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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

RACCOLTA DI CURIOSI AVVENIMENTI CONTEMPORANEI ESPOSTI DAL SAC. BOSCO GIOANNI

 

 

TORINO, 1854

TIPOGRAFIA DIR. DA P. DE-AGOSTINI

Via della Zecca N. 25. {1 [369]} {2 [370]}

 

 

 

 

 

INDEX

Avviso  2

I. Un parroco in mano agli assassini. 2

Buon senno di un operaio  4

Una bella similitudine  5

Fermezza cattolica  6

Le miserie dell'annata  8

La verità conosciuta  10

Il lavoro ne'giorni festivi 12

Apparizione della Beata Vergine a due pastorelli sulla montagna di la Salette  13

Segreto dei due pastorelli. 18

I. Il fatto della Salette esaminato a Roma. 21

Conversione e morte di un giovane protestante  23

I. 23

Aneddoti diversi 27

Il Battesimo. 27

Recente Conversione. 28

Il Demonio che fa la battuta. 28

Chi la fa l'aspetti. 29

Epigramma. 29

Indice  29

 


Avviso

 

            Nel pubblicare la presente Raccolta di fatti contemporanei, stimiamo a proposito di avvisare i nostri lettori come i protestanti siansi dimostrati altamente indegnati soprattutto pei fatti che loro riguardano. Ciò dimostrarono con detti, con lettere private, e cogli stessi pubblici loro giornali. Noi aspettavamo che entrassero in questione per farci rilevare qualche errore da noi stampato; ma non fu così.

            Tutto il loro dire, scrivere e pubblicare non fu che un tessuto di villanie ed ingiurie contro alle Letture Cattoliche e contro chi le scrive. A dire ingiurie e villanie noi concediamo loro di buon grado vittoria, senza fermarci a dare {3 [371]} nemmeno una parola di risposta. Perciocché abbiamo sempre avuto massimo impegno di non volere mai pubblicare cosa alcuna che fosse contraria alla carità che devesi usare a qualunque uomo di questo mondo. Laonde, perdonando di buon grado a tutti i nostri dileggiatori, ci studieremo di evitare le personalità, ma di svelare l'errore ovunque si nasconda.

            Iddio colmi di sue celesti benedizioni i nostri lettori, e tutti quelli che si uniranno con noi per sostenere la verità, e conservare ne'popoli la Santa Cattolica Religione. {4 [372]}

 

 

I. Un parroco in mano agli assassini.

 

            Un parroco di una piccola parrocchia della collina di Torino, pieno di zelo pel bene delle anime affidate alla sua cura dalla divina Provvidenza, aveva in trapreso un corso regolare di sacre istruzioni, dirette a premunire il suo gregge contro gli errori, che fatalmente si vanno tuttodì spargendo a danno delle anime. Lo zelo, la chiarezza con cui svelava il serpente velenoso che tentava insinuarsi nell'ovile di Gesù Cristo, e corrompere

la santa sua dottrina, e più ancora l'assiduità e frequenza de'suoi parrocchiani, gli provocarono contra, prima l'invidia, poi l'animosità, e in fine l'odio mortale di alcuni. Più volte avvisarono, più volte minacciarono il coraggioso Curato per farlo desistere da certi ragionamenti. Egli nulla rispondeva, se non: Verbum Dei non est alligatum; la parola di Dio non può essere trattenuta dai clamori degli nomini. I malevoli vedendo andare a vuoto ogni lor fatica, si appigliarono ad un partito degno di simile razza di gente.

            Aspettarono il buon servo di Dio in una {5 [373]} strada meno frequentata per tentargli un colpo.

            Erano le sette di sera, nel mese di agosto, ora in cui, tramontando il sole, si avvicina l'imbrunire della notte, ed il nostro curato, perchè male nelle piante, assiso sopra un'umile cavalcatura, che noi diciamo somaro, dalla capitale si avanzava verso casa a passo lento, e recitando il breviario: quando, sul cominciare di una rapida salita, tre omacci di fiero aspetto gli si avventano gridando: scellerato, fermati, sei morto: e in ciò dire, uno afferra la briglia del somiere, gli altri stringono il Curato alle spalle.

            Curato. Miei cari amici, disse con animo tranquillo, so benissimo che io sono un scellerato, e che voi siete tutti galantuomini: perciò vi prego, che da galantuomini mi lasciate fare la mia strada.

            Assassini. Taci, scellerato, ne hai fatte abbastanza, per te è finita, non andrai più ad ingannare la gente.

            C. So anch'io che ne ho fatto molte, perciò datemi tempo a convertirmi; volete mandarmi così a casa del diavolo?

            A. Niente affatto: un minuto per fare un atto di contrizione {6 [374]}

            C. Datemi almeno tempo per andarmi a confessare!

            A. Se vuoi fare un atto di contrizione ... del resto ti faremo a brani sull'istante.

            C. Ma ... miei signori galantuomini ...

            A. Che?

            C. Mi pare che voi mi prendiate per un altro diverso da quel che sono.

            A. Come! non sei tu quel scellerato che predica continuamente contro ai migliori giornali chiamandoli scritti empi ed infami? Non ti pare questo un delitto enorme?

            C. Miei signori, è vero che ho fatto queste prediche, ma io non mi pensava di fare alcun male.

            A. Come! ... scellerato! osi dire che non sapevi di fare alcun male? e non ti abbiamo più volte avvisato, e non ti abbiamo scritte più lettere, dicendoti di tacere?

            C. È vero, che mi hanno detto più cose, e scritto più volte; ma ...

            A. Ma ... ma, che ma? birbante che sei!

            C. Voleva dire, che in niuna di quelle lettere, in niuno di quegli avvisi mi venne mai dimostrato alcun male che io facessi colle mie prediche. Se voi, o signori, {7 [375]} mi fate semplicemente conoscere il male che ho fatto, vi do parola di montare domenica in pulpito, e ritrattarmi di quanto ho detto.

            A. Taci, lingua maledetta; su presto un colpo vibrato e gagliardo.

            G. Ma almeno aspettate un momento, ascoltate.

            A. Niun ascolto: si tronchi ogni disputa: io lo afferro pel collo: tu trapassagli con un coltello i fianchi.

            C. Giacché dunque siete risoluti di scannarmi in questo luogo, vi prego di un favore, ed è l'unico e l'ultimo che io vi domando.

            A. Quale?

            C. Di lasciarmi un istante le braccia in libertà per togliermi la camicia dai fianchi, affinchè non sia guastata dal coltello, e possa ancora servire a coprire qualcuno de'miei parrocchiani nel futuro inverno.

            Queste parole furono come un fulmine al cuore di quegli assassini: si guardarono l'un l'altro; io non ne posso più, dice uno: mi sento commosso, soggiunge l'altro: mi crepa il cuore, conchiude il terzo.

            C. Miei cari amici, ripigliò il Curato dacché gli lasciarono libero il respiro, {8 [376]} miei cari, l'ho già detto, vi compatisco, mi avete preso per un altro, non è vero?

            A. Signor curato, ci perdonate questo affronto?

            C. Miei buoni figli, se vi perdono! sì, sì vi perdono di tutto cuore, anzi con queste parole voi mi fate piangere di consolazione.

            A. Ma ci promettete, signor Curato, di non manifestarci ad alcuno?

            G. Cari miei figli, non solamente vi prometto di non manifestarvi ad alcuno, ma vi assicuro, che sono disposto a dare vita e roba per liberarvi da qualsiasi pericolo; e, se mai potessi far tanto, andrei a prendervi nel più profondo dell'inferno per condurvi al paradiso.

            A. Signor Curato, questo fu per noi un cattivo momento: ne fummo disingannati. La dolcezza delle vostre parole, la tranquillità del vostro aspetto, quel volere fino all'ultimo momento fare opere di carità, tutte queste cose unite alle incessanti fatiche che voi vi prendete pel bene dei vostri parrocchiani, ci hanno propriamente disingannati; ci hanno fatto aprire gli occhi. Vi preghiamo solamente di conservare il segreto di questo fatto, e noi per l'avvenire saremo vostri leali {9 [377]} amici, pronti a fare qualsiasi sacrifizio per difendere il vostro onore e la vostra riputazione: permetteteci che in segno di rispetto e di amicizia vi baciamo la mano.

            C. Non solo baciarmi la mano, ma io bacio voi medesimi, e vi bacio con tutta l'effusione del cuore. Il Signore vi doni lunghi giorni e felici, e vi colmi di sue celesti benedizioni nella vita presente e nella futura. Addio, miei cari, addio.

            Quel Curato fu costante nel serbare il segreto di questo avvenimento; nè mai persona l'avrebbe saputo, se uno di quegli aggressori commosso dalle parole e dai tratti dell'uomo di Dio non fosse corso in città, e non avesse raccontato il fatto con tutte le più minute circostanze. Tra gli uditori di quel racconto ci fui anch'io, che, parendomi degno, letteralmente lo mando alle stampe.

            Gloria e venerazione al coraggioso e caritatevole Curato: grazie al Signore Iddio, che nella sua bontà in somigliante maniera volle toccare il cuore, e ridurre a buon senno quei miseri traviati. {10 [378]}

 

 

Buon senno di un operaio

 

            Talvolta s'incontrano uomini dotati di naturale ingegno, così pronto e perspicace da far stupire ed anche tacere sovente colle savie loro risposte certi indiscreti saccentuzzi, che vogliono sempre farla da dottori in fatto di religione.

            Certo Giuliano, che vive e lavora in questa città di Torino, fu protestante, finché, illuminalo da Dio, abbandonò la riforma di Lutero, e ad unico fine di aver maggiori mezzi di condurre una vita virtuosa si fece cattolico. Ho fatto, egli dice, il confronto, per quanto potei sapere, del protestantismo col caltolicismo; e sono stato pienamente convinto, che i mezzi di salute sono immensi nel cattolicismo, e sono scarsissimi nel protestantismo. Da venticinque anni, che io abbracciai la cattolica religione, ne fui sempre contento, e toccai con mano essere questa sola la religione di verità; al contrario nella Riforma non ci ho trovato che inquietudini e rimorsi.

            Giuliano fu un giorno a prender parte ad un pranzo, cui intervennero molti operai cattolici, e non cattolici. Appena {11 [379]} assisi a tavola, subito si venne a disputare di religione. Il maggior numero di quegli artisti erano serraglieri, falegnami, calzolai, sarti, parrucchieri, perciò nessuno della portata di far dispute di religione; tuttavia, secondo la smania d'oggidì, si venne a quistioni le più complicate. E poiché Giuliano tra quella brigata era considerato come il più fervoroso cristiano, le dimande furono a lui dirette.

            Giuliano, prese a dirgli un commensale, tu hai fatto una minchioneria a farti cattolico.

            Giuliano. Voi dovreste essere contento che ho abbracciata la vostra religione.

            Commensale. Tutte le religioni sono buone, caro Giuliano, purché siano osservate.

            Giul. Che tutte le religioni abbian qualche cosa di buono, vel concedo. Che tutte le religioni siano egualmente buone per salvarci, io non posso crederlo, e nol crederò giammai.

            Comm. Tutte le religioni sono buone, e tutti si possono salvare in quella religione, ove furono da Dio creati.

            Giul. Ma, signor mio, io non sono teologo, e non so darvi un'esatta risposta; ma vi domando soltanto: i Cattolici, i {12 [380]} Turchi, gli Ebrei, i Calvinisti, i Luterani, quelli che oggidì si dicono Evangelici, si possono tutti egualmente salvare?

            Comm. Tutti si possono egualmente salvare.

            Giul. Mi fa già piacere, mentre asserite che i Cattolici nella propria religione si possono salvare, e perciò non ho fatto tanto grave minchioneria a farmi cattolico. Ma ditemi; il bianco è simile al nero? il rosso è simile al giallo?

            Comm. No: il nero è nero, il bianco è bianco, e non possono essere somiglianti.

            Giul. Dunque siccome tra queste religioni, non se ne trovano due che in molti punti non sieno opposte tra di loro, così ne segue, che una sola può esser vera, e che tutte le altre debbono esser false, e perciò tutti quelli che professano tali religioni, sono fuori della strada della salute: salvo che vogliate dire essere lo stesso bianco e nero, vero e falso.

            Comm. Vhai, vhai! sono tutte cose di sacrestia, Iddio è buono, e ci vuol tutti con lui in cielo. Lasciamo tali questioni.

            Giul. Sì; Iddio è buono, e ci vuol tutti con lui in cielo, perciò ci dà i {13 [381]} mezzi, come li diede a me, onde conoscere la vera religione, ed andarcene tutti con lui in cielo: ma mi pare che questo non venga a significare, che Iddio voglia ricevere in cielo quelli che sanno di adorarlo con una religione falsa.

            Comm. Giuliano, tu sei un buon uomo, tu l’hai sempre colle religioni false, e non sai, che le religioni sono tutte buone, come ti ho più volte ripetuto? Queste parole dette con forza, voltarono gli sguardi di tutti verso i due disputanti, sicché Giuliano rimase alquanto confuso; poscia facendosi animo ripigliò:

            Giul. Ma per bacco baccone, voi mi andate sempre ripetendo, che tutte le religioni sono buone, e non rispondete alle ragioni che io vi oppongo; ora ditemi ancora: come può essere questo, mentre una giudica vero ciò che l'altra giudica falso? forse che Iddio è come un burattino, che riceva per buono tutto quello che ne'loro capricci gli uomini giudicano d'offerirgli? Ditemi, di grazia, quelli idolatri i quali adorano il sole, la luna, le stelle, come loro Dio, vi pare che pratichino una buona religione?

            Comm. Oh! certamente no.

            Giul. Dunque almeno la religione di {14 [382]} costoro non è buona. Inoltre direste voi essere buona la religione di coloro che fanno sacrifizi al Dio Bacco, coll'ubbriacarsi tutti i giorni?

            Comm. Nemmen costoro avrebbero una buona religione.

            Giul. E quelli che fanno consistere la loro religione nel rubare, darsi ai piaceri e cose simili?

            Comm. Nemmeno, nemmeno: ma tu scherzi, non è vero?

            Giul. Ascoltate ancora ...

            Comm. Ma ... ma ... ma voi Giuliano ... dite .. . mi pare ... - Qui il commensale non seppe più che soggiungere, e fu fatto profondo silenzio, finché un altro convitato ripigliò, parlando così: Io comprendo benissimo la difficoltà, e debbo convenire che il nostro amico s'inoltrò a difendere una cattiva causa; do pienamente ragione a Giuliano; è impossibile che tutte le religioni siano egualmente buone: c'è un Dio solo, una sola fede, un solo battesimo, dunque una sola deve essere la vera religione.

