa pena dell'esilio.

            Lungo e faticoso fu il viaggio che s. Clemente ebbe a fare per recarsi al luogo di suo esilio detto Chersoneso Taurico, oggi Crimea; colà fu condannato a lavorare nelle miniere. Un papa illustre per nascita, commendevole per la sua dignità, glorioso pe' suoi meriti, venerabile pe' suoi bianchi capelli e ancor più per la santità della sua vita, discende in quegli orridi sotterranei e si sottomette insieme con una turba di malfattori a scavare la terra, intagliare pietre, e bagnare quelle caverne col sudore della sua fronte, e così impiegare in questo bassissimo lavoro il tempo destinato a guidare per la strada del cielo il gregge di Gesù Cristo. Ma che fa il santo pontefice a {78 [414]} queste dure prove? Egli alza gli occhi al cielo, adora i decreti di Dio, e richiamando alla memoria che il primo carattere del cristiano è quello di patire per G. C, egli si stima fortunato di poter così imitare quel Gesù di cui era Vicario.

            S. Clemente ebbe la consolazione di trovare nel luogo del suo esilio due mila fedeli per la fede condannati ai medesimi lavori. Quei cristiani oltre alle altre pene dovevano sopportare un'ardentissima sete. Perciocchè il luogo era secco e quasi tutto coperto di orridi sabbioni, e in mezzo di quelle rupi che il cielo aveva arricchito di vene d' oro e d' argento, non si vedeva a scorrere goccia d'acqua, la quale perciò doveva con gran fatica essere colà trasportata da parecchie miglia. Il santo intenerito dalle lacrime e dalle afflizioni dì quegli illustri esiliati si volse a Gesù Cristo, e colla fede propria dei gran santi lo supplicò di avere pietà de' suoi servi fedeli. La preghiera del Pontefice giunge al trono di Dio, e Iddio con un miracolo fece là vicino scaturire una fonte di acqua limpida e perenne. Sparsa tale notizia corrono da tutte parti per esserne {79 [415]} testimoni di vista, e mentre andavano proclamando il Santo qual nuovo Mosè molti infedeli si convertirono alla fede.

            L'imperatore Traiano informato delle conversioni che per opera di Clemente si facevano, scrisse al prefetto, di nome Aufidio, e gli ordinò di usare tutti i mezzi capaci di condurre nuovamente al culto degli idoli coloro che per quel miracolo eransi fatti cristiani. Ma tutti si rifiutarono, anzi offrivansi pronti a spargere per la fede il loro sangue. Il ministro dell'imperatore sacrificò molte vittime; quando poi vide che con animo forte ed allegro si presentavano alla morte, e la vista della morte stessa li faceva diventare più coraggiosi e più fermi nella fede, risolvette di percuotere il pastore per potere più facilmente disperdere il gregge. Egli adunque chiama a sè Clemente, e lo stimola a sacrificare agli idoli, lo accarezza, lo minaccia per sedurlo; ma vedendo che le buone parole a nulla riuscivano lo condannò alla morte. Per impedire che rimanesse a quei fedeli alcuna memoria del Santo, comandò che fosse gettato in mare con un grosso macigno al collo. Credeva egli che sarebbe presto lasciato {80 [416]} in dimenticanza un uomo, di cui non fosse conservata cosa alcuna, come se il miracolo dell' acqua uscita dalla pietra non fosse un monumento sensibile e durevole della potenza divina manifestata per mano del santo Martire. Fu adunque precipitato nel mare a vista de' suoi più cari figliuoli, che seguivano cogli occhi e col cuore il loro tenero padre.

            Que' fedeli immersi in profonda afflizione si posero tutti ginocchioni, e mentre pregavano videro il mare allontanarsi dalle spiagge e scoprire il suo seno per lasciare via aperta e asciutta a chi volesse visitare la tomba che il Signore aveva fatto preparare al suo servo fedele; Tutti lieti per quel prodigio camminarono giù nel profondo delle acque e trovarono un tempio di marmo con entro una cassa che chiudeva il corpo del Santo, accanto a cui vedevasi il macigno col quale, era stato sommerso. Ogni anno solevasi operare il medesimo prodigio ritirandosi il mare per sette giorni affinchè ognuno avesse la consolazione di poterlo visitare. Questi miracoli congiunti alla vita santa di Clemente fecero tal sensazione nell' animo di quei {81 [417]} popoli, che in tutto il paese non restò più nè ebreo, nè eretico, nè pagano che non venisse alla fede.