            Giul. Appunto per questo ho fatto ogni sforzo per conoscere quale fosse la vera religione: e conobbi chiaramente che la sola cattolica può essere vera {15 [383]}

            Sono venticinque anni che io l'ho abbracciata: più la studio, più ci trovo la verità; spero nell'aiuto del Signore, di vivere e morire in questa santa religione, di cui è capo il Romano Pontefice successore di S. Pietro, vicario di Gesù Cristo.

 

 

Una bella similitudine

 

            Un fatto analogo all'antecedente succedette ad un altro protestante, che da parecchi anni, in un colla sua famiglia, abiurò li suoi errori, ed ora professano tutti esemplarmente la cattolica religione. Trovossi costui, non ha gran tempo, con altri compagni cattolici e protestanti. I protestanti usando prudenza non uscivano in discorsi di religione; ma i cattolici, in ciò di gran lunga peggiori de'protestanti, cominciarono a dargli la baia; ed uno di essi, di nome Pietro, gli indirizzò queste parole: tu, Giovanni, che hai abbandonata la Riforma per farti cattolico, mi sapresti dire quale differenza passi tra protestantismo, e cattolicismo?

            Gioanni. Se avessi qui il fascicolo ottavo e duodecimo delle Letture Cattoliche vi saprei dare risposta. {16 [384]}

            Protestante. Ma intanto ti sei fatto cattolico senza saper la ragione.

            Gio. Mi son fatto cattolico perchè era e sono persuaso che la religione cattolica, è la sola religione di Gesù Cristo.

            Pro. Ma non sai dirmi che differenza passi tra protestantismo e cattolicismo.

            Gio. Sapete voi dirmi quale differenza passi tra quel popone (melone) posto in mezzo della tavola tutto intiero, e quello che abbiamo noi qui vicino?

            Pro. Buon Gioanni! quello posto in mezzo della tavola, è pieno, intero; quello che abbiamo noi, non ha più altro che la scorza, il resto l'abbiamo mangiato noi.

            Gio. Quale prendereste voi di questi due poponi?

            Pro. Certamente io lascierei ad altri queste scorze, e mi prenderei quell'altro intiero, ove si trova qualche cosa da mangiare.

            Gio. Ora bene: sappiate, che il popone intero, è il cattolicismo, il quale non fu mai alterato, non fu mai guastato; il popone, che non ha più che la scorza, è vera immagine del protestantismo, il quale ha una sola apparenza di religione; tutto il resto, i Sacramenti le buone {17 [385]} opere, l'autorità religiosa, la Bibbia stessa, tutto fu roso e guasto dai fondatori della Riforma.

            Perciò, abbracciando la Religione Cattolica intesi di gettare via la scorza, cioè l'apparenza di religione, per assicurarmi d'avere la santa Cattolica Religione tutta intera, come fu fondata dal nostro Signor Gesù Cristo.

 

 

Fermezza cattolica

 

            Povera donna, dissero due signori entrando in casa di una vedova, povera donna, pare che siate assai nelle strettezze.

            Vedova. Mi trovo veramente alle massime strettezze; questa per me è un'annata calamitosa; la miseria si fa sentire fieramente.

            Signori. Che c'è là su quel pagliume?

            V. Un figlio semi-fatuo, che non può reggersi sulla persona.

            S. E da quell'altra parte chi c'è?

            V. Un altro mio figlio infermo.

            S. In tutto quanti ragazzi avete?

            V. Nove.

            S. Avete già dato loro quest'oggi qualche sollievo? {18 [386]}

            V. Niente affatto, miei signori, e se voi potete aiutarmi, vi professo tutta la mia gratitudine dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

            S. Faremo tutto quello che possiamo per aiutarvi: qual è il vostro nome?

            V. Bardissone Angela, vedova e madre di nove ragazzi.

            S. Prendete questi libri, leggeteli voi, e fateli leggere ai vostri ragazzi, e vi troverete molto contenta.

            V. Sono forse catechismi dativi dal nostro sig. curato, per distribuire ai suoi parrocchiani?

            S. Sono libri assai migliori del catechismo: è la Bibbia con alcuni libretti divoli; leggete, ne sarete contenta.

            V. Mi hanno detto, che si spargono tanti libri perversi, ed io li accetto, purché mi permettiate di portarli a vedere al nostro curato. Scusatemi, se parlo così: io sono una povera donna, ma assai gelosa della nostra religione.

            S. Non occorre di andare dal vostro curato: state sulla nostra parola.

            V. Credo benissimo a quanto voi dite; ma se mai fossero libri protestanti!

            S. Non sono libri protestanti, ma libri evangelici, {19 [387]}

            V. Che cosa sono questi libri evangelici?

            S. Sono libri che contengono la vera religione.

            V. Questa vera religione ... basta, io non voglio questi libri; i miei ragazzi ne hanno abbastanza del catechismo.

            S. Ma se voi non date questi libri ai vostri ragazzi, li private di cognizioni importantissime.

            V. Amo meglio che siano ignoranti, che metterli a rischio d'imparare cose dannose alla loro eterna salute.

            S. Se non volete accettare libri, almeno non vorrete rifiutare un sussidio, che noi siamo in caso di procurarvi.

            V. Se mi date qualche limosina, io la ricevo colla massima gratitudine, e prego il Signore e la Beata Vergine che ve la rimeriti.

            S. Anzi, noi siamo per fare la vostra fortuna, se la volete accettare; vi pagheremo il fitto per un locale più sano e più spazioso di questo, che, a dirvela schietta, sembra piuttosto un porcile, che un'abitazione d'uomini. Promettiamo di vestire la vostra famiglia, e provvederla di coperte in questi freddi; insomma ... {20 [388]}

            V. Vi ringrazio di tutto cuore; oh! certamente è il Signore che vi ha mandato.

            S. Noi faremo tutto questo, e faremo in modo, che per l'avvenire nulla venga a mancare per voi e per questi vostri ragazzi; ma bisogna che facciate senno, ed eseguiate i nostri consigli.

            V. Dite pure: purché i vostri consigli siano tali da potersi eseguire.

            S. Si tratta solamente di venire a sentire le prediche che si fanno nella chiesa evangelica.

            V. Ma io non ho mai sentito a parlare di questa chiesa: c'è colà qualche curato, o qualche altro prete che faccia prediche?

            S. Là non c'è nè curato, nè prete, c'è solo un ministro che spiega la parola di Dio.

            V. Ma per bacco, o che io non capisco voi, o che voi non capite me; dite su: quelle prediche si fanno da preti cattolici o dagli eretici? Quel luogo, dove mi suggerite di andare è una società di beneficenza, o che, parlatemi chiaro, volete forse ch'io faccia quello che ho sentito di alcuni, e come ha fatto qui il nostro vicino Bartolommeo G ... che si fece protestante per avere qualche sussidio? {21 [389]}

            S. Bene, noi vi parleremo dunque chiaro, perchè intendiamo di dirvi la verità; nostro scopo è di farvi conoscere il vero Vangelo, e, se volete dire così, insegnarvi la religione protestante ...

            V. Io ne ho abbastanza, andate, andate, io ne ho abbastanza.

            S. Aspettate, non ispaventatevi di questa parola, ascoltatene la spiegazione ...

            V. Non aspetto, e non ascolto alcuna spiegazione; io son nata cattolica, nè io, nè i miei ragazzi professeranno mai altra religione, se non quella predicata dal nostro curato.

            S. Ma voi siete nella miseria, e niuno vi soccorre.

            V. Io sono abbastanza soccorsa dal lavoro delle mie mani, e da qualche poco che mi danno il curato ed alcuni caritatevoli signori, i quali mi favoriscono limosina senza obbligarmi a rinnegare la mia religione.

            S. Veramente il locale in cui vi trovate, i mobili di vostra casa dimostrano che siete ben soccorsa!

            V. Non importa: sono contenta del mio stato.

            S. Ma questi poveri ragazzi patiscono il freddo e la fame! {22 [390]}

            V. Farò quel che potrò per aiutarli: ma non venderò giammai l’anima loro e la mia per un tozzo di pane.

            Que’due sconosciuti vennero ben tre volte instando sempre sul medesimo argomento, finché la povera vedova diresse loro queste parole:

            V. Io non so comprendere il motivo di queste vostre visite; da me certamente potete aspettarvi nulla; perchè dunque tanta sollecitudine per indurmi ad abbracciare la vostra setta?

            S. Noi vi diciamo la cosa schiettamente: questi libri ci sono dati gratuitamente, e se, vendendoli, prendiamo qualche cosa è per noi. Per ogni associazione che facciamo a questo giornale, ci danno venti soldi: che se giungiamo a condurre qualcheduno alla nostra credenza ci danno una mancia assai più grossa. Eravamo pur noi cattolici, da alcuni mesi ci siamo fatti protestanti, e d'allora in poi ce la siamo sempre cavata bene, ancorché sia questo un anno di miserie.

            V. Andate pure, voi colle eresie protestanti: nè io, nè i miei ragazzi daremo giammai ascolto a quanto dite: voi avete fatto ben male ad abbandonare la vostra religione per dar nome a quelle sette; e {23 [391]} far ciò per un po'di danaro: vergogna! vendere così l'anima vostra per due bocconi. Che se ci fa le tante volte insegnato nel catechismo dover noi essere pronti a lasciarci ammazzare piuttosto che rinnegare la fede: non dobbiamo tanto più essere preparati a tollerare le miserie temporali di quest'anno?

 

 

Le miserie dell'annata

 

            Carlo con alcuni artigiani.

 

            Artigiani. Che trista annata è questa mai!

            Carlo. Veramente trista, cari amici, ed io ne sento tutto il peso: questa mattina ho pagato le castagne dieci franchi, cent. 50 l'emina, il riso nove e 50 cent.; non so come potrò andare al fine dell'anno.

            Ar. Lasciate a noi i lamenti; voi siete a casa vostra, non pagate alcun fitto; lavorate a vostro conto, avete fondi, ma noi che ci troviamo col fitto da pagare, famiglia da mantenere e da vestire, senza altro reddito che la fatica delle nostre mani, e per soprappiù scarsi di lavoro; dove prenderemo da mangiare? {24 [392]}

            C. Mi affligge veramente quanto voi dite, e mi affligge ancor più perchè se tali miserie trovansi in città, si fanno sentire assai più fra la gente di campagna. A mio paese mi fu detto che tra cinquecento famiglie di contadini appena una decina avrà di che mangiare fino al finire di maggio; gli altri tutti studiano di vendere i loro bestiami o i loro campi per comperarsi il necessario. Povera genie! è un crepacuore sentire il racconto delle loro miserie! Ma parliamo di cose più allegre, altrimenti la tristezza ci fa venir ammalati anzi tempo.

            A. É impossibile discorrere di altre cose; l'uomo è costretto a parlare di ciò che gli fa maggior pena; ora quello che più ci affanna sono le miserie e il pensare al gran numero di artigiani privi di lavoro. Ma voi, o Carlo, vi trovaste già in simili annate?

            C. Sì, sì: io mi ricordo di una terribile siccità, che in mia giovinezza desolò le campagne per siffatta guisa, e cagionò così orribile carestia, che mio padre, ah! me ne sovvengo ancora, ebbe a pagare le fave dieci franchi l'emina.

            A. Come si passò quell'annata? {25 [393]}

            C. Quell'annata si passò tra'patimenti e l'afflizione.

            A. Non si diede alcun provvedimento per alleviare la miseria?

            C. Si tentarono varii provvedimenti, ma un solo fu trovato efficace.

            A. Ditecelo: e lo praticheremo anche noi.

            C. La preghiera.

            A. La preghiera! - la preghiera è buona, ma forse che la preghiera farà venir giù dal cielo le pagnotte belle e cotte?

            C. La preghiera, miei cari amici, fu il solo mezzo trovato efficace: si fecero tridui, novene, processioni, prediche, e tutti davano i più esemplari segni di penitenza, e così si ottennero le benedizioni del Signore.

            A. In che maniera?

            C. Cadde dal cielo una benefica pioggia, che inaffiando le inaridite campagne fece rinascere nel cuore di tutti la speranza di buona raccolta: e il fecondo germogliare dei campi, delle vigne e dei prati diede coraggio e vita al commercio, agli artigiani ed ai contadini.

            A. Ma noi siamo in caso diverso: non abbiamo bisogno di pioggia, abbiamo solamente bisogno che giunga il tempo {26 [394]} della raccolta, allora soltanto le nostre miserie saranno finite.

            C. Chi ci assicura che siano finite le nostre miserie alla novella raccolta? non potrebbe darsi che il Signore ci mandasse una penuria simile a quella di quest'anno?

            A. Guai a noi, se ciò fosse! gli uomini si mangerebbero l'un l'altro.

            C. È appunto per questo motivo che dobbiamo pregare il Signor Iddio, che ci dia più copiosa raccolta; e studiarci di placare l'ira divina con una vita costumata; perchè, diciamolo tra noi, siamo a tempi infelici per la miseria temporale, ma lo siamo assai più per le miserie spirituali. E Dio vedendoci a disprezzare la sua santa legge ci manda castighi per farci ravvedere: tante volte io ho sentito a predicare, e l'esperienza stessa lo comprova che i peccati rendono infelici i popoli, e a cagione dei peccati ci accadono le disgrazie; propter peccala veniunt adversa.

            A. Voi, Carlo, dite bene, e lo sappiamo che siete un galantuomo; ma non bisogna esagerare le cose, e non supporre il mondo tanto perverso come taluno il vorrebbe; e a noi sembra che non ci sia {27 [395]}mai stata tanta moralità e tanta religione come da tre o quattro anni in qua: e da tal tempo appunto le miserie si fecero ognor più sentire.

            C. La tanta moralità e la tanta religione di alcuni anni in qua, io non la veggo. Che anzi se considero il disprezzo in cui sono tenute le cose di religione, il modo indegno con cui si parla del Papa, dei Vescovi e degli altri ministri della religione; se considero il modo con cui alcuni cattolici fanno applauso all'eresia, e festeggiano l'inaugurazione stessa del tempio de'protestanti; se considero le cose irreligiose e sconce che si scrivono, si stampano e si vendono pubblicamente ne'libri e ne'giornali; se io considero i furti sacrileghi e le derisioni che si fanno delle cose più sacrosante di nostra religione, miei buoni amici, io debbo dire che appunto tali peccati sono la cagione delle nostre disgrazie.

            A. Da quanto vediamo, o Carlo, voi volete farci una predica, e poiché non abbiamo altro a fare, vi sentiamo anche volentieri.

            C. Non faccio prediche, vi espongo fatti. Sono tre anni che alcuni empi giornali dicevano che le cose non andarono {28 [396]} mai tanto bene, come dopo che il Papa ci mandò la scomunica: e per l'opposto noi siamo costretti a dire che le cose non sono mai andate tanto male. Anche Napoleone quando fu dal Papa scomunicato andava dicendo per burla: «crede» forse il Papa che le sue scomuniche» facciano cadere le armi di mano a'miei «soldati?» Pure nella ritirata di Mosca, in cui la sua armata fu quasi annientata, le armi cadevano di mano de'suoi più valorosi soldati. Per questo motivo lo stesso Napoleone soleva dire di poi: «Temete il» Papa, come se egli avesse sempre ducento» mila soldati a fianco.