            Così s. Lino, s. Cleto e s. Clemente tutti e tre ammaestrati nella fede da s. Pietro, dopo di aver con grande zelo lavorato con lui per la gloria di Dio e per la salute delle anime, gli succedettero l'un dopo l' altro nel governo della Chiesa, lo imitarono nella carità e nel fervore, e finirono tutti e tre la loro vita colla corona del martirio. In agni tempo si ebbe grande venerazione per questi tre sommi Pontefici, e fin dai tempi più antichi si trovano registrati in quella parte della santa Messa che dicesi Canone. Cosi i sacerdoti celebrando questo divin sacrifizio fanno ogni giorno commemorazione di essi, e li pregano che intercedano presso Dio pel bene della Chiesa e per la salute di tutti i cristiani.

 

 

Capo XIX. S. Mattia e s. Matteo Apostoli.

 

            Prima di terminare il racconto delle azioni dei gloriosi primi predicatori del {82 [418]} Vangelo, credo bene di dare un cenno intorno alla vita e morte di quegli Apostoli di cui non si ebbe occasione di parlare nella vita dei Papi. Cominciamo da s. Mattia di cui abbiamo già detto qualche cosa nella vita di s. Pietro.

            L'apostolo s. Mattia era stato annoverato fra i settanta discepoli mandati dal Salvatore a predicare il Vangelo. Egli, come abbiamo detto, fu eletto da s. Pietro nel cenacolo a succedere nell' apostolato a Giuda traditore. Dopo la venuta dello Spirilo Santo egli predicò nella Giudea e convertì molti ebrei. Portò altresì la luce del Vangelo tra i gentili e specialmente nell'Etiopia. V. Sofronio e Niceforo.

            S. Clemente Alessandrino racconta di s. Mattia che insegnava la mortificazione sia colle parole sia coi fatti. Egli ebbe a soffrire molti tormenti in tutte le sue faticose missioni, e giunse a sacrificare a Dio il suo sangue e la sua vita ad esempio del suo Divin Maestro. Egli ebbe tronca la testa l'anno 61 di G. C.

            S. Matteo Apostolo ed Evangelista era nato in Galilea, di professione pubblicano cioè esattore delle imposte pei Romani; uffizio molto spregevole presso gli Ebrei. {83 [419]} Ma Dio che guarda la virtù degli uomini e non la professione, volle di questo pubblicano fare un Apostolo. Chiamato così a seguire il Salvatore gli si mantenne costantemente fedele. Dopo l'ascensione del suo maestro egli predicò la fede cogli altri Apostoli nella Giudea per lo spazio di circa otto anni. Prima di andar a predicare in altri paesi, egli fu pregato dagli Apostoli e dai Giudei convertiti di lasciar loro una storia ovvero un breve racconto di quelle cose che aveva loro predicato intorno alla vita del Salvatore. Egli adunque così inspirato da Dio, circa l' anno 40 di G. C, fu il primo a scrivere il Vangelo. Egli chiamò il suo libro Vangelo, che significa buona e fortunata novella. Ed è quello che noi chiamiamo Vangelo secondo s. Matteo. Appena questo Vangelo fu tra le mani de' Giudei se ne fecero molte copie. Alcuni degli stessi Apostoli vollero portarselo seco nelle loro missioni.

            Oltre la Giudea s. Matteo andò anche a predicare il Vangelo nell'Etiopia. S. Clemente Alessandrino scrive che, quando il nostro Santo giunse nella città di Natabe {84 [420]} nell’ Etiopia, fu ricevuto con gioia dall'Eunuco della regina Candace, battezzato dal diacono s. Filippo. In questa medesima città vivevano due famosi idolatri, che la storia chiama maghi, i quali coi loro prestigii ingannavano quei poveri abitanti. Quegli impostori cagionavano loro delle apparenti malattie, che di poi guarivano coi loro incantesimi, acquistandosi così una falsa riputazione. S. Matteo scopri al popolo l'inganno; ed eglino per vendetta fecero comparire due mostri che misero spavento in tutta la città.. Ma s. Matteo col solo segno della croce rese mansueti quei due feroci animali come due agnelli e li rimandò nelle loro caverne. Questo fatto tranquillò quegli abitanti e loro diede una grande idea della religione cristiana.

            Un miracolo assai più luminoso finì di condurre quei popoli alla fede. Essendo morta una figlia del re, di nome Ifigenia, il padre chiamò i due maghi perchè la facessero risuscitare. Questi impiegarono tutti i segreti dell'arte magica; ma la defunta continuava a giacere senza vita. Fu pure chiamato s. Matteo il quale appena ebbe invocato il nome di G. C. quel cadavere {85 [421]} si alzò pieno di vita. Un miracolo cosi strepitoso fu cagione che il re, la sua famiglia e quasi tutto il popolo abbracciassero la fede. Ma queste e molte altre maraviglie costarono la vita al santo Apostolo; imperciocchè essendo morto il re s'impadronì del regno un suo fratello, il quale per mantenersi in trono credeva dovere sposare Ifigenia. Ma poichè essa erasi consacrata a Dio col voto di perpetua castità si rifiutò, e tal rifiuto fu cagione che il re si sdegnasse contro il santo Apostolo che egli reputava autore di quella risoluzione, e nel suo furore ordinò che fosse fatto morire sull'istante. I soldati che ebbero quest'ordine trovarono il santo Apostolo all' altare, dove egli offeriva il divin sacrifizio. Sopra quell'altare medesimo egli fu immolato a Dio con essergli troncata la testa.