            A. Comprendiamo benissimo ciò che volete dire, tuttavia vorreste voi credere, che tante anime buone che soffrono la miseria al par di noi, trovinsi pure in tale stato pei loro peccati?

            C. Non dico questo: ma costoro devono portare il peso dell'iniquità degli altri.

            A. Che giustizia è mai questa! castigare gl'innocenti!

            C. Le miserie e le tribolazioni per le anime buone non sono un castigo, ma piuttosto un mezzo onde preservarsi dalle colpe e procacciarsi merito per l'altra vita; costoro però, vivendo in paesi dove {29 [397]} in gran numero gli uomini sono perversi, devono pur essi essere colti dai divini castighi. Né ciò è cosa nuova nelle vie ordinarie della Provvidenza. Per un peccato commesso dal solo Re Davidde furono terribilmente puniti molte migliaia de'suoi sudditi. Quanti fanciulli innocenti si saranno trovati al tempo del diluvio, e dell'incendio di Sodoma e Gomorra? pure furono tutti quanti colpiti dai divini flagelli. Moltissimi altri esempi ci fanno conoscere come il Signore mandò terribili castighi pei peccati degli uomini senza badare a colpevole o ad innocente; colla sola diversità che tali castighi ai colpevoli sono una pena meritata, ai giusti sono occasione di merito per la vita eterna. Ma è sempre vero che i peccati sono cagione delle nostre miserie.

            A. Sembra che voi, o Carlo, abbiate studiato Teologia; e vi diamo piena ragione di quanto dite, perchè, a parlarvi schietto, vediamo co'nostri propri occhi esserci gravi disordini nel commercio, ne'negozi, nei signori, nei poveri, nei cittadini, nei contadini; nè ci ricordiamo di aver sentito a parlar tanto male di Dio e della religione come ai nostri dì. {30 [398]} Ma voi, in queste circostanze, che consiglio dareste?

            C. Avrei certamente molti consigli a dare, ma bisogna che li tenga nel mio desiderio, perchè essendo un povero negoziante non posso far sentire la mia voce dove vorrei.

            A. Ma supponete che la vostra voce potesse pervenir all'orecchio di tutti gli uomini del mondo, che consiglio dareste?

            C. Se mai la mia voce potesse giungere all'orecchio di tutti, mi prostrerei dinanzi a Dio, e cominciando dal Sommo Pontefice vorrei parlar così:

            Beatissimo Padre, voi che siete il Vicario di Gesù Cristo, successore di S. Pietro, il Supremo Pastore della Chiesa, pregate, e comandate che tutti i cattolici del mondo preghino Iddio ad avere di noi pietà.

            Voi poi, Vescovi, Parroci, ed altri sacri ministri della Chiesa, predicate da tutte le parti, fate sentire a tutti gli uomini del mondo, che l'unico mezzo per rimediare ai nostri mali è il lasciare il peccato e darsi alla virtù.

            Voi poi, o Principi, Re, Monarchi, Imperatori, e voi tutti quanti amministrate la giustizia fra gli uomini; voi {31 [399]}pure, o uomini di tutti i gradi e di tutte e condizioni, unitevi strettamente ai sacri ministri dell'altare, e tutti di un cuor solo e di un'anima sola dite queste precise parole: «0 Signore onnipotente, conosciamo che i nostri peccati sono causa de'nostri mali; ne dimandiamo umile perdono: usateci misericordia: vi promettiamo di voler vivere e morire da buoni cristiani; sospendete i fulmini della vostra giustizia, allontanate da noi i vostri flagelli: benedite il commercio e, chi lo traffica; benedite i campi, e chi li coltiva, e chi ne è il possessore; dateci tempi migliori, più abbondante raccolta; e noi, o Dio pietoso, vi promettiamo emendazione, virtù e santità.

 

 

La verità conosciuta

 

            Un Prete ed un Amico.

 

            Amico. Si può entrare un momento sig Teologo?

            Prete. Sì, venite pure avanti, questa camera è sempre aperta agli amici.

            A. Scusatemi il disturbo: avrei bisogno di trattenermi un tantino con voi a discorrere d'un affare che mi sta molto a cuore. {32 [400]}

            P. Compiacetevi d'entrare, sedetevi e dite pure con tutta libertà in quale cosa vi possa servire.

            A. Vorrei parlarvi in confidenza: ma non vorrei che prendeste in mala parte quanto sono per dire.

            P. Parlate pure liberamente, e vi assicuro tutta la confidenza e l'amicizia.

            A. Vorrei dimandarvi, sig. Teologo, ma scusatemi la dimanda, se siete voi l'autore del dodicesimo fascicolo delle Letture Cattoliche.

            P. Ne sono il compilatore, perchè la materia colà contenuta è ricavata da altri libri di maggior mole, i quali per lo più sono ivi citati in fondo di pagina.

            A. Così, così: mi permettete un'osservazione?

            P. Ve la permetto, anzi mi fate un gran servizio a farmela, come me lo fanno tutti quelli che si compiacciono di significarmi qualche cosa la quale possa contribuire al miglioramento di questi libretti.

            A. Bene: poiché mi date animo a parlare liberamente, io vorrei dimandarvi dove avete preso le notizie che fanno conoscere come i protestanti siano uomini scellerati, quali me li descriveste in {33 [401]} molte pagine di questo dodicesimo fascicolo?

            P. Se voi badate a quanto ivi si legge, la risposta è data: dalle definizioni ivi arrecate del protestantismo seguono le conseguenze di cui parliamo.

            A. Ma in quelle definizioni non si fa parola di quanto voi sosterrete: le conseguenze dedotte dalle definizioni possono avere altro significato; quindi poi risolversi in vera calunnia quanto voi dite contro ai protestanti.

            P. Debbo osservarvi che, posto un principio, è permesso di trarne le conseguenze che naturalmente da quello derivano; (perciò non sono fuori di proposito le conseguenze dedotte dalle definizioni ricavate dai libri de'medesimi protestanti.) che se voi oltre alle conseguenze dedotte da tali definizioni, volete asserzioni storiche, anche in questo sono in grado di appagarvi: perche posso accertarvi che non mi azzardo di stampare la minima notizia che riguardi ai protestanti, senza che ne abbia i documenti che reggano a tutta prova. Che anzi ...

            A. Di questi documenti appunto desidero aver notizie. {34 [402]}

            P. Spiegatevi, e ditemi intorno a quali cose desiderate le testimonianze.

            A. Vorrei i documenti storici, che mi mostrassero col fatto, che i protestanti sono quei birbanti, quei scellerati, quei viziosi, quali sono descritti nel mentovato fascicolo.

            P. Se avete letto tutto il citato fascicolo avete altresì potuto osservare che quanto ivi si dice va soggetto a molte eccezioni, e che se i protestanti non vanno agli eccessi cui la loro dottrina li condurrebbe, ciò è dovuto a quel po'di catlolicismo che tra di loro si conserva, e dal commercio che essi hanno coi cattolici. Nondimeno devo assicurarvi con vero dolore dell'animo, che la storia ci dà prove le più certe dei gravissimi disordini che furono commessi e tuttodì si commettono tra i protestanti; e poiché siamo qui noi due soli, se mei permettete, vi farò vedere alcuni documenti con cui si possono tessere certe biografie che temo facciano arrossire voi e tutti quelli che voi chiamate vostri ministri.

            A. Io voglio conservare la dignità ed il rispetto delle persone; parliamo non di quelli che vivono, ma di quelli che vissero. {35 [403]}

            P. Anche in ciò vi posso appagare.

            A. Ma io non voglio documenti scritti nè da preti, nè da frati.

            P. Anche in ciò voglio soddisfarvi; accettate adunque l'autorità di scrittori cattolici?

            A. Non voglio rifiutare assolutamente l'autorità di scrittori cattolici; ma ben sapete che difficilmente i cattolici parlano bene de'protestanti.

            P. Lo storico deve essere imparziale ne'suoi racconti, e dare a ciascuno il fatto suo; ed io potrei accennarvi molti protestanti lodati da scrittori cattolici, come fu lodato Cobbett, Muhler, Leo ed altri, che per probità e dottrina meritarono lode dai cattolici. Di molti poi non si può parlar bene, perchè la loro condotta non merita che rimproveri. Ma lasciamo ciò a parte; voglio appagare la vostra dimanda, e provarvi l'immoralità che regna tra'protestanti con documenti, per cui voi medesimo ne sarete stupito.

            A. Questo appunto desidero.

            P. Comprendete il latino senza difficoltà?

            A. Sì, comprendo il latino, e sono appunto occupato a dare lezioni di questa lingua. {36 [404]}

            P. Va benissimo; apriamo questo libro, e leggete a pag. 38.

            A. Quivi sta scritto così: «Ut totus mundus cognoscat eos non esse Papistas, nec bonis operibus quidquam fidere, illorum etiam operum nullum exercent penitus, jejunii loco comessationibus et perpotationibus nocte dieque vacont: ubi pauperibus benigne facere oportebat, eos deglubunt et excoriant; precationes vertunt in juramenta, blasphemias et divini nominis execrationes, idque tam perdite, ut Christus ne ab ipsis quidem Turcis hodie tantopere blasphemetur. Demum pro humilitate regnat passim superbia, fastus, elatio, atque universum vitae genus, ab illis evangelicum dicitur institutum». (In concione 4, super cap. 21 Luca.) Ma chi è l'autore di questo scritto?

            P. Prima di nominarvi l'autore di questo scritto vi prego di tradurmelo in italiano.

            A. Ve lo traduco: «Affinchè ciascuno riconosca bene che essi (i protestanti) non sono papisti, e che non hanno alcuna confidenza nelle buone opere, passano i giorni e le notti a mangiare ed a bere in luogo di digiunare. Scopron essi de'poveri, cui bisognerebbe {37 [405]} assistere? Gli scorticano fino al vivo Cangiano le preghiere in giuramenti, in bestemmie ed in parole di esecrazione contro il santo nome di Dio; fanno tutto ciò con tanta perversità, che oggi il nome di Cristo non è bestemmiato dai Turchi con tanta empietà, come lo è dai riformati; l'umiltà disparve di mezzo ad essi, e non si vede regnare che l'orgoglio, il fasto, l'arroganza; e tutto questo genere di vita essi lo chiamano la pratica del Vangelo!»

            Ma lasciatemi vedere il nome dell'autore di questo libro.

            P. Ora vedetelo pure; egli è uno zelante luterano, di nome Chenidelinus.

            A. Quel pazzo! Chi sa che cosa abbia mai studiato a scrivere queste cose: forse avrà avuto il capogirlo ...

            P. Ho pure qui un altro libro, il cui autore non vi sarà certamente sospetto: leggete qui a pagina 234:

            A. Leggo anche questo: «Testatur scholae suae discipulos magnam partem epicureos esse, metiri conciones, ex suo cerebro, et hoc quaerere ut bonos dies habeant.

            In Papatu talia nebulonum portenta non inveniri: vocari reformatos, cum re ipsa potius incarnati daemones esse videantur. {38 [406]} Decerpere ex Evangelio quod ipsis allubescit atque interea voluntatem Dei conculcare pedibus, immo Deum ipsum blasphemare; superbos esse nebulones et nunc magis avaritiae deditos, quam unquam antea fuerint in Papatu, atque eorum redisse, ut si cui libeat coetum aliquem nebulonum, usurariorum, dissolutorum, rebellium atque fraudulentorum hominum intueri, futurum, ut is civitatem aliquam Evangelicam ingressus, ejus farinae complures inveniat. Vix inter Paganos, Judaeos, Turcos, aut infedeles alios homines adeo contumaces, reperiri, apud quos omnis honestus, et quidquid est virtutum penitus interierit, neque ullius peccati satis habeatur. Nullam isthic morum emendationem animadverti, sed epicuream et omnino belluinam vitam transigi. In locum jejunii noctes atque dies comessandi et perpraecandi consuetudinem successisse. In locum eleemosinarum, oppressionem et expilationem pauperum. In locum orationis blasphemias in sanctum Dei nomen

            P. Ora siatemi ancora una volta compiacente di tradurmi questo brano in italiano.

            A. Asserisce che ...; ma chi asserisce questo? {39 [407]}

            P. Ve lo dirò di poi: continuate a leggere.

            A. Continuerò a leggere: asserisce che «la più parte de’suoi discepoli (evangelici) vivono da epicurei, non traggono che dal loro cervello le lor prediche, e non cercano che il buontempone, scorrere giorni gaudenti. Non si troverebbe già fra i Papisti di tali buffoni e di tai mostri. Chiamansi riformati, mentre in realtà non hanno l'aria che di demonii incarnati. Tirano dal Vangelo ciò che lor piace, e non hanno orrore di conculcare la volontà di Dio, ed anche di vomitar bestemmie. Sono bricconi pieni d'orgoglio, e più insozzati di avarizia che noi furono mai sotto il Papato. Il disordine giunse a tal punto che se piacesse a qualcuno di contemplare una riunione di truffatori, usurai, uomini dissoluti e ribelli, gente di cattiva fede, non avrebbe che ad entrare in una di queste città, che si chiamano evangeliche, e là troverebbe in abbondanza furbi di questa taglia. Dubito che si trovi fra i Pagani, Giudei, Turchi ed altri infedeli, uomini così testardi ed arroganti, in cui ogni onesto sentimento, ogni virtù ne sia affatto estinta, e fra {40 [408]} cui non si tenga alcun conto d'ogni sorta di peccati. Voi non vi vedrete alcuna emendazione nei costumi. Menano una vita affatto epicurea e simile a quella delle bestie. Presso di loro l'oppressione e la spogliazione dei poveri rimpiazza le elemosine. L'orgoglio e l'insolenza sono sostituite all'umiltà. Le bestemmie alla preghiera, e nel vestire il lusso più vergognoso.» Ma chi asserisce questo?

            P. Ve lo dirò; leggete, e troverete che questa è un'opera intitolata: Lutero in colloquio, ovvero Trattenimenti di Lutero.

            A. Ouf! un Lutero scrivere di questa fatta!

            P. Aspettate, attendete ancora un momento, siamo solamente in principio; ho molti altri documenti da farvi conoscere.

            A. Non posso più, un affare di conseguenza mi dimanda altrove, ritornerò altra volta.

 

 

Il lavoro ne'giorni festivi

 

            Giovanni e Luigi.