 

 

Capo XX. S. Filippo.

 

            S. Filippo era nativo di Belzaida patria di s. Pietro. Avendolo il Divin Salvatore {86 [422]} incontrato mentre andava nella Galilea gli disse: seguimi. Questa sola parola bastò ad infondere tale fervore unel nostro Apostolo, che più non abbandonò il suo Maestro. Egli ebbe da lui molti segni di affezione, e di lui abbiamo molti fatti curiosi ed edificanti, i quali si possono leggere a lungo narrati nel santo Vangelo.

            Dopo la venuta dello Spirito Santo Filippo andò a predicare la fede nella Frigia ove colle fatiche e coi miracoli convertì molti alla fede. Quando giunse in Gerapoli, città della Frigia, fu vivamente commosso vedendo che quel popolo adorava un mostruoso serpente. Animato da viva fede in G. C. fece morire quel vile animale, di poi si diede con tutta forza a predicare il Vangelo; e riuscì a guadagnare molti a G. C. Governò egli molti anni quella chiesa; finchè i sacerdoti idolatri vedendo interamente cessare il culto degli dei, si portarono dai magistrati, dicendo che Filippo predicava una religione proibita dalle leggi dello stato. Per questo motivo fu condannato a morte. Dopo alcuni giorni di prigione lo sottoposero ad una crudele flagellazione, dipoi {87 [423]} lo legarono sopra una croce. Ma vedendo che ritardava a spirare si affrettavano di ucciderlo a colpi di pietra. Se non che un orribile terremoto spaventò i pagani per modo che disperdendosi lasciarono libertà ai fedeli di accostarsi al corpo del Santo. Egli respirava ancora e volevano deporlo dalla croce; ma il coraggioso ministro di Gesù Cristo ben conoscendo restargli pochi momenti di vita, li pregò di lasciargli finire la vita in croce ad esempio del suo Divin Maestro: pochi istanti dopo spirò. La sua morte avvenne il primo di maggio; ma non se ne può sapere ben l'anno. Alcuni credono che egli sia morto l'anno 90 di G. C. decimo del pontificato di s. Cleto e ottantesimo settimo del nostro Apostolo. Una parte delle sue reliquie fu portata a Costantinopoli; l'altra a Roma.

 

 

Capo XXI. S. Simone e Giuda.

 

            S. Simone è soprannominato il Cananeo per distinguerlo da s. Pietro che nominavasi {88 [424]} anche Simone. Egli era cosi chiamato da Cana sua patria. Niceforo. scrittore molto accreditato, asserisce che Simone era lo sposo delle nozze di Cana, cui assistevano Gesù e Maria, e dove il Salvatore operò il primo de' suoi miracoli cangiando l' acqua in vino. Egli provò tale sensazione per quel miracolo, che abbandonò ogni cosa per seguirlo, e col consenso della sposa, stupita al par di lui, conservò perpetua castità, servendo di modello a tanti santi che dovevano seguire cosi bell' esempio. Quando gli Apostoli lasciarono la Giudea per portare la fede in altri paesi, Simone andò nell'Egitto e in molti paesi dell'Affrica, e si dà per cosa certa che egli sia penetrato perfin nell'Inghilterra. Dopo aver riportati copiosissimi frutto dalle sue fatiche ritornò nella Giudea e di poi andò nella Persia, dove con s. Giuda ottenne la palma del martirio come fra breve diremo.

            S. Giuda è soprannominato Taddeo per distinguerlo da Giuda Iscariote che tradì il Divin Maestro. Giuda è parola ebraica, Taddeo è parola siriaca, ma hanno il medesimo significato cioè confessione. Egli era fratello di s. Giacomo {89 [425]} il minore. Questi due apostoli erano cugini del Salvatore.

            Dopo la divisione degli Apostoli s. Giuda andò a predicare nella Mesopotamia dove fece numerosissime conversioni. Non potendo poi far sentire la sua voce a quanti desiderava, scrisse una lettera detta cattolica cioè universale, perchè è indirizzata in generale a tutti i cristiani. S. Epifanio (storia delle eresie) dice che Iddio inspirò s. Giuda a scrivere questa lettera contro ai Gnostici, sotto il qual nome si comprendono in generale i seguaci di Simon Mago, di Cerinto, di Ebione, e di altri che insegnavano mille nefandità contro ai buoni costumi. S. Giuda predicò il Vangelo in molti paesi con gran frutto, e si crede che abbia riportata la corona del martirio con s. Simone nel modo seguente.