 

            G. Che hai, Luigi, che sembri tanto tristo?

            L. È morto il mio padrone. {41 [409]}

            G. Quando?

            L. Ieri l'altro; e fu subito chiusa la tipografia, e non so ancora dove domani andrò a lavorare, e come apprendista non è tanto facile avere un altro posto, ove potermi occupare.

            G. Questo tuo padrone ha fatto almeno una buona morte?

            L. Sì, sì: si è confessato, comunicato, ha ricevuto l'Olio santo, ed io sono andato più volte a vederlo nel corso della malattia, e dava tutti i segni di rassegnazione di un buon cristiano.

            G. Questa è una morte che consola; fu molto tempo ammalato?

            L. Sì, fu ammalato quasi due anni: ma stette in letto solamente un mese.

            G. Ora che vuoi fare? prega per lui affinchè il Signore se lo accolga in gloria.

            G. Ciò va bene: ma non posso levarmi l'impressione cagionatami da un ricordo dato alla sua moglie, a' suoi ragazzi ed a me stesso.

            G. Sentiamo quale fu questo ricordo.

            L. Sugli ultimi momenti di vita egli chiamò intorno al letto la famiglia con alcuni amici, e traendo dal cuore profondi sospiri, loro disse più volte: Santificate i giorni festivi, e non lavorate in {42 [410]} essi, perchè il lavoro dei giorni festivi rovina il guadagno di tutta la settimana.

            G. Ha fatto benissimo a lasciare questo ricordo, perchè il lavoro ne'giorni di festa è proibito dai Comandamenti di Dio, e dalle leggi civili: ed io ho sempre veduto, che que'padroni che lavoravano o facevano lavorare ne'giorni festivi, finirono tutti col far male i loro affari.

            L. Come appunto avvenne al mio padrone: egli voleva sempre farci lavorare di festa: ed i suoi affari andarono sempre di male in peggio.

            G. Faceva lavorare nel giorno festivo?

            L. Ogni mattino de'giorni festivi faceva lavorare; spesso ci faceva andare dopo mezzodì.

            G. E alla funzioni di chiesa?

            L. Qualche scappata in chiesa, e si prendeva quello che si poteva; ma, come ti dissi, da che si mise a lavorare nei giorni di precetto, gli accaddero disgrazie sopra disgrazie.

            G. Raccontatemene alcuna, ed io l'ascolterò volentieri, e mi servirà di esempio.

            L. Il mio padrone lavorava ne'giorni di festa, e per lo più lungo la settimana, o che si spezzavano torchi o macchine {43 [411]} della tipografia: una domenica a sera prese fuoco e si abbruciarono più volumi preparati al mattino per una spedizione; un'altra volta abbiamo lavorato in tutte e due le solennità del Natale, ma la notte del secondo giorno i ladri trovarono il modo di entrare in bottega e rubarono mille cinquecento franchi.

            G. Tutte queste disgrazie non bastarono a far mettere senno a tuo padrone?

            L. Egli sempre diceva di non voler più far lavorare ne'giorni di festa, ma ora per un motivo, ora per un altro non manteneva la parola. Mi ricordo che una volta venne colà un prete che gli disse: Signor padrone, se voi non cessate dal far lavorare ne'giorni festivi, i vostri affari andranno sempre di male in peggio, e i vostri incomodi vi condurranno anzi tempo al campo santo. Protestò allora di non voler mai più far lavorare in tali giorni: ma la sua promessa durò una sola domenica, e poi continuò come prima.

            Quando sì trovò là inchiodato in un letto, andava spesso esclamando: non avessi mai fatto lavorare ne'giorni festivi! La qual cosa gli cagionò gravi rimorsi fino all'ultimo respiro.

            G. Io spero che il Signore gli avrà {44 [412]} perdonato, e che si sarà salvato: perciò andiamo insieme a dirgli un De profundis; ma ciò serva di lezione per noi a ricordarci di santificare le feste, perche i guadagni fatti in questi giorni non hanno mai fatto la fortuna di alcuno.

            L. Quand'anche si desse il caso, che qualcheduno si facesse ricco con guadagni fatti in detti giorni, non potrà certamente evitare que'terribili castighi che il Signore minaccia ai profanatori de'giorni festivi, e nella vita presente e nella futura. {45 [413]} {46 [414]}

 

 

Apparizione della Beata Vergine a due pastorelli sulla montagna di la Salette

 

DIOCESI DI GRENOBLE IN FRANCIA

 

 

 

            Il 19 Settembre 1846[1]

 

            Un fatto certo e maraviglioso, attestato da migliaia di persone, e che tutti possono anche oggidì verificare, è l'aparizione della Beata Vergine, avvenuta il 19 settembre 1846. Questa nostra {47 [415]} pietosa Madre è apparsa in forma e figura di gran Dama a due pastorelli, cioè ad un fanciullo di 11 anni, e ad una villanella di 15 anni, là sopra una montagna della catena delle Alpi situata nella parrocchia di La Salette, in Francia. Ed essa comparve non pel bene soltanto della Francia, come dice Monsignor Vescovo di Grenoble, ma pel bene di tutto il mondo; e ciò per avvertirci della gran collera del suo divin Figlio, accesa specialmente per i tre peccati: la bestemmia, la profanazione delle feste e il mangiar di grasso nei giorni proibiti; collera per cui, guai alla Francia, guai a noi, se Maria non avesse pregato, e se non pregasse continuamente per noi! {48 [416]}

            Ecco il maraviglioso racconto.

            Massimino, figlio di Pietro Giraud, falegname del borgo di Corps, era un fanciullo di 11 anni: Francesca Melania, figlia di poveri parenti, nativa di Corps era una giovinetta d'anni 15. Niente aveano di singolare: ambidue ignoranti e rozzi, ambidue addetti a guardare il bestiame su pei monti. - Massimino non sapeva altro che il Pater e l'Ave; Melania ne sapeva poco più, tantoché per la sua ignoranza non era ancora stata ammessa alla Comunione.

            Mandati dai loro genitori, a richiesta or dell'uno or dell'altro paesano lì vicino, a guidare il bestiame nei pascoli, non fu se non per puro accidente che il giorno 18 settembre, vigilia del grande avvenimento, {49 [417]} s'incontrarono sul monte, mentre facevano bere le loro vacche a una fontana.

            Or la sera del giorno stesso, nel far ritorno a casa col bestiame, Melania disse a Massimino: «domani chi sarà il primo a trovarsi sulla montagna? ...» E all'indomani, 19 settembre, che era un sabato vi salivano insieme, conducendo ciascuno quattro vacche e una capra, che apparteneva all'istesso padre di Massimino.

            La giornata era bella e senza nuvole, il sole brillante. Verso il mezzo giorno, sentendo suonare la campana dell’Angelus, prendono le loro provvisioni da bocca e vanno a mangiare presso una piccola sorgente, che era a sinistra d'un ruscello. Finito di mangiare, passano il ruscello, depongono i loro sacchi presso a una fontana asciutta (la quale ben presto diverrà il luogo per sempre celebre dell'Apparizione); discendono ancora qualche passo, e contro il solito si addormentano a qualche distanza l'uno dall'altro.

            Ma sentiamo il racconto degli stessi pastorelli, tal quale essi lo fecero la sera del 19 ai loro padroni e il giorno susseguente al Curato del luogo: tal quale {50 [418]} lo ripeterono agli abitanti di La Salette e di Corps, e tal quale lo hanno sempre e poi sempre ripetuto a una infinità di persone. Ecco dunque il racconto di Melania:

            «Noi ci eravamo addormentati ... io mi sono svegliata per la prima; e, non vedendo le mie vacche, svegliai Massimino dicendogli: su, andiamo a cercare le nostre vacche. Abbiamo passalo il ruscello, siamo saliti un po'in sù, e le vedemmo dalla parte opposta coricate: esse non erano lontane. Allora tornai giù a basso; e, a cinque o sei passi prima di arrivare al ruscello, vidi un chiarore come il sole, ma ancor più brillante, non però del medesimo colore; e dissi a Massimino: vieni, vieni presto a veder là abbasso un chiarore[2].

            «Massimino è subito disceso dicendomi: ov'è queslo chiarore? e glielo indicai col dito rivolto alla piccola fontana; ed ei si fermò, quando lo vide. Allora noi vedemmo una Dama in mezzo alla luce; essa sedeva sopra un mucchio di sassi, col volto tra le sue mani. Ne avemmo paura: io lasciai cadere il mio {51 [419]} bastone. Massimino mi disse; tienlo il bastone; se la ci farà qualche cosa, le darò un buon colpo.

            «Inseguito questa Dama si levò in piedi, incrocicchiò le braccia, e ci disse: avanzatevi , miei ragazzi: non abbiate paura, son qui per darvi una gran nuova.

            «Allora noi passammo il ruscello, ed essa si avanzò sino al luogo, dove prima ci eravamo addormentati. Essa era in mezzo a noi due, e ci disse, piangendo tutto il tempo che ci parlò: (ho veduto benissimo le sue lagrime!)

            «- Se il mio popolo non si vuole sottomettere, sono costretta di lasciar libera la mano di mio Figlio. Essa è così forte, così pesante, che non posso più trattenerla.

            «È gran tempo che soffro per voi altri! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, debbo pregarlo costantemente; e voi altri non ne fate conto.

            «Voi potrete ben pregare, ben fare; giammai non potrete compensare la sollecitudine, che mi sono data per voi altri.

            «Vi ho dati sei giorni per lavorare: mi son riservato il settimo, e non si vuole accordarmelo. - Questo è ciò che {51 [420]} rende tanto pesante la mano di mio Figlio.

            «Se le patate si guastano, è solamente per causa vostra. Ve lo feci vedere l'anno scorso (1845); e voi non avete voluto farne caso e, trovando patate guaste, bestemmiavate mettendovi fra mezzo il nome di mio Figlio.

            «Continueranno a guastarsi, e quest'anno per Natale non ne avrete più (1846).

            «Se avete del grano non dovete seminarlo: tutto ciò che voi seminerete, i vermi lo mangieranno; e quello che nascerà andrà in polvere, quando lo batterete.

            «Verrà una grande carestia[3]. {53 [421]}

            «Avanti che venga la carestia, i fanciulli al disotto dei sette anni saranno presi da un tremore, e moriranno fra le mani delle persone che li terranno; gli altri faranno penitenza per la carestia.

            «Le noci si guasteranno, e le uve marciranno ...[4].

            «Se si convertono, le pietre e gli scogli si cambieranno in mucchi di grano, e le patate verranno prodotte dalla terra stessa. -

            «Quindi ci disse:

            «- Dite voi bene le vostre orazioni, o miei ragazzi?

            «Noi rispondemmo entrambi: non troppo bene, Signora.

            «Ah! miei fanciulli, dovele dirle bene la sera e la mattina. Quando non avete tempo, dite solamente un Pater ed un’Ave, Maria; e quando avrete il tempo, ditene di più.

            «Alla Messa non vanno che alcune donne vecchie, e le altre lavorano alla domenica tutta l'estate; e all'inverno i {54 [422]} giovani, quando non sanno che fare, vanno alla Messa per mettere in ridicolo la Religione. In quaresima si va alla macelleria a guisa dei cani. -

            «Quindi ella disse: - Non hai tu veduto, o mio ragazzo, del grano guasto? -

            «Massimino rispose: - Oh! no, Signora. - Io, non sapendo a chi facesse questa domanda, risposi sotto voce: - No, Signora, non ne ho ancora veduto. -

            «- Voi dovete averne veduto, mio ragazzo (rivolgendosi a Massimino) , una volta verso il territorio di Coïn con vostro padre.

            «Il padrone del campo disse al vostro padre, che andasse a vedere il suo grano guasto: voi ci siete andati entrambi. Prendeste due o tre spighe nelle vostre mani, e, strofinate, andarono tutte in polvere, e poi vi ritornaste. Quando eravate ancora una mezz'ora distanti da Corps, vostro padre vi diede un pezzo di pane, e vi disse: prendi, figlio mio, mangia ancora del pane in quest'anno; non so chi ne mangerà l'anno venturo, se il grano continua ancora a guastarsi in questo modo. -

            «Massimino rispose: - Oh! sì, Signora; {55 [423]} ora me ne ricordo; poco fa non me ne sovveniva. -

            «Dopo ciò la Dama ci disse:

            «- Ebbene, miei ragazzi, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo. -

            «Indi ella passò il ruscello, e a due passi di distanza, senza rivolgersi verso di noi, ci disse di nuovo: Ebbene, miei ragazzi, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo. -

            «Ella salì in seguito una quindicina di passi, sino al luogo ove eravamo andati per cercare le nostre vacche; ma essa scorreva sopra l'erba; i suoi piedi non toccavano che la cima dell'erba. Noi la seguivamo; io passai davanti alla Dama, e Massimino un poco di fianco, a due o tre passi di distanza. E la bella Dama si è innalzata così (Melania fa un gesto levando la mano di un metro e più); ella rimase così sospesa nell'aria un momento. Dopo, ella rivolse lo sguardo al cielo, indi alla terra; dopo non vedemmo più la testa ... non più le braccia ... non più i piedi ... sembrava che si fondesse; non si vide più che un chiarore nell'aria: e dopo il chiarore disparve.

            «Dissi a Massimino: - È forse una gran Santa? - E Massimino mi rispose: - {56 [424]}

            - Oh! se noi avessimo saputo ch'era una gran Santa, noi le avremmo detto di condurci con essa. E io gli dissi: - E se essa vi fosse ancora? ... - Allora Massimino slanciò la mano per raggiungere un poco del chiarore, ma tutto era scomparso. Osservammo bene, per iscorgere se non la vedevamo più. E dissi: - Essa non vuol farsi vedere per non farci sapere dove sen vada. - Dopo ciò andammo dietro alle nostre vacche.»

            Questo è il racconto di Melania; la quale, interrogata come fosse vestita la Dama, rispose:

            «Essa aveva delle scarpe bianche con delle rose attorno ... ve ne erano di tutti i colori: avea le calze gialle, un grembiale giallo, una veste bianca tutta cospersa di perle, un fazzoletto bianco al collo contornato di rose, un berretto alto, un poco pendente avanti, una corona con delle rose attorno al berretto. Essa aveva una piccolissima catena, alla quale era appesa una croce col suo Cristo; a dritta eravi una tenaglia, a sinistra un martello; all'estremità della croce un'altra gran catena pendeva, come le rose attorno al suo fazzoletto da collo. Aveva il volto bianco, allungato; io non poteva {57 [425]} riguardarla per molto tempo, perchè ci abbagliava.»

            Interrogato separatamente il fanciullo Massimino fa l'istesso, l'istessissimo racconto, senza variazione alcuna, nè per la sostanza e neppure per la forma; il quale però ci asteniamo di qui ripetere. É tutte le volte che furono interrogati, ora insieme, ora separatamente, sempre tengono il medesimo linguaggio, e trasmettono puramente e semplicemente, come una lezione imparata, quel che hanno udito dalla gran Dama, e quel che fu loro ingiunto di far sapere al popolo.