            S. Simone e s. Giuda dopo aver faticato per la fede più di trent'anni in vari paesi sentironsi inspirati da Dio di andare in Persia per predicare il Vangelo. Giunti ai confini di quel vasto impero incontrarono un esercito guidato contro ai Persiani da un generale di nome Baradaco. I due Apostoli appena entrati {90 [426]} nel campo resero muti gl' idoli che per mezzo de' loro maghi solevano parlare. A quel silenzio si spaventò tutto l'esercito; e andatosi a consultare un idolo molto distante, ebbesi la seguente risposta: La presenza dei due forestieri Simone e Giuda Apostoli di Gesù Cristo ha chiusa la bocca agli dei dell'impero, e niuno oserà parlare finchè costoro rimarranno tra noi.

            Allora i sacerdoti idolatri andarono in folla dal generale e schiamazzando chiesero la morte dei due forestieri. Baradaco volle egli stesso vedere Simone e Giuda e si trattenne seco loro in lungo discorso. I due santi Apostoli dopo avergli spiegata la verità e la santità di nostra religione, gli notarono la debolezza degli dei e degli indovini, e per darne una prova, dimandate, gli dissero, ai vostri sacerdoti, che vi presagiscano l'esito della guerra.

            Il generale volle appunto consultarli, e per risposta gli fu detto che sarebbe lunga, sanguinosa e pericolosa. Niente affatto, risposero i nostri santi, è questa una menzogna de' vostri dei. Domani a quest'ora medesima gli ambasciatori indiani giungeranno al campo per chiedervi {91 [427]} pace alle condizioni che vorrete. Questa predizione essendosi appuntino avverata, il generale, gli uffiziali e il re, che era in Babilonia, tutta la famiglia reale riconobbero la santità della cristiana religione e dimandarono il battesimo.

            Solamente i sacerdoti idolatri, i maghi e gl' indovini si mostrarono ostinati, e per disfarsi dei due Apostoli sollevarono il popolo in una città lontana dalla corte dove i santi erano andati a predicare. Quasi in tutte le città avvi non picciol numero di discoli e sfaccendati, che con una promessa e talvolta ad un semplice invito si risolvono alla più malvagia azione. Fu perciò cosa facilissima il sollevare una turba di popolaccio contro ai predicatori. Sono presi e condotti uno davanti ad un idolo dedicato al sole, l' altro ad un idolo consacrato alla luna con ordine di offerire incenso a quelle immaginarie divinità. I due Santi rifiutarono con orrore tale proposta; e ciò bastò perchè alcuni maligni si avventassero a furia contro di loro e li uccidessero sull' istante. S. Simone fu segato per mezzo il corpo e s. Giuda decapitato. Per rammentare il genere di martirio di {92 [428]} questi due Apostoli soglionsi dipingere s. Simone con una sega accanto, s. Giuda con una scure, che furono gli strumenti del loro supplizio. V. Tillemont - Surio - Ruynart etc.

 

 

Capo XXII. S. Andrea.

 

            S. Andrea fratello di s. Pietro fu il primo degli Apostoli ad essere chiamato a seguire G. G. Molte cose di lui sono già state dette nella vita di s. Pietro. Qui accenniamo solamente quelle che lo riguardano dopo la venuta dello Spirito Santo. Egli predicò qualche tempo nella Giudea, dipoi andò a portare la luce del Vangelo nella Tracia, che oggidì si nomina Romania, dove erano le città di Perinto, di Apollonia, di Bisanzio oggidì Costantinopoli. Andò poscia nell' Epiro oggidì Albania, quindi nell' Acaia dove era la città di Patrasso oggidì Batra che, appartiene alla Morea. Dopo innumerevoli stenti e fatiche egli si senti da Dio inspirato di recarsi a visitare il governatore Egea, e pieno di zelo per la salute delle {93 [429]} anime gli parlò così: Tu che giudichi gli altri non dovresti anche tu conoscere e venerare il giudice supremo a cui tutti noi dovremo presentarci per essere giddicati, e così abbandonare il culto degli dei? Egea maravigliato a tali parole, forse, rispose, tu sei quell'Andrea che fai professione di distruggere i templi de' nostri dei, predicando una religione contraria a quella dell'impero?

            Andrea: - Sì, ma questa legge è stata pubblicata dai principi perchè non conoscono il figliuolo di Dio, il quale è di gran lunga superiore a' vostri dei, anzi egli ha vinto le potenze infernali.

            Egea: - Queste sue grandi vittorie contro alle potenze infernali non l'hanno liberato dal morire sopra una croce!