            E quante volte furono interrogati! E sì, interrogati da ogni ceto di persone, da numerose commissioni apposite di Vescovi, di Vicari generali, di Prelati, di letterati, di medici, di professori d'ogni sorla di scienze, da personaggi i più gravi e i più distinti! ...

            Sono infinite e stravaganti le insidiose domande che loro si fecero, specialmente per ben due anni, e sotto interrogatorii di 5, 6, 7 ore di seguito, coll'intento di imbarazzarli, di confonderli, di trarli in contraddizione. Certo è, che forse mai nessun reo fu dai tribunali di giustizia investito così e pressato con tante difficoltà {58 [426]} e interrogazioni intorno ad un delitto imputatogli, con quante lo furono questi due villanelli sopra la visione che essi raccontano.

            Mai non aceadde che variassero cosa alcuna; mai che cadessero in contraddizione, nè o l'uno o l'altro con se medesimo, nè l'uno con l'altro. Quel che dice Melania al paese di La Salette, lo dice nell'istesso tempo Massimino nel borgo di Corps. Di nulla si turbano, di nulla si confondono. Su di loro non valgono nè le promesse o le minaccie, nè le carezze o le ingiurie, nè i raggiri o le seduzioni d'ogni sorta ... Date loro del denaro? lo sdegnano, non se ne curano.

            Eppure sono fanciulli (notate bene) nè più nè meno come gli altri. Anzi di più, perchè Massimino specialmente è dì carattere ruvido, è bizzarro, è ciarliero, é sgarbato, è irrequieto, è contraddiente ad ogni parola, talchè spesso riesce intollerabile. Melania è secca nel parlare, è silenziosa, è timida all'eccesso; sono creature sgradevoli e spiacenti! ... Ma che?

            Quando sono interrogati sopra il grande avvenimento, tutt'ad un tratto, come se cambiassero natura, si fanno così serii, {59 [427]} così gravi, assumono qualche cosa di così rispettoso per sè stessi e per tutto ciò che dicono, che io inspirano anche a quelli che li ascoltano, e impongono una specie di religioso timore per le cose che discorrono e un certo qual rispetto per le loro persone, che fanno stupire: e quel che è più, ambidue danno risposte così pronte, brevi, chiare, precise, perentorie, e con tale discrezione e riserbatezza (virtù difficilissima!), che bisogna dire assolutamente: «qui v'ha il dito di Dio.»

            Eccovi alcuna di queste risposte da loro date in differenti tempi in presenza di più centinaia di persone:

            D. Tu t'inganni: la Dama che tu hai veduto, non era altro che una nube luminosa.

            R. Massimino: Ma una nube non parla; e poi non vi era nube alcuna.

            D. Ma è facile l'involgersi in una nube, e scomparire.

            R. Melania con vivacità: Involgetevi voi in una nube, e scomparite.

            D. Non ti annoi, o mio ragazzo, di ripetere tutti i giorni la medesima cosa?

            R. E voi, o signore, non vi annoiate {60 [428]} (era un prete) di dire tutti i giorni la Messa?

            D. La dama ti ha ingannato, o Massimino; essa ti ha predetto una carestia, eppure il raccolto è buono da per tutto.

            R. Massimino: Che m'importa? ... essa me lo ha detto; ciò risguarda lei.

            A questa medesima domanda i fanciulli hanno altra volta risposto:

            «Ma, se si è fatta penitenza ...»[5].

            D. La Dama, che voi avete veduta, e in prigione a Grenoble.

            R. I Fanciulli: «È ben bravo chi la prenderà.»

            In molte case rispettabili si fece entrare tutto ad un tratto Melania: fu messa davanti ad una dama, che essa non aveva mai veduta, e le si disse: la Dama che tu hai veduta era essa più grande o più piccola di questa? Rispose senza esitanza: «Ella era più grande.» Si fece {61 [429]} entrare in seguito Massimino, gli si fece la medesima domanda, e rispose immediatamente «essa era più grande.»

            Esortati, pregati e minacciati severamente di finirla una volta e di non parlar più di questo avvenimento, rispondono: «noi non possiamo astenerci di dire ciò che abbiamo veduto, ciò che abbiamo inteso e che ci è stato ordinato di dire.»

            D. «La dama, che tu hai veduto, poteva essere uno spirito maligno; poteva essere il demonio sotto la figura d'una dama: non sarebbe, ve', la prima volta che si trasforma il demonio!

            R. Ma il demonio non proibisce di bestemmiare, non porterebbe la croce, e non direbbe di andare alla Messa.

            - Un'altra volta risposero: il demonio non porta il Cristo.

            D. Eppure il demonio ha portato nostro Signore sul tempio e sulla montagna, non lo sai? potrebbe dunque ben anche portare la sua Croce.

            R. No, Signore, disse Melania con una certa sicurezza; no, il buon Dio non lascierebbe portar così la sua Croce. Sì, è proprio sulla Croce ch'egli è morto.

            D. Ma pure si è lasciato portare lui stesso. {62 [430]}

            R. Ma si è col mezzo della Croce che ha salvato il mondo.

            - Un'altra volta rispose: «Sì, si è lasciato portare lui stesso; ma allora non era ancor glorificato.»

            Oltre a ciò fate questo semplice riflesso: come mai fanciulli grossolani, ignoranti, mancanti d'ogni istruzione religiosa, che non conoscevano se non le loro montagne, il loro bestiame, abbiano potuto in una scarsa mezz'ora imprimersi nella memoria tutto il sopraddetto racconto e servirsi di frasi e di espressioni così dignitose, così bibliche, come sono queste:

            «Se il mio popolo non vuol sottomettersi, sono forzata di lasciar libera la mano di mio Figlio ...

            «Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni ...

            «Vi ho concessi sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo ... Ebbene, i miei fanciulli, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo ...»

            Spiegatemi come ciò in fanciulli che non andavano alla scuola, rare volte in chiesa, e che sapevano appena il Pater e l'Ave ...!

            Stiamo a vedere, o lettore, che voi {63 [431]} adesso crederete che questi due villanelli avranao subito cominciato a darsi un'aria d'importanza, o ad accorgersi almeno di essere divenuti l'oggetto della curiosità, dell'attenzione e delle carezze di tutti; ma che volete? non se ne accorgono tampoco.

            All'uscire da quelle frequenti e rispettabili adunanze di Vescovi, di Prelati, di Magistrati, Melania e Massimino resi alla libertà non pensano più a nulla, parlano di nulla, nè tra di loro, nè coi loro compagni, nè ai loro parenti, nè alle persone che conoscono. In somma, finita la loro parte, dimenticano tutto e vanno naturalmente alla scuola, vanno ai loro giuochi come se il fatto di La Salette non li riguardasse per niente. Sono fatti così, e hanno l'aria di non poter essere altrimenti. Inoltre vuoisi notare: che questi pastorelli fra di loro non hanno nessun rapporto: anzi, invece di cercarsi, si fuggono piuttosto e sono indifferenti, per non dire antipatici l'uno all'altro. Chiamati e interrogati ogni giorno separatamente, non si dicono tampoco nè chi gli ha chiamati, nè quali domande sieno loro state fatte. {64 [432]}

 

 

Segreto dei due pastorelli.

 

            Subito dopo l'apparizione, Massimino e Melania, nel far ritorno a casa, s'interrogarono tra di loro, perchè mai la gran Dama dopo che ebbe detto «le uve marciranno», ha tardato un poco a parlare e non faceva che muovere le labbra senza far sentire che cosa dicesse.

            Nell'interrogarsi su di ciò a vicenda, dicendo Massimino a Melania «a me Essa ha detto una cosa, ma non voglio dirtela; e similmente Melania a Massimino «e anche a me ha detto qualche cosa, ma me lo ha proibito di dirtelo», s'accorsero entrambi d'aver ricevuto dalla Dama, ciascuno separatamente, un secreto colla proibizione di non dirlo.

            Or pensa tu, o lettore, se i ragazzi possono tacere.

            È cosa incredibile a dirsi quanto siasi fatto e tentato per cavar loro di bocca in qualche modo questo segreto. Fa maraviglia a leggere dei mille e mille tentativi adoperati a quest'uopo da centinaia e centinaia di persone per ben sei anni.

            Tutto fu inutile; preghiere e sorprese, minacce e ingiurie, regali e seduzioni {65 [433]} d'ogni maniera. Tutto andò a vuoto; essi sono impenetrabili -

            D. Ma, alla buon'ora, dimmi almeno, se questo segreto risguarda te, o risguarda un altro.

            R. Massimino: Chiunque risguardi, la gran Dama ci ha proibito di dirlo.

            D. Dimmi almeno, se è una cosa buona, o una disgrazia: ciò non è dire il segreto.

            R. Melania: buona o cattiva, io non posso dirlo.

            D. Il tuo segreto, m'immagino, sarà qualche cosa che tu dovrai fare.

            R. Che abbia a fare o no, ci fu proibito di dirlo.

            D. Il vostro Angelo Custode sa egli il vostro segreto, o Melania?

            R. Sì, signore. -

            D. Vi è dunque qualcuno che lo sa.

            R. Ma il mio Angelo Custode non è del popolo.

            D. Se gli Angeli Custodi lo sanno, finiremo per saperlo anche noi?

            R. Fatevelo dire, riprese ella sorridendo e levando le spalle.

            - Sentite ora un fatto singolare relativamente al piccolo Massimino. Quando egli era al borgo di Corps fu condotto per quattro o cinque giorni alla rappresentazione {66 [434]} della Passione, che si dava da comici ambulanti. Al suo ritorno un dì Massimino, un poco più animato del solito, disse a sua sorella: Oh, mia sorella! ho veduto qualche cosa del mio segreto. E ripetè questo tre o quattro volte il giorno susseguente; ma non volle mai dir altro. La sorella parlò ad alcuni di questo incidente; il perchè una persona distinta fattasegli appresso: «Massimino, Massimino mio, gli dice, tu devi qui dire la verità avanti al buon Dio, che ti deve giudicare. Tu hai manifestato qualche cosa del tuo segreto, mio ragazzo. - Io, signore, non ho detto nulla. - Non sei andato tu l'altra sera alla rappresentazione della Passione? - Sì, signore, vi sono andato. - Non hai tu detto a tua sorella, che tu avevi veduto qualche cosa del tuo segreto? - Sì, signore, te ho detto questo. - Il tuo segreto riguarda adunque la passione del nostro Signore? - Ah! ciò riguarda questa ed altra cosa. - Ma giacché sei andato a questa rappresentazione, ciò deve riguardare quello che hai veduto? - Ma voi non sapete ciò che ho veduto avanti, durante e dopo la rappresentazione. - E non disse altro. {67 [435]}

            Spigoliamo altre domande fatte, ora all'ano, ora all'altro dei due pastorelli.

            D. Tu devi dirlo almeno al tuo Confessore: al Confessore non si dee occultare niente.

            R. Massimino. Il mio segreto non è un peccato; in confessione non vi è obbligo di dire che i peccati.

            D. Ma, a tenerlo nascosto, non giova niente nè a te, nè a nessuno. Senti il mio parere, fa così: so che il tuo segreto riguarda senza dubbio la gloria di Dio e la salute delle anime. Scrivilo in una lettera, che suggellerai: e tu la farai rimettere alla Curia del Vescovo. Dopo la morte del Vescovo e la tua questa lettera verrà letta; e tu avrai così conservato il tuo segreto.

            R. Massimino: Ma qualcuno potrebbe esser tentato di aprir la lettera ... e poi io non conosco quei che vanno alla Curia. Metlendo poi il dito sopra la sua bocca e la mano sul cuore: la miglior Curia, disse con un gesto espressivo, è qui. –

            Vi fu chi spinse l'assalto e la tentazione a questo povero ragazzo infine agli ultimi termini, e fu Mons. Dupanloup Vicario generale, ora Arcivescovo d'Orléans. {68 [436]}

            Famigliarrizzatosi bene col fanciullo, e compratogli quant'ei desiderava, delle immagini, una blouse, un cappello di paglia, rivolse destramente il discorso sopra le cose di casa sua, e mentre il fanciullo gli veniva con certo dolore parlando della morte recente di sua madre e delle disgrazie di suo padre: «giust'appunto, gli disse: se vuoi bene a tuo padre, non devi ostinarti così. Vi sono persone, che possono fare la fortuna di tuo padre e la tua: e io, io stesso, mio caro fanciullo; ma ... purché tu dica del tuo segreto, almen quello che puoi dire; perchè ti ostini?

            R. No, signore, risponde subito a voce più bassa il fanciullo, non posso. -

            Ciò nonostante non mi diedi per vinto, dice Monsig. Dupanloup. Una cosa insignificante, in apparenza, mi diede un'occasione favorevole di tornare ai tentativi. Aveva con me una borsa da viaggio, il cui lucchetto si chiudeva e si apriva col mezzo di un segreto, che facea le veci di chiave. Il fanciullo, avendo veduto più volte che io l'apriva senza chiave, tutto smanioso mi domandò come io facessi. Gli risposi che era un segreto. Insiste vivamente, batte i piedi ... ed io: «mio {69 [437]} fanciullo, questo è il segreto mio; tu tieni il tuo; quando tu mi dirai il tuo, io ti dirò il mio»; e ciò io dissi, soggiunge egli, metà sul serio e metà scherzando. - Non è la stessa cosa, mi rispose egli immediatamente. - E perchè? - Perchè mi è stato vietato di dire il mio segreto, e a voi non hanno proibito di dire il vostro. -

            La risposta era giustissima e perentoria. Però io non feci mostra di averlo ben compreso, e gli dissi sul medesimo tuono: «Postochè tu non mi hai voluto significare il tuo, e nemmen io ti dirò mai il mio segreto». Ed io insistetti, eccitai io medesimo le sue istanze e la sua curiosità. Apriva e chiudeva il mio lucchetto, senza che potesse scoprire il segreto. Mi provai di tenerlo in questo modo riscaldato, appassionato e sospeso per più ore; dieci volte in questo frattempo il piccolo fanciullo tornò all'assalto. «Volentieri, gli diceva; ma ditemi anche voi il vostro segreto.»

            A queste parole tentatrici, il fanciullo ricompariva immediatamente religioso, e tutta la sua curiosità sembrava svanirsi. Qualche tempo dopo mi pressava di nuovo. Io gli faceva la medesima risposta, ed {70 [438]} ei mi opponeva sempre la medesima resistenza. Cedetti infine: gli mostrai il segreto del mio lucchetto. Ei diede un salto di gioia, apri e chiuse più volte la borsa da viaggio. Gli dissi: «Vedete, io vi ho detto il mio segreto, e voi non mi avete detto il vostro.» Ei mostrò dispiacere di questa nuova insistenza e di questa specie di rimprovero, ed io cessai.