            Andrea: - E vero, egli è morto in croce, ma è morto per nostro amore, è morto per salvar noi ed è morto perchè ha voluto.

            Egea: - Che importa che egli sia stato crocifisso volontariamente o suo malgrado. Egli fu crocifisso e niuno deve riconoscere come Dio un uomo morto in croce.

            Allora il santo Apostolo si fece a spiegare i misteri della fede e come appunto {94 [430]} la morte e la risurrezione di G. C. erano per noi grandi motivi di amarlo e riconoscerlo per vero Dio. Ma Egea non comprendendo queste ammirabili verità, taci, gli disse, e fa sacrifizio ai nostri dei.

            Andrea: - Io sono sacerdote di Gesù Cristo, io offro ogni giorno a Dio onnipotente, non la carne de' tori, non il sangue de' capretti; ma l'Agnello senza macchia sacrificato sulla croce. Tutto il popolo si nutrisce della sua carne e del suo sangue, e dopochè ha servito di cibo al popolo resta egualmente intero come prima. L' Agnello è tanto vivo dopo il sacrifizio quanto lo era prima di essere sacrificato. Il Proconsole irritato da questo discorso, che egli non comprendeva, mandò il Santo in prigione. Il dì seguente lo fece venire alla sua presenza e lo minacciò di morte se non sacrificava agli dei.

            Ma Andrea pieno di generosità cristiana gli rispose: credi tu, che io tema i tormenti che mi vai minacciando? Sappi che mi affligge più il vederti fuori della via del cielo che non i tormenti minacciati. Quanto più io patirò, tanto più sarà preziosa la corona che il Signore mi prepara. {95 [431]} Egea sdegnato lo fece immantinente percuotere a colpi di sferza, con minaccia di farlo morire sopra una croce se non mutava sentimento. Il Santo sebbene coperto di piaghe ritornò alla presenza di Egea, e coraggiosamente gli parlò così: il tormento che tu mi prepari non è da temersi; egli durerà poco, e sarà ricompensato con un premio eterno, ma io temo il tormento terribile 'dell'inferno in cui chi cade non uscirà mai più. Questo tormento e questa pena terribile, Egea, ti vai preparando.

            Egea scorgendo inutile ogni ulteriore prova di guadagnarlo, il condannò al supplizio della croce. Il popolo voleva ribellarsi contro al governatore per difendere il santo Apostolo da quell' ingiusta sentenza, ma Andrea lo pregò a non volergli differire la gloria del martirio che gli era preparato. Come vide poi la croce sopra cui doveva morire, pieno di gioia esclamò: «o croce santa, io ti saluto, tu sei gloriosa perchè hai sostenuto il mio divin Maestro, deh! ora ricevi il discepolo di colui che per mezzo di te ha salvato il mondo. O croce desiderala! O croce amata! Deh! {96 [432]} guidami a colui che per me mori sopra di te.»

            Giunto al luogo del supplizio egli fu legato e sollevato sopra la croce. Stette due giorni in quello stato esortando i fedeli a mantenersi nella fede e a disprezzare un tormento momentaneo per meritare una corona di gloria eterna. Il popolo commosso dalla pazienza e dal coraggio del santo martire era irritato contro la crudeltà di Egea, il quale temendo una sedizione mandò alcuni a deporre il Santo dalla croce. Quando i carnefici erano quasi vicini al Santo, egli raccolse le sue forze e profferì queste ultime parole: O Signore, non permettete che il vostro servo scenda da questa croce: ricevetemi, se vi piace, fra le vostre mani. Per voi sono quel che sono, ho fatto quel che ho fatto. È tempo che mi unisca a voi come centro di tutti i miei desideri, come oggetto di tutti gli affetti del mio cuore. In terminare queste parole fu circondato da un celeste splendore, verso cui non poteva reggere lo sguardo, e a misura che diminuiva, l'anima sua scioglievasi dai legami del corpo. Sparì la luce e il Santo aprì gli occhi alla luce {97 [433]} eterna del Cielo. Il suo martirio seguì il 30 di novembre l'anno 63 di G. C. V. Surio - Ruynart - Tillemont - Eusebio di Ces.

 

 

Capo XXIII. Ultime azioni di S. Giovanni Evangelista.

 

            S. Giovanni Evangelista stette più anni esiliato nell'isola di Patmos. Dopo la morte di Domiziano il senato di Roma annullò i decreti di persecuzione fatti da quel tiranno; e il santo apostolo potè ritornare alla sua chiesa di Efeso, dove passò tranquillo il rimanente de' suoi giorni. Aveva allora novant' anni, ma tanta età non gl'impediva di portarsi nelle vicine provincie, ora per ordinare sacerdoti o vescovi, ora per fondare nuove chiese. In una di queste visite avvenne un fatto commoventissimo, che dipinge al vivo l'ardore della sua carita. Un giorno predicava in una città dell'Asia, e fra quelli che l'andarono a visitare fu un giovanetto di belle forme e di molta vivacità. L'attenzione con cui ascoltava tirarono sopra di lui gli occhi del Santo. Chiamatolo a sè, scorgendo in lui buone {98 [434]} qualità lo condusse dal vescovo e in. presenza di tutto il popolo gli disse: abbiate cura di questo giovine, ve lo raccomando in presenza della chiesa e di G. Cristo. Il vescovo ammaestrò il giovanetto e lo preparò a ricevere il battesimo e la cresima, e fatta la sua prima comunione giudicò di poterlo abbandonare alla propria condotta; e cessò di vigilare sopra di lui.

            Ma l'inesperto giovane ebbe la disgrazia di fare amicizia con alcuni tristi compagni dell'età sua, si lasciò strascinare prima a piccoli furti, poi ad altri più gravi, e crescendo di vizio in vizio, di delitto in delitto, finì per diventare Capo di assassini.

            Alcuni anni dopo tornò s. Giovanni alla stessa città, e dimandò conto al vescovo del deposito affidato alle sue cure. Questi fu da prima sorpreso pensando che si parlasse di qualche deposito di danaro. È il giovanetto che vi ho affidato, rispose l'Apostolo, è l'anima del nostro fratello. Il vescovo allora abbassò gli occhi, trasse dal cuore un profondo sospiro, e disse: è morto. Ma di qual morte, rispose il santo? È morto a Dio, soggiunse il vescovo, {99 [435]} è divenuto un assassino, si è fato padrone di una montagna, e colà vive nascosto con uno stuolo di scellerati suoi compagni.

            A queste parole il santo Apostolo gettò un grido: datemi tosto, disse, un cavallo ed una guida. Non fu più possibile trattenerlo. Esce dal tempio, e si porta alla montagna ove dimoravano i masnadieri. Appena giunto colà le sentinelle lo arrestano, e lo conducono al loro Capo che lo attendeva armato di tutto punto. Ma quando in quel vecchio venerando riconobbe il santo Apostolo non gli fu più possibile di sostenerne la presenza e si diede alla fuga.

            Allora il santo Apostolo dimentico della debolezza propria della sua grande età si mette a corrergli dietro gridando: e perchè mi fuggì, o figliuolo? perchè fuggi dal tuo padre, da un vecchio senz'armi? mio figlio, abbi pietà di me, non temere, avvi ancora speranza di perdono, io mi offro mediatore fra te e Gesù Cristo, darò volentieri la mia vita per te, come Gesù Cristo ha dato la sua per noi. Fermati, credimi, è Gesù stesso che mi ha mandalo in traccia di te. {100 [436]}

            A tali parole il Capo di assassini si arresta, lascia cadere di mano le armi, e prorompendo in lagrime e sospiri cade ginocchioni ai piedi del Santo. Esso lo abbraccia con tenerezza e lo innalza promettendo di ottenergli perdono delle sue colpe. Intanto lo riconduce alla chiesa, prega per lui, digiuna con lui, lo trattiene con santi discorsi e non lo lascia, finchè non gli ha fatto ricevere i santi sacramenti restituendolo così in grazia di Dio.

            S. Giovanni visse fino all'eta di oltre cento anni, ma la sua vita e la sua medesima vecchiezza furono sempre piene di vivacità e di allegria. Voleva anzi che i suoi discepoli prendessero delle innocenti ricreazioni e ne dava egli stesso l'esempio. Un giorno che divertivasi ad accarezzare una pernice addomesticata fu incontrato da un cacciatore che parve sorpreso al vedere quel grande Apostolo abbassarsi a somigliante trastullo. Che avete voi in mano, gli dimandò il Santo? Un arco, rispose il cacciatore. Perchè non lo tenete sempre teso? L'altro replicò: perchè perderebbe la sua forza. Ebbene, conchiuse il santo Apostolo, per la stessa ragione anche io do al mio corpo qualche sollievo. {7*} {101 [437]}

            Verso il fine de' suoi giorni non potendo più andare sopra la cattedra, ovvero sul pulpito, a predi care vi si faceva portare a braccia. Siccome poi le gravi fatiche sostenate, la sua debolezza e la sua grande età l'impedivano di fare lunghi discorsi, egli soleva spesso ripetere queste parole: figliuoli miei, amatevi a vicenda, e adempirete la legge di G. C. A udirlo così sovente a ripetere la stessa massima, i suoi discepoli annoiati gli risposero: Maestro, voi ci dite sempre le medesime cose. Rispose il Santo: ve lo dico in verità, amatevi scambievolmente, e se avrete la vera carita, adempirete tutta la legge di Gesù Cristo.