            Ma per poco: studiai un'occasione, e tornai all'assalto di prima, ma con una violenza morale delle più forti, credo io, che si possa immaginare. Eccola in due parole.

            Monsignore, abbandonato tutto solo il fanciullo nella camera del suo albergo, lasciò che ei frugasse dapertutto (e sì, che frugava come un mariuolo); trovò subito il molto oro disperso appositamente quà e là sopra la tavola, e mentrechè tutto contento e assorto si divertiva a farne dei mucchietti, a disfarli e rifarli, gli si accostò e con tutta dolcezza: «Ebbene, mio fanciullo, che ti pare? Qui vi sarebbe da fare la felicità di te e di tuo padre: di quel povero tuo padre! ... Tu sei obbligato in tutta coscienza a soccorrerlo ... Se tu mi dici del tuo segreto, almen quei tanto che puoi, guarda, potrei {71 [439]} darti tutto quest'oro ... e te lo do tutto e subito.»

            Restai colpito, e ne sono commosso anche adesso nel raccontarlo, dice Monsignore Dupanloup; quasi non credeva a me stesso. Tutto ad un tratto alle mie parole il fanciullo divien malinconico, si allontana bruscamente dalla tavola e dalla tentazione, e mi dice: Signore, non posso. Insistetti, e mi rispose ancora una volta: non posso, ma in un modo e con una espressione così ferma, che mi sentii vinto, e cessai l'inutile lotta.

            Non sarà però inutile di ritoccare altri tentativi.

            Alcune persone l'interrogarono: tu hai desiderio di farti prete, neh? ... Rispose: sì.

            D. Bene: di'su il segreto, e noi ti faremo istruire.

            R. Massimino: Se per essere prete debbo dire il mio segreto, non sarò mai prete.

            D. E se dovessi dire il tuo segreto, o morire?

            R. Con fermezza: «morirei ... non lo dirò.»

            D. Senti: noi dobbiamo tutti obbedienza al Papa. Ebbene: se il Papa ti domandasse il tuo segreto, saresti obbligato di {72 [440]}dirglielo, perchè il Papa è molto più che la Vergine Santissima.

            R. Massimino: Il Papa più che la Santissima Vergine! .. Ma la Vergine santissima è la regina di tutti i Santi. Se il Papa fa bene il suo dovere, sarà santo; ma sarà sempre meno della Vergine Santissima: se non fa il suo dovere, sarà punito più degli altri.

            D. Eppure il tuo segreto Dio l'ha già rivelato a una santa religiosa; ma io amo meglio saperlo da te, e assicurarmi che tu non mentisci.

            R. Melania: Giacché questa religiosa lo sa, essa può dirvelo; ma io no, non lo dirò.

            D. Verrà tene il momento che tu dirai il tuo segreto!

            R. Melania: No, che non verrà.

            D. Ma forse voi non volete dirmelo perchè questo segreto non l'avete.

            R. Massimino mi parve offeso da queste parole, e rispose vivamente: oh sì, ne ho uno; ma non posso dirlo.

            D. Chi ve lo ha vietato?

            R. La Vergine Santa. -

            Venne però un'occasione provvidenziale, in cui Monsignore Filiberto di Bruillard, Vescovo di Grenoble, uomo {73 [441]} ottuagenario, si credette in dovere di comandare ai due privilegiali fanciulli di far pervenire il loro segreto al beatissimo Padre, il Papa Pio IX; e ciò ingiunse loro in precisi termini. - Al nome del Vicario di Gesù Cristo i due pastorelli hanno compreso che dovevano obbedire; e si decisero a rivelare un segreto, che avevano fino allora conservato con una costanza invincibile, e che nulla aveva potuto loro strappare di bocca. L'hanno dunque scritto essi medesimi (dal giorno dell'Apparizione in poi erano stati messi alla scuola), e ciascheduno separatamente; quindi piegarono e suggellarono la loro lettera: e tutto ciò alla presenza di persone ragguardevoli, elette dall'istesso Vescovo a servir loro di testimonii. Indi il Vescovo inviò due sacerdoti, che godono di tutta la sua confidenza, a portare a Roma questo misterioso dispaccio.

            In questo modo cadde anche l'obbiezione che si faceva contro l'Apparizione, cioè, che realmente non vi fosse segreto, o che questo segreto fosse senza importanza alcuna, anzi puerile, e tale, chei fanciulli non avrebbero voluto farlo conoscere alla Chiesa. {74 [442]}

 

 

I. Il fatto della Salette esaminato a Roma.

 

            Il 18 luglio 1851, i sacerdoti Gerini e Rosselati rimettevano a S. S. Pio tre lettere, una di Monsignor Vescovo di Grenoble, che accreditava questi due inviati, le due altre contenevano il secreto dei due giovanetti della Salette; ciascun di essi aveva scritto e sigillato la lettera contenente il suo secreto alla presenza di testimoni che ne avevano dichiarato l'autenticità sulla coperta delle medesime lettere.

            «Appena giunti a Roma, riferiscono i mentovali sacerdoti, avevamo fatto la conoscenza di Mons. Fioramonti, secretano di S. S. per le lettere latine. Aveva già anch'egli avuto contezza del fatto della Salette per informazioni avute dal P. Basilio, coadiutore del priore della Certosa di Roma. Accolti da quel Prelato con molta bontà, promise di ottenerci quanto prima un'udienza dal Papa.

            «S. S. alla nostra presenza aperse le tre lettere, le ha lette, e, cominciata a leggere quella di Massimino, «Vi ha proprio, {75 [443]}disse, il candore e la semplicità di un fanciullo». Noi abbiamo soggiunto che i due fanciulli erano due ragazzi montanari, allogati da alcuni mesi in case di educazione.

            «Per legger meglio le due lettere, il S. Padre, levatosi, si avvicinò ad una finestra, di cui aperse alquanto l'imposta. Noi gli abbiamo tenuto dietro. Dopo letto la lettera di Melania «Mi bisogna rileggere queste lettere, disse, specialmente» questa». Durante quella lettura si manifestò sul volto del S. Padre una certa emozione; gli si contrassero le labbra, gli si gonfiarono le gote «Trattasi, disse» allora il Papa, trattasi di flagelli, di cui» la Francia è minacciata, la quale non è» la sola colpevole, lo sono pure l'Alemagna, l'Italia, l'Europa intiera, e meritano» dei castighi. Io temo assai l'indifferenza» religiosa ed il rispetto umano. Non senza» motivo la Chiesa chiamasi militante, e» voi ne vedete qui il Capitano (portando» al petto la sua destra). Ho fatto esaminare il vostro libro da Monsignor Frattini, promotor della fede, che l'approvò,» ne fu contento, e mi disse che spira» verità.»

            «L'indomani abbiamo potuto ossequiare {76 [444]} l'E.mo Card. Fornari, cui feci omaggio de'miei scritti sull'avvenimento della Salette. Aveva egli avuto notizia del fatto, mentre era Nunzio in Francia. Ci disse, che avrebbe tetto con piacere il mio opuscolo. Del resto, soggiunse, io sono atterrito di tali prodigi. La Religione somministra tanti e sì forti motivi di conversione ai peccatori, che, quando il Cielo si serve di questi mezzi straordinarii, siam forzati di credere che il male sia ben grave.

            «Il Papa avendoci parlato di Mons. Frattini, promotor della Fede, io cercai modo, dopo la partenza del sig. Gerini, di presentarmivi. In una prima visita mi ripetè quanto aveva detto al S. Padre, mi disse di aver letto con attenzione, secondo che era dover suo, quei libri, dalla prima fino all'ultima linea, e che quindi non vedea alcuna difficoltà, che Mons. Vescovo di Grenoble continuasse l’opera incominciata, e facesse fabbricare sul luogo dell'Apparizione un santuario modellato su vaste e belle proporzioni, e vi si sospendessero tante tavolette di voto, quanti sono i miracoli registrati ne'miei libri, e quanti per avventura succedessero.

- Un'altra volta mi disse, che Mons. Di {77 [445]} Grenoble potea fare per la Salette quanto avea fatto a Roma il card. Patrizi, che, nella sua qualità di Vicario, riunita una commissione, dichiarò la conversione del Ratisbona un vero miracolo dovuto all'intercessione di Maria. «Anche nella» canonizzazione dei Santi, diceva, bisogna» che i primi atti dei processi si facciano» dall'Ordinario del luogo.»

            «Fin dai primi giorni che eravamo a Roma, vedemmo il P. Rubillon, il quale, come ebbe letto gli scritti sulla Salette, mi disse, che egli era profondamente convinto della verità del fatto; che era impossibile che fossero stati quei fanciulli o ingannatori o ingannati, e finalmente che Mons. di Grenoble poteva con sicurezza far costrurre una Cappella sul sito dell'apparizione». Il P. Quedaz, procuratore della Congregazione di S. Alfonso de Liguori, mi assicurò egli pure del profondo suo convincimento sulla verità del fatto della Salette.

            «Il card. Lambruschini, primo ministro di Sua Santità, pienamente istruito delle regole della Chiesa per la pubblicazinn dei miracoli, nell'udienza graziosamente accordatami, disse: Conosco già da tempo il fatto della Salette, lo credo, e come {78 [446]} Vescovo l'ho predicato nella mia Diocesi, e ho notato che il mio discorso vi aveva fatto grande impressione. Del resto, conosco pure il secreto dei due fanciulli, essendosi il S. Padre degnato comunicarmelo.

            «Or per ridir tutto in breve:

            «A Roma si esaminò bene prima di credere: eppure a Roma, quanti hanno esaminato il fatto della Salette, lo vedono verissimo e ben provato. Più persone riconoscono e affermano, che Mons. di Grenoble ha ben fondale ragioni di pronunziare su questo fatto. Il secreto dei due fanciulli colà portato da noi era atto di sua natura a screditare o a confermare lo stesso fatto della Salette; e se quel secreto fosse stato puerile, e indegno di colei che lo affidò, or son cinque anni, anche il fatto che vi si riferisce doveva cadere in discredito.

 

 

            Conseguenze straordinarie del fatto di La Salette.

 

            Chi avesse creduto subito questo avvenimento dell'Apparizione, sarebbesi meritato un rimprovero, e quale lo fa lo Spirito Santo, quando dice: «chi crede {79 [447]} con troppa prestezza, è uno spirito leggiero.»

            Ma il fatto di La Salette è ormai così chiaro, così evidente, così provato, che al contrario si può dire: chi non vi crede, resiste alla verità: come chi, resistendo alla splendida luce del giorno, volesse chiudere gli occhi e dire: «io non ci vedo.»

            La fontana, presso alla quale erasi riposata la gran Dama, cioè la Vergine Maria, era, come dicemmo, asciutta; e, a detta di tutti i pastori e paesani di quei contorni, non dava acqua se non dopo abbondanti pioggie e dopo lo scioglimento delle nevi. Or, questa fontana, asciutta nello stesso giorno dell'Apparizione, il giorno dopo cominciò a zampillare, e da quell'epoca l'acqua scorre chiara e limpida senza interruzione.

            Quella montagna nuda, dirupata, deserta, abitata dai pastori, e solo per quattro mesi all'anno, è divenuta il teatro di un concorso immenso di gente. Intere popolazioni traggono da ogni parte a quella privilegiata montagna; e piangendo per tenerezza, e cantando inni e cantici si vedono chinare la fronte sopra quella terra benedetta, dove ha risuonato la voce {80 [448]} di Maria; si vedono baciare rispettosamente il luogo santificato dai piedi di Maria; e ne discendono pieni di gioia, di fiducia, e di riconoscenza.

            Il primo anniversario (19 settembre 1847) dell'Apparizione, fino settanta e più mila pellegrini d'ogni età, d'ogni sesso, d'ogni condizione ed anche d'ogni nazione coprivano la superficie di quel terreno ... Magnifico e sorprendente spettacolo!

            Ma ciò che fa sentire vie più la potenza di quella voce venuta dal cielo, e, che si produsse quasi istantaneamente un mirabile cambiamento di costumi negli abitanti di Corps, di La Salette, di tutto il Cantone e di tutti i dintorni, e in lontane parti ancora si diffonde e si propaga. ... Hanno cessato di lavorare la domenica: hanno dismessa la bestemmia ... Frequentano la chiesa, accorrono alla voce dei loro pastori, si accostano ai Santi Sacramenti, adempiono con edificazione il precetto della Pasqua fino a quel momento generalmente negletto. Taccio le molte e strepitose conversioni, e le grazie straordinarie nell'ordine spirituale.

            Nè mancano prodigi anche in ordine alla natura: prodigi sorprendenti, in gran {81 [449]} numero, pubblici, bene e debitamente constatati, miracoli di guarigioni istantanee e complete da mali disperati e incurabili, avvenuti, quali sul luogo stesso dell'Apparizione, quali in ben 14 Diocesi della Francia, riconosciuti per tali e approvati dai rispettivi Vescovi, e operati mediante l'invocazione della Beata Vergine di La Salette, e coll’uso dell'acqua della meravigliosa fontana; tra i quali fin quello d'una cieca (Vittoria Sauvet), che ricuperò issoffatto la vista: d'una muta (Silvie Tulien), che acquistò improvvisamente la favella.

            Chi amasse di conoscerli per disteso, legga l'opuscolo intitolato: - La verità dell'avvenimento di La Salette: Milano, Tipografia Pirotta e Comp., 1852; - che insieme vi troverà i documenti relativi a questa magnifica Apparizione, e un raziocinio tale d'idee e di fatti da convincersi appieno, che questo Avvenimento è assolutamente miracoloso e divino.

            Il perchè tutti desiderano sul luogo dell'apparizione un grandioso Santuario a onore di quella che essi invocano e proclamano: Salute degli infermi, Rifugio de'peccatori, Consolazione degli afflitti, Soccorso dei Cristiani; perciò si spogliano {82 [450]} di doni preziosi, e fanno generose offerte. E già lo si erige: già fu posta con grande solennità la prima pietra nel maggio dell'anno 1852; e stante il disegno grandioso, si spera che riuscirà magnifico e degno della Regina del Cielo. L'invito è a tutto l'Universo, come, secondo le parole del degnissimo Vescovo di Grenoble, pel bene dell'Universo è apparsa la Vergine.

            Medesimamente si erigerà a sinistra del Santuario stesso uno stabilimento per i Missionari che saranno detti i Missionari di Nostra Signora di La Salette: e a destra uno stabilimento pei pellegrini; e tutto ciò come un monumento per eternare la memoria della misericordiosa Apparizione della Beata Vergine Maria, e come un asilo contro i castighi della giustizia del cielo, così spesso provocata dai delitti degli uomini. {83 [451]}

 

 

Conversione e morte di un giovane protestante

 

I.