            Questo santo Apostolo dicesi Evangelista perchè ha scritto il vangelo, che è quello che noi chiamiamo Vangelo secondo S. Giovanni. Egli si accinse a questo lavoro per secondare l'inspirazione di Dio, ed anche per appagare le preghiere e i desideri dei vescovi dell'Asia. Ma prima fece precedere un lungo digiuno accompagnato da pubbliche preghiere. Nel suo vangelo egli parla specialmente dei fatti che fanno conoscere Gesù Cristo vero figliuolo di Dio. e ciò per combattere gli errori di {102 [438]} Ebione, di Cerinto e di vari altri eretici, che negavano la divinità di G. C. Egli ha pure scritto tre lettere, le quali spirano ad ogni parola la più tenera carità, e mostrano ad ogni passo quanto egli fosse infiammato di quel fuoco divino, di cui era stato ricolmo il suo cuore, quando nell'ultima cena riposò nel seno stesso del Divin Salvatore. Sebbene s. Giovanni evangelista abbia sofferto i tormenti del martirio, quando fu immerso in una caldaia d'olio bollente; tuttavia egli non morì fra' tormenti e fu il solo tra gli Apostoli che abbia finito i suoi giorni in pace. Così ebbero compimento quelle parole del Salvatore quando disse, che tutti i suoi Apostoli avrebbero bevuto il calice del martirio, ma che non tutti avrebbero incontrata la morte ne' tormenti.

            Dio volle certamente che questo discepolo prediletto finisse i suoi giorni in pace in premio della sublime santità di sua vita, e del modo più angelico che umano con cui conservò la virtù della purità. Per questo motivo egli godette tutto l'affetto e tutta la confidenza del suo Maestro. Esso lo metteva a parte delle cose più segrete le voleva sempre seco, lo accarezzava, {103 [439]} gli lasciava perfin riporre l'innocente di lui Capo sopra il suo petto divino. Egli fa a questo discepolo vergine che il Divin Salvatore prima di spirare affidò l'assistenza della Beata Vergine sua madre, dandola così madre di lui e nel tempo stesso madre nostra e di tutto il genere umano.

            Tra le altre cose Iddio rivelò a questo santo Apostolo che tutti coloro, i quali serberanno una vita pura e casta, oltre le speciali benedizioni del cielo nella vita presente, avranno un gran premio riserbato in cielo, dove circondati di gloria incomprensibile canteranno un inno di lode a Dio che niun altro può cantare, e seguiranno il Divino Agnello, cioè la persona del Salvatore, in tutti i suoi passi, facendogli corona gloriosa e godendo quei beni che non finiranno mai più.

 

 

Con approvazione della Revisione Ecclesiastica. {104 [440]}

 

 

Indice

 

Capo I Della Chiesa e de suoi vari nomi

Pag.3

CapoII Del Romano Pontefice - Suoi vari titoli .

9

CapoIII Elezione del Sommo Pontefice - Il Conclave .

15

CapoIV Gerarchia ecclesiastica - Cardinali, Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi.

18

CapoV S Lino 2° Papa - Patria, educazione di S Lino - Suo incontro con S Pietro - Lo consacra Vescovo e lo costituisce suo Vicario

22

CapoVI Lino va a Besanzone - Battezza il tribuno Onosio, guadagna molti a Cristo, sua partenza da quella città

25

CapoVII Elezione di S Lino La formula non vedrai i giorni di Pietro Morte dì Nerone

30

CapoVIII Eresia di Menandro e di Cerinto Marte di questo eresiarca.

34 {105 [441]}

Capo IX S Lino comanda il velo alle donne - Consacra Vescovi e Sacerdoti - Suoi scritti - Suoi miracoli - Suo martirio .

Pag.36

CapoX Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei

40

CapoXI Apostolato e morte di s Bartolomeo e di s Tommaso Apostoli.

45

CapoXII S Cleto 3° Papa - Sua patria, sua educazione, incontra s Pietro - Presbiteri - Sacerdoti - Le formule salutem et Apostolicam benedictionem - Pax vobis.- Dominus vobiscum Dall' anno di G C 80 al 93 .

48

CapoXIII Origine delle stazioni - Prime chiese cristiane - Seconda persecuzione - Martirio di s Cleto nell'anno 93

53

CapoXIV Martirio di S Giovanni Evangelista

56

CapoXV S Clemente I 4° Papa - Sua educazione, sue relazioni con S Pietro - Succede a S Cleto - I sette notai - Abiti sacerdotali - Canone della Messa - Benedizione dei frutti della terra

60 {106 [442]}

Capo XVI Scisma di Corinto e lettere di S Clemente .

Pag.65

CapoXVII Martirio de' santi Marco, Achille e Domitilla .

70

CapoXVIII Interrogatorio, esilio e martirio di S Clemente ― Miracoli avvenuti alla sua tomba

76

CapoXIX S Mattia e S Matteo Apostoli .

82

CapoXX S Filippo

86

CapoXXI S Simone e Giuda

88

CapoXXII S Andrea .

93

CapoXXIII Ultime azioni di S Giovanni Evangelista .

98 {107 [443]}

{108 [444]}

 



[1] Il Papa, come abbiamo detto, è il Capo visibile della Chiesa. Coadiutori ossia consiglieri del Papa sono i Vescovi, una parte dei quali forma il collegio dei Cardinali.

Fin dal principio della Chiesa vi era chi faceva l'uffizio di Cardinale, benchè chiamato con nome diverso; s. Lino, s. Cleto, s. Clemente eletti da s. Pietro per suoi coadiutori, e che dicevansi preti della Chiesa Romana tacevano veramente l' uffizio di Cardinali. Ma non cominciarono a chiamarsi con tal nome fino al quarto secolo.

Anticamente chiamavansi Cardinali quei vescovi e quei preti che governavano le chiese a tempo indeterminato quasi cardinati cioè inamovibili, a distinzione di quelli che o a motivo delle persecuzioni, o per volontà dei superiori governavano le parrocchie, i benefizi o le chiese a tempo incerto o secondo che meglio giudicava il superiore ecclesiastico.

Dal secolo settimo in poi il titolo di cardinale fu solamente appropriato ai soli padri del collegio apostolico. Il numero dei cardinali è fissato a settanta in memoria dei settanta discepoli stabiliti dal divin Salvatore. Alla morte di un Pontefice essi radunansi nel conclave e ne eleggono il successore. La maggior parte dei cardinali sono vescovi, altri sono semplicemente preti o diaconi. Talvolta i cardinali sono nominati ambasciatori, o nunzi apostolici a trattare gravi affari temporali o spirituali o negli stati del Papa o in paesi stranieri, e ciò fanno a nome del Papa e pel bene della Chiesa.

Patriarca. La parola patriarca significa primo padre. Nella legge antica da Adamo fino a Giacobbe i principali personaggi del popolo Ebreo erano chiamati Patriarchi. Nel nuovo testamento poi sono così chiamati quei vescovi che in autorità sono i primi dopo il Papa, ed esercitano la loro giurisdizione sui vescovi ed arcivescovi di uno o più regni. Anticamente i Patriarchi erano solamente quattro. Quello di Gerusalemme, di Antiochia, di Roma fondati da s Pietro; e di Alessandria d'Egitto fondato da s. Marco per ordine di s. Pietro. Ma tutti questi patriarchi erano dipendenti da quello di Roma come dal centro di unità e dalla sede del Vicario di Gesù Cristo. Più tardi si aggiunsero altri Patriarchi come sono quello di Costantinopoli, di Venezia ed altri.

Primati. Chiamansi primati quei vescovi che hanno le prime sedi in qualche regno, ed esercitano la loro autorità sopra gli altri arcivescovi e vescovi. Ma tale autorità è varia secondo che vien loro comunicata dal Romano Pontefice. Il Papa considera i primati come suoi vicari in diverse provincie, e dà loro quelle facoltà che sono necessarie pei particolari bisogni di quei paesi.

Arcivescovi. È questa una parola greca che significa primo vescovo. La giurisdizione di lui si estende sopra i vescovi della stessa provincia, e quelli che da lui dipendono chiamansi suffraganei. Gli arcivescovi chiamansi anche Metropolitani quando hanno la loro sede nella metropoli ovvero capitale di un regno; oppure sono a tal dignità elevati dal Papa che loro concede di esercitare certi diritti sopra i vescovi di una o più provincie.

Vescovi. La parola vescovo è parimente greca, e vuol dire ispettore ovvero invigilatore, perchè è proprio dei vescovi invigilare e osservare che si promuova la morale e la religione di G. C. tra i popoli da Dio loro affidati. Perciò Iddio per bocca di s. Paolo dice precisamente ai vescovi: attendite vobis et universo gregi, in quo vos posuit Spiritus Sanctus, episcopos regere ecclesiam Dei (Act. 20, 28). State attenti ed abbiate cura del gregge sopra il quale lo Spirito Santo vi ha eletti vescovi per governare la Chiesa di Dio.

Il vescovo esercita la sua autorità sopra i parroci, sacerdoti e sopra tutti i fedeli della sua diocesi. Egli è aiutato dal Vicario Generale per gli affari di tutta la Diocesi; dal Vicario Foraneo per un numero determinato di parrocchie; dai parroci per la rispettiva parrocchia; dagli altri sacerdoti, che d'accordo col proprio vescovo lavorano nel sacro ministero.

[2] V. Sausoio - Bollandisti - Croiset 23 sett. Chifezio parte 2, pag. 9 in Besantione.




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