 

            Una buona giovinetta di nome Paolina, di professione modista, tutta dedita al servizio di Dio, ed alle opere di pietà, intese un giorno dalle sue compagne, come un artista chiamato Gabriele, di nazione Svedese, di religione protestante, fosse gravemente ammalato di polmonia, e dopo aver consumato quel poco di fondo che possedeva, ridotto all'estrema miseria fosse stato costretto di farsi trasferire all'Ospedale di Beaujon per essere assistito e curato.

            Alla sera, nel silenzio di sua cameruccia, Paolina pensando allo sgraziato Gabriele, si immaginò la grave tristezza e malinconia nella quale dovea essere immerso quell'infelice trovandosi in paese straniero, lontano dai parenti e dagli amici, oppresso da un male che lentamente gli consumava la vita! La virtuosa giovine, ne fu profondamente commossa, e, spinta dal desiderio di esser utile all'anima {84 [452]} di lui; e di recargli anche qualche sollievo temporale, deliberò di andarlo a visitare all'Ospedale.

            Siccome è proprio delle anime veramente cristiane, Paolina cominciò a pregare fervorosamente Iddio a volerla inspirare, e quindi prostrata a'piedi della sua Gran Madre implorava da lei consiglio e soccorso; le promise che avrebbe speso pel povero infermo quinto avrebbe guadagnato fino a che, convinto Gabriele dell'errore in cui si trovava, avesse abbracciata la Religione Cattolica. Raccomandò caldamente alle sue amiche e a tutte le persone buone e pie che ella conosceva, di pregare, e pregare con fervore per quell'infelice; fece eziandio celebrare una messa onde ottenere buon osito dell'opera che stava per intraprendere, e, animata da vivissima fede in Dio, piena di confidenza nel patrocinio di Maria, prese la via e si recò all'ospedale. Giunta colà, domandò ad una religiosa di S. Vincenzo a qual numero si trovasse Gabriele, ed avutane risposta, affrettossi alla sua opera di misericordia. Gabriele ricevette Paolina con sorpresa, non potendo comprendere la ragione di tale visita straordinaria; ma gli umili e {85 [453]} caritatevoli modi e la sollecitudine di lei lo commossero, e quindi a poco a poco si senti riempiere l'anima ed il cuore d'insolita gioia e consolazione. Oh lettori, solamente coloro che furono visitati da Dio con qualche grave infermita, possono comprendere il bene grandissimo che arreca la visita di una persona o amica o caritatevole! La pia visitatrice, s'informò della malattia che lo travagliava, del suo stato, e di tutto ciò che poteva interessarlo, e con tanta grazia, e con tale affabilità, che Gabriele ne fu veramente commosso. Ma dopo mezz'ora di conversazione, quando Paolina sul partire gli dimandò il permesso di poterlo altre volte visitare, egli, intenerito fino alle lagrime, le rispose: «oh sì, e sarà la più grande consolazione che potete arrecarmi; vi assicuro» che non ho mai avuto visita che mi» abbia riempito il cuore di tanto conforto!» Paolina lo lasciò, ed egli la seguì cogli occhi bagnati di lagrime, e col cuore pieno di gratitudine.

            La domenica seguente, Paolina, fedele alla sua promessa, tornò all'ospedale, e Gabriele era tutto sorpreso, nè sapeva comprendere come in quella giovane albergasse {86 [454]} tanta carità, e, curioso di conoscere il motivo di quelle visite, le rivolse la parola in questi termini: «Signora, voi non mi conoscete che da» poco tempo, come può essere che mi» amiate tanto e prendiate tanto interesse» per me?» Cui rispose Paolina, facendogli conoscere che il suo amore era quello raccomandato da Gesù Cristo, e gli dimostrò la immensa differenza che vi ha tra le affezioni frivole e mondane, e l'amore evangelico, ossia la carità; e come le sue sollecitudini a suo riguardo le fossero consigliate da G. C. medesimo.

            Fin qui tutto andò bene, perchè il loro discorso non si raggirò che sopra cose generali e non direttamente sopra punti di materia religiosa. Ma quando Paolina cominciò a partire della Beatissima Vergine, e gli domandò se fosse contento cho fosse pregita per lui, allora lo prese una certa impazienza e mal umore, che gli fece dire con una certa animosità: «io non sono cattolico, e non» voglio e non posso mettere la mia confidenza in una donna, la quale nulla» può per me; in Dio sì ho tutta la speranza, nella vostra Madonna niente!» Paolina gli rispose con particolare affabilità, {87 [455]} che i cattolici amano Maria perchè Essa è la madre di Dio, la invocano nelle loro afflizioni, nelle loro disgrazie, perchè Gesù Cristo morendo sulla croce, la diede a'suoi discepoli perchè fosse la loro madre e la loro protettrice, e i cattolici sono sicuri della sua assistenza, e certi quando la pregano con fede e con confidenza di ottenere per suo mezzo da Dio le grazie di cui abbisognano. «Ma» potrebbe essa guarirmi? chiese Gabriele; sono più mesi che sono qui languente, e lentamente mi muoio; tutti i» mezzi dell'arte furono tentati, ma sempre» inutilmente, e come potrebbe essa guarirmi?» «Certo, riprese Paolina, Essa» potrebbe ottenervi una perfetta salute,» oppure, ciò che è infinitamente meglio per» la vostr'anima, può ottenervi la pazienza» nelle vostre sofferenze, la rassegnazione» alla divina volontà; ma per questo bisogna pregarla, e pregandola, credere fermamente che Essa è la madre di Dio,» e madre nostra piissima, e che può ottenerci da suo figlio le grazie che sono» utili e vantaggiose alla nostra anima».

            Gabriele profondamente commosso a queste parole, rimase per qualche istante tacito e pensieroso, poscia disse: «E voi {88 [456]} credete a tutto ciò che mi diceste?» cui Paolina, «Se lo credo? Oh sì, e lo credo con» tutta fermezza!» - «Allora, riprese Gabriele, se lo credete voi, lo credo anch'io;» epperciò mi raccomando che preghiate,» e facciate pregare per me! ma ... mi» viene un dubbio: e come potrà altri pregare per me quando non mi conoscono, e» forse non hanno mai udito a pronunciare» il mio nome, nè sanno che io esista?».

            La pia damigella prese a raccontargli come si fosse costituita una società di giovanetto sotto il patrocinio della Beatissima Vergine, e si raccogliessero tutte le domeniche in qualche chiesa dedicata a Maria ed ivi col massimo raccoglimento pregassero insieme, per l'esaltazione della Santa Chiesa Romana Apostolica, per tutti i loro fratelli, e specialmente per quelli che si trovano nelle afflizioni, od oppressi da infermita e particolarmente poi per quelli che si trovano nell'errore dell'eresia, e per la conversione dei peccatori.

            Gabriele rimase sorpreso e commosso in udire tanta carità nelle giovani cattoliche. «Ma, riprese ancora Paolina, per» ottenere questo favore della vostra» guarigione, o della pazienza e rassegnazione dalla gran Madre di Dio, {89 [457]} conviene che voi pure la preghiate di «cuore e con fede; perciò gradite questa bella preghiera, che fu composta da» un Santo in suo onore: mi permettete» voi che ve la legga?» - «Oh! sì, ve ne ringrazio. «Allora Paolina lesse a chiara ed affettuosa voce la seguente orazione di S. Bernardo:

            Ricordatevi, o Vergine Maria piena di dolcezza e di misericordia, non essersi mai udito in tutti i secoli, che alcuno sia ricorso a voi colle dovute disposizioni nei suoi bisogni, che abbia implorato il vostro aiuto e la vostra protezione, e sia stato lasciato in abbandono. Animato da questa fiducia, o Regina delle Vergini, io ricorro a Voi, peccatore come sono; colle lagrime agli occhi mi prostro ai vostri piedi. Deh! non ricusate, o augusta Madre del mio Dio, di ascoltare la mia voce, di esaudire le mie preghiere, e di mostrarvi propizia a'miei desiderii. Così sia.

            Dopo la lettura dell'orazione soggiunse: «Gradite ancora questa piccola medaglia» sopra la quale è effigiata Maria che» spande i suoi favori sopra de'suoi divoti, e promettetemi di tenerla presso di voi.» Era questa la medaglia miracolosa dell'Immacolata Concezione. L'infermo {90 [458]} acconsentì; da quel momento si operò in lui un cambiamento veramente inaspettato. «Oh se essa potesse guarirmi ... disse, io la pregherò di cuore» tutti i giorni!» intanto calde ed abbondanti lagrime gli irrigavano la pallida faccia, e singhiozzando disse a Paolina: «Voi non siete più per me una sconosciuta, ma una benefattrice, e lasciate» che io vi chiami col dolce nome di Sorella.» Paolina credette allora potersi avanzare più avanti, e prima di lasciarlo, il richiese se avrebbe ricevuto con piacere la visita di un prete che essa conosceva, tutto bontà e carità verso tutti, e specialmente verso gl'infermi, alle cui preghiere l'avea già tanto raccomandato. «Oh! sì, rispose, lo ricevero con grande piacere, purché non» mi parli di religione».

            Preso congedo dall'infermo, così scrive quel sacerdote, Paolina, lieta dell'esito di sua impresa, animata dalla più viva fede, e piena di confidenza nella protezione della Santissima Vergine, venne immediatamente ad avvertirmi. Io non vi frapposi indugio, e mi affrettai di recarmi al letto dell'infelice. Non mi volle fatica a far conoscenza ed entrare in amicizia, {91 [459]} e metterci in reciproca confidenza. La prima visita fu breve ma affettuosa; non gli parlai punto di religione, ma solo cercai di rialzargli l'abbattuto spirito, ed animarlo alla confidenza in Dio: e nel lasciarlo mi pregò, e gli promisi, di presto rivederlo. Vi tornai infatti il giorno seguente. Al vedermi, si rallegrò, e la gioia si dipinse sul pallido ed agonizzante volto dell'infelice artista.

            Mi assisi presso al capezzale, egli prese la mia mano e me la teneva stretta fra le sue fredde e scarne, guardandomi con occhio d'amore e di riconoscenza. Cominciai a parlargli delle sue sofferenze, lo animai alla pazienza, alla rassegnazione alla divina volontà, e qui gli parlai di Dio, delle consolazioni che egli dà a coloro che lo amano specialmente quando soffrono.

            Esso mi ascoltava con piacere, e mi accorgevate le mie parole lo confortavano. Non tardai però ad avvedermi che il povero Gabriele non aveva alcuna credenza. Appena appena aveva qualche cognizione di Dio, pochissima della divina Provvidenza, nessuna della Santissima Trinità, nè di Gesù Cristo, nè del Cristianesimo. Mi feci perciò ad esporgli brevemente {92 [460]} ciò che insegna sopra queste grandi verità la Chiesa Cattolica.

            Gabriele era sorpreso in udire le cose che gl'insegnava, così chiare e degne della maestà di Dio e dignità dell'uomo, e a mano a mano che gli parlava, il suo volto si avvicinava al mio, animato da una nuova vita che gli infondevano le verità che gli spiegava. Posso dire che io sentiva e vedeva la grazia di Dio operare precipitosamente in lui ed impadronirsi di quell'anima; la luce di Gesù Cristo gli rischiarava la mente, e lo Spirito Santo gli dilatava e gl'infiammava il cuore.

            Gli parlai pure di Maria, della infinita misericordia del divin Padre, il quale, non contento di aver dato il suo Figlio unico per nostro Salvatore e Redentore, volle ancora adombrare questo sole di santità di una nube benefattrice per paura che i suoi raggi troppo vivi e risplendenti, malgrado il mistero dell'Incarnazione, non abbagliassero i nostri troppo deboli sguardi.

            Oh quanto vi amo, dissemi allora Gabriele, oh conosco, sì conosco che voi siete nella verità, mentre io, infelice, educato tra i protestanti, non ho potuto conoscere {93 [461]} la vera Religione: ma voi la conoscete, voi siete nel suo grembo! Oh, grazie, mio Dio! voi mi salvate: oh come Egli è buono! conosce quanto mi amò, e quanto mi ama, e in così dire, piangeva dirottamente; Io non ho mai udito a parlare di queste cose; vi ringazio, voi siete mio angelo, mio fratello, mio padre!

            In seguito gli parlai del Papa; gli dimostrai come egli fosse il successore di S. Pietro, il Capo, il Supremo Pastore della Chiesa Cattolica, e come noi gli dovessimo rispetto, sommessione ed obbedienza qual vero e legittimo rappresentante di Gesù Cristo sopra la terra, e gli citai le grandi e memorabili parole dell'Evangelio: Tu sei Pietro, e sopra questa pietra io innalzerò la mia Chiesa, e le potente dell'inferno nulla potranno contro di èssa, ed a te darà le chiavi del mio regno del cielo.

            Come, riprese Gabriele, Gèsu Cristo ha pronunciato tali parole? È egli vero? Ma quando? e dove si trovano nel Vangelo? - Allora gli feci leggere il passo citato, e nuove lagrime gl'inondarono il volto.

            Era mia intenzione di dargli tempo a meditare e riflettere seriamente sopra tuttociò che gli aveva detto, e perché {94 [462]} conoscesse di per se stesso la felice ventura che aveva avuto di conoscere la verità; ma vedendo che le ore erano preziose, e che la sua vita si estingueva lentamente, e già era prossima a spegnersi, e di più la monaca addetta all'ospedale avendomi detto che forse nella notte stessa avrebbe pagato il tributo alla natura, presi la risoluzione di compiere l'opera.

            «Figlio mio, gli dissi, io ringrazio di» cuore il Signore che abbia benedetto» le mio parole, le quali, veggo, hanno» prodotto nel vostro cuore tale effetto,» che io non esito punto di chiamarvi» fin d'ora cattolico già nel cuore; e perche, mio caro, non lo sarete perfetto?» Voi dovreste, senza più tardare, abbracciare la Religione Cattolica, entrare» nel grembo della Chiesa di Gesù Cristo, ed oh, come il vostro cuore sarebbe inondato di gioia spirituale, come» la vostr’anima sarebbe lieta di tanta» fortuna! Voi siete molto aggravato dal» male, e chi sa, che Iddio non sia vicino a darvi la corona dei giusti, e» chiamarvi a sè per la felicità eterna»! Egli mi fissò in volto due occhi di fuoco, ma tacque! {95 [463]}

            Desiderate voi, ripresi allora, di farvi callolico? ... Mi avvidi che questa mia interrogazione lo avea immerso in profondo riflesso, la sua anima era agitata, il cuore gli palpitava fortemente, ed una specie di tremito convulsivo si era impossessato di tutto il suo corpo; lo confortai con dolci parole, e dopo alcuni minuti rimessosi un poco, mi rispose sommessamente: oh sì, lo desidero! Ma ... che cosa dirà mia madre, quando venga a sapere che mi son fatto cattolico? ... che cosa diranno i miei amici? ... Mio figlio, risposi, che volete mai che vostra madre dica di voi? che cosa volete che pensino i vostri conoscenti? «Ricordatevi che è da uomo leale e di carattere» abbandonare tosto l'errore, quando si» giunge a conoscere la verità! Ora credete voi fermamente che vi ha un Dio» in tre persone realmente distinte, cioè» Padre, Figliuolo e Spirito Santo? ... Sì,» mi rispose, lo credo. Credete voi che» la seconda persona della Santissima» Trinità, cioè il Figlio, si è fatto uomo» per salvarci, che è morto sulla croce» per voi e per tutti gli uomini, e che vi» preparò un'eternità felice? ... Si lo credo,» e lo credo con tutta l'anima mia. Credete {96 [464]} voi che vi ha una sola Chiesa Cattolica,» Apostolica, Romana, e desiderate voi» di venire suo figlio fortunato? Si lo» credo, e lo desidero». Ebbene, figlio mio, voi siete cattolico, permettete che io vi battezzi sotto condizione, e voi sarete perfetto cattolico. Tirai, in questo dire, di saccoccia un botticino di acqua benedetta, che meco portai pel caso di bisogno, e lo battezzai sotto condizione, imponendogli i nomi di Gabriel Andrea Maria.

            Era appunto il dì 30 novembre, giorno dedicato a S. Andrea Apostolo, e suo onomastico. Questa coincidenza lo sorprese, e sorprese me stesso. Oh qual ventura per me; questo giorno è il giorno di mia festa!» Aveva sul volto dipinta la pace e la gioia. Lo aiutai quindi ad un esame di sua vita trascorsa, lo eccitai al dolore, lo confessai, gli diedi l'assoluzione condizionata siccome si pratica in simili circostanze. Ciò fatto egli mi stese le braccia, mi serrò strettamente con una tenerezza ed espansione di cuore inesprimibile. Mio padre, esclamò, mio padre, oh io credo a tutto ciò che mi avete detto! oh quanto è buono Iddio per me! esso mi ha fatto conoscere la verità, mi {97 [465]} ha accolto per suo figlio, mi ha perdonato i miei peccati; ed io l'amo, e prometto di amarlo sopra tutte le cose, e per tutta la mia vita; vi assicuro che non ebbi mai un momento così bello e così felice in vita mia. Alzando al cielo gli occhi pieni di lagrime di consolazione: Oh Gran Dio, veggo ora per qual cagione mi avete ridotto alla miseria, oppresso da questa malattia, e condotto a guest’ospedale; egli è perchè voi mi amavate, mentre io non vi amava ancora, anzi vi offendeva; egli è perchè io negava di conoscere Gesù Cristo, mentre egli mi cercava per salvarmi! Voi, mio Dio, mi avete ferito mortalmente il corpo per guarirmi l'anima, voi mi colmaste dei vostri benefizi, mentre io vi era ingrato! La vostr’opera è compiuta, io sono vostro figlio, sono cattolico, e da questo momento non desidero, non voglio che quello che voi desiderate e volete da me! vi ringrazio e vi benedico le mille volte, o mio Dio!

            Mi richiese poscia, e dimostrò vivissima brama di fare la sua prima comunione, che rimandai per l'indomani, temendo di troppo faticarlo, nello stato di estrema debolezza in cui si trovava; e coll'anima e col cuore pieno di riconoscenza e di gratitudine verso la Gran {98 [466]} Madre di misericordia, Maria Santissima, mi congedai da questo neonato del mio cuore, e che non dovea più rivedere in questo mondo, non senza spargere qualche lagrima di consolazione.

            La ottima Paolina si recò sollecita l'indomani a visitarlo, ed io fui molto dolente che altre cure del mio ministero mi abbiano impedito di unirmi ad essa.

            Appena Gabriele la vide entrare, le stese le sue scarne braccia, e diede in un dirotto pianto: Sorella mia, le disse con voce tremola e soffocata, sorella mia, io sono cattolico! La povera giovane fu talmente commossa a queste parole che poco mancò non isvenisse di consolazione. Calde lagrime le sgorgarono dagli occhi, e mentre l'agonizzante con tutta l'effusione del cuore le parlava di Dio, di sua felicità, le diceva: Io sono stato battezzato, mi son confessato, e sono stato assolto da'miei peccati, e tutto questo nel giorno stesso di mia festa, nel giorno di S. Andrea; mia cara sorella, io sono cattolico, e sono l'uomo più felice della terra. Sento in me tanta contentezza che non ve la so e non ve la posso esprimere. La richiese di me, e come intese {99 [467]} che sarei venuto l'indomani, ne fu contento e soddisfatto.

            Ma, disse, non manchi di venire, e presto, perchè altrimenti io me ne muoio senza più vederlo; egli, che è mio padre, il mio benefattore, quello cui debbo tutto, perfino la eterna felicità! E parlava della morte che si vedeva vicina con indifferenza incredibile, e la desiderava per trovarsi più presto in seno a Dio; raccomandò a Paolina che dopo morto, avesse avuto cura di farlo seppellire; desidero, disse, che il mio corpo riposi fra i miei fratelli in terra cattolica e benedetta. Paolina gli promise che si sarebbe data premura, perchè il suo desiderio fosse compiuto. E, tutta riconoscenza e amore verso Gesù Cristo e verso Maria, lo lasciò lieto e contento.

            Il giorno dopo, tornando Paolina all'ospedale per visitarlo, Gabriel non era più! nella notte spirò l'anima nella pace del Signore, confortato dalle consolazioni che la sola Religione Cattolica sa e può apportare ai fedeli!

            Io la incontrai per via, e, come ne intesi la morte, ringraziai, unitamente a lei, Iddio d'averci scelti a stromenti per operare la salvezza di quell'anima! {100 [468]}

            Poveri furono i funerali, e Paolina compi l'opera di misericordia accompagnando il cadavere di Gabriele fino alla tomba; ed io offrii il santo sacrifizio della Messa in suffragio dell'anima di lui.

 

(Traduz. dalle picc. Letture francesi.)

 

 

Aneddoti diversi

 

Il Battesimo.

 

            Qualche tempo fa, in una parocchia assai popolata del cantone di Picchigni, in Erancia, fu portato alla Chiesa un fanciullo perchè gli fosse amministrato il Battesimo. Ciò avvenne alla vigilia d'una grande solennità in cui il digiuno e l'astinenza dalle carni sono di precetto. Prima di andare alla Chiesa il padrino ch'era un uomo alieno dai catechismi e dalle istruzioni parrocchiali, aveva consultato il suo almanacco, e fu assai contento di aver trovato un bel nome pel suo figlioccio. Ma qual nome direste voi? Vigile et jeune (vigilia e digiuno)! così notava il suo almanacco in quel giorno.

            Quando il curato gli dimandò, secondo il solito: Qual nome volete dare a questo {101 [469]} fanciullo? con gioia e con prontezza il padrino rispose: Vigile et jeune (vigilia e digiuno.) A tali parole il curato e gli altri assistenti non poterono conservare la serietà che richiede una sì santa cerimonia uno scroscio di risa.

            Curato. Nel battesimo, mio caro, dobbiamo imporre al fanciullo il nome di qualche santo.

            Padrino. Forsechè digiuno e vigilia non son santi?

            Cur. Queste due parole indicano solo il precetto della Chiesa, ma non sono nomi di santi.

            Pad. 0 nomi, o parole; nel mio almanacco sia scritto così, e desidero che tale sia il nome del mio figlioccio.

            Si ebbe un bel dire, ma non fu possibile far cangiare tal nome. Allora il curato per non spingere le cose troppo avanti aggiustò bellamente un tale affare, cangiando Vigile et jeune (vigilia e digiuno) in Virgilio ed Eugenio, che sono veri nomi di santi. Così il padrino rimase appagato; ma il rossore venutogli per questo suo errore lo rese frequente alle istruzioni parrocchiali.

 

(La Tribune Sacrée.) {102 [470]}

 

 

Recente Conversione.

 

            In questi giorni molti qualificati protestanti si convertono al cattolicismo. Una signora che apparteneva ad una delle più rispettabili famiglie di Ginevra, pochi mesi sono, in Orléans, città di Francia, abiurava la riforma di Lutero e di Calvino per rientrare nel seno della Cattolica Religione.

            Essa aveva dimorato vent'anni a Parigi, sempre nel dubbio che la Riforma non contenesse la verità; finalmente la Provvidenza le mandò un uomo illuminato e zelante, che le fece conoscere quanto doveva fare per salvarsi. Dopo profondi studi, persuasa che nel protestantismo non vi può essere salute, entrò nel ritiro delle Orsoline per avere tempo e calma a riflettere alle grandi cose che la sua coscienza non le permetteva di differire: cioè abbracciare quella religione fuori di cui niuno può salvarsi.

 

(Annales Catholiques, genn. 1854.)

 

 

Il Demonio che fa la battuta.

 

            Fu veduto una volta il Demonio all'apertura d'una finestra, che mettea verso strada, starsene con un invoglio di carta alla mano, alzando e abbassando il braccio, {103 [471]} a modo di un maestro di cappella, che fa la battuta di musico sull'organo, e nel brutto mostaccio che mostrava, si vedeva un certo fior di allegrezza e di godimento straordinario, come di chi sentisse un'armonia di tutto suo gusto. Abitavano in quella stanza quattro lingue mirabilmente affilate alla maledizione, marito e moglie e figlio e suocera; e quella mattina appunto, non essendo riuscito il desinare di gusto alla suocera rabbiosa, rovesciale le tavole, e rotti i piatti, e sparsi per le stanze i rottami dei bicchieri e delle tazze, risuonavano le più empie imprecazioni: «Possa tu aver mangiato l'ultimo boccone»; e l'altro: «Possa tu restar attossicato»; e la vecchia: «Possiate tutti aver mangiato il diavolo»; e il Diavolo a questa musica faceva la battuta, mostrando che cantavano a suo gusto, e che potevano esser promossi alla cappella dell'inferno, dove sempre si canta su questo tuono di maledizioni, e di orrende e viperine imprecazioni.

            Oh in quante case e in quante botteghe il Diavolo sta facendo la battuta! Quella signora maledice il paggio, e il paggio sotto voce risponde per le rime; e la padrona maledice la serva o la donzella, {104 [472]} e la donzella canta sullo stesso tuono delle maledizioni; e il capo di casa contro i giovani; e il Diavolo sta dicendo: «Oh bravi, oh che bella musica!»

 

 

Chi la fa l'aspetti.

 

            Le relazioni di vicinato si formano assai facilmente a Parigi. Per esempio, dopo tre giorni d'abitazione nella stessa casa, al quarto già s'usa generalmente darsi del tu. Due giovani abitavano lo stesso albergo, e non erano separati che da un semplice muriccio ossia tramezzo. Alcuni zolfanelli imprestati, ed altri piccoli servigi, gli avean renduti quasi come amici. Una sera uno di essi entrò, e disse al suo vicino:

            - Mio caro vicino, voi avete una libreria, non è vero?

            - Si, vicino mio.

            - Io non posso prender sonno; imprestatemi dunque un libro qualunque.

            - Ah! vicino mio, voi potete venir a leggere presso di me quanto volete; ma io mi sono fatta una legge di non prestar mai i miei libri. -

            Due giorni dopo faceva un po'freddo: quello dalla libreria voleva accendere il {105 [473]} fuoco; ma dopo d'avere consumata tutta la sua carta, non usciva fiamma.

            - Ehi! vicino, disse, in grazia prestatemi il vostro soffietto.

            - Ah! vicino mio, voi potete venire a soffiare presso di me quanto volete; ma io mi sono fatta una legge di non imprestare giammai il mio soffietto.

            Non intendiamo di lodare chi rifiuta di render servizi agli altri, perchè a lui venne ciò rifiutato: ma se voi volete che ne facciano a voi stessi, non ricusate di farne agli altri.

 

 

Epigramma.

 

            A Benedetto decimosecondo

            Quando un Re domandò cosa non giusta,

            Quel Papa dicea tondo:

            Sire! vi voglio bene, e mi terrei

            Un'anima per me, se due ne avessi;

            L'altra tutta per voi la dannerei.

            Ma n'ho una sola, e questa

            Se al diavolo la do, per me che resta? {106 [474]}

 

 

Indice

 

Avviso

pag. 3

Un parroco in mano agli assassini

 5

Buon senno di un operaio

 11

Una bella similitudine

 16

Fermezza Cattolica

 18

Le miserie dell'annata

 24

La verità conosciuta

 32

Il lavoro ne'giorni festivi

 41

Apparizione della Beata Vergine a due pastorelli sulla montagna di La Solette

 47

Segreto dei due pastorelli

 65

Il fatto della Salette esaminato a Roma

 75

Conseguenze straordinarie del fatto di La Salette

 79

Conversione e morte di un giovane protestante

 85

ANEDDOTI DIVERSI

Il battesimo

 101

Recente conversione

 102

Il Demonio che fa la battuta

 103

Chi la fa l'aspetti

 105

Epigramma

 106 {107 [475]}

 

 

(Con approv. della Rev. Eccles.) {108 [476]} {109 [477]} {110 [478]}

 



[1]Su questo fatto straordinario si possono consultar molte operette e parecchi giornali stampati contemporaneamente al fatto e segnatamente:

1o Notizia sull’Apparizione di Maria SS. (Torino, 1847).

2o Santo Officiale dell'Apparizione, ecc. (1848).

3o Il libretto stampato di quest'anno per cura del Sac. Gius. COMFALONIERI (Novara, presso Enrico Crom).

[2]Era tra le due e le tre ore dopo mezzogiorno.

[3]Avvenne difatto una grande carestia in Francia, e sulle strade si scontravano grandi torme di pezzenti affamati, che si recavano a mille a mille alle città per questuare; e mentre che da noi incarì il grano in sul fare della primavera 1847, in Francia per tutto l'inverno del 46-47 si patì una gran fame. In quest'anno poi nel Piemonte, e negli altri Stati d'Italia, e quasi in tutta Europa si provano i tristi effetti di una calamitosa carestia da molti anni non veduta la somigliante.

[4]Nel 1849, se vi ricordate, le noci andarono a male da per tutto; e quanto alle uve, tutti ne lamentano ancora il guasto e la perdita, e temono assai per l'avvenire.

[5]Difatti la gran Dama, cioè Maria Vergine, disse: Gli altri, faranno penitenza per la carestia; (cioè la carestia avvenuta in Francia del 46-47). Ora se il raccolto dell'autunno 1847 fu buono è segno che da molti si è fatta penitenza e però fu sospeso il flagello minacciato d'una susseguente carestia.




